Riassunto:
Volete davvero un riassunto? La storia è breve, e non credo sarebbe divertente
rivelare subito gli... effetti speciali...
Data di stesura:
dal 20 al 27 gennaio 2002.
Valutazione:
adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
La mia e-mail è
ellis@roswellit.zzn.com
- Indovina un po’ chi ha preso il voto più alto al test di biochimica? -
La ragazza si tirò un ricciolo dei folti capelli castani mordicchiandosi
pensosamente le labbra, ma la sua amica sapeva bene che si trattava di una
commedia e le diede una leggera gomitata. Allora lei sbuffò seguendo con occhi
attenti la slanciata figura che stava passando in quel momento a pochi metri da
loro. - Evans - rispose a bassa voce.
- Risposta esatta... - Carolyn, capelli neri tagliati cortissimi, un piercing
alla narice ed un altro all’ombelico, si appoggiò con la schiena contro il muro
dell’edificio scolastico. Faceva molto freddo, ma dopo due giorni quasi
ininterrotti di pioggia era finalmente uscito il sole ed era piacevole starsene
un po’ all’aria aperta nonostante la temperatura rigida. Erano le due del
pomeriggio e gli studenti cominciavano a sciamare verso la mensa. Quante volte
avevano scelto quel muro come punto d’osservazione... Era davvero molto
divertente guardare i loro compagni di studi, verificare le coppie e
scommettere sulla durata di una relazione. Da qualche tempo avevano preso di
mira i tre nuovi arrivati, i fratelli Evans e Parker. Qualcuno diceva che
avevano già frequentato quel college circa tre anni prima, poi se ne erano
andati. Ed ora erano tornati. Erano davvero insopportabili, con la loro aria da
bravi ragazzi seri e riservati! Non frequentavano nessuno, al di fuori di
Patricia O’Neal e Tony Warner, altra coppia assolutamente barbosa... Cielo,
odiava quelle situazioni così... così perfette! Com’era possibile che
esistessero ragazzi di vent’anni tanto insulsi? Si voltò a guardare Barbara, la
sua amica del cuore. Erano compagne di stanza da quando avevano iniziato
l’università ed insieme avevano combinato un sacco di scherzi divertenti. A
quanto sembrava era giunto di nuovo il momento di organizzare qualcosa...
Barbara appoggiò i gomiti sulle ginocchia, il mento nell’incavo delle mani. -
Evans... Vengono da Roswell, vero? - E al cenno affermativo dell’amica
proseguì, l’espressione sempre più assorta. - Sai, Carrie, anche mio zio viveva
lì... Dirigeva una di quelle trappole per turisti, un museo sugli alieni, poi
qualche tempo fa ha mollato tutto e si è trasferito in Texas. -
- Perché? -
La ragazza corrugò la fronte. - E’ successo qualcosa... qualcosa che lo ha
costretto ad andarsene... Sai, mio zio è un tipo piuttosto strampalato, ma
simpatico. E io gli sono molto affezionata. Mi disse che c’era stato un
avvistamento e degli extraterrestri erano apparsi in mezzo alla strada, proprio
davanti a lui. Tra loro c’era anche il suo ex aiutante, uno studente del
liceo... -
- Max Evans, immagino - la interruppe Carolyn.
- Già. Solo che non gli ha creduto nessuno, lo sceriffo ha messo tutto a tacere
e lui è diventato lo zimbello della città. Alla fine ha venduto il locale e se
n’è andato. Oh, Carrie, dobbiamo architettare qualcosa di molto divertente... -
A dispetto delle parole il tono era duro, pieno di risentimento, e l’amica si
mordicchiò un’unghia con fare meditativo. - Lasciami pensare... -
- Ehi, Liz! - Patricia agitò un braccio in segno di saluto e la ragazza
affrettò il passo per raggiungerla. - Ciao, Patty, com’è andata? -
- Benino. Oddio, speravo qualcosa di meglio ma posso accontentarmi: non è che
fisica sia la mia materia preferita... Invece ho saputo che Max ha preso il
massimo dei voti in biochimica! -
- Sì, infatti, è stato davvero molto bravo. -
- E il tuo test di geologia? -
- Non posso lamentarmi... - Liz scoppiò a ridere. - Ho preso il massimo -
- Fai proprio schifo... - Patricia la prese sottobraccio ed entrò con lei nella
bassa costruzione di mattoni che ospitava la mensa. - Dove hai lasciato Max? Di
solito è la tua ombra... -
Liz si avvicinò al ripiano dei vassoi e si servì. - E’ stato fermato dal
professore di microbiologia, che doveva parlargli a proposito di una tesina. Mi
ha telefonato pochi minuti fa per avvertirmi. -
- Oh... Allora dovremo mangiare da sole. Anche Tony farà tardi... -
- Pazienza. Tieni, prendi! - e porse all’amica posate e tovaglioli.
- Come se la cava Romina con Jason? -
- Bene. A Jason piace molto e ci sta volentieri -
Patricia si allungò in avanti per prendere il piatto che le stava porgendo
l’inserviente. - Certo che i genitori di Max sono davvero generosi! -
Liz serrò impercettibilmente le labbra. Oh, sì, i signori Evans erano
splendidi: ogni settimana trasferivano una piccola somma sul conto corrente che
avevano aperto per loro presso la First Bank di Albuquerque. Con quei soldi
riuscivano a mandare avanti la casa e a pagare una baby sitter per Jason, che
certo non poteva restare da solo tutte le mattine, quando lei e Max erano
impegnati con le lezioni. I suoi genitori, invece, si limitavano a darle i
soldi appena sufficienti per i libri di studio e di tanto in tanto le spedivano
un pacco con vestitini e giocattoli per Jason. Il loro comportamento la feriva.
Perché il persistente rifiuto di Max, che lei amava con tutta se stessa, la
faceva sentire a sua volta rifiutata. Per questo, dal giorno del matrimonio,
gli aveva telefonato molto di rado: non riusciva a perdonarli per il loro
atteggiamento. Faceva invece lunghe chiacchierate con Maria, la cui esuberanza
riusciva sempre a metterla di buonumore, e così si teneva aggiornata su tutto
quello che succedeva a Roswell. Ma quelle erano riflessioni troppo personali
per poterle condividere con Patricia, e Max la conosceva talmente bene da
capire il suo stato d’animo solo guardandola negli occhi. L’amore di cui la
circondava era così forte e tenero da ripagarla di tutta l’amarezza che, a
volte, le rendeva l’animo pesante. Per non parlare poi di Jason, che col solo
tocco delle sue manine paffute riusciva a farla sentire meglio. Sì, gli Evans
erano una famiglia davvero meravigliosa, e lei era fiera di farne parte.
Sedettero ad un tavolo vicino alla porta per poter controllare l’arrivo dei
loro compagni e si misero a mangiare di gusto. Fu Patricia la prima ad
accorgersi di Max e lo indicò all’amica con un cenno della mano. - Ecco il tuo
principe azzurro... - disse sorridendo.
Mentre si voltava a guardare Liz addentò un cracker. “Se tu sapessi, Patty...”
pensò osservando affascinata il bel viso del giovane. Lui le sorrise mentre si
accostava alla pila di vassoi e di lì a pochi minuti sedeva al suo fianco. -
Tutto bene? -
- Sì, certo. Com’è andata col professore? -
Max fece una smorfia. - Mi ha dato la traccia da seguire: non è una tesina, è
una ricerca per il premio Nobel... -
Patricia si mise a ridere. - Questo è il prezzo da pagare per essere il primo
del corso. Non te l’aveva detto nessuno? -
- A dire il vero... no - Il ragazzo bevve una lunga sorsata d’acqua.
- Isabel? -
- E’ andata a casa. Sta viziando Jason in un modo vergognoso... -
- E non le dite niente? - si stupì Patricia.
- A Isabel? Fatica sprecata. Credimi, Patty, sa essere più testarda di Max, il
che è tutto dire! - Liz depose la forchetta nel piatto, ormai sazia. - Ragazzi,
se continuo a mangiare così finirò col rotolare come una palla... -
Max le sorrise con tenerezza. “Sarai sempre bellissima” pensò convinto,
piegandosi verso di lei a darle un piccolo bacio sulla tempia. - Allargherò
tutte le porte. - le disse piano, facendole spalancare gli occhi sorpresa. -
Max! - Gli diede una pacca sulla coscia guardandolo fintamente inorridita. -
Tu... sei pazzo! Io non ho alcuna intenzione di diventare così grossa! -
- Non dargli retta, hai una linea da fare invidia. Anche incinta di due mesi...
- Patricia si portò alla bocca l’ultima patatina. - Cosa fate il prossimo fine
settimana? Ho saputo che alcuni ragazzi dell’ultimo anno organizzano una festa
e sarebbe divertente andarci tutti insieme. Che ne dite? -
Liz si appoggiò allo schienale della sedia. - Perché no? Ti va, Max? -
- Sì, certo. - Il giovane finì di mangiare in fretta e si alzò. - Se vuoi
restare a chiacchierare con Patricia fai pure, io torno a casa. Sono un po’
stanco... -
- No, aspetta, vengo con te! - La ragazza scattò in piedi. - Ciao, Patty, ci
vediamo domani. - Le sorrise prima di voltarsi per mettere il vassoio
nell’apposito raccoglitore e se ne andò, la mano in quella di Max.
Patricia li osservò allontanarsi con un sospiro. “Ah, Liz, come ti invidio! Sei
riuscita a sposare un ragazzo che ti ama moltissimo... A volte penso che Tony
non avrà mai il coraggio di chiedermelo...” Sconsolata, si alzò e lasciò a sua
volta la mensa.
Il giorno della festa giunse fin troppo in fretta. Liz si sentiva in colpa nel
lasciare Jason con Romina anche quella sera, ma aveva davvero voglia di
trascorrere una serata insieme a Max. Da quando erano tornati al college
insieme, infatti, si erano dedicati esclusivamente allo studio nel tentativo di
recuperare il tempo perduto ed avevano bisogno entrambi di un po’ di relax.
Si preparò con molta cura, e l’espressione eloquente del giovane la fece
sorridere soddisfatta.
- Sei assolutamente splendida, Liz! -
La ragazza indossava un semplice completo di tweed sui toni del grigio scuro,
ma il rosa intenso della camicetta di seta le illuminava il viso e gli occhi,
messi in risalto dal trucco leggero, e l’insieme era davvero piacevole.
Max, invece, portava una giacca di lana blu, una maglietta bianca con il collo
alto e pantaloni grigi, e Jason fissò entrambi con gli occhioni sgranati.
Anche Romina li guardò ammirata. - Ehi, siete fantastici! - disse prendendo il
bambino in braccio. Era una ragazzona di diciotto anni, dai lunghissimi capelli
biondi perennemente intrecciati, che adorava Jason e si accontentava del poco
che i due giovani potevano pagarle. Suo padre era un ingegnere civile che aveva
lavorato in ogni parte del mondo ed era appena tornato negli Stati Uniti dopo
un lungo soggiorno in Cina. Aveva dovuto faticare parecchio per completare gli
studi e i suoi genitori le avevano concesso un anno di riposo. Ma le giornate
erano lunghe e noiose, dato che tutti i ragazzi della sua età andavano al
college, così aveva cominciato a distribuire volantini nei negozi alla ricerca
di un’occupazione. E un giorno Liz aveva trovato il suo messaggio attaccato
vicino alla cassa del piccolo supermercato dove faceva la spesa. Da allora,
Romina era divenuta una figura indispensabile.
Quando arrivarono la festa era già in pieno svolgimento. Nella palestra,
opportunamente predisposta, c’erano quasi trecento ragazzi, e la maggioranza
stava ballando al ritmo della musica ad altissimo volume.
Nella confusione non riuscirono a trovare Patricia e Tony così, per non essere
travolti dalla folla, si spostarono verso la parete più lontana dall’ingresso e
si misero a ballare.
Dopo un po’ cercarono di raggiungere il tavolo dove erano state disposte
bevande di vario genere e si servirono dell’acqua minerale.
- Ragazzi, ma questa roba fa arrugginire, lo sapete? - esclamò un loro compagno
di corso fermandosi accanto a Max e tendendo la mano verso una bottiglia di
birra. - Dai, Parker, dammi il tuo bicchiere! -
Liz si avvicinò al petto il bicchiere di plastica con fare protettivo. -
Grazie, Steve, ma in questo periodo non posso bere alcolici -
- Evans? -
- Io sono astemio. Comunque grazie... - Max sollevò il proprio bicchiere
accennando un brindisi e il giovane scosse la testa con fare disgustato. - Ah,
ragazzi, siete una vera delusione! - e si rituffò nella mischia.
Liz si guardò intorno incuriosita. - Isabel non è venuta? -
- No. Lei e Morgan hanno preferito andare a cena fuori. E forse hanno fatto
meglio... Qui dentro c’è una vera baraonda! -
- Dai, è divertente! - Finì di bere poi gli tolse il bicchiere di mano. -
Torniamo a ballare... - mormorò nel suo orecchio.
Quando, un bel po’ più tardi, Liz si allontanò per andare in bagno Max venne
avvicinato da un giovane con cinque cerchietti ad un orecchio. - Ehi, Evans,
vieni con me, devo farti vedere una cosa... - Fece un gesto col braccio per
invitarlo ad andare con lui e Max, resosi conto della presenza di un altro
ragazzo alle proprie spalle, lo seguì guardingo.
- Sai, questa festa è un vero sballo, però negli spogliatoi c’è qualcosa di
meglio, che non devi assolutamente perdere! - Gli batté una mano sulla schiena
sorridendo ad un gruppo di ragazze che stava andando verso l’ingresso della
palestra. - Ecco, siamo arrivati... - Diede due colpetti alla porta davanti cui
si fermarono e sorrise con espressione furba. - Gente, ora comincia la vera
festa! -
Furono subito circondati da cinque ragazzi. Max venne afferrato per entrambe le
braccia e spinto a terra.
- Ho saputo da Steve che non bevi alcolici, ma non hai mai provato questo!... -
George Hanson prese il bicchiere pieno di whiskey che gli passò qualcuno al suo
fianco poi fece un cenno col mento. Due ragazzi coi capelli tagliati a spazzola
serrarono le caviglie di Max con tutta la loro forza e Hanson si sedette a
cavalcioni su di lui. - Coraggio, amico, bevi! -
Max scosse la testa nel tentativo di allontanare le labbra dal bicchiere ma
venne afferrato per i capelli. - Ti ho detto di bere! - disse George
versandogli il liquido in bocca e, allo stesso tempo, turandogli il naso.
Il giovane quasi soffocò inghiottendo il whiskey e tentò di nuovo di liberarsi.
- Oh no, ragazzo mio, la festa è appena iniziata! Avanti, voi, con quella roba!
-
Mentre parlava Max sentì che gli sollevavano la manica della giacca e serrò la
mascella furioso nel vedere George Hanson chinarsi su di lui con una siringa in
mano. - Noi siamo tuoi amici, e vogliamo che ti diverta... Devi solo avere un
attimo di pazienza... - Attese che il laccio emostatico fosse ben stretto
attorno al braccio sinistro di Max poi gli iniettò una dose di eroina. - Vedrai
che bel viaggio... - disse sghignazzando.
- Ehi, George, questo scherzo ci è costato una dose di roba di ottima qualità!
- protestò uno dei giovani seduti sulla panca, intento a godersi lo spettacolo.
- No, idiota, me l’hanno pagata... Io non faccio beneficenza, lo sai... Anche
se per Carrie devo ammettere che ho un debole... - Non appena sentì il corpo di
Max rilassarsi si rialzò in piedi e gli diede un calcio nel fianco. -
Andiamocene, ora... -
- Ehi, non restiamo a guardare? -
- Che cosa? Un bamboccio che si vomita l’anima? Puah! - Hanson si riprese il
laccio. - Fuori tutti. Non mi sembra il caso che qualcuno ci veda insieme a lui
in questo momento... -
Rimasto solo, Max cercò di aprire gli occhi ma le immagini erano così confuse
da causargli un violento senso di nausea. Il respiro si fece affannoso e
dovette ricorrere a tutte le sue energie per girarsi di lato. Violenti brividi
lo scossero per lunghi, interminabili minuti, poi, con enorme fatica, si
rannicchiò in posizione fetale e svenne.
Poco dopo qualcuno aprì piano piano la porta.
- A quanto pare è andato tutto come previsto... - sussurrò Carolyn.
- Già. Dai, aiutami a sistemarlo! - Barbara si avvicinò al corpo esanime di Max
e cominciò a sfilargli la giacca, poi gli tolse la maglietta, le scarpe, i
pantaloni e i calzini. - Come lo mettiamo? -
- Mm... - Carolyn si guardò intorno. - Sulla panca. Con le gambe che penzolano
ai lati. Che ne dici? -
- Ok - Barbara si mise alle spalle di Max e lo sollevò per le braccia mentre
l’amica lo prendeva per le caviglie ed insieme riuscirono ad adagiarlo sulla
panca.
- Aspetta, mi è venuta un’idea! - Carrie gli afferrò i polsi e sistemò entrambe
le mani sopra l’inguine.
- Che te ne pare? - disse orgogliosa.
- Perfetto! - Barbara estrasse dalla borsetta che portava a tracolla una
macchina fotografica digitale e cominciò a scattare. - Fatto. Adesso
rivestiamolo e squagliamocela! -
Quando Max riprese i sensi le due ragazze se n’erano andate già da un quarto
d’ora. Rimase a lungo immobile sentendosi sfinito, le palpebre socchiuse perché
la luce gli feriva gli occhi, poi si trascinò penosamente fino alla porta e
cercò di raddrizzarsi abbastanza da poter raggiungere l’interruttore. Accolse
il buio con un sospiro di sollievo e si appoggiò alla parete. Attese qualche
minuto per riprendere fiato poi fece uno sforzo sovrumano e riuscì ad alzarsi
in piedi. Con mano tremante aprì la porta e si ritrovò nel corridoio deserto.
Batté più volte le palpebre per abituarsi alla luce, poi avanzò lentamente
verso quella che riteneva la direzione giusta barcollando come un ubriaco.
Incrociò diverse persone che lo guardarono divertite prima di sentire una voce
familiare.
- Max! Ma dove diavolo ti eri cacciato? -
Era Liz, che corrugò preoccupata la fronte nel rendersi conto del suo
malessere. - Cosa c’è? - chiese allora sfiorandogli gentilmente il volto.
- Io... non mi sento molto bene... Ti spiace se torniamo a casa? -
- No, affatto! Aspettami qui, vado a recuperare i cappotti e ce ne andiamo... -
Si allontanò prima che lui avesse il tempo di fermarla, e quando tornò lo trovò
seduto per terra. - Oddio, Max, ma cosa ti è successo? - chiese con voce
spaventata. Lo tirò gentilmente verso di sé per potergli infilare il giubbotto
di pelle poi incastrò la propria spalla sotto il suo braccio e cercò di
rimetterlo in piedi.
Lui l’aiutò come poté ma alla fine erano entrambi senza fiato.
- Ti prego, reggiti a me: se dovessi cadere di nuovo non riuscirei più a
rialzarti! - Liz lo afferrò per la vita e lo sostenne come meglio poté.
Dovettero fermarsi più volte per riposare ed impiegarono quasi mezz’ora per
compiere un tragitto che di solito richiedeva meno di dieci minuti, ma
finalmente giunsero a casa e Liz poté farsi aiutare da Romina.
Quando Max fu adagiato sul letto la ragazza lo guardò ansiosa. - Vuoi che resti
a darti una mano? Jason dorme come un angioletto, e se hai bisogno di me... -
Liz le sorrise con aria stanca. - Ti ringrazio, ma posso fare da sola. Ci
vediamo lunedì mattina, va bene? -
- Sì, certo. Vi siete divertiti? -
- C’era una confusione incredibile però sì, è stato divertente. Finché non si è
sentito male. -
- Forse ha mangiato qualcosa che gli ha dato fastidio... -
- Forse - Liz si tolse il cappotto e lo ripose nell’armadio prima di
accompagnare Romina alla porta.
- Buona notte - la salutò la ragazza facendole un piccolo cenno con la mano.
- Buona notte - Con un sospiro sconsolato Liz richiuse l’uscio e tornò nella
stanza da letto. Si spogliò in fretta e prese un pigiama pulito dal cassetto
prima di chinarsi su Max e cominciare a svestirlo. - Te la senti di raccontarmi
cos’è successo? Non credo che tu abbia semplicemente bevuto troppo... -
Il giovane si sentì umiliato per la totale incapacità di aiutarla e gemette per
la frustrazione quando lei gli abbassò la cerniera dei pantaloni e prese a
tirare il tessuto nel tentativo di farlo scivolare lungo i fianchi. - Mi... mi
dispiace... - sussurrò disperato, poi prese a tremare violentemente ed il corpo
gli si coprì di sudore freddo.
- Max, si può sapere cos’hai? - Liz dovette lottare a lungo coi pantaloni prima
di riuscire a liberargli le gambe, e allora Max si rannicchiò fino a stringersi
le ginocchia al petto.
La ragazza lo coprì con il plaid poi si sedette per terra vicino a lui. -
Allora? - disse piano accarezzandogli con dolcezza i capelli.
- Io... credo di essere ubriaco... -
A quelle parole Liz si fermò e lo prese con forza per una spalla. - Come hai
potuto farlo?!? Lo sai che è pericoloso! Potresti fare qualcosa di... di
sbagliato... -
- Mi hanno costretto... - mormorò battendo i denti. - Mi hanno... bloccato a
terra e... versato qualcosa in bocca... Io... non so cosa fosse... ma era...
forte... molto... -
- Chi erano? -
- Non conosco i loro nomi... e comunque... non serve a niente saperlo... Ma...
mi hanno anche... drogato... e... mi sento malissimo... -
- Drogato?!? - La ragazza si raddrizzò e gli prese il volto tra le mani. - Max,
guardami! Dimmi se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti! -
- Non c’è niente... niente... solo... aspettare... - La guardò con occhi
sofferenti e tentò di sorriderle ma venne colto da un attacco di convulsioni.
In preda al panico Liz si accovacciò su di lui cercando di bloccargli le
braccia per evitare che cadesse dal letto. Quando finalmente il giovane si
calmò scivolò sdraiata al suo fianco e gli cinse il petto con fare protettivo.
- Vuoi che chiami Michael? - chiese a bassa voce.
Con un certo sforzo Max girò il viso per guardarla. - No... si preoccuperebbe
inutilmente... Io... non riesco a capire cosa non va in me... Non trovo... non
trovo niente su cui intervenire... -
- Non trovi o non c’è? -
- Non lo so... - Chiuse gli occhi e cadde in uno stato di leggero torpore da
cui Liz non riuscì a scuoterlo.
Non sapendo più cosa fare la ragazza si alzò per andare a lavarsi i denti poi
tornò a sdraiarsi accanto al marito e lo abbracciò teneramente. “Passerà anche
questo...” pensò addormentandosi subito dopo, stanchissima.
L’indomani, domenica, Max rimase stordito tutto il giorno. Liz fece una lunga
chiacchierata al telefono con Michael, che tuttavia non seppe darle alcun
consiglio, e passò il tempo giocando con Jason accanto al letto per poter
tenere d’occhio Max.
Lunedì mattina, nonostante le sue proteste, il giovane volle andare con lei
all’università. Mentre camminavano per i lunghi corridoi dell’edificio
incontrarono molti ragazzi che, nel vederli, si misero a sghignazzare.
- Cosa diavolo hanno tutti quanti, stamane? - si domandò Liz ad alta voce poi,
passando accanto alla bacheca degli annunci, notò una serie di foto di grande
formato che ritraevano Max su una panca dello spogliatoio. Fatte da angolature
diverse, le fotografie non lasciavano alcun dubbio sull’identità del soggetto.
Furibonda, si girò verso di lui e lo prese per un braccio. - Max, guarda!
Scommetto che ti hanno messo fuori gioco per poterti fare queste! Ti prego,
voglio sapere chi è stato! -
Il giovane fissò le immagini con espressione dura. - Non è importante, te l’ho
già detto. Cosa dovrei fare? Denunciarli al rettore? Distruggerli con una sfera
di energia? Io non posso attirare l’attenzione su di noi... -
- E questa come la chiami? - protestò Liz notando altri studenti che si
fermavano a guardare Max, le foto, e poi di nuovo Max prima di mettersi a
ridacchiare divertiti.
- Non m’importa. Liz, fra qualche giorno tutto ciò sarà solo un ricordo, ma una
denuncia avrebbe degli strascichi indesiderati -
Dopo una breve riflessione la ragazza strinse i pugni e scosse la testa. - Sì,
hai ragione. Però non è giusto che la passino liscia! Avrebbero potuto
ucciderti! -
Max scrollò le spalle. - Ma non è successo. Dai, andiamo, o faremo tardi... -
- Santo cielo, il test! Stamattina ho il test di mineralogia! Scusami, devo
scappare! Ci vediamo alle dieci e mezza davanti al bar! - Liz si sollevò in
punta di piedi per dargli un rapido bacio sulle labbra.
- Hai l’aria stanca. Non andare a lezione se non te la senti, va bene? -
- Sì. Ciao -
- Ciao... - Ancora preoccupata gli sorrise e corse via.
Lentamente, guardando dritto davanti a sé, Max proseguì fino all’aula di
chimica e cercò di seguire la professoressa ma di tanto in tanto i suoi
pensieri fuggivano via e lo sguardo diventava quasi vitreo. Al termine della
seconda ora si sentiva completamente svuotato e fece molta fatica a raggiungere
il bar. Era quasi arrivato quando dovette appoggiarsi contro la parete per
mantenere l’equilibrio. Il respiro gli si fece corto e leggero. Chiuse un
attimo gli occhi per combattere le vertigini ma perse la battaglia e scivolò a
terra. Sentì che stava per avere un attacco di convulsioni e tentò di far forza
sulle braccia per sollevare il busto. Non voleva che succedesse lì, sotto gli
occhi di tutti, però non riusciva quasi a muoversi, poi ricadde giù e cominciò
a raggomitolarsi.
Fu allora che lo vide Liz. Corse verso di lui e si mise in ginocchio per
bloccargli la testa con le mani.
- Max, cerca di resistere... Max... mi senti? - Nel vederlo tremare sempre più
violentemente si curvò per stringerlo a sé. - Adesso passa... adesso passa... -
mormorò come una litania, una lacrima solitaria che rotolava sulla guancia.
- Ehi, vuoi che chiami il dottore? - chiese una ragazza fermandosi accanto a
loro.
- Come? Ah, no, no, grazie... - Liz alzò un attimo la testa e la guardò senza
vederla. - Grazie... - ripeté tornando ad occuparsi di Max.
- Sicura? -
- Sì, non è niente. Grazie comunque -
La ragazza se ne andò e Liz si morse le labbra. “Adesso passa...” pensò
cercando di autoconvincersi.
L’attacco fu fortunatamente breve ma lasciò Max esausto.
Liz dovette farsi aiutare da qualcuno per rimetterlo in piedi e sostenerlo fino
ad un divanetto poco distante, poi attese che fossero di nuovo soli e gli
sorrise. - Vado a prenderti dell’acqua... -
Il giovane annuì in silenzio e la guardò allontanarsi.
Quando fu di ritorno, dopo pochi minuti, Max non era più dove lo aveva
lasciato.
- Dov’è andato? - Si voltò alzando la mano libera con fare interrogativo. -
Dov’è? -
Le persone davanti a lei si guardarono perplesse. - Ha detto che doveva andare
in bagno... -
- Adesso?!? - Bevve l’acqua con una sola sorsata e sedette pesantemente sul
divano.
Dopo un quarto d’ora stava ancora lì, rigirandosi il bicchiere fra le dita, poi
lo posò per terra. - Ok, io me ne vado! - disse alzandosi.
Fuori era una splendida giornata, e l’aria tiepida invogliava a camminare per i
sentieri del parco che circondava il campus.
La ragazza prese una direzione a caso, le mani infilate nella tasca del
giaccone e un filo d’erba tra le labbra. “Chissà dove diavolo è finito...” Alzò
il viso per sentire il calore del sole sulla pelle poi udì lo squittìo di uno
scoiattolo e si guardò intorno cercandolo con lo sguardo. Fu così che si
accorse di una macchia blu visibile attraverso i rami di un cespuglio. Si
avvicinò con cautela per poi spalancare gli occhi per la sorpresa. - Che cosa
ci fai, qui?! -
Il giovane cercò di raggomitolarsi di più nel vano tentativo di sottrarsi al
suo sguardo.
- Perché sei sparito a quel modo? - Poiché lui non rispondeva lo toccò sulla
spalla. - Avanti, dimmi come mai te ne sei andato! - Davanti al suo ostinato
silenzio gli diede una spinta leggera facendolo ricadere supino. Rimase
sorpresa nel vedere il suo volto arrossato e gli mise una mano sulla fronte.
- Ma tu scotti! Scotti davvero! - Si rese conto che stava tremando per cui si
tolse il giaccone per coprirlo. - Ce la fai ad alzarti? Devo riportarti
indietro... -
- No! - Rendendosi conto di aver usato un tono troppo brusco si morse le
labbra. - Scusami... Non voglio tornare adesso... -
- Senti, hai la febbre altissima e restare sdraiato per terra non ti fa certo
bene! Vuoi che ti venga anche il raffreddore? -
A quelle parole lui sorrise. Aveva gli occhi lucidi e i capelli fradici di
sudore, e sembrava così fragile... - A me il raffreddore non viene mai -
affermò, poi chiuse gli occhi scosso da un brivido più forte.
- Ok. Però stai malissimo, questo non puoi negarlo! - Esasperata, cercò di
sollevarlo ma dovette rinunciare. - Sei troppo pesante, accidenti... Dai,
alzati, ti prego! -
- Io... tornerò più tardi... quando mi sentirò meglio... - La voce si era fatta
debole, il respiro quasi ansimante ed il corpo agitato da tremiti convulsi.
- Non posso lasciarti qui da solo! - insisté lei.
- Devi... -
- Ma cos’hai? -
- Credo... che sia una reazione... allergica... -
- Uno choc anafilattico? -
- Qualcosa... qualcosa del genere... -
- E cosa può averlo scatenato? -
Il giovane rispose dopo un lungo silenzio. - Quando... mi hanno fatto
quell’iniezione... forse lo strato protettivo era troppo sottile e... ho
sentito l’ago arrivare... alla pelle... -
- Troppo sottile? Va bene, forse ti hanno bucato, ma quella non era droga... -
- Io non so cosa fosse... So solo che... mi ha scatenato... questo... -
- Allora, a maggior ragione, torna indietro con me! Devono farti l’analisi del
sangue per scoprire a quale sostanza sei allergico! -
- Io... non posso farla... -
- Perché? -
Lui cercò di trattenere i brividi e la guardò negli occhi. - Perché non voglio
che esaminino il mio sangue - disse con voce tesa.
- Perché? - domandò ancora la ragazza, senza capire.
- Perché... scoprirebbero la verità... -
- E quale sarebbe? -
Davanti alla sua espressione irritata il giovane accennò una risata amara. -
Che io... sono quello che sono... -
Lo fissò con sguardo vacuo finché lui non estrasse la mano da sotto il giaccone
e con l’indice teso indicò il cielo sopra di loro.
- Cosa vorresti dire, con questo? -
- Io... vengo veramente da molto lontano, Shiri... -
- Senti, Jason, adesso non siamo sul set, non stiamo recitando! Va bene, hanno
esagerato con la scena dello spogliatoio e l’ago ti è entrato nel braccio. Ma
da qui a dire che sei sul serio un alieno ce ne corre, non credi? -
Un colpo di tosse secca squassò il petto di Jason. - Ti assicuro che... non ti
sto... prendendo in giro... Io... mi sono presentato... perché mi stuzzicava
l’idea... Riesci ad immaginarlo?... - Tossì di nuovo e si rimise di fianco per
respirare meglio. - Poter essere, sia pure per poco, quello che sono davvero...
senza fingere... -
Shiri si sedette a gambe incrociate sull’erba, sconvolta per quello che lui le
stava raccontando. - Vuoi dire che... tu puoi fare tutte quelle cose che... che
i tecnici aggiungono al computer? -
- Più o meno. Ma senza... luci colorate... Quelle sono solo effetti speciali...
-
La ragazza continuò a guardarlo negli occhi. - Jason, ti rendi conto di quello
che hai fatto? -
Lui annuì lentamente. - Io... mi fido di te, Shiri. Mi sono sempre fidato di
te... -
- Cosa... cosa vuoi dire? -
Jason le prese con tenerezza una mano accennando un sorriso. - La mia vita è
nelle tue mani... Questa volta... è vero... -
- Tu sei completamente fuori di testa... Stai delirando, questa è la verità! -
- Sì, sto delirando, ma... devi credermi... - La guardò implorante, poi le sue
dita scivolarono via liberandole la mano e chiuse gli occhi mormorando parole
incomprensibili prima di avere un attacco di convulsioni.
“Accidenti! Mi sa che non ha mai recitato: stava male davvero...” Si mise in
ginocchio cercando di bloccargli le spalle come aveva fatto durante le riprese
e si mordicchiò le labbra per l’ansia. - Jason, ti prego, cerca di
riprenderti... Mi stai spaventando... - Dovette sedersi su di lui e premergli i
polsi contro il terreno per immobilizzarlo ma lo lasciò andare di colpo quando,
all’improvviso, riaprì gli occhi fissandola con intensità. - Io... vado a
cercare aiuto... Torno subito, stai tranquillo! - Scattò in piedi e corse via.
Circa un quarto d’ora più tardi era di nuovo accanto a lui con alcuni uomini
della troupe e il medico, sempre presente quando giravano. Avevano portato una
barella e vi deposero Jason con delicatezza.
Shiri si mise di lato e sfiorò la mano inerte del giovane. - Non preoccuparti,
penso a tutto io... - gli disse sottovoce, poi si rivolse al dottore. - Ha
detto che forse si tratta di una reazione allergica al liquido che è stato
usato per la scena nello spogliatoio: ha sentito l’ago entrargli nel braccio...
Cosa c’era, nella siringa? -
L’uomo, che stava cercando di sentire le pulsazioni premendo leggermente sul
collo di Jason, non le rispose subito e dopo un poco scosse la testa. - Niente
di pericoloso, solo acqua e colorante vegetale. Ma ha la febbre troppo alta,
dovrò farlo ricoverare... -
- No, dottore! Vede... lui... odia gli ospedali... Me lo ha detto proprio prima
che venissi a cercarla... Basterà fargli degli impacchi di ghiaccio per
abbassare la temperatura e si riprenderà, ne sono certa... -
- Ragazza, il medico sono io, e se dico che deve essere ricoverato... -
- Non può! - lo interruppe lei con decisione. - Jason è maggiorenne e può
rifiutarsi di andare in ospedale! Per favore, riportiamolo nel camper... -
- Io... -
- Dottore! -
Sconfitto, l’uomo acconsentì infine a fare come richiesto e Shiri sorrise
sollevata.
- Ma se entro domani sera non sarà migliorato io lo porterò in città, a costo
di trascinarlo per tutta la strada! -
- Sì, d’accordo -
Due ore dopo Jason giaceva nel suo letto. Aveva indosso soltanto i boxer ed era
letteralmente circondato da borse del ghiaccio. Seduta accanto a lui, Shiri
stringeva un ago tra le dita. - Devo... devo proprio? - chiese con voce
tremante.
- Sì - Lui teneva gli occhi chiusi e respirava a fatica. - Metti... metti una
goccia di sangue sul vetrino... e poi... inseriscilo nello slot sul lato...
posteriore del computer... -
La ragazza deglutì e fece come richiesto. Non appena erano rimasti soli Jason
le aveva dato la password di avvio del portatile, spiegando in breve le
modifiche apportate all’hardware per consentire esami del genere. La parte più
difficile, comunque, per lei restava pungere il dito e far cadere il sangue
sulla sottilissima lastra di vetro, dato che non aveva mai fatto
volontariamente del male a qualcuno. Stringendo i denti, comunque, riuscì a
preparare il campione e poco dopo poté girare il computer verso il letto per
consentire al giovane di vedere il monitor.
Jason rilevò subito la presenza delle cellule estranee ed emise un sospiro
sconfortato. - Adesso mi serve un po’ della sostanza con cui è stata riempita
la siringa... Per favore, puoi...? -
Shiri alzò gli occhi al cielo. - Sì, vado subito... - Rimise in stand by il
portatile e uscì dal camper.
Mentre cercava qualcuno degli addetti agli effetti speciali vide il regista
impegnato in un’accesa discussione col medico. Evidentemente non era molto
contento di sapere che uno degli attori protagonisti stava male e rifiutava di
farsi curare, in fin dei conti c’erano precise regole per la copertura
sanitaria, ma questi erano problemi suoi. Che pensasse pure che Jason faceva
capricci da primadonna: sempre meglio che sospettare la verità...
Il giovane era semicosciente quando lei tornò con una bustina di plastica
trasparente piena di polvere bianca. Preparò in fretta il campione e lo inserì
nel computer prima di scuotere Jason. - E’ tutto pronto. Te la senti di
metterti a sedere? -
Lui dovette fare uno sforzo per comprendere le sue parole poi, appoggiandosi
sui gomiti, riuscì a sollevarsi e fu colto da un capogiro. - Per favore resta
vicino a me, non vorrei che il computer cadesse a terra... - mormorò mentre
Shiri gli poggiava il portatile sulle ginocchia.
La ragazza annuì e rimase in silenzio a guardarlo lavorare faticosamente. -
Devo dedurre che la recitazione non sia la tua sola passione? - chiese dopo un
po’.
A quelle parole Jason sorrise suo malgrado. - Infatti... - rispose senza
staccare gli occhi dallo schermo. Alla fine emise un sospiro e chinò il mento
sul petto, stanchissimo. - Trovato... - disse con un filo di voce.
- Cosa? Cos’hai trovato? - Shiri si affrettò a togliergli il computer da sopra
le gambe e lo rimise sul tavolo.
- Quello... su cui devo intervenire... - Chiuse gli occhi per concentrarsi
meglio e agì sul codice genetico della molecola che, venuta a contatto col suo
sangue, aveva dato il via ad una mortale reazione a catena.
La ragazza rimase a lungo a fissarlo, senza osare dire nulla, e quando comprese
che era scivolato nel sonno gli spinse gentilmente indietro la testa per farlo
stare più comodo.
Dopo un poco posò una mano sulla sua fronte e la sentì fresca, allora tolse le
borse del ghiaccio e lo coprì con il lenzuolo. Nel far questo si rese per la
prima volta conto di lui come uomo. In quel momento non lo vedeva più come il
suo partner di scena, era un essere in carne e ossa, muscoli e pelle liscia e
tiepida. Sensuale. Era Jason Behr. Semplicemente Jason...
Un dolce sorriso le stirò allora le labbra e sedette al suo fianco per
vegliarne il riposo.
Scritta da Elisa |