Riassunto:
Seguito
di "Fotocoppia":
"pioveva e tirava vento / ma noi cantavamo felici / perché la strada che stavamo
percorrendo / era la strada che ci portava a casa."
Data di
composizione: 18 - 20 Maggio 2001
Il contenuto è: adatto a tutti
Disclaimer: tutti i personaggi della serie televisiva “Roswell” sono di proprietà della WB e non sono usati a scopo di lucro. Il racconto è proprietà del sito Roswell.it
Nel racconto sono state citate le cittadine di Gila Bend (Arizona) e Lordsburg (New Mexico), le città di Tucson (Arizona) e di San Diego (California).
E–mail:
lylalay@virgilio.it
Nota
dell’autrice: il riassunto iniziale è la fine di una poesia, anch’essa opera dell’autrice della storia. Se qualcuno volesse eventualmente conoscerla per intero, mi scriva.
Liz si svegliò di soprassalto e guardò l’orologio sul comodino: le tre di notte. Maledizione, non era proprio il momento di svegliarsi: il giorno dopo sarebbero dovuti ripartire per tornare a Roswell e il viaggio sarebbe stato molto lungo e faticoso. Avevano già perso un giorno a causa sua: le dispiaceva, ma non ce l’aveva fatta a partire. Non vedeva l’ora di lasciare San Diego. Troppi fantasmi. Fantasmi che la rendevano paranoica di giorno e che sfociavano in incubi di notte.
La mattina dopo, in corridoio, Maria incontrò Liz . <<Liz, sei sicura di stare bene?>> le chiese subito. <<Certo, perché?>> <<Hai una faccia…Se non stai bene dimmelo: ci fermeremo un altro giorno. Non permetterò certo a quei cecoslovacchi di trascinarti per mezza America dopo tutto quello che hai passato!>> attaccò Maria con aria di tragedia sottolineando i passi più drammatici con ampi gesti. Alla parola “fermarsi” Liz si irrigidì notevolmente, negli occhi le apparve un’espressione terrorizzata e sussurrò con un filo di voce: <<Restare?…Maria, non è il caso…Mi sento bene, davvero! Ho solo bisogno di rinfrescarmi un po’. E poi non voglio che litighiate un’altra volta>> aggiunse ricordandosi delle tremende urla che c’erano state il giorno prima. Meno male che mrs. Hubble, la padrona della pensione, era un po’ sorda, altrimenti addio segreti!
Scesero a far colazione e non si accorsero che Isabel, dalla rampa della scale, aveva assistito a tutta la scena.
Alle nove meno un quarto la banda era quasi pronta a rimettersi sulla strada. Alex stava facendo il giro per raccogliere i soldi per pagare la pensione, Michael e Maria litigavano su chi dovesse guidare (quest’ultima non aveva una grande fiducia nelle doti di autista di Michael), Isabel e Tess lottavano per sistemare i bagagli sull’auto della madre di Maria, mentre Liz se ne stava in disparte, con lo sguardo perso nel vuoto. Osservandola, Max si chiese a cosa stesse pensando.
Poi si riscosse e finì di sistemare gli zaini. Mentre era occupato in questa operazione, Max pregò per la prima volta in vita sua. Pregò che durante il viaggio di ritorno tutto andasse bene.
Ma raramente le cose vanno come vorremmo.
Dopo aver sbrigato le ultime formalità (pagare il conto, caricare i bagagli in modo che non crollassero addosso ai passeggeri, decidere i turni di guida eccetera), ognuno si sistemò al suo posto e la due auto partirono. Mentre metteva in moto, Max disse: <<Qui nave spaziale Silur – Beta. Pronti al decollo. Allacciarsi le cinture di sicurezza>> nel vano tentativo di strappare un sorriso a Liz. <<Ma quanto sei stupido>> lo redarguì la sorella dal sedile posteriore. <<Oh, andiamo, Isabel…>> cominciò lui, ma la ragazza non lo lasciò continuare <<Max, smettila di fare il bambino. Non è il caso di scherzare su queste cose. I nostri destini non sono un gioco, sono una cosa seria!>>. Il gomito di Alex le colpì il fianco destro con una certa energia. Isabel si voltò per chiedergli se era impazzito, ma prima che potesse aprire bocca Alex, scuro in volto, con un cenno della testa le indicò Liz,che alla parola “destini” era trasalita. Essendo seduto dietro di lei, il ragazzo se n’era accorto benissimo. Se ne accorse anche Max che, maledicendosi in cuor suo, sperò che almeno sull’altra macchina le cose stessero andando meglio.
<<Vai piano, Michael. Non siamo nello spazio profondo e questa non è un’astronave!>> <<Maria, pensi di riuscire a stare zitta un minuto?>> <<Stare zitta? Ma se per poco non prendevi sotto quel povero cane?>> <<Ragazzi, avete intenzione di andare avanti così per tutto il viaggio? No, ditemelo, perché in tal caso io scendo qui. Preferisco fare tutta la strada a piedi piuttosto che sopportare i vostri continui battibecchi>> sospirò Tess esasperata. <<Accomodati>> ringhiò Michael per tutta risposta.
Più tardi, mentre Tess dormiva sul sedile posteriore, Michael disse a Maria <<Maria, quando eri venuta a svegliarmi in piena notte avevi detto qualcosa su un grosso guaio. Di quale grosso guaio stavi parlando?>> <<Quello in cui si trovava Liz>> <<Allora tu non potevi sapere che Liz era nei guai>> <<OK, era una balla.>> <<Una balla? E lo ammetti così?!>> <<Michael, se ti avessi detto la verità non ti saresti schiodato neanche un po’>> <<Ma sentila!>> <<Ehi, non ero io quella che non si fidava dei terrestri>> <<Touche!>> sospirò il povero Michael.
Maria guardava fuori dal finestrino, mentre Michael la guardava di sottecchi. Era così preso dalla contemplazione che per poco non tamponò la jeep di Max, che aveva rallentato.
L’auto inchiodò bruscamente, Tess rotolò giù dietro ai due sedili e Maria diede una testata contro il finestrino.
<<Ma ti sembra il modo di guidare?!>> urlò Maria appena si fu ripresa dallo spavento <<Scusa>> rispose Michael <<Tutto bene, ragazzi?>> chiese Isabel arrivando di corsa <<Sì, sì, tutto ok>> disse Michael uscendo dall’auto. <<Mi spiace, ho fatto segno che mi fermavo e credevo che mi aveste visto>> disse Max. <<No, non ti devi scusare. E’ colpa mia, avevo altro per la testa>> <<L’importante è che nessuno si sia fatto male>> disse Liz <<Ehi, voi! Vi spiacerebbe darmi una mano?>> chiese Tess, che era rimasta incastrata tra il sedile posteriore e i sedili anteriori dell’auto.
Ci volle un buon quarto d’ora prima che la malcapitata fosse estratta da dietro i sedili, soprattutto perché per i primi dieci minuti i ragazzi non fecero altro che ridere.
Molte ore dopo, quando avevano passato già da un po’ il confine dell’Arizona, si fermarono in una piccola stazione di servizio che si trovava più o meno a metà strada tra Gila Bend e Tucson. Vicino alla stazione c’era un piccolo motel e decisero che avrebbero passato lì la notte. Dovettero però accontentarsi di due camere soltanto: in una avrebbero dormito le ragazze, nell’altra i ragazzi.
Dopo la magra cena, Max andò a fare una passeggiata nei dintorni per sgranchirsi le gambe.
Cercava di non pensar a nulla, soprattutto a Liz. Cercava di ascoltare soltanto il canto degli uccelli, quando udì un rumore alle sue spalle. Fece finta di niente e si mise in ascolto. Passi. Qualcuno lo seguiva. Lasciò che l’inseguitore si avvicinasse, come se non si fosse accorto della sua presenza. Poi si girò di scatto e si trovò davanti sua sorella. <<Isabel!>> esclamò sorpreso <<Cosa c’è? Qualcosa non va?>> <<No, no. E’ tutto a posto. E’ solo che…>> cominciò visibilmente imbarazzata. <<Qualche problema?>> <<Ecco…Si tratta di Liz>> <<Le è successo qualcosa?>> domandò il ragazzo visibilmente alterato <<Non lo so. Oggi la stavo osservando e mi è sembrata…diversa. Era, come dire, assente.>> <<Cosa credi che significhi?>> <<Non ne sono certa, Max, ma ha avuto un trauma di non poco conto, con tutto quello che le è successo. Penso che abbia bisogno di qualcuno che le stia vicino. Tu, Max>> <<Io? Perché proprio io?>> <<Max, quando era prigioniera ed io sono entrata nel suo sogno, ho sentito qualcosa. Non ripeteva soltanto che era Liz Parker e non Violet, alla fine diceva anche un’altra cosa>> <<Cosa?>> domandò Max preoccupato <<Il tuo nome. Lei ti chiamava, Max. Si aggrappava a te con tutte le sue forze. E’ stato grazie a te se non è impazzita, là dentro>> Max non disse nulla, troppo scosso dalla rivelazione. Isabel si sentì in dovere di continuare <<Credevo che fosse meglio tenertelo nascosto. Sai, per la storia del destino e menate varie. Ma oggi ho osservato attentamente Liz e…Beh, il resto lo sai.>> <<E Tess? Che cosa dovrei fare? Il mio destino è con lei, no?>> <<Questo devi deciderlo tu, Max. So che la tua non è una situazione facile ma devi deciderti a fare qualcosa.>>. Isabel fece per andarsene ma Max la richiamò <<Isabel…>> <<Sì?>> <<Perché hai voluto dirmelo? Avresti potuto benissimo non farlo.>> <<Non lo so. Forse perché in fondo ho anch’io un cuore>> disse allontanandosi.
Max rimase ancora a lungo nel bosco, tentando di riflettere. Non sapeva cosa fare: il suo cuore gli diceva di correre da Liz ma la sua parte razionale gli diceva di starle alla larga. Non era il suo destino. E poi un giorno o l’altro avrebbe dovuto lasciarla per forza e non voleva illuderla. E come avrebbe potuto sistemare la “Questione Tess”?
Tess in quel momento era nella stanza che divideva con le altre ragazze. Stesa sul letto, guardava fuori dalla finestra e cercava di mettere in ordine le sue sensazioni ed emozioni. Cosa peraltro non facile. Si sentiva come non si era mai sentita prima. Pensava che sensazioni del genere le avrebbe provate per il suo promesso sposo. Invece non era così: tutte quelle strane emozioni la portavano a Kyle. Le capitava spesso di pensare a lui, quasi senza accorgersene.
Era una cosa tremenda. Un disastro. Ma lo era davvero? Allora perché si sentiva così bene?
La mattina dopo si alzarono tutti quanti molto presto. Inizialmente non erano sicuri di essere del tutto svegli, ma appena uscirono dal motel vennero investiti da un vento gelido che fece molto più effetto delle tazze di caffè bruciacchiato.
Stavano caricando i bagagli un’altra volta, quando Max vide Liz in piedi sul ciglio della strada. Anche se faceva abbastanza freddo, non aveva la giacca. Il ragazzo si staccò dal gruppo e le arrivò silenziosamente alle spalle. Quando fu dietro di lei, si tolse la giacca e gliel’avvolse attorno alle spalle. Liz si girò di scatto, quasi spaventata. Non si aspettava quel gesto di tenerezza, e da Max, poi!
Isabel aveva seguito ogni mossa del fratello e sorridendo pensò tra se e se:<<Sapevo che avresti fatto la scelta giusta, Max.>>
Poco lontano, qualcuno non era dello stesso parere. <<Oh no, vi prego, non ditemi che ricominciano!>> disse Michael scuotendo la testa. <<Ma è possibile che non abbiano ancora imparato niente!?>> <<Che cosa avrebbero dovuto imparare secondo te?>> lo attaccò Maria <<Sai benissimo quello che voglio dire>> <<Secondo me fanno bene>> <<Maria, sei impazzita per caso?>> <<No, non sono impazzita! Sono solo stufa di aspettare che una certa persona che dico io metta la testa a posto>> <<Maria, lo sai che..>> <<Oh, piantala. Risparmiami la tiritera, ché la conosco già>> disse la ragazza stizzita entrando in auto.
Michael rimase immobile come congelato, senza trovare nulla da ribattere.
Tess gli tolse di mano le chiavi dell’auto e salì a bordo dicendo che guidava lei.
Era più o meno l’una quando i ragazzi si fermarono in una stazione di servizio, alcuni km dopo Tucson. Quel giorno si sentivano tutti piuttosto stanchi e il viaggio procedeva a rilento.
Mentre tornava dai bagni, Tess vide Max e Liz che si baciavano. Non si avvicinò subito a loro, aspettò che si accorgessero della sua presenza.
Quando la videro, non sembrarono sorpresi, anzi sembravano quasi sollevati.
Max si avvicinò a lei e le disse:<<Tess, noi due dobbiamo parlare>>. Fece per portarla lontano da Liz ma lei lo fermò con un gesto e disse:<<Non è il caso, Max. So già tutto>> <<Cosa?!>> disse il ragazzo spiazzato. <<Isabel mi ha detto come stanno le cose e per me va bene>> <Davvero?>> chiese Liz titubante <<Fosse accaduto due mesi fa…Non so come avrei reagito. Male, temo. Ma ora sono successe delle cose e vedo tutto sotto un altro aspetto. Sono felice che abbiate deciso così>> disse con un sorriso radioso.
Per Michael e Maria le cose non andavano così bene: avevano passato praticamente tutto il viaggio litigando. Avevano smesso solo quando Tess aveva minacciato di strozzarli se non la piantavano immediatamente. Nell’auto era sceso allora un’imbarazzante silenzio che la radio non era riuscita a riempire.
Poco dopo aver passato il confine con il New Mexico, la comitiva aveva fatto tappa a Lordsburg, ove avevano deciso di fermarsi per la notte.
Dopo cena, Michael aveva guardato per un po’ la televisione con gli altri, ma presto si era stufato e aveva deciso di salire in camera.
Mentre passava in corridoio, si accorse che a porta della camera di Maria era aperta. Pensò di chiuderla, ma quando si avvicinò si accorse che dall’interno della stanza venivano dei singhiozzi. Cautamente, scivolò all’interno e si mosse nella penombra incerto ma silenzioso.
Maria era sdraiata sul letto, con le gambe raccolte sotto di sé e piangeva. Michael si stese accanto a lei e l’abbracciò. Non disse nulla, non ce n’era bisogno: sapeva perfettamente perché Maria piangeva.
<<Maria, lo so che è inutile ma…Mi dispiace. Mi dispiace recarti così tanto dolore, ma lo sai che io prima o poi me ne andrò e allora sarà peggio.>> <<Per ora tu sei qui>> gli disse tra un singhiozzo e l’altro. <<Domani potrei non esserci più. Dobbiamo combattere gli invasori del nostro mondo e non sappiamo come andrà a finire. Potrei metterti in pericolo e se ti accadesse qualcosa per causa mia non potrei mai perdonarmelo>>. Maria si voltò in modo da poterlo guardare negli occhi <<Storie. Io non mi sento in pericolo. A dire la verità mi sento veramente protetta solo quando sono con te>>
<<Quindi il “dove vai tu vado anch’io” era una specie di dichiarazione>>. La ragazza sospirò <<Temo proprio di sì>>. Michael la strinse più forte e la baciò.
Il giorno dopo Max si trovava in corridoio quando vide Michael uscire dalla stanza di Maria con i capelli più spettinati del solito e gli abiti stropicciati. Sentendo uno sguardo su di se, Michael si voltò e si ritrovò faccia a faccia con Max. Cercò disperatamente di trovare qualcosa da dire ma – caso più unico che raro – non gli veniva in mente niente. Decise di sparare lì per lì una stupidaggine qualsiasi ma prima ancora che potesse aprire bocca, Max gli fece cenno di tacere e con una faccia che era tutto un programma disse: <<Non voglio sapere niente!>> e si allontanò.
Il resto del viaggio trascorse senza che accadesse nulla di strano. Nessuno l’avrebbe mai ammesso, ma man mano che si avvicinavano a Roswell si sentivano tutti molto più leggeri. Leggeri e felici e…C’era anche qualcos’altro, una sensazione che cresceva lentamente con i chilometri ma nessuno riusciva a darle un nome. L’unica cosa certa era che non era stanchezza. Si sentivano freschi come non mai.
Arrivarono finalmente alle porte di Roswell. Le figure familiari degli edifici si stagliavano contro il crepuscolo; qua e là, simili a stelle, brillavano delle luci.
Fu allora che tutti compresero cos’era quella sensazione.
Fu allora che capirono di essere arrivati a casa, tutti quanti.
Illuminato da una lampada, un cartello scolorito recitava:
BENVENUTI
A
ROSWELL
Scritta
da Lyla |