Riassunto: Questa
storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore
alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai
fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o
duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più
grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa
ricambiarlo.
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: Ogni
riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori
protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitoli 31-36
Capitolo 37
Si fecero strada decisi dentro
l’edificio, Isabel per prima, vista la sua familiarità con l’interno, Max e
Aaron subito dietro di lei, Daniel e Roger alla retroguardia. La descrizione
dell’interno, vista attraverso gli occhi di Jonathan Miller era misteriosamente
accurata. Raggiunsero il primo corridoio e Max guardò a destra, controllando il
lungo corridoio con il segnale di uscita alla fine. Avanzarono, raggiungendo il
corridoio successivo, un corto ambiente a sinistra. Max posò gli occhi sulla
prima porta ed avvertì un brivido lungo la spina dorsale. In quella stanza
c’era la nursery descritta da Isabel. La nursery che era un incubo infernale.
Andarono oltre, immergendosi nelle viscere dell’edificio.
***
Liz si lamentava, mentre sentiva avvicinarsi un’altra contrazione. Cercava
Pegaso, ma non riusciva a vederlo. Era volato via mentre lei si stava
riposando, per non essere più visto. Anche lui l’aveva lasciata. Avvertiva
vagamente del movimento intorno a sé, gente che andava e veniva, mani che la
toccavano, e poi le contrazioni si intensificarono, portandole via tutti gli
altri pensieri. Cavalcava l’onda del dolore cercando di focalizzarsi sulla
respirazione e quando fu arrivata alla sommità, giacque stremata sul lettino.
“Acqua.” disse attraverso le labbra riarse.”Ho bisogno di bere.”
“Tieni,Liz. Succhia questo.” disse Maggie, mettendo in bocca alla ragazza un
cubetto di ghiaccio. “Non Masticarlo. Lascialo solo sciogliere. E’ meglio che
non metti nulla nello stomaco in questo momento. Capisci?”
Liz annuì. Sentì sciogliersi il cubetto di ghiaccio, inumidendole la bocca e la
gola. Cercò di rilassarsi e di non pensare a niente, perché se si fosse
concessa di pensare, avrebbe pensato a lui. E se avesse pensato a lui, si
sarebbe lasciata prendere dalla disperazione di sapere che lui non stava
venendo. Chiuse gli occhi, aspettando la contrazione successiva.
***
Arrivarono alla parete di vetro e Max seppe che erano giunti alla fine. Il suo
respiro si fece difficile, la paura si affacciò alla sua mente, ma lui sapeva
che non poteva permetterle di entrare. . Si avvicinò alla porta, inserì la
carta di accesso come aveva fatto precedentemente, aspettando la luce verde ed
lo scatto che avrebbe indicato l’apertura della porta. Tutto quello che sentì
fu il silenzio. Guardò Isabel e vide un interrogativo sulla sua faccia. Deglutì
e provò ancora, sperando che la luce rossa diventasse verde. Non lo fece. La
tessere non permetteva loro di entrare. Max guardò ancora Isabel, le mascelle
serrate per la tensione, e lei annuì in accordo.
Max mise la sua mano sopra lo scanner e quello cominciò a brillare di una luce
azzurrognola. Chiuse gli occhi, concentrandosi, e fu ripagato dall’apertura
della porta. Isabel si spinse nella stanza ed entrambi sospirarono quando
l’allarme cominciò a suonare. Entrarono e si sparpagliarono, in modo che le
guardie non vedessero tante persone entrare insieme. Max vide in distanza,
contro la parete più lontana, la camera divisa e prese quella direzione. Tenne
la sua faccia al riparo dagli sguardi delle persone presenti, molte di loro
intente nei compiti che stavano svolgendo.
Entrò nella prima stanza, notando subito la forma del corpo addormentato di
Joshua. Daniel lo raggiunse e Max poté sentire la sua sommessa preghiera di
ringraziamento alla vista di suo figlio. Max si spostò verso destra, con gli
occhi che spaziavano nella stanza successiva, la stanza di Liz, vedendo i
monitor ed i carrelli con le attrezzature ed il letto vuoto. Raggiunse la
porta, aprendola, tentando di non attirare l’attenzione, cercando di
trattenersi al correre nella stanza. L’attraversò lentamente, aprì la porta del
bagno e poi tornò indietro, con il cuore che impazziva nel petto. Lei non era
lì. Lui era così vicino e lei non c’era.
Si avvicinò al letto e posò la mano sulle lenzuola. La poteva sentire. Poteva
sentire il suo profumo nell’aria. La stanza risuonava ancora della sua
presenza. Magari era ancora da qualche parte nell’edificio. Un brivido lo
attraversò quando sentì una voce dietro di lui.
“Hey, cosa stai facendo qui?” disse l’uomo alla figura a fianco del letto.
C’era qualcosa di familiare in lui. Qualcosa nel suo modo di stare in piedi,
nella forma della sua testa e nel taglio dei suoi capelli. Qualcosa.
Max si girò lentamente verso l’uomo che stava vicino alla porta aperta. Mentre
cercava di incontrare il suo sguardo, il suo stomaco riannodò e rivisse un
incubo che aveva cercato fortemente di rimuovere dai suoi ricordi. Quello
davanti a lui, era un uomo dai capelli scuri. Un uomo dallo sguardo duro. Un
uomo con cicatrici di graffi sulla guancia, che rendevano la sua brutta faccia,
ancora più spaventosa. Una faccia che aveva visto nei suoi sogni.
L’uomo dalla faccia da incubo diede segno di riconoscerlo e fece un passo
indietro. “Hey, tu sei lui!” disse, puntando un dito contro Max. Si girò
correndo ed urlando “Sicurezza!”
Max alzò la sua mano e, con la faccia pena di rabbia, lanciò una sfera di luce
blu che fece cadere l’uomo sul pavimento e lo scagliò contro la parete, dove
giacque scomposto. Max traversò di corsa la stanza e lo raggiunse. Alzò di
nuovo la mano e la luce blu avvolse l’uomo sollevandolo da terra. Restò sospeso
nell’aria, circondato dall’alone blu e Max riuscì a malapena a sentire le sue
grida di aiuto, attraverso la sua collera.
“Dov’è lei?” sibilò Max in una furia controllata. La faccia lo guardava
pietrificata e Max strinse l’alone intorno a lui. L’uomo gridò di dolore e Max
restrinse ancora la luce.
“TI HO CHIESTO DOVE E’ LEI?” gridò Max. Non avvertì nemmeno il suono
dell’allarme. Non vide le guardie armate che comparvero alla sua sinistra con i
fucili puntati. Tutto quello che vedeva era l’uomo avvolto nella luce blu,
l’uomo che aveva minacciato Liz e le aveva fatto vivere un incubo. “DIMMI DOVE
E’ LEI!”
“Sparategli! PER L’AMOR DI DIO, SPARATEGLI”
Faccia sfregiata gridò alle guardie.
Max si voltò, vedendo le tre guardie che lo prendevano di mira. La sua mano
sinistra si sollevò ed uno scudo di luce si formò tra di loro. Le guardie
spararono e quando i proiettili raggiunsero lo scudo, la loro traiettoria
rallentò e lo schermo li assorbì. Tornarono indietro e caddero innocui per
terra. Le guardie fecero ancora fuoco, svuotando i caricatori contro lo
schermo.
Max riportò la sua attenzione su Faccia Sfregiata e strinse la luce ancora di
più. “Hai solo un’altra possibilità di dirmi quello che voglio sapere.” I suoi
occhi erano scuri di odio.
“L’hanno portata in sala operatoria.” gridò l’uomo “L’hanno portata nella
dannata sala operatoria.”
“Dove? DOVE SI TROVA LA SALA OPERATORIA.” Inveì Max, non notando neppure che
Aaron e Roger avevano immobilizzato le guardie.
“In fondo al corridoio.” Spiattellò l’uomo.”Secondo corridoio.” Max cominciò a
rilassarsi e la luce diminuì, allentando la stretta. “Non arriverai mai in
tempo da lei” disse Faccia Sfregiata “Lei è storia passata una volta che il
piccolo mostro è nato.”
Un impeto di rabbia colpì ancora Max. Il suo odio era palpabile. Lui strinse le
dita, facendo una smorfia alle grida dell’uomo, mentre l’alone di luce si
stringeva ancora più di prima. Max chiuse il pugno e la luce tremolò, sparendo
insieme all’uomo dalla faccia orrenda.
***
Un rumore penetrò nella nebbia che lo avvolgeva. Gli ci volle un momento prima
che la sua mente lo analizzasse e poi lottasse per mettersi in stato d’allarme.
Liz guardò l’infermiera, Maggie, e poi Johnson e gli altri nella stanza. Tutti
si erano immobilizzati, quando il suono era cominciato. Il tono era forte ed
insistente. Un allarme. Voleva dire … poteva significare …? Il cuore le balzò
nel petto e si tirò su a sedere. Era venuto a prenderla? Era venuto a prenderla
veramente?
Miller spalancò le porte della sala operatoria e si precipitò dentro.
L’infermiera fece un passo indietro, ansiosa di togliersi dalla sua strada
mentre traversava la stanza per avvicinarsi a Liz. “Tiralo fuori. Ora.” ordinò
Miller rivolto a Johnson.
“Cosa?” rispose diffidente. “Non è ancora completamente dilatata. Ci vorrà
ancora del tempo.”
“Allora taglia via quella dannata cosa da lei, se devi farlo.” Fu la dura
risposta di Miller.
“Non puoi dire sul serio.” Disse Johnson scioccato. Poi guardò Liz,
rannicchiata sul tavolo operatorio, e poi ancora Miller. “Non posso farlo …”
“Abbiamo degli infiltrati.” Urlò Miller sfilandosi la giacca e mettendola da
una parte. “Se tu non vuoi tirarlo fuori adesso, fatti da parte e lo farò io”.
***
“Max, mio Dio, cosa hai fatto?” Isabel lo guardò, scioccata da quello che aveva
appena visto.
La rabbia lo abbandonò, e si accorse che stava tremando. Cosa aveva fatto? Dove
un momento prima c’era un uomo, ora c’era solo aria. Max guardò la sua mano
tremante, mentre andava avanti e indietro. Un movimento alla sua destra catturò
la sua attenzione, e vie Aaron e Roger togliere i ferri dai polsi e dalle
caviglie di Joshua. Daniel stava inserendo un ago ipodermico nel suo braccio,
iniettandogli il farmaco che lo avrebbe tirato fuori al suo sonno.
La reazione fu veloce e Joshua si mosse, sollevando la testa e aprendo gli
occhi. Guardò le facce familiari attorno a lui, Aaron, Roger, e poi mise a
fuoco un viso ancora più caro. “Papà!” disse con la voce rauca di chi non aveva
parlato da giorni.
“Josh!” disse Daniel carico di emozione. Abbracciò suo figlio, concedendosi un
momento per stringerlo, prima di allontanarsi. “Aaron, Roger, portatelo fuori
di qui.” Josh mise le braccia intorno alle spalle di Aaron e si tirò fuori dal
letto. Le ginocchia lo reggevano a malapena e quasi cadde sul pavimento, prima
che Roger lo afferrasse. Sorretto a destra da Aaron e a sinistra da Roger,
lentamente si avviò verso l’uscita.
Daniel si avvicinò a Max, posando la mano sulla spalla del ragazzo e
guardandolo con aria interrogativa.
“L’hanno portata via. In sala operatoria.” Lo informò Max. I suoi occhi avevano
uno sguardo velato, ancora stordito da quello che aveva fatto all’uomo dalla
faccia sfregiata.
“Andiamo, adesso.” disse Daniel girandosi velocemente. Corsero verso l’uscita,
Max davanti, seguito da Isabel e da Daniel.
“fermatevi o sparo.” disse una guardia dietro di loro. I tre si immobilizzarono
e si girarono lentamente. Alla guardia tremavano le gambe, spaventato a quello
che aveva appena visto fare al ragazzo dai capelli scuri. La sua mano, che
puntava la pistola contro il petto di Max, tremava notevolmente. Daniel alzò le
mani in un gesto di sottomissione e il movimento fece sobbalzare la guardia. Le
sue dita si tesero, premendo il grilletto inavvertitamente e Daniel fu
proiettato all’indietro dal proiettile che lo colpì. Isabel urlò e Max tese la
sua mano, mandando una sfera di luce contro la guardia. L’uomo fu proiettato in
aria, sbattendo contro la parete dietro di lui con un rumore di ossa spezzate,
e cadendo a terra senza conoscenza.
Max corse verso Daniel, inginocchiandosi accanto a lui e vide il sangue
inzuppare la giacca verde. Daniel lo guardò con gli occhi pieni di dolore,
ancora sotto choc. Max strappò la stoffa della giacca cercando nel petto,
vicino alla spalla, il foro da cui era entrato il proiettile. Posò la sua mano
sopra la ferita e si concentrò, sentendo il muscolo leso e le ossa frantumate.
La sua mano brillò, mentre lo guariva, sciogliendo il proiettile, riparando le
ossa, i muscoli e la pelle danneggiati. Il dolore si impadronì di lui,
fiaccandola sua forza e assorbendo i suoi poteri. Quando tolse la mano, tremava
e quando si alzò in piedi, le gambe facevano fatica a sorreggerlo.
“Devo andare, ora.” Disse Max, mentre un brivido gli attraversava il corpo.
“Devo andare da Liz.”
Daniel toccò con la mano la pelle liscia e guardò verso Max. Nonostante sapesse
tutto sui guaritori, quello che gli era appena accaduto, quell’esperienza,
l’aveva lasciato scioccato. Si scosse e cercò di parlare. “Vai!” Guardò Isabel
e ripetette “Andate, tutti e due. Io so bene.”
Max e Isabel indietreggiarono e Daniel li vide correre via dalla stanza, girare
a destra per il corridoio principale e dirigersi verso una parte sconosciuta
dell’edificio.
***
Michael batté impazientemente le dita contro il ginocchio, mentre aspettava.
Ancora nessuna notizia dall’interno e nessun segno di Valenti. L’attesa lo
stava uccidendo. Si alzò, dalla sua posizione in ginocchio, distendendo le
gambe e guardando le facce intorno a lui. Anche su di loro poteva leggere la
tensione, specialmente sui volti di Jeff Parker e di Philip Evans.
Un suono acuto penetrò nella notte. L’allarme. Dentro le cose si stavano
mettendo male. Lo prese il panico e lui faticò a tenerlo sotto controllo. I
suoi amici erano dentro ed avevano bisogno del suo aiuto. Dopo alcuni secondi
si udirono degli spari e lui sentì i crampi allo stomaco. Una seconda ondata di
spari riempì l’aria della notte e sembrò non finire mai, lasciandolo
galvanizzato. Entrò in azione, gridando “Andiamo!”, mentre si precipitava al
cancello, seguito dagli altri.
***
‘Secondo corridoio’, ripeté Max a se stesso. ‘Secondo corridoio.’ La loro corsa
risuonava, echeggiando, nell’ingresso e rallentò quando raggiunsero il primo
corridoio. Isabel guardò a destra e a sinistra, senza notare alcunché di
familiare. Miller non aveva percorso quel corridoio e loro non avevano idea di
dove portasse.
Max riprese a correre arrivando per primo a scorgere il secondo corridoio. Lo
colpì un’improvvisa percezione ed il suo terrore tornò in superficie. Non
sentiva più le contrazioni, non ne aveva sentita nessuna da un po’ di tempo.
Cosa poteva significare? Era finito? Ellie era già nata? Si fermò al secondo
corridoio, guardando a sinistra e poi a destra. Da quale parte? Da quale parte
doveva girare? Faccia Sfregiata gli aveva detto la verità?
“Max, io vado a destra, tu a sinistra.” Disse Isabel, respirando a fatica per
la corsa. Max udì i suoi passi allontanarsi da lui e voltò a sinistra, aprendo
tutte le porte che incontrava. Uffici. Laboratori. Nulla di quello che cercava.
Corse fino alla fine del lungo corridoio e si slanciò attraverso la porta a
vento che era alla fine. Quando fu entrato, sentì il suo cuore fermarsi nel
petto. Era arrivato troppo tardi. Buon Dio, era arrivato troppo tardi.
Liz giaceva su un tavolo in mezzo alla stanza, con una bianca luce sopra di
lei. Il suo viso era voltato verso di lui, gli occhi chiusi. I capelli erano
bagnati di sudore, segno della fatica che aveva appena sostenuto. Un braccio
pendeva abbandonato da un lato del tavolo: lenzuoli sterili le coprivano la
parte inferiore del corpo, lenzuola intrise di sangue, di tanto sangue. Max era
inchiodato al pavimento, paralizzato da quello che stava vedendo. Dai suoi
occhi scendevano lacrime e non riusciva a respirare. “No …” un doloroso
singhiozzo gli straziò la gola.
Le dita di Liz ebbero una leggera contrazione e lui strizzò gli occhi. “Liz?”
Si asciugò gli occhi, cercando di schiarire la vista ed allora udì il suo
lamento. Non era frutto della sua immaginazione, non era solo un suo desiderio.
Lei era ancora viva. Un rumore echeggiò alla sua sinistra, un vassoio di
metallo che cadeva in terra. Girò lo sguardo, per incontrare quello di Robert
Johnson, M.D., torturatore di donne, ladro di innocenza, sogni e speranze. Tra
le sue braccia, avvolta in una coperta, rosa e piena di vita, c’era sua figlia:
Ellie.
Johnson indietreggiò, dirigendosi verso la porta dietro di lui, lontano da Max.
Max guardò Ellie, poi tornò a guardare Liz. Non poteva salvarle tutte e due.
Perché Dio gli stava facendo questo? Se andava da Liz, Johnson sarebbe fuggito,
portando Ellie con lui. Ma se andava da Ellie, Liz sarebbe morta. Aveva perso
così tanto sangue. Lui poteva ancora vederlo uscire dall’incisione del parto
cesareo che le avevano fatto, incisione che non si erano presi la pena di
richiudere. Max stava tremando dalla tensione. Come faceva a scegliere? Ellie,
con il suo scuro ciuffo di capelli che incorniciava il suo bellissimo,
innocente viso, sua carne e suo sangue, sua figlia; o Liz, la donna che amava
con tutto il cuore e con tutta l’anima, la donna per la quale avrebbe dato la
vita.
La sua mascella tremava e lacrime gli sgorgavano agli occhi. Ne poteva salvare
solo una. Era una scelta che nessuno al mondo avrebbe mai dovuto fare. Lui
guardò dall’una all’altra e parlò, con una voce piena di dolore e chiedendo un
perdono che sapeva non sarebbe mai stato capace di meritare: “Mi dispiace … ti
prego … perdonami …”
Capitolo 38
Max si impresse l’immagine nella mente,
memorizzando ogni dettaglio del suo viso, i capelli neri, che di sicuro
sarebbero stati serici come quelli di sua madre; le sue minuscole dita, che ora
erano chiuse in piccoli pugni; i suoi occhi aperti, che gli ricordavano scure
pozze di cioccolata, proprio come quelli di sua madre. Max tenne gli occhi
fissi su di lei, mentre Johnson infilava la porta, e le sussurrò, scosso dalle
lacrime “Mi dispiace, Ellie.” E lei era sparita.
Max corse attraverso la stanza con le gambe tremanti, afferrando la mano di
Liz, atterrito dalla quantità di sangue che aveva perso. Il bastardo l’aveva
lasciata lì a morire, con il sangue che correva lentamente fuori di lei. Posò
una mano tremante sul suo viso, mentre appoggiava l’altra sull’addome. “Liz,
ora devi guardarmi.” La implorò tra le lacrime “Liz, ti prego, devi guardarmi.”
Vide le sue palpebre aprirsi lentamente, mostrandogli il suo dolore, il suo
immenso dolore. Lo sguardo negli occhi di lei era come una ferita nel corpo di
Max, e lui rimase senza respiro. “Liz … Oh Dio, Liz.” Abbassò la sua mano,
portandola a contatto con la pelle di lei, coprendo l’incisione, con la mente
tesa a cercare la connessione per cominciare a guarirla. Spinse la mente,
aspettando la sensazione familiare, preparando se stesso al dolore che avrebbe
avvertito, ma non avvenne nulla. Tentò ancora, sentendosi invadere dal panico.
Ancora niente. I suoi poteri si erano esauriti, prima con quello che aveva
fatto all’uomo con le cicatrici, poi la lotta con le guardie ed infine la
guarigione della ferita di Daniel. Ora, quando ne aveva bisogno come non mai,
non aveva più forza. Il sangue di Liz colava tra le sue dita, impregnando il
lenzuolo steso su di lei. Sentì la mano di Liz sollevarsi e toccargli la
guancia, allora la guardò in viso ancora una volta.
“Ti amo, Max.” la sua voce era poco più che un sussurro e la sentì allontanarsi
da lui.
“No … no, Liz, non voglio lasciarti andare.” Cercò nelle profondità della sua
mente, per trovare una forza che non sapeva di avere. La sua mano cominciò a
brillare debolmente e il flusso del sangue rallentò.
Isabel si precipitò nella stanza e lo choc di quello che vide la bloccò. Max
era chino sopra Liz, con la disperazione dipinta sul volto, nel chiaro
tentativo di guarirla. Isabel rimase immobilizzata. Non aveva mai visto tanto
sangue.
“Aiutami, Iz!” la supplicò Max con voce tesa. Lei non era molto brava a
guarire, ma poco era meglio di niente. Corse al suo fianco e lui le fece segno
di andare dall’altra parte del tavolo. “Mettile la mano sulla faccia, proprio
dove ho la mia. Poi metti qui l’altra mano.” disse Max, indicandole la propria
mano sporca di sangue. Lei obbedì, senza alcuna esitazione, e Max chiuse gli
occhi, cercando di assorbire la sua forza. La sua mano brillò più intensamente,
e Max aprì gli occhi e guardò Liz ancora una volta, formando la connessione
Il dolore di Liz entrò dentro di lui, ma lo mise da una parte mentre cercava il
taglio nell’utero, arrestando il flusso del sangue, rimettendo insieme i
tessuti, e poi annullando l’incisione esterna, richiudendola del tutto. Aveva
fatto tutto quello che poteva e solo allora si accasciò sopra il tavolo,
esausto.
Michael irruppe dalla porta e, a sua volta si immobilizzò, impreparato a quello
che si presento alla sua vista. Gesù, cosa avevano fatto a Liz? “Max …”
Max puntò una mano insanguinata in direzione della porta in fondo alla stanza.
“Hanno preso Ellie. Ti prego, Michael, trovala per me.” Michael cominciò a
correre, gettandosi verso la porta e gridando istruzioni al gruppo di uomini
che lo stavano seguendo. Max guardò verso Isabel, ringraziandola con gli occhi
di averlo aiutato a salvare Liz, mentre allo stesso tempo la supplicava di
aiutare Michael e di riportare a loro Ellie.
***
Valenti guidò come un pazzo, luci e sirena in funzione, mentre correva sulla
statale. Cosa era successo agli altri? Lo stavano ancora aspettando o avevano
agito senza di lui? Infilò la strada sterrata, spegnendo le luci e la sirena.
Un’espressione sconcertata coprì il suo viso e tirò giù il finestrino per
sentire meglio.
“Maledizione!” imprecò, realizzando che il suono che aveva udito veniva dalla
fine della strada. L’edificio. Un allarme. L’auto slittò nel fermarsi e lui
saltò fuori, toccando appena il terreno mentre correva. Il cancello era
socchiuso e lui vi si infilò dentro, diretto verso la costruzione. Gli si gelò
il sangue nell’udire degli spari provenire dall’interno e tirò fuori il
cartellino per accedere all’entrata principale. Lo scanner cambiò da rosso a
verde e lui entrò. Davanti a sé, vide un manipolo degli uomini di Daniel
impegnati in un testa a testa con tre uomini armati.
***
Max prese Liz tra le braccia per un momento, chiudendo gli occhi e respirando
la sua presenza. La sentiva agitata e si separò da lei, allentando il suo
abbraccio e passandole una mano tra i capelli umidi. “Ora starai bene. Io sono
qui. Tuo padre è fuori e ti sta aspettando. Presto sarai al sicuro. Ti porterò
fuori di qui.” Lei lo guardò, apparendo così stanca, così fragile.
“Ellie?” sussurrò e i suoi occhi si riempirono di lacrime quando lesse la
risposta sul viso di lui. Max non aveva avuto bisogno di parlare. Lei glielo
leggeva negli occhi. Ellie non c’era più.
“Io …” cominciò a dire lui, ma le parole gli morirono in gola. Come poteva
dirle che aveva dovuto decidere tra lei e Ellie. Sentì le lacrime uscire ancora
dai propri occhi e girò lo sguardo.
“Michael … Michael le sta andando dietro. E anche Isabel. La riporteranno da
noi.” La sentì singhiozzare e gli parve di sentirsi il cuore trafitto da un
coltello.
Liz si piegò contro di lui, affondando il viso sul suo petto. Ellie era andata
via. I suoi sommessi singhiozzi crebbero di intensità, scuotendole tutto il
corpo. La giacca verde di Max si impegnò delle lacrime di lei mentre il suono
del respiro affannato di Max la fece piangere ancora di più. Lui era lì. Non
era solo un sogno. Lui era veramente lì, ma Ellie non c’era più.
Le mani di Max si chiusero a pugno tra i capelli di Liz, quei capelli che
ricordava così bene. Si strinse a lei, ripetendo a se stesso che era vero, lui
la stava tenendo tra le braccia, lei era viva. Le baciò il capo, stringendola
come se non avesse voluto lasciarla andare mai più. Il corpo di lei cominciò a
tremare incontrollabilmente e lui l’allontano da sé, notando il pallore delle
sue guance.
“Devo portarti fuori di qui. Hai bisogno di un medico.” Sapeva che quello che
aveva fatto per lei non era sufficiente. Era sicuro che il suo volume sanguigno
fosse basso, probabilmente a un livello critico. Non era sicuro di avere
fermato completamente l’emorragia, e il suo corpo era già indebolito dalle
lunghe ore di travaglio. Dopo tutto quello che aveva passato, poteva cadere in
stato di choc. Le tolse via le lenzuola chirurgiche, abbassandole la camicia da
notte che indossava, e la avvolse in una coperta calda. La prese in braccio con
delicatezza e la portò fuori, nell’ingresso, seguendo la direzione da cui era
venuto.
Passò la parete di vetro, notando che ora tutte le stanze erano vuote. Avvertì
una sensazione di inquietudine, la sensazione che la stava portando verso un
pericolo ancora maggiore ed esitò. Di colpo ricordò di essere passato nel
corridoio con la scritta ‘uscita’. Una via di fuga. La salvezza. Forse se lui
fosse andato avanti a cercarla e poi fosse tornato indietro a riprendere Liz,
per lei sarebbe stato meglio?
“Liz? Devo andare avanti a controllare che non ci sia pericolo. Ti lascio qui
per un attimo, okay?” Lui cominciò ad inchinarsi, per appoggiarla delicatamente
sul pavimento, quando la sentì irrigidirsi tra le sue braccia.
“No. NO. Non lasciarmi, Max.” gridò lei sconsolata. “Non lasciarmi sola di
nuovo.” Le sue mani lo afferrarono disperatamente, strette a pugno sulla sua
giacca nello sforzo di non permettergli di allontanarla da lui.
“Okay, okay.” disse lui tentando di calmarla, sentendo ancora il coltello
infierire nel suo cuore. Le parole di Liz gli echeggiarono nella mente. Non
lasciarmi sola. Di nuovo. L’aveva già abbandonata una volta, lasciandola alla
mercè di quei mostri, e lei temeva che potesse accadere ancora. Non aveva mai
visto nei suoi occhi una simile paura, prima d’ora. “Non ti lascerò, Liz. Lo
prometto. Non ti lascerò di nuovo.” Liz gli appoggiò la testa sulla spalla e
lui sentì le sue lacrime bagnargli il collo.
Max proseguì, portandola tra le braccia, cercando con prudenza la strada verso
l’uscita dell’edificio. Poteva sentire del trambusto davanti a lui e spalancò
gli occhi quando sentì degli spari. Si spostò verso l’angolo, camminando lungo
la parete e gli si ghiacciò il sangue. Guardie in uniforme si dirigevano verso
di loro. Guardie armate.
Lui tornò sui suoi passi, cercando di non scuotere Liz mentre si muoveva
velocemente. Passò oltre la parete di vetro, la stanza dove lei era stata
confinata per tanto tempo e sentendo che non era un posto sicuro. Aveva le
braccia affaticate dallo sforzo di sostenere Liz mentre tentava di correre. Si
fermò nel corridoio successivo per appoggiarsi un attimo alla parete e prendere
un po’ di respiro.
“Liz, te la senti di camminare? Solo per un po’?” le chiese ansimando. Le
guardò la faccia pallida, la vide annuire e la posò a terra piano. Lei si
appoggiò pesantemente a lui e lui le passò un braccio attorno per aiutarla.
Andarono avanti, con i piccoli piedi scalzi di Liz che non facevano alcun
rumore sul pavimento.
Max la spingeva avanti silenziosamente cercando una via per uscire, sopportando
il suo peso, sorreggendola. Passarono un corridoio familiare e Max si fermò
ancora, guardando a destra e a sinistra. Isabel aveva preso a destra e non
aveva trovato nulla. Lui aveva preso a sinistra ed era arrivato alla camera
operatoria e a Liz. Davanti a lui c’era l’ignoto. Che direzione doveva
prendere? Un rumore di passi echeggiò dietro di lui e lo spinse ad avanzare
alla ricerca di un’ uscita sicura.
La spinse in avanti per un corridoio, poi per un altro, cercando la via per
uscire, tentando di non perdere il senso della direzione. Avvertì una
sensazione di déjà vu, la sensazione di essere già passato di lì una volta. Si
affacciò un ricordo, il ricordo di un sogno, un sogno finito male. Era stata
una visione, un avvertimento o il presagio di qualcosa che doveva ancora
avvenire? Il sogno era finito con loro che riuscivano a raggiungere l’uscita,
la salvezza, solo per trovare che ad aspettarli c’era la morte. Max tentò di
cacciarla via, ma la sensazione che qualcosa di brutto stava per avvenire era
come un cappio al collo.
Max raggiunse il corridoio successivo, fermandosi per far riposare Liz, il cui
respiro sembrava molto faticoso, quasi un rantolo. Tornò a guardare dietro di
sé, non vedendo niente, ma sentendo qualcosa. Passi, che si facevano vicini. Li
stavano inseguendo, proprio come nel sogno. Abbracciò Liz, sostenendola, e
cominciò a correre. Man mano che avanzava, controllava le porte. Erano tutte
chiuse. Il rumore dei passi degli inseguitori si faceva più vicino e Max sentì
i capelli che si rizzavano, sapendo di essere alla fine.
All’incrocio successivo girò a destra, trascinando Liz con lui, e lì, in fondo
al corridoio, c’era una scritta al neon che indicava l’uscita. Sentì il cuore
sollevarsi e corse ancora più forte, cercando di aiutare Liz, vedendo la
salvezza davanti a loro. La sentì inciampare e cadere sulle ginocchia, prima
che lui facesse in tempo ad afferrarla. Era stremata, la sua energia
completamente esaurita, esausta. La prese tra le braccia e corse con lei lungo
il corridoio che sembrava allungarsi all’infinito. Erano così vicini alla
libertà, che li stava aspettando dietro quelle porte, ma il rumore dei loro
inseguitori era proprio dietro di loro. E le porte erano lontane, troppo
lontane. Non sarebbero mai riusciti a raggiungerle. Passò una nicchia sulla
destra e ci si infilarono immediatamente, sperando di non essere stati visti.
I passi delle guardie si fecero sempre più vicini, il pavimento vibrava
nell’impatto dei piedi che correvano. Max chiuse gli occhi e pregò in silenzio,
poi rabbrividì al pensiero che Dio non sembrava essere dalla sua parte.
Trattenne il respiro, tenendo Liz ancora più stretta, sentendo la mano di lei
posarsi sulla sua guancia in un gesto che, in passato, lo aveva sempre
rassicurato, lo aveva sempre fatto sentire amato. Vide un turbinio di grigio
passare davanti a loro e sentì il rumore dei passi diminuire di intensità. Li
sentì precipitarsi fuori dalle porte e poi tornò il silenzio.
Max sospirò di sollievo ed appoggiò la guancia contro la fronte di lei,
acutamente consapevole della sensazione di averla ancora tra le braccia. Sentì
le labbra di Liz strofinarsi dolcemente e respirò il respiro di lei, sentendo
una scossa elettrica pervadergli il corpo. Lei era dolce come la ricordava. La
guardò negli occhi, quegli occhi in cui poteva perdersi, e le loro labbra si
fusero insieme.
Fu un bacio dolce e delicato, un bacio che parlava dell’amore che sentivano
l’uno per l’altra, un amore che prevaleva sul dolore e sull’angoscia che
stavano provando. Le loro labbra si divisero e lui la guardò ancora negli
occhi, vedendovi amore, non accuse o biasimo che sapeva lei aveva ogni diritto
di provare. Si chiese come potesse guardarlo in quel modo, dopo tutto quello
che aveva sofferto a causa sua.
Il suono di altri passi echeggiò nel corridoio, avvicinandosi con cautela. Max
si tese ancora una volta e Liz posò la testa contro il suo petto. Una gamba
entrò nel loro campo visivo, poi un braccio, poi una spalla, un uomo in
uniforme camminava lentamente, pistola alla mano, pronto a sparare.
“Jim!” sospirò Max. e lo Sceriffo si voltò per vedere Max addossato alla
parete, che portava in braccio Liz. Lei appariva pallida e dal modo in cui la
coperta la avvolgeva, era quasi certo che non aveva più il bambino.
“Max … Liz, grazie a Dio. Fatevi portare fuori di qui.” Controllò ancora il
corridoio, guardando in entrambe le direzioni, poi fece segno a Max di
seguirlo.
“Daniel? Joshua?” chiese Max, col respiro pesante, mentre camminava nel
corridoio. I suoi occhi erano puntati su Liz, per osservare la sua faccia e
controllare la sua respirazione.
“Stanno bene. Sono al sicuro. C’è solo qualcuno con ferite superficiali, ma
Daniel non è preoccupato e tu potrai prenderti cura di loro.”
Max annuì, sollevato dal fatto che nessuno era stato ferito seriamente. Guardò
ancora verso Liz, notando i suoi occhi chiusi, vedendo la fatica sulla sua
faccia. “Hai visto Michael? Isabel?”
“No. Non li ho visti.” Jim vide l’espressione di Max farsi scura e il suo
sguardo offuscarsi e lo guardò interrogativamente.
“Sono corsi dietro ad Ellie.” disse Max con voce spezzata dall’emozione e
scorse sul viso di Valenti un inizio di comprensione, mentre sentiva aumentare
il tremore di Liz e vedeva la sua mano stringergli a pugno la giacca. La sentì
stringerlo forte ed allora i suoi occhi controllarono la fine del corridoio.
“Devo portarla fuori di qui. Ha bisogno di un dottore, al più presto!”
“Perché tu non … “ cominciò a dire Jim e poi vide l’espressione di Max.
“Ho fatto tutto quello che potevo, ma ero troppo stanco.” Il suo viso mostrava
cosa provava in quel momento: sentiva ancora una volta di avere fallito con
lei.
“Da questa parte.” Valenti si diresse alla fine dell’ingresso ed aumentarono
l’andatura. Faceva strada, aprendo lentamente la porta e controllando che
fossero al sicuro. Spinse fuori Max ed uscirono nella notte.
A Max ci volle qualche momento per rendersi conto di dove fossero. L’aria
vibrava intorno a loro ed un vento innaturale scompigliava capelli e vestiti.
Voltarono a sinistra e sentirono il rumore del motore di un elicottero e delle
pale che fendevano l’aria. Il motore stava accelerando, preparandosi ad alzarsi
in volo e Max cadde in ginocchio, esausto, col cuore che gli scoppiava nel
petto. Lì, sul sedile davanti, seduto vicino al pilota, c’era Johnson, portando
annidato tra le sue braccia qualcosa avvolto in una coperta. Ellie.
“No … ” Max fu incapace di fermare il grido agonizzante che gli uscì dalle
labbra.
Liz si agitò, sentendo la sua sofferenza, aprì gli occhi per scorgere attorno a
se uno scenario sconosciuto. Seguì con gli occhi la direzione dello sguardo di
Max, e per la prima volta, ebbe una rapida visione di sua figlia. “Ellie … “
sussurrò tristemente, allungando la sua mano nel vuoto, cercando di
raggiungerla.
Ellie di dimenò, cercando di allontanare la coperta, il visetto raggrinzito
mentre strillava. Liz pronunciò ancora il suo nome ed Ellie si calmò, come se
avesse sentito la voce di sua madre, al di sopra del rumore del motore.
La porta alle spalle di Valenti si aprì all’improvviso, sbattendo contro la sua
schiena. Sentì delle mani su di lui che cercavano di spingerlo a terra, ed un
braccio attorno al collo. La sua pistola cadde a terra e la cosa successiva che
avvertì fu il freddo dell’acciaio contro la sua tempia.
Era successo tutto così in fretta, che Max ne rimase stupito. Con Liz ancora
tra le sue braccia, non c’era nulla che potesse fare per aiutare Valenti. Si
immobilizzò del tutto, quando la pistola si spostò dalla testa di Valenti e lui
si trovò davanti agli occhi la canna di una 357 Magnum, stretta nella mano tesa
di Jonathan Miller.
“Bene, Max. Tu hai davvero sconvolto i miei piani, non è vero?” disse
crudelmente Miller.
Max rimase fermo a guardarlo, mentre tutto il suo corpo tremava. Solo il suono
della sua voce era sufficiente per fargli stringere lo stomaco. Quest’ uomo
l’avrebbe ossessionato per il resto della sua vita? Sentì Liz lamentarsi ed il
corpo di lei tremare in una reazione uguale alla sua.
“Sono stupito da questo piccolo fagotto tra le tue braccia, Max.” disse Miller
ironicamente, mentre usava lo Sceriffo come scudo tra lui ed il ragazzo. Aveva
sentito di quello che aveva fatto a Sandusky nella stanza di contenimento e non
aveva intenzione di lasciargli fare a lui la stessa cosa. Indietreggiò verso
l’elicottero, senza spostare gli occhi da Max. “Quando l’ho lasciata sul tavolo
operatorio, non credevo che avrebbe resistito fino all’arrivo dei soccorsi.”
“Tu? Tu l’hai lasciata in quel modo?” esplose Max, ritrovando finalmente la
voce. “Tu l’hai lasciata lì a morire?” Era colpa di Miller se Liz era in quelle
condizioni, era colpa sua se era quasi morta, colpa sua se Ellie era su quell’elicottero
invece di essere tra le loro braccia. Liz tramava ancora, impaurita oltre ogni
limite dal mostro che le stava davanti; Immagini di tutte le cose che aveva
fatto a Liz, di tutte le lacrime che aveva versato per colpa sua, di tutto il
dolore che le aveva procurato, inondarono Max come un diluvio. La paura per
quello che progettavano di fare ad Ellie, scatenò la sua ira. I suoi occhi si
strinsero, diventando scuri per l’odio represso. Una rabbia cresceva dentro di
lui, una rabbia di cui non credeva di essere capace.
“Ho avuto quello che volevo.” Miller si prese gioco di lui. “Perché dovevo
preoccuparmi di quella piccola cagna.”
Non merita di vivere, pensò Max, guardando l’uomo che odiava. L’aria si muoveva
intorno a loro mentre Miller arrivava vicino all’elicottero, vicino a Ellie, e
Max si rese conto che doveva fermarlo. I suoi occhi si restrinsero ancora,
mettendo a fuoco la pistola che Miller stringeva in mano.
Miller sentì una strana sensazione alla mano, un formicolio, come di tanti
aghi. La sua mano cominciò a voltarsi, involontariamente, distogliendo la mira
da Max e girandosi nella sua direzione. Cercò di opporsi, provando a girarla
ancora verso Max, tremando nello sforzo. Spinse lo sceriffo lontano da sé ed
afferrò la mano destra con la mano sinistra, cercando di allontanarla.
Valenti si spostò, vedendo la luce bluastra che emanavano gli occhi di Max ed
il terrore in quelli di Miller. Miller combatteva ancora contro la sua mano
mentre questa si curvava su di lui, portando la pistola nella sua direzione. La
sua faccia era rossa dallo sforzo sostenuto contro la mano su cui non aveva
controllo.
Max tremava mentre fissava la pistola rivolta contro il mostro che la
impugnava. La canna della pistola si mosse, puntando contro il cielo, poi tornò
a posarsi sotto il mento di Miller. Miller sentì il metallo toccare la sua
pelle, premere contro la gola, la canna puntata in direzione del suo cervello.
Sentì il suo dito premere sul grilletto e cercò di fermarlo. La sua mano era
mossa in maniera incontrollabile da un’altra mente che lo forzava a fare quello
che il suo cervello gli diceva di non fare. Il suo dito si strinse ancora ed
ancora e l’ultima cosa che sentì fu il suono della sua voce che gridava e lo
sparo mentre il suo dito premeva il grilletto.
Capitolo 39
Johnson vide la scena che si svolgeva sul
terreno sotto di lui. Sapeva che il ragazzo era pericoloso, nessun dubbio su
questo, ma ora poteva realmente vedere di cosa era capace la sua mente. Si era
sparsa la voce di quello che aveva fatto a Sandusky, sospeso per aria, con il
colpo avvolto in una luce blu e sparito in un batter d’occhio. Ma assistere a
qualcosa come quello che era appena accaduto era stupefacente. Stupefacente e
terrificante nello stesso tempo. Max, che usava solo il potere della mente per
rivolgere la pistola contro Miller.
Aveva provato sollievo nel vedere Max uscire dalla porta con Liz in braccio.
Significava che era viva. Sapeva che non avrebbe dovuto credere a Miller quando
aveva detto che si sarebbe preso cura di lei. Dopo aver fatto il parto cesareo
su Liz, Miller gli aveva ordinato di prendere la bambina e andarsene, mentre
lui sarebbe rimasto a chiudere l’incisione. Era tornato indietro. Qualcosa gli
diceva che era il caso di controllare la ragazza e quello che aveva visto gli
aveva fatto venire la nausea. Miller l’aveva lasciata sul tavolo operatorio a
morire dissanguata.
Era rimasto sbigottito, oltre che spaventato, quando Max era entrato
all’improvviso in camera operatoria. Aveva cercato di uscire in silenzio dalla
stanza, ma aveva sbattuto su un vassoio e l’aveva fatto cadere in terra. Grazie
a Dio aveva la bambina tra le braccia, o sarebbe incorso nello stesso destino
in cui era finito Miller. Aveva guardato, affascinato, mentre Miller lottava
contro la sua mano, un combattimento, lo sapeva, che lui non aveva alcuna
possibilità di vincere. Aveva fissato, in un orrendo incanto, come Jonathan
Miller aveva premuto il grilletto e si era sparato in testa.
“Porta questo dannato affare via da qui!” ordinò al pilota, sentendo un brivido
per la schiena. Pregò Dio di non doversi mai più incontrare faccia a faccia con
Max Evans.
***
Max si mise in ginocchio, sconvolto dal fatto di avere ucciso due persone
quella notte, sapendo che lo avrebbe fatto ancora, se fosse stato necessario.
Si mise a sedere, con Liz in grembo, seppellendo il viso nell’incavo della
spalla di lei. Non voleva vedere i resti scomposti dell’uomo che aveva appena
ucciso, anche se quell’uomo meritava di morire. Sentì la mano tremante di Liz
carezzargli la nuca, dandogli l’assoluzione per il terribile delitto che aveva
commesso. Il movimento dell’aria causato dalle pale dell’elicottero crebbe ed
entrambi alzarono lo sguardo in direzione del rumore del motore che si
impegnava in un frettoloso decollo. Era già a diversi metri da terra e loro lo
guardarono impotenti mentre si alzava sempre di più, portando la loro figlia
lontano dalle loro vite.
Michael apparve da dietro l’angolo dell’edificio, senza respiro, con Isabel
subito dietro di lui. Puntò la sua mano contro l’elicottero tentando di
fermarne la fuga. Luci divamparono dal suo palmo mentre Michael cercava di
impedirne l’ascesa e si concentrava nel tentativo di riportarlo a terra.
L’elicottero si inclinò e si alzò in alto, ondeggiando verso destra e poi a
sinistra mentre il pilota cercava di mantenerne il controllo.
“Ellie.” gridò Liz, provando a trovare la forza per tirarsi a sedere, per
alzarsi, certa di vederlo cadere come una palla di fuoco proprio davanti a lei,
portandole via Ellie per sempre.
“Michael. NO!” gridò Valenti correndo verso di lui. ”FERMATI!”
“Non possiamo lasciarlo andare via.” Rispose Michael allo sceriffo.
“Ellie è a bordo. Se tu tenti di tirarlo c’è la possibilità che precipiti e che
muoiano tutti, incluso lei. Te la senti di correre questo rischio?” chiese Jim,
additando i volti distrutti di Max e Liz mentre guardavano l’elicottero
precipitare sul terreno.
Liz si coprì la faccia con le mani, terrificata, mentre l’elicottero perdeva
quota. Le gambe non la reggevano e Max pensò che sarebbe caduta in terra,
singhiozzando disperatamente. Le voltò la testa con le mani, premendole la
faccia contro il suo petto, così che non potesse vedere l’impatto.
Il pilota lottava, mentre il terreno si avvicinava sempre di più. Attinse ai
suoi anni di esperienza e, all’ultimo momento, l’elicottero virò a destra e
riprese quota. Tirò indietro la leva con tutta la sua forza e il mezzo
ricominciò a salire. Evitò per un pelo una macchia di alberi e finalmente
riprese il controllo e volò via nella notte.
Max lo fissò fino a che si perse nel cielo scuro, scomparendo dalla vista.
***
Gli occhi di Jeff Parker osservavano la scena, mentre girava l’angolo
dell’edificio. Max era a terra, dondolando avanti e indietro, e tenendo
qualcuno tra le braccia. Era accaduto qualcosa di orribile, lo poteva vedere
sulle facce intorno a lui. Dov’era Liz? Qualcuno gli aveva detto che era lì.
Era lei che Max aveva in braccio? Stava bene? O la stava cullando perché era …?
Core avanti, timoroso di quello che avrebbe potuto vedere. Al rumore dei suoi
passi che si avvicinavano, Max guardo su e lui si accorse che lacrime gli
rigavano il viso. Voleva dire … ? Oh, Dio, ti prego non lasciare che significhi
che Liz è morta. Lui la vide muoversi e sospirò di sollievo. Lei alzò il suo
sguardo su di lui e Jeff si lasciò cadere accanto a lei.
“Papà.” Sussurrò e lui la prese fra le braccia.
“Lizzy, grazie al Cielo, Lizzy” gridò, mentre la teneva stretta a sé.
Max si sedette, sentendosi vuoto all’improvviso senza lei tra le sue braccia,
ma sapendo quanto Jeff avesse bisogno di stare con sua figlia, ora. Tornò a
guardare il cielo scuro, col cuore pesante. L’immagine del visino di Ellie era
scolpita nella sua mente. Gli era stata strappata via prima che avesse avuto la
possibilità di toccarla anche solo una volta.
***
Valenti aprì la coperta che aveva trovato all’interno dell’edificio e coprì il
corpo di Miller, indietreggiando quando vide quello che era rimasto della
faccia dell’uomo. Philip Evans arrivò dietro di lui e guardò la forma
indistinta.
“Jim, dobbiamo parlare di quello che è successo.” Disse calmo Philip. “Max ha
ucciso un uomo, stanotte, e non c’è nulla che può giustificare quello che ha
fatto, ci deve essere un prezzo da pagare.”
“Questo sembra chiaramente un suicidio, ed è esattamente quello che scriverò
nel mio rapporto. Jonathan Miller è responsabile di aver rapito due ragazzi e
di averli tenuti prigionieri. Uno è riuscito a fuggire e l’altro è stato
liberato questa notte. Quando si è trovato alle strette, ha preferito spararsi
alla testa piuttosto che affrontare un processo.”
“C’è un sacco di gente che lavora qui.” disse Philip preoccupato “Un sacco di
gente che sa quello che è successo qui … “
Un suono ruppe l’aria della notte, attirando la loro attenzione nel cielo
d’ebano. Potevano sentire il rumore delle pale che tagliavano l’aria, il ronzio
del motore, prima ancora di riuscire a vederlo. Una parte di Max pregava che
fosse Johnson, che riportava indietro Ellie, indietro da lui, ma sapeva che non
era così.
L’elicottero del pronto soccorso apparve oltre le cime degli alberi e cominciò
lentamente a scendere verso terra. Max era sollevato dal fatto che finalmente
fosse arrivato un aiuto per Liz. Il suo respiro era difficoltoso e stava
scivolando al limite dell’incoscienza. Max vide che il padre di lei la sollevò
da terra, aspettando che i medici portassero la lettiga, per riportarla a
Roswell e alle cure mediche di cui aveva disperatamente bisogno.
La rotazione delle pale smuoveva l’aria intorno a loro ed il rumore impediva di
parlare. Gli sportelli si aprirono non appena i pattini dell’elicottero
toccarono il terreno e ne uscirono due medici con una barella e Jeff si diresse
verso di loro, portando Liz in braccio. Max camminava avanti a lui e mentre
l’uomo la deponeva sulla lettiga, lui si sporse a prenderle una mano. Uno dei
medici si fermò davanti a lui e Max si fermò e fece un passo indietro, per dare
modo di assisterla. Spinsero avanti la barella, seguiti da Max e Jeff. La
barella raggiunse lo sportello aperto dell’elicottero e scivolò all’interno,
mentre un medico metteva sulla faccia di Liz una maschera di ossigeno e l’altro
si girava verso Jeff, gridando sopra il rumore dell’elicottero “E’ il padre?”
Jeff annuì e il medico gli fece segno di salire a bordo. Max fece un passo
avanti, intenzionato a salire dietro Jeff, ma una mano contro il suo petto lo
spinse decisamente indietro. “Mi dispiace, ragazzo, c’è posto solo per una
persona.” gridò il medico. Max rimase stupito. Non volevano lasciarlo andare
con lei?
“Ma … “ balbettò Max, mentre guardava il medico infilare una endovena nel
braccio di Liz. Ma doveva andare con lei, pensò. Aveva bisogno di andare con
lei all’ospedale. Non volevano lasciarlo lì, vero? Vide Liz sollevare una mano
nella sua direzione e poi lo sportello laterale dell’elicottero si chiuse sulla
sua faccia. Fece un passo indietro, poi un altro, guardandolo sollevarsi al
terreno. Senza di lui. Stordito, seguì con gli occhi l’elicottero che si
alzava, sfiorando gli alberi mentre prendeva velocità e volava nella notte.
“Liz!” gridò sommessamente, mentre anche lei spariva dalla sua vista
.
Philip vide l’espressione distrutta sul volto di suo figlio e attraversò
rapidamente la strada. Posò la mano sulla sua spalla e, quando Max si girò a
guardarlo, poté sentire il dolore che stava provando suo figlio e sentirlo nel
tono della sua voce.
“Non hanno voluto che andassi, papà.” disse Max sotto choc, “Non hanno voluto
che andassi con lei.” Negli ultimi mesi, e nelle ultime settimane, la ricerca
di Liz lo aveva consumato. La sua ragione di vita era stata trovarla, portarla
a casa, salvare lei ed Ellie. Ora sembrava che tutto quello che aveva fatto era
sbagliato e che gli sfuggiva dalle dita. Ellie se ne era andata, allontanata da
loro crudelmente, e senza Liz lui si sentiva paralizzato.
“Vieni, figliolo.” disse Philip spostandolo via dalla vista del cielo vuoto che
stava fissando, “Ti porterò all’ospedale. Per quando saremo arrivati, lei sarà
stata gia sistemata in una camera e tu potrai vederla. Andiamo!” lo esortò
ancora.
“Max,” chiamò Michael rincorrendolo. Max si girò lentamente e Michael si
immobilizzò. La vista della faccia del suo migliore amico gli faceva venir
voglia di fracassare tutto. “ Mi … mi dispiace, Max. Io non … non sono riuscito
a raggiungerla in tempo.”
Max guardò Michael, riconoscendo il senso di colpa sul suo viso. Annuì, sapendo
che non era da biasimare. Lui doveva biasimare solo se stesso per non essere
arrivato in tempo.
“Dobbiamo decidere cosa fare … “ mormorò Michael indicando l’edificio.
“Di cosa state parlando?” chiese Philip.
“Dentro.” disse Michael “Hanno registrazioni, archivi, esami di laboratorio su
Max e Liz, anche su Joshua. Se qualcuno ci mette sopra le mani …”
“Brucialo.” disse Max e tutti gli occhi si puntarono su di lui. “Brucia tutto!
Distruggi tutto il maledetto edificio.”
***
Max uscì al volo dalla macchina, mentre suo padre cercava un posto nel
parcheggio dell’ospedale. Si precipitò nel pronto soccorso con Philip alle
calcagna, e cercò Liz o qualcuno che potesse dirgli dove l’avessero portata. I
suoi occhi si posarono su sua madre e si affrettò a raggiungerla.
“Mamma … Mamma!” alzò la voce nel tentativo di attirare la sua attenzione
mentre correva verso di lei.
“Max.” lo chiamò, alzandosi dalla sedia della sala d’aspetto.
“L’hai vista? Sai dov’è?” chiese Max fermandosi davanti a lei. “Sai dove
l’hanno portata?”
“No, Max … Io …” Diane cominciò a scuotere le testa e Max si allontanò da lei,
con uno sguardo feroce negli occhi. “Max, no … Max, aspetta!” lo chiamò, mentre
si dirigeva alla postazione delle infermiere. Diane si voltò verso Philip con
un’espressione impotente sul viso. “Philip, è necessario che tu lo fermi. Ho
bisogno di parlargli, prima di ogni altra cosa.”
“Elizabeth Parker.” Disse d’impeto Max quando fu arrivato al bancone. “L’hanno
portata qui in elicottero solo poco fa. Parker, Liz Parker.” Max ripeteva il
suo nome, mentre l’infermiera controllava le registrazioni.
“E’ qui.” Rispose l’infermiera quando trovò il suo nome. “Qual è il tuo nome?”
Max guardò l’infermiera come se stesse parlando un’altra lingua. Quale
differenza poteva fare il suo nome? “Evans, Max Evans. Vorrei solo sapere dove
sta.”
“Mi dispiace, il tuo nome non è nella lista.” Si scusò l’infermiera. “Posso
dare informazioni solo alle persone che sono sulla lista. Solo ai familiari,
per proteggere la paziente.”
“Ma io sono della famiglia!” sibilò Max e prese la cartella dalle mani della
donna. Liz era da qualche parte in quell’ospedale e lui l’avrebbe trovata.
Ignorò le grida di protesta e di richiesta di aiuto da parte della sicurezza,
mentre cercava il nome di Liz. “Stanza 427.” Mormorò mentre si girava per
cercare l’ascensore che lo avrebbe portato al quarto piano.
“Max, tua madre ha bisogno di parlarti.” Gli disse Philip, trattenendolo per la
spalla. Max lo scosse via e, girandosi verso l’ingresso, cominciò a correre. Si
fece strada nell’ascensore e Philip rimase a guardarlo, impotente.
“Vieni.” Gli disse Diane mentre l’ascensore successivo si apriva.
***
Mentre l’ascensore saliva, Max guardò le luci che indicavano i piani raggiunti.
Sentiva ancora un’oppressione nel petto, una schiacciante percezione del
destino. Cosa stava succedendo? Perché avevano fatto una lista delle persone
che potevano vedere Liz ed il suo nome non c’era? L’ascensore si aprì al quarto
piano e lui si precipitò nel corridoio. Camminando a grandi passi, controllò i
numeri delle stanze: 417 … 419 … 421. Guardò davanti a sé e vide Jeff Parker
uscire da una stanza.
“Jeff … Jeff!” chiamò Max, andando verso di lui. La sua andatura rallentò
quando Jeff si voltò verso di lui, senza guardarlo negli occhi. C’era qualcosa
di sbagliato, qualcosa di veramente sbagliato. “Cosa c’è?” chiese Max , ormai
totalmente nel panico. “E’ successo qualcosa durante il volo? Liz sta bene?”
Max lo oltrepassò per entrare nella stanza e sentì la mano di Jeff trattenerlo
per un braccio.
“Aspetta, Max. Non entrare!” disse Jeff, alzando la voce.
“Cosa? Perché?” Max guardò la mano sul suo braccio e poi gli occhi di Jeff.
“Liz ne ha passate troppe, Max. Tu, più di tutti gli altri, ne sei a
conoscenza. “ disse Jeff stringendogli più forte il braccio mentre sentiva Max
spingersi verso la stanza. “Noi vogliamo solo che lei possa riposarsi, che non
sia stressata da un sacco di gente che va e viene. Visitatori. Tu capisci,
vero?”
Frastornato Max spostava lo sguardo tra la mano di Jeff che lo tratteneva e la
sua faccia tesa. “Lei vuol dire me! Lei non vuole che Liz veda me!”
“Solo per qualche giorno, Max.” disse Jeff tentando di mantenere bassa la sua
voce. “Dalle la possibilità di riprendersi. E’ passata attraverso una prova
terribile. Tu lo sai. La cosa migliore per lei, ora, è riposare.”
Max lo fissava, mentre lo stupore si tramutava in rabbia. Non potevano tenerlo
lontano da lei. Non glielo avrebbe permesso. “Ho bisogno di vederla” gli disse,
togliendo via la sua mano dal braccio. “Ho bisogno di vederla adesso.” Jeff
allungò ancora la sua mano e Max la allontanò di nuovo. “Non cerchi di
fermarmi!”
“Max, non entrare!” lo mise in guardia Jeff facendo un passo verso la porta per
bloccargli l’ingresso.
Philip corse fuori dalle porte dell’ascensore appena si aprirono e, anche da
lontano, poté sentire davanti a lui le voci alterate. Raggiunse Max appena in
tempo per intromettersi prima che arrivassero allo scontro fisico. Fece
indietreggiare suo figlio di un passo, sentendo in lui la tensione pronta ad
esplodere. Improvvisamente Max si calmò e la rabbia lasciò la sua voce.
“La prego, signor Parker, la prego non mi faccia questo!” disse Max con un nodo
nella voce. “Voglio solo vederla …” e si fermò quando vide Nancy Parker
comparire sulla porta. L’espressione della sua faccia lo fece rabbrividire.
“Questo è esattamente il motivo per cui non volevo che tu venissi qui.” disse
Nancy energicamente, tentando di non alzare la voce. “Il dottore ha dovuto
darle dei sedativi perché sentire la tua voce l’ha fatta agitare. Dopo tutto
quello che le è successo per colpa tua, Max … tu devi lasciarla stare.”
Max non riusciva a parlare. Non volevano che lui la vedesse. Non sapeva nemmeno
in che condizioni fosse e loro non volevano dirglielo. Stavano per
estrometterlo dalla vita di Liz, per proteggerla da lui e da quello che le
aveva fatto. Fece un passo indietro, poi un altro. Nancy strattonò il braccio
di Jeff, per tirarlo dentro la stanza e poi chiuse la porta, chiudendolo fuori
dalla vita di Liz.
Max rimase immobile davanti alla porta e sentì di avere perso tutto. Ellie era
perduta. Liz era tenuta lontana da lui. Si era veramente agitata così tanto
nell’udire la sua voce, al punto di dover essere sedata? Forse Nancy Parker
aveva ragione. Lui aveva rovinato la vita di Liz. Ora che era tornata a casa,
forse doveva stare lontano da lei. Lasciarla ricominciare una nuova vita, senza
lui intorno che le ricordasse le orribili cose che le erano accadute.
Max avvertì la mano di suo padre sul suo braccio e si tirò via da lui,
allontanandosi dalla porta e dirigendosi demoralizzato lungo il corridoio.
Tutto si fece confuso mentre i suoi occhi si riempirono di lacrime non versate.
Non sentì sua madre chiamarlo né vide suo padre trattenerla dal seguirlo. Tutto
il suo mondo era andato in pezzi, senza Liz, senza Ellie. Le lacrime
cominciarono a scendere, rigandogli il volto come pioggia, fuori dall’ospedale,
fuori nella fredda, buia notte.
Capitolo 40
Max entrò nella sua stanza e gettò le
chiavi sulla scrivania, poi lasciò cadere la sua giacca sulla spalliera della
sedia. Aveva accompagnato presto Daniel all’aeroporto e dopo aveva guidato
senza meta, pensando a tutto quello che era successo negli ultimi giorni.
Avevano seguito l’elicottero fino ad un campo di aviazione ad Hobbs, ma, quando
vi era arrivato, la traccia si era ormai raffreddata. Avevano passato due
giorni ad interrogare gli impiegati, i meccanici, i commercianti della zona,
tutti quelli che avevano potuto notare qualcosa quella notte, ma non era
servito a niente. Dopo che erano atterrati, Johnson era scomparso nella notte,
con Ellie.
Si spogliò e si butto sul letto, esausto ma incapace di prendere sonno. Erano
diverse notti che non riusciva a dormire. In un certo modo, le cose sarebbero
dovute andare meglio ora, ma non era così. Liz era a casa. Lei era salva. Già
questo avrebbe dovuto farlo riposare tranquillo, ma con i Parker che non gli
permettevano di vederla e con Ellie sparita, lui si sentiva come in un incubo
da cui non si sarebbe più svegliato.
Jeff Parker aveva chiamato per fargli sapere che Liz era stata dimessa
dall’ospedale dei giorni prima. Aveva parlato con sua madre e la chiamata era
stata corta ed essenziale. Lei stava meglio. Stava guarendo e presto si sarebbe
rimessa del tutto. Questo avrebbe dovuto essere sufficiente per lui, ma non era
così. Lei gli mancava. Gli mancava così tanto da stare male.
Maria, oggi, lo aveva chiamato per dargli un aggiornamento, per tenerlo
informato di quello che accadeva a Liz. Maria capiva quello che lui stava
passando e lui le voleva bene per l’amicizia che gli aveva dimostrato in quegli
ultimi mesi. Gli aveva detto che, da quando era uscita dall’ospedale, Liz
passava la maggior parte del tempo dormendo e che quando era sveglia, piangeva
per tutto il tempo. Maria l’aveva sentita supplicare sua madre perché lo
lasciasse andare a trovarla, per farsi portare un telefono cos’ da poterlo
chiamare, ma la madre le aveva solo detto di riposare, che avrebbero parlato di
questo più tardi, quando lei sarebbe stata meglio.
Max sospettava che Nancy Parker sarebbe stata felice se il suo nome non fosse
mai più stato pronunciato in quella casa.
Forse era inevitabile che tutto finisse così. Lui l’aveva detto a Liz prima che
si mettessero insieme. A quel tempo, Max pensava che era solo la sua paura a
tenerlo lontano da lei, ma forse aveva avuto ragione. Lei era andata incontro a
così tanto dolore e sofferenza a causa sua. Se solo lui avesse avuto la forza
di starle lontano, come aveva intenzione di fare all’inizio, tutto questo le
sarebbe stato risparmiato. E allora Ellie non sarebbe mai stata …
Max scostò le coperte e saltò fuori dal letto, col bisogno di fare qualcosa,
senza sapere cosa fare. Aveva bisogno di qualcosa che tenesse i suoi pensieri
lontano da Ellie. Qualcosa che scacciasse le sue paure, perché se pensava a
quello che poteva accaderle, sarebbe diventato pazzo. La breve occhiata che le
aveva dato lo perseguitava. Ecco perché non riusciva a dormire di notte. Le
cose che erano successe a Liz, e che sarebbero potute accadere a Ellie,
tormentavano i suoi sogni.
Max prese il telecomando della piccola TV sulla sua scrivania e si sedette
sulla sponda del letto. Spinse l’interruttore ed abbassò il volume, per non
disturbare il resto della casa. Dette una scorsa ai programmi, ed
improvvisamente la faccia di Jonathan Miller lo fissò di nuovo. Lasciò quasi
cadere il telecomando sul pavimento. Alzo un po’ il volume ed ancora una volta
ascoltò la storia che era stata preparata per il pubblico e che veniva ripetuta
nell’edizione del notiziario delle 23.
“ … rapito due adolescenti del new Mexico … Miller, un noto scienziato …
testimoni riportano che si è suicidato. … i rapporti dicono che ha dato fuoco
all’edificio per rimuovere le prove della sua colpevolezza … le autorità stanno
ancora cercando i complici … le vittime sono ora a casa con i familiari per
riprendersi dalle prove subite …”
Lui e Liz erano ancora minorenni così i loro nomi e le loro foto erano stata
tenute lontano dai giornali e dai media. Naturalmente a Roswell tutti
conoscevano la loro storia, ma almeno, ora, l’intera città non lo considerava
più un assassino. Com’è ironico, pensò, dopo quello che aveva fatto a Miller e
a Sandusky. Tutte le persone che prima lo avevano guardato in modo accusatorio,
ora lo guardavano con simpatia e curiosità. Nessuno sapeva di Ellie. Avevano
tenuto questa parte della storia lontano dalla stampa.
Daniel aveva detto a tutti di non preoccuparsi di quello che avrebbero detto su
quello che Max aveva fatto a Sandusky o alle guardie. La sua gente avrebbe
manipolato le voci e le insinuazioni che fossero venute fuori e che nessun peso
sarebbe stato dato alla faccenda.
Sarebbe stata vista come una chiacchiera, come la storia del ragazzo con la
faccia di cane o come l’immagine di Satana che era apparsa in una nuvola sopra
l’infame città di Salem. Quelli implicati nella loro prigionia avevano tutto
l’interesse a rimanere nascosti o non avrebbero o non avrebbero potuto dire di
essere estranei alla faccenda, coprendosi le spalle dalla possibilità di finire
sotto processo.
Max spense la TV e si passò irrequieto le mani tra i capelli. Per quanto
facesse, non riusciva a rilassarsi. Non era qui che voleva stare. Voleva
disperatamente vederla, starle vicino, sapere che stava bene. Nel profondo
della sua anima, sapeva che anche lei aveva bisogno di lui. Per quanto tentasse
di convincere se stesso che i Parker avevano ragione, che doveva lasciarla
stare, nel suo cuore sentiva che Liz aveva bisogno di lui tanto quanto lui
aveva bisogno di lei.
Si ricordò del breve bacio che avevano diviso mentre si nascondevano dalle
guardie, prima che uscissero dall’edificio. Poteva ancora sentire le labbra di
Liz sulle sue. Lei lo aveva guardato con solo amore nei suoi occhi. Nessuna
accusa, nessun rimprovero, anche se lui li meritava. Lui si sentiva attirato da
lei, almeno quanto lei lo stava chiamando. Allora si alzò in piedi.
Si infilò un paio di jeans e prese una camicia a maniche lunghe da una
stampella dell’armadio. Si sedette sull’orlo del letto per infilare un paio di
calzini e le scarpe, allacciandole velocemente.
Una volta che fu vestito, prese le chiavi dalla scrivania ed aprì la finestra.
Una ventata di aria gelida lo sorprese, allora afferrò al volo la giacca dalla
sedia ed infilò le braccia nelle maniche. Saltò dalla finestra e, pochi minuti
dopo averlo deciso, era già sulla strada verso Liz.
***
Liz mormorò nel sonno, girandosi e rigirandosi nel suo letto. Stava sognando
ancora, lo stesso sogno che aveva fatto negli ultimi giorni. Lei barcollava in
un corridoio, cercando, cercando, tentando di ascoltare un suono, un pianto,
sentendo soltanto i propri singhiozzi.
Accelerava il passo, correndo per il corridoio che non finiva mai. In
lontananza poteva vedere una porta. Poteva sentire il pianto di un bimbo dietro
quella porta. I suoi piedi scalzi correvano e correvano ma la porta non si
avvicinava mai. Il panico la prese quando il pianto si trasformò in un grido di
angoscia.
Liz uscì fuori dal sogno per il suono delle proprie grida che penetrava la
notte. Nancy e Jeff corsero in camera della figlia e le si misero accanto.
Nancy tentò di toccarla per rassicurarla, ma Liz si divincolò, proprio come
aveva fatto la notte prima e la notte prima ancora. Le sue grida isteriche
continuarono e Nancy sentì il violento tremito che le scuoteva il corpo.
***
Max era di fronte al Crashdown e sentì crescere la sua agitazione. Poteva
avvertire il panico di Liz e il suo terrore. Sentì l’eco delle grida nell’aria
della notte e vide la luce accendersi nella sua stanza. Sapeva che i suoi
genitori stavano cercando di confortarla, come avevano tentato la notte prima e
la notte prima ancora, mentre lui stava lì fuori e sentiva le sue grida
sconsolate.
Non poteva più stare lì solo ad ascoltare e non fare nulla. Sapeva di non
essere gradito, ma sapeva anche che lei aveva bisogno di lui. Max attraversò la
strada e lentamente salì la scala che l’avrebbe portato vicino a lei.
***
Liz singhiozzava mentre la madre cercava di consolarla. Le parlava in modo
rassicurante, ma sembrava che nulla avesse il potere di calmarla. “Prendi un
altro sedativo, Jeff.” disse Nancy indicando la bottiglietta di pillole sul
comodino. Lui ne mise una sul palmo della mano ed andò in bagno per prendere un
bicchiere di acqua fresca. Un’ombra si proiettò dalla finestra sul pavimento e
Liz si calmò tra le braccia della madre.
“Max?” sussurrò Liz.
Nancy guardò sua figlia improvvisamente calma, e poi si volse verso Jeff con
un’espressione interrogativa. Con la coda dell’occhio avvertì un movimento e si
girò verso la finestra, scorgendo una sagoma. La luce dietro di lui lasciava in
ombra la sua faccia, ma il modo nervoso con cui spostava il suo peso da un
piede all’altro mostrava la sua esitazione ad entrare.
“Max’” sussurrò ancora Liz.
Nancy si voltò verso sua figlia, sorpresa dal modo in cui si era calmata
all’improvviso. Si era sentita così sicura del fatto che Max dovesse stare
lontano da sua figlia, per dare a Liz il tempo di riprendersi, ma forse si era
sbagliata. Il suo sguardo era diventato così smorto, così vuoto, da quando era
tornata a casa, ma ora, vedendola mentre guardava Max, Nancy vide la vita
tornare nei suoi occhi.
“Max … “ disse Liz più forte mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
Nancy fece cenno a suo marito di aprire la finestra e lentamente Max si fece
avanti. Si mise in ginocchio di fronte alla finestra ed incontrò lo sguardo di
Jeff. Preparò se stesso a ricevere le parole dure che si aspettava da lui, alla
richiesta adirata di andarsene via, e fu sorpreso, invece, di scorgere
un’accettazione. Si girò per guardare Nancy, ancora più sorpreso di vederla
anche nel suo sguardo. Si alzò dal letto e si mise in disparte e Max girò lo
sguardo verso Liz.
Appariva così pallida, così piccola, ma anche con i cerchi scuri sotto gli
occhi le sembrava così bella. Poteva avvertire la sua paura ritirarsi, ora,
rimpiazzata da un senso di calma. Lo sguardo di Max si fissò in quello di lei,
e lei fu la sola cosa che riuscì a vedere in quella stanza. Esisteva solo lei.
Saltò dalla finestra e rimase immobile a guardare la ragazza che amava più di
qualsiasi cosa al mondo.
Liz sospirò e chiuse gli occhi per liberarsi dalle lacrime e poterlo vedere
meglio. Gli era mancato cosi tanto. Senza di lui si sentiva vuota, senza anima.
Non era sicura che si era tenuto lontano perché pensava di farlo per il suo
bene o perché i suoi genitori non volevano che venisse, ma ora era qui ed il
resto non contava più. Questo era tutto quello che importava. Alzò lentamente
le sue braccia e le tese verso di lui.
Lui era immobile, timoroso che se si fosse mosso, lei sarebbe scomparsa. Le sue
braccia erano così invitanti. I suoi occhi lo attiravano verso di lei. Aveva
bisogno di sentire che era vera, viva, lì. Lei lo chiamò ancora ed il dolce
suono della sua voce ruppe la sua esitazione. Corse da lei, cadendo in
ginocchio vicino al letto e la circondò con le braccia, tenendola stretta a sé.
La sua testa si posò sul petto di lei e Liz respirò profondamente, lasciando
che il suo profumo penetrasse i suoi sensi. Le braccia di Liz lo strinsero
ancora di più, appoggiò la sua guancia sulla testa di lui e chiuse gli occhi,
rilassata per la prima volta da quando era tornata a casa.
Nancy fece scivolare la sua mano in quella di Jeff e silenziosamente lasciarono
la stanza. Lei guardò ancora sua figlia mentre chiudeva la porta, comprendendo
finalmente quello di cui Liz aveva bisogno. La sua anima, il suo spirito,
necessitavano di cure maggiori che non il suo corpo e lì c’era l’unica persona
che poteva porvi rimedio. Max poteva fare per Liz quello che lei non sarebbe
mai riuscita a fare. Max poteva guarire sua figlia. Nancy chiuse la porta in
silenzio e lasciò che la guarigione cominciasse.
Liz passò le dita tra i capelli di Max e lo baciò dolcemente sulla fronte. Con
la punta delle dita gli spostò i capelli e i loro occhi si incontrarono. Le
labbra di Max si aprirono ma, prima che riuscisse a parlare , lei lo zittì
mettendogli un dito sulle labbra. Lei si spostò nel letto, per permettergli di
sdraiarsi al suo fianco e lui si tolse la giacca, lasciandola cadere per terra.
Salì sul letto e, come ebbe appoggiata la testa sul cuscino, Liz era tra le sue
braccia. Le spalle di Liz tremavano e lui vide le sue lacrime bagnargli la
camicia. Se la strinse contro, accarezzandole i capelli, baciandole il capo,
sussurrandole parole rassicuranti.
“Tutto bene, Liz. Ora andrà tutto bene! Siamo a casa, Liz. Siamo a casa.” Il
suo pianto si calmò ed il suo respiro divenne tranquillo e regolare, come se la
sua sola presenza la calmasse. “Dormi, ora. Io starò qui con te. Starò qui per
tutto il tempo che avrai bisogno di me.” La sentì rilassarsi, mentre la
tensione abbandonava il suo corpo, e scivolò in un sonno ristoratore. “Ti amo,
Liz. Ti amo così tanto.” le sussurrò ancora, mentre la vegliava nella notte.
***
Nancy sedette sul bordo del letto e lentamente prese il telefono. Compose il
numero familiare e aspettò che cominciasse a squillare.
“Pronto?” rispose una voce assonnata.
“Diane? Sono Nancy … “ strinse forte il telefono, aspettando la reazione di
Diane. Non dovette aspettare molto. Ci fu una piccola pausa di silenzio
assoluto e poi Nancy sentì Diane aspirare profondamente.
“E’ successo qualcosa?” chiese Diane e trattenne il respiro. Si girò per
controllare l’orologio e vide che erano le due di notte. Una telefonata nel
cuore della notte non porta quasi mai cose buone. Ti prego, fa che non sia
accaduto niente a Liz, pregò in silenzio.
“Diane … Max è qui.” Nancy guardò suo marito e lui le toccò la mano per
incoraggiarla.
Diane chiuse gli occhi e sentì il cuore spezzarsi per suo figlio. Lui aveva
così tanto bisogno di stare con Liz, almeno solo di vederla e di toccarla.
Giusto per convincersi che lei fosse finalmente a casa.
Philip vide l’espressione addolorata sul viso di sua moglie e si mise a sedere,
teso.
“Cosa è successo? chiese allarmato.
“Max è dai Parker.” disse piano Diane, con la mano sul microfono. Philip uscì
svelto dal letto e si diresse verso l’armadio per prendere i vestiti.
“Nancy, mi dispiace. Veniamo a prenderlo subito.” Nella mente, poteva
immaginare la scena, Max che chiedeva di vedere Liz e i Parker che glielo
impedivano. Ripensò alla lite in ospedale e sperò che Philip arrivasse prima
che le cose sfuggissero di mano.
“Diane, aspetta …”
“Si?” rispose Diane e fece segno al marito di fermarsi ancora prima che
uscisse.
“Noi vogliamo che Max rimanga.” Nancy sentì il silenzio dall’altra parte della
linea.
“Cosa?” rispose finalmente Diane, certa di aver capito male.
“Noi vogliamo che Max rimanga.” Ripeté Nancy “Qui. Con noi. Con Liz.”
“Non sono sicura di aver capito.” Disse Diane, facendo segno a Philip di
sedersi.
“Lo so che ti chiedo molto,” disse Nancy e la sua voce divenne quasi un
sussurro “ma Liz ha bisogno di lui.”
Diane appoggiò il telefono all’orecchio e tentò di fare ordine nel suo
cervello. Pochi mesi prima, Jeff aveva cercato di uccidere Max. Pochi giorni
prima, gli avevano detto di stare lontano dalla figlia. Ora gli chiedevano di
stare con loro?
“Per quanto tempo … “ cominciò a dire Diane. Nancy intendeva dire qualche
minuto? Qualche ora?
“Ci vorrà un po’ di tempo …” rispose Nancy esitante “Liz non sta …”
‘Andando molto bene.’ Diane finì la frase nella sua mente. Ci si poteva
aspettare qualcosa di diverso? Rapita, tenuta prigioniera, torturata, incinta e
poi le avevano portato via la bambina.
“Jeff potrebbe venire a prendere le sue cose. Vestiti. Oggetti da toeletta. Se
per te va bene.” Nancy teneva stretto il telefono, sapendo di chiedere tanto.
Più di quello che aveva il diritto di chiedere, considerando come lo aveva
trattato.
Nancy stava parlando di un lungo periodo? Stava chiedendo se Max poteva
trattenersi per un giorno o due o stava chiedendo che Max si trasferisse da
loro? Diane rimase a pensare per oltre un minuto e la risposta fu che non
importava. Liz aveva bisogno di Max e Diane sapeva esattamente quanto Max
avesse bisogno di Liz.
“Faremo trovare a Jeff una borsa pronta, per quando sarà arrivato.” rispose
Diane.
“Grazie!” Nancy stava quasi per piangere al telefono.
Diane sentì il clic mentre Nancy chiudeva la comunicazione e si voltò a
guardare Philip. “Dobbiamo preparare una borsa per Max. Non vivrà con noi, per
un po’.”
***
Max vegliò su Liz, mentre lei dormiva, coprendola per tenerla al caldo e
parlandole per cacciare via gli incubi che la tormentavano. Era ancora
fisicamente debole per le prove che aveva attraversato e lui era addolorato di
non essere ancora in grado di aiutarla. I suoi poteri erano stati indeboliti da
tutto quello che era successo quella notte e ci sarebbero voluti giorni perché
tornassero. Fino ad allora, non c’era nulla che potesse fare, tranne stare con
lei.
La vegliò per tutta la notte, col cuore pieno di gioia per essere ancora con
lei, ma nello stesso tempo, la sua gioia era mitigata da quello che avevano
perso. Aveva visto Ellie solo per pochi momenti, ma la sua immagine si era
impressa nella sua mente per sempre. In quei brevi istanti, aveva visto una
immagine minuscola della donna che amava, e poi lei se ne era andata. I suoi
occhi erano colmi di lacrime e Max si concesse di piangere per tutto quello che
avevano perduto e per tutto quello che era stato tolto loro.
Capitolo 41
Max sentì girare la maniglia e vide
entrare la luce del corridoio. Un’ombra si proiettò sul pavimento e udì dei
passi nella stanza.
Jeff camminava silenziosamente, cercando di non disturbare la coppia nel letto.
I suoi occhi si adattarono alla luce fioca della stanza e riuscì a scorgere il
viso di sua figlia. Era accoccolata contro Max, con la testa poggiata sul petto
di lui e, per la prima volta da quando era venuta a casa, sembrava riposare
tranquilla. Max, tranne le scarpe, era completamente vestito ed era disteso
sopra le coperte. I loro occhi si incontrarono e Jeff vide negli occhi di Max
più sofferenza di quella che un ragazzo della sua età avrebbe mai dovuto
provare. Jeff mostrò a Max la sua familiare borsa di tessuto e poi la appoggiò
sul pavimento, vicino all’armadio di Liz.
“Sono andato a prenderti qualcosa a casa,” disse Jeff sottovoce, per non
svegliare Liz “Qualche vestito, qualcuna delle tue cose personali di cui i tuoi
genitori pensavano potessi avere bisogno.”
Max fissò Jeff. Cosa stava cercando di dirgli? Che loro … Era possibile che
volevano permettergli di restare?
“Mi dispiace Max, per tutto quello che tu e Liz avete sofferto. Non avevamo
intenzione di cacciarti via. Noi volevamo solo fare quello che ritenevamo
meglio per Liz. Non è stato facile per nessuno di noi, ma posso vedere che ora
la cosa migliore per Liz è averti vicino.”
“Signor Parker, io farò tutto quello che volete, a condizione che mi
permettiate di vederla.” disse Max e dolcemente accarezzò la testa di Liz,
mentre lei si muoveva nel sonno.
“Una volta mi chiamavi Jeff,” disse con espressione dolce “Mi piacerebbe che tu
ti sentissi abbastanza a tuo agio da chiamarmi ancora così.”
Max lo vide allontanarsi, portandosi via anche un po’ della sua tensione. Liz
si mosse ancora contro di lui, lamentandosi e lui riportò su di lei la sua
attenzione. Le passò le dita tra i capelli e le baciò la fronte, sussurrandole
parole che la calmassero e cacciassero via i suoi incubi.
***
La luce penetrò le sue palpebre e Max aprì gli occhi lentamente. Gli ci volle
un momento per rendersi conto di dove si trovasse, poi sentì Liz rannicchiarsi
contro di lui. Si era mossa appena, durante la notte, con la testa poggiata sul
suo petto e le braccia che lo tenevano stretto, quasi come se volesse
impedirgli di andare via. Le accarezzò un braccio, sentendo il calore della sua
pelle delicata, poi con la mano coprì quella di lei e chiuse di nuovo gli
occhi, solo per sentire il suono lieve del suo respiro.
Il rumore della porta che si apriva si intromise nel suo leggero sonnellino e
vide Nancy entrare nella stanza con un vassoio in bilico sulle mani. Lei
attraversò la stanza in silenzio e lo posò sulla scrivania accanto alla
finestra. Si voltò, e quando vide che era sveglio, si avvicinò al letto.
“Guarda se riesci a farle mangiare qualche cosa, Max.” disse Nancy
appoggiandogli piano una mano sulla spalla. “Da quando è tornata a casa non ha
mangiato nulla.”
Max annuì e la vide lasciare la stanza. Gli sembrava così strano essere qui e
sentirsi benvenuto dopo tutto quello che era successo. Si girò verso Liz e
cercò di svegliarla delicatamente.
“Liz?” disse piano e le strofinò una guancia con un dito. “Liz, svegliati,
tesoro.” Lei si mosse verso di lui e vide che i suoi occhi si stavano aprendo
lentamente. Vide passare un attimo di paura sul suo viso e poi si rese conto di
dove fosse. Riusciva a sentire il suo odore familiare e i suoi occhi fissarono
quelli di lui.
“Max …” mormorò e lui percepì tutte le emozioni che lei stava provando.
Sollievo per essere a casa, gioia e tristezza, disperazione e speranza,
angoscia e fiducia, e amore. Più di tutto sentiva il suo amore.
“Liz,” sospirò mentre la prendeva tra le braccia e chiudeva gli occhi. Il suo
amore per lei lo invadeva, sopraffacendo i suoi sensi e i suoi pensieri,
mettendo da parte tutto tranne lei. La tenne stretta, confortandola e
rallegrandosi di avere ancora la possibilità di averla ancora vicina. Si
ricordò della colazione che Nancy aveva portato quando sentì il suo stomaco
brontolare e cominciò ad alzarsi. Sentì immediatamente il corpo di Liz tendersi
e un gemito uscire dalla sua gola.
“Non lasciarmi!” si lamentò piano Liz e le sue mani afferrarono la camicia di
Max. La sentì cominciare a tremare e tornò ad abbracciarla ancora.
“Non sto andando via, Liz. Non ti lascerò mai più” Le sue paure erano un
fardello che lui doveva sopportare, conoscendo tutto quello che lei aveva
passato per colpa sua. “Liz, tua madre ci fa portato la colazione, vado solo
dall’altra parte della stanza a prenderla, okay?”
Liz annuì e si asciugò le lacrime dalle guance, mettendosi a sedere sul letto.
Lui attraversò velocemente la stanza e prese il vassoio, stando attento a non
versare il succo di frutta dai bicchieri. Appoggiò con attenzione il vassoio
sul letto e si sedette di nuovo accanto a Liz. Avvicinò il vassoio e tolse i
coperchi dai piatti. Un profumo appetitoso di uova strapazzate, di patate
fritte e di pane abbrustolito salì dai piatti ed entrambi si resero conto di
quanto fossero affamati.
Più tardi Nancy tornò in camera di sua figlia e sentì il rumore delle forchette
sui piatti e dei coltelli che tagliavano i toast. Fece capolino e sentì Max che
spronava sua figlia a finire le briciole del suo piatto. Il bicchiere del suo
succo di frutta era quasi vuoto e quasi tutto il toast era finito. Avvertì
un’ondata di sollievo. Liz non aveva mangiato quasi nulla, fino ad ora, e con
Max vicino aveva quasi mangiato tutta la sua colazione. Nancy proseguì nel
corridoio, sentendo di essersi tolta una grossa preoccupazione dalle spalle.
***
Max riportò il vassoio vuoto in cucina e lo appoggiò sul mobile accanto al
lavello. Sciacquò i piatti e poi si guardò intorno alla ricerca della
lavastoviglie.
“Puoi lasciarli nel lavandino,” disse Nancy dal tavolo della cucina. Max si
girò di scatto e fece quasi cadere un bicchiere nel lavandino. Non si era
accorto che lei fosse entrata e sentire la sua voce lo aveva fatto sobbalzare.
“Mi spiace, sono solo io.” disse lei.
Nancy vide il lampo di paura che era passato sul viso del ragazzo e sentì
passare un brivido dentro di lei. Cosa gli avevano fatto, cosa avevano fatto a
loro, quando erano chiusi là dentro? Lui non aveva mai voluto raccontare loro i
dettagli. Ora si chiedeva se ne avesse mai parlato a qualcuno, o teneva ancora
tutto chiuso dentro di sé? Aveva visto le cicatrici sulla schiena e sulle gambe
di Liz, ma ancora non avevano avuto l’opportunità di parlarne. Le ferite
fisiche erano ormai guarite, ma quando sarebbero guarite quelle della mente? I
sarebbero voluti anni per liberarli da tutto questo, se mai ci fossero
riusciti. E l’angoscia di aver perso Ellie …
“Salve!” disse Max, sforzandosi di rilassarsi.
“Liz è …” cominciò a dire Nancy.
“Dorme.” Rispose Max annuendo.
“Siediti un minuto, vuoi?” gli chiese e gli indicò una sedia di fronte a lei.
Max girò la testa verso il corridoio che portava alla stanza di Liz e tornò a
guardare Nancy. Scostò la sedia dal tavolo e cautamente si sedette.
“Voglio ringraziarti, Max. Per esserti preso cura di Liz. Noi vogliamo che tu
rimanga per tutto il tempo che desideri.” Lei notò lo sguardo riconoscente sul
suo viso e continuò. “Noi sappiamo che tu e Liz avete vissuto qualcosa che non
avreste mai dovuto provare. E il fatto che tu sei … quello che sei, complica
solo le cose.”
Prima di allora Nancy non aveva mai parlato con lui di quello che era in
realtà. Non sapeva come risponderle. Sapeva che lei doveva biasimarlo per tutto
quello che era accaduto a Liz. Niente di tutto questo sarebbe successo se lui
non fosse stato un alieno, un fenomeno proveniente da un altro mondo.
“Io non ti biasimo, Max.” disse Nancy, quasi gli avesse letto nel pensiero.
“Sono solo felice che tu sia qui ad aiutare Liz a superare quello che è
accaduto. So che lei non può riuscirci senza di te. Sono solo spiacente di non
averlo capito prima.” Lei posò una mano sopra quella di lui e la strinse
gentilmente.
“Grazie, signora Parker.” disse Max grato.
“Chiamami Nancy.” gli disse con un sorriso e gli dette un buffetto sulla mano
prima di lasciarla andare. Max girò ancora lo sguardo in direzione della stanza
di Liz, ansioso di tornare da lei. “Vai,”
“Grazie.” Lui si alzò , ma poco prima di lasciare la cucina, si fermò. Fece
qualche passo verso Nancy e prese un profondo respiro prima di parlare. “Darei
qualsiasi cosa per essere in grado di cancellare quello che è successo. Sarei
stato lontano da lei se avessi saputo che per colpa mia poteva accaderle
qualcosa del genere.”
“Non possiamo cambiare quello che è successo.” disse lei con empatia. “Ma il
tuo amore ce la farà.” Max rimase immobile per un lungo momento, poi annui
lentamente, in segno di comprensione per quello che lei aveva detto, prima di
lasciare la cucina per tornare al fianco di Liz.
***
Liz si svegliò gradualmente, venendo fuori da un sonno senza sogni. Mentre i
suoi occhi si aprivano, registrò gli oggetti familiari della sua stanza. Il suo
armadio era dove si supponeva che fosse, il comodino era vicino al letto. Foto
di Maria e di Alex e dei suoi genitori e degli altri parenti decoravano le
pareti. Lì, vicino alla lampada posata sul ripiano del guardaroba, c’era la sua
foto preferita di Max. In quella foto sorrideva, cosa che non faceva abbastanza
spesso e i suoi occhi splendenti erano rivolti a lei.
Poteva sentire il petto di lui contro la sua schiena e le sue braccia
circondarla, tenerla stretta a lui. Il suo respiro era calmo e regolare e lei
pensò che stesse dormendo, quando il suono della sua voce ruppe il silenzio
della stanza.
“Hai dormito bene?” le chiese dolcemente. Un momento prima l’aveva sentita
agitarsi, ma aveva fatto finta di dormire per vedere se si allontanava da lui.
Lei si mosse e girò la testa per vedere dietro di sé. La luce del pomeriggio le
illuminava le guance e lui si accorse che stava riprendendo un po’ dei suoi
colori. Lui spostò la mano dalla vita di Liz e le scostò i capelli dalla
fronte.
“Si.” annuì Liz in risposta alla sua domanda. “Nessun sogno.” Lo disse come se
l’assenza di sogni fosse una cosa grandiosa e, per lei, lo era.
“Bene.” disse Max, con un senso di sollievo. Lei stava meglio, oggi, lontana
dall’essere la Liz che aveva visto lottare istericamente tra le braccia della
madre, ma anche a mille miglia dalla felice, spensierata ragazza di cui si era
innamorato tanto tempo fa.
“Ho bisogno di …” cominciò a dire Liz, e i suoi occhi corsero alla porta del
bagno. Notò che la camicia di Max aveva un aspetto spiegazzato e si rese conto
che, la scorsa notte, lui non si era quasi mai mosso dal suo fianco. Spostò le
coperte e fece scivolare le gambe da un lato del letto. Quando tentò di
alzarsi, fu colta da un capogiro e si appoggiò la mano sulla fronte.
“Ti senti bene?” chiese preoccupato Max e si sedette sul letto, accanto a lei.
Prese la sua mano e le passò un braccio intorno alle spalle, tirandosela
vicino. Era ancora debole per il parto e la sua mente era in un equilibrio
instabile. I poteri di Max erano esauriti e non c’ era nulla che potesse fare
per lei, eccetto starle accanto e sostenerla e farle sentire tutto l’amore che
provava per lei.
“Lasciami appoggiare.” gli disse guardandolo negli occhi e Max la aiutò ad
alzarsi. La condusse nella stanza da bagno e lei gli fece cenno di uscire.
Pochi minuti più tardi, la porta si aprì e Max la dovette afferrare prima che
un’altra ondata di vertigini la facesse cadere. “Sto bene. Sto bene.” disse Liz
rudemente e cercò ti tenersi dritta.
“Lascia che ti riporti a letto.” disse Max preoccupato.
“No, aspetta.” lo pregò Liz e Max sentì che la sua voce aveva un tono deciso.
“Cosa?” le chiese.
Liz guardò la doccia con desiderio e poi guardò la sua immagine riflessa nello
specchio. I suoi capelli erano sporchi e era sicura che il suo corpo non
mandasse un odore gradevole. Poteva sentire il disagio dei peli sotto le
ascelle e non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva potuto depilarsi le
gambe.
“Vorrei farmi una doccia, Max.” disse ansiosamente. “Mi sentirò meglio, dopo
essermi lavata.”
“Liz, sei sicura di essere in grado di fartela, in questo momento?” le chiese
con ansia.
“Max, voglio fare una doccia e voglio farla adesso.” Stava venendo fuori un po’
di cattivo umore della vecchia Liz Parker e Max non poté fare a meno di
sorridere.
“Vuoi che chiami tua madre?” le chiese.
“No, puoi aiutarmi benissimo tu!” rispose. “Vuoi far scorrere l’acqua?”
“Certo!” e Liz si diresse verso il lavandino, mentre lui regolava la
temperatura.
“Puoi prendere un asciugamano dal mio armadio?”
Max annuì e traversò la stanza. Scelse un ampio e soffice asciugamano e ritornò
in bagno. I suoi passi vacillarono, quando la vide sfilarsi la casacca del
pigiama dalla testa. Il suo seno era più pieno di quanto lo ricordasse,
cambiamento dovuto alla gravidanza. Quando si tolse anche i pantaloni, notò che
anche la sua vita era più larga. Avvertì un profondo senso di perdita,
guardando i cambiamenti intervenuti nel suo corpo, cambiamenti che lui non
aveva potuto condividere con lei. Sul suo addome, c’era ancora la cicatrice
dovuta al cesareo, che lui non era stato in grado di guarire completamente e
Max si sentì stringere il cuore, come tutte le volte che il suo pensiero andava
ad Ellie.
Liz entrò nella vasca e stette in piedi sotto il caldo getto dell’acqua. Le sue
gambe erano traballanti, ma lei era decisa a fare tutto per conto suo. Si bagnò
i capelli ed allungò la mano per prendere lo shampoo. Il profumo di fragola la
raggiunse e lei si fermò, mentre il ricordo di un tempo più innocente le invase
la mente. Erano passati mesi dall’ultima volta che aveva sentito quel profumo e
si rese conto di quanto fosse cambiata rispetto alla innocente, giovane ragazza
che era stata.
“Stai bene, Liz?” chiese Max dall’altra parte della tenda e questo la riportò
al presente.
“Benissimo.” rispose decisa, passandosi lo shampoo sui capelli. Li risciacquò,
poi prese una saponetta. Si lavò le braccia e le gambe. Avrebbe voluto
depilarle, ma sapeva di non averne l’ energia. Le mani scesero ad insaponare la
vita e i fianchi, sentendo la pelle rilassata che solo pochi giorni prima si
tendeva sulla sua pancia. Fermò lì le sue mani, ricordando quello che aveva
provato quando la sua bambina si muoveva sotto la sua pelle, scalciando e
agitandosi, piena di vita. Sentì che le mancava il respiro e i suoi occhi si
riempirono di lacrime. Cercò di rimandarle indietro e si rimproverò la sua
debolezza. Passò le mani insaponate sul collo e sulle spalle e poi lavò il
seno. Aveva quasi finito.
Il suo petto era più grande, ora e dolorosamente pieno della montata lattea che
ancora non era finita. Mentre insaponava delicatamente il seno, vide uscire
qualche goccia di latte dai capezzoli, di quel latte che sua figlia non avrebbe
mai preso.
“Ellie!” gridò con dolore ed un singhiozzo le uscì dalla gola. Nuove lacrime le
solcarono le guance e le fecero cedere le gambe.
Il grido di Liz che chiamava il nome di Ellie arrivò fino a Max e lo fece
rabbrividire fino al midollo. Spostò da una parte la tenda della doccia e la
vista del viso piangente fu una coltellata al cuore. La prese tra le braccia,
mentre le gambe le cedevano, ed entrò nella doccia, per impedirle di cadere.
Liz singhiozzò contro il suo petto, lasciandosi finalmente andare alle
emozioni. Le sue lacrime, insieme all’acqua della doccia, gli bagnavano la
camicia, ma lui non ci fece caso. Tutto quello che sentiva era il dolore
accorato che lei stava finalmente dimostrando. Sentì cedere anche le proprie
difese e pianse con lei la tristezza che veniva dalla perdita della figlia,
dalla perdita dell’innocenza, dalla perdita di una parte delle loro vite.
Piansero fino a che non ebbero più lacrime, tenendosi stretti uno con l’altra
nella silenziosa promessa che non si sarebbero mai più separati.
Quando i loro singhiozzi si furono placati, Max la portò via dalla doccia e la
avvolse nell’asciugamano. Lei lasciò che Max l’ asciugasse e le facesse
infilare un pigiama pulito. La portò a letto e poi si cambiò velocemente gli
abiti bagnati con altri asciutti e si poggiò sul letto accanto a lei. Adattò il
suo corpo contro quello di lei e si avvolsero nel conforto di essere insieme.
Lasciarsi andare, li aveva svuotati entrambi dalle loro emozioni e trovarono
rifugio nel conforto del sonno.
Capitolo 42
Max era appoggiato contro la porta della
camera da letto e stava guardando Liz che si spazzolava i capelli. Era seduta
sul bordo del letto, con la faccia di profilo, e fissava qualcosa il
lontananza. Gli sembrava un po’ più rilassata stasera, più in pace di come
l’avesse mai vista da tanto tempo. Lei ancora non l’aveva visto e, mentre la
guardava, con un profondo desiderio nel cuore.
Sei settimane prima, si erano trasferiti in quel piccolo appartamento, dopo
aver trascorso tre mesi insieme nella casa sopra il Crashdown e le loro vite
avevano preso l’ impronta di una famiglia. In gennaio avevano cominciato la
scuola all’ Eastern New Mexico University di Roswell, con un nuovo programma
che permetteva loro di ottenere il diploma mentre frequentavano i corsi e,
contemporaneamente, guadagnavano crediti per il college. Nessuno dei due se
l’era sentita di tornare alla West Roswell High.
Le loro giornate ora passavano a scuola, che frequentavano al mattino, e al
lavoro il pomeriggio. Max lavorava ancora all’ Ufo Center e Liz ancora aiutava
i suoi al Crashdown. Era stato difficile per i loro genitori acconsentire a che
si trasferissero, lei aveva solo diciassette anni, ma avevano capito che era
quello di cui avevano bisogno. Ogni sera, quando rientravano a casa, cenavano
insieme e dopo aver diviso un pasto tranquillo, studiavano fianco a fianco, mai
lontani uno dall’altra.
Avevano poco tempo libero, il che era una benedizione, perché non potevano
soffermarsi sul passato o pensare a quello che avevano perduto. Era solo la
sera tardi, quando tutto era tranquillo, che si poteva vedere un certo sguardo
sulla faccia di Liz o sentirla piangere sommessamente quando, pensava che
nessuno potesse sentirla. Lui sapeva perché Liz piangeva. Era lo stesso motivo
che lo svegliava nel cuore della notte e non gli faceva più prendere sonno:
Ellie.
Sapeva che Liz cercava di nascondergli le sue lacrime. Cercava di essere forte
per lui e, mentre il tempo passava, Max la vedeva sempre più tornare ad essere
la vecchia Liz.
Lei si girò improvvisamente, avvertendo la presenza di Max, ed un sorriso le
illuminò il viso. Ancora una volta l’aveva sorpreso a guardarla, e lo sguardo
da ragazzino posato sul volto di Max, la fece ridere. Quasi.
“Da quanto tempo sei lì?” gli chiese, appoggiando la spazzola sul grembo.
“Non molto.” rispose Max, entrando nella stanza.
Lei l’aveva rimproverato diverse volte, di rimanere a fissarla, dicendogli che
ormai stava bene e che non doveva più preoccuparsi per lei. Quello che lei non
capiva, era che lui voleva essere preoccupato per lei fino al suo ultimo
respiro.
“Max …”
“Lo so, lo so.” Sogghignò lui “ Ma non posso are a meno di guardarti quando sei
così carina, ed ora tu mi sembri particolarmente carina.” Lei si era fatta la
doccia un’ora prima e la sua pelle soffice sembrava quasi brillare. Non aveva
più quel pallore spaventoso che era rimasto sul suo viso dopo che era tornata a
casa. Max si avvicinò e le mise un dito sotto al mento, facendole dolcemente
sollevare il viso verso di lui. “Mi perdoni?”
“Naturalmente, ma solo per le volte che non puoi distogliere lo sguardo da me,
e non per quando pensi che sto per crollare di nuovo.” Lei lo guardò e fu
orgogliosa di se stessa per non aver lasciato che il tremore trapelasse dalla
sua voce.
Lui la baciò lievemente e, mentre si allontanava, fece scorrere le dita tra i
capelli di lei. Naturalmente lei si riferiva al tempo in cui la più piccola
cosa le ricordava Ellie. Vedere una pubblicità per bambini in TV o camminare
tra gli scaffali del supermercato l’ aveva fatta scoppiare a piangere in
diverse occasioni. Ora sembrava che riuscisse meglio a tenere testa alle
emozioni ma, mentre sperava che la depressione stesse migliorando, non poteva
fare a meno di preoccuparsi. Specialmente ora. Domani sarebbe stati il primo
marzo, un anno esatto da quando tutto questo era cominciato.
“Non sono mai stato capace di tenere gli occhi lontano da te, Liz. E questo fin
dalla prima volta che ti ho vista.” le disse e fu ricompensato con un sorriso.
“Max …” lei disse ancora il suo nome, questa volta imbarazzata dal complimento.
Le sue dita lasciarono il mento di lei per accarezzarle il rossore della
guancia e poi rimase immobile, riluttante ad allontanarsi da lei. Un giorno,
disse a se stesso. Un giorno sarebbe stata pronta per qualcosa di più.
“Vado a farmi la doccia, ora. Vuoi qualcosa, prima? Un bicchiere di latte? Uno
spuntino?” Lei scosse la testa per dire di no, e Max si staccò da lei, per
dirigersi verso l’armadio.
Prese un paio di pantaloni di un pigiama e una t-shirt e la guardò ancora nel
riflesso dello specchio. Stava giocherellando con le setole della spazzola e
quando si girò nella sua direzione, Max si allontanò in fretta, così che non
potesse sorprenderlo a guardarla ancora. Aveva notato lo sguardo del suo viso,
quando si era voltata verso di lui e non era sicuro di cosa significasse. I
suoi occhi erano ansiosi, forse pieni di speranza, tuttavia nello stesso tempo,
malinconici.
Prima di entrare nel bagno, la guardò ancora una volta, seduta sul suo lato del
letto con i pantaloni del pigiama e una maglietta celeste e vide che aveva
ricominciato a spazzolarsi i capelli. Ora non riusciva a vederle la faccia e si
sbrigò a fare la doccia, così da non dover stare a lungo lontano da lei.
L’acqua calda della doccia lo aiutò a sciogliere i muscoli tesi e tornò col
pensiero al tempo in cui facevano la doccia insieme. Cercò di scacciare quel
pensiero, sapendo che non era il caso di indulgere su quei pensieri, ora. Non
avevano più fatto l’amore dal tempo in cui erano prigionieri nell’istituto e,
mentre era così difficile viverle così vicino e non poter fare l’amore con lei
nel modo in cui voleva, lui la capiva. Per ora si accontentava di averla, di
starle vicino. Avevano aspettato settimane all’istituto, prima di lasciarsi
andare ai loro desideri e, ora che erano liberi, era disposto ad aspettare
tutto il tempo necessario perché lei fosse di nuovo pronta per quel livello di
intimità. Ne aveva passate così tante, nell’ultimo anno, ma un giorno sarebbe
stata pronta di nuovo. Un giorno.
Terminò la sua doccia e si vestì velocemente, ansioso di tornare da lei. Entrò
silenziosamente nella stanza buia e notò che Liz si era già infilata nel letto.
Sembrava così minuscola, provocava a mala pena una piega nella coperta. Si
poggiò sulla sua parte del letto e spostò le coperte, scivolando tra le
lenzuola ed avvicinandosi a lei, adattandosi al suo corpo, come aveva fatto
ogni notte da quando lei era rientrata nella sua vita.
La schiena di Liz contro il suo petto, la testa che toccava sotto il suo mento
e il suo fianco incastrato confortevolmente nella curva del grembo di Max.
Notte dopo notte erano stati vicini, traendo conforto dalla loro vicinanza.
Durante la notte, quando Max era svegliato dai suoi sogni, incapace di
addormentarsi di nuovo, lui ascoltava il suono del suo respiro. Lo calmava quel
suono ed il ritmico movimento delle sue spalle.
Lui le passò un braccio intorno, con la mano appoggiata sul punto in cui
l’aveva guarita tanto tempo prima. L’aveva guarita anche da un’altra ferita,
molto più bassa sull’addome, ma preferiva non pensarci. Il ricordo di lei
distesa sul tavolo, ricoperta di sangue ed circondata da teli chirurgici e la
sua certezza di essere arrivato tropo tardi, erano troppo dolorosi. Sentì la
mano di Liz poggiarsi sulla sua e chiuse gli occhi, mandando un silenzioso
sospiro.
Liz lasciò che il calore del corpo di Max penetrasse dentro di lei. Lui la
faceva sentire amata e protetta e lei sospirava di soddisfazione, al sicuro tra
le sue braccia. Lui era così gentile con lei, così paziente, mentre lei tentava
di mettersi il passato alle spalle e di entrare nel futuro. Il loro futuro. Lei
si sentiva innamorata di lui ogni giorno più profondamente e pregava perché gli
orrori del passato non li tormentassero mai più.
Liz alzò la mano di lui e se la portò alle labbra, baciandogli ogni singolo
dito. Quella mano le aveva salvato la vita, non una sola volta, ma due, ma
erano il cuore di Max e la sua anima che la tenevano viva. Era il suo amore per
lei che la sosteneva e le dava una ragione per alzarsi ogni mattina.
Max sentì le sue labbra toccargli il palmo della mano e sorrise di
soddisfazione. Lo faceva tutte le sere. Era un rituale che lei aveva
sviluppato. Gli aveva detto una volta che era un modo per essere sicura che lui
fosse veramente lì, che poteva tenere a bada i mostri, fino a che fosse stata
tra le sue braccia, sarebbe stata al sicuro. Poi Liz abbassò la mano, come
faceva tutte le sere e lui la poso accanto a lei, e lei la prese per
appoggiarsela sulla vita.
Il sorriso si gelò sul viso di Max, quando invece della familiare sensazione
del torace di lei e della curva dei suoi fianchi, la mano fu appoggiata sulla
pienezza del suo seno. Il respiro si fece difficile per la sorpresa. Lei non
aveva dato nessun segno di essere pronta per qualcosa di più. Lei gli strinse
la mano, facendo in modo che la mano di Max le stringesse il soffice tessuto
del suo seno.
“Liz …” Il suo nome gli venne fuori dalle labbra come un tenero sospiro, a
malapena sussurrato nell’aria della notte. Lei si girò sulla schiena, guardando
l’interrogativo nei suoi occhi, tenendo ferma la mano di Max contro di lei.
“E’ passato troppo tempo, Max.” disse Liz sottovoce.
Gli occhi di Max guardarono il suo viso, cercando anche la più lieve
esitazione. Non aveva mai cercato di farle pressione o di chiederle più di
quello che fosse disposta a dare e anche ora l’avrebbe accettato solo se fosse
stato sicuro che era veramente quello che voleva. La luce della luna
proveniente dalla finestra, le illuminò il volto e, quella notte, per la prima
volta da mesi, vide nei suoi occhi il desiderio.
“Liz … Io non … tu sei … sicura di essere pronta … per …?” le disse esitante.
“Max, l’unica cosa di cui sono sicura è di quanto ti amo e di quanto voglio
essere amata da te.” Tolse la mano da quella di lui e gli sfiorò la guancia.
Lui le tenne la mano sul seno, senza muovere un solo muscolo, sentendo il
capezzolo di lei indurirsi sotto il tessuto della sua maglietta. “Sono pronta
per vivere di nuovo nel presente.” Gli disse, guardandolo negli occhi “ e
pronta a lavorare per il futuro. Il nostro futuro. Non voglio più essere
dominata dal passato. Sono pronta a lasciarlo andare.”
Max guardò nei suoi occhi scintillanti, e comprese quello che lei voleva
dirgli. Per poter andare avanti con la sua vita, doveva lasciarsi il passato
alle spalle, inclusa la speranza di ritrovare la loro bambina.. Negli ultimi
mesi, non c’era stata una parola, un segno, una traccia di Ellie. Il suo tono
malinconico era il segno di quanto fosse difficile per lei rinunciare a quella
speranza. Ellie era stata la sua ancora di salvezza in quei mesi di prigionia.
Era il legame che la univa al mondo, a lui.
Era attraverso Ellie che Isabel era stata in grado di trovare gli indizi che li
avevano portati a localizzarla. Era grazie alla connessione attraverso Ellie
che Max era riuscita a trovarla in tempo.
La visione di Max si offuscò, mentre realizzava quanto tutto questo era stato
duro per entrambi.
Ognuno di loro aveva il proprio demone con cui convivere. Lui era tormentato da
quei pochi, brevi momenti in cui aveva scorto il suo meraviglioso visetto e in
cui aveva dovuto scegliere di lasciarla andare, per salvare la vita di Liz. Era
una scelta che avrebbe fatto di nuovo, ma questo non gliela rendeva più facile
da accettare.
“Max, voglio fare ancora l’amore con te. Voglio ancora sentirmi come sai farmi
sentire solo tu. Voglio un futuro insieme dove ci sia consentito di essere
felici senza sentirci colpevoli.” Guardò i suoi occhi scintillanti, quegli
occhi che avevano il potere di farla sciogliere dentro. “Mi sei mancato, Max.
Ho bisogno … di tutto di te.”
Lui la guardò in quei grandi occhi scuri, sentendo le proprie labbra
avvicinarsi a quelle di lei. La baciò con dolcezza, facendo suo il desiderio di
Liz, sperando che lei non cambiasse idea e si richiudesse in se stessa. Lui
aveva sognato di far ancora l’amore con lei ogni notte, sapendo che ancora lei
non era pronta. Ora, forse lo era. Il suo tentativo di bacio si fece più
intenso quando sentì che lei gli rispondeva, come un fuoco che aveva covato per
tanto tempo sotto la cenere.
La sua mano si posò sul seno di Liz, e con le dita insicure l’aiutò a togliersi
la maglia. Posò gli occhi sul seno mentre lei finiva di spogliarsi, esponendo
prima la sua pelle morbida e poi il roseo cerchio intorno ai capezzoli. La
fissò ricordando la sensazione della sua pelle sotto la mano e il sapore che
aveva sotto le sue labbra.
Con la mano le coprì la sua ed il suo respiro divenne più intenso, mentre i
capezzoli di Liz diventavano duri sotto i suoi palmi. Il senso del tatto si
acuiva al tocco della sua carme soffice, e poi sentì la sua mano sulla guancia,
che faceva avvicinare le loro labbra. La baciò ancora, estasiato dalla sua
bocca, trattenendo l’impulso di prenderla avidamente. Sentì le gambe di Liz
contro le sue e si fermò per prendere un profondo respiro. Aveva aspettato per
tanto tempo che lei lo desiderasse ancora, che stava per essere sopraffatto dal
bisogno di lei.
Le mani di Liz gli sfilarono la T-shirt e la lasciarono cadere a terra, vicino
al letto. Lei aveva familiarità col torace di Max, con ogni centimetro della
sua pelle, ma quella sera, alla luce della luna, sembrava ancora più
affascinante di quanto ricordasse.
Lì non avevano il timore di telecamere o di microfoni. Non avevano il timore
che estranei li guardassero o li ascoltassero. Non avevano bisogno di
nascondersi nell’ombra o tra le lenzuola per avere un senso di privacy. La mano
di Liz accarezzò la pelle liscia del suo petto come non aveva mai fatto prima,
indugiando con amore sui muscoli, sui capezzoli, sulla linea dell’addome. Gli
occhi di Max si spostarono dalla mano che lo accarezzava ai suoi occhi,
fremendo per il modo in cui lei lo toccava, riscaldandosi per il modo in cui lo
guardava.
Respirare gli diventò difficile quando le sue labbra si posarono sul petto,
quando la lingua girò intorno ai suoi capezzoli. Lei guardò in su verso di lui,
mentre cominciava a baciargli il torace e saliva verso il suo lungo, elegante
collo. Lui infilò le mani tra i capelli di Liz, avvicinando le loro bocche,
baciandola mentre il suo desiderio diventava sempre più forte.
La sua mano lasciò i capelli di Liz per toccare ancora il suo seno e la sua
bocca scese lungo la gola fino al petto per congiungersi con la sua mano. Le
labbra si aprirono, coprendo il capezzolo rigido, prendendolo in bocca e
sentendo un brivido si desiderio pervaderlo mentre lei si arcuava con un gemito
di piacere. Cercò maldestramente di sfilarle il top, infilandoci sotto la mano
e cercando di sfilarglielo dalla testa. Max le lasciò il seno solo per il tempo
necessario a spogliarla e poi se ne impadronì di nuovo, prendendolo ancora
nella bocca.
Le mani di Liz gli accarezzavano la schiena, poi infilò le dita tra i capelli
dietro la testa di lui, gemendo quando la sua bocca la lasciò e gemendo ancora
quando la sentì vagare ancora sul proprio corpo, tornando al capezzolo,
accarezzandolo con la lingua e succhiandone l’estremità. La mano di Max si
muoveva sulla sua pelle calda, toccando le sue costole, la sua vita, salendo
per la schiena alle spalle per andarsi ad intrappolare tra i suoi capelli. Lui
voleva toccarla dappertutto.
Le loro gambe si intrecciarono e mentre lui premeva sui fianchi di Liz, lei si
accorse di come fosse diventato rigido. Si ricordò della prima volta che lo
aveva visto nudo, mentre stava nella doccia con l’acqua che gli scorreva sul
corpo, ignaro che lei fosse lì. Come si accorse della sua presenza , si girò a
guardarla e lei rimase incantata dal modo in cui il suo corpo era cambiato, da
morbido e rilassato in duro e rigido, in una manciata di secondi.
La sua mano si chiuse su di lui, carezzandolo attraverso il tessuto, e sentì il
corpo di Max trasalire al contatto. Respirò il suo respiro e la sua bocca le
lasciò il capezzolo. La fronte di Max era appoggiata al suo seno, aspirando
l’inebriante odore di lei che lo accarezzava in un modo così intimo, la sua
piccola mano che gli faceva tremare tutto il corpo. Fu il suo turno di gemere,
quando la mano si infilò sotto il pigiama, tirando fuori il suo membro
congestionato.
Max alzò la testa e la guardò in volto, infiammato dal desiderio che vide nei
suoi occhi. Lei lo voleva, senza esitazioni, senza dubbi, senza domande. La
baciò con desiderio, lo stesso che aveva visto ardere in lei. Scostò via la
coperta, e poi le lenzuola, per vederla bene, per vedere ogni singolo
centimetro di lei.
Agganciò con il pollice i pantaloni del pigiama di Liz e combatté l’impulso di
strapparglieli via. Il suo cuore batteva veloce, mentre le sue gambe snelle
venivano allo scoperto. Fu la volta della mano di Liz di agire, e come aveva
fatto lui, afferrò il suo pigiama e glielo tirò via.
Lui si mise al suo fianco, facendo scivolare una gamba tra le gambe di lei,
sentendo il calore salire dal suo corpo. Liz lo strinse tra le cosce lasciando
che la sua pelle liscia si muovesse sui muscoli di quella di lui, che risalì
fino a raggiungere l’apice tra le gambe di lei. La sua erezione le premeva
addosso come metallo forgiato. Calda, rigida, fremente di aspettativa. La mano
di Max le accarezzò il retro della gamba, liscia come seta, risalendo le curve
delle sua natiche e attirandola a sé.
Liz poteva sentire la sua erezione tormentosamente vicina ed il suo corpo
reclamava la loro unione. La bocca di Max di nuovo sul suo seno, tormentando
prima uno poi l’altro, le stava facendo sentire cose che non si era permessa di
sentire per tanto tempo. La sua mano sui suoi fianchi sembrava così forte
mentre la tirava vicino a sé, e lei rispose stringendo ancora di più la coscia
di lui tra le sue. Lo voleva, ancora di più di quanto non l’avesse voluto prima
di allora. La sua mano tra i capelli di Max, spostò la testa contro di lei.
“Fammi rivivere, Max! fammi di nuovo essere una parte di te!” Guardò prima le
sue guance rosse e poi i suoi occhi argentati. Le sembrava una cosa così giusta
essere di nuovo capace di darsi a lui. Lo baciò con desiderio, permettendogli
di comprendere quanto lo volesse. Max avvertì una pressante necessità in lei e
ricambiò avidamente il bacio. La loro pelle era calda, infiammata dalla
passione che avevano tenuto repressa in quegli ultimi mesi.
Max si spostò, sospendendosi sopra di lei per un attimo, prima di abbassarsi a
coprire il corpo di lei. Liz apprezzò la sensazione dei suoi capezzoli che si
strofinavano contro il petto di lui e dei duri muscoli del suo addome che
premevano contro il proprio. Le sue gambe si aprirono per lui e la sensazione
dei fianchi di lui contro i suoi fianchi, della sua erezione contro il suo
calore, bastò per supplicarlo di unirsi a lei.
“Liz …” lui cercò di trovare le parole, ma il suo cervello era annebbiato dalla
passione e le parole gli si fermarono in gola. “Io voglio … noi abbiano bisogno
…”
“Va tutto bene …” sospirò lei seria. Lui non sapeva che aveva cominciato a
prendere la pillola anticoncezionale già dal mese prima
La guardò interrogativamente, poi realizzò cosa intendesse dire. Lei era più
pronta per questo momento di quanto non lo fosse lui. Perse ogni senso di
prudenza o di ritegno o di autocontrollo. Stava vivendo esclusivamente in quel
momento e si lasciò trascinare dalla marea delle sue emozioni. La baciò
avidamente, come un uomo affamato ed assetato che si trovi davanti ad un
banchetto e lei rispose con una intensità, dettata da molto di più che dal
desiderio e dalla passione. Aveva bisogno di lui con ogni fibra del suo corpo,
proprio come lui aveva bisogno di lei.
Mosse i suoi fianchi contro di lui, nello stesso momento in cui lui scivolava
nelle sue profondità, ed entrambi si lasciarono andare ad un sospiro di
soddisfazione quando i loro corpi si unirono. Max la teneva stretta contro di
lui, un braccio dietro le sue spalle e l’altro affondato tra i suoi capelli. Si
spinse ancora dentro di lei, gemendo di piacere. La sua lingua si spingeva
nella bocca di lei, al ritmo del movimento dei loro corpi. La sensazione della
sua calda profondità era come la ricordava, così calda ed avvolgente e lui fu
certo di stare per esplodere.
Ogni centimetro del corpo di Liz che toccava con la sua pelle, era vivo,
infiammato dal fuoco che aveva acceso in lei. I fianchi si alzavano per
incontrare i suoi, chiedendo con insistenza di sentire la sua virilità
scivolare dentro di lei, mentre il movimento del corpo di lui contro il suo
sesso le stimolava ogni terminazione nervosa. Gemiti le uscivano dalla gola,
diventando sempre più intensi, mano a mano che il movimento accelerava.
I loro corpi si affrettavano uno contro l’altro, il loro desiderio era generato
da mesi di separazione forzata e di agitazione emotiva. Le loro bocche erano
avide, golose, ognuna affamata del dolce sapore dell’altra. La loro unione era
profonda, eccitata ed esplosiva. Il corpo di Liz tremò quando l’ondata di
piacere raggiunse il culmine, spronata da ciascuna spinta del membro di Max
dentro di lei, la cui grandezza la colmava completamente.
Lui si spingeva dentro di lei a fondo e con energia, e la sentì lasciarsi
andare, con il corpo che tremava. Le dita di Liz si strinsero contro la pelle
del suo fondo schiena e lei si inarco gridando il suo nome mentre l’orgasmo
l’avvolgeva. I suoi fianchi si sollevarono, mentre il piacere raggiungeva l’
apice e lacrime cominciarono a scenderle dagli occhi. Lo straordinario orgasmo
di Max esplose con un grido travolgente. Si spinse ancora dentro di lei,
tenendo il suo corpo fermo contro il proprio, come se i loro corpi scoppiassero
per la gioia della loro unione, cavalcando l’onda di piacere generata da loro
stessi. Rabbrividì mentre spingeva un ultima volta, con il suo conclusivo
sollievo.
Le braccia di Max la tenevano ancora stretta, non lasciando un filo d’aria tra
i loro corpi. La sua faccia era annidata nell’incavo della gola di Liz, e
poteva sentire il battito veloce della vena nel suo collo. Lei era rimasta
senza respiro, proprio come lui, e la sensazione delle sue braccia che lo
stringevano per lui era un sogno diventato realtà. Cominciò a staccarsi da lei,
preoccupato di essere troppo pesante per lei, ma Liz strinse le braccia,
desiderosa che rimanesse proprio dove era. La sensazione del suo corpo che
premeva su di lei, era confortante, era la conferma di quanto fosse giusto
essere con lui.
Max alzò la testa dal collo di lei e la guardò negli occhi. Brillavano alla
luce della luna che si posava sul suo viso, dando risalto alla bellezza che
vedeva il lei. Lui le asciugò le lacrime che scorrevano in piccoli rivoli dagli
angoli dei suoi occhi tra i capelli, sopra le sue orecchie.
“Ti amo, Liz.” Le disse, con una emozione che la fece piangere ancora di più.
Max baciò le sue lacrime, prima di continuare. “Ti ho amata per tutta la mia
vita.”
“tu sei la forza che mi fa andare avanti, Max.” sussurrò Liz con la voce che
tremava.”Tu sei la sola ragione che mi fa andare in fondo ad ogni giorno. Ti
amerò sempre, Max.”
Lui la baciò ancora, un bacio dolce e tenero. Un bacio pieno di promesse per il
futuro, mentre lottavano per sfuggire al passato. Si alzò, quando i loro corpi
si furono saziati, e si accoccolò contro di lei. La luce della luna che entrava
dalla finestra, la incorniciava delicatamente, facendole quasi brillare la
pelle. La sua pelle era calda e morbida, e la mano di Max andò in cerca dei
posti che lei non gli aveva più lasciato toccare, da quando era tornata a casa.
Si posò sul suo fianco, dove l’avevano bruciata e cominciò a brillare mentre
faceva sparire la cicatrice. Si spostò sul punto dove le avevano prelevato il
campione di pelle e guarì anche quello, riportandola allo stato originario.
La mano si posò allora sul punto sotto il braccio, poi sulla spalla e sul retro
del collo. Le lo lasciò fare, un’altra indicazione che era pronta a seppellire
il passato e a camminare verso il futuro, o almeno Max sperava che fosse questo
il significato. Fece scivolare la mano tra le sue gambe e coprì la cicatrice
nella parte alta della coscia, da dove avevano prelevato la pelle da innestare
nell’utero artificiale. Ogni volta che toccava una cicatrice, sentiva il dolore
che lei aveva sopportato. Il suo solo desiderio era che rimuovendo le cicatrici
dal suo corpo, potesse rimuovere anche i ricorsi, ma era qualcosa che non aveva
il potere di fare. La sua mano sfiorò il fianco di Liz, spostandosi verso il
suo addome, coprendo la cicatrice che andava dal suo osso pubico fino
all’ombelico. L’ incisione verticale attraverso cui era stata presa Ellie e
portata via da lei.
“No. Questa no.” Sussurrò Liz, e gli prese la mano per poggiarsela sul cuore.
“Io non voglio dimenticare.” disse calma, mentre Max avvertiva tutta la sua
tristezza. La baciò dolcemente sulla spalla, poi si allungò per prendere le
lenzuola, tirandole a proteggere i loro corpi nudi dalla fredda aria della
notte. La fece annidare contro il proprio corpo e il contatto della sua pelle
era confortante. Erano distesi insieme, sereni, e dopo un po’, il respiro di
Liz prese il ritmo regolare e cadenzato del sonno. Lui mosse la sua mano verso
il basso, lontano dal suo seno, oltre la pelle liscia dello stomaco, oltre i
fianchi, fino a raggiungere l’imperfezione che partiva dall’ombelico. Toccò la
pelle raggrinzita, sentendo ancora una volta l’angoscia nel cuore quando le
dita toccarono il tessuto sfregiato. Liz voleva tenere quella cicatrice come un
ricordo costante che Ellie era ancora lontana, da qualche parte, aspettando che
loro la riportassero a casa.
Continua...
Scritta
da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di
Coccy85 |