Roswell.it - Fanfiction

DIETRO LE QUINTE


Riassunto: In “Effetti speciali” Jason rivela a Shiri la sua origine aliena. Ora, a distanza di alcuni anni, i due giovani si incontrano di nuovo. E le cose si rivelano ancora più complicate della fantasiosa trama della serie televisiva.

Data di stesura: dal 31 luglio al 3 agosto 2002.

Valutazione: adatto a tutti.

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it. Il riferimento a persone reali non è casuale, ma spero che nessuno se la prenda troppo...

La mia e-mail è ellis@roswellit.zzn.com


Non era stato facile lavorare in quegli ultimi tempi. La costante vicinanza di Jason, la nuova consapevolezza di lui come persona l’avevano spesso messa in crisi. Le piaceva da impazzire toccarlo, sfiorargli le labbra, guardarlo negli occhi, e adesso, forse, tutto questo stava per... Scosse mentalmente la testa cercando di concentrarsi sulle parole di Katims.
- ...era già nell’aria da diverso tempo. I vostri fans hanno lottato con le unghie e con i denti ma le dure leggi del mercato hanno costretto la produzione a capitolare. Non ci sarà una quinta serie, mi dispiace... Comunque voglio che sappiate che lavorare con voi, con tutti voi - L’uomo fece scorrere lo sguardo sui presenti soffermandosi un po’ più a lungo sul gruppetto di giovani attori radunato davanti a lui - è stato bellissimo. Siete davvero in gamba, e vi auguro di trovare presto altri ingaggi: ve lo meritate! -
Ci fu un sommesso coro di ringraziamenti e un blando tentativo di applauso, poi troupe e attori cominciarono ad andarsene e Jason Katims si mise a radunare le proprie carte. - Ah, domattina puntuali alle sei e mezza, mi raccomando! - gridò nel locale ormai semideserto.
Shiri s’incamminò a passi lenti insieme a Majandra e Katherine.
- C’era da aspettarselo, prima o poi... Già per girare la seconda serie ci è voluto quasi un miracolo, e ogni anno è stato sempre più difficile! - Katherine si passò una mano dietro il collo come a voler sciogliere la tensione che in quelle ultime ore le aveva irrigidito i muscoli.
- Sì, hai ragione, però avevo sperato che... - Majandra scosse la testa. - E’ stato così divertente... Mi sarebbe piaciuto continuare ancora per un po’, anche se l’idea di incidere un intero disco tutto mio mi attira molto... -
- Ah, io invece cominciavo ad averne piene le tasche! - Brendan alzò le braccia intrecciando le mani sopra la testa e stiracchiandosi con voluttà. - Basta televisione! Voglio fare qualche altra cosa! -
- Magari un film su Dracula? - lo prese in giro William Sadler, suscitando un’allegra risata generale.
- Non farmici pensare! The Forsaken è stato... come dire?... un’aberrazione mentale! - Il giovane si infilò le mani in tasca. - Un’aberrazione per il pubblico, intendo, sia chiaro! - volle precisare. - Il film era bello, intrigante, da brivido... ma la critica non l’ha capito e l’ha stroncato -
- Certo, sì, la critica... - mormorò Katherine guardandolo di sottecchi.
Shiri sorrise distratta. La sua attenzione era focalizzata su Jason, che stava camminando parecchio più avanti insieme ad alcuni tecnici. Ormai erano quattro anni che lavoravano fianco a fianco. Come sarebbe stato non vederlo più, non sentire più la sua voce profonda, non sentire più il calore del suo sguardo? Santo cielo, avevano ancora una settimana di lavoro per finire le scene dell’ultimo episodio e già le sembrava di trovarsi a mille miglia di distanza da lui... Che diamine le stava succedendo? Quasi senza rendersene conto si trovò davanti al piccolo albergo che li ospitava quando dovevano girare nella periferia di Los Angeles e il pensiero le riandò al mese appena trascorso. Dopo il malore di Jason recitare con lui era diventato un misto di piacere e sofferenza. Avrebbe voluto che la serie non finisse mai ma al contempo desiderava che la fantasia diventasse realtà. E su tutto aleggiava la paura. Paura di quello che poteva succedere, paura di lasciarsi andare, paura di non avere la possibilità di farlo. In fin dei conti Jason non le aveva mai detto di volere qualcosa da lei, né amicizia né tantomeno... amore. Quel giorno aveva parlato soltanto di fiducia. Ed era in preda ad una febbre fortissima... Con un piccolo sospiro si avvicinò alla reception e accennò un sorriso teso alla ragazza dietro il banco. - Posso avere la mia chiave, per favore? E’ la 204. -
Nick le diede una pacca gentile sulla spalla. - Ehi, Shiri, ti va di venire con noi in discoteca? Non faremo troppo tardi, stai tranquilla! -
- Sì, perché no? Majandra, vieni anche tu? -
- Ti ringrazio ma sono davvero molto stanca. Ci vediamo domattina sul set... -
- Ok. Allora buona notte! - Shiri sorrise all’amica, poi si volse verso Nick. - Cinque minuti per cambiarmi, non uno di più -
- Accordato. - Il ragazzo si passò le dita fra i capelli ravviandoseli alla buona. - Ti aspettiamo qui. Kathie? -
- Cinque minuti, va bene - Katherine prese al volo la chiave che le stavano porgendo e corse nella sua stanza.

Shiri controllò un’ultima volta che il rossetto fosse perfettamente applicato poi richiuse il portacipria e lo lasciò cadere nella microscopica borsa di reticella nera che teneva in grembo.
- Nervosa? -
- No, affatto. Andiamo? -
- Sì, certo. - Emilie si girò per prendere la propria borsetta, abbandonata sul sedile posteriore, poi uscì dalla piccola macchina sportiva. - Dovrebbe esserci anche Katims. Sarà divertente ricordare con lui i vecchi tempi! -
“Già, i vecchi tempi...” Shiri scrollò mentalmente la testa. Due anni erano trascorsi da quando aveva girato con lui la serie televisiva di Roswell. Da allora aveva fatto molte cose, spot pubblicitari, piccole parti in film per la tv e per il cinema, aveva perfino seguito un corso di perfezionamento, ma l’unica cosa veramente importante era stata un totale fiasco. Una turbolenta relazione durata solo cinque mesi con John, un giovane e promettente architetto che non era riuscito ad adattarsi al suo spirito libero. O forse era stata lei a non permetterglielo... Comunque il risultato era che avevano entrambi sofferto molto prima di decidere di lasciar perdere, e ancora adesso il solo pensarci le metteva addosso una tristezza infinita. Forse, partecipare a quella festa non era stata una buona idea, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Emilie non gliel’avrebbe mai permesso... Con un sospiro la seguì per lo stretto sentiero lastricato fino all’ampio portone d’ingresso.
- Hai visto che meraviglia? - Emilie era eccitatissima. Dopo l’esperienza di Roswell aveva deciso di dedicarsi al teatro e al doppiaggio. Prestare la propria voce ai personaggi creati al computer le dava molta soddisfazione, sentiva di infondere in loro una vera vita, e lo faceva con grande professionalità. Lavorare in teatro, invece, richiedeva ben altro impegno e fino ad allora aveva fatto una sola tournée. Si era trattato di un’opera d’avanguardia, complessa e faticosa, in cui aveva rivestito una parte non del tutto marginale. In quel periodo viveva a San Francisco ed aveva accettato volentieri l’invito a quella festa, organizzata da un amico di uno dei suoi colleghi doppiatori, soprattutto dopo aver saputo che con molta probabilità vi avrebbe partecipato anche Katims. Naturalmente aveva insistito perché Shiri, l’unica del cast di Roswell con cui fosse rimasta in contatto, venisse con lei.
Shiri, che abitava in un grazioso appartamento in affitto a Monterey, non si era fatta troppo pregare. Adorava andare alle feste, ballare e conoscere gente nuova, però, in quel preciso momento, avrebbe voluto trovarsi lontanissima da lì.
Avvertendo la sua ritrosia Emilie la prese sottobraccio e la sospinse con gentilezza in avanti. - Su, forza! Sei uno schianto, stasera! Non vorrai mica privare tutti quei maschioni del tuo fascino, vero? -
- Ma se mi hai detto che il festeggiato compie sessant’anni! - obiettò lei.
- E con questo? Dai, forza! Un bel sorriso, e... aprite la porta: stiamo arrivando! -
Stavolta Shiri scoppiò a ridere, e sorrideva ancora quando Rob Clayton le accolse allegramente con un bicchiere di champagne in ciascuna mano. - Vi ho viste dalla vetrata... - spiegò sottovoce accennando all’ampia finestra scorrevole che costituiva buona parte della parete accanto alla porta. Fece un cenno verso l’elegante uomo di mezza età al suo fianco. - Manning Sawyer, il padrone di casa. Manning, queste due meraviglie sono Emilie De Ravin, la mia collega, e... Shiri Appleby, giusto? -
- Giusto - disse lei annuendo gentilmente.
- Piacere di conoscervi. Prego, fate come se foste a casa vostra, e soprattutto... divertitevi! -
- Grazie - Emilie sollevò il calice in segno di saluto e lo guardò allontanarsi per andare ad accogliere altri ospiti.
La festa era in pieno svolgimento e le due ragazze non tardarono ad essere travolte dalla massa di persone di varia età che aveva invaso la splendida villa.
Emilie si stava servendo al buffet quando vide Katims avvicinarsi. Si affrettò a deporre il piatto e gli andò incontro con un sorriso smagliante. - Jason Katims! Speravo davvero di rivederti! -
- Ciao, Emilie. Come vanno le cose? -
- Benissimo, grazie! - Lo abbracciò con calore. - Ho portato con me Shiri Appleby. Era qui un attimo fa... Aspetta... - Si guardò intorno alzandosi in punta di piedi. - Eccola, l’ho vista! - Lo trascinò con sé verso l’amica e poi cominciò a subissarlo di domande.
L’uomo si mise a ridere per l’entusiasmo contagioso della ragazza e si chinò verso di lei ammiccando. - C’è un’altra persona che ha lavorato sul set di Roswell, stasera... -
- Oh, e chi è? - domandò Shiri incuriosita. Ma prima ancora che Katims rispondesse gli occhi le caddero su una figura alta e snella poco distante da loro che stava parlando con un uomo. “Jason...” pensò con un fremito improvviso.
- Jason Behr - stava dicendo in quel momento il regista.
Emilie spalancò gli occhioni blu sorpresa. - Davvero?!? -
- Già. So che è molto impegnato, però è riuscito a trovare il tempo per venire qui. Mi pare di aver capito che il padrone di casa sia un vecchio amico di famiglia... -
- Jason, puoi venire un attimo? -
Katims si voltò di scatto verso la donna che era sopraggiunta accanto a lui. - Ah, certo, sì, arrivo! - Tornò a guardare le due ragazze. - E’ stato un piacere parlare con voi. Spero che ci incontreremo di nuovo... -
Emilie sorrise e diede una piccola gomitata all’amica. - Dai, andiamo a cercarlo - le bisbigliò non appena furono sole.
- Veramente io... io... credo che andrò a mangiare qualcosa, prima... Ho una fame da morire... -
- Ok. Allora vado, a dopo! -
- A dopo... - Shiri aspettò che si fosse allontanata poi tornò a guardare dove poco prima si trovava il giovane e si morse leggermente le labbra. Lui stava per voltarsi, lo sentiva, stava per... oddio, l’avrebbe vista! Serrò i pugni con forza rialzando il mento quasi in gesto di sfida.
E Jason si voltò. Per un attimo sembrò che non l’avesse vista, o perlomeno che non l’avesse riconosciuta, ma dopo aver salutato l’uomo con cui stava parlando si diresse senza esitare verso di lei. - Ciao... -
- Ciao - Shiri si trovò suo malgrado a fissare gli occhi di un caldo nocciola del ragazzo e sentì una scarica di adrenalina attraversarle il corpo.
- Come stai? -
- Oh... bene, bene, grazie. Stavo... parlando con Katims, poco fa... -
- Sì, vi ho visti -
L’affermazione la prese in contropiede. Questo voleva dire che lui l’aveva tenuta d’occhio. E questo proprio non se l’aspettava. Accennò un sorriso, vagamente imbarazzata, e trasalì quando sentì la sua mano toccarle il braccio.
- Vuoi ballare? -
Annuì, incapace di parlare, e lasciò che la guidasse nella sala adiacente dove il complessino chiamato per l’occasione stava suonando un brano particolarmente romantico.
A quello ne seguì un altro, e poi un altro ancora. Quando infine la musica tornò a ritmi indiavolati Jason le propose di uscire in giardino per poter parlare e lei lo seguì con la mente vuota.
- So che hai girato tre film, dopo... dopo... - Shiri tacque, impacciata, e Jason sorrise. - Dopo Roswell. Sì, è vero. Sono stato molto occupato, e a dire il vero lo sono ancora. Fra un mese cominciano le riprese di un altro film, in cui ho la parte di coprotagonista. E’ un giallo. E’ molto avvincente. Penso che ti piacerebbe... -
- Sarò alla prima, te lo prometto. -
- Ti farò avere i biglietti -
Jason era davvero in ottima forma e indossava con eleganza un sobrio abito nero. La camicia bianca dava luce al suo viso e Shiri dovette costringersi a distogliere lo sguardo da lui.
- E tu? -
- Io? - La ragazza si avvicinò al muro e vi si poggiò contro, cercando di prendere un po’ di tempo. Sentiva su di sé gli occhi attenti di Jason e il disagio le serrava la gola in una morsa implacabile.
Jason sorrise. Shiri era bellissima con quell’incredibile minigonna nera ricoperta di paillettes e un top di seta dorata. Si era tagliata i capelli, che ora le sfioravano le spalle, e portava la frangia. Sembrava... così vulnerabile...
- Io ho fatto un po’ di tutto... ma niente di importante. E ad essere sinceri, non so dirti se la cosa mi dispiaccia poi tanto... - Tacque, e chinò la testa per guardarsi le mani strettamente intrecciate. Ripensò alla piacevole sensazione che aveva provato poco prima, ballando insieme a lui. La morbidezza del tessuto sotto le sue dita, la solidità di quel corpo muscoloso, il calore del respiro sulla sua tempia. John non aveva mai suscitato in lei delle sensazioni così precise, così forti. Ma Jason era... era... Abbassò le palpebre e fece un respiro profondo per cercare di calmarsi. - E’... un peccato non essersi mantenuti in contatto... - disse poi, tornando a guardarlo in volto. - Ogni tanto mi vedo con Emilie. Sono venuta con lei, stasera. Ma è l’unica. Ho perso ogni traccia di Katherine, Brendan, e tutti gli altri... -
- Pure io non so più niente di loro da parecchio. All’inizio ci siamo scambiati delle mail, e così ho saputo che Brendan pensava di tornare in Canada... Poi è finito anche quello. Però... però mi dispiace perché eravamo molto affiatati, ti ricordi? -
Shiri annuì. E arrossì. Perché le ultime parole erano state pronunciate con un tono basso, suggestivo, e lei non sapeva come interpretarle.
Poi Jason le sfiorò la guancia con la punta delle dita scostandole i capelli dal viso. - Mi dispiace anche non avere avuto tue notizie. Sei sparita subito dopo la fine delle riprese e io non ho avuto nemmeno il tempo di chiederti un recapito. - Non le disse che si era dannato l’anima per scoprire chi fosse il suo agente, per convincerlo a dargli un indirizzo, e poi scoprire che non abitava più lì.
- Ho... ho cambiato spesso città. Per un certo periodo sono stata a casa dei miei. Durante la lavorazione di Roswell avevo visto talmente poco la mia famiglia che ne ho sentito la nostalgia... E tu, invece? Tu continui a viaggiare molto, probabilmente... -
- Sì, infatti. I miei genitori adottivi sono morti in un incidente quando avevo dodici anni. Ho vissuto per un po’ con uno zio, poi mi sono iscritto alla scuola d’arte drammatica e finiti gli studi ho cominciato a girare gli States. Tutto qui -
La ragazza si schiarì la gola, a disagio. - Scusami - Distolse per un attimo lo sguardo da lui, poi tornò a fissarlo. - Come sei arrivato qui? Negli Stati Uniti, voglio dire. O comunque sulla Terra... Da dove vieni, esattamente? -
Jason lasciò ricadere il braccio lungo il fianco. - Non conosco le mie origini. Sono stato trovato all’interno di un relitto che gli astronauti dello shuttle Columbia hanno scoperto nello spazio in uno dei loro primi viaggi. Ero... ero piccolissimo, poco più che neonato, e per un po’ di tempo sono stato tenuto sotto osservazione in un centro segreto della Nasa. Quando compii cinque anni venni affidato ai Behr. Lui faceva parte del team che aveva analizzato i resti del relitto. Sono stati dei buoni genitori e... è stata dura, per me, quando sono morti. -
- Sì, posso immaginarlo... E quelli della Nasa? Voglio dire, ti lasciano libero di muoverti? - Shiri reclinò il capo perplessa. - Non dico che tu debba essere perseguitato dall’FBI come Max Evans, però mi sembra un tantino strano che... -
- Ogni tanto si fanno vivi, in effetti. - la interruppe lui ridendo piano per alleggerire la tensione, Sanno sempre dove sono. Vengono, mi prelevano un po’ di sangue, e se ne rivanno. Fine del discorso -
- Ah... -
Il giovane le fissò le labbra. - Ti spaventa il fatto che io...? Sai, all’inizio mi era sembrato che avessi reagito... bene... ma poi... Non so, è stato come se... se ti fossi allontanata... Confesso di non aver avuto il coraggio di insistere perché non sapevo come l’avresti presa. Però mi sarebbe piaciuto che diventassimo davvero... amici... -
Shiri rimase per qualche secondo immobile, dopodiché si strinse le braccia al petto. - Io... non lo so. Davvero, Jason, non lo so... Sai, dal giorno in cui ti sentisti male cominciai a vederti sotto una luce diversa... A volte desideravo... - Scosse decisa la testa. - Ma avevo paura. E non so dirti di cosa. -
- Allora, forse è giunto il momento di scoprirlo, non credi? -
Corrugò la fronte con fare interrogativo, poi s’irrigidì. Jason si stava chinando su di lei, sempre di più, e con un sospiro attese di sentire il tocco delle sue labbra.
La bocca di Jason era morbida, eppure decisa.
Sentì le sue mani circondarle il volto e chiuse gli occhi. Le sembrò di tornare indietro di due anni. Anche allora lui l’aveva toccata in quel modo, ed era stato altrettanto piacevole. Ma quelli erano stati baci finti, di scena. L’improvvisa scossa elettrica che provò quando la lingua di Jason incontrò la sua la fece sussultare. Si premette istintivamente contro il suo corpo, cingendogli le spalle con entrambe le braccia, e rispose con tutta se stessa. Non ci furono flash, non ci furono scambi di immagini, ma tutto il mondo si ridusse alla sensazione di Jason. Della sua bocca, delle sue dita che adesso le stavano carezzando il collo.
Con un gemito lui approfondì ulteriormente il bacio quasi soffocandola, e Shiri si arcuò cercando un contatto più intenso.
- Ehi, Shiri, sei qui fuori? -
La voce di Emilie attraversò la notte riscuotendo la ragazza, che si staccò di colpo da Jason. - Scusa, io... devo andare. Ciao - Girò sui tacchi precipitandosi verso l’amica. - Sì, eccomi! -
Emilie sorrise nel vederla arrivare trafelata. - Non volevo disturbarti, ma ho pensato che ti facesse piacere conoscere Tom Hanks. E’ qui con Colin -
- Certo, sì. Andiamo! - Shiri si affrettò a seguirla, mentre Jason si ritrasse nell’ombra ad aspettare che il respiro rallentasse abbastanza da permettergli di rientrare a sua volta.
Appoggiato contro la parete, nello stesso punto in cui si era trovata poco prima lei, si passò le mani tra i capelli e chiuse per un attimo gli occhi. Shiri... Era stato fantastico... toccarla... baciarla... Non avrebbe mai osato sperare di venire ricambiato, e invece... Il solo pensiero fu sufficiente a fargli accelerare di nuovo i battiti del cuore... Con un sospiro alzò lo sguardo al cielo. La tenue illuminazione del giardino non permetteva di vedere le stelle ma l’aria era così limpida da dare l’impressione di poter toccare quella immensa cupola di velluto scuro, e si sentì bene.
Quando infine si decise a tornare nella villa trovò Shiri intenta a ballare insieme a Colin Hanks e Emilie De Ravin. Rimase a guardarla a lungo poi sentì qualcuno battergli sulla spalla. - Jason, vieni, c’è qualcuno che vorrei presentarti... -
- Ah, Manning, sì, eccomi... - A malincuore seguì l’uomo tra la folla, lottando per distogliere la mente dal ricordo di quello che era successo poco prima.
La festa si protrasse per buona parte della notte ma Jason non riuscì più a parlare da solo con Shiri. Colin ed Emilie, contenti di rivederlo, passarono molto tempo insieme a lui, mentre Shiri continuava a dividersi tra il salone da ballo e la loro compagnia.
- Ah, Shiri è davvero instancabile! Guardala, mi fa una rabbia! - Emilie accennò all’amica, scatenatissima in mezzo ad un gruppo di giovani.
- Credo che potrebbe continuare a ballare fino a domani, mentre io mi stanco solo a vederla... - Colin fece una spallucciata, poi accennò al tavolo delle bevande. - Che ne dite di prendere qualcosa da bere? -
- Sì, volentieri - Jason si strofinò sovrappensiero la radice del naso. Gli stava venendo un violento mal di testa. Sawyer gli aveva presentato un regista emergente e un paio di sceneggiatori, ma tutta quella confusione cominciava a dargli sui nervi e avrebbe voluto andarsene seduta stante. Poi scrollò la testa. No, la verità era che avrebbe voluto prendere Shiri e andare via con lei... Sentendosi un perfetto idiota strinse le mascelle e seguì Colin. Era arrivato a trent’anni senza aver mai fatto l’amore perché non aveva idea di quello che sarebbe successo, e l’unica donna che sapeva chi fosse veramente e per la quale provava una forte attrazione sembrava aver deciso di non dargli alcuna possibilità... Vagamente esasperato prese un cocktail ad alta gradazione alcolica e lo bevve tutto d’un fiato. A differenza del personaggio che aveva interpretato così a lungo lui era in grado di bere qualsiasi cosa senza avvicinarsi neppure ad un vago stato di ubriachezza, mentre doveva assolutamente evitare il pepe e la cannella, sostanze innocue per gli altri ma micidiali per il suo organismo, come aveva avuto modo di imparare a sue spese...
Quando infine gli ospiti cominciarono ad andarsene Shiri lo raggiunse e gli sorrise intimidita. Era deliziosa, con quegli occhi scuri e le fossette sulle guance. Avrebbe voluto abbracciarla e non lasciarla più ma, chiaramente, non era quello che voleva lei.
- Senti, io resto a San Francisco ancora per qualche giorno. Pensi che... potremmo vederci ancora? - gli chiese esitante.
- Certo! - Jason le rispose di getto, mandando mentalmente al diavolo l’appuntamento che aveva col suo agente a New York l’indomani pomeriggio.
- Bene. Sono... sono al Cartwright. -
- Perfetto. Allora... che ne dici se passo a prenderti verso le sei? Possiamo cenare insieme, ti va? -
- Sì, ok. A domani -
- A domani. Buonanotte, Emilie. Colin... Tom, è stato un vero piacere conoscerti! - Jason strinse forte la mano dell’uomo, che gli sorrise di rimando. - Anche per me. Dopo tutto quello che mio figlio mi aveva raccontato di te e degli altri ero proprio curioso di incontrarvi! -
Mentre si dirigevano verso l’auto Emilie lanciò un’occhiata divertita a Shiri. - Non mi avevi detto di aver continuato a frequentare Jason... -
- Infatti. Non l’avevo più visto dopo Roswell. -
- Ah, capisco... Bene, allora non mi resta che augurarti buona fortuna -
- Perché? -
- Lo sai dove è ambientato il film che sta per girare? In Francia! Dubito che riuscirete a vedervi molto spesso... -
- E allora? Mica stiamo insieme! -
- Forse non ancora, ma... -
- Emilie, falla finita, d’accordo? -
- D’accordo, d’accordo! - La ragazza le indirizzò una buffa smorfia poi si agganciò la cintura di sicurezza e avviò il motore. - Santo cielo, è tardissimo... - mormorò notando che l’orologio sul cruscotto segnava le tre e mezza.
- Senti, non c’è bisogno che mi riaccompagni in albergo: puoi lasciarmi alla prima stazione di taxi -
- Sei matta? E poi sei sulla mia strada, non preoccuparti... -

- Grazie, la cena è stata davvero squisita! - Shiri accennò un piccolo passo di danza sotto lo sguardo indulgente del suo compagno. - E la serata è splendida. Che ne dici di camminare un po’? -
- Tutto quello che vuoi - Jason le porse una mano, che lei si affrettò a prendere, e fecero una lunga passeggiata cercando le strade più tranquille.
Parlarono molto, di quello che avevano fatto, dei loro progetti futuri, poi rimasero in silenzio fin quando si ritrovarono davanti all’albergo di Shiri. La ragazza strinse leggermente tra le sue le dita di Jason. - Vuoi... vuoi salire? -
Il tono basso con cui aveva posto la domanda gliene fece comprendere il vero significato. La guardò con intensità, cercando di capire se fosse davvero convinta di quello che gli stava offrendo, poi un rapido sorriso gli rischiarò il volto. - Sì - disse semplicemente.
Mentre accendeva le luci dell’ampia stanza che occupava al sesto piano Shiri lasciò cadere la borsetta su una sedia e si girò a guardarlo. - Io... non so se quello che sto per fare sia giusto... so solo che... lo desidero così tanto... - Nei suoi occhi c’era angoscia, paura, curiosità.
Intenerito, lui le si avvicinò e le mise una mano dietro la nuca. - Puoi ancora mandarmi via... - sussurrò.
- No, io... io... - Con un sospiro Shiri scosse la testa. - Resta, Jason, ti prego... -
Allora il giovane si piegò in avanti per baciarla, poi fece scivolare le braccia intorno alla sua vita premendosela contro con forza.
Shiri gli cinse il collo e si sentì scuotere da brividi nell’avvertire la sua immediata reazione.
Le mani di Jason cominciarono ad esplorare ardite le sue morbide curve poi si insinuarono sotto il bordo della maglietta per toccare la pelle nuda.
A sua volta desiderosa di toccarlo, Shiri gli sfilò il blazer di maglia e iniziò a slacciare i bottoni della camicia.
Ansimando per il piacere Jason la strinse a sé sollevandola un poco da terra e avanzò fino a raggiungere il letto. Si staccò da lei per poterle togliere la maglietta e gli aderentissimi pantaloni, e la guardò negli occhi mentre gli apriva la cintura. Lentamente sollevò una mano e la premette sulla sua. - Shiri, io non l’ho mai fatto, prima... Non so come... come possa reagire il mio corpo e... non ho mai osato correre il rischio di... tradire la mia... diversità... - le confessò.
- Oh... - Shiri sorrise con fare sensuale. - Allora vuol dire che... cercherò di non farti male... - Gentilmente liberò la propria mano e riprese a spogliarlo.
Ormai incapace di pensare coerentemente Jason si abbandonò del tutto alla passione che il tocco di Shiri aveva scatenato in lui e fece l’amore senza alcun freno, senza alcun timore.
Dal canto suo, la ragazza non riusciva ancora a credere che tutto quello stesse accadendo davvero! Avevano girato insieme una quantità incredibile di scene simili, ma mai aveva sentito un tale calore, una tale forza... Jason era un attore molto bravo e aveva saputo rendere l’intensità di certe situazioni senza coinvolgerla fisicamente. E ora che i loro corpi erano uniti nella realtà ebbe la certezza che nessun altro avrebbe potuto farle provare le stesse cose. Jason era... unico. Ed ebbe paura. Una paura folle. Non poteva legare la sua vita ad un extraterrestre! Non poteva sconvolgere i suoi programmi, per quanto vaghi fossero! Non poteva perdersi nella dolce violenza di quell’abbraccio senza fine! Cercò di sottrarvisi, ma i suoi movimenti sembravano dargli maggior vigore. Jason continuava ad amarla, ad accarezzarla, a baciarla, e fu sommersa dal terrore. Era... troppo! Non poteva più sopportarlo! Con tutta la forza che le restava lo sospinse lontano da sé, incurante della sofferenza provocatagli da quella brusca separazione. - No, basta! Basta! Vattene! - gridò come impazzita, rotolando via fin quasi a cadere dal letto. - Vattene... - ripeté scoppiando in singhiozzi.
- Shiri! - Jason, un’espressione di intenso dolore sul bel viso, fece per tornare verso di lei, una mano tesa a sfiorarle dolcemente la guancia rigata di lacrime.
Con un gemito strozzato lei si tirò indietro di scatto cercando di coprirsi col lenzuolo.
Pallidissimo, senza dire una parola, il giovane si ritrasse, recuperò i suoi abiti e si rivestì poi, dopo averla guardata a lungo, il cuore lacerato da un dolore più profondo di quanto pensasse di poter sopportare, se ne andò.
Vagò a lungo per le strade semideserte, come un automa, senza neppure rendersi conto di dove stesse andando, quando un pensiero lo colse all’improvviso. Girò allora su se stesso e tornò indietro. Il portiere di notte lo fissò sconcertato e gli porse in silenzio il foglio di carta e la penna richiesti.
Con mano ferma scrisse semplicemente un numero di cellulare e il proprio nome, poi piegò il foglio e lo diede all’uomo. - Per la signorina Appleby, stanza 616. - Trasse un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli scompigliando la frangetta che gli copriva appena la fronte, dopodiché uscì e s’incamminò verso il porto.
Ci mise quasi due ore per arrivare a Ghirardelli Square, e dopo essersi lasciato cadere su una panchina rimase a guardare con occhi spenti le acque scure dell’oceano. Lo splendido volto di Shiri sembrava aleggiare sulla superficie liquida, e il ricordo del suo morbido corpo gli fece vibrare la pelle. “Shiri...” Poi l’espressione di disgusto, di ripulsa verso di lui lo colpì come una pugnalata e chinò la testa tra le mani scoppiando a piangere. Un pianto desolato, pieno di rammarico, di rassegnazione. Per un sogno infranto. Per un amore perduto. Perché sapeva che non avrebbe mai amato nessun’altra donna all’infuori di lei. Gli aveva aperto le porte del paradiso per poi spingerlo all’inferno, e ogni speranza di una vita al suo fianco era ormai scomparsa, cancellata dall’orrore che le aveva sconvolto i lineamenti. Come avrebbe fatto ad andare avanti?
Rimase lì fino all’alba, incurante dell’aria gelida, finché un pallido raggio di sole riuscì a bucare la fitta coltre di nebbia del primo mattino. Lo fissò assente, mentre un vago pensiero gli attraversava il cervello. “Ha il mio telefono... Forse cambierà idea e... mi chiamerà...” Le labbra gli si stirarono in un sorriso sarcastico. “Jason, hai davvero toccato il fondo... Perché dovrebbe chiamarti? Sì, certo, all’inizio ha risposto ai tuoi baci, al tuo corpo, ma poi... poi è fuggita via dal... dal mostro... Perché è questo, che sei... un mostro... Nessuno può conoscere la verità e continuare ad esserti amico... né tantomeno ad amarti... Rassegnati, ragazzo mio...” Stancamente si alzò in piedi e, infilate le mani in tasca, prese la direzione del proprio albergo.
Dopo aver fatto una doccia bollente e indossato abiti puliti scese a mangiare qualcosa nel bar all’angolo poi, non resistendo più, chiamò il Cartwright. Quando si sentì rispondere che Shiri Appleby aveva appena lasciato l’hotel il cuore gli mancò un battito. - Grazie... - rispose con voce incolore prima di chiudere la comunicazione. Con gesto automatico infilò il cellulare nella tasca dei jeans e si appoggiò al muro guardando le auto sfrecciare davanti a lui ma vedendo solo delle macchie confuse. Nessun rumore raggiungeva il suo cervello. Era circondato dal silenzio. Non provava alcuna sensazione. Meccanicamente tornò in albergo, prenotò il primo volo per New York e raggiunse l’aeroporto in taxi con due ore d’anticipo.
Era molto tardi quando venne ricevuto dal suo agente, che si sorprese nel vederlo così abbattuto.
- Ti ha scaricato? - gli domandò con fare comprensivo.
- Come? -
- Jason, tu sei sempre molto preciso. Solo una donna poteva convincerti ad annullare un impegno. E non una donna qualsiasi, non sei il tipo da “una botta e via”... Avevi detto che non sapevi quando saresti riuscito a liberarti, ma visto che sei qui... devo dedurre che ti ha scaricato, dico bene? - E davanti al suo mutismo sorrise gentilmente. - Capisco che non voglia parlarne, però non lasciare che la cosa ti distrugga... -
- E’ vero, mi sono trattenuto a San Francisco per una donna. E sono stato scaricato. Ma non mi sto distruggendo per lei - ribatté lui.
- No? Ti sei visto allo specchio? Ti sei... guardato? Senti, ho solo dieci anni più di te, è vero, però ho due matrimoni falliti alle spalle e so di cosa sto parlando. Questa è la tua grande occasione, non sprecarla! Uno staff partirà la prossima settimana per l’ultimo sopralluogo a Parigi. Vogliono che vada con loro, e questo è il tuo biglietto. - Così dicendo gli porse una busta lunga e stretta. - Dammi retta, non pensare più a lei e goditi la vita... -
Jason annuì lentamente, era più semplice dargli ragione che provare a spiegargli quello che aveva significato per lui essere amato da Shiri, poi fece un semplice cenno di saluto con la mano e se ne andò.

- Ok, questa era buona! Grazie a tutti, potete andare, adesso! -
- Era ora! Sono distrutta dalla fatica... -
Shiri guardò sorridendo la ragazza dai capelli castano dorato al suo fianco. Indossavano dei miniabiti dai colori vivacissimi e avevano trascorso gli ultimi quaranta minuti ballando sul bordo dell’enorme piscina che faceva da set per la presentazione di una nuova bevanda analcolica. Con loro c’erano altre sette giovani donne ed un uomo sui trent’anni in smoking. Il caldo torrido di Tucson aveva ricoperto di sudore i loro volti ma finalmente il regista era soddisfatto.
- Carl, possiamo fare il bagno? Ce lo siamo meritato, no? - supplicò una biondina, e al cenno affermativo del regista si volse verso gli altri. - Sentito, ragazzi? -
- Wow! - Con un grido di giubilo Shiri e le altre si tuffarono in acqua, subito seguite da Vernon Miller, che non perse un secondo a liberarsi dello smoking.
Quando si decisero ad uscire Vernon si avvicinò a Shiri e le sorrise con fare accattivante. - Andiamo da qualche parte insieme, una di queste sere? -
- Veramente domani devo trovarmi a Los Angeles per un provino. Mi dispiace. Sarà per un’altra volta, d’accordo? -
- Certo. In bocca al lupo, tesoro! -
- Grazie, sei un amico... - Gli diede un piccolo bacio sulla guancia e si allontanò sentendo il suo sguardo su di sé. “Ah, Vernon... lascia perdere... sarebbe solo tempo sprecato...” Si portò le mani alla nuca per strizzare via l’acqua dai capelli. “Non sono in vena di fare confronti, non ancora... Maledizione, vorrei...” Scosse la testa ridendo di sé. “Vorrei fare di nuovo l’amore con Jason, ecco cosa vorrei” ammise con un’alzata di spalle, “e magari capire cosa provo nei suoi confronti...” Passando vicino ad alcune sdraie si chinò a prendere uno degli asciugamani lasciati a loro disposizione. “Ma no, non lo farò” pensò con decisione. Si morse le labbra. In quei tre mesi aveva cercato di dimenticare il ricordo del corpo di Jason premuto sul suo, la passione con cui l’aveva amata. La sua forza, la sua incredibile energia. Lei si era spaventata. E l’aveva allontanato brutalmente da sé, nel disperato tentativo di sottrarsi a qualcosa che non poteva accettare, non in quel momento. Perché non era pronta, e non sapeva se lo sarebbe mai stata. Aveva venticinque anni. Abbastanza per sapere cosa voleva dalla vita, ma ancora troppo pochi per essere davvero in grado di gestire i propri sentimenti. Quella notte, con Jason, aveva voluto fare una prova, ed aveva fallito miseramente... Emise un profondo sospiro. “Basta, adesso devo pensare solo a domani. Una cosa alla volta. Non posso fare di più...” Il suo passo si fece leggero, come il suo animo. Aveva preso una decisione, e ne era soddisfatta.

- Congratulazioni, ragazzo mio. La prima è stata un vero successo... E... tanti auguri per ieri! -
- Grazie - Jason sorrise a Sawyer poi lasciò scivolare lo sguardo sui presenti. - Non avrei mai immaginato di festeggiare il capodanno qui a Minneapolis... Non ci venivo da così tanto tempo... -
- Lo so. Per questo ho accettato l’invito anche per te... - L’uomo serrò impercettibilmente le mascelle. Lo conosceva da quando era un iperattivo ragazzino di nove anni e non gli era difficile capire come, nonostante l’aria tranquilla e serena, fosse in realtà distaccato, quasi morto dentro. Avrebbe voluto che si aprisse con lui, che si sfogasse, ma sapeva che niente poteva convincerlo a parlare se non lo voleva. Ed era più che certo che non avesse alcuna intenzione di dirgli nulla. Jason era sempre stato molto riservato, per quel che riguardava la sua vita privata. Oh, sì, apparentemente aveva un sacco di amici, specie nel mondo dello spettacolo, usciva con le ragazze, però aveva fatto migliaia di miglia per trascorrere il capodanno con lui, che non era neanche suo parente. C’era qualcosa che non andava, ne era sicuro.
- Ehi, Jason! Quale onore! Bentornato a casa! - Vicky, una brunetta vivacissima che era stata sua compagna di classe, corse ad abbracciarlo e gli scoccò due sonori baci sulle guance. - Sai, volevo farti sapere che ho seguito tutti gli episodi di Roswell, li ho registrati e li ho praticamente imparati a memoria! Sei stato... super! - Lo guardò dritto negli occhi sorridendo. - E’ superfluo dire che la coppia Max/Liz era la mia preferita!... -
- Però anche Brendan non era male... - Louise, la sorella minore di Vicky, si accostò ai due e pretese un bacio da Jason. - Allora? Pensi che ci sarà una nuova serie? - chiese speranzosa.
- No, mi spiace. Ma davvero vi è piaciuto così tanto? -
- Certo! - rispose Vicky per entrambe. - E’ stato... magico! E Liz com’è? Dal vero, voglio dire... come Shiri Appleby... -
A quella domanda il volto del giovane divenne completamente inespressivo. - E’ molto bella. E brava. E’ un’ottima attrice. -
- Sa anche ballare molto bene. L’ho vista proprio ieri in una pubblicità in televisione... -
In quel momento si avvicinò Richard, il marito di Vicky. - Ciao, Jason! - lo salutò stringendogli forte la mano. - Che ne dici? Devo essere geloso? - Nel dire così passò un braccio intorno alla vita della ragazza e tirò una ciocca di capelli a Louise.
- Di chi? Di me? - Jason fece una spallucciata. - Non sai che il mio unico grande amore è Liz Parker? - rispose con voce piatta, suscitando un coro di risate.
- Forza, andiamo a prendere i bicchieri: è quasi mezzanotte! - esclamò ad un tratto Louise notando l’improvviso agitarsi della folla.
Di lì a poco qualcuno cominciò a scandire i secondi e finalmente l’orologio segnò l’inizio del nuovo anno.
- Auguri! -
Il grido gioioso percorse l’ampio salone insieme ai trilli dei fischietti e alle stelle filanti, ma Jason non riusciva a provare niente se non una profonda, terribile solitudine. Liz era l’amore di Max. Il guaio era che Shiri non intendeva essere l’amore di Jason. Semplice, no? Lei non lo aveva mai chiamato, e ormai lui non sapeva più come rintracciarla. Del resto, era inutile anche provarci. Quel prolungato silenzio era più eloquente di qualsiasi spiegazione. Aveva tentato di andare avanti, di continuare la vita di sempre, ma diventava ogni giorno più difficile. E adesso era davvero stanco...
Quando lui e Manning Sawyer lasciarono la festa erano le due del mattino. Fecero in silenzio il breve tragitto fino all’albergo dove avevano prenotato due stanze separate.
- Devi proprio ripartire domani per Los Angeles? - domandò ancora una volta Sawyer mentre guardava il giovane infilare la chiave nella serratura.
- Sì, devo partecipare a quella cena di beneficenza. Non posso proprio mancare, mi dispiace... -
- Anche a me. Ma mi rendo conto che nel tuo mestiere si ha poco tempo per se stessi... -
- Già - Jason girò con forza la maniglia. - Buonanotte, Manning. -
- Buonanotte, ragazzo... - Senza aggiungere altro l’uomo si ritirò nella propria stanza e Jason chiuse per un attimo gli occhi. “Il fatto è che ne ho ancora troppo, di tempo per me stesso...” Chinò piano la fronte contro la porta e rimase immobile per alcuni interminabili secondi.

- Che vuol dire, il segnale è sparito? -
- Vuol dire che il satellite non riesce più a raggiungere il suo cellulare. Non posso dirti altro, ok? - Il giovane tecnico immise altri dati e scosse la testa. - Niente. E’ come se fosse sparito dalla faccia della terra! -
- Accidenti, dobbiamo assolutamente ritrovarlo! Qual è stata la sua ultima posizione? -
- Los Angeles. Il giorno prima era a Minneapolis. La traccia è rimasta chiara durante l’intero volo, poi si è spostata all’interno della città e poco prima dell’alba è scomparsa. Qui, da qualche parte a nord di LA - indicò un punto della mappa che aveva sul monitor.
L’uomo che dirigeva il piccolo staff addetto allo studio dell’unico alieno esistente sull’intero pianeta sentì un rivolo di sudore scivolargli fin dentro il colletto della camicia. Era stato lui ad insistere perché a Jason Behr fosse permesso di continuare a vivere liberamente, una volta raggiunta l’età dello sviluppo, e adesso, a quanto sembrava, doveva trovare il modo per riparare al suo errore. Dopo tutti quegli anni l’essere aveva deciso di darsi alla fuga. Eppure sapeva che quella libertà sarebbe durata pochissimo, dati i mezzi che il ministero della difesa aveva messo a loro disposizione...
La squadra di tre esperti mandata ad investigare delimitò in maniera abbastanza precisa l’area delle ricerche dato che, dopo la distruzione del cellulare, il ragazzo sapeva di dover fare in fretta, eppure impiegò quasi due settimane per trovare il corpo incastrato in una delle tante profonde fenditure che segnavano l’inizio della faglia di San Andrea.
Messo subito al corrente della scoperta, al direttore dell’esperimento fu subito chiaro il desiderio del giovane di sottrarsi ad ogni possibilità di recupero. Niente e nessuno avrebbe mai potuto, infatti, calarsi nel terreno, ed era evidente che la cosa doveva essere stata progettata con cura. Nonostante tutto, provò una certa pena per lui, per il modo in cui aveva scelto di togliersi la vita, e per mantenere il segreto sulla vera identità di Jason Behr decise di lasciare campo libero alla stampa, che in breve diffuse la notizia della strana sparizione del giovane e promettente attore dando il via ad una serie di ipotesi più o meno credibili.

- Uff, ci mancava solo questa pioggia torrenziale! - Shiri richiuse dietro di sé la porta con un piccolo calcio e si affrettò a deporre le buste della spesa sul tavolo in cucina poi andò ad appendere l’impermeabile prima che finisse di allagarle il pavimento. Liberatasi anche dei blue jeans e delle scarpe da ginnastica, ormai fradici, si infilò i pantaloni della tuta e si mise a riordinare quello che aveva comperato dopodiché accese il gas sotto il bollitore del tè e con un sospiro di soddisfazione prese il giornale e andò a buttarsi sul divano.
Quando vide la foto in quinta pagina corrugò la fronte e si raddrizzò mettendosi a leggere con attenzione l’articolo. “Ancora nessuna notizia di Jason Behr, l’attore salito alla ribalta con la serie televisiva di Roswell e rivelatosi al grande pubblico con la splendida interpretazione del suo ultimo film, un giallo ambientato a Parigi... Dopo aver presenziato ad una cena di beneficenza a Hollywood, il due gennaio, nessuno ha più avuto sue notizie. Sono trascorsi ormai venti giorni e la polizia ha ammesso la propria impotenza. Nell’intera contea di Los Angeles sono ben quindici le persone scomparse senza lasciare alcuna traccia, e si teme che l’attore possa essere aggiunto alla triste lista...” Seguiva poi una breve descrizione della sua carriera cinematografica, ma gli occhi di Shiri, umidi di lacrime, non erano più in grado di leggere i microscopici caratteri di stampa. “Oddio, Jason...” Gettò di lato il giornale e si precipitò nel piccolo studio, dove mise a soqquadro i cassetti del tavolo da lavoro finché riuscì a ritrovare il foglio su cui lui le aveva lasciato il proprio numero di cellulare, e che non aveva mai usato. Col cuore in gola tornò in soggiorno, si mise il telefono sulle ginocchia e compose in fretta le cifre. Provò almeno una decina di volte, ma sempre si inserì il messaggio di non raggiungibilità dell’utente. Tremando mise giù il ricevitore e rimase a guardare il biglietto stretto fra le sue dita. “Pensavo di avere tempo... tempo per decidere cosa fare... e non mi sono mai resa conto che tu... tu sapevi già... lo avevi capito fin da allora... Oh, Jason, mi dispiace... mi dispiace tanto...”
In quel momento il telefono squillò. Con un soprassalto Shiri afferrò con forza il ricevitore e rispose quasi gridando. Era Emilie.
- Ah, Emilie! Sei tu... Come stai? -
“- Bene, grazie. A dire la verità ero preoccupata per te. Ho appena letto sul giornale di Jason, e siccome mi era sembrato che tu... Scusa, non so nemmeno se sai di cosa sto parlando... -”
- Sì, sì, lo so. L’ho letto anch’io... -
“- Senti, Shiri... hai... hai visto di recente il suo sito ufficiale? -”
La voce esitante dell’amica le suscitò un senso di pericolo. - No. Perché? -
“- Niente, niente... Era così, tanto per dire... Allora... ci risentiamo, ok? -”
- Ok. Grazie per avermi chiamata. Ciao -
“- Ciao... -”
Perplessa per la strana osservazione di Emilie, andò nello studio e accese il computer. Non ci mise molto per trovare il sito ufficiale di Jason Behr e lo studiò con attenzione dicendosi che lei non poteva avergliene parlato per caso. C’era sicuramente qualcosa... qualcosa che sentiva non le sarebbe piaciuto... Continuò a controllare leggendo tutto quello che trovava e infine arrivò al testo dell’ultima intervista, rilasciata a metà dicembre dell’anno precedente. Jason aveva risposto con la solita ironia alle domande, anche le più indiscrete, che gli erano state poste, ma quando gli avevano chiesto di parlare dei suoi sogni il tono era decisamente cambiato. “Il tempo dei sogni è finito. Quello che resta è solo cenere. E la fredda realtà.” Parole amare, che le rivelarono in pieno il male che, senza volerlo, gli aveva fatto. “No... No, Jason, ti prego... Dimmi che non è così... dimmi che non è per colpa mia... Jason...” Chinò la testa sulle braccia, le spalle scosse dai singhiozzi. Ricordi dolenti dei suoi sorrisi, dei suoi commenti scherzosi quando Katims spiegava gli sviluppi della vicenda degli alieni di Roswell, del calore delle sue mani su di lei, delle sue labbra, le ferirono il cuore. Ora che non avrebbe più potuto rivederlo sentì violenta la nostalgia del suo abbraccio, e si coprì la bocca con la mano stretta a pugno. “Perdonami... Io... non avevo capito... non avevo capito niente... E ormai... non posso più tornare indietro...” Rialzò lentamente la testa e con la punta delle dita sfiorò l’immagine a colori di Jason Behr. “Addio...” pensò accorata.

Scritta da Elisa


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