Riassunto: In
“Effetti speciali” Jason rivela a Shiri la sua
origine aliena. Ora, a distanza di alcuni anni, i due giovani si incontrano di
nuovo. E le cose si rivelano ancora più complicate della fantasiosa trama della
serie televisiva.
Data di stesura:
dal 31 luglio al 3 agosto 2002.
Valutazione: adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it. Il riferimento a persone reali non è casuale, ma
spero che nessuno se la prenda troppo...
La mia e-mail è
ellis@roswellit.zzn.com
Non era stato facile lavorare in quegli ultimi tempi. La costante vicinanza di
Jason, la nuova consapevolezza di lui come persona l’avevano spesso messa in
crisi. Le piaceva da impazzire toccarlo, sfiorargli le labbra, guardarlo negli
occhi, e adesso, forse, tutto questo stava per... Scosse mentalmente la testa
cercando di concentrarsi sulle parole di Katims.
- ...era già nell’aria da diverso tempo. I vostri fans hanno lottato con le
unghie e con i denti ma le dure leggi del mercato hanno costretto la produzione
a capitolare. Non ci sarà una quinta serie, mi dispiace... Comunque voglio che
sappiate che lavorare con voi, con tutti voi - L’uomo fece scorrere lo sguardo
sui presenti soffermandosi un po’ più a lungo sul gruppetto di giovani attori
radunato davanti a lui - è stato bellissimo. Siete davvero in gamba, e vi
auguro di trovare presto altri ingaggi: ve lo meritate! -
Ci fu un sommesso coro di ringraziamenti e un blando tentativo di applauso, poi
troupe e attori cominciarono ad andarsene e Jason Katims si mise a radunare le
proprie carte. - Ah, domattina puntuali alle sei e mezza, mi raccomando! -
gridò nel locale ormai semideserto.
Shiri s’incamminò a passi lenti insieme a Majandra e Katherine.
- C’era da aspettarselo, prima o poi... Già per girare la seconda serie ci è
voluto quasi un miracolo, e ogni anno è stato sempre più difficile! - Katherine
si passò una mano dietro il collo come a voler sciogliere la tensione che in
quelle ultime ore le aveva irrigidito i muscoli.
- Sì, hai ragione, però avevo sperato che... - Majandra scosse la testa. - E’
stato così divertente... Mi sarebbe piaciuto continuare ancora per un po’,
anche se l’idea di incidere un intero disco tutto mio mi attira molto... -
- Ah, io invece cominciavo ad averne piene le tasche! - Brendan alzò le braccia
intrecciando le mani sopra la testa e stiracchiandosi con voluttà. - Basta
televisione! Voglio fare qualche altra cosa! -
- Magari un film su Dracula? - lo prese in giro William Sadler, suscitando
un’allegra risata generale.
- Non farmici pensare! The Forsaken è stato... come dire?... un’aberrazione
mentale! - Il giovane si infilò le mani in tasca. - Un’aberrazione per il
pubblico, intendo, sia chiaro! - volle precisare. - Il film era bello,
intrigante, da brivido... ma la critica non l’ha capito e l’ha stroncato -
- Certo, sì, la critica... - mormorò Katherine guardandolo di sottecchi.
Shiri sorrise distratta. La sua attenzione era focalizzata su Jason, che stava
camminando parecchio più avanti insieme ad alcuni tecnici. Ormai erano quattro
anni che lavoravano fianco a fianco. Come sarebbe stato non vederlo più, non
sentire più la sua voce profonda, non sentire più il calore del suo sguardo?
Santo cielo, avevano ancora una settimana di lavoro per finire le scene
dell’ultimo episodio e già le sembrava di trovarsi a mille miglia di distanza
da lui... Che diamine le stava succedendo? Quasi senza rendersene conto si
trovò davanti al piccolo albergo che li ospitava quando dovevano girare nella
periferia di Los Angeles e il pensiero le riandò al mese appena trascorso. Dopo
il malore di Jason recitare con lui era diventato un misto di piacere e
sofferenza. Avrebbe voluto che la serie non finisse mai ma al contempo
desiderava che la fantasia diventasse realtà. E su tutto aleggiava la paura.
Paura di quello che poteva succedere, paura di lasciarsi andare, paura di non
avere la possibilità di farlo. In fin dei conti Jason non le aveva mai detto di
volere qualcosa da lei, né amicizia né tantomeno... amore. Quel giorno aveva
parlato soltanto di fiducia. Ed era in preda ad una febbre fortissima... Con un
piccolo sospiro si avvicinò alla reception e accennò un sorriso teso alla
ragazza dietro il banco. - Posso avere la mia chiave, per favore? E’ la 204. -
Nick le diede una pacca gentile sulla spalla. - Ehi, Shiri, ti va di venire con
noi in discoteca? Non faremo troppo tardi, stai tranquilla! -
- Sì, perché no? Majandra, vieni anche tu? -
- Ti ringrazio ma sono davvero molto stanca. Ci vediamo domattina sul set... -
- Ok. Allora buona notte! - Shiri sorrise all’amica, poi si volse verso Nick. -
Cinque minuti per cambiarmi, non uno di più -
- Accordato. - Il ragazzo si passò le dita fra i capelli ravviandoseli alla
buona. - Ti aspettiamo qui. Kathie? -
- Cinque minuti, va bene - Katherine prese al volo la chiave che le stavano
porgendo e corse nella sua stanza.
Shiri controllò un’ultima volta che il rossetto fosse perfettamente applicato
poi richiuse il portacipria e lo lasciò cadere nella microscopica borsa di
reticella nera che teneva in grembo.
- Nervosa? -
- No, affatto. Andiamo? -
- Sì, certo. - Emilie si girò per prendere la propria borsetta, abbandonata sul
sedile posteriore, poi uscì dalla piccola macchina sportiva. - Dovrebbe esserci
anche Katims. Sarà divertente ricordare con lui i vecchi tempi! -
“Già, i vecchi tempi...” Shiri scrollò mentalmente la testa. Due anni erano
trascorsi da quando aveva girato con lui la serie televisiva di Roswell. Da
allora aveva fatto molte cose, spot pubblicitari, piccole parti in film per la
tv e per il cinema, aveva perfino seguito un corso di perfezionamento, ma
l’unica cosa veramente importante era stata un totale fiasco. Una turbolenta
relazione durata solo cinque mesi con John, un giovane e promettente architetto
che non era riuscito ad adattarsi al suo spirito libero. O forse era stata lei
a non permetterglielo... Comunque il risultato era che avevano entrambi
sofferto molto prima di decidere di lasciar perdere, e ancora adesso il solo
pensarci le metteva addosso una tristezza infinita. Forse, partecipare a quella
festa non era stata una buona idea, ma ormai era troppo tardi per tirarsi
indietro. Emilie non gliel’avrebbe mai permesso... Con un sospiro la seguì per
lo stretto sentiero lastricato fino all’ampio portone d’ingresso.
- Hai visto che meraviglia? - Emilie era eccitatissima. Dopo l’esperienza di
Roswell aveva deciso di dedicarsi al teatro e al doppiaggio. Prestare la
propria voce ai personaggi creati al computer le dava molta soddisfazione,
sentiva di infondere in loro una vera vita, e lo faceva con grande
professionalità. Lavorare in teatro, invece, richiedeva ben altro impegno e
fino ad allora aveva fatto una sola tournée. Si era trattato di un’opera
d’avanguardia, complessa e faticosa, in cui aveva rivestito una parte non del
tutto marginale. In quel periodo viveva a San Francisco ed aveva accettato
volentieri l’invito a quella festa, organizzata da un amico di uno dei suoi
colleghi doppiatori, soprattutto dopo aver saputo che con molta probabilità vi
avrebbe partecipato anche Katims. Naturalmente aveva insistito perché Shiri,
l’unica del cast di Roswell con cui fosse rimasta in contatto, venisse con lei.
Shiri, che abitava in un grazioso appartamento in affitto a Monterey, non si
era fatta troppo pregare. Adorava andare alle feste, ballare e conoscere gente
nuova, però, in quel preciso momento, avrebbe voluto trovarsi lontanissima da
lì.
Avvertendo la sua ritrosia Emilie la prese sottobraccio e la sospinse con
gentilezza in avanti. - Su, forza! Sei uno schianto, stasera! Non vorrai mica
privare tutti quei maschioni del tuo fascino, vero? -
- Ma se mi hai detto che il festeggiato compie sessant’anni! - obiettò lei.
- E con questo? Dai, forza! Un bel sorriso, e... aprite la porta: stiamo
arrivando! -
Stavolta Shiri scoppiò a ridere, e sorrideva ancora quando Rob Clayton le
accolse allegramente con un bicchiere di champagne in ciascuna mano. - Vi ho
viste dalla vetrata... - spiegò sottovoce accennando all’ampia finestra
scorrevole che costituiva buona parte della parete accanto alla porta. Fece un
cenno verso l’elegante uomo di mezza età al suo fianco. - Manning Sawyer, il
padrone di casa. Manning, queste due meraviglie sono Emilie De Ravin, la mia
collega, e... Shiri Appleby, giusto? -
- Giusto - disse lei annuendo gentilmente.
- Piacere di conoscervi. Prego, fate come se foste a casa vostra, e
soprattutto... divertitevi! -
- Grazie - Emilie sollevò il calice in segno di saluto e lo guardò allontanarsi
per andare ad accogliere altri ospiti.
La festa era in pieno svolgimento e le due ragazze non tardarono ad essere
travolte dalla massa di persone di varia età che aveva invaso la splendida
villa.
Emilie si stava servendo al buffet quando vide Katims avvicinarsi. Si affrettò
a deporre il piatto e gli andò incontro con un sorriso smagliante. - Jason
Katims! Speravo davvero di rivederti! -
- Ciao, Emilie. Come vanno le cose? -
- Benissimo, grazie! - Lo abbracciò con calore. - Ho portato con me Shiri
Appleby. Era qui un attimo fa... Aspetta... - Si guardò intorno alzandosi in
punta di piedi. - Eccola, l’ho vista! - Lo trascinò con sé verso l’amica e poi
cominciò a subissarlo di domande.
L’uomo si mise a ridere per l’entusiasmo contagioso della ragazza e si chinò
verso di lei ammiccando. - C’è un’altra persona che ha lavorato sul set di
Roswell, stasera... -
- Oh, e chi è? - domandò Shiri incuriosita. Ma prima ancora che Katims
rispondesse gli occhi le caddero su una figura alta e snella poco distante da
loro che stava parlando con un uomo. “Jason...” pensò con un fremito
improvviso.
- Jason Behr - stava dicendo in quel momento il regista.
Emilie spalancò gli occhioni blu sorpresa. - Davvero?!? -
- Già. So che è molto impegnato, però è riuscito a trovare il tempo per venire
qui. Mi pare di aver capito che il padrone di casa sia un vecchio amico di
famiglia... -
- Jason, puoi venire un attimo? -
Katims si voltò di scatto verso la donna che era sopraggiunta accanto a lui. -
Ah, certo, sì, arrivo! - Tornò a guardare le due ragazze. - E’ stato un piacere
parlare con voi. Spero che ci incontreremo di nuovo... -
Emilie sorrise e diede una piccola gomitata all’amica. - Dai, andiamo a
cercarlo - le bisbigliò non appena furono sole.
- Veramente io... io... credo che andrò a mangiare qualcosa, prima... Ho una
fame da morire... -
- Ok. Allora vado, a dopo! -
- A dopo... - Shiri aspettò che si fosse allontanata poi tornò a guardare dove
poco prima si trovava il giovane e si morse leggermente le labbra. Lui stava
per voltarsi, lo sentiva, stava per... oddio, l’avrebbe vista! Serrò i pugni
con forza rialzando il mento quasi in gesto di sfida.
E Jason si voltò. Per un attimo sembrò che non l’avesse vista, o perlomeno che
non l’avesse riconosciuta, ma dopo aver salutato l’uomo con cui stava parlando
si diresse senza esitare verso di lei. - Ciao... -
- Ciao - Shiri si trovò suo malgrado a fissare gli occhi di un caldo nocciola
del ragazzo e sentì una scarica di adrenalina attraversarle il corpo.
- Come stai? -
- Oh... bene, bene, grazie. Stavo... parlando con Katims, poco fa... -
- Sì, vi ho visti -
L’affermazione la prese in contropiede. Questo voleva dire che lui l’aveva
tenuta d’occhio. E questo proprio non se l’aspettava. Accennò un sorriso,
vagamente imbarazzata, e trasalì quando sentì la sua mano toccarle il braccio.
- Vuoi ballare? -
Annuì, incapace di parlare, e lasciò che la guidasse nella sala adiacente dove
il complessino chiamato per l’occasione stava suonando un brano particolarmente
romantico.
A quello ne seguì un altro, e poi un altro ancora. Quando infine la musica
tornò a ritmi indiavolati Jason le propose di uscire in giardino per poter
parlare e lei lo seguì con la mente vuota.
- So che hai girato tre film, dopo... dopo... - Shiri tacque, impacciata, e
Jason sorrise. - Dopo Roswell. Sì, è vero. Sono stato molto occupato, e a dire
il vero lo sono ancora. Fra un mese cominciano le riprese di un altro film, in
cui ho la parte di coprotagonista. E’ un giallo. E’ molto avvincente. Penso che
ti piacerebbe... -
- Sarò alla prima, te lo prometto. -
- Ti farò avere i biglietti -
Jason era davvero in ottima forma e indossava con eleganza un sobrio abito
nero. La camicia bianca dava luce al suo viso e Shiri dovette costringersi a
distogliere lo sguardo da lui.
- E tu? -
- Io? - La ragazza si avvicinò al muro e vi si poggiò contro, cercando di
prendere un po’ di tempo. Sentiva su di sé gli occhi attenti di Jason e il
disagio le serrava la gola in una morsa implacabile.
Jason sorrise. Shiri era bellissima con quell’incredibile minigonna nera
ricoperta di paillettes e un top di seta dorata. Si era tagliata i capelli, che
ora le sfioravano le spalle, e portava la frangia. Sembrava... così
vulnerabile...
- Io ho fatto un po’ di tutto... ma niente di importante. E ad essere sinceri,
non so dirti se la cosa mi dispiaccia poi tanto... - Tacque, e chinò la testa
per guardarsi le mani strettamente intrecciate. Ripensò alla piacevole
sensazione che aveva provato poco prima, ballando insieme a lui. La morbidezza
del tessuto sotto le sue dita, la solidità di quel corpo muscoloso, il calore
del respiro sulla sua tempia. John non aveva mai suscitato in lei delle
sensazioni così precise, così forti. Ma Jason era... era... Abbassò le palpebre
e fece un respiro profondo per cercare di calmarsi. - E’... un peccato non
essersi mantenuti in contatto... - disse poi, tornando a guardarlo in volto. -
Ogni tanto mi vedo con Emilie. Sono venuta con lei, stasera. Ma è l’unica. Ho
perso ogni traccia di Katherine, Brendan, e tutti gli altri... -
- Pure io non so più niente di loro da parecchio. All’inizio ci siamo scambiati
delle mail, e così ho saputo che Brendan pensava di tornare in Canada... Poi è
finito anche quello. Però... però mi dispiace perché eravamo molto affiatati,
ti ricordi? -
Shiri annuì. E arrossì. Perché le ultime parole erano state pronunciate con un
tono basso, suggestivo, e lei non sapeva come interpretarle.
Poi Jason le sfiorò la guancia con la punta delle dita scostandole i capelli
dal viso. - Mi dispiace anche non avere avuto tue notizie. Sei sparita subito
dopo la fine delle riprese e io non ho avuto nemmeno il tempo di chiederti un
recapito. - Non le disse che si era dannato l’anima per scoprire chi fosse il
suo agente, per convincerlo a dargli un indirizzo, e poi scoprire che non
abitava più lì.
- Ho... ho cambiato spesso città. Per un certo periodo sono stata a casa dei
miei. Durante la lavorazione di Roswell avevo visto talmente poco la mia
famiglia che ne ho sentito la nostalgia... E tu, invece? Tu continui a
viaggiare molto, probabilmente... -
- Sì, infatti. I miei genitori adottivi sono morti in un incidente quando avevo
dodici anni. Ho vissuto per un po’ con uno zio, poi mi sono iscritto alla
scuola d’arte drammatica e finiti gli studi ho cominciato a girare gli States.
Tutto qui -
La ragazza si schiarì la gola, a disagio. - Scusami - Distolse per un attimo lo
sguardo da lui, poi tornò a fissarlo. - Come sei arrivato qui? Negli Stati
Uniti, voglio dire. O comunque sulla Terra... Da dove vieni, esattamente? -
Jason lasciò ricadere il braccio lungo il fianco. - Non conosco le mie origini.
Sono stato trovato all’interno di un relitto che gli astronauti dello shuttle
Columbia hanno scoperto nello spazio in uno dei loro primi viaggi. Ero... ero
piccolissimo, poco più che neonato, e per un po’ di tempo sono stato tenuto
sotto osservazione in un centro segreto della Nasa. Quando compii cinque anni
venni affidato ai Behr. Lui faceva parte del team che aveva analizzato i resti
del relitto. Sono stati dei buoni genitori e... è stata dura, per me, quando
sono morti. -
- Sì, posso immaginarlo... E quelli della Nasa? Voglio dire, ti lasciano libero
di muoverti? - Shiri reclinò il capo perplessa. - Non dico che tu debba essere
perseguitato dall’FBI come Max Evans, però mi sembra un tantino strano che... -
- Ogni tanto si fanno vivi, in effetti. - la interruppe lui ridendo piano per
alleggerire la tensione, Sanno sempre dove sono. Vengono, mi prelevano un po’
di sangue, e se ne rivanno. Fine del discorso -
- Ah... -
Il giovane le fissò le labbra. - Ti spaventa il fatto che io...? Sai,
all’inizio mi era sembrato che avessi reagito... bene... ma poi... Non so, è
stato come se... se ti fossi allontanata... Confesso di non aver avuto il
coraggio di insistere perché non sapevo come l’avresti presa. Però mi sarebbe
piaciuto che diventassimo davvero... amici... -
Shiri rimase per qualche secondo immobile, dopodiché si strinse le braccia al
petto. - Io... non lo so. Davvero, Jason, non lo so... Sai, dal giorno in cui
ti sentisti male cominciai a vederti sotto una luce diversa... A volte
desideravo... - Scosse decisa la testa. - Ma avevo paura. E non so dirti di
cosa. -
- Allora, forse è giunto il momento di scoprirlo, non credi? -
Corrugò la fronte con fare interrogativo, poi s’irrigidì. Jason si stava
chinando su di lei, sempre di più, e con un sospiro attese di sentire il tocco
delle sue labbra.
La bocca di Jason era morbida, eppure decisa.
Sentì le sue mani circondarle il volto e chiuse gli occhi. Le sembrò di tornare
indietro di due anni. Anche allora lui l’aveva toccata in quel modo, ed era
stato altrettanto piacevole. Ma quelli erano stati baci finti, di scena.
L’improvvisa scossa elettrica che provò quando la lingua di Jason incontrò la
sua la fece sussultare. Si premette istintivamente contro il suo corpo,
cingendogli le spalle con entrambe le braccia, e rispose con tutta se stessa.
Non ci furono flash, non ci furono scambi di immagini, ma tutto il mondo si
ridusse alla sensazione di Jason. Della sua bocca, delle sue dita che adesso le
stavano carezzando il collo.
Con un gemito lui approfondì ulteriormente il bacio quasi soffocandola, e Shiri
si arcuò cercando un contatto più intenso.
- Ehi, Shiri, sei qui fuori? -
La voce di Emilie attraversò la notte riscuotendo la ragazza, che si staccò di
colpo da Jason. - Scusa, io... devo andare. Ciao - Girò sui tacchi
precipitandosi verso l’amica. - Sì, eccomi! -
Emilie sorrise nel vederla arrivare trafelata. - Non volevo disturbarti, ma ho
pensato che ti facesse piacere conoscere Tom Hanks. E’ qui con Colin -
- Certo, sì. Andiamo! - Shiri si affrettò a seguirla, mentre Jason si ritrasse
nell’ombra ad aspettare che il respiro rallentasse abbastanza da permettergli
di rientrare a sua volta.
Appoggiato contro la parete, nello stesso punto in cui si era trovata poco
prima lei, si passò le mani tra i capelli e chiuse per un attimo gli occhi.
Shiri... Era stato fantastico... toccarla... baciarla... Non avrebbe mai osato
sperare di venire ricambiato, e invece... Il solo pensiero fu sufficiente a
fargli accelerare di nuovo i battiti del cuore... Con un sospiro alzò lo
sguardo al cielo. La tenue illuminazione del giardino non permetteva di vedere
le stelle ma l’aria era così limpida da dare l’impressione di poter toccare
quella immensa cupola di velluto scuro, e si sentì bene.
Quando infine si decise a tornare nella villa trovò Shiri intenta a ballare
insieme a Colin Hanks e Emilie De Ravin. Rimase a guardarla a lungo poi sentì
qualcuno battergli sulla spalla. - Jason, vieni, c’è qualcuno che vorrei
presentarti... -
- Ah, Manning, sì, eccomi... - A malincuore seguì l’uomo tra la folla, lottando
per distogliere la mente dal ricordo di quello che era successo poco prima.
La festa si protrasse per buona parte della notte ma Jason non riuscì più a
parlare da solo con Shiri. Colin ed Emilie, contenti di rivederlo, passarono
molto tempo insieme a lui, mentre Shiri continuava a dividersi tra il salone da
ballo e la loro compagnia.
- Ah, Shiri è davvero instancabile! Guardala, mi fa una rabbia! - Emilie
accennò all’amica, scatenatissima in mezzo ad un gruppo di giovani.
- Credo che potrebbe continuare a ballare fino a domani, mentre io mi stanco
solo a vederla... - Colin fece una spallucciata, poi accennò al tavolo delle
bevande. - Che ne dite di prendere qualcosa da bere? -
- Sì, volentieri - Jason si strofinò sovrappensiero la radice del naso. Gli
stava venendo un violento mal di testa. Sawyer gli aveva presentato un regista
emergente e un paio di sceneggiatori, ma tutta quella confusione cominciava a
dargli sui nervi e avrebbe voluto andarsene seduta stante. Poi scrollò la
testa. No, la verità era che avrebbe voluto prendere Shiri e andare via con
lei... Sentendosi un perfetto idiota strinse le mascelle e seguì Colin. Era
arrivato a trent’anni senza aver mai fatto l’amore perché non aveva idea di
quello che sarebbe successo, e l’unica donna che sapeva chi fosse veramente e
per la quale provava una forte attrazione sembrava aver deciso di non dargli
alcuna possibilità... Vagamente esasperato prese un cocktail ad alta gradazione
alcolica e lo bevve tutto d’un fiato. A differenza del personaggio che aveva
interpretato così a lungo lui era in grado di bere qualsiasi cosa senza
avvicinarsi neppure ad un vago stato di ubriachezza, mentre doveva
assolutamente evitare il pepe e la cannella, sostanze innocue per gli altri ma
micidiali per il suo organismo, come aveva avuto modo di imparare a sue
spese...
Quando infine gli ospiti cominciarono ad andarsene Shiri lo raggiunse e gli
sorrise intimidita. Era deliziosa, con quegli occhi scuri e le fossette sulle
guance. Avrebbe voluto abbracciarla e non lasciarla più ma, chiaramente, non
era quello che voleva lei.
- Senti, io resto a San Francisco ancora per qualche giorno. Pensi che...
potremmo vederci ancora? - gli chiese esitante.
- Certo! - Jason le rispose di getto, mandando mentalmente al diavolo
l’appuntamento che aveva col suo agente a New York l’indomani pomeriggio.
- Bene. Sono... sono al Cartwright. -
- Perfetto. Allora... che ne dici se passo a prenderti verso le sei? Possiamo
cenare insieme, ti va? -
- Sì, ok. A domani -
- A domani. Buonanotte, Emilie. Colin... Tom, è stato un vero piacere
conoscerti! - Jason strinse forte la mano dell’uomo, che gli sorrise di
rimando. - Anche per me. Dopo tutto quello che mio figlio mi aveva raccontato
di te e degli altri ero proprio curioso di incontrarvi! -
Mentre si dirigevano verso l’auto Emilie lanciò un’occhiata divertita a Shiri.
- Non mi avevi detto di aver continuato a frequentare Jason... -
- Infatti. Non l’avevo più visto dopo Roswell. -
- Ah, capisco... Bene, allora non mi resta che augurarti buona fortuna -
- Perché? -
- Lo sai dove è ambientato il film che sta per girare? In Francia! Dubito che
riuscirete a vedervi molto spesso... -
- E allora? Mica stiamo insieme! -
- Forse non ancora, ma... -
- Emilie, falla finita, d’accordo? -
- D’accordo, d’accordo! - La ragazza le indirizzò una buffa smorfia poi si
agganciò la cintura di sicurezza e avviò il motore. - Santo cielo, è
tardissimo... - mormorò notando che l’orologio sul cruscotto segnava le tre e
mezza.
- Senti, non c’è bisogno che mi riaccompagni in albergo: puoi lasciarmi alla
prima stazione di taxi -
- Sei matta? E poi sei sulla mia strada, non preoccuparti... -
- Grazie, la cena è stata davvero squisita! - Shiri accennò un piccolo passo di
danza sotto lo sguardo indulgente del suo compagno. - E la serata è splendida.
Che ne dici di camminare un po’? -
- Tutto quello che vuoi - Jason le porse una mano, che lei si affrettò a
prendere, e fecero una lunga passeggiata cercando le strade più tranquille.
Parlarono molto, di quello che avevano fatto, dei loro progetti futuri, poi
rimasero in silenzio fin quando si ritrovarono davanti all’albergo di Shiri. La
ragazza strinse leggermente tra le sue le dita di Jason. - Vuoi... vuoi salire?
-
Il tono basso con cui aveva posto la domanda gliene fece comprendere il vero
significato. La guardò con intensità, cercando di capire se fosse davvero
convinta di quello che gli stava offrendo, poi un rapido sorriso gli rischiarò
il volto. - Sì - disse semplicemente.
Mentre accendeva le luci dell’ampia stanza che occupava al sesto piano Shiri
lasciò cadere la borsetta su una sedia e si girò a guardarlo. - Io... non so se
quello che sto per fare sia giusto... so solo che... lo desidero così tanto...
- Nei suoi occhi c’era angoscia, paura, curiosità.
Intenerito, lui le si avvicinò e le mise una mano dietro la nuca. - Puoi ancora
mandarmi via... - sussurrò.
- No, io... io... - Con un sospiro Shiri scosse la testa. - Resta, Jason, ti
prego... -
Allora il giovane si piegò in avanti per baciarla, poi fece scivolare le
braccia intorno alla sua vita premendosela contro con forza.
Shiri gli cinse il collo e si sentì scuotere da brividi nell’avvertire la sua
immediata reazione.
Le mani di Jason cominciarono ad esplorare ardite le sue morbide curve poi si
insinuarono sotto il bordo della maglietta per toccare la pelle nuda.
A sua volta desiderosa di toccarlo, Shiri gli sfilò il blazer di maglia e
iniziò a slacciare i bottoni della camicia.
Ansimando per il piacere Jason la strinse a sé sollevandola un poco da terra e
avanzò fino a raggiungere il letto. Si staccò da lei per poterle togliere la
maglietta e gli aderentissimi pantaloni, e la guardò negli occhi mentre gli
apriva la cintura. Lentamente sollevò una mano e la premette sulla sua. -
Shiri, io non l’ho mai fatto, prima... Non so come... come possa reagire il mio
corpo e... non ho mai osato correre il rischio di... tradire la mia...
diversità... - le confessò.
- Oh... - Shiri sorrise con fare sensuale. - Allora vuol dire che... cercherò
di non farti male... - Gentilmente liberò la propria mano e riprese a
spogliarlo.
Ormai incapace di pensare coerentemente Jason si abbandonò del tutto alla
passione che il tocco di Shiri aveva scatenato in lui e fece l’amore senza
alcun freno, senza alcun timore.
Dal canto suo, la ragazza non riusciva ancora a credere che tutto quello stesse
accadendo davvero! Avevano girato insieme una quantità incredibile di scene
simili, ma mai aveva sentito un tale calore, una tale forza... Jason era un
attore molto bravo e aveva saputo rendere l’intensità di certe situazioni senza
coinvolgerla fisicamente. E ora che i loro corpi erano uniti nella realtà ebbe
la certezza che nessun altro avrebbe potuto farle provare le stesse cose. Jason
era... unico. Ed ebbe paura. Una paura folle. Non poteva legare la sua vita ad
un extraterrestre! Non poteva sconvolgere i suoi programmi, per quanto vaghi
fossero! Non poteva perdersi nella dolce violenza di quell’abbraccio senza
fine! Cercò di sottrarvisi, ma i suoi movimenti sembravano dargli maggior
vigore. Jason continuava ad amarla, ad accarezzarla, a baciarla, e fu sommersa
dal terrore. Era... troppo! Non poteva più sopportarlo! Con tutta la forza che
le restava lo sospinse lontano da sé, incurante della sofferenza provocatagli
da quella brusca separazione. - No, basta! Basta! Vattene! - gridò come
impazzita, rotolando via fin quasi a cadere dal letto. - Vattene... - ripeté
scoppiando in singhiozzi.
- Shiri! - Jason, un’espressione di intenso dolore sul bel viso, fece per
tornare verso di lei, una mano tesa a sfiorarle dolcemente la guancia rigata di
lacrime.
Con un gemito strozzato lei si tirò indietro di scatto cercando di coprirsi col
lenzuolo.
Pallidissimo, senza dire una parola, il giovane si ritrasse, recuperò i suoi
abiti e si rivestì poi, dopo averla guardata a lungo, il cuore lacerato da un
dolore più profondo di quanto pensasse di poter sopportare, se ne andò.
Vagò a lungo per le strade semideserte, come un automa, senza neppure rendersi
conto di dove stesse andando, quando un pensiero lo colse all’improvviso. Girò
allora su se stesso e tornò indietro. Il portiere di notte lo fissò sconcertato
e gli porse in silenzio il foglio di carta e la penna richiesti.
Con mano ferma scrisse semplicemente un numero di cellulare e il proprio nome,
poi piegò il foglio e lo diede all’uomo. - Per la signorina Appleby, stanza
616. - Trasse un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli
scompigliando la frangetta che gli copriva appena la fronte, dopodiché uscì e
s’incamminò verso il porto.
Ci mise quasi due ore per arrivare a Ghirardelli Square, e dopo essersi
lasciato cadere su una panchina rimase a guardare con occhi spenti le acque
scure dell’oceano. Lo splendido volto di Shiri sembrava aleggiare sulla
superficie liquida, e il ricordo del suo morbido corpo gli fece vibrare la
pelle. “Shiri...” Poi l’espressione di disgusto, di ripulsa verso di lui lo
colpì come una pugnalata e chinò la testa tra le mani scoppiando a piangere. Un
pianto desolato, pieno di rammarico, di rassegnazione. Per un sogno infranto.
Per un amore perduto. Perché sapeva che non avrebbe mai amato nessun’altra
donna all’infuori di lei. Gli aveva aperto le porte del paradiso per poi
spingerlo all’inferno, e ogni speranza di una vita al suo fianco era ormai
scomparsa, cancellata dall’orrore che le aveva sconvolto i lineamenti. Come
avrebbe fatto ad andare avanti?
Rimase lì fino all’alba, incurante dell’aria gelida, finché un pallido raggio
di sole riuscì a bucare la fitta coltre di nebbia del primo mattino. Lo fissò
assente, mentre un vago pensiero gli attraversava il cervello. “Ha il mio
telefono... Forse cambierà idea e... mi chiamerà...” Le labbra gli si stirarono
in un sorriso sarcastico. “Jason, hai davvero toccato il fondo... Perché
dovrebbe chiamarti? Sì, certo, all’inizio ha risposto ai tuoi baci, al tuo
corpo, ma poi... poi è fuggita via dal... dal mostro... Perché è questo, che
sei... un mostro... Nessuno può conoscere la verità e continuare ad esserti
amico... né tantomeno ad amarti... Rassegnati, ragazzo mio...” Stancamente si
alzò in piedi e, infilate le mani in tasca, prese la direzione del proprio
albergo.
Dopo aver fatto una doccia bollente e indossato abiti puliti scese a mangiare
qualcosa nel bar all’angolo poi, non resistendo più, chiamò il Cartwright.
Quando si sentì rispondere che Shiri Appleby aveva appena lasciato l’hotel il
cuore gli mancò un battito. - Grazie... - rispose con voce incolore prima di
chiudere la comunicazione. Con gesto automatico infilò il cellulare nella tasca
dei jeans e si appoggiò al muro guardando le auto sfrecciare davanti a lui ma
vedendo solo delle macchie confuse. Nessun rumore raggiungeva il suo cervello.
Era circondato dal silenzio. Non provava alcuna sensazione. Meccanicamente
tornò in albergo, prenotò il primo volo per New York e raggiunse l’aeroporto in
taxi con due ore d’anticipo.
Era molto tardi quando venne ricevuto dal suo agente, che si sorprese nel
vederlo così abbattuto.
- Ti ha scaricato? - gli domandò con fare comprensivo.
- Come? -
- Jason, tu sei sempre molto preciso. Solo una donna poteva convincerti ad
annullare un impegno. E non una donna qualsiasi, non sei il tipo da “una botta
e via”... Avevi detto che non sapevi quando saresti riuscito a liberarti, ma
visto che sei qui... devo dedurre che ti ha scaricato, dico bene? - E davanti
al suo mutismo sorrise gentilmente. - Capisco che non voglia parlarne, però non
lasciare che la cosa ti distrugga... -
- E’ vero, mi sono trattenuto a San Francisco per una donna. E sono stato
scaricato. Ma non mi sto distruggendo per lei - ribatté lui.
- No? Ti sei visto allo specchio? Ti sei... guardato? Senti, ho solo dieci anni
più di te, è vero, però ho due matrimoni falliti alle spalle e so di cosa sto
parlando. Questa è la tua grande occasione, non sprecarla! Uno staff partirà la
prossima settimana per l’ultimo sopralluogo a Parigi. Vogliono che vada con
loro, e questo è il tuo biglietto. - Così dicendo gli porse una busta lunga e
stretta. - Dammi retta, non pensare più a lei e goditi la vita... -
Jason annuì lentamente, era più semplice dargli ragione che provare a
spiegargli quello che aveva significato per lui essere amato da Shiri, poi fece
un semplice cenno di saluto con la mano e se ne andò.
- Ok, questa era buona! Grazie a tutti, potete andare, adesso! -
- Era ora! Sono distrutta dalla fatica... -
Shiri guardò sorridendo la ragazza dai capelli castano dorato al suo fianco.
Indossavano dei miniabiti dai colori vivacissimi e avevano trascorso gli ultimi
quaranta minuti ballando sul bordo dell’enorme piscina che faceva da set per la
presentazione di una nuova bevanda analcolica. Con loro c’erano altre sette
giovani donne ed un uomo sui trent’anni in smoking. Il caldo torrido di Tucson
aveva ricoperto di sudore i loro volti ma finalmente il regista era
soddisfatto.
- Carl, possiamo fare il bagno? Ce lo siamo meritato, no? - supplicò una
biondina, e al cenno affermativo del regista si volse verso gli altri. -
Sentito, ragazzi? -
- Wow! - Con un grido di giubilo Shiri e le altre si tuffarono in acqua, subito
seguite da Vernon Miller, che non perse un secondo a liberarsi dello smoking.
Quando si decisero ad uscire Vernon si avvicinò a Shiri e le sorrise con fare
accattivante. - Andiamo da qualche parte insieme, una di queste sere? -
- Veramente domani devo trovarmi a Los Angeles per un provino. Mi dispiace.
Sarà per un’altra volta, d’accordo? -
- Certo. In bocca al lupo, tesoro! -
- Grazie, sei un amico... - Gli diede un piccolo bacio sulla guancia e si
allontanò sentendo il suo sguardo su di sé. “Ah, Vernon... lascia perdere...
sarebbe solo tempo sprecato...” Si portò le mani alla nuca per strizzare via
l’acqua dai capelli. “Non sono in vena di fare confronti, non ancora...
Maledizione, vorrei...” Scosse la testa ridendo di sé. “Vorrei fare di nuovo
l’amore con Jason, ecco cosa vorrei” ammise con un’alzata di spalle, “e magari
capire cosa provo nei suoi confronti...” Passando vicino ad alcune sdraie si
chinò a prendere uno degli asciugamani lasciati a loro disposizione. “Ma no,
non lo farò” pensò con decisione. Si morse le labbra. In quei tre mesi aveva
cercato di dimenticare il ricordo del corpo di Jason premuto sul suo, la
passione con cui l’aveva amata. La sua forza, la sua incredibile energia. Lei
si era spaventata. E l’aveva allontanato brutalmente da sé, nel disperato
tentativo di sottrarsi a qualcosa che non poteva accettare, non in quel
momento. Perché non era pronta, e non sapeva se lo sarebbe mai stata. Aveva
venticinque anni. Abbastanza per sapere cosa voleva dalla vita, ma ancora
troppo pochi per essere davvero in grado di gestire i propri sentimenti. Quella
notte, con Jason, aveva voluto fare una prova, ed aveva fallito miseramente...
Emise un profondo sospiro. “Basta, adesso devo pensare solo a domani. Una cosa
alla volta. Non posso fare di più...” Il suo passo si fece leggero, come il suo
animo. Aveva preso una decisione, e ne era soddisfatta.
- Congratulazioni, ragazzo mio. La prima è stata un vero successo... E... tanti
auguri per ieri! -
- Grazie - Jason sorrise a Sawyer poi lasciò scivolare lo sguardo sui presenti.
- Non avrei mai immaginato di festeggiare il capodanno qui a Minneapolis... Non
ci venivo da così tanto tempo... -
- Lo so. Per questo ho accettato l’invito anche per te... - L’uomo serrò
impercettibilmente le mascelle. Lo conosceva da quando era un iperattivo
ragazzino di nove anni e non gli era difficile capire come, nonostante l’aria
tranquilla e serena, fosse in realtà distaccato, quasi morto dentro. Avrebbe
voluto che si aprisse con lui, che si sfogasse, ma sapeva che niente poteva
convincerlo a parlare se non lo voleva. Ed era più che certo che non avesse
alcuna intenzione di dirgli nulla. Jason era sempre stato molto riservato, per
quel che riguardava la sua vita privata. Oh, sì, apparentemente aveva un sacco
di amici, specie nel mondo dello spettacolo, usciva con le ragazze, però aveva
fatto migliaia di miglia per trascorrere il capodanno con lui, che non era
neanche suo parente. C’era qualcosa che non andava, ne era sicuro.
- Ehi, Jason! Quale onore! Bentornato a casa! - Vicky, una brunetta vivacissima
che era stata sua compagna di classe, corse ad abbracciarlo e gli scoccò due
sonori baci sulle guance. - Sai, volevo farti sapere che ho seguito tutti gli
episodi di Roswell, li ho registrati e li ho praticamente imparati a memoria!
Sei stato... super! - Lo guardò dritto negli occhi sorridendo. - E’ superfluo
dire che la coppia Max/Liz era la mia preferita!... -
- Però anche Brendan non era male... - Louise, la sorella minore di Vicky, si
accostò ai due e pretese un bacio da Jason. - Allora? Pensi che ci sarà una
nuova serie? - chiese speranzosa.
- No, mi spiace. Ma davvero vi è piaciuto così tanto? -
- Certo! - rispose Vicky per entrambe. - E’ stato... magico! E Liz com’è? Dal
vero, voglio dire... come Shiri Appleby... -
A quella domanda il volto del giovane divenne completamente inespressivo. - E’
molto bella. E brava. E’ un’ottima attrice. -
- Sa anche ballare molto bene. L’ho vista proprio ieri in una pubblicità in
televisione... -
In quel momento si avvicinò Richard, il marito di Vicky. - Ciao, Jason! - lo
salutò stringendogli forte la mano. - Che ne dici? Devo essere geloso? - Nel
dire così passò un braccio intorno alla vita della ragazza e tirò una ciocca di
capelli a Louise.
- Di chi? Di me? - Jason fece una spallucciata. - Non sai che il mio unico
grande amore è Liz Parker? - rispose con voce piatta, suscitando un coro di
risate.
- Forza, andiamo a prendere i bicchieri: è quasi mezzanotte! - esclamò ad un
tratto Louise notando l’improvviso agitarsi della folla.
Di lì a poco qualcuno cominciò a scandire i secondi e finalmente l’orologio
segnò l’inizio del nuovo anno.
- Auguri! -
Il grido gioioso percorse l’ampio salone insieme ai trilli dei fischietti e
alle stelle filanti, ma Jason non riusciva a provare niente se non una
profonda, terribile solitudine. Liz era l’amore di Max. Il guaio era che Shiri
non intendeva essere l’amore di Jason. Semplice, no? Lei non lo aveva mai
chiamato, e ormai lui non sapeva più come rintracciarla. Del resto, era inutile
anche provarci. Quel prolungato silenzio era più eloquente di qualsiasi
spiegazione. Aveva tentato di andare avanti, di continuare la vita di sempre,
ma diventava ogni giorno più difficile. E adesso era davvero stanco...
Quando lui e Manning Sawyer lasciarono la festa erano le due del mattino.
Fecero in silenzio il breve tragitto fino all’albergo dove avevano prenotato
due stanze separate.
- Devi proprio ripartire domani per Los Angeles? - domandò ancora una volta
Sawyer mentre guardava il giovane infilare la chiave nella serratura.
- Sì, devo partecipare a quella cena di beneficenza. Non posso proprio mancare,
mi dispiace... -
- Anche a me. Ma mi rendo conto che nel tuo mestiere si ha poco tempo per se
stessi... -
- Già - Jason girò con forza la maniglia. - Buonanotte, Manning. -
- Buonanotte, ragazzo... - Senza aggiungere altro l’uomo si ritirò nella
propria stanza e Jason chiuse per un attimo gli occhi. “Il fatto è che ne ho
ancora troppo, di tempo per me stesso...” Chinò piano la fronte contro la porta
e rimase immobile per alcuni interminabili secondi.
- Che vuol dire, il segnale è sparito? -
- Vuol dire che il satellite non riesce più a raggiungere il suo cellulare. Non
posso dirti altro, ok? - Il giovane tecnico immise altri dati e scosse la
testa. - Niente. E’ come se fosse sparito dalla faccia della terra! -
- Accidenti, dobbiamo assolutamente ritrovarlo! Qual è stata la sua ultima
posizione? -
- Los Angeles. Il giorno prima era a Minneapolis. La traccia è rimasta chiara
durante l’intero volo, poi si è spostata all’interno della città e poco prima
dell’alba è scomparsa. Qui, da qualche parte a nord di LA - indicò un punto
della mappa che aveva sul monitor.
L’uomo che dirigeva il piccolo staff addetto allo studio dell’unico alieno
esistente sull’intero pianeta sentì un rivolo di sudore scivolargli fin dentro
il colletto della camicia. Era stato lui ad insistere perché a Jason Behr fosse
permesso di continuare a vivere liberamente, una volta raggiunta l’età dello
sviluppo, e adesso, a quanto sembrava, doveva trovare il modo per riparare al
suo errore. Dopo tutti quegli anni l’essere aveva deciso di darsi alla fuga.
Eppure sapeva che quella libertà sarebbe durata pochissimo, dati i mezzi che il
ministero della difesa aveva messo a loro disposizione...
La squadra di tre esperti mandata ad investigare delimitò in maniera abbastanza
precisa l’area delle ricerche dato che, dopo la distruzione del cellulare, il
ragazzo sapeva di dover fare in fretta, eppure impiegò quasi due settimane per
trovare il corpo incastrato in una delle tante profonde fenditure che segnavano
l’inizio della faglia di San Andrea.
Messo subito al corrente della scoperta, al direttore dell’esperimento fu
subito chiaro il desiderio del giovane di sottrarsi ad ogni possibilità di
recupero. Niente e nessuno avrebbe mai potuto, infatti, calarsi nel terreno, ed
era evidente che la cosa doveva essere stata progettata con cura. Nonostante
tutto, provò una certa pena per lui, per il modo in cui aveva scelto di
togliersi la vita, e per mantenere il segreto sulla vera identità di Jason Behr
decise di lasciare campo libero alla stampa, che in breve diffuse la notizia
della strana sparizione del giovane e promettente attore dando il via ad una
serie di ipotesi più o meno credibili.
- Uff, ci mancava solo questa pioggia torrenziale! - Shiri richiuse dietro di
sé la porta con un piccolo calcio e si affrettò a deporre le buste della spesa
sul tavolo in cucina poi andò ad appendere l’impermeabile prima che finisse di
allagarle il pavimento. Liberatasi anche dei blue jeans e delle scarpe da
ginnastica, ormai fradici, si infilò i pantaloni della tuta e si mise a
riordinare quello che aveva comperato dopodiché accese il gas sotto il
bollitore del tè e con un sospiro di soddisfazione prese il giornale e andò a
buttarsi sul divano.
Quando vide la foto in quinta pagina corrugò la fronte e si raddrizzò
mettendosi a leggere con attenzione l’articolo. “Ancora nessuna notizia di
Jason Behr, l’attore salito alla ribalta con la serie televisiva di Roswell e
rivelatosi al grande pubblico con la splendida interpretazione del suo ultimo
film, un giallo ambientato a Parigi... Dopo aver presenziato ad una cena di
beneficenza a Hollywood, il due gennaio, nessuno ha più avuto sue notizie. Sono
trascorsi ormai venti giorni e la polizia ha ammesso la propria impotenza.
Nell’intera contea di Los Angeles sono ben quindici le persone scomparse senza
lasciare alcuna traccia, e si teme che l’attore possa essere aggiunto alla
triste lista...” Seguiva poi una breve descrizione della sua carriera
cinematografica, ma gli occhi di Shiri, umidi di lacrime, non erano più in
grado di leggere i microscopici caratteri di stampa. “Oddio, Jason...” Gettò di
lato il giornale e si precipitò nel piccolo studio, dove mise a soqquadro i
cassetti del tavolo da lavoro finché riuscì a ritrovare il foglio su cui lui le
aveva lasciato il proprio numero di cellulare, e che non aveva mai usato. Col
cuore in gola tornò in soggiorno, si mise il telefono sulle ginocchia e compose
in fretta le cifre. Provò almeno una decina di volte, ma sempre si inserì il
messaggio di non raggiungibilità dell’utente. Tremando mise giù il ricevitore e
rimase a guardare il biglietto stretto fra le sue dita. “Pensavo di avere
tempo... tempo per decidere cosa fare... e non mi sono mai resa conto che tu...
tu sapevi già... lo avevi capito fin da allora... Oh, Jason, mi dispiace... mi
dispiace tanto...”
In quel momento il telefono squillò. Con un soprassalto Shiri afferrò con forza
il ricevitore e rispose quasi gridando. Era Emilie.
- Ah, Emilie! Sei tu... Come stai? -
“- Bene, grazie. A dire la verità ero preoccupata per te. Ho appena letto sul
giornale di Jason, e siccome mi era sembrato che tu... Scusa, non so nemmeno se
sai di cosa sto parlando... -”
- Sì, sì, lo so. L’ho letto anch’io... -
“- Senti, Shiri... hai... hai visto di recente il suo sito ufficiale? -”
La voce esitante dell’amica le suscitò un senso di pericolo. - No. Perché? -
“- Niente, niente... Era così, tanto per dire... Allora... ci risentiamo, ok?
-”
- Ok. Grazie per avermi chiamata. Ciao -
“- Ciao... -”
Perplessa per la strana osservazione di Emilie, andò nello studio e accese il
computer. Non ci mise molto per trovare il sito ufficiale di Jason Behr e lo
studiò con attenzione dicendosi che lei non poteva avergliene parlato per caso.
C’era sicuramente qualcosa... qualcosa che sentiva non le sarebbe piaciuto...
Continuò a controllare leggendo tutto quello che trovava e infine arrivò al
testo dell’ultima intervista, rilasciata a metà dicembre dell’anno precedente.
Jason aveva risposto con la solita ironia alle domande, anche le più
indiscrete, che gli erano state poste, ma quando gli avevano chiesto di parlare
dei suoi sogni il tono era decisamente cambiato. “Il tempo dei sogni è finito.
Quello che resta è solo cenere. E la fredda realtà.” Parole amare, che le
rivelarono in pieno il male che, senza volerlo, gli aveva fatto. “No... No,
Jason, ti prego... Dimmi che non è così... dimmi che non è per colpa mia...
Jason...” Chinò la testa sulle braccia, le spalle scosse dai singhiozzi.
Ricordi dolenti dei suoi sorrisi, dei suoi commenti scherzosi quando Katims
spiegava gli sviluppi della vicenda degli alieni di Roswell, del calore delle
sue mani su di lei, delle sue labbra, le ferirono il cuore. Ora che non avrebbe
più potuto rivederlo sentì violenta la nostalgia del suo abbraccio, e si coprì
la bocca con la mano stretta a pugno. “Perdonami... Io... non avevo capito...
non avevo capito niente... E ormai... non posso più tornare indietro...” Rialzò
lentamente la testa e con la punta delle dita sfiorò l’immagine a colori di
Jason Behr. “Addio...” pensò accorata.
Scritta da Elisa |