Riassunto: In
"Dietro le quinte", dopo la
cancellazione della produzione di “Roswell”, la storia dei protagonisti
prosegue. Con la fine che conosciamo... Tuttavia, un po’ per mettere a tacere i
miei sensi di colpa, un po’ per dare soddisfazione a voi, Carmen, Elena, Luana
e Monica, e un po’ perché è bello sapere che, almeno in questo mondo di
fantasia, può esistere un amore così, ho deciso di scrivere una conclusione
“alternativa”.
Data di stesura:
dal 27 ottobre al 3 novembre 2002.
Valutazione:
adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it. Il riferimento a persone reali non è casuale, ma
spero che nessuno se la prenda troppo...
La mia e-mail è
ellis@roswellit.zzn.com
Shiri contò con attenzione le gocce di essenza di biancospino poi bevve in un
solo sorso il bicchiere colmo per metà di acqua. Dopo un breve ripensamento
riempì un’altra volta il bicchiere, contò la stessa quantità di gocce e bevve
di nuovo.
Aveva cominciato a dormire male da quando aveva letto l’intervista di Jason, ma
in quelle ultime tre notti aveva avuto degli incubi davvero terribili, in cui
le sembrava di soffocare senza tuttavia riuscire a vedere nulla del posto in
cui si trovava, ed ora aveva assolutamente bisogno di riposo. Grazie ad un
abbondante uso del fondotinta era riuscita a coprire i segni scuri sotto gli
occhi ma la stanchezza cominciava a farsi sentire. Quel giorno aveva girato le
ultime scene di un episodio di una serie poliziesca in cui interpretava un
ruolo secondario e non era stato facile nascondere il malessere che provava.
Con un sospiro mise il bicchiere nel lavandino prima di andare in bagno per
fare la doccia. I muscoli delle spalle erano così tesi da provocarle degli
spasmi molto dolorosi e sperava che l’acqua bollente l’aiutasse a scioglierli
un po’. Per un attimo immaginò le mani di Jason che le massaggiavano la base
del collo ed emise un piccolo sospiro. Dopo l’ignominiosa fuga da San Francisco
non aveva mai avuto il coraggio di chiamare il numero che le aveva lasciato, né
si era permessa di pensare a lui. Il lavoro l’aveva tenuta molto occupata e il
poco tempo libero a sua disposizione lo aveva trascorso spesso in compagnia di
amici e colleghi, ma a volte aveva sentito la necessità di rifugiarsi dalla sua
famiglia. Si rendeva conto che a spingerla a tornare a casa era stato il
desiderio di sottrarsi alle difficoltà della vita adulta. Quando era con i suoi
genitori poteva infatti sentirsi di nuovo bambina, protetta e coccolata, e
fingere che tutto andasse bene. Ma ora che Jason non c’era più il suo inconscio
si prendeva gioco di lei sbattendole in faccia il forte senso di colpa che
provava per la sua scomparsa. Con un gemito aprì al massimo il rubinetto e si
concentrò sulla sensazione dell’acqua contro la pelle.
Quando infine scivolò sotto le coperte si sentiva molto meglio. Lesse alcune
pagine del romanzo di Tom Clancy che qualcuno le aveva regalato per Natale poi
lo lanciò in fondo al letto. “Come posso pretendere di dormire tranquilla se
leggo questa roba?” pensò seccata con se stessa mentre, giratasi sul fianco,
con una mano cercava di sistemare meglio il cuscino. Poco dopo, tuttavia, era
immersa in un sonno profondo, privo di sogni. Dal quale si svegliò bruscamente
alcune ore più tardi, fradicia di sudore e con un dolore sordo ai polmoni.
“Maledizione!” Tremando sconvolta si sollevò a sedere e mise le gambe giù dal
letto. Era sicura di aver sognato Jason, ne era certissima. Un brivido violento
la scosse, e di nuovo quell’orribile sensazione di soffocamento. Deglutendo a
fatica accese l’abat-jour. Fece alcuni respiri profondi nel tentativo di
calmarsi, poi abbassò lo sguardo e si rese conto di avere le dita
spasmodicamente strette sul piumone. Per un attimo si sentì disorientata, come
se non riuscisse a capire dove fosse, dopodiché si alzò in piedi e andò verso
l’armadio. “Ho bisogno di aria fresca” decise serrando le labbra. Tirò fuori un
paio di pantaloni di velluto, un maglioncino di lana ed un giaccone imbottito,
si cambiò in fretta poi, prese le chiavi della macchina, uscì nella notte.
Guidò a lungo, senza una meta apparente, ma quando, poco dopo l’alba, si
ritrovò davanti alla segnaletica che indicava l’ormai prossima area in cui si
trovava la faglia di San Andrea, spalancò gli occhi. “Il senso di
soffocamento... Oh, no, non può essere! No, ti prego, fa’ che non sia così!”
Cominciò a tremare, sempre più forte. Con cautela, rispettando i limiti di
velocità per non attirare su di sé l’attenzione della polizia, seguì le
indicazioni e alla fine si ritrovò in mezzo ad una sterminata distesa di
terreno brullo. In preda all’angoscia scese dall’auto e a piedi raggiunse la
sottile frattura che segnava la superficie come una ferita mortale. La faglia
di San Andrea era lunghissima, di larghezza e profondità variabili, e lei non
sapeva dove iniziasse e dove finisse. Ma non aveva importanza, perché quello
era il “posto”. In preda all’angoscia si avvicinò al bordo e si mise in
ginocchio. Un grido strozzato le uscì dalla gola quando i suoi occhi misero a
fuoco la sagoma scura che giaceva sul fondo. - Jason!!! - Si sdraiò supina
sporgendosi un poco verso il basso. - Jason, rispondimi! Jason! -
La sua voce risuonò stranamente fra quelle strette pareti di terra, e si
domandò se lui potesse sentirla. - Jason! -
Quando lo vide girare il viso di lato emise un rumoroso sospiro di sollievo. -
Stai tranquillo, Jason, sono qui! - Lottando per trattenere il pianto si rialzò
e tornò indietro. Toltasi il giaccone cercò prima di tutto un elastico per
legare i capelli, con cui il vento continuava a sferzarla, poi aprì il
bagagliaio e prese la corda che aveva usato per portare a casa l’albero di
Natale e che si era sempre dimenticata di riporre in garage. Non era sicura che
sarebbe bastata ma non aveva altro. Decise di portare la macchina più vicino
alla fenditura, dopodiché fissò un capo della corda al gancio di traino e gettò
l’altro nel vuoto. - Jason, puoi muoverti? Ti ho lanciato una corda, ce la fai
a prenderla? - Non ottenendo alcuna risposta emise una sommessa imprecazione e
si guardò disperatamente intorno. Non c’era anima viva oltre lei, quindi poteva
contare solo su se stessa. Con improvvisa determinazione si avvolse la corda
attorno al polso e cominciò a calarsi.
Mentre scendeva sentì qualcosa colpirle la testa. Terrorizzata, ricominciò a
gridare forte il suo nome finché lui aprì gli occhi e guardò verso l’alto. -
Jason, non c’è più corda! Ti prego, cerca di risalire un po’! Bastano pochi
metri! - Un’altra manciata di pietrisco cadde sulle sue spalle e stavolta urlò.
Svelto, Jason! -
Spronato dalla sua voce Jason mosse lentamente il braccio destro, facendo
scivolare la mano lungo la parete. Lo spazio era scarso, appena sufficiente a
muovere le spalle, ma il tono insistente di Shiri lo costrinse a cercare di
reagire e così, con grande fatica, cominciò a sollevarsi finché poté liberare
anche il braccio sinistro. Poi fu la volta delle gambe. Poteva piegarne una ma
l’altra doveva essere incastrata all’altezza della caviglia perché non riusciva
a spostarla. Sentendo che non avrebbe resistito ancora per molto premette i
gomiti contro le pareti e tirò con tutte le sue forze. Mentre la terra
riprendeva a tremare cercò di raddrizzarsi.
- Coraggio, ci sei quasi! - Shiri lo fissò, il cuore che sembrava volerle
scoppiare nel petto. - Jason! -
Il giovane dovette arrampicarsi per oltre due metri prima di arrivare ad
afferrare l’estremità della corda. Fu un’impresa durissima, che richiese un
tempo infinito e mise terribilmente alla prova i nervi già fin troppo tesi
della ragazza.
- Adesso io devo risalire altrimenti non reggerà il peso! Mi raccomando, non
mollare la presa, hai capito? - Shiri attese con ansia la sua risposta poi,
vedendo che non ne giungeva nessuna, trattenne a stento un singhiozzo. - Jason,
ti scongiuro, cerca di resistere! - Senza più guardare in basso cominciò a
mettere una mano davanti all’altra fino a raggiungere la superficie. Andò
allora a verificare che il nodo intorno al gancio fosse ben saldo e dopo tornò
accanto al bordo della fenditura. Passatasi la corda intorno ai polsi cominciò
a tirare verso di sé tenendo i piedi ben piantati nel terreno, nel tentativo di
aiutare Jason.
Ogni tanto avvertiva le vibrazioni che scuotevano la zona, e tutte le volte
serrava le labbra e aumentava lo sforzo. Non voleva pensare a cosa sarebbe
successo se Jason fosse scivolato, non voleva pensare a niente che non fosse il
suo lento ma costante avanzare.
Poi, quando ormai tutto il suo corpo era una massa di muscoli doloranti, vide
una mano insanguinata aggrapparsi al terreno e si precipitò ad afferrarla. -
Jason! -
Con un ultimo sforzo Jason fu fuori dalla sua oscura prigione e Shiri si chinò
su di lui. - Jason... - ripeté con voce incrinata dal pianto.
Il giovane batté piano le palpebre, accecato dalla luce, e accennò un sorriso.
- Ciao... - mormorò con voce roca.
- Ciao! - Ridendo e piangendo insieme la ragazza gli diede un piccolo bacio
sulla fronte poi lo aiutò a mettersi in piedi. - Vieni, andiamo in macchina.
Qui fuori si gela... -
Lo fece distendere sul sedile posteriore e lo coprì con il proprio giaccone.
Con dei fazzoletti di carta cercò di ripulirgli il viso dalla terra e dal
sangue. - Adesso cerco un motel e ci fermiamo, ok? Tu hai bisogno di cure, e...
- Si morse le labbra nel rendersi conto che si era addormentato, allora tornò
al posto di guida e mise in moto cercando di evitare inutili scossoni.
Dovette percorrere solo poche miglia prima di trovare quel che cercava. Dopo
aver parcheggiato davanti alla porta dell’ultima delle stanze al pianterreno
aiutò Jason a scendere dalla macchina e lo sostenne fino al letto. Poi lo
guardò ansiosa, senza saper bene da dove cominciare. Alla fine optò per la
doccia. - Sono sicura che dopo esserti lavato ti sentirai meglio... Pensi di
riuscire a farcela da solo? -
- Io... credo di sì... - Il giovane si tolse lentamente di dosso quel che
restava della giacca e della camicia ma poi ricadde all’indietro, sfinito.
Sospirando Shiri gli sfilò i calzini e i pantaloni. Le scarpe erano rimaste da
qualche parte, in fondo al baratro che aveva rischiato di inghiottire anche
lui. Con una smorfia osservò le decine di graffi e lividi che segnavano la sua
pelle chiara. - Come sei finito laggiù? - domandò piano. Poi, rendendosi conto
che lui non l’aveva sentita, decise di rinviare la questione ad un momento più
opportuno e lo prese per un braccio attirandolo verso di sé. Avanti, il bagno è
a soli tre passi da qui! - Lo aiutò a raggiungere la doccia ed aprì il
rubinetto. - Io ti aspetto fuori, ok? -
- Ok - Jason si mise sotto il getto dell’acqua, ma non appena si fu girata
Shiri sentì un tonfo sordo.
- Jason! - Si voltò di scatto e vide il corpo accasciato sul piatto di ceramica
bianca. - Oddio, ti sei fatto male?!? - Esasperata, si spogliò restando con la
sola biancheria indosso ed entrò a sua volta nella doccia. Accertatasi che non
si fosse ferito ulteriormente prese il flaconcino del bagnoschiuma e cominciò
ad insaponarlo. Le sue mani tremavano mentre lo lavava con delicatezza.
Una volta che ebbe terminato chiuse l’acqua, prese un grande telo di spugna e
cercò di asciugarlo come poté, poi lo fece alzare in piedi e lo riaccompagnò
nella stanza. Quando lo ebbe sistemato sotto le coperte prese i propri abiti e
tornò in bagno per uscirne poco dopo, asciutta e vestita. - Faccio in fretta,
stai tranquillo! -
In effetti le ci vollero solamente trenta minuti per tornare con due
bicchieroni di caffè nero, una bottiglia d’acqua minerale, dei panini, un paio
di jeans, una maglietta di cotone, una felpa e scarpe da ginnastica. - Jason? -
chiamò piano, incerta se fosse ancora sveglio o meno.
Lui si volse sul fianco e la guardò in silenzio mentre gli andava vicino con il
caffè.
- Tieni, è ancora molto caldo! - Shiri mostrò i panini. - Hai fame? -
Il giovane scosse la testa poi bevve lentamente tutto il caffè e si riadagiò
sul cuscino, senza forze.
Non sapendo cosa pensare Shiri andò a sedersi sull’unica poltroncina nella
stanza e rimase a guardarlo dormire. “Ero in contatto con te, per questo mi
sembrava di soffocare...” Dopo un po’, sentendosi a sua volta stanchissima, si
tolse gli scarponcini ed i pantaloni e si sdraiò accanto a lui.
Cominciava ad imbrunire quando Jason si destò. Per la prima volta, dal momento
in cui si era gettato nella spaccatura della faglia, si sentiva bene, al caldo.
Ma come era possibile? Ricordava il buio che lo aveva inghiottito, il dolore
della terra che lo serrava in una morsa inesorabile, il respiro sempre più
faticoso. Era stata una lunga agonia, durante la quale più volte
all’incoscienza si era alternata la piena consapevolezza della sua situazione.
Ricordava come avesse desiderato quella morte, per la libertà che avrebbe
portato con sé, e invece c’erano solo l’oscurità ed il freddo. Poi aveva
sentito la voce di Shiri che lo chiamava. Era convinto di averla sognata,
sapeva di averlo fatto. Lei era sempre stata nei suoi pensieri, sempre, ma in
quel momento sembrava che fosse davvero al suo fianco... Rimase immobile, con
tutti i sensi all’erta. Doveva capire, doveva sapere. Sentì qualcosa muoversi
contro di lui. Qualcosa di morbido, caldo e profumato. E un respiro leggero,
che non era il suo. No, non voleva svegliarsi. Non voleva aprire gli occhi e
scoprire di essere ancora prigioniero delle viscere della terra... Senza
rendersene conto chinò leggermente la testa e con il mento sfiorò una massa
setosa. Capelli. Era lei! Doveva essere lei!... Si costrinse ad aprire gli
occhi e per un attimo rimase senza fiato, il cuore quasi immobile nel petto.
Poi mosse pianissimo le braccia per non disturbarla e le circondò la schiena.
Una sensazione di estrema dolcezza gli toccò l’anima. Fece scivolare una mano
sulla nuca delicata. “Shiri...”
Nel sonno la ragazza si accoccolò meglio contro di lui ed emise un piccolo
sospiro.
“Ti amo, Shiri... non sai quanto...” Cercò di rimanere il più fermo possibile,
non volendo che lei si svegliasse e si allontanasse da lui. Non lo avrebbe
sopportato, non in quel momento. Chiuse gli occhi, assaporando con ogni fibra
del suo essere la sensazione di quel corpo tiepido, e a poco a poco scivolò di
nuovo nel sonno.
Circa un’ora dopo si risvegliò. Shiri non era più al suo fianco ma era rotolata
fin quasi al bordo del letto. Gli dava le spalle, e quella posizione gli
provocò un senso di lacerante solitudine. Fece per tendere una mano verso di
lei, per colmare quella distanza, quando un leggero movimento lo bloccò. Rimase
fermo, in attesa, sperando con tutto il cuore di non vedere sul suo viso
l’espressione di rifiuto che lo aveva annientato quella terribile notte.
La ragazza si volse supina, batté impercettibilmente le palpebre e sollevò un
braccio all’altezza della testa. Poco dopo cominciò a stiracchiarsi. - Oddio,
sono tutta indolenzita... - borbottò. Poi scalciò via le coperte e si mise a
sedere voltandosi un attimo a guardare Jason. - Come ti senti? -
- Meglio, grazie. - Il giovane parlò con tono tranquillo, senza far trapelare
nulla della tensione che in realtà provava, e Shiri sorrise. - Che ne diresti
di mangiare quei famosi panini, così poi ce ne andiamo? Ci vorranno all’incirca
tre ore per arrivare a Monterey, e prima si parte meglio è! -
- D’accordo. - Rendendosi conto di essere affamato Jason mangiò i due
sandwiches e bevve quasi tutta l’acqua minerale mentre Shiri, rivestitasi,
raccoglieva i suoi abiti e li arrotolava in un piccolo fagotto. - Meglio non
lasciare niente in giro... -
- Io... credo che quelli della NASA mi ritengano morto. -
A quelle parole lei lo fissò attenta. - Ne sei certo? -
Jason annuì lentamente ricambiando il suo sguardo. - Quando... me ne sono
andato... ho distrutto il cellulare. Era tramite quello che seguivano i miei
movimenti... Avendo perso il segnale avranno di sicuro mandato qualcuno a
cercarmi, ma dato che adesso sono qui... - fece una spallucciata - ne deduco
che abbiano desistito. -
- Vuoi dire che la NASA, dopo averti tenuto d’occhio per tutta la vita, ti
lascia andare solo perché non riesce a trovarti? -
- Mi ha trovato - la corresse lui. Davanti alla sua espressione perplessa
sospirò. - Quando sei arrivata tu ho potuto muovermi perché le scosse
telluriche avevano allargato un poco la spaccatura. Prima... non sarebbe stato
possibile... -
Sul volto di Shiri si dipinse l’orrore quando afferrò in pieno il significato
di quella spiegazione. - Santo cielo, Jason, ma come... come... - Scuotendo la
testa si serrò le braccia al petto.
- Non volevo che potessero recuperare il mio corpo - disse lui con semplicità.
Sconvolta, la ragazza si diresse verso la porta d’ingresso. - Ti aspetto in
macchina - mormorò.
Ancora molto debole dopo tutto il tempo trascorso imprigionato nel terreno,
Jason si mise a sedere sul bordo del letto e indossò faticosamente gli
indumenti procuratigli da Shiri poi, facendo ricorso a tutta la sua forza di
volontà, si alzò ed uscì dalla stanza.
Non appena si fu allacciato la cintura di sicurezza Shiri mise in moto e si
diresse verso l’autostrada. Di sicuro non hai le stesse capacità di ripresa di
Max Evans... - lo prese gentilmente in giro dopo alcuni minuti di pesante
silenzio.
- Le ferite interne si sono rimarginate, ma il tono muscolare è un altro
discorso - Jason poggiò la testa contro il finestrino, lo sguardo perso nel
vuoto.
Lei si morse le labbra, impacciata. Era evidente che Jason non aveva molta
voglia di parlare, o forse non voleva distrarla data l’insolita intensità del
traffico.
Nessuno dei due disse più una parola finché giunsero davanti alla casa di Shiri.
Allora la ragazza scese dall’auto e precedette il giovane all’interno del
grazioso appartamento.
- E’ carino... -
- Grazie - Shiri sorrise grata e si avvicinò all’attaccapanni a muro per
appendervi il giaccone. - Non è troppo grande ma non mi occorre molto spazio,
essendo sempre in giro per lavoro... -
- Sì, ti capisco. Anche casa mia è... era piccola -
- Perché parli al passato? - La ragazza lo invitò a seguirla in cucina, dove si
mise a trafficare per preparare del tè.
- Non posso tornarci, altrimenti quelli della NASA capiranno che sono ancora
vivo e cercheranno di riprendermi. -
- Ma tutte le tue cose? - domandò Shiri corrugando le sopracciglia.
Jason si strinse nelle spalle. - Sono solo cose - Si appoggiò al tavolo e la
fissò mentre prendeva le tazze. - Vorrei soltanto recuperare il portatile. Lì
dentro ci sono informazioni che... non voglio che loro trovino... -
- Non credi che lo abbiano già preso? Voglio dire, sono passate più di tre
settimane da quando sei sparito... -
- Lo tenevo in garage, in un posto sicuro. In casa ci sono due computer, e
probabilmente avranno prelevato quelli. Devo tornare a Santa Barbara appena
possibile -
- E cosa succederà se tengono sotto controllo casa tua? - obiettò Shiri
preoccupata.
Lui non rispose subito, poi emise un piccolo sospiro. - Chiederò a Manning di
andarci per conto mio, e poi... potreste incontrarvi da qualche parte. In
questo modo non dovrebbero risalire a te... Non voglio che finisca nei guai per
causa mia. -
La ragazza si strinse nelle spalle. - Cosa potrebbero farmi? Comunque, penso
che tu abbia avuto una buona idea. Se mi dici qual è il suo numero lo chiamo
subito. C’è una cabina telefonica poco distante da qui... -
Jason accennò un sorriso. - Sei diventata un’esperta nei depistaggi, eh? -
Quell’osservazione non le piacque molto. Era vero, durante le riprese di
Roswell aveva imparato un’infinità di trucchi, e altri ne aveva appresi in
svariate occasioni, però, in quel momento, le sembrò che lui si stesse
riferendo a qualcosa di più personale. Senza ribadire nulla gli porse un foglio
e una penna.
Dopo aver bevuto il tè Shiri uscì per fare la telefonata e poi tornò a casa con
espressione soddisfatta. - Il tuo amico ci andrà subito, e sabato ci
incontreremo a San Luis Obispo, vicino alla missione. In questo modo non
dovrebbero esserci problemi, almeno spero... -
- Grazie - Il giovane la guardò a lungo, intensamente, finché lei si sentì
costretta a voltargli le spalle. E’ il minimo che possa fare - disse piano.
Jason rimase in silenzio, aspettando, cercando di capire cosa pensasse, poi
scosse la testa. - Ti spiace se vado a dormire? Mi sento ancora molto stanco...
-
- No, certo. - Lieta di avere qualcosa da fare Shiri andò a prendere delle
lenzuola pulite e preparò il divano letto nel soggiorno. - Nonostante le
apparenze è davvero comodo! - commentò dopo aver finito di sistemare la seconda
coperta.
Mentre lei se ne andava Jason fece un profondo sospiro. “Avrei preferito
dormire di nuovo accanto a te” Si tolse le scarpe e i vestiti prima di
sdraiarsi, e si addormentò all’istante.
L’indomani mattina presto Shiri andò accanto al divano e rimase a guardare per
un poco il giovane ancora immerso nel sonno. Il volto era molto pallido ma il
respiro tranquillo e regolare le confermò che in effetti stava meglio. A
malincuore lo toccò sulla spalla finché lo vide riaprire gli occhi. - Ciao.
Devo andare a Los Angeles per girare uno spot. Tornerò piuttosto tardi,
stasera. Fai come se fossi a casa tua, ok? - E prima che lui potesse
risponderle gli sorrise e lo lasciò solo.
Dopo una doccia tonificante Jason rimise in ordine il divano poi cominciò a
fare un po’ di stretching. Trascorse l’intera giornata alternando brevi dormite
ad esercizi fisici, bevve una quantità incredibile di acqua e mangiò un paio di
hamburger che aveva trovato nel congelatore. Cominciava a sentirsi decisamente
meglio e stava diventando impaziente. Voleva parlare con Shiri, voleva chiarire
molte cose...
Erano le dieci di sera quando il telefono squillò. Incerto se rispondere o meno
il giovane posò la mano sul ricevitore ed attese. Dopo un poco il suono cessò,
ma poi riprese, insistente. Allora alzò il microfono, e sentendo la voce di
Shiri chiuse gli occhi. Sapeva benissimo cosa stava per dirgli...
- D’accordo, ci vediamo domani. Buona notte. - Interruppe la comunicazione e,
rifiutandosi di pensare, preparò il divano per dormire.
Il giorno dopo Shiri, come concordato con Manning Sawyer, si fermò a San Luis
Obispo e rimase in macchina finché lo vide arrivare con una borsa scura in
mano. Soltanto allora scese dall’auto e lo raggiunse.
L’uomo le sorrise gentilmente e le porse la borsa. - Qui dentro c’è quanto mi
aveva chiesto. Devo dire che era piuttosto ben nascosto!... - Poi tornò serio.
- Come sta? -
- Affaticato, debole, comunque si sta riprendendo bene. E’ stato davvero
gentile a venire fin qui... -
- Io sono molto affezionato a quel ragazzo, e farei qualsiasi cosa per
aiutarlo. Ho letto quello che hanno scritto sui giornali, ma non ci ho voluto
credere. Non è da lui... -
Shiri distolse per un attimo lo sguardo da lui, sentendosi a disagio. - Non lo
avrei mai pensato neppure io però è la verità. Ha tentato di suicidarsi, e...
ci è quasi riuscito. -
- Quel che mi domando è perché? Avevo visto che era un po’ giù, ma da qui a
decidere di farla finita!... -
- Io... non so che dirle. L’importante è che ora sia salvo, solo questo
conta... Però non vuole che si sappia. Lui... lui preferisce così... -
- Far credere a tutti che sia morto?!? Non ha senso! - obiettò Sawyer con
veemenza.
- Ne ha, mi creda. Adesso... devo andare. Grazie ancora per questo... - Sollevò
un poco la borsa che teneva in mano poi se ne andò.
Quando infine arrivò a casa erano quasi le nove. Entrò aprendo con le proprie
chiavi, non volendo disturbare Jason, e per un pelo non fece cadere a terra il
portatile quando lui le si parò davanti. - Mi hai spaventata! - esclamò
scostandosi subito di qualche passo.
Nel vedere la borsa il giovane la fissò perplesso. - Hai visto Manning? -
- Sì, dato che ero ancora a Los Angeles ho preferito aspettare fin quando è
giunta l’ora del nostro appuntamento -
Shiri parlò con studiata noncuranza mentre, deposto il prezioso oggetto sul
tavolo in soggiorno, andava verso la camera da letto per cambiarsi.
- E domani dove andrai? - le chiese lui, turbato.
- Che vuoi dire? -
Jason la seguì fin nella sua stanza e sedette sul bordo del materasso. - Sei
stata fuori due giorni per un lavoro di poche ore. Perché? -
Seccatissima, la ragazza si avvicinò al cassettone per appoggiarvi gli
orecchini che si era appena tolta. - Avevo altre cose da fare -
- Quali cose? -
- Non ho voglia di parlarne - Shiri aprì uno sportello dell’armadio e tirò
fuori una tuta felpata. - Esci, devo cambiarmi - disse con voce dura.
- Parliamone, invece. - Jason si alzò in piedi e le andò accanto. - Parliamo di
quello che c’è fra me e te. Tu mi hai trovato, Shiri... Mi hai trovato mezzo
morto in fondo ad un crepaccio della faglia di San Andrea, ti rendi conto?
Qualcosa deve averti guidato fin lì... Perché non vuoi cercare di capire di che
si è trattato? - Le sfiorò una guancia con la punta delle dita. - Io... ho
continuato ad amarti anche dopo che mi avevi cacciato via, a San Francisco.
Quella notte... ho pensato di aver perduto tutto... di non avere più alcun
motivo per vivere... Tu non volevi saperne, di me, ed io ho cercato di andare
avanti lo stesso... finché non ce l’ho fatta più. Ma il mio corpo mi ha
tradito. Nonostante fossi rimasto schiacciato tra quelle pareti di terra ho
continuato a vivere. Poi sei arrivata, e mi hai tirato fuori. Abbiamo una nuova
possibilità, Shiri. Possiamo riprovarci. Io voglio riprovarci! - Davanti alla
sua espressione chiusa le afferrò con forza le spalle, esasperato. - Tu hai
risposto al mio richiamo! Un richiamo che non ero neppure consapevole di
mandarti! Ma lo hai sentito, e sei venuta da me! Questo vuol dire che mi ami!
Forse la cosa ti spaventa, forse non lo vorresti, però tu... mi ami... come io
amo te... - Le ultime parole furono appena un sussurro. - Anch’io ho paura,
credimi, solo che non voglio sprecare questa nuova opportunità che il destino
ci ha dato! Ti prego... -
Profondamente agitata la ragazza cercò di sottrarsi alla sua presa. - Io non ti
amo, Jason, non... non ti amo. Lo pensavo, ma non è così - Vide la pena in
quegli occhi nocciola, e con un gemito alzò le mani per prendergli i polsi nel
vano tentativo di liberarsi. - Non ti amo... - ripeté in un soffio, mentre
ripensava al terribile senso di angoscia che aveva provato quando aveva letto
la notizia della sua sparizione.
- Lo so che non è facile capirlo, né tantomeno accettarlo, ma... è un dono
troppo grande per poterlo rifiutare... Anch’io ho paura, paura di quello che
potrebbe succedere, di scoprire un giorno di essermi sbagliato... Però adesso
sono qui, e so che cosa sto provando, cosa voglio... -
Shiri riuscì a strapparsi di dosso le sue mani e, in preda alla furia,
indietreggiò puntandogli un dito contro. - E’ facile per te dire così! Tu non
hai niente da perdere, ma io ho una vita, la mia vita! E dovrei rinunciare a
tutto, ai miei progetti, ai miei sogni, per qualcuno che non sono neppure
sicura di amare! Perché dovrei farlo, eh? Perché?! -
- Io non ti sto chiedendo di rinunciare a qualcosa, ti sto chiedendo di
fermarti un attimo a pensare! A pensare a quello che provi davvero, che senti
dentro! - Jason le afferrò la mano tesa e la guardò negli occhi. - Io ho
sicuramente sbagliato nel rimanere lontano da te, arrendendomi subito alla tua
decisione, senza tornare neppure una volta per chiederti il motivo di quella
reazione, ma adesso... è perché ho fatto qualcosa che ti ha spaventato, oppure
perché... sono quello che sono? -
La ragazza tirò bruscamente indietro il braccio. - Io... non lo so! - ammise
con un grido disperato.
- Allora fermati, e pensa! Pensa per un attimo a te stessa! Con tutta onestà,
senza nasconderti niente! Guarda nel tuo cuore e dimmi cosa vedi... -
Shiri s’irrigidì davanti a lui, i pugni tesi ed il respiro ansimante. Jason era
bellissimo come sempre ed irradiava una strana forza, un senso di intima
sicurezza che la colpì dolorosamente. Sembrava che l’aver deciso quel confronto
gli avesse in qualche modo ridato tutta l’energia vitale sottratta dalla
prolungata permanenza nelle viscere della terra. E lei non volle essere da
meno. Per un attimo trattenne il respiro, chiuse gli occhi e cercò di liberare
la propria mente. In una rapida sequenza rivisse alcuni dei momenti più
significativi dei lunghi anni trascorsi sul set di Roswell, la festa a San
Francisco, il calore del corpo di Jason sul suo, le chiacchierate con i
familiari, le serate in compagnia degli amici e dei colleghi di lavoro. Poi
riaprì le mani e si costrinse a non pensare più a nulla. Subito si sentì
opprimere da una sensazione di vuoto. La fronteggiò, come non si era mai
permessa di fare fino a quel momento, e fu costretta a riconoscerla per quel
che era. Una fuga dalla vita, quella vera, che costringe a crescere
trasformandoti in una persona completa, consapevole dei propri punti di forza e
della propria debolezza. E la vita era accettare i sentimenti che provava, non
soffocarli fingendo che non esistessero. Sentendosi stranamente leggera, quasi
distaccata, sollevò le palpebre e osservò il volto intenso di Jason. Per un
lunghissimo istante rimase immobile, poi emise un piccolo sospiro. - Vedo te -
disse piano.
Le labbra del giovane si tesero in un lento sorriso, caldo e tenero.
Anche Shiri sorrise, un sorriso timido che durò solo un attimo, poi gli andò
vicinissimo e gli passò le braccia intorno ai fianchi sollevando il viso per
baciarlo.
- Questa volta non me ne andrò. Neanche se dovessi spingermi oltre quella
porta... - mormorò lui stringendola con forza contro di sé.
- Non lo farò. Mai più. Mai più... -
Poco dopo giacevano sul letto. Jason accarezzava dolcemente le spalle di Shiri,
sdraiata sul suo corpo. - Ti amo... - mormorò guardandola negli occhi.
Un po’ a disagio dinnanzi a qualcosa che aveva inconsciamente negato fino ad
allora, la ragazza si morse le labbra poi reclinò la testa da un lato. -
Anch’io ti amo, Jason... - ammise, una luce suggestiva nel velluto delle sue
iridi.
Lui le prese il volto tra le mani piegandosi un poco in avanti per baciarla. -
Ripetilo. Ripetilo, amore mio... -
- Ti amo - E glielo dimostrò con tutto l’entusiasmo della sua giovane età.
“Oh, ragazzi...” Manning Sawyer guardò con affetto la fotografia, un primo
piano di Shiri abbracciata da dietro da un sorridente Jason. Anche lei
sorrideva, ed era evidentemente felice. Lesse con attenzione il foglio che
accompagnava la foto. “Jackson Hole è una piccola città molto accogliente.
Insegno matematica ed informatica al liceo, mentre Shiri dà lezioni di danza
alle bambine delle scuole elementari. E’ una vita tranquilla, lontanissima
dalla frenesia della California, ma ci piace. Ti ringrazio ancora per essere
venuto a Las Vegas, mi ha fatto davvero piacere che tu fossi presente al nostro
matrimonio. Spero che un giorno o l’altro ti deciderai a venire a trovarci. Il
Wyoming ti piacerà, credimi! Un abbraccio, J” Tornò a studiare i volti dei due
giovani e scosse la testa. “Era ora che trovassi un po’ di pace, Jason...”
Scritta da Elisa |