Riassunto: Questa
storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore
alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai
fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o
duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più
grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa
ricambiarlo.
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: Ogni
riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori
protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitolo 31
Le parole arrivarono nel cervello
annebbiato di Max. ‘Siamo quasi al limite del tempo. Siamo quasi al limite del
tempo. Siamo quasi al limite del tempo.’ Il pensiero di Liz che partoriva da
sola lo terrificava. Cosa avrebbero potuto farle? Cosa avrebbero potuto fare ad
Ellie? Max poteva sentire le sue mani tremare, mentre le passava tra i capelli.
“Max …” disse Daniel cercando di attirare la sua attenzione. Alla fine i suoi
occhi sembrarono aver riacquistato la capacità di rimettere a fuoco e Daniel
continuò. “Di che mese è?”
“Circa cinque mesi.” rispose Max tentando di concentrarsi.
“Allora abbiamo ancora tempo.” disse Daniel incoraggiante. “Annie dobbiamo
riunire prima possibile il Consiglio. Fai la chiamata. Max. abbiamo bisogno
della presenza di tua sorella. Isabel potrebbe essere in grado di aiutarci.
Anche Michael dovrebbe venire, vi troveremo un posto dove stare.”
“Daniel, non mi hai risposto!” disse Max a denti stretti. “Quanto tempo ci
resta?”
Daniel guardò gli occhi spaventati del ragazzo di fronte a lui. Odiava essere
portatore di brutte notizie, e giudicando lo stato in cui era Max adesso,
sarebbero state notizie veramente molto brutte. “Max, una normale gravidanza
aliena/umana è di sei mesi. Quindi sembra che abbiamo circa quattro settimane
per trovare Liz. Forse meno.”
***
Quattro settimane! Come avrebbero fatto a trovarla in quattro settimane, quando
lui aveva tentato inutilmente per mesi? Max andava avanti e indietro nella
stanza che Annie aveva preparato per lui. Era una stanza gradevole, con tendine
ricamate e un copriletto increspato, ma Max non l’aveva nemmeno notata. Era
tutto concentrato su Liz e sugli sforzi per riportarla a casa. Isabel e Michael
sarebbero arrivati l’indomani. Aveva parlato con Iz quella mattina, molto
presto, e i suoi genitori stessi li avrebbero portati da Roswell. Isabel
avrebbe potuto fare la differenza? La sua abilità di passeggiare nei sogni, che
qualche volta Max aveva ritenuto eccessivamente fastidiosa, avrebbe potuto
fornire la chiave per riportargli Liz? Sentì qualcuno bussare piano alla sua
porta e traversò la stanza. Quando aprì la porta, dall’altra parte c’era Annie.
“La stanza è a posto?” gli chiese. Appariva ansiosa e nervosa e Max capì cosa
stava provando. In realtà non era lì per parlare della stanza.
“E’ perfetta, Annie .” rispose Max “Vuoi entrare?”
Lei annuì leggermente e Max fece un passo indietro per lasciarla entrare. Lei
girò senza una meta per la stanza, Max si mise a sedere ai piedi del letto e
anche lei si sedette sulla sedia della piccola scrivania all’angolo.
“Pensi che Liz verrà da te stanotte?” chiese alla fine Annie.
“Non lo so.” Rispose sinceramente Max. “Dobbiamo essere nella fase REM del
sonno contemporaneamente perché lei riesca ad entrare nei miei sogni e se siamo
fuori tempo, non riusciamo a connetterci. Mi spaventa, qualche volta, se lei
non riesce a connettersi. Posso sentire la presenza di Ellie in fondo alla mia
mente, così so che sta bene, ma …”
“sei fortunato di riuscire a parlare con lei in questi momenti.” disse Annie
ansiosa. “Quando ti connetterai ancora con lei, puoi farmi un favore? Puoi
darle un messaggio per Joshua, da parte mia?”
“Certo, Annie!” rispose veloce Max.
“Solo per dirgli che io e Joey lo amiamo.” Annie aveva le lacrime agli occhi.
“Li riporteremo a casa, Annie.” disse Max deciso. “So che lo faremo.”
***
Gli occhi di Max si muovevano avanti e indietro sotto le palpebre mentre lui
scivolava sempre più profondamente nel sogno. Era ancora una volta nel campo
d’erba alta con una brezza leggera che gli soffiava intorno. Era il posto
speciale dove ormai si incontravano, con il panorama stupendo della vallata che
si stendeva davanti, e il baldacchino di alberi che offriva rifugio dal calore
del sole.
Qualche volta la trovava lì ad aspettarlo.
Altre volte lui gridava il suo nome in preda al panico, terrorizzato dalla
possibilità che la loro connessione si fosse interrotta o persa per sempre.
Erano le volte in cui Max si sentiva più spaventato e vulnerabile.
“Liz?” chiamò Max ed il suono si perse nella brezza. Si girò intorno, attento
ad ogni movimento e gridò ancora il suo nome, ascoltando l’eco che lo ripeteva
nella valle. Nel suo sogno il giorno era caldo e piacevole, il tipo di giornata
adatto per una passeggiata con qualcuno che ami. Max sospirò per la
frustrazione, mentre cercava Liz. Aspettare e chiedersi se sarebbe venuta, era
un’agonia per lui.
“Liz!” chiamò ancora e sobbalzò quando sentì la sua mano calda toccarlo sulla
spalla.
“Max.” disse dolcemente lei con un sorriso sulle labbra. I suoi occhi erano
pozze di cioccolata e lui avrebbe voluto perdercisi dentro. Lei lo guardava con
tanto amore e Max aveva il cuore gonfio dalla felicità e dal sollievo di averla
vicino ancora una volta. Le sue braccia la strinsero e le sue labbra la
rivendicarono come sua. La baciò a lungo, intensamente, tenendola così stretta
da sentire il cuore di lei battere contro il suo.
“Liz.” Le sussurrò con passione nell’orecchio. “Ti voglio a casa, con me. Ho
così bisogno di te. Non sopporto di starti lontano. Specialmente … specialmente
ora.” finì Max, con la voce che lasciava trapelare tutta la sua angoscia. La
guardò negli occhi per un attimo, poi scese a controllare la pienezza che
fioriva nel suo corpo. Posò una mano sulla pancia e sentì rinforzarsi la
connessione con sua figlia. Durante le passeggiate nei sogni era sempre più
forte e Max poteva sentire Ellie come un sussurro nella sua mente, capire cosa
lei stesse provando o vedendo o imparando.
“Max.” disse Liz posandogli una mano sulla sua. Si sentiva tranquilla e
protetta tra le sue braccia, l’unico posto in cui si sentiva al sicuro.
Camminarono in silenzio per un po’, costeggiando il ruscello serpeggiante. Il
rumore dell’acqua che scorreva e degli uccelli che cantavano nell’aria era
rilassante e sentirono allontanarsi la tensione delle loro giornate reali. Max
si sedette su una macchia di erba verde e fece sedere Liz accanto a lui. Lei si
sdraiò sulla schiena, fissando il cielo azzurro e Max si stese a fianco a lei
con le mani piegate sotto la testa.
“Sei bella, Liz.” disse Max accarezzandole la guancia con le dita. “Lo sai
questo? Tu lo sai di essere la sola cosa che mi fa andare avanti?
“Non devi preoccuparti per me, Max.” disse Liz cercando di dargli coraggio “So
che mi riporterai presto a casa e che noi staremo insieme, come è giusto che
sia.”
Mentre diceva la parola ‘noi’, Max sentì i propri occhi posarsi sulla linea
ingrossata della sua vita. Le sue dita si spostarono dalla guancia alla
rotondità della pancia, aspettando la confortante sensazione di sua figlia che
si muoveva sotto il palmo della sua mano. Lei arrivò subito, altrettanto
desiderosa di sentire la vicinanza di suo padre.
“Posso …?” chiese Max guardando Liz negli occhi.
Lei gli sorrise, sorpresa che avesse aspettato tanto prima di chiederlo. Fin da
quando aveva saputo che lei era incinta, aveva agito come se avesse avuto paura
di toccarla. Ora, forse, stava superando questa sensazione. Gli occhi di Max
seguirono i movimenti delle sue dita, mentre slacciava i bottoni sulla parte
anteriore del vestito scoprendo la sua pancia ingrossata. La mano di Max era
sospesa sopra la soffice, chiara pelle e poi si poggiò delicatamente. Le sue
dita si aprirono a ventaglio su di lei, cogliendo il calore della sua pelle ed
il movimento al di sotto. La loro connessione si fece più profonda, madre,
padre e bambina, formando un legame così forte da unire le loro menti come
fossero una sola. Max sorrise quando sentì sua moglie e sua figlia fondersi con
lui. Questa sarebbe stata la loro vita, tutti i giorni, dividendo il loro
legame. Insieme.
Max accarezzò la pancia di Liz, guardando con un sorriso come sua figlia
seguiva il movimento della mano. Poteva sentire la sua minuscola manina
spingere contro il palmo della sua mano ed era stupito del fatto che sapeva che
quella era la sua mano e non il suo braccio o la sua gamba. Si chinò ed
appoggiò le labbra contro la pelle calda di Liz e fece un sorriso ancora più
grande quando sentì Ellie scalciare eccitata.
“E’ sorprendente, vero?” disse Max con timore reverenziale.
“Si, lo è certamente.” Liz rideva contenta, godendo la pace di quel momento
mentre sentiva l’ amore di Max scorrere sulle sue donne. Lui appoggiò la testa
sul suo seno, gli occhi fissi sulla pienezza del suo ventre, stupito dal fatto
che lui e Liz avevano creato quella piccola cosa incredibile che riempiva tutti
i suoi pensieri. A chi somiglierà?, si chiese. Sarebbe stata minuscola anche
lei o sarebbe stata alta come lui?
Poteva sentire le dita di Liz passare nei suoi capelli e si chiese quanto
ancora avrebbe dovuto aspettare per sentire quelle dita realmente e non solo in
sogno.
“Oggi ho trovato Annie e Daniel.” Disse Max sollevando la testa per poterla
guardare negli occhi.
“Davvero?” esclamò Liz afferrandogli eccitata la mano.
“Si.” E sorrise. L’ espressione eccitata sul viso di lei lo scaldava dentro e
fuori. Essere capace di darle una buona notizia dopo mesi, lo riempiva di
felicità. “Isabel e Michael arriveranno domani. Daniel pensa che Iz possa
aiutarci.”
“Può?” chiese Liz dubbiosa.
“Daniel crede che loro saranno in grado di insegnarle come sviluppare la sua
capacità di passeggiare nei sogni.” Disse Max annuendo.
“Ma Isabel non è stata in grado di raggiungermi da quando sono qui.” gli
ricordò Liz.
“Lo so, ma lui pensa che mentre noi siamo collegati, Iz possa entrare nel mio
sogno e connettersi con te.”
“E come potrebbe essere utile questo?” chiese Liz incerta.
“Non lo so ancora,” ammise Max “ Ma Daniel ha un piano. Almeno è qualcosa,
visto che … “ e la sua voce si affievolì.
“Visto cosa, Max?” chiese Liz, sentendo la tensione aumentare.
“Visto che il tempo sta scadendo, Liz” disse Max piano. La sua mano accarezzava
la guancia di lei, tentando di calmare l’apprensione che improvvisamente le era
apparsa negli occhi.
“Cosa vuoi dire?” chiese Liz esitante. Si sedette dritta, tenendo stretto il
vestito sulla pancia.
Max sospirò profondamente e le prese le mani. “Daniel mi ha detto alcune cose.
Ha detto che gli ibridi sviluppano più velocemente dei bimbi umani.”
“Quanto più velocemente?” Liz era spaventata e teneva le mani di lui poggiate
sulla pancia.
“Sei mesi.” disse Max guardandola negli occhi. “La gravidanza dura sei mesi.”
“Max … “ disse Liz in un sussurro, mentre lo choc prendeva il sopravvento. Sei
mesi. Era cresciuta enormemente nelle ultime settimane e il legame con Ellie si
era fatto più definito. Nessuna meraviglia, pensò Liz mentre cercava di
assimilare tutto. Era pronta a nascere. Un mese, forse meno.
“Liz.” Sussurrò Max al suo orecchio. Le mise una mano sulla nuca e la attirò a
sé, sentendola tremare mentre la consapevolezza la colpiva. “Ti raggiungerò in
tempo, Liz. Te lo prometto.” Mentre pronunciava quelle parole, pregò Dio di
essere in grado di mantenerla.
***
Max era seduto e guardava le facce di Isabel e Michael, mentre Daniel
raccontava il loro passato, la loro storia. La domanda che aveva angosciato le
loro vite da sempre aveva finalmente avuto una risposta. Il loro sguardo era
rapito mentre ascoltavano avidamente i dettagli delle loro storie e di come
erano arrivati qui. Mentre Daniel concludeva la sua storia, Max notò come
Michael sedeva a disagio sul divano.
“Cosa c’è, Michael?” chiese Daniel sentendo che il ragazzo voleva chiedergli
qualcosa.
Michael, per natura diffidente e sospettoso, si guardò attorno prima di
guardare di nuovo verso Daniel.
“Mi hai raccontato dell’astronave caduta nel ’47. La nave dove eravamo noi. Sai
perché è caduta? Perché noi siamo stati nascosti? Perché siamo stati nei
bozzoli per oltre quarant’anni? E perché non ricordiamo niente?”
“Tutte legittime domande, Michael.” disse Daniel. “Lasciami dire quello che
abbiamo ricostruito. Dopo aver parlato con Max, ieri, ho passato la notte a
cercare tra la vecchia documentazione e questo è quello che posso dirvi circa
la vostra nave. Come ho detto prima, la nave madre atterrò nel lato oscuro
della luna, dove era invisibile dalla terra. Abbiamo usato astronavi per
trasportare la nostra gente sulla superficie in piccoli gruppi. I bozzoli
dovevano essere mossi con cura ed era necessario del tempo prima di far uscire
le persone dalla vita sospesa. La vostra nave conteneva quattro membri di
equipaggio ed otto bozzoli. Quando la nave si è schiantata vicino a Roswell il
gruppo dei sopravvissuti deve aver avuto giusto il tempo di trovare i vostri
tre bozzoli prima che i governativi arrivassero sul posto dell’ incidente.
Sapevamo che c’erano stati dei sopravvissuti e che erano stati portati al
Lakely Institute prima di essere uccisi. Secondo i dati che Josh è riuscito a
scoprire lì, il governo era paranoico e furono commesse delle atrocità. Alla
fine, la morte deve essere stata una benedizione per loro.”
Max si muoveva a disagio sulla sedia mentre ricordava le cose che gli avevano
fatto al laboratorio. Sonde che gli traversavano la carne senza anestesia, per
misurare la sua reazione al dolore; scosse elettriche che distruggevano il suo
corpo; provocare dolore sembrava essere l’unica cosa di cui fossero
interessati. Dolore e sofferenza.
Daniel notò il cambiamento che era avvenuto in Max . La sua angoscia era
evidente nello sguardo e nella rigidità del suo corpo. Quali torture aveva
dovuto subire in quel posto? si chiese. Quali torture aspettavano a sua figlia
se non avessero raggiunto Liz in tempo? E Joshua, quali cose mostruose
avrebbero potuto fare a suo figlio?
“Sembra che i sopravvissuti siano riusciti a nascondere i vostri bozzoli prima
di essere catturati.” continuò Daniel. “Credo che a dare l’ avvio alla vostra
uscita sia stato il sistema di sicurezza che proteggeva le capsule e che si
attivava automaticamente trascorso un certo tempo senza l’intervento
dell’unità. Il sistema di protezione dei bozzoli deve aver capito che c’era un
problema con la nave e ha svegliato gli occupanti per valutare il problema.”
Mentre Michael ascoltava la spiegazione, tutti i pezzi di quel puzzle che era
la sua vita cominciavano a trovare posto. Tutti questi anni aveva pensato al
suo pianeta da qualche parte oltre le stelle, a dove qualcuno sarebbe venuto
per riportarlo a casa. Ora la consapevolezza che questa era la casa, la Terra,
con tutti i suoi fallimenti e i suoi difetti era nello stesso tempo una
delusione ed un sollievo.
Delusione che non c’era qualcosa di meglio che lo aspettava fuori di qui e
sollievo che finalmente poteva lasciare le domande dietro di lui e imparare ad
accettare la vita che aveva qui.
“E adesso, che facciamo?” chiese Michael nel suo modo aspro.
“Ora scopriremo quello che potete fare e come potete aiutarci a riportare a
casa la nostra gente.” disse Daniel.
Capitolo 32
Isabel camminava avanti e indietro per
il corridoio fuori della sua stanza da letto. Stasera Isabel avrebbe fatto il
suo primo tentativo di portare la sua connessione fino a Liz. Daniel le aveva
presentato Marianne, un’anziana donna che aveva il dono della vista, come lo
chiamava lei. Avevano passato la settimana precedente a fare pratica e a
raffinare il potere con cui Isabel era nata. Stasera avrebbero provato se
l’allenamento era stato sufficiente.
Max si agitava e girava a vuoto, troppo bloccato per rilassarsi. Il tempo
lavorava contro di loro. Avevano perso un’altra settimana e se stasera fosse
andata male, avrebbero perso altro tempo prezioso. Sentì il panico salire e
cercò di calmarsi: se non si rilassava, non sarebbe riuscito a dormire e se non
dormiva, non avrebbe potuto sognare e se non sognava non avrebbero mai trovato
Liz.
Si sforzò di respirare lentamente. Si concentrò sull’immagine di Liz,
ricordandola accanto a lui, tranquillamente distesa nel sonno. Il lento salire
e scendere del suo petto l’aveva cullato allora, quando lui avvolgeva il suo
corpo contro quello di lei. Il suo viso calmo alleviarono la sua mente inquieta
e i suoi occhi cominciarono a chiudersi.
***
Isabel sedeva accanto al fratello addormentato, guardando i suoi occhi che
andavano avanti e indietro sotto le palpebre. Sembrava che fosse in pieno sonno
REM e guardò nervosa verso Daniel. Lui annuì e le fece un sorriso incoraggiante
mentre lei posava le dita sulle tempie di Max.
Un raggio di luce assalì i suoi sensi costringendola a proteggersi gli occhi
con la mano. Le sue pupille si contrassero, adattandosi alla luce e riuscì a
mettere a fuoco il paesaggio. Lontano, accanto ad una macchia di alberi, due
figure erano in piedi una accanto all’altra. Anche a quella distanza, l’amore
tra i due era evidente dal modo in cui le loro mani si toccavano e i loro corpi
si abbracciavano in cerca di conforto. Isabel si avvicinò lentamente,
riluttante ad invadere il loro prezioso tempo ma sapendo che questa era l’unica
soluzione.
Quando Isabel fu vicina, Liz si girò verso di lei. Max le si mise dietro,
lasciando che il corpo di Liz si appoggiasse al suo. Le mani poggiavano sulle
spalle di lei ma il suo nervosismo era evidente nel modo di scostarle i
capelli.
“Liz … “ disse Isabel, mentre si fermava davanti a lei. Era passato tanto tempo
dall’ultima volta che l’aveva vista e i cambiamenti erano sorprendenti. Il suo
corpo era ingrossato dal bambino eppure sembrava ancora minuscola. Le mani
tremavano nervosamente davanti a lei, e non era più la calma e pratica Liz
Parker che ricordava. Ma furono i suoi occhi ad attirare l’attenzione di Isabel.
Dicevano che gli occhi erano lo specchio dell’anima e, se era vero, allora Liz
aveva un’anima tormentata. Isabel aveva paura di toccarla, paura di vedere gli
orrori che Liz aveva sopportato. Anche le sue mani tremavano, mentre le stese
per prendere quelle di Liz.
“Ciao, Isabel.” disse Liz dolcemente. “E’ passato un po’ di tempo, vero?”
“Si.” Rispose Isabel con un sorriso nervoso “E’ vero.”
“Non dovremmo avere molto tempo.” disse Liz bruscamente. “”Verranno a
svegliarmi nella notte per monitorare i miei progressi. Dobbiamo provare ora,
finché ne abbiamo la possibilità.”
“Devi riportarmi indietro.” disse Isabel tranquillamente, anche se in realtà si
sentiva tutto fuorché tranquilla. “Mentre la tua mente ritorna dove sei tenuta
prigioniera, io cercherò di seguirti. Daniel pensa che il legame tra te e Max è
così forte che lui è come un’ ancora da una parte e tu come un’ ancora
dall’altra ed io dovrei essere in grado di procedere tra di voi per tutto il
tempo in cui mantenete ferma la vostra connessione. Hai capito?”
“Credo di si.” rispose Liz, cercando di sorridere ad Isabel in modo
incoraggiante.
“Bene, sono contenta che almeno una delle due capisca, perché io non ho capito
niente.” disse Isabel cercando di alleggerire il tono.
Liz sorrise e guardò verso gli occhi speranzosi di Max. Gli accarezzò la
guancia con la mano e lui chiuse gli occhi mentre assorbiva la sensazione che
lei gli stava inviando attraverso la connessione. Lui annuì e fece un passo
indietro, mentre Liz si voltava verso Isabel.
“Ora sono pronta.” disse Liz a voce bassa e prese le mani di Isabel nelle sue.
Isabel ebbe un capogiro e il mondo cominciò a brillare intorno a lei. I campi e
la valle tremolarono e tutto divenne nero mentre sentiva il suo corpo volare
nello spazio. Prima che avesse il tempo di reagire, si fermò e lei si ritrovò
in una stanza debolmente illuminata. La stanza era piena di attrezzature
mediche e, mentre faceva un giro completo, i suoi occhi si fermarono su una
figura minuta che giaceva sul letto nel mezzo della stanza.
Ora era questa era la vita che Liz conduceva, realizzò Isabel mentre si
guardava intorno. Rimpianse immediatamente i brutti pensieri e le parolacce che
aveva detto a Liz in quegli anni. Era gelosa che Max avesse trovato qualcuno da
amare quasi subito, mentre lei era stata troppo spaventata per lasciare che
qualcuno le si avvicinasse abbastanza per avere una relazione. Ora, poteva
vedere quanto era costato a Liz quell’amore e le faceva male il cuore per le
peripezie che stava attraversando.
Isabel attraversò la stanza, familiarizzandosi con tutto. Daniel le avrebbe
fatto delle domande, quando fosse tornata, ed ogni più piccola cosa poteva
essere un indizio che avrebbe condotto ad uno più grande. La porta si aprì
improvvisamente ed un’infermiera entrò nella stanza. Isabel avvertì il panico
scendere su di lei, prima di ricordare che l’infermiera non poteva vederla. Lei
poteva vedere tutto quello che aveva intorno, ma nessuno poteva vedere lei.
L’infermiera posò la tabella che aveva in mano, sul bordo del letto di Liz e le
cominciò a prendere le pulsazioni. Isabel si avvicinò, cercando di avere
indicazioni di come si chiamasse. Aveva un cartellino, attaccato ad un laccio
che passava intorno al collo, ma era girata ed Isabel non riuscì a leggere il
nome. Un nome poteva essere rintracciato. Una registrazione poteva essere
trovata. Qualcosa che potesse aiutarli a mettere insieme le tracce.
Isabel si tese nel tentativo di leggere il nome, poi, frustrata, si allungò e
prese in mano il cartellino.
Con sua sorpresa, si mosse facilmente e il nome le comparve davanti: Sanchez,
M. RN. Finalmente un nome! Qualcosa che poteva essere verificato, trovato,
seguito. L’infermiera prese lo stetoscopio dalla tasca dell’uniforme ed ascoltò
il cuore di Liz. Isabel la seguì, guardando ed ascoltando, in cerca di
qualsiasi altro segno che rivelasse dove fossero.
Forse questo avrebbe funzionato, dopo tutto, pensò Isabel quando la stanza
divenne tremolante ed incerta. Isabel si girò verso Liz e vide che l’infermiera
stava cercando di svegliarla. Mentre Liz veniva tirata via dai suoi sogni e il
suo sonno, Isabell si ritrovò riportata indietro da Max dall’altra parte della
connessione. Era troppo presto. Non c’era stato abbastanza tempo per
raccogliere le informazioni di cui avevano così disperatamente bisogno. Isabel
si precipitò fuori della sua passeggiata combattendo un senso di vertigine e
afferrandosi alla spalliera del letto per evitare di cadere alla sedia. Gli
occhi di Max si aprirono e lui si sedette svelto nel letto. I loro occhi si
incontrarono e in quelli di lui Isabel lesse la speranza e la paura che
combattevano per il predominio.
“Iz, ha funzionato?” chiese Max quando finalmente ritrovò la voce.
Gli occhi di lui si mossero sulla sua faccia, aspettando impaziente per una
risposta.
***
“Dimmi tutto quello che hai visto.” insistette Daniel. Erano seduti nel
soggiorno di casa sua, Isabel, Max e Daniel. “Tutte le immagini, tutte le
sensazioni che hai dentro.”
“Liz l’ha descritta a Max come una camera di ospedale, una stanza di
rianimazione. Ed è quello che è parso anche a me. Dappertutto apparecchiature
mediche, monitor. Sono riuscita a vedere Joshua nella stanza accanto, e mi è
sembrato che lo tenessero incatenato al letto, con entrambi i polsi e le
caviglie legate. Non c’erano finestre verso l’esterno. Tra le cose che ho
visto, l’unica che penso possa esseri utile è la targhetta dell’infermiera che
stava controllando Liz. Il cognome era Sanchez ed il nome cominciava con la
lettera M. Lei è un R.N. La riconoscerei, se la vedessi di nuovo.”
“Bene, qualcosa da cui cominciare.” disse Daniel sollevato.
“Cos’altro, Isabel?” chiese Max, attirando la sua attenzione.
I suoi occhi fissavano disperati quelli della sorella e lei odiò doverlo
deludere ancora. “Non sono stata lì molto a lungo, Max. L’infermiera l’ha
svegliata …”
“Così abbiamo solo il nome dell’infermiera? Ci porterà da qualche parte?” Max
guardò da Isabel a Daniel, con gli occhi che pregavano per un miracolo.
“Abbiamo gente che può fare ricerche veloci, Max. Non ti preoccupare.
Cercheremo tutte le licenze in New Mexico, e in Arizona, per cominciare. E se
non troviamo nulla, allargheremo le ricerche. Quante M. Sanchez ci possono mai
essere?”
***
“Duecentoquarantasette?” Max si mise una mano sulla fronte, come se gli
dolesse. “Come facciamo a controllare tutte queste infermiere nel poco tempo
che ci rimane?”
“Sono tante.” ammise Daniel, mentre guardava Max andare avanti e indietro. “Ma
abbiamo gente specializzata in questo genere di cose. Ci vorrà solo qualche
giorno, Max”
“Non abbiamo qualche giorno.” insistette Max, strofinandosi distrattamente la
schiena. Era sotto stress. La schiena gli doleva e sentiva la nausea. “Ci sono
voluti due giorni per ottenere la lista dei nomi, ed ora altri giorni per
controllarli? Daniel, hai detto che dovrebbe partorire tra due settimane. Cosa
succede se il bambino arriva prima?”
“Cerca di rilassarti.” disse Daniel mentre gli stringeva la spalla “Hai bisogno
di restare calmo quando arriverà il momento. Perché non vai a riposare? Appena
saprò qualcosa, te lo farò sapere subito.”
Max annuì, dirigendo verso l’uomo più anziano uno sguardo stanco. Era esausto.
Era nervoso e questo gli impediva di fare un sonno profondo. La notte scorsa,
Isabel era di nuovo entrata nei suoi sogni, cercando di connettersi con Liz,
per cercare delle risposte. Aveva imparato a seguire Liz, ma tutto quello che
aveva visto fino ad allora era stato vago. Era tornata con altri due nomi,
Smith e Rodriguez. Potevano essere più comuni? Dopo di ché, lui non era più
stato in grado di dormire.
Aveva notato come anche Liz appariva stanca. Nei pochi minuti che dividevano
insieme nei sogni, gli aveva detto che nemmeno lei riusciva a dormire bene.
Aveva cominciato lamentandosi di sembrare una grossa balena arenata, cosa che
lo aveva fatto ridere. Aveva proseguito lamentandosi di dover andare in bagno
continuamente. Lui la stringeva, massaggiandola per lenire il fastidio che
aveva alla schiena e dicendole che erano ormai vicini a trovarla. Lui si
augurava solo che fosse vero. La sentiva ancora così lontana.
***
Johnson le misurò la pancia sporgente e fece delle annotazioni sulla sua
cartella. Le sue mani la palparono, spingendola e sollecitandola, poi prese un
paio di guanti di gomma per l’esame interno. Liz fissava il soffitto, ormai
abituata, ma ancora terrorizzata ogni volta che lui la toccava. Quando ebbe
finito, le abbassò la veste e la ricoprì con il lenzuolo.
“Stai andando benissimo, Liz.” Johnson le sorrise “Senti qualche fastidio?”
“No. Non proprio.” disse lei, mettendosi a sedere. “Ogni tanto mi fa male la
schiena.”
“Oh, è normale. Ad ogni modo, qualcosa non sembra normale qui.”
“Cosa?” Liz era tesa. Qualcosa stava andando storto con il bambino? Si appoggiò
la mano alla gola, tremando leggermente.
“Il bambino ha cominciato ad impegnarsi. Sai cosa significa” le chiese.
“No.” disse Liz scuotendo la testa.
“Significa che la testa del feto è scesa nell’entrata pelvica. Quando faccio
così,” disse posando la sua mano sulla pancia di Liz e scuotendola “ si muove
tutto il tuo corpo, non solo la tua pancia.”
“E’ un brutto segno?” chiese lei con lo sguardo preoccupato.
“No.” Disse Johnson con una risata. “E’ una cosa normale, almeno alla fin della
gravidanza. Questo succede, in genere, una settimana o due prima del parto. Ti
sei anche ridotta del 50%, il che significa che la tua cervice si sta
assottigliando, cosa che sarebbe naturale se avessi finito il tempo. E io credo
che il feto pesi quasi tre chili e seicento grammi, che è un buon peso per un
bambino al termine. Tuttavia noi sappiamo che sei solo quasi al sesto mese.”
“Oh,” disse Liz cercando di pensare. Lei non poteva certo dirgli di sapere che
sei mesi era la durata normale per la gravidanza di un bambino alieno/umano. Si
sarebbe chiesto come facesse a saperlo. Ma se loro avessero fermato il parto
imminente, dandole dei farmaci, avrebbero fatto male ad Ellie?
“Dato che non sappiamo esattamente cosa sia normale in una gravidanza come
questa, lasceremo che le cose procedano naturalmente. A questo punto il bambino
sembra sano, il suo peso è quello di un bambino a termine, e tutto nel tuo
corpo sta reagendo normalmente. Sono preoccupato che sia troppo presto, ma
nello stesso tempo sospetto che questo sia naturale.” Strinse la mano di Liz
con affetto, e si diresse verso la porta. Fermò la mano sulla maniglia e si
girò per sorridere a Liz. “Credo che questa signorina farà la sua grande
entrata nel mondo molto presto.”
Capitolo 33
Si incontrarono ancora nella radura, il
posto in cui erano soliti ritrovarsi, ma questa volta era buio, notte, invece
della solita giornata di sole, e le stelle illuminavano il cielo.
Erano distesi, uno abbracciato all’altra su una coperta stesa in terra,
fissando i milioni di punti luminosi.
“Oh. Guarda!” disse Liz eccitata puntando un dito contro il cielo della notte.
“Quello è Pegaso.”
“Dove?” chiese Max guardando nella direzione che lei indicava. La testa di lei
era poggiata sulla sua spalla e la cingeva con un braccio, facendola sentire
comoda. “Ora lo vedo!”
“Ora guarda in basso a destra.” gli disse, concedendo a se stessa di perdersi
tra le stelle. “Quella è Cassiopea. E lì c’è il Piccolo Carro.”
“Ed il Grande Carro è solo un po’ più in là, basso all’orizzonte.” Lui girò la
testa, guardando a destra.”Lì c’è Orione!” esclamò, il suo turno ora di puntare
il dito contro il cielo.
“Ho sempre amato l’astronomia.” sospirò Liz. “Avrei dato l’esame questo
semestre.”
“Anche io.” disse Max, voltandosi a guardarla.
“Questo ha un senso, tu che vuoi studiare le stelle.”disse Liz e lui vide la
luce delle stelle brillare nei suoi occhi.
“Si, ma la scelta, principalmente, è stata fatta per stare in classe con te.” I
suoi occhi percorsero il viso di lei, dagli occhi, al mento, al piccolo naso
delicato. Il suo sguardo si fissò sulle labbra, poi si avvicinò, baciandola
dolcemente. Le mani si posarono sulle sue guance e poi scesero fino a fermarsi
sulla sua pancia tonda. Max sorrise, anzi rise apertamente, mentre Ellie
rivendicava la sua attenzione. La poteva sentire premere contro le sue mani e
sussurrare dentro la sua mente.
“Di certo vuol bene al suo papà!” lo prese in giro Liz.
“La bambina di papà.” sospirò malinconicamente Max.
Sentirono un fruscio dietro di loro e si girarono per vedere una Isabel
imbarazzata a pochi passi da loro. Era ovvio che non avrebbe voluto disturbarli
nel poco tempo che passavano insieme, ma la connessione poteva affievolirsi e
la necessità di guadagnare ogni momento era della massima importanza. Max si
alzò in piedi ed aiutò Liz.
“Max, voglio che tu dica qualcosa da parte mia ad Annie, quando ti sveglierai.”
disse Liz e mentre parlava gli carezzava la guancia.
“Cosa?” gli rispose piano.
“Dille che il bambino si è impegnato.”
“Ellie impegnata? Impegnata con chi?” disse Max in piena confusione.
“Con nessuno, sciocco!” disse Liz ridendo “E’ solo un modo di dire nella
gravidanza. Dille anche che sono assottigliata del 50%.”
“Okay.” disse Max sentendosi stupido, ma contento di vederla ridere. “Glielo
dirò.” La vide camminare ondeggiando verso Isabel e poi sorrise tra sé e sé.
Liz probabilmente l’avrebbe picchiato se avesse saputo che vedendola camminare
lui la paragonava ad una papera. Liz prese la mano di sua sorella e il sorriso
di Max si spense quando le vide sparire. Sospirò e si stese di nuovo sulla
coperta, osservando la notte ed aspettando.
***
La mattina dopo, Max era seduto al tavolo della cucina con gli occhi inchiodati
al libro davanti a lui, mangiando distratto le uova strapazzate che si era
preparato per colazione. Si era alzato presto, prima dell’alba, incapace di
riprendere sonno dopo essersi svegliato dalla passeggiata nei sogni con Liz.
Gironzolò per la casa fino a che arrivò ad una stanza piena di libri allineati
contro le pareti. Daniel aveva una vasta biblioteca e Max trovò facilmente
quello che stava cercando. Si sedette e lesse per ore, fino a che il brontolare
del suo stomaco divenne così forte da non poter essere più ignorato.
Annie lo vide dal vano della porta. la sua espressione era concentrata e
sembrava non accorgersi che si stava massaggiando la schiena. Il libro che
stava leggendo era spesso almeno dieci centimetri e stuzzicava la curiosità
della donna. Lo vide muoversi a disagio e la sua mano spostarsi dalla schiena
allo stomaco. Sfogliò una pagina del libro ed improvvisamente lasciò cadere la
forchetta, che finì rumorosamente nel piatto. Lui tornò svelto alla pagina
precedente. Lei lo vide cautamente sfogliare la pagina e rileggerla
attentamente.
Annie traversò la cucina e gli toccò lievemente la spalla con la mano. Max
saltò quasi dalla sedia e la pagina si girò di nuovo. “Mi dispiace, Max. Non
intendevo spaventarti. Cosa stai leggendo?” gli chiese curiosa. Lui sedette di
nuovo e le mostrò la copertina del libro. ‘Gravidanza e Parto’. Lei voltò la
pagina chiedendosi cosa stesse leggendo poco prima. “Oh.” guardando le foto
esplicite di un parto. Annie vide le guance di Max farsi rosse e lasciò andare
la pagina. “Questo libro non lascia molto all’immaginazione, vero?”
“Io, veramente … io volevo …” farfugliò Max.
“Lo so, Max. Tu vuoi sapere tutto di quello che accadrà a Liz. Capisco, ed è
bello da parte tua. Quando sarà il momento, potrebbe avere bisogno di te.”
“Tu vuoi dire, durante il parto o qualcosa del genere?” chiese Max, deglutendo.
“Sai, che noi non possiamo semplicemente andare al più vicino ospedale quando
arriva il momento del parto.” Annie gli sorrise “Fanno analisi del sangue ed
altri test di routine che noi non possiamo permetterci. Per questo motivo la
gravidanza per noi è più complicata ed abbiamo dovuto risolvere il problema.
Joshua ha imparato tutto sul parto, prima della nascita di Joey, proprio nel
caso che fossimo soli in quel frangente e non facessimo in tempo a raggiungere
uno dei nostri medici addestrati.”
“credo di non aver mai pensato a Liz in questi termini … perché …” e guardò nel
piatto, dove le uova erano ormai fredde.
“Perché non sapevi se avresti mai visto ancora Liz.” finì Annie per lui.
“Si.” Max annuì e si chinò in avanti con uno sguardo addolorato.
“Stai bene?” gli chiese Annie avvicinandosi.
“Si.” rispose Max cercando di scuotersi. “Ho solo avuto qualche crampo allo
stomaco, prima. Sai, la tensione …”
“Certo!” fu d’accordo Annie, guardandolo ancora da vicino.
“Ieri notte Liz mi ha dato un messaggio da trasmetterti. Ha detto che ‘il
bambino si è impegnato e lei è assottigliata del 50%’. Ieri notte non sapevo
cosa significasse. oggi lo so.” Max sembrava sempre più inquieto, ed Annie
prese una sedia e gli si sedette accanto.
“Ti ha detto anche se era anche dilatata?” chiese Annie cercando di togliere
dalla sua voce un tono preoccupato.
“Non mi ha detto nulla di questo. Così si può presumere che non lo sia, vero?”
guardò Annie che cercava di tenere neutra la sua espressione, e si preoccupò
ancora di più. Per complicare la cosa, il suo stomaco ebbe un altro spasmo.
“Max, stai bene?” disse Annie stringendogli la mano.
“Si, sto bene.” Max cercò di scuotersi di nuovo. Questo non era da lui. Lui non
stava mai male. Doveva solo tenere i suoi nervi sotto controllo. Non avrebbe
aiutato Liz se avesse lasciato che un mal di stomaco lo distogliesse dalla sua
ricerca.
“Quanto spesso ti fa male lo stomaco?” chiese Annie senza che Max riuscisse a
decifrare la sua espressione.
“Solo ogni tanto. Perché?”
“Cerca di concentrarti: compare a intervalli costanti? O il dolore è
irregolare?”
“Irregolare, credo.” rispose Max. “ Mi sta affliggendo da un paio di giorni, va
e viene. Credi che mi stia ammalando? Non sono mai stato malato prima d’ ora.”
“No, non penso che ti stia ammalando.” Lei mise la sua mano su quella di lui e
la strinse piano. “E’ solo una contrazione, tutto qui.”
“COSA?” Max stava quasi gridando “ Una che? Ho le CONTRAZIONI? Cosa pensi che
significhi? Perché dovrei avere le contrazioni? Di che diavolo stai parlando?”
“Ti fa anche male la schiena, vero? Ho visto che la stavi massaggiando.” La
guardò come se fosse diventato sordo, muto e cieco, e lentamente annuì. “Max,
non ti preoccupare. Sono le contrazioni di Braxton Hicks. Falsi allarmi.”
“Fa… perché dovrei avere falsi allarmi?” chiese Max con la voce che tremava.
“E’ la connessione, Max. E’ così forte tra te, Liz ed Ellie. Non mi è mai
capitato di incontrarne una così, considerando anche che voi non siete nemmeno
fisicamente vicini. Josh ha avuto uno spasmo o due, ma non ha veramente sentito
qualcosa fino a che non è cominciato il travaglio e anche allora non in modo
forte.”
“Mi stai dicendo che io sento quello che sente Liz? Che quando lei ha una
contrazione, la sento anche io?” chiese Max sbalordito.
“Si, Max. Tu sperimenti quello che Liz sta sentendo. La maggior parte delle
volte, per il padre, non va poi così male. Solo un piccolo fastidio. Ma non
credo che valga per te, Max. Tu sei connesso con Liz in un modo così stretto,
che potrebbe essere un po’ pesante per te.” Annie vide uno sguardo spaventato
sul viso del ragazzo e cercò di alleggerire le sue preoccupazioni. “Da quello
che mi hai detto, lei non è ancora in travaglio. Abbiamo ancora tempo, Max.”
Max si passò le mani tra i capelli e guardò il libro avanti a lui. Cosa sarebbe
successo se non avessero avuto più tempo?
***
Michael era fermo accanto alla scrivania nello studio di Daniel, controllando
la lista di nomi che gli era appena arrivata via email. 247 M. Sanchez. 261 B.
Smith. 352 J. Rodriguez. Troppi nomi da verificare. Troppo poco tempo.
“Il database è classificabile?” chiese Max guardando lo schermo del computer da
sopra la spalla di Daniel. “ieri sera Isabel ha scoperto che il nome di
Rodriguez è Juanita. Così possiamo eliminate i John, le Janet e tutti gli
altri. E possiamo dividerli secondo il sesso? Sanchez è femmina e Smith è
maschio, così il campo dovrebbe restringersi.”
Daniel lavorò per diversi minuti snellendo i dati, componendo nuove liste,
salvando i nuovi records.
Alla fine si appoggiò alla spalliera della sedia, guardando lo schermo del
computer. “Fa una grande differenza. Abbiamo ristretto 860 nomi, a soli 287.
Abbiamo 44Juanita Rodriguez, 176 Sanchez e 67 Smith.”
“E il lavoro?” chiese Max “Possiamo dividerli a seconda di dove lavorano? Cioè
trovare il posto dove tre di loro lavorano insieme. Forse sono registrati per
lo stesso posto.”
Daniel riprese i records rimanenti, creando una nuova lista di datori di lavoro
con alle dipendenze i tre nominativi.
Arizona State Hospital a Phoenix, Carlsbad Medical Center, Eastern New Mexico
Medical Center a Roswell, El Dorado Hospital a Tucson, Havasu Regional Medical
Center, Hybrinet Research Center a Las Cruces, Holy Cross a Taos, Institute for
Genetic Research a Phoenix . . .
“Hybrinet” disse Max lentamente “Perché questo nome mi sembra familiare?”
Rovistò tra i fogli posati sopra la scrivania per cercare le informazioni che
Jeff Parker aveva raccolto su John Miller. A Jeff non sembrava vero di fare
qualcosa per aiutare sua figlia, ed arrivò perfino ad ingaggiare un
investigatore privato per seguire i movimenti di Miller. Aveva scoperto che
Miller aveva trascorso l’estate a Washington DC, facendo pressioni sul
Congresso per ottenere finanziamenti addizionali per le varie ricerche in cui
era interessato. Max trovò il file e sfogliò le pagine fino a che trovò
l’elenco. Il nome gli saltò agli occhi. Hybrinet. “Deve essere questo.” disse
Max girandosi verso Daniel. Per la prima volta dopo tanti mesi, Max si sentì
ottimista. “Ci deve essere una relazione.”
Max cominciò a camminare avanti e indietro con l’elenco davanti a lui. “Dopo
che Jeff mi ha dato la lista, Michael ed io siamo andati a Las Crucis ma tutto
quello che abbiamo scoperto è che stavano creando ibridi di piante adatte a
resistere nel deserto. Abbiamo perlustrato il posto a cima a fondo. Nessun
livello segreto, nessuna massima sicurezza. Li abbiamo seguiti nelle loro
uscite nel deserto e sicuramente stavano studiando il terreno e la vita delle
piante. Hybrinet, ibridi, non ci vuole un genio per trovare la connessione.”
“Sono d’accordo, Max.” disse Daniel prendendo il telefono. “Sto per mandare
gente sul posto, per vedere se riescono a trovare qualcosa.”
***
Max si stiracchiò cercando di alleviare il fastidio che provava alla schiena.
Il suo pensiero tornò a Liz, come sempre, e si chiese se anche lei stava
provando ora lo stesso dolore. Andò verso l’armadio e ne prese un assortimento
di camicie e due paia di jeans. Li sistemò sul letto e tornò a prendere calzini
e biancheria. Prese il suo zaino. Tornò verso il letto e cominciò a riempirlo.
“Cosa stai facendo, Max?” gli chiese Daniel dalla porta.
“Sto andando a Las Cruces per aiutare nelle ricerche.” rispose Max, sorpreso
dalla domanda di Daniel. Come poteva NON andare? Aveva bisogno di essere lì
quando avrebbero trovato Liz. Non poteva starsene fermo ad aspettare.
“Max, noi abbiamo bisogno di te qui.” disse Daniel entrando nella stanza. “ La
tua connessione con Liz è l’unica strada che abbiamo per sapere cosa succede a
lei e a Josh. Se vai via, Isabel potrebbe non riuscire a connettersi con lei.
E’ importante che Isabel tenti di raccogliere altre informazioni nel caso che
la faccenda della Hybrinet non vada in porto. Tu capisci, Max, non è vero? Tu
sei molto più utile a Liz stando qui, che girando per il paese in una ricerca
che potrebbe non portarti da nessuna parte.”
Max crollò sul letto, sentendo il suo ottimismo affievolirsi. Cosa sarebbe
successo se la pista Hybrinet fosse stata un vicolo cieco, proprio come pensava
ad Agosto? Si chinò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia e si prese la
testa tra le mani.
“Sei stanco, Max.” notò Daniel “hai bisogno di riposarti. Domani parleremo
ancora.”
Max guardò in su verso Daniel ed annuì. Si alzò e raccolse i suoi vestiti per
riporli di nuovo nell’armadio, quando Annie si affacciò dalla porta. “Max, Jeff
Parker al telefono per te.”
Max guardò l’apparecchio sul comodino. Perché Jeff lo stava chiamando? Era
successo qualcosa ai suoi genitori? A Maria? Ad Alex? Non chiamava certo per
are due chiacchiere. Forse non era successo nulla. Forse stava solo avendo una
reazione esagerata. Posò i suoi vestiti e lentamente prese il telefono.
“Pronto?” disse, sentendo il groppo in gola che tradiva il suo nervosismo.
“Max? Sono Jeff. Ho delle notizie per te.” Max si sedette sul bordo del letto,
aspettando di sentire cosa aveva da dirgli.”E’ Miller. Sta tornando a Roswell.”
“Cosa? Sta tornando lì? Quando?” Max balbettava Sapeva che Jeff stava ancora
pagando un detective per rintracciare Miller, ma era stato a Washington tanto
di quel tempo, che lui pensava non sarebbe andato più da nessuna parte.
“Presto, la prossima settimana. Ha prenotato oggi il volo. Da D.C. ad
Albuquerque a Roswell. Credo che questo voglia dire qualcosa, Max. Perché
volare fino a Roswell? Non si può dire che ci sia un centro di attività, qui da
noi. Non pensi che forse dovresti tornare?”
Max rimase impietrito per un attimo. Miller che tornava a Roswell. Chiuse gli
occhi, mentre i ricordi di quello che quel sadico gli aveva fatto lo
sommergevano. Lentamente, la sua attenzione ritornò alla voce di Jeff che
chiamava il suo nome. “Um, solo un minuto, okay?” Senza aspettare la risposta,
allontanò il telefono dall’orecchio. “Jeff dice che Miller arriverà a Roswell.
Martedì. Pensa che anche io dovrei tornare.”
“Parliamone. Dopo che avrai finito.” disse Daniel e accompagnò Annie fuori
dalla porta.
“Max?” chiamò Jeff dall’altra parte della linea.
“Si, sono ancora qui. Ne parlerò con Daniel e ti chiamerò domani mattina.”
“Okay.” disse Jeff, e poi ci fu una pausa di silenzio.
“Max?” disse una voce femminile.
“Signora Parker?” Max sentì uno spasmo improvviso alla schiena, ma non era
certo se era perché stava sentendo un’altra contrazione di Liz o perché stava
parlando con la madre.
“Come sta andando Liz’” Max aveva raccontato ai Parker delle passeggiate nei
sogni e di come era stato in grado di ristabilire un contatto con Liz. Lei non
aveva capito bene, ma era sollevata che avessero una via per comunicare.
“Sta andando bene. Io … io le ho parlato ieri notte, e … si, lei … si sente
abbastanza bene.” Lui non sapeva mai cosa dire a Nancy Parker. Apparentemente,
lei non lo aveva mai accusato di nulla, ma lo faceva sentire comunque a
disagio, Lui sapeva che era probabilmente il suo senso di colpa a dargli quella
sensazione, piuttosto che qualcosa che lei avesse detto o fatto.
“Dille che le vogliamo bene, quando andrai da lei la prossima volta.” disse
dolcemente Nancy e Max fu sicuro di aver udito un tremito nella sua voce.
“Okay, io … um, okay.”
“”Bene, ci sentiremo domani, Max.” Jeff terminò la sua conversazione e si
salutarono. Max riappese e fissò il telefono per un minuto, strofinandosi
distrattamente la schiena. Miller che tornava a Roswell. Cosa poteva
significare?
Capitolo 34
Max sedeva sulla riva del ruscello
aspettando pazientemente che lei arrivasse. Il leggero rumore dell’ acqua era
rassicurante, confortevole, ma senza di lei non poteva apprezzarlo. Quella
notte la luna brillava, riempiendo un angolo di cielo mentre si alzava
lentamente all’orizzonte. Lei avrebbe dovuto essere lì, per dividere quella
visione con lui. Sarebbero dovuti essere sul terrazzo di lei. A casa. A Roswell.
Insieme.
“E’ molto che aspetti?”
Sentì la voce di Liz dietro di lui e si girò veloce. Lei appariva luminosa,
alla luce affascinante della luna piena. I raggi della luna si riflettevano sui
suoi capelli. Avvolgendola in un alone di luce. La sua pelle brillava.
Il vestito le fluttuava intorno, mettendo in rilievo le splendide curve del suo
corpo. Lei non gli avrebbe creduto, se avesse espresso i suoi pensieri ad alta
voce, ma Max trovava che il suo corpo, pesante della forma del loro bambino,
era la più bella cosa che lui avesse mai visto.
“Non molto.” rispose alla fine alla sua domanda. Lui si alzò e percorse la
breve distanza che lo divideva da lei, avvolgendole le braccia intorno. “Come
ti senti?”
“Sto bene,” sospirò contro di lui ”ora che siamo insieme.” Anche se solo nel
sogno, lei riusciva a sentire il suo odore, unico. Si rannicchiò ancora più
vicina, con la faccia sepolta nel suo petto forte.
Dopo un rilassante silenzio, mentre le dita di Max passavano attraverso i
lunghi segosi capelli di lei e i loro pensieri andavano alla deriva, Liz disse
“Ellie è diventata veramente tranquilla.”
Le dita di Max smisero di muoversi tra i capelli e lui chinò la testa per
guardarla. Una settimana prima non avrebbe capito il significato di questa
espressione. Ora, invece, sapeva. Aveva cercato di imparare tutto quello che
poteva sul parto, per la sicurezza di Liz, e sapeva che quando si avvicinava il
momento della nascita, il bambino diventava calmo, per prepararsi ad entrare
nel mondo. Come per averne la riprova, mise le sue mani sulla pancia e non ebbe
la vivace risposta che Ellie gli dava di solito. La poteva sentire, ne
percepiva il contatto, ma lei si stava preparando alla tremenda richiesta di
energia che le sarebbe costata per venire al mondo. “Quanto tempo pensi che ci
rimanga, ancora?”
“Qualche giorno, forse una settimana.” I suoi larghi occhi scuri, mostravano la
sua paura. Non potava farne a meno. Di solito cercava di essere allegra con
lui, per non lasciargli vedere la sua paura e la sua preoccupazione. Cercava di
proteggerlo dalle cose su cui non aveva potere. Le cose che avrebbero reso il
suo fardello più difficile da sopportare.
“Siamo vicini, Liz. “ lui le sorrise “ Molto vicini.”
“Cosa vuoi dire?” gli rispose guardandolo speranzosa.
“Le cose stanno andando per il verso giusto. Daniel ha mandato la sua gente ad
esaminare i dipendenti della Hybrinet. C’è voluto un po’ di tempo, troppo
tempo, ma ora abbiamo gli indirizzi di quelli che crediamo essere i dipendenti
del posto in cui ti tengono. Daniel è stato capace di accedere alle
registrazioni delle patenti e Isabel ha riconosciuto le fotografie. Non possono
lavorare 24 ore su 24. Dovranno pure tornare a casa prima o poi, giusto? Ora le
loro abitazioni sono sotto controllo, così potremo seguirli fino a te.”
“Lo spero, Max.” rispose Liz, non dando la sensazione di essere positiva come
al solito.
“E se questo non funziona, troveremo qualche altra cosa.” Era restio a dire a
Liz che il giorno dopo Miller sarebbe tornato a Roswell. Qualcuna delle cose
peggiori che le avevano fatto o era venuta dalle mani di Miller o era stata
ordinata da lui.
“Max …”
“Cosa, bambina? Dimmi cosa stai pensando.”disse Max dolcemente.
Lui usava di nuovo questo vezzeggiativo con lei. Bambina. L’aveva usato una o
due volte prima di allora, quando erano prigionieri al Lakely Institute, molto
prima che sapessero della sua gravidanza e della nascita imminente.
“Ho sentito qualcosa stamattina e non so se può essere utile. Di solito stanno
molto attenti a non parlare davanti a Joshua o a me, ma per qualche motivo,
riesco a sentire molto meglio ora di quanto non facessi prima.
Ho sentito per caso una coppia di tecnici che parlavano di un incidente sulla
Statale 70. Dicevano che era a circa 50 chilometri fuori di Roswell ed aveva
interrotto il traffico per ore. Parlavano come se l’incidente li avesse fatti
ritardare al lavoro. Pensi che possa aiutarvi?”
“Certo!” gridò Max eccitato “Questo può restringere le ricerche.” Si chinò per
baciarla, felicissimo che lei avesse trovato un altro indizio, quando la sua
immagine cominciò a dissolversi. “Liz?” disse lui allarmato “Liz, non lasciarmi
ancora. Ti prego, non andartene.” La implorò.
“Mi dispiace, Max.” lei esitò “Mi stanno svegliando …” e la sua immagine svanì.
Lui fisso il vuoto dove lei era stata solo un momento prima. “Liz … “ sussurrò
dolorosamente nella notte. Intorno a lui tutto era tranquillo, nemmeno il suono
del ruscello si sentiva nell’aria. Lei era quella che portava la vita in quel
posto e senza di lei, tutto era insignificante, vuoto. Max si inginocchiò,
prendendosi il viso tra le mani e sentendo la disperazione scendere su di lui.
***
Max afferrò il telefono, incurante che fossero le 2 di notte. Compose il numero
che ormai sapeva a memoria ed aspettò che cominciasse a suonare dall’altro
capo.
“Pronto?” una voce assonnata, ma familiare rispose al terzo squillo.
“Sceriffo? Jim? Sono Max. Ho bisogno di chiederti qualcosa.” Dopo essersi
svegliato, Max aveva ripetuto la sua conversazione con Liz ancora e ancora
nella sua mente. Aveva preso in considerazione di aspettare fino al mattino
prima di telefonare, ma con la sensazione che il tempo fosse troppo importante,
si era imposto di telefonare ora, di notte.
“Max?” Jim si tirò a sedere nel letto, mettendosi subito in allarme. “Qual è il
problema? E’ successo qualcosa? Si tratta di Liz?”
“No. Liz sta bene per il momento. Lei mi ha detto qualcosa che potrebbe essere
importante, ma ho bisogno di una conferma da te.”
“Okay.” rispose Jim e non poté fare a meno di notare il tono della voce di Max.
Si sentiva la tensione nel suono della sua voce, nel modo in cui sussurrava
quando parlava di Liz. “Cosa hai bisogno di sapere?”
“C’è stato un incidente di recente? Sulla Statale 70, non lontano da Roswell?
Che ha bloccato per un po’ di tempo il traffico?”
“Si!” rispose Jim strofinandosi gli occhi assonnati. “Ieri mattina. Una coppia
di turisti che venivano da un altro Stato ha passato la linea di mezzeria ed è
stata presa in pieno da un camion diretto verso est. Sono morti sul colpo. Le
rilevazioni hanno preso diverse ore. La statale non è stata riaperta che nel
pomeriggio.”
“E’ successo ad est di Roswell, verso Portales, o ad ovest, verso Hondo?” Max
era sulle spine, sapendo quanto fosse importante. Questo poteva focalizzare le
loro ricerche. Invece di cercare in tutto lo Stato, o in diversi stati,
potevano mettere a fuoco una piccola area.
“Verso est, non lontano da Elkins.”
“Torno a casa domani.” disse Max riordinando i suoi pensieri e riattaccò il
telefono. Saltò fuori dal letto e andò verso l’armadio, riprendendo i vestiti e
mettendoli nello zaino. Ci vollero solo pochi minuti. Trascorse il resto della
notte vicino alla finestra. Guardando le nuvole coprire la faccia della luna e
pensando a Liz.
***
“Qui.” disse Max cercando nelle tasche dei pantaloni e tirando fuori le sue
chiavi. Le mise nella mano di Isabel, che le chiuse tra le dita. “Prendi la
Jeep e torna a Roswell. Porta Michael con te, così non dovrai guidare da sola
per tutta la strada.” Guardò in alto mentre lo speaker annunciava la chiamata
per l’imbarco e controllò il biglietto. “Questo è il mio. Devo andare.”
“Non ti preoccupare per noi, Max. Vola tranquillo. Ci vediamo domani.” Isabel
lo abbracciò velocemente e lo guardò rimettere a posto il biglietto ed
imboccare la rampa per salire sull’aereo. L’aereo che lo avrebbe portato, pieno
di speranza, più vicino a Liz.
***
Liz era concentrata sulla macchia di umidità sul soffitto. Se spostava
leggermente la testa, prendeva la forma di Pegaso, con le ali aperte verso il
cielo e la coda allungata dietro di lui. I suoi zoccoli scalpitavano nell’aria
e, se lei fingeva, poteva sentirne i nitriti di protesta. Se si concentrava
abbastanza, poteva scivolare in un mondo dove poteva cavalcare quel bianco
animale, verso la sicurezza della sua casa e della sua famiglia, con Max che la
aspettava per prenderla tra le braccia, invece di stare distesa in quel letto
con la mano di Johnson in un posto in cui non avrebbe dovuto stare.
“Stai procedendo bene, Liz.” disse Johnson sorridendole, mentre si sfilava il
guanto di lattice. “Sei dilatata di 2 centimetri. E’ un buon segno. Ci siamo
vicini. Le tue membrane sono ancora intere ed il parto non è ancora cominciato,
ma non manca molto, ormai. Rilassati. Riposati. Avrai bisogno di tutta la tua
energia una volta che il travaglio sia cominciato.” Le strinse affettuosamente
la mano, non notando come lei si tirava via da lui.
Dopo che se ne fu andato, Liz si mise su un fianco per vedere Joshua nell’altra
stanza. Le sue caviglie ed i suoi polsi erano ancora legati, nonostante che le
droghe che gli somministravano lo tenessero in stato di semicoscienza. Aveva
ascoltato per caso le infermiere parlare di lui, di come non volessero che lui
interferisse in qualche modo con il suo parto. Le mancavano le loro
conversazioni, il dividere i pasti con lui. Benché fosse legato, quando era
sveglio lei non si sentiva sola. Ora che lui viveva in un sonno continuo, lei
non aveva nessuno tranne Ellie, che peraltro ora era molto tranquilla.
Si passò la mano sulla pancia mentre avvertiva un’altra contrazione. False
doglie. Ma all’improvviso potevano diventare reali …
***
L’aereo atterrò e rollò verso il terminal. Quando si fermò Max si alzò
velocemente e scese la scala verso la pista. In distanza, riuscì a vedere Jim
Valenti andargli incontro ed affrettò il passo.
“Ho la macchina qui davanti, se vuoi fare un giro ora.” disse Jim, posando il
braccio sulla spalla di Max in un gesto paterno. Non si perse in luoghi comuni
o spiritosaggini. Sapeva che Max era tornato per una cosa, e una cosa sola.
Trovare Liz. Niente altro importava.
“Si, mi farebbe piacere.”Max guardò l’uomo di cui aveva avuto tanta paura, e
che ora si dimostrava per lui un grande alleato. Era un sollievo sapere che
c’era tanta gente che lo stava aiutando. Non sarebbe stato più solo. Sperava
che questo fosse abbastanza per costituire la differenza.
Si diressero a nord, sulla 285, fino a raggiungere la Statale 70. Era un
piacevole giorno di ottobre, e gli alberi lungo la strada cominciavano a
cambiare colore. Questo ricordò a Max che il tempo stava passando, troppo
veloce, correndo via. Tutti quei mesi che aveva passato da solo, incalzato dai
suoi demoni, sembravano finiti per sempre. Ogni giorno si trascinava senza
fine, senza un attimo di tregua. Ora che aveva aiuto e la possibilità di
trovarla sembrava così vicina, sentiva che il tempo lavorava contro di lui, in
una velocità fuori controllo.
“E’ successo proprio qui.“ disse Jim indicando davanti a lui. “Uno dei peggiori
incidenti che abbia mai visto. Il camion è finito proprio sopra la macchia,
schiacciandola. Non avevano scapo.” Jim si accostò al lato della strada e Max
scese, esaminando il posto. Notò i segni di slittamento sull’asfalto, unico
segno rimasto della tragedia che era successa lì. La tragedia che lo aveva
portato un passo più vicino a Liz.
“Possiamo proseguire?” disse Max dopo alcuni minuti.
Jim annuì e ritornarono alla macchina.
Camminarono in silenzio, mentre Max studiava la strada ed il terreno. Guidarono
per miglia, vicino al confine con il Texas. Quando raggiunsero Elida, Max
sospirò profondamente e suggerì di tornare indietro.
“Sei sicuro, Max? Possiamo proseguire se vuoi. Non mi dispiace.”
“No. Non credo che serva a qualcosa.” disse Max stancamente. “Torniamo
indietro.”
Guidarono in silenzio, con Max perso profondamente nei suoi ricordi. Memorie
delle gite per il paese con Liz, il viso sorridente, le labbra che seguivano
una canzone alla radio, un leggero canticchiare che veniva dal profondo della
sua gola. Fu sbalzato in avanti, strappato ai suoi pensieri, quando Jim imprecò
e frenò all’improvviso.
“Idiota.” brontolò Jim e si spinse in avanti per accendere le luci e la sirena.
“Quell’imbecille sta tentando di farci ammazzare tutti.”
Max girò lo sguardo per vedere una lucida macchina nera che si era immessa
sulla statale da una strada a destra, tagliando direttamente davanti alla loro
auto e poi slittando mentre cercava di riprendere aderenza con l’asfalto.
Mentre la sirena suonava insistentemente, Max vide gli stop illuminarsi e la
macchina accostarsi al bordo della strada.
“Torno subito.” disse Jim rivolto a Max e si diresse verso la macchina con in
mano il blocco delle contravvenzioni. Max lo guardò distrattamente mentre
controllava la patente del guidatore e compilava la contravvenzione. Dopo aver
dato all’autista la sua copia, Jim torno alla macchina e mise il libretto sul
sedile vicino a Max. “Qualcuno non cresce mai.” mormorò e si sedette dietro al
volante.
Max diede un’occhiata al libretto e il cuore gli si fermò nel petto. Fissò il
nome sulla contravvenzione. Lui conosceva quel nome. Bennett Smith. Un nome
insolito. Probabilmente si faceva chiamare Ben. Max prese il blocco e controllò
la firma. Era lo stesso nome che aveva letto a Phoenix? Sulla copia della
patente di guida che aveva visto? La patente del Bennett Smith che lavorava
alla Hybrinet?
“Max, che hai?” Jim era preoccupato. La faccia del ragazzo era sbiancata. “Stai
bene?”
Max guardò la macchina riprendere la strada lentamente e con prudenza. Si girò
sul sedile per guardare la strada polverosa da cui proveniva la macchina, prima
di immettersi sulla statale. “Dove porta quella strada?” chiese Max, ignorando
la domanda che Jim gli aveva fatto e sentendo il cuore battere velocemente.
Jim si girò nella direzione in cui Max stava guardando. “Quella vecchia strada?
Va verso Haystack Mountain.”
“Haystack Mountain … “
“Si. Era un sito militare, intorno agli anni quaranta. Un sacco di posti qui
intorno erano basi militari durante la guerra. Molti sono stati abbandonati
circa cinquant’anni fa, incluso Haystack. Ora non c’è più niente lì.”
Max si girò verso Jim con le mani che gli tremavano e una costrizione nel
petto. I suoi occhi erano fissi in quelli di Jim e le sue mani erano serrate
sul libretto.
“Eccetto forse Liz.”
Capitolo 35
Max non sapeva cosa fare. Doveva dire a
Valenti di seguire la macchina in modo da non perdere le tracce di Bennett
Smith, o doveva seguire strada polverosa che lo avrebbe portato dove lui
sospettava tenessero Liz? Se seguivano la strada, e non trovavano niente, e
perdevano Smith per la sua scelta … ma se seguivano Smith, e ritardavano la
possibilità di raggiungere Liz e lei era realmente lì …
“Max? Max, che c’è? Cosa ti fa pensare che Liz potrebbe essere su quella
strada?” chiese Jim, scuotendolo per la spalla.
“Perché il nome su questo foglio è lo stesso nome di uno dei tecnici che lavora
dove è tenuta Liz.” disse Max e il suo sguardo divenne duro. “E lui proveniva
da una vecchia strada polverosa dove c’era un vecchio sito militare. Un sito
abbandonato. Un posto deserto dove nessuno può controllare che entra e chi
esce. Un posto a cui Liz si era riferita come ‘la Montagna’. E tu mi dici che
il nome del posto alla fine di questa strada è Haystack Mountain. Non so cosa
devo fare.” La sua voce era rotta per la tensione. Guardava la macchina
prendere velocità e dirigersi verso Roswell, e poi si girò sul sedile per
guardare la strada polverosa che era sicuro l’avrebbe portato verso Liz.
Jim prese il radiotelefono dal cruscotto. “Hansen, rispondi per favore.”
“Sono qui, Sceriffo. Cosa posso fare per lei?” arrivò la risposta di Hansen.
“Dammi la posizione di Forrest.” Jim guardò Max, notando quanto appariva
nervoso mentre guardava in lontananza.
“Ha appena chiamato per un piccolo incidente tra Citrus e Main. Vuole che lo
contatti per lei?”
“No. Cosa mi dici di Owen? Dov’è?”
“Proprio accanto a me, Sceriffo.” Rispose Hansen.
“Passamelo!” Jim aspettò, guardando la gamba di Max che tamburellava per
l’agitazione.
“Cosa posso fare per lei, sceriffo?” chiese Owen quando prese la linea.
“C’è una macchina che voglio tu segua. E’ diretta ad ovest sulla Statale 70, a
circa 25 chilometri dall’ incrocio con la 285. Trans Am nera, targata BNJ555.
Alza in fretta il tuo sedere e seguilo dovunque vada. Usa una macchina senza
insegne per non insospettirlo.”
“Sono già lì.” Gracchiò la voce di Owens dalla radio.
Jim vide il sollievo sul viso di Max e poggiò il ricevitore.
“Andiamo a fare un giro, Max.” disse e fece una conversione ad U sulla Statale.
Un minuto dopo lasciarono la strada asfaltata prendendo, verso nord, una
vecchia, strada sterrata senza alcuna indicazione.
Viaggiarono per diverse miglia in silenzio, mentre la macchina sobbalzava sui
solchi del terreno. Max notò che la strada non era coperta dalla vegetazione,
come ti saresti aspettato in una strada non utilizzata. Se non c’era nulla in
fondo, tranne una vecchia e abbandonata base militare, perché questa strada
sembrava così usata?
Il suo livello di ansia era cresciuto spasmodicamente negli ultimi minuti.
Aveva il sudore freddo e si strofinava, senza rendersene conto, i palmi delle
mani umidi sopra i suoi jeans. Il motore faticava mentre la pendenza stava
crescendo e la strada si dirigeva sulla cima della Haystack Mountain. Presero
una curva e Jim fece una frenataccia. Davanti, apparentemente costruita proprio
sul fianco della montagna, ‘era una struttura di cemento senza insegne,
circondata da un imponente recinzione.
Max guardò avanti a lui, col polso che correva veloce e i polmoni che
respiravano a fatica. Sentì la mano di Jim posarsi sulla sua spalla e si girò
lentamente, guardando l’uomo più anziano con uno sguardo affranto. “Se questo è
un sito abbandonato,” disse Max esitante “perché ci sono tante macchine nel
parcheggio?”
“Buona domanda.” disse calmo Jim mentre controllava l’area. Un assortimento di
macchine, jeep, camion, 25 o 30 in tutto, affollava l’area di parcheggio alla
destra della struttura. Jim sentì Max muoversi, vide la sua mano raggiungere la
maniglia, udì i cardini scricchiolare mentre la portiera si apriva. Le sue mani
afferrarono le spalle del ragazzo e lo respinsero sul sedile dell’auto. “Cosa
stai facendo, Max?”
“Io …” balbettò Max guardando l’edificio, poi Jim, poi ancora l’edificio. “Io …
Io devo … Lei è lì. Io lo so che è lì.”
“Tu non puoi semplicemente precipitarti dentro …”
“Ma lei è lì!” Max si girò verso Jim, con gli occhi pieni di terrore. “Devo
tirarla fuori.”
“Se tu entri lì dentro,” disse Jim tenendo ancora più forte le spalle di Max
“non solo ti farai uccidere, ma finirai per far uccidere anche lei.” Sapeva di
parlare in modo duro, ma doveva impedire al ragazzo di fare qualcosa di
avventato.
“Ma …” esitò Max, sapendo che Jim aveva ragione, ma sentendo l’impulso di
irrompere da quelle porte e distruggere chiunque avesse tentato di impedirgli
di salvare Liz.
“Max, non possiamo entrare lì alla cieca!”
“Okay, okay … hai ragione.” disse Max, tentando di calmarsi. “Dobbiamo
riflettere.” Le sue mani tremavano e si rendeva conto di non essere lucido.
Avevano bisogno di un piano. Ma lei era così vicina … lei era così vicina. Solo
dall’altra parte di quella porta …
***
Max chiuse il cellulare e lo posò sul tavolino da caffé. Si sedette sulla sedia
più vicina e girò gli occhi per incontrare gli sguardi pieni di aspettativa di
tutti i presenti nella stanza. I suoi genitori, i Parker, perfino Jim Valenti,
erano tutti in paziente attesa di sapere. Come riuscivano ad essere pazienti?
Come facevano a sembrare così calmi? Quest’attesa lo stava facendo diventare
pazzo! Lui avrebbe voluto rimanere a Haystack, ma Valenti aveva insistito
perché tornassero a Roswell, per far sapere a tutti gli altri quello che
avevano scoperto, quello che sospettavano.
“Cosa aveva da dire Daniel?” chiese alla fine Nancy Parker, quando fu chiaro
che Max si era di nuovo immerso nei suoi pensieri.
“Vuole che aspettiamo finché lui non sia qui.” disse Max, toccando nervosamente
i braccioli della sedia. Si alzò in piedi, passandosi nervosamente le mani tra
i capelli e cominciò a camminare, facendo come al solito un solco sul tappeto
del soggiorno.
“Lui ha delle persone veramente brave nella sorveglianza e vuole che loro
controllino il posto prima che noi entriamo. Potrebbero anche essere in grado
di far infiltrare qualcuno. Abbiamo bisogno di conoscere la pianta interna
dell’edificio. Dove Liz e Joshua sono tenuti, ammesso che siano lì.”
In un primo momento, era certo che avevano trovato il posto giusto. Ora i dubbi
lo tormentavano. Stavano sprecando tempo prezioso in una impresa senza
speranza? E se questo posto non fosse nulla di più di un centro di ricerca?
“Cosa mi dici di tua sorella?” chiese Philip.
“E’ già per strada.” disse Max, mentre continuava a camminare. “Lei e Michael
dovrebbero essere qui poco dopo mezzanotte. Daniel sta portando con lui altra
gente e dovrebbero arrivare domani mattina. C’è parecchia strada tra Phoenix e
Roswell.”
“A che ora dovrebbe arrivare Miller domani?” chiese Jim.
“L’arrivo del suo volo è previsto per le 2 del pomeriggio.” rispose Jeff.
“Max ed io lo seguiremo.” Jim informò gli altri. “ se lui si dirige ad Haystack,
allora avremo la risposta alle nostre domande su dove sono Liz e Joshua.”
***
Max stava accanto alla finestra, guardando i Parker che traversavano la strada
per andare a casa. Spostò leggermente le tendine, mentre un altro spasmo
assaliva la sua schiena. Guardò la luna e le stelle e si sentì percorrere da un
brivido. Stanotte il cielo sembrava minaccioso, con una nebbia che celava
tutto. Sembrava un presagio di cose brutte e Max cercò di scacciare i pensieri
neri che lo perseguitavano. Erano così vicini ora, lui lo sapeva, allora perché
era soffocato dalla sensazione che qualcosa di terribile stava per succedere?
Decise che, probabilmente, era qualcosa che aveva a che fare col ritorno di
Miller. In fin dei conti, in tutti quei mesi sotto la custodia di Johnson, Liz
era stata trattata ragionevolmente bene. Ora che Miller era tornato, Max aveva
paura.
Diane vide suo figlio accanto alla finestra, mentre guardava nella notte. Era
così cresciuto in questi ultimi mesi, pur essendo così giovane. Troppo giovane
per soffrire così tanto. Gli si avvicinò e gli passò la mano sulla schiena. Max
sobbalzò, la sua testa si girò per guardarla, offrendole un sorriso incerto.
“I Parker sono andati via?” chiese Diane.
“Si. Qualche minuto fa.”
“Meno male che Jeff è stato in grado di avere quell’informazione sul ritorno di
Miller.” Vide Max annuire e poi quello che disse la sconvolse.
“Lei mi odia, lo sai?” disse calmo Max.
“Lei …? Di cosa stai parlando, Max?” chiese Diane, preoccupata dal suo tono
sconfitto.
“Nancy Parker. Lei mi odia.” Max sospirò e si allontanò dalla finestra.
“Max, non …”
“Lei pensa che io ho rovinato la vita di sua figlia.” Max lanciò a sua madre
uno sguardo pieno di dolore e lo distolse subito. “Ed ha ragione. Tutto quello
che è accaduto, tutto quello che lei ha passato, è per colpa mia. Liz dovrebbe
andare a ballare, avere appuntamenti con qualche ragazzo, godersi la scuola,
fare piano per il college, ma per colpa mia, per colpa del fatto che non sono
riuscito a stare lontano da lei …” La sua voce si ruppe e a Diane vennero le
lacrime agli occhi. Max si appoggiò contro la schiena del divano, dandole le
spalle, coprendosi il viso con le mani e nascondendolo da lei.
“Max, lei non ti odia. E’ solo una madre, che ha paura per sua figlia.” Disse
avvicinandosi a lui.
“Io non la biasimo, mamma.” disse Max, parlando a fatica. “Io non la biasimo
affatto. Lei ha tutto il diritto di odiarmi. Non riesce nemmeno a guardarmi.”
“Amore …”
“Io le ho rovinato la vita, mamma.” La sua voce si spezzò all’ improvviso e
Diane lo prese tra le braccia.
“Lasciati andare, amore. Lasciati andare.” Max aveva tenuto tutto chiuso dentro
per così tanto tempo. Aveva bisogno di lasciarsi andare. Lei lo senti
appoggiare la testa sulla sua spalla e poi i suoi sommessi singhiozzi
cominciarono a scuoterle il corpo.
“Andrà tutto bene, tesoro.” Lei parlava in modo rassicurante mentre lui dava
sfogo alle sue emozioni, emozioni che non poteva lasciar intravedere a Liz,
emozioni che lui a fatica era riuscito a nascondere durante il giorno. La
tensione aveva lavorato su di lui per mesi, ed ora la stava lasciando fluire da
lui, confortato dall’abbraccio amoroso di sua madre.
Le sue lacrime di paura e di frustrazione e di perdita bagnavano il davanti
della camicetta di Diane e con la loro uscita, lasciarono il posto ad un senso
di serenità.
Max rialzò lentamente la testa, imbarazzato dal suo crollo improvviso e dalla
mancanza di controllo. Si asciugò gli occhi e strofinò il naso con il dorso
della mano. “Mi dispiace, mamma. E’ la seconda volta che ti rovino una
camicetta piangendo come un bambino.”
“E’ per questo che sono qui, tesoro.” lei sorrise rassicurante “Qualche volta
hai bisogno di lasciarti andare, altrimenti finirai per morire dentro. Ora hai
bisogno di andare a riposare.”
Max si sentì debole, per essersi lasciato trasportare così dalle emozioni, ma
lei aveva ragione. Si sentiva meglio, ora. Si era sentito come una pentola a
pressione pronta ad esplodere, ed ora si sentiva più rilassato, più
concentrato. Si sentiva purificato. Con la mano appoggiata alla schiena di lui,
Diane lo condusse nella sua camera.
***
Max, guardò da distanza di sicurezza, l’aereo rullare fino al terminal. I
passeggeri sarebbero scesi subito, per la scaletta che portava alla pista,
proprio come aveva fatto lui ieri. Cercò di prepararsi a rivedere Jonathan
Miller dopo cinque mesi, ma provò comunque un grosso colpo fisico quando arrivò
a vederlo. Quell’uomo manifestava arroganza persino nel modo in cui camminava.
Non richiesti, si riaffacciarono i ricordi di Miller che stava lì, osservandolo
con un sorriso, mentre lo spingevano sott’acqua e ce lo tenevano fino a che i
suoi polmoni venivano a mancare. Lui aveva cercato di lottare contro le mani
che lo afferravano e lo tenevano sotto, con i polmoni che urlavano per il
bisogno di aria. Quando il buio scendeva su di lui, loro lo tiravano fuori,
soffocato dall’acqua che i suoi polmoni avevano aspirato nel tentativo di
respirare. E dopo una breve pausa, Miller aveva ordinato un’altra immersione, e
poi un’altra ancora. Avevano provato con l’acqua calda, poi con l’acqua
ghiacciata, poi con l’acqua salata e sempre Miller era lì accanto, ed osservava
con un sorriso.
Jim vide il corpo di Max tendersi quando l’uomo dai capelli scuri uscì
dall’aeroplano. Scese dalla scaletta e si avviò per la pista, con
l’atteggiamento dell’uomo che si sente il padrone del mondo.
“E’ lui?” chiese Jim, provando una immediata avversione per quell’uomo.
“Si.” Rispose Max a denti stretti.
“Sembra un gran figlio di puttana.” osservò Jim.
“Si, lo è.” Disse Max senza distogliere gli occhi dall’uomo.
Videro Miller avviarsi verso il terminal, con il suo bagaglio in mano. Si fermò
al noleggio auto e Jim andò a recuperare la sua macchina, mentre Max continuava
a controllare Miller. Riusciva a mala pena a percepire la sua voce da quella
distanza, ma fu sufficiente per sentire la pelle d’oca. Altri ricordi si
intromisero, ricordi di essere legato ad un tavolo da esame mentre i tecnici
mettevano in atto le atrocità che Miller ordinava.
Gocce di acido sul suo corpo per vedere come la sua pelle reagiva. La sua pelle
asportata per esaminarla. Ma la cosa peggiore, Miller che con un tranquillo
sorriso, ordinava che le stesse cose fossero fatte a Liz.
Max chiuse per un attimo gli occhi, cercando di scacciare i ricordi. Quei
ricordi erano dannosi, adesso, interferivano con la sua concentrazione. Ora era
necessario che lui fosse mentalmente lucido, come mai prima nella sua vita.
Max seguì Miller, mentre lasciava il terminal, con in mano le chiavi di una
macchina presa a nolo. Valenti gli si fermò accanto e lui si infilò sul sedile
del passeggero, guardando ed aspettando che Miller prendesse la sua macchina.
***
Max sedeva in silenzio, cercando di rimanere calmo, mentre si dirigevano a nord
sulla 285, seguendo la Grand Am argentata. I suoi battiti accelerarono quando
vide il lampeggiatore accendersi mentre l’uscita per la Statale 70 si
avvicinava. Entrambi i veicoli uscirono sulla Statale, diretti ad est e tutti i
dubbi nella mente di Max si dissiparono. Miller si stava dirigendo a Haystack
Mountain.
Valenti interpose una discreta distanza tra i due veicoli, e venti minuti dopo,
come si avvicinò alla strada sterrata, la Grand Am rallentò. Lasciò la statale
, dirigendosi a nord per la vecchia strada di cui fino a ieri Max ignorava
l’esistenza. Jim si mantenne sulla statale diretto ad est, mentre Max si girava
sul sedile, stirando il collo per vedere l’altra macchina dirigersi a nord. Le
sue dita erano strette sui braccioli, le nocche bianche, mentre la distanza tra
i due veicoli cresceva.
Jim guidò per un altro paio di chilometri, come avevano concordato e poi
accostò al lato della strada. Max prese il cellulare dalla tasca e compose un
numero familiare. Isabel rispose al primo squillo.
“Si sta dirigendo verso di voi.” disse con voce ferma.”Sarà da voi tra un
quarto d’ora.”
“Siamo pronti.” rispose Isabel. Lei chiuse il cellulare e fece un segno di
assenso a Daniel. “Quindici minuti.” disse ad alta voce. Daniel passò
l’informazione agli altri che erano posizionati attorno all’edificio. Il loro
compito era controllare l’accesso all’edificio, il compito do Isabel era di
entrare nella testa di Miller.
***
Max si passò la mano sopra lo stomaco e guardò l’orologio. Tra pochi minuti
sarebbe arrivato il momento di tornare indietro e seguire Miller sulla vecchia
strada. Era importante che non sospettasse di essere seguito, così aspettavano
e attendevano il momento giusto. Impazientemente, Max tamburellava con le dita
sulla sua coscia. L’attesa era la parte peggiore. Il suo corpo era più teso di
un tamburo, aspettando di entrare in azione. Jim girò la macchina e si diresse
verso la Haystack Mountain.
***
Il rumore del motore li raggiunse prima che la macchina argentata fosse in
vista. Isabel si sporse per vedere la faccia dell’uomo che Max aveva descritto
come un mostro. Mentre ormai le cicatrici erano scomparse dal suo corpo, quell’uomo,
quel mostro disumano, aveva lasciato su suo fratello cicatrici che non
sarebbero mai sparite. Cicatrici che erano dentro, nella sua mente e nella sua
anima.
La macchina si fermò meno di 10 metri da dove Isabel e Daniel si erano nascosti
dietro una parete di arbusti. Lei riusciva a vedere chiaramente la sua faccia e
qualcosa nei suoi occhi le fece provare i brividi lungo la spina dorsale.
Daniel le strinse il braccio incoraggiandola e Isabel rispose con un sorriso
nervoso. Lei non aveva mai provato ad entrare nella mente di qualcuno che era
sveglio. Camminare nei sogni era facile, ma questo, ma vedere attraverso gli
occhi di qualcun altro, le era del tutto nuovo.
Isabel lo seguì con gli occhi mentre apriva la portiera dell’auto ed usciva. Il
suo respiro divenne molto teso mentre si concentrava e le sue gambe
cominciarono a tremare. I suoi occhi perlustravano il terreno intorno al medico
e per un breve momento lui si girò verso di lei. In quel momento lei si spinse
in avanti con la sua mente e fu dentro di lui. Chiuse gli occhi, vedendo ora
attraverso Miller, mentre chiudeva la macchina e si avvicinava all’edificio.
Arrivato alla recinzione, prese qualcosa dalla tasca e Isabel lo vide inserire
un tesserino della Hybrinet in uno scanner elettronico. Il cancello si aprì e
lui entrò nell’edificio. La procedura si ripetette, e Miller fu dentro, diretto
all’interno dell’installazione.
***
Valenti percorse la strada sterrata e parcheggiò dietro una macchia di alberi.
Avrebbero percorso l’ultimo chilometro a piedi. Max controllò ancora una volta
il suo orologio: non erano passati nemmeno venti minuti da quando Miller aveva
lasciato la statale. Come furono vicini alla costruzione, riuscì a malapena a
sentire la voce della sorella e cercò di concentrarsi.
“Un lungo corridoio, due porte a destra, chiuse. Non so cosa può esserci
dietro. Ora una porta a sinistra, sembra aperta. Una specie di ufficio. Nessuno
dentro. Ora prosegue dritto … c’è un corridoio che parte da destra, un lungo
corridoio, una scritta al neon ‘uscita’ sulla porta di fondo. Prosegue sul
corridoio principale, andando ancora avanti … un altro corridoio a sinistra.
Corto. Lo sta imboccando … usa di nuovo la tessera di accesso per entrare nella
prima porta a destra. C’è gente dentro la stanza … tre persone … con camici
bianchi. Sembra una specie di laboratorio. Provette, bicchieri, armadietti
contro la parete. Oh, Gesù …”
Max si accovacciò accanto a lei, ascoltando attentamente la sua descrizione,
memorizzandola. Aveva chiuso gli occhi per poterla visualizzare e, quando lei
imprecò, li aprì allarmato.
“E’ una nursery! Una nursery di un maledetto film di Frankenstein. C’è una
culla … ma è più simile ad una gabbia. Mio Dio, cosa hanno programmato di fare
a questo bambino?”
Max sentì il panico prendere possesso di lui e balzò in piedi. Valenti dovette
letteralmente bloccarlo per impedirgli di correre dentro l’edificio. “Non
ancora, Max. Non ancora.” Cercò di liberarsi dalla stretta di Valenti, gli
occhi colmi di una furia selvaggia. Lì dentro c’erano dei mostri. Mostri che
stavano per fare ad Ellie quello che avevano già fatto a lui, a Liz. Doveva
portarle fuori di lì.
“Non ancora, Max.” ripetette Jim, scuotendolo forte. “Lascia che Isabel faccia
il suo lavoro, che ottenga altre informazioni. Ancora non sappiamo dove ritrova
Liz …”
Le parole di Jim penetrarono nella mente tormentata di Max e lui smise di
lottare. Mise a fuoco Jim, poi Daniel, che lo stavano entrambi guardando con
comprensione, poi i suoi occhi si posarono su sua sorella, che era ancora nella
mente di un mostro,
“Sta uscendo, ora, tornando verso il corridoio principale … gira a sinistra,
andando nella stessa direzione di prima. C’è una grande parete di vetro sulla
destra. Vedo tante attrezzature mediche. Sembra che la stanza sia divisa in due
sul lato più lontano … sta entrando dentro, usando la tessera di accesso …
guardie, guardie armate. Passa tra di loro, parlando con alcuni tecnici … Vedo
… quello sguardo … credo di averlo già visto … ecco … Si1 E’ Joshua! Posso
vedere Joshua!”
Daniel chiuse gli occhi, tirando un sospiro di sollievo. Suo figlio era lì.
“E’ legato al letto.” Isabel continuò la sua descrizione dell’interno. “Sembra
addormentato, o privo di conoscenza … intorno a lui ci sono dei monitor …
girando a destra c’è un’altra stanza … sembra vuota …”
Max sentì il suo stomaco annodarsi. Dalla descrizione di Liz, questa doveva
essere la sua stanza. Perché era vuota? L’avevano spostata di nuovo? Dopo
essere arrivati così vicino, lei gli sfuggiva di nuovo? Dove l’avevano portata?
Max non riusciva a respirare.
“Aspetta … una porta si sta aprendo … è Liz! La vedo! Si sta strofinando la
pancia …”
Max cadde in ginocchio accanto a sua sorella, sommerso da un senso di sollievo.
Liz era lì. Grazie a Dio erano riusciti a trovarla. Non era troppo tardi.
“Lei sta salendo sul letto o ci sta provando … credo che si stia girando da
questa parte … Oh Liz, sembra così spaventata. Come ha visto Miller, la sua
espressione è cambiata.”
***
Liz aprì la porta del bagno e si diresse verso il letto, massaggiandosi il
ventre prominente, mentre camminava. Spostò la coperta e tentò di sedersi sul
letto, ma ormai la sua circonferenza le rendeva tutto più difficile. Si girò,
pensando di poter almeno arrivare a sedersi sul letto. Con la coda dell’occhio
vide qualcosa che le fece gelare il sangue nelle vene. Si girò lentamente,
terrorizzata dall’idea di vedere realmente quello che pensava di avere visto,
sperando che fosse solo un effetto della sua immaginazione esagerata. Sentì il
sangue lasciare la sua faccia mentre l’immagine entrava nel suo campo visivo.
Jonathan Miller. Jonathan Miller era tornato. E la stava guardando. La stava
guardando con quel sorriso maligno sul viso. Jonathan Miller, il mostro in
forma umana.
Si diresse verso la sua stanza, aprendo la porta, entrando nella camera e
andando verso di lei. Liz indietreggiò. Quando lui stese la sua mano.
“Ciao, Liz. Perché non vuoi darmi la mano? Hai un bell’aspetto. Molto bello.
Molto differente dall’ultima volta che ti ho visto. Sono così contento di
essere arrivato in tempo per il grande evento.”
Liz lo guardò senza parlare, incapace di muoversi. Max l’aveva messa in guardia
la notte precedente, parlandole del ritorno di Miller, così che fosse
preparata, ma vederlo era stato comunque un grosso colpo per lei. Liz ignorò la
sua mano distesa e si appoggiò al letto, cercando di stare il più possibile
lontano ad lui.
“Spero che Johnson abbia avuto buona cura di te, durante la mia assenza.” Fece
scivolare la mano sotto il braccio di lei e facilmente la fece salire sul
letto. Anche con il peso del bambino, era leggera come una piuma. Proprio una
cosina minuscola.
Come la toccò, Liz si fece piccola per la paura, incrociando le braccia sopra
il ventre nel tentativo di proteggere il suo bambino da lui. Un’altra
contrazione attraversò il suo corpo e lei cercò coraggiosamente di mascherare
il dolore, così che lui non sapesse …
***
Max controllò ancora l’orologio mentre ascoltava la descrizione che Isabel
stava facendo di quello che accadeva all’interno. Venti minuti. Le contrazioni
ora arrivavano ogni venti minuti.
Capitolo 36
Daniel era in piedi accanto al tavolo
di cucina degli Evans e descriveva la pianta dell’edificio. La descrizione
fatta da Isabel era stata registrata mentre lei parlava, e dalle sue
osservazioni era stato tratta una pianta dettagliata. Era stato formulato un
piano, un salvataggio che sarebbe stato prezioso.
“Qualcuno ha qualche suggerimento su come impossessarsi di una tessera di
accesso della Hybrinet?” chiese Daniel , guardandosi intorno per la stanza.
“Abbiamo bisogno di procurarci una vera tessera per poter entrare. Se usiamo i
nostri poteri, potremmo far scattare l’allarme e non possiamo correre questo
rischio. Abbiamo bisogno di una tessera senza limitazioni, una che ci dia
libero accesso all’area dove sono tenuti Liz e Joshua.”
“Il mio Vice ha seguito Bennett Smith a quella che sembra essere la sua attuale
residenza.” li informò Valenti. “Posso andarci, fare una ricerca e vedere se
riesco a trovare la sua tessera. Se non riesco a trovarla, aspetterò che
rientri. La prenderò da lui e lo porterò alla stazione, così che non possa
avvertire gli altri di quello che stiamo facendo.” In fondo è solo una piccola
violazione dei diritti civili, pensò. Tutti quelli coinvolti con quel barbaro,
per non dire criminale, trattamento di Liz e Joshua, non erano più degni dei
loro diritti civili.
“Bene.” Daniel annuì sorridendo. Era bello avere amici importanti sul posto.
“Andrà solo un piccolo gruppo, in segreto, vestito per confondersi con il
personale, con un gruppo più grande pronto ad intervenire se le cose si mettono
male. Dobbiamo fare una prova, gente, prima di fare sul serio. Dobbiamo ridurre
al minimo i rischi per le nostre persone che sono dentro.”
‘Le nostre persone che sono dentro’ si ripeté Max ‘Le nostre persone che sono
dentro’. Questo, naturalmente, riferito a Liz e a Joshua. Daniel voleva giocare
sul sicuro, come doveva essere, ma non c’era tempo. Dovevano andare ora. Daniel
non l’aveva ancora capito. Max si passò le mani sulla faccia e si scostò dalla
parete dove era appoggiato. Fece un passo avanti, poi si fermò, sentendo
un’ondata di vertigini che accompagnava un’altra contrazione.
Diane vide suo figlio barcollare e poi guardare ancora l’orologio. Perché era
così preoccupato del tempo? Aveva guardato l’ora per tutto il pomeriggio, e
durante l’ultima ora il suo sguardo si era praticamente fissato sull’orologio.
Poteva … voler dire …? Si diresse verso di lui e gli posò la mano sul braccio.
“Max? Stai bene? Qualcosa non va?”
Max guardò sua madre, non del tutto sorpreso che fosse stata l’unica a notarlo.
Lei era molto percettiva, e il suo calmo interesse aveva calamitato
l’attenzione generale. Lui guardò Daniel, mentre l’espressione interrogativa
dell’uomo si trasformava in preoccupazione.
“Dobbiamo andare questa notte.” disse Max in un tono che non lasciava spazio a
discussioni.
“Non possiamo andare questa notte!” replicò Daniel deciso. “Non abbiamo un
tesserino di accesso. Dobbiamo fare una simulazione. Credimi, Max, siamo già
stati coinvolti in questo genere di operazioni prima d’ora. Dobbiamo agire con
precisione. Se vuoi che Liz torni sana e salva, dobbiamo pianificare l’azione,
fare delle prove in modo da ridurre al minimo gli errori.”
“Non abbiamo tempo per le prove. Non abbiamo tempo per le simulazioni. Dobbiamo
entrare stanotte.”
“Max.” Daniel cercò di parlare in modo rassicurante. “Comprendo il tuo
desiderio di portare in salvo Liz, ma dobbiamo essere prudenti. Agire
avventatamente può condurci ad un disastro. Guarda cosa è successo a Joshua
quando non ha voluto aspettare per la vostra fuga, a maggio. Per poco non si è
fatto uccidere!”
“Vi sto dicendo che non possiamo aspettare oltre.” Max fece un profondo respiro
e guardò tutte le facce che lo stavano fissando. Tutti pensavano che la sua
fosse una reazione eccessiva. Che fosse solo impaziente. Che ora che sapeva
dove fosse Liz, non potesse più aspettare. Loro erano così giovani. L’ultima
cosa che voleva era irrompere in quel posto e mettere a rischio la vita di Liz.
Era per questo che non aveva detto ancora niente. Voleva dare a Daniel il tempo
di formulare un piano, ma il piano avrebbe richiesto troppo tempo. E di tempo
non ne era più rimasto.
“Max, nella mattinata cominceremo …” cominciò a dire Daniel, ma Max lo fermò.
“Dobbiamo andare questa notte.” disse Max energicamente. “Liz sta partorendo.
Le contrazioni arrivano ogni 15 minuti.”
Un silenzio sbigottito riempì la stanza. Daniel guardò Max, finalmente
comprendendolo. Nessuna meraviglia che fosse così insistente. Se fossero andati
ora, senza preparazione, potevano andare incontro ad un disastro. Ma se
avessero aspettato, e Liz avesse partorito prima che fossero pronti, sarebbe
stato peggio. Far uscire due persone era già abbastanza difficile da
programmare, specialmente se una era sotto l’effetto di forti droghe, come
sembrava essere Joshua. Aggiungere un neonato, sicuramente sotto estrema
sorveglianza, le possibilità di un recupero positivo per tutti e tre
diventavano sempre più piccole.
“Liz mi ha detto che quando fosse arrivato il momento del parto, avrebbe
cercato di nascondere le doglie a Johnson il più a lungo possibile.” Disse Max
a tutti i presenti. “Forse loro non lo sanno ancora. E’ ancora nella prima fase
del travaglio, ma le contrazioni sono sempre più vicine, ormai. E se quello che
sento è una indicazione, sono anche molto più forti. Non potrà tenerlo nascosto
ancora a lungo.”
“Max, non lo sapevo.” disse comprensivo Daniel.
“Per questo motivo dobbiamo agire questa notte.” insistette Max. “Più tardi,
quando monta il turno di notte. Liz ha detto che non c’è molto personale, di
notte. Solo qualcuno. Non come durante il giorno. Io devo andare questa notte,
Daniel. Mi capisci, vero? “ Come per dare risalto alla sua disperazione, il suo
viso si contorse, mentre avvertiva un’altra contrazione.
“Naturalmente.” Annuì Daniel “naturalmente. Okay, gente, la tabella di marcia
comincia ora. Questa notte è la notte.”
Max si sentì sommergere dal sollievo. Sua madre gli strinse un braccio per
rassicurarlo e Max si voltò verso di lei. Era diventata per lui un pilastro di
sostegno. Dal momento che le aveva svelato il suo segreto, lei le aveva
mostrato un amore ed un appoggio incondizionati. Le cose che lei aveva visto e
udito in questi ultimi mesi le avevano fatto nascere domande sulla sua vera
esistenza, ma lei era stata lì per lui, ad ogni passo della strada. Max si girò
verso di lei, precipitandosi nel suo abbraccio rassicurante, sapendo che lei
capiva tutto quello che lui stava provando. Stasera lui avrebbe riportato Liz a
casa, e anche Ellie, o sarebbe morto nel tentativo di salvarle.
***
Liz fissò Pegaso, cercando di respirare con calma, regolarmente. Aveva sentito
abbastanza del Metodo Lamaze, per sapere che, quando una donna partoriva, aveva
bisogno di rilassarsi e di concentrarsi sulla respirazione, per distogliere la
mente dal dolore. Usava l’immagine di Pegaso sul soffitto come punto focale,
immaginando che volava nell’aria, mentre lei prendeva lento e profondi respiri.
La contrazione passò e lei fece un sospiro di sollievo. Sentì aprirsi la porta
ed immediatamente si tese alla vista di Johnson che entrava nella stanza.
“Cosa stai facendo, Liz?” Si fermò vicino al carrello per prendere un paio di
guanti di gomma e ritornò verso il letto. “Lasciami guardare come sta andando.”
“Non può venire più tardi?” chiese lamentosamente Liz “Ora sono veramente
stanca.” Lei si tirò indietro e lui si avvicinò al letto.
“Farò presto e poi potrai avere tutto il riposo che vuoi.” Replicò Johnson
mentre infilava i guanti. Scostò il lenzuolo e Liz si focalizzò ancora una
volta su Pegaso, tentando di non sentire la mano che invadeva il suo corpo.
Lui mandò un suono e lei lo guardò attentamente.
“Hum. Non hai avuto ancora nessuna contrazione? Nessuna con regolarità?”
chiese, apparendo immerso nei pensieri.
“No.” mentì Liz “Giusto qualcuna qui e là nelle due ultime settimane.” Non
poteva lasciare che sapesse. Non ancora. Sapeva che questo stadio del parto
poteva durare a lungo e voleva lasciare del tempo a Max. Le aveva detto la
notte scorsa che oggi avrebbero seguito Miller, sperando che li portasse da
lei. Ormai doveva sapere dove si trovava. Doveva aver fatto dei piani per
liberarla. Presto. Se fosse riuscita a tenere nascosto il suo travaglio almeno
per un altro po’. Dare a Max una possibilità di raggiungerla. Se lui avesse
sentito tutto tramite la loro connessione, doveva sapere …
***
Max guardò la pila di abiti che Daniel gli aveva messo davanti e sentì i
brividi lungo la schiena. Stese una mano per toccare il tessuto, e si accorse
che tremava. Come le sue dita toccarono la familiare stoffa verde, gli balenò
un ricordo, il ricordo di essersi svegliato in una bianca stanza isolata, nudo,
Liz priva di coscienza dall’altro lato della camera, trovando un paio di
sterili pantaloni verdi per coprirsi, prima di posare la camicia da ospedale
sopra Liz. Un sobbalzo lo fece trasalire, quando una mano toccò la sua spalla.
“Stai bene, ragazzo?” chiese Philip dandogli un’occhiata preoccupata. Aveva
notato lo sguardo di Max poco prima. Lo sguardo che gli aveva detto che Max era
tornato in quel posto orrendo, un posto di ricordi tormentati.
Max si scosse e cercò di concentrarsi.”Si, papà. Sto bene.”
Era solo un vestito, ricordò a se stesso. Non c’era niente di male in esso. La
gente portava pantaloni sterili tutti i giorni. Anche lui poteva farlo. Doveva
farlo. Prese i pantaloni, poi la giacca. Almeno questa volta aveva una giacca.
Si diresse nella sua stanza, guardando ancora una volta l’orologio. Solo
qualche ora, Liz. Cerca di resistere ancora qualche ora.
***
Pegaso volava alto nel cielo, le sue ali potenti che tagliavano l’aria. Liz
poteva sentire il vento sul suo viso, i capelli sventolare dietro di lei. Stava
cavalcando verso la libertà su uno stallone bianco, la terra che sembrava
lontana e indistinta, eppure così tentatrice. Stavano sorvolando la campagna,
passando sopra una confortante valle familiare, sulle cime degli alberi,
diretti verso casa …
Il fruscio del lenzuolo portò Liz fuori dal suo luminoso dormiveglia. I suoi
occhi si spalancarono alla vista di un’infermiera che portava, vicino al letto,
un piccolo macchinario su un carrello, le sollevava la veste e le posava
qualcosa sulla pancia. “Cosa sta facendo?” domandò Liz, sollevata dal fatto che
la paura che stava provando non si rifletteva nella sua voce.
“ti sto collegando ad un monitor.” La risposta venne mentre l’infermiera
metteva un contatto in alto, vicino all’ombelico, ed uno più in basso sulla
pancia.
“Perché? Perché lo sta facendo?” Liz spostò la mano dell’infermiera e cercò di
staccare i neri oggetti circolari dalla sua pelle.
“Non fare così, cara.” Disse l’infermiera in tono d’avvertimento. “Ho l’ordine
di legarti se fai resistenza. E tu non vuoi questo, vero?”
“No.” Liz si fermò. Non voleva essere legata. Non di nuovo.
“Allora coopera e finirà tutto al più presto.” L’infermiera continuava a
guardare il macchinario, ma contemporaneamente, teneva d’occhio Liz.
“A cosa serve?” chiese Liz, timorosa della risposta.
“Monitorizza l’attività dell’utero. Ci avverte quando comincia il parto.
Registra le contrazioni.”
Come per evidenziare il suo inganno, cominciò una contrazione. Liz,
impreparata, aspirò profondamente. L’infermiera la guardò con attenzione,
notando l’espressione tesa del suo viso, poi tornò al monitor. La striscia di
carta cominciò ad uscire, la traccia che segnava la contrazione che aumentava
di intensità.
Liz si lamentò, presa dal dolore, fino a che la contrazione diminuì. L’odiata
infermiera sorrise e guardò verso la porta, annuendo. Liz seguì il suo sguardo,
incontrando quello di Jonathan Miller. Il suo sorriso le fece sentire i brividi
nelle ossa.
***
Max era in piedi nel soggiorno, con indosso un camice bianco da laboratorio
sopra il completo verde da ospedale. Daniel era vestito uguale a lui, e come
loro, altri due uomini, Aaron e Roger. Max non aveva ancora avuto modo di
conoscerli bene, ma Annie gli aveva detto che erano in gamba. Gli aveva detto
che si confidava in loro per portare suo marito fuori di lì, e con lui Liz. Max
sperò che avesse ragione. Isabel entrò nella stanza vestita da infermiera,
camice multicolore e pantaloni blu. Aveva i capelli legati in una coda di
cavallo, un paio di occhiali appoggiati sul naso, uno stetoscopio intorno al
collo e una tavoletta per scrivere in mano. Max fu stupito dal modo in cui si
immedesimava nella parte.
“Il cambio avviene alle 11 di sera.” Annunciò Daniel ai presenti. “Voglio tutti
al loro posto almeno 30 minuti prima e c’è bisogno di almeno un’ altra ora per
arrivare lì. Ora sono le 9. Partiremo tra 15 minuti.”
Max si sentì lo stomaco sottosopra. Stava succedendo. Stava veramente
succedendo. Era contento di non aver cenato con gli altri, prima. Se avesse
avuto qualcosa nello stomaco, era sicuro che lo avrebbe rigettato. Girò il
polso e controllò l’ora. 10 minuti. Le contrazioni arrivavano ogni 10 minuti.
***
Johnson studiò l’ultima stampa, notando l’aumento delle contrazioni in
frequenza ed intensità. Ogni 8 minuti, ora. Si girò verso Liz, mentre lottava
contro un’altra contrazione. Stava guardando il soffitto, fissando qualcosa che
solo lei poteva vedere, stringendo forte la mano dell’infermiera.
“Come sta andando la nostra piccola mamma, Maggie?” chiese all’infermiera
mentre tirava fuori dalla tasca lo stetoscopio.
“Ne arriva un’altra, Liz, respira, respira, si, stai andando bene. Okay, la
contrazione è finita, adesso? Bene, ora fai un profondo respiro purificatore. E
cerca di rilassarti tra una contrazione e l’altra. “ Le accarezzò la testa in
modo rassicurante, mentre la ragazza le lanciava una svelta occhiata, prima di
girarsi di nuovo.
Liz chiuse gli occhi, cercando di riposare nella breve tregua. Nessuna
meraviglia che lo chiamassero travaglio. Era estenuante. Lasciò correre la sua
mente, riandando a giorni felici, quando sedeva al Crashdown di fronte a Max,
tenendogli le mani, le sue calde e amorevoli mani. Con gli occhi della mente
poteva vedere il modo in cui il suo sorriso gli illuminava il volto, di solito
così malinconico. Un sorriso che era riservato solo a lei. E la sua risata,
quella risata che suonava così dolce alle sue orecchie. Come avrebbe voluto
sentirlo ridere ancora una volta.
Arrivò un’altra contrazione, strappandola dai suoi pensieri e riportandola al
presente. Posò ancora il suo sguardo su Pegaso, facendo un profondo respiro,
concentrandosi, concentrandosi, pensando solo al respiro ed ai cavalli alati.
***
Max si acquattò fuori dall’edificio, osservando il personale del turno di notte
che arrivava, mentre l’altro turno usciva aspettando l’occasione per mischiarsi
con il nuovo staff. Tutto quello di cui avevano bisogno ora, era un tesserino
di accesso. Dove diavole era Valenti? Non potevano fare nulla senza quella
dannata tessera. Controllò l’orologio ed aspettò. Le contrazioni di Liz
arrivavano ora ogni 8 minuti. L’attesa stava diventando troppo lunga e il suo
parto stava procedendo troppo in fretta. Stavano andando fuori tempo …
***
Valenti era fuori dall’appartamento buio. Bennett Smith non era in casa e
l’ispezione dell’appartamento non aveva approdato a nulla. La luce di due fari
attirò la sua attenzione e lui li guardò, mentre una berlina bianca a quattro
porte entrava nel parcheggio. Una Honda. Non era la macchina che stava
aspettando. Diede dei colpi nervosi al volante e controllò ancora l’orologio.
Erano le 23 e 5. Altri fari si avvicinarono. Questa volta una macchina scura, a
due sportelli. Un occupante nella macchina. Valenti lo vide fermarsi nel
parcheggio vicino. La targa era BNJ 555. Bennett Smith. Finalmente.
***
Un folto gruppo di persone uscì contemporaneamente dall’edificio, per
disperdersi poi alla ricerca della propria auto. Uno alla volta andarono via,
lasciando nel parcheggio solo poche macchine.
Max controllò ancora l’ora: 23 e 20. Il turno di notte era probabilmente
completo, ormai. Quelli del turno precedente erano tutti usciti, ed il turno di
notte era già nell’edificio. Dove diavolo era Valenti con la tessera? Ormai
doveva essere già lì. Il bambino voleva nascere quella notte, forse nelle
prossime due ore. Lui non poteva più aspettare, ma poteva correre il rischio di
far scattare l’allarme usando i suoi poteri? Si lamentò, mentre sentiva
un’altra contrazione contorcergli i muscoli dell’addome. Quando fu passata, si
alzò. La sua decisione era presa e si diresse verso l’edificio.
“Non posso più aspettare. Sto entrando …”
***
Valenti aprì la portiera dell’ auto e si avvicinò alla Trans Am. Lo sportello
dalla parte del guidatore si aprì e ne uscì l’uomo che lui aveva multato il
giorno prima.
“Bennett Smith?” disse Valenti, nella calma aria della notte.
Smith si girò, sorpreso che qualcuno pronunciasse il suo nome, ancora più
sorpreso di vedere qualcuno in uniforme. “Sceriffo?”
“Bennett Smith, vuole venire con me, per favore? Alla stazione. C’è qualche
domanda che vorrei farle.”
“Domande?” disse Smith scuotendo la testa, confuso. “Domande su che cosa? Cosa
c’è?”
“Per favore, signor Smith, mi segua. Adesso:” posò la mano sul manico della sua
pistola, senza l’intenzione di usarla, ma sapendo che avrebbe fatto effetto.
“Certo, Sceriffo.” Smith aveva notato il suo gesto, notato lo sguardo
incomprensibile negli occhi dello Sceriffo. Valenti diresse verso la macchina
della Polizia e, lentamente, Smith lo seguì.
***
“Max, aspetta!” protestò sottovoce Isabel.
“Non posso, Isabel.” Sussurrò lui, girando lo sguardo verso di lei. “Devo
andare a prenderla ora!” Il rumore di un motore attraversò la notte e Max tornò
a nascondersi accanto ad Isabel proprio mentre i fari illuminarono il
parcheggio. Michael si mosse verso di lui, fissando la macchina che si fermava
a meno di 10 metri da loro.
Videro scendere dalla macchina una donna con un camice bianco, correndo come se
andasse di fretta. Chiuse la portiera dell’auto e poi imprecò quando le
cartelle che portava in mano, le caddero dalle mani. Si fermò per guardarle e
Michael balzò in piedi.
“Michael, dove … “ mormorò Isabel.
“Maxwell ha bisogno di un tesserino? Gliene procuro uno. Proprio adesso.”
Michael notò lo sguardo di gratitudine che attraversò la faccia del suo
migliore amico ed annuì, prima di lanciarsi nel parcheggio.
“Cosa pensi che abbia intenzione di fare?” sibilò Daniel, precipitandosi al
fianco di Max.
“Ci sta procurando un maledetto tesserino per farci entrare in quel maledetto
edificio.” Imprecò Max, lasciando trapelare la sua impotenza. Guardarono
Michael avvicinarsi alla piccola auto. La donna sentì il rumore dei passi solo
un momento prima che Michael la raggiungesse, troppo tardi per gridare. La
grande mano di lui le chiuse la bocca per ridurla al silenzio. Le coprì anche
il naso, privandola dell’ossigeno e cercando di difendersi mentre lei lottava
contro di lui. Mantenne la pressione quel tanto che bastò a farle perdere
conoscenza e poi la portò verso il gruppo, che stava aspettando.
Max le controllò le pulsazioni, le alzò una palpebra, controllando,
soddisfatto, che i danni non fossero permanenti. “Starà bene, ma è meglio che
qualcuno la porti via prima che riprenda i sensi.” Le tolse il cartellino che
aveva appeso al collo e si alzò, infilandosi il cordoncino dalla testa.
Guardando l’edificio che gli stava davanti, si fece coraggio e disse “Andiamo!”
Una calma improvvisa scese sopra di lui mentre con Isabel, Daniel, Aaron e
Roger traversò il prato e raggiunse il primo ostacolo, la recinzione. La
tessera entrò nello scanner senza difficoltà, udirono uno scatto ed il cancello
si aprì. Max guardò Isabel, sentendo crescere la sua fiducia, sentendo
aumentare anche quella di lei e ripresero il cammino verso l’edificio. Michael
era rimasto indietro, per fare da retroguardia, nel caso avessero dovuto usare
la forza per entrare nel laboratorio. Max sperò che non si dovesse arrivare a
questo.
Continua...
Scritta
da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di
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