Riassunto: Questa
storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore
alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai
fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o
duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più
grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa
ricambiarlo.
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: Ogni
riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori
protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitoli 31-36
Capitoli 37-42
Capitoli 43-48
Capitoli 49-54
Capitoli 55-60
Capitoli 61-66
Capitoli 67-72
Capitoli 73-78
Capitoli 79-84
Capitoli 85-90
Capitoli 91-96
Capitolo 97
Mary si spostò nella cucina tra la
credenza, la dispensa e il frigo, mentre preparava la lista della spesa
settimanale. La domenica era l’unico giorno della settimana in cui poteva
uscire all’aria fresca, ma naturalmente questo significava il via vai della
città. Era piuttosto differente dalla quieta solitudine in cui viveva tra
quelle quattro mura.
Fuori, la vita era rumorosa e turbolenta, ma non qui. Il rumore del traffico,
lo strombettare dei clacsons, i motori imballati delle moto, non arrivavano
all’interno di quella pareti. Qui non arrivava la musica degli stereo a tutto
volume. Il chiasso dell’umanità non era un fastidio. Mary amava la calma,
quieta atmosfera del posto in cui viveva. ma Jenny aveva ragione su una cosa.
Lì la vita non era … reale. Non era … vita. Jenny trascorreva solo l’esistenza,
lì, completamente ignara della vita che la circondava.
Per tanto tempo Mary era stata contenta di quella vita. Jenny era così piccola,
proteggerla era una necessità primaria. Ma ora che stava crescendo, la bambina
aveva bisogno di più che della sola protezione. Aveva bisogno di sapere che
c’era altra vita … oltre questa.
ma finora, il Dottore non aveva raccolto il suo suggerimento di far uscire
Jenny di notte, quando il sole non poteva nuocerle. E lei ne era stata
infastidita. Sicuramente lui doveva essere al corrente delle alternative
offerte ai malati di quel terribile morbo. Aveva cercato una cura fino dalla
nascita di Jenny. Non era al corrente che i danni psicologici portati
dall’isolamento potevano avere conseguenze più traumatiche di quelle che poteva
fare la luce del sole?
“Tai andando a vedere Martha?”
Al suono della piccola voce, Mary smise l’ispezione alla credenza e si voltò.
Jenny era proprio dietro di lei, con in mano il suo album da disegno.
“Si, cara. Ci andrò dopo pranzo, ma non starò via a lungo.”
“Posso anche io vedere Martha?” chiese Ellie.
Mary si chinò accanto a lei e le passò una mano sui lunghi capelli. “Mi
piacerebbe tanto portarti, Jenny, ma sai che non posso. Mi dispiace.”
“Oh.” disse piano la bambina. Le sarebbe piaciuto tanto incontrare Martha. Mary
parlava spesso di lei e lei sapeva che il fatto che Martha non fosse più in
grado di parlare, addolorava molto Mary. La sua bocca non funzionava più bene.
Ellie sapeva di avere la capacità di guarirla, in modo che Martha potesse
parlare ancora, ma non poteva farlo stando lì.
“Vuoi che ti porti qualcosa quando rientro? chiese Mary.
“Gelato?” la faccia di Ellie si illuminò. “Puoi portarmi il gelato?”
“Certo!” Mary le scompigliò i capelli e si alzò. “Che tipo di gelato vuoi?”
“Vanilla.” disse sicura Ellie, e salì su una sedia accanto al tavolo. Si mise
comoda, con le piccole gambe che dondolavano avanti e indietro, lontane dal
pavimento. “Mi piace la vanilla. Piace anche alla mamma.”
Mary stava per scrivere ‘gelato alla vaniglia’ sulla sua lista, quando la mano
si bloccò. Guardò verso Jenny, ancora una volta turbata dal riferimento della
bambina a sua madre fatto al presente. Sua madre era morta da oltre due anni e
mezzo.
Le scorse notti, Mary aveva fatto dei sogni bellissimi, con lei e Jenny che
passeggiavano in un giardino fiorito di rose, come quello che la mamma di Mary
aveva avuto, quando lei era piccola. Poi il sogno era cambiato e si erano
trovate a camminare in un bellissimo prato sotto un cielo azzurro. Jenny aveva
detto che lì il suo nome era Ellie e, nel sogno, le era sembrato giusto
chiamarla così. Si erano sedute accanto al ruscello o all’ombra degli alberi,
ed Ellie aveva aspettato che arrivassero la sua mamma e il suo papà, ma loro
non erano mai venuti.
Dov’era la mamma che amava il gelato alla vaniglia? La mamma di sogno che Jenny
voleva fosse reale?
Ellie si sedette al tavolo, guardando il suo album. Era qualche giorno che non
era capace di sentire il suo papà. Lui le aveva detto di non confidare il loro
segreto a nessuno, ma lei l’aveva fatto. Aveva mostrato a Mary il loro posto
speciale. Era per questo che lui era andato via? Se lei non avesse più portato
lì Mary, papà sarebbe tornato?
Le piaceva vedere Mary nel loro posto speciale. Le piaceva sentirsi chiamare
Ellie quando erano lì. Voleva che Mary vedesse la sua mamma e il suo papà, così
avrebbe capito che loro erano reali e non solo dei disegni sul suo album. Ma
lei non poteva ignorare le cose che il suo papà le aveva detto. Stanotte, non
avrebbe portato Mary nel suo sogno, così avrebbe potuto vedere se il suo papà
sarebbe tornato.
***
Max spingeva la falciatrice davanti a lui, con la sensazione del sole che
scaldava la sua pelle liscia. Si era tolto la camicia venti minuti prima,
completamente inzuppata di sudore e i suoi pantaloncini non erano in uno stato
migliore. Il sudore gli colava sugli occhi e lui lo terse con l’avambraccio.
Liz lo stava osservando dalla finestra della cucina, mentre preparava la cesta
del picnic, guardando il movimento dei muscoli della sua schiena mentre
spingeva la macchina, guardando il modo in cui le sue cosce nude brillavano,
guardando il modo in cui il tessuto dei pantaloncini aderiva al suo sedere così
sexy. Guardando il corpo di Max caldo e sudato, Liz capì di cosa aveva bisogno.
Max si fermò, osservando il lavoro fatto e spense il motore della falciatrice.
Spinse la macchina ormai spenta nel ripostiglio accanto al patio e la ripose,
poi sentì una mano familiare strofinare i muscoli della sua schiena. Si girò
velocemente, per vedere il viso malizioso di sua moglie.
“Ho pensato che questa ti sarebbe stata utile.” disse Liz in tono provocante,
porgendogli un grosso bicchiere di limonata fredda.
“Grazie.” Max afferrò il bicchiere con bramosia e ne prese un bel sorso. Liz
guardò il suo pomo di Adamo salire e scendere, mentre lui sorbiva la bevanda,
pensando che era dannatamente sexy, tutto caldo e sudato com’era e non poté
trattenere la sua mano dall’accarezzare i muscoli del suo petto.
Come se lui non fosse già abbastanza accaldato, Liz si avvicinò ed infilò la
mano nell’elastico dei suoi pantaloncini. Max quasi si strozzò con la limonata
e cominciò a spruzzarla nell’aria, alzando gli occhi per vedere la faccia
maliziosa della moglie. Sentì aprirsi il bottone degli shorts ed il rumore
della lampo che si apriva e, dopo aver dato una veloce occhiata al giardino dei
vicini, chiese “Liz, che stai facendo?”
Max aveva fatto questa domanda un sacco di volte.
“Hai bisogno di una doccia.” Liz fece le fusa, mentre i suoi occhi percorrevano
il corpo di Max. “Ti stavo solo dando … un piccolo aiuto. Un … consiglio. Un …”
“Una mano?” Max sorrise compiaciuto.
“Esattamente.” Anche Liz sorrise mentre la sua mano circondava una certa verga
d’acciaio. Il corpo di lui sussultò appena lei lo toccò e Max non riuscì a
trattenere un lamento.
“Credevo volessi fare un picnic.” cercò di dire lui.
“Si.” rispose lei a voce bassa.
“Liz.” la mise in guardia Max. “A questo punto, l’unico picnic che faremo sarà
quello nel nostro letto.”
Liz si avvicinò ancora, sentendogli il sudore scendergli sul petto. Le sue dita
toccarono la punta della sua virilità ormai sveglia, venendo a contatto con un
genere di diversa umidità che lui trasudava, qualcosa che decisamente non era
sudore. Lui si lasciò sfuggire un altro lamento, poi lei tirò via la mano,
dicendogli “Ebbene, io non voglio annullare il nostro picnic. Sarà meglio che
tu vada a farti una doccia mentre io finisco …”
Liz non ebbe modo di finire la frase, perché Max aveva smesso di ascoltarla.
Appena lei aveva allontanato la mano, lui aveva deciso che non era il caso di
permetterle di prenderlo in giro in quel modo. La tirò su, se la mise sopra una
spalla e si diresse verso la casa.
“Max! MAX!” le sue mani gli davano colpi sulla schiena. “Max, mettimi giù!”
Il braccio di lui la teneva stretta e non aveva nessuna intenzione di lasciarla
andare. Mugugnò qualcosa di inintellegibile, mentre oltrepassavano il cesto da
picnic posato sul tavolo della cucina.
“MAX! METTIMI GIU’!”
“Hai cominciato tu, Liz.” Max le dette una sculacciata sul sedere. La sua
risata andava da un orecchio all’altro.
“E il picnic?” La voce di lei era ovattata dal fatto di avere la bocca premuta
contro la schiena di lui. Il sangue le stava andando alla testa e i suoi
capelli dondolavano al ritmo delle risolute falcate di Max.
“Scopa via il picnic!” brontolò Max voltando nel corridoio, diretto verso la
sua destinazione.
“Scopa via il picnic?” Liz stava tentando di mon scoppiare a ridere. “Sembra
che tu abbia intenzione di scopare qualcos’altro!”
“Anche!” ringhiò Max.
Quando fu arrivato in camera da letto, si fermò all’improvviso e la fece
scendere dalle sue spalle. La mise in piedi e prima che potesse aprire la bocca
per parlare gliela chiuse con un bacio. La sospinse verso il bagno, chiedendole
tra un bacio e l’altro “Quando … si dovrebbe … svegliare … Matthew?”
“Non …” Liz rimase senza respiro quando le labbra di lui scesero lungo la sua
gola. “Non … per almeno … mezz’ora … forse anche più.”
“Bene.” Max succhiò la base del suo collo. “Bene … abbiamo … tutto … il tempo.”
“Tempo per cosa?” sospirò Liz. Dio, lui era così sexy quando era così vigoroso.
Lei poteva sentire il proprio desiderio inumidirle gli slip.
Improvvisamente Max staccò le sue labbra da quelle di lei e l’allontanò
tendendo le braccia. Con un’espressione decisa le disse “Ora io devo farmi la
doccia e tu devi finire di preparare il nostro pranzo.” Con un movimento
veloce, pantaloni e boxer finirono sul pavimento esponendo il suo splendore
mascolino e Max si infilò nella doccia aprendo il rubinetto. Il vapore cominciò
a riempire la doccia e Max si girò verso Liz, cercando di non ridere alla sua
espressione attonita.
“Vai.” e le diede un’altra sculacciata. “Vai a preparare il pranzo. Io sarò
fuori in un minuto.”
Liz rimase a bocca aperta, mentre Max entrava nella doccia. Poteva vedere
l’acqua scorrere sulla sua pelle attraverso il vetro. Acqua che scendeva in
rivoletti sulla sua pelle dorata. Acqua che portava via polvere e sudore e
carezzava i suoi muscoli allettanti. Muscoli che lei aveva toccato solo un
momento prima, prima che lui la respingesse! Lei rimase lì con le mani sui
fianchi.
Max fece capolino dalla doccia e disse “Sei ancora li?”
Liz chiuse la bocca e si diresse verso la porta con il fumo che le usciva dalle
orecchie. La mano di Max sbucò fuori e l’afferrò prima che potesse allontanarsi
troppo e la tirò dentro la doccia con lui. Questo gioco poteva essere giocato
in due.
“Max!” urlò Liz mentre l’acqua le bagnava il prendisole.
“Non avrai mica pensato che potessi veramente lasciarti andare via?” rise lui.
“Vero?” Le sue mani la tenevano, la toccavano, le sfilavano il vestito. Liz
poteva sentire la sua incredibile erezione premerle contro l’addome e, tolto il
vestito, tutto quello che li separava era il sottile tessuto dei suoi slip. E
anche quel capo di biancheria non sarebbe rimasto lì molto a lungo.
“Stavo cominciando a chiedermelo.” ammise Liz, mentre le sue mani esploravano
il corpo di lui. Dio, se era bello!
“Non ti avrei mai lasciato andare.” mormorò Max contro la pelle della sua gola.
“Mai.” Premette la schiena di lei contro la parete della doccia, sentendo
l’acqua calda che gli scorreva dietro la schiena e il corpo ancora più caldo
che lo premeva davanti. La sua bocca si unì alla labbra di lei, poi sulla sua
gola, per scendere lentamente verso il suo seno. I capezzoli erano duri e più
dolci del miele.
“Max …” sospirò Liz, mentre la sua passione cresceva. Indubbiamente le piaceva
lasciarsi andare ai gemiti e a Max, indubbiamente, piaceva sentirla.
“Vieni qui, tu.” brontolò lui. Non c’era tempo per i preliminari ed era sicuro
che Liz ne avrebbe potuto fare a meno. Le allargò le gambe con un ginocchio,
sorreggendola per i fianchi, e con un movimento veloce, fu dentro di lei. La
loro unione li fece gridare di eccitazione, aumentando ancora l’intensità dei
loro movimenti.
“Oh, Dio …Max!” Liz lo sentì premere dentro di lei. Il suo sesso la riempiva
completamente, penetrando dentro di lei veloce e sicuro, e lei avvertiva che
lui era acceso esattamente come lei. I denti di lui le mordicchiavano la
spalla, poi le sue labbra vagarono alla cieca fino a trovare ancora quelle di
lei. E lì si fermarono, mentre il suo corpo riempiva quello di lei di piacere.
Liz sentì gemiti che uscivano dalla gola di Max, sentì la sua lingua duellare
intimamente con la propria, sentiva il desiderio di Max di percepire tutto
quello che lui le stava facendo provare e lei aprì la sua mente, permettendogli
di connettersi con lei. Era quello per cui entrambi vivevano.
“Dio, Liz.” lui entrò dentro di lei. Quando era uscito per falciare il prato,
non avrebbe mai immaginato che poco tempo dopo avrebbe vissuto tutto questo.
Nemmeno usando tutta la sua forza di volontà, avrebbe potuto controllare quello
che stava accadendo, o fermarlo, ammesso che avesse voluto farlo. Ma non
voleva. E, giudicando dai suoni che uscivano dalla gola di Liz, nemmeno lei
avrebbe voluto che lui si fermasse. C’era una sola cosa che avrebbe potuto
fermare quel momento e, ringraziando il cielo, il loro piccolo ragazzo stava
dormendo pacificamente nella sua stanza. L’acqua che scendeva dalla doccia
faceva rumore. Le loro gole emettevano suoni ancora più forti. Ma Max sapeva
bene che Liz avrebbe sentito il più flebile suono proveniente da Matthew. Le
madri erano fatte così.
Le sue forti spinte stavano facendo impazzire Liz. Attraverso la loro intensa
connessione, lui poteva sentire quali erano i desideri di lei. Lui poteva
essere l’amante più dolce o prenderla con slancio selvaggio, come stava facendo
ora, guidato dai desideri più intimi di Liz. Oggi voleva un amore forte e
selvaggio e lui era stato più che felice di accontentarla.
Liz sentiva la sua schiena premere contro il freddo delle mattonelle, in forte
contrasto col calore che Max le generava davanti. La sua bocca affamata la
stava consumando, i suoi capezzoli danzavano contro il torace di lui, i muscoli
del suo torace incontravano la sua carne morbida, le mani di lui si chiudevano
a coppa sulle sue natiche, con le dita strette nella pelle, mentre la sua
virilità si spingeva vigorosamente dentro di lei.
Il suo sesso eretto si lanciava dentro le sue pareti tese, facendo scivolare la
sua lunghezza dentro le sue profondità, mentre contemporaneamente accelerava il
ritmo. Le loro bocche si staccarono, cercando di ritrovare ognuno il proprio
respiro, mentre arrivavano insieme alla fine. Max seppellì il suo viso sulla
gola di lei, succhiandole la pelle e, quando le pareti interne di lei si
strinsero intorno a lui, le morse la gola lasciando andare dentro di lei il suo
seme.
I gemiti di piacere di Liz riempirono la casa, uniti a quelli soddisfatti di
Max in parte coperti dalla pressione della bocca contro la pelle di lei. Il suo
corpo tremava contro di lei per l’intensità dell’orgasmo, mentre sentiva in lei
la stessa reazione.
Il prolungato piacere le traversò il corpo e le sue pareti intime si strinsero
fermamente intorno a lui.
I loro petti si sollevavano alla ricerca del respiro e si tennero stretti uno
all’altra, mentre lui si riposava ancora immerso dentro di lei. Un riso
soffocato cominciò a salire dalla gola di Max per arrivare sulla sua faccia,
quando ansimò “Oh, se è stato bello … veramente bello … bello.”
“Così … “ disse Liz ansimandogli nell’orecchio, mentre cercava di riprendere
fiato. “Pensi che sia stato … bello?”
“Oh, si!” annuì Max. Il cuore ancora gli martellava nel petto. “Tu sei il
meglio.”
Liz gli prese il viso tra le mani e lo sollevò dalla sua gola per poterlo
guardare negli occhi. “Max, io sono solo tua.”
“Si …” Max fece un grande sorriso e si strofinò contro il viso di lei. “Lo so.”
***
“Allora, dove vuoi andare?” chiese Max, con la voce dolce e morbida come seta.
“Al lago o al parco?” Le prese la mano destra, lavandole delicatamente le dita.
Il resto di Liz era ricoperto di schiuma. Max era sempre molto accurato quando
la lavava.
“Sto pensando al parco.” rispose lei. Si sentiva rilassata e completamente
amata, per non aggiungere che si sentiva pulita.
“Va bene.” Max fece scorrere la spugna sul suo braccio. Anche lui voleva andare
al parco. Era come se quel posto lo attirasse. Il suo istinto gli diceva di
andare lì, e a lui non piaceva contrastare il suo istinto. La sua mano
raggiunse la spalla di lei e scese a lavarle il seno. L’aveva già lavato, ma
lei era così dannatamente bella che lui non resisteva dal toccarla ancora.
Le mani di Liz erano ancora insaponate e lei le passò contro il torace di Max,
sentendo i suoi piccoli capezzoli diventare eretti e duri. Lei amava il colore
dorato della sua pelle, lo scuro marrone dei suoi capezzoli, anche il pallido
bianco del suo sedere. Trovava la sua abbronzatura tremendamente sexy.
Veramente, volendo essere obiettivi, trovava che tutto in lui era tremendamente
sexy.
In conseguenza del loro accalorato rapporto, ora erano rilassati, sazi,
fisicamente soddisfatti, così erano in grado di godersi la sensazione
dell’acqua che scorreva sui loro corpi e del tocco languido sulla pelle
dell’amato.
“Liz.” Max la guardò negli occhi. Quella mattina si era svegliato sentendosi
bene, rinfrancato, ringiovanito e ora voleva fare un tentativo. Aveva avuto
intenzione di aspettare fino alla sera, ma ora gli sembrava il momento adatto.
Si sentiva pieno di energia.
“Cosa?” chiese Liz.
“Voglio connettermi con te.” le sue mani le massaggiarono le spalle.
“non lo abbiamo appena fatto?” scherzò lei.
“Non così” Max rise, per poi tornare serio. “Voglio provare a riportarti ancora
nel prato. Sento che la mia forza è tornata. Credo che questa volta
funzionerà.”
“Okay.” disse Liz senza esitazione. Se non avesse funzionato, il picnic nel
parco lo avrebbe distratto. Se avesse funzionato, sarebbe stato un
festeggiamento.
Max le sorrise, grato che lei non avesse cercato di osteggiarlo, ma piuttosto
che l’avesse silenziosamente sostenuto, sia in caso di successo che in caso di
fallimento. La rimise sotto il getto della doccia, per finire di sciacquarle
via il sapone, poi lui fece lo stesso, assicurandosi che le sue mani non
fossero più insaponate.
Stando uno di fronte all’altra, Max le mise le mani ai lati del viso,
toccandole le tempie con la punta delle dita. Si guardarono negli occhi, poi
Max abbassò la fronte a toccare quella di lei. Chiusero insieme gli occhi e Liz
liberò la sua mente, come aveva fatto tante altre volte. Questa volta, il mondo
intorno a lei era quieto e scuro, quando la voce di Max ruppe il silenzio.
“Liz? sei con me?”
L’oscurità cominciò a svanire, scacciata dalla luce di un giorno d’estate. Liz
vide l’erba ondeggiare intorno alle sue ginocchia e il prato davanti a lei,
insieme al bellissimo viso di suo marito.
Max la guardò, regalandole un sorriso che avrebbe potuto illuminare il cielo, e
le disse “Bentornata a casa.”
Capitolo 98
Il verde del Coyote Canyon Park si
allungava intorno a loro, mentre si godevano un bel pomeriggio sul bel prato
all’inglese.
Liz era seduta sulla coperta, con le gambe distese, e faceva scorrere le dita
tra i capelli di Max. La testa di lui poggiava sul suo grembo, mentre Matthew
era disteso sopra il torace del padre, con la piccola bocca stretta attorno al
succhiotto. I suoi occhietti erano pesanti, ma lui stava combattendo contro il
sonno. Non voleva perdersi nulla. Alzò la testa e, nonostante la vista ancora
non ben sviluppata, riuscì a vedere il viso sorridente del suo papà. Sputò il
succhiotto e ricambiò il sorriso.
“Hey, tu.” si entusiasmò Max. “Liz! Guarda quanto è forte! Guarda come solleva
la testa!”
“Sto vedendo.” rise lei. Era entusiasmante vedere l’eccitazione sul viso di
Max. Brillava di felicità. Gli diede una pacca sulla testa e gli disse “Hey,
alzati.”
“Cosa?” Max la guardò interdetto, sollevando la testa e mettendosi a sedere con
le gambe incrociate e le braccia che tenevano Matthew contro il suo petto.
“Dov’è la macchina fotografica?” Liz prese la borsa dei pannolini e cercò nelle
tasche. “Voglio farvi qualche foto.”
Passarono il successivo quarto d’ora a fare foto di Max e Matthew, di Liz e
Matthew, di Matthew da solo e poi una vecchia coppia che passava si offrì di
scattare qualche foto alla giovane famiglia tutta assieme. Furono contenti per
il resto del pomeriggio e quando cominciarono a riporre la loro roba per
andarsene, si ripromisero di tornare presto.
***
Max accese il computer del loro soggiorno e preparò la connessione per
scaricare le foto dalla macchina digitale. Avevano fatto delle belle foto di
Matthew e Max era ansioso di stamparle. Ce n’era una in particolare che sarebbe
piaciuta a sua madre e pensava di mandargliela per e-mail quella sera stessa.
L’avrebbe fatta felice!
Sapeva che era dura per i suoi genitori, e anche per quelli di Liz, non essere
in grado di vedere Matthew frequentemente. Ma, d’altro canto, sua madre in
questo momento non avrebbe avuto molto tempo da dedicare al bambino. Non con il
matrimonio di Alex e Isabel da preparare per il prossimo mese. le donne erano
completamente assorbite dai preparativi. Presto lui, Liz e Matthew avrebbero
fatto un viaggetto a casa.
“Quante fatto abbiamo fatto?” Liz gli arrivò accanto, poggiandogli una mano
sulla spalla.
“Ah, credo trentaquattro.” rispose Max, guardando lo schermo. Controllò le
anteprime, scegliendo le migliori da scaricare ora e lasciando le altre per un
altro momento. Sapeva che l’indomani Liz le avrebbe ritoccate. Grazie a lei,
avevano una bella galleria di foto di Matthew. Max cominciò il download e salvò
le foto sul disco rigido, spostandole una a una sul programma adatto per
vederle a pieno video.
“Questa.” Max puntò un dito sullo schermo. “A mia madre piacerà. Voglio
inviargliela stasera.”
“Questa è bella!” si entusiasmò Liz. La foto era un primo piano di Max con
Matthew tra le braccia, che si sorridevano l’un l’altro. “Fammi vedere quella
dopo.”
Sullo schermo apparve un’altra immagine, un’altra angolazione della stessa posa
solo che in questa Matthew afferrava il naso di suo padre. Liz pensava che
fosse adorabile. “Perché non togli i margini?” gli suggerì.
“Così?” chiese Max, usando il mouse per tagliare i bordi. Lei era più brava di
lui in queste cose.
“Magari ancora un po’ …” disse Liz, poi la sua voce venne meno. Si avvicinò
allo schermo e poi indicò la donna a mala pena visibile dietro la spalla di
Max. “Chi è? Non ti sembra familiare?”
Anche Max si avvicinò per vedere una signora anziana che portava una enorme
borsa. Sembrava la quintessenza della nonna. Capelli grigi, faccia sorridente,
grassoccia. Braccia che sembravano fatte apposta per abbracciare.
“Non lo so …” Max guardò meglio. “Anche a me sembra familiare …”
“Puoi ingrandire quest’area?” chiese Liz.
Max annuì e zummò quella sezione della foto. L’immagine si allargò e il viso
sorridente di Mary riempì lo schermo.
“So di averla già vista …” Liz era perplessa. Poi si illuminò e toccò lo
schermo, dicendo “Oh, era nel tuo sogno l’altra notte. Era seduta su una
panchina, mentre Ellie dava da mangiare alle anatre.”
“Giusto.” concordò Max. La fine del sogno era stata indistinta per lui, ma ora
si ricordava chi fosse quella donna. “Era al parco il giorno che abbiamo
ritrovato Cindy Morgan. E’ per questo che l’ho aggiunta al sogno, perché
l’avevo già vista lì. sembrava veramente simpatica. Vive lì accanto da qualche
parte, in uno di quei palazzi dall’altra parte della strada.”
“E’ vero, me l’avevi menzionata. Avevi detto che avresti aggiunto al sogno
qualche persona che avevi incontrato quel giorno al parco.”
“Parlando di sogni …” Max girò la sedia verso Liz, le prese la mano e disse
“Dovremmo tentare ancora questa sere.”
“Max …” disse Liz esitante.
“Liz …” la tirò tra le sue gambe, guardandola con uno dei suoi accattivanti
sorrisi.
“E se …”
“Tu ti preoccupi troppo.” tagliò corto Max.”E, grazie, ma io ormai sto bene. I
miei poteri sono tornati. L’abbiamo provato, prima, nella doccia.” Le sue mani
andavano su e giù sui fianchi di lei, ricordandole qualcos’altro che avevano
fatto.
“Mi prometti di non spingerti troppo oltre?” chiese Liz.
“Lo prometto.” Max l’attirò contro di se e allungò una mano per accarezzarle il
viso. “”Quando comincerò a sentirmi stanco, lascerò terminare il sogno. non ti
preoccupare, non voglio strafare un’altra volta.”
Lei gli prese la mano e ne baciò dolcemente il palmo. I suoi occhi incontrarono
quelli di lui e lo avvertì “Ti terrò sott’occhio, signorino! Quando vedrò
quello sguardo nei tuoi occhi, ti farò smettere, e tu, dannazione, mi
obbedirai!”
“Si, signora!” Max sapeva che era meglio non farla arrabbiare.
“Allora, quando proviamo?”
Max lasciò che un sorriso gli illuminasse il viso e pensò alla reazione di
Ellie a quello che lui intendeva farle vedere. “Tra pochi giorni è il Quattro
Luglio. Credi che le piaceranno i fuochi d’artificio?”
Il sorriso che Liz gli diede come risposta era tutto quello di cui lui aveva
bisogno.
***
Max camminava nell’erba, tenendo strettamente la mano di Liz nella sua e
cercando do combattere la sua ansia. Oggi era la prima volta, dopo giorni, che
era stato in grado di connettersi al mondo dei loro sogni e, mentre ora loro
erano nel prato, Ellie ancora non si vedeva. Le era accaduto qualcosa nei
giorni in cui non era stato in grado di connettersi con lei? Era stata ferita?
Era stata malata? Qualcuno degli esperimenti di Johnson era andato storto? E se
lei non fosse mai più tornata …?
“Max.”Liz strinse la mano. “Rilassati. Arriverà. magari non stanotte, ma
tornerà ancora.”
“Ma Liz,” Guardò preoccupato verso di lei. “E se le è succ …”
“Max, lei verrà.” disse Liz, sicura. Lei non era fiduciosa come voleva
apparire, ma non poteva permettersi di pensare alle alternative. Stringendo
ancora la mano di Max, ripeté “Arriverà.”
Camminarono nel prato tenendosi per mano e sentendo la brezza accarezzare la
loro pelle. In distanza, potevano sentire il gracidio solitario di una rana,
poi l’aria si riempì del suono di elefanti in corsa, cavalli in fuga, treni che
correvano proprio verso di loro.
No, calma. Era solo il rumore di passi sul terreno. Passi che appartenevano a
piccoli piedi, piedi troppo piccoli per tanto rumore, che facevano tremare il
terreno, poi una nocetta dolce si unì al rumore dei passi dei suoi piedini
felici.
“Papà! Mamma! Siete qui!”
Max si girò per vedere Ellie che correva verso di lui a braccia spalancate, i
capelli che le svolazzavano attorno al viso così bello da togliere il respiro.
Lui corse nella sua direzione e, quando la distanza tra loro scomparve, la
prese tra le braccia e si strinse al petto il suo piccolo corpo.
“Ellie.” Max chiuse sollevato i suoi occhi.
“Papà.” le sue piccole braccia gli circondarono il collo. “Mi sei mancato!”
“Anche tu mi sei mancata, piccola.” Max la strinse forte. Dovette sforzarsi per
mantenere la calma, anche se dentro era in tumulto. Fu così sollevato dal fatto
che la loro connessione era tornata e che loro erano di nuovo insieme.
Quando Max si voltò verso Liz, Ellie si divincolò e tese le mani alla madre,
gridando eccitata “Mamma!”
Liz la prese tra le braccia e la strinse più forte che poté, felice di essere
ancora riuniti dopo diversi giorni senza di lei. Insieme si avvicinarono al
ruscello, Liz che teneva per mano Ellie e Max, con il braccio attorno a Liz,
che sorrideva alla sua bambina.
In distanza, una rana gracidava insistentemente. Il canto degli uccelli si unì
al suo suono, insieme al leggero gorgoglio del ruscello che si faceva strada
nella valle. Nuovi suoni si unirono agli altri, suoni di un intrecci di zampe
sulle rocce, penne arruffate e qualche occasionale ‘qua qua’. Se Max avesse
guardato in quella direzione, si sarebbe chiesto da dove fossero arrivati,
perché non era stato lui a portarli nel sogno. Ma Max era troppo preoccupato
per sua figlia, per notare lo stormo di anatre che avevano fatto il nido
accanto al ruscello o per chiedersi come fossero arrivate lì.
***
“Ora puoi aprire gli occhi.” disse piano Max all’orecchio di Ellie. Vide
aprirsi i suoi grandi occhi rotondi e lei guardò attorno nella vista familiare
del Coyote Canyon Park. Si girò nelle braccia del padre, guardando a destra e a
sinistra, e Max scoppiò a ridere alla vista della sua espressione.
“Perché è buio, papà?” Erano andati via dal prato al tramonto, per arrivare nel
parco buio e silenzioso. Anche le altalene erano ferme.
“Vedrai.” sorrise Max.
Liz allargò la coperta e si mise a sedere a gambe incrociate. Max si sedette
accanto a lei e mise Ellie tra di loro. Liz lo guardò concentrarsi intensamente
e il prato attorno a loro si riempì di coperte e di familiari e di amici.
Michael e Maria apparvero su una coperta accanto a loro. Isabel e Alex alla
loro destra. I genitori di Max erano seduti su una panchina del parso e quelli
di Liz in un’altra.
Carl e Rachel avevano steso una coperta pochi passi distante ed Ellie li
fissava intensamente. Quando Carl guardò nella sua direzione, lei spostò svelta
lo sguardo ma dopo un minuto, incapace di resistere, lo guardò ancora
“Ciao, Ellie.” disse Carl sorridendole.
Ellie spalancò gli occhi a sentirsi chiamare per nome e si nascose dietro Max,
facendo capolino per guardare Carl. Spostò lo sguardo da lui, per guardare suo
padre e gli sussurrò “Papà? Conocci quel tignore?”
“E’ un amico, Ellie.” la rassicurò Max. “Lui è Carl, e se mai dovessi
incontrarlo, vai da lui. Lui sa chi sei e ti porterà a casa. Capito?”
Ellie guardò suo padre e annuì lentamente. Si sporse ancora per guardare
l’uomo, poi i suoi occhi si posarono sulla donna accanto a lui. Sussurrando
ancora verso Max gli chiese “E lei chi è?”
“Quella è Rachel.” le sorrise Max. “Lei è come noi. E sa tutto di noi. Puoi
fidarti anche di lei.”
Ellie la guardò ancora, poi ripeté il suo nome per ricordarlo “Wachel. Carl e
Wachel.”
Max guardò Liz, scorgendo l’eccitazione sulla sua faccia e sapendo di essere
altrettanto eccitato. la reazione di Ellie era molto incoraggiante. Stava
reagendo bene alla vista di persone sconosciute e, anche se era esitante,
sembrava più interessata che spaventata. Un minuto più tardi, lei confermò i
loro pensieri sporgendosi, guardando ancora Carl e Rachel e dicendo “Ciao. Me
Ellie.”
“Ciao, Ellie.” risposero insieme Carl e Rachel.
“Quetto è il mio papà.” Ellie toccò la gamba di Max.
“Lo sappiamo.” Carl le sorrise.
“Quetta è la mia mamma.” Ellie toccò i pantaloni di Liz.
“Conosciamo anche la tua mamma.” annuì Rachel.
“Oh.” Ellie si sedette ed assimilò la notizia. Carl e Rachel. Tornò a guardarsi
intorno, chiedendosi se lì tutti conoscessero la sua mamma ed il suo papà. Tirò
la manica di suo padre e gli sussurrò nell’orecchio “Conocci tutti?” Lei non
immaginava che nel mondo ci fosse tanta gente.
“Si.” annuì Max. “Io e la mamma conosciamo tutti loro. Puoi fidarti di tutti
quelli che sono qui, Ellie.” Max vide uno sguardo incerto sul visetto della
figlia, così decise che era ora di fare le presentazioni. “Quella è mia sorella
Isabel.” e la indicò. “Tu l’hai già incontrata, ricordi?”
“Me ricorda.” e guardò verso di lei.
“Accanto a lei c’è Alex.” le disse Max. “Isabel e Alex si sposeranno il mese
prossimo. Lei è tua zia e, dopo che si saranno sposati, Alex diventerà tuo
zio.”
“Tio.” ripeté Ellie. Non aveva mai sentito prima quella parola. Lei ascoltò
attentamente Max che le diceva i nomi di tutti quelli che erano nel parco.
“Su quella panchina ci sono la mia mamma ed il mio papà.” Max le indicò i suoi
genitori. “Loro sona tua nonna e tuo nonno.”
“Nonna e nonno.” Ellie analizzò le parole.
“E su quella panchina ci sono la mamma e il papà della tua mamma. Anche loro
sono tuoi nonni.” Max si assicurò che ogni persona che nominava facesse ciao
con la mano ad Ellie. “E a destra ci sono Maria e Michael. Michael è come un
fratello per me …”
“Dov’è mio fratello?” all’improvviso Ellie si guardò attorno.
“Dov’è Matthew?” Nel sentirsi chiamare, Matthew si unì al sogno,
materializzandosi sulla coperta di fronte a loro. Ellie si chinò sopra di lui
ed esclamò “Dov’eri?”
Matthew guardò la sorella maggiore, tubando eccitato e mostrandole quanto fosse
bravo a fare le bolle.
Liz lo tirò su ed Ellie tese le braccia per prenderlo. Matthew era troppo
grande per lei, ma ad Ellie piaceva tenerlo. Anche a lui piaceva. Quando
divenne irrequieto, Liz lo riprese e Ellie corse dal padre, dicendogli “Che
cosa ci fanno tutti qui?”
“Siamo venuti a vedere i fuochi d’artificio.” le rispose Max e sorrise
vedendola arricciare il naso.
“Fuochi d’affificio?” chiese Ellie. “Cosa sono i fuochi d’affificio?”
Max la mise a sedere tra le sue gambe e le indicò il cielo dicendole “Guarda!”
Uno scoppio risuonò in distanza e tutti gli occhi si alzarono verso il cielo in
attesa. Tutti percepivano l’aspettativa, poi il cielo da buio si illuminò di un
arcobaleno di colori.
“Ooooooo!” esclamò Ellie. “E quetto cos’è?”
“Fuochi d’artificio.” rise Max. Si era aspettato quella reazione.
Un’esplosione dopo l’altra riempirono il cielo ed Ellie si agitò eccitata tra
le gambe del padre per ognuna di loro. I colori cambiavano da rossi a blu a
verdi a brillanti punti di bianco, in rapida successione, cambiando forma ogni
volta. Ellie era seduta con gli occhi al cielo, affascinata dai colori. Non
aveva mai visto nulla di così bello.
Tutti lanciavano espressioni di meraviglia, e anche se aveva detto a se stessa
che non l’avrebbe fatto, Ellie portò Mary nel sogno. Voleva che anche lei li
vedesse. Mary aveva mai visto prima i fuochi d’artificio? Lei non li aveva mai
nominati. Ellie si girò a guardare indietro, verso la panchina alla sua destra
e lì c’era Mary, seduta vicino alle persone che papà aveva chiamato nonni.
Mary la guardò con uno sguardo perplesso, chiedendosi come avesse fato ad
arrivare lì. Un momento prima era in giardino ed aveva ancora in testa il
cappello di paglia. Ora, improvvisamente, si ritrovava seduta al buio, su una
panchina del parco, con i fuochi artificiali che illuminavano il cielo.
Lei conosceva bene il parco, visto che ci era passata ogni domenica da due anni
e mezzo a questa parte, ma non ci era mai stata col buio prima, né vi aveva
visto i fuochi. Quello era esattamente il genere di cosa cui aveva pensato
quando aveva suggerito al Dottore di far uscire Jenny di notte. A Jenny sarebbe
piaciuto assistere ad uno spettacolo come questo e la notte non poteva
danneggiarla.
I suoi vecchi occhi osservarono le persone che le stavano intorno, poi, con
immenso piacere, riconobbe un dolce visetto. Jenny era seduta su una coperta
proprio in mezzo alla gente. I loro occhi si incontrarono e, anche nel buio,
lei riuscì a vedere quanto la bambina fosse felice. Il suo viso era illuminato
da un sorriso che lei non le aveva mai visto prima.
Ellie era immensamente felice di avere intorno le persone che amava tutte
insieme. Mary era lì, e mamma, papà e Matthew erano accanto a lei e, forse,
finché li avesse tenuti separati, papà non sarebbe andato via, portando con lui
Matthew e la mamma.
Liz notò che Ellie, seduta tra le gambe di Max, stava guardando qualcosa dietro
di lei. Guardò oltre la sua spalla per capire cosa Ellie stesse guardando, ma
tutto quello che riuscì a vedere erano l persone che Max aveva introdotto nel
sogno. I suoi genitori, i genitori di Max, Isabel e Alex, la vecchia signora
del parco, tutte facce che lei conosceva.
Mary non riuscì a vedere il viso dell’uomo che teneva Jenny tra le gambe, ma la
donna accanto a lui si voltò e Mary riuscì a darle una lunga occhiata.
Sorprendentemente, sembrava la versione cresciuta di Jenny, con i suoi capelli
scuri, gli occhi grandi e i lineamenti delicati. Forse stava sognando la madre
che Jenny non aveva mai avuto occasione di conoscere? Il sogno della famiglia
di Jenny stava penetrando nei suoi sogni? E come faceva a sapere che era un
sogno? Senza dubbio lo sapeva, ma quando mai aveva avuto questa cognizione nei
suoi sogni?
Liz tornò a girarsi verso Ellie, per chiederle cosa stesse guardando, ma i
segni di stanchezza sul viso di Max, portarono la sua attenzione su di lui.
Ancora una volta si stava sforzando troppo e lei doveva fermarlo prima che si
ripetesse il disastro dello scorso lunedì. Con una mano gli toccò la spalla.
“Max.” gli disse quando lui si voltò per guardarla. “Ora devi finire il sogno.”
“Liz, sto bene …”
“No.” lei scosse la testa. “Non stai bene. Finiscilo ora. Se stai bene, potremo
tornare domani. Se ti spingi troppo oltre, chi lo sa quando saremo in grado d
tornare?”
“Liz.” Max provò a fare resistenza. “Solo un altro po’ …”
“Max!” lo mise in guardia Liz. “Finisci questo sogno ora o lo farò io per te!”
“Okay.” Max si arrese. Naturalmente lei aveva ragione. Aveva cominciato a
sentirsi stanco, ma c’era così poco tempo e tante cose da fare …
“Ellie.” lei prese il viso della figlia tra le mani. “Ora devi tornare
indietro. Papà è stanco ed ha bisogno di riposare.”
“io non voglio andare.” Ellie sporse in fuori il labbro inferiore. Mamma era
arrabbiata perché Mary era lì?
“Se tu vai via ora, potremo vederci ancora domani sera.” le spiegò Liz. “Se
papà rimane ancora, si stancherà troppo e forse non sarà capace di tornare per
tanti giorni. Tu non vuoi questo, vero?”
“No.” ammise Ellie riluttante.
“Bene.” Liz le accarezzò una guancia. Abbracciandola dolcemente, Liz le diede
un bacio e le sussurrò all’orecchio “Buona notte, amore.”
“Notte, mamma.” Ellie le rese il bacio. Poi, girandosi verso Max abbracciò
anche lui e lo baciò su una guancia. “Notte, papà.”
“Buona notte, tesoro.” Max le baciò la fronte. Avrebbe voluto rimanere con
tutto il suo cuore, ma sapeva che era per il meglio. Domani sarebbe arrivato
presto.
Ellie si staccò dal padre e si chinò verso il visetto innocente di suo
fratello. “Notte, Matthew.” Gli prese la piccola mano tra le sue e gli sorrise,
mentre lui gorgogliava, poi si girò a guardare dietro le sue spalle,
incontrando lo sguardo di Mary. Era ora di andare. L’aria fluttuò e si sbiadì e
poi Ellie era semplicemente sparita. Nessuno notò che Mary era scomparsa con
lei.
***
La sua visione si chiarì e Liz divenne conscia di essere circondata dalla
familiare stanza da letto. Sentì il vuoto nelle sue braccia, sapendo che
Matthew era nella sua stanza, nel suo letto. Era la prima volta che lui si era
unito a loro senza che fosse lei a portarlo. Lei e Max avrebbero dovuto parlare
di questo fatto. Era un nuovo aspetto dei loro sogni.
Sentendo il corpo di Max dietro di lei, si voltò subito per vedere se stesse
bene, timorosa di assistere di nuovo a quello che era successo lo scorso lunedì
notte. Fu sollevata di vedere il suo sguardo limpido e presente ed una caldo
sorriso sulla sua faccia stanca.
“E’ andato tutto bene.” disse Max felice.
“Come ti senti?” chiese Liz, con solo una lieve traccia di apprensione nella
voce.
“Bene!” rispose svelto Max. Vide un’espressione scettica sul volto della moglie
e le disse sincero “Sono stanco, ma sto bene. Avevi ragione di farmi terminare
il sogno. Se fossimo rimasti più a lungo, avrei avuto problemi un’altra volta.”
“Sono contenta che tu mi abbia ascoltato.” disse Liz puntigliosamente.
“Non me lo rendere difficile.” le sorrise Max.
***
In un’altra parte di Phoenix, Mary si svegliò dal sonno. Aprì gli occhi e le ci
volle un momento per capire dove fosse. Il sogno che aveva appena fatto le era
parso così reale, più reale di qualsiasi altro sogno che avesse fatto nei suoi
sessantasette anni di vita.
Si voltò sulla schiena e fissò il soffitto, senza vederlo veramente, senza
vedere veramente nulla. Era ancora presa dal sogno, anche se sapeva che non
c’era speranza di analizzarlo. Mary capiva perché aveva sognato i fuochi
artificiali, dopo tutto era quasi il Quattro Luglio, ma perché mai aveva
sognato Jenny con una donna che ovviamente era sua madre? E anche se non era
riuscita a vedere bene l’uomo accanto a Jenny era ovvio che quello fosse il
padre, almeno nel sogno.
Ma l’uomo del sogno non assomigliava assolutamente al Dottore. L’uomo del sogno
aveva i capelli scuri. L’uomo del sogno era giovane, molto giovane. L’uomo del
sogno le era sembrato vagamente familiare, ma non era sicura del perché. Non
aveva potuto vederlo bene in faccia.
Il sogno permaneva dentro di lei e questa era un’altra sorpresa per Mary. Di
solito, i suoi sogni scomparivano facilmente senza lasciare traccia, ma questa
volta poteva ricordarne tutti i dettagli ed allora capì all’improvviso perché
la famiglia del sogno le risultasse così familiare. Era la stessa famiglia che
Jenny aveva creato sulla carta. la famiglia che Jenny disegnava quando non
c’era il Dottore. Papà Max, Mamma tesoro ed un fratellino di nome Matthew. Mary
aveva visto il fagottino che la donna dai capelli scuri teneva tra le sue
braccia.
Disturbata, Mary si girò su un fianco e mise una mano sotto il mento, ma sapeva
che non avrebbe ripeso sonno facilmente. Perché aveva sognato il mondo di
fantasia che Jenny aveva ricreato nei suoi disegni? Perché aveva sognato il
padre di Jenny così giovane, alto e scuro di capelli?
E perché mentre era immersa in quel sogno il nome di Ellie le era sembrato così
appropriato?
Capitolo 99
Max tirò indietro le coperte e mise le
gambe fuori da letto. Si mise a sedere, poi un capogiro lo costrinse ad
appoggiare la testa tra le mani. Sapeva per esperienza che sarebbe passato
subito, se fosse stato fermo per qualche minuto.
Ultimamente si erano organizzati per passeggiare nei sogni a giorni alterni,
per aver modo di recuperare le forze. Ogni mattina dopo la passeggiata lui si
svegliava stordito, con capogiri e un mal di testa che lo accompagnava per
tutta la mattinata, ma il giorno dopo tutto tornava normale. Stava cercando di
far durare le passeggiate ogni volta un po’ più a lungo ed aveva notato che la
sua tolleranza stava migliorando. O almeno non si era più ripetuto quello che
era successo la prima volta, quando aveva perso conoscenza per quasi un intero
giorno.Una mano calda gli toccò la schiena nuda e Max si raddrizzò e
l’espressione corrucciata della sua faccia si addolcì. Sentì un movimento nel
letto, poi quella mano calda si spostò davanti, scivolando sopra i muscoli del
suo petto, mentre un corpo liscio gli si premette contro da dietro. Un paio di
labbra, morbide e calde, si posarono sulla pelle della sua gola ed una voce,
ancora assonnata, gli chiese “Come ti senti stamattina?”
Max girò la testa verso di lei, sentendo le labbra muoversi sulla sua gola,
arrivare all’angolo del suo mento e raggiungere le sue labbra. Lei lo sfiorò
appena, le labbra contro le sue, poi si ritirò in attesa della sua risposta.
“Bene.” rispose lui. “un po’ stordito, ma il mal di testa non è molto forte.”
Fece una pausa per guardarla, con i lunghi capelli spettinati gli occhi ancora
pieni di sonno e il viso così innocente eppure così sensuale. Max pensò che lei
era sempre bella, ma guardarla come prima cosa al mattino gli faceva sempre
battere svelto il cuore.
“Infatti …” alzò la mano per infilarla tra i capelli di lei “ … penso …” e la
baciò dolcemente “ … che il mio mal di testa …” la baciò ancora “ … stia
passando …”
“Davvero?” mormorò Liz contro le sue labbra.
Max la vide sorridere e sorrise anche lui, poi la baciò con più insistenza, più
urgenza, più passione. Si girò completamente verso di lei e, con la mano ancora
immersa tra i suoi capelli, la fece sdraiare sul letto. Si stese su di lei,
baciandola avidamente e sistemando i suoi fianchi tra le gambe aperte di Liz.
La seta della sua camicia da notte era fredda e sensuale contro il suo torace
nudo e solo il cotone dei suoi boxer separava la sua virilità dalla
destinazione desiderata. A letto lei non portava gli slip.
Tutti i pensieri di stanchezza, di stordimento o di mal di testa residui lo
abbandonarono, mentre si concentrava sulla sensazione del corpo morbido di lei.
La mano di Max toccò la pelle liscia delle cosce di lei, poi le accarezzò i
fianchi, scivolando sotto la seta della camicia da notte e salendo verso il
torace. Sospirarono ognuno nella bocca dell’altro e quando la mano di Max
arrivò al suo seno, Liz fece un risolino.
“Cosa c’è?” Max staccò le sue labbra e alzò la testa per guardarla. Non sapeva
perché lei stesse ridendo, ma la sua risata era contagiosa. Anche lui rise,
mentre la guardava negli occhi.
“Stavo pensando ad Ellie.” lei rise ancora mentre Max aggrottava le
sopracciglia. “Allo zoo … ieri sera …”
Lui rimase a bocca aperta, mentre le guance gli diventavano rosse. Era stato
così imbarazzante. La sera prima avevano portato Ellie allo zoo, e il ricordo
del sogno era ancora fresco. Erano andati alle gabbie dei primati ed Ellie era
tutta presa dalle scimmie. Mentre stava facendo le smorfie agli Scimpanzé, lo
sguardo di Max si era fatto malizioso e lui aveva attirato l’attenzione di Liz
sui Gibboni nella gabbia a fianco. Ellie si era girata proprio in quel momento,
mentre le scimmie si accoppiavano, e Liz aveva dato un pugno a Max, prendendolo
proprio in mezzo al petto.
Ellie si era fermata lì, con le mani sui fianchi, con la testa inclinata a
sinistra, poi con la voce innocente da bambina aveva chiesto “Cosa stanno
facendo, papà?”
Le guance di Max andavano ancora a fuoco al ricordo di come era rimasto, non
sapendo come rispondere alla domanda di Ellie. Liz gli aveva salvato la faccia
dicendole che stavano ‘giocando’, poi si erano allontanati in fretta per vedere
le tigri, i leoni e gli elefanti.
“Sei stato molto svelto, la notte scorsa.” lo prese in giro Liz, tentando di
non ridere alla vista delle sue guance rosse. “Tua figlia ti ha fatto una
semplice domanda e tu sei rimasto lì, in silenzio, come lo scemo del
villaggio.”
“Non potevo mica parlare degli uccelli e delle api a una bambina di due anni e
mezzo!” si difese Max.
“Questo è ovvio.” sbuffò Liz. “Posso ricordarti che sei stato tu a cacciarti in
quella situazione, facendo accoppiare le scimmie davanti a lei?”
“Io non credevo che lo notasse.” cercò di spiegare Max.
“Ma lei lo ha fatto, non è vero?” Liz gli diede un pugno sul petto, proprio
come aveva fatto nel sogno.”E poi te ne sei stato lì, come un grande babbeo,
senza sapere cosa risponderle.”
“Un grande babbeo, eh?” Max le afferrò le mani e gliele mise dietro alla
schiena, attirandola a sé. “Te lo faccio vedere io il grande babbeo.” La sua
bocca partì all’attacco, impedendole qualsiasi ulteriore commento che poteva
urtare il suo orgoglio maschile. Proprio mentre Max cominciava a pensare di
essere fortunato come lo erano state quelle scimmie la sera prima, un’altra
scimmiotta decise di svegliarsi e di rovinare le sue attività amorose
mattutine.
“Questo è per me.” Liz inarcò le sopracciglia a mo’ di scusa e poi disse, tanto
per mettere sale sulla ferita “Niente caldo amore scimmiesco per te, questa
mattina.”
Max rotolò via da lei con un lungo sospiro e la vide dirigersi verso la camera
di Matthew. Sapendo che doveva ancora una volta darsi una calmata, si diresse
verso la doccia.
***
Mary stava cominciando a preparare il pranzo, quando il Dottore tornò
inaspettatamente dal laboratorio. Si mise a controllare la posta, ma Mary non
gli prestò attenzione. Per lei non c’era nulla. Non le scriveva mai nessuno.
Martha era la sua unica parente in vita e, da quando era malata, la sua povera
sorella non era più in grado di scrivere. Ormai non era quasi capace di nulla.
Ma Mary era una sorella affettuosa e faceva il suo viaggio per andare a
trovarla ogni domenica, anche se ormai sua sorella non la riconosceva più. Era
contenta che il viaggio programmato dal Dottore in California fosse breve e che
sarebbe tornato venerdì, così non avrebbe dovuto saltare la sua visita
settimanale.
Johnson era completamente assorbito dalla corrispondenza e non notò Ellie che
arrivò girando l’angolo a tutta velocità ed andò a sbattere contro di lui. La
posta volò a terra e Johnson rimise la bambina in piedi, prima di raccargliela.
“Mi dippiace.” Ellie si chinò per aiutarlo. La piccola guardò le buste nella
sua mano, ma era troppo piccola per capire cosa ci fosse scritto. Mary si chinò
per raccoglierne una che era scivolata nella sua direzione, ma Johnson fu
veloce nel prenderla prima di lei. Non voleva che Mary vedesse a chi era
indirizzata. Avrebbe potuto fare delle domande cui non era preparato a
rispondere.
“Non fa nulla, Jenny.” disse Johnson rialzandosi. “Ma tu non dovresti correre
in casa. Potresti farti male.”
“Mi dippiace.” disse Ellie ancora una volta, chinando la testa.
“Non fa nulla.” ripeté Johnson ed arruffò i capelli della bambina, dirigendosi
poi verso il suo studio. Chiuse la posta che voleva tenere nel cassetto della
sua scrivania, mentre gettò quella che non voleva tenere nel tritacarne. Nulla
che riportasse nomi o indirizzi, veniva lasciato a portata di mano. Johnson
aveva troppi segreti da proteggere, troppi nomi che aveva usato nella sua
finzione, troppe bugie dette per coprire le sue tracce. Già da molto tempo
aveva imparato a nascondersi.
***
Max era seduto alla sua scrivania, riordinando una pila di carte. Stava
smistando le cartelle, spostando le pratiche dei casi risolti nell’archivio, da
dove poi sarebbero state portate nello scantinato dell’immobile. Aprì il
cassetto della scrivania e ne prese il taccuino con i dati del caso di Megan
Thompson. James Robert Taylor, alias Jimmy Bob, era stato giudicato colpevole
la settimana scorsa di violenza sessuale, crimine di seconda classe e
condannato a 28 anni di prigione. Non avrebbe potuto più fare del male a
nessuno per molto, molto tempo.
Dopo aver aggiunto le sue annotazioni, per completare la pratica, Max la chiuse
e la mise nella scatola di archivio. Prese la cartella successiva e sorrise
quando lesse il nome: Cindy Morgan. Qualche volta i casi avevano un lieto fine.
Cindy era a casa, sana e salva, con Smokey a tenerle compagnia. Solo a pensarci
si sentiva bene dentro.
Aprendo ancora il cassetto, cercò il taccuino relativo e guardò le annotazioni
che aveva fatto quel giorno al Coyote Canyon Park. Qualche taccuino riportava
note che aveva preso per diversi casi, così aveva preso l’abitudine di scrivere
i nomi dei casi sulla parte interna della copertina. Controllò il nome su un
notes, poi su un altro, prima di trovare quello giusto.
Il nome di Cindy gli comparve sotto gli occhi e lui cercò gli appunti che aveva
scritto quel giorno. Tralasciò le annotazioni del caso Rodriguez e, dopo aver
sfogliato le annotazioni del caso Morgan, ne strappò i fogli e li mise nella
cartella, anche se nulla di significativo era trapelato dagli interrogatori.
Cindy non era stata rapita o assalita. Si era semplicemente persa nel bosco ed
era stata ritrovata ‘illesa’. Le annotazioni non aggiungevano nulla al caso, ma
questa era la procedura standard nelle operazioni, e lui faceva quello che il
regolamento di polizia prevedeva. Chiusa la cartella, prese il grosso timbro e
lo premette sul frontespizio, marcandolo con le parole ‘Caso chiuso’ in
inchiostro rosso. La firmò e la mise nella scatola dell’archivio, poi prese il
taccuino, ne depennò il nome Morgan dalla parte interna della copertina e lo
rimise nel cassetto, prima di prendere la cartella successiva.
***
Liz era seduta in soggiorno, davanti al computer, lavorando sull’ultimo gruppo
di foto che avevano fatto a Matthew. Sapeva che stava esagerando, ma non poteva
farne a meno. Tra qualche anno, sarebbe stata in grado di rivedere la vita di
Matthew, il primo sorriso, il primo dentino, la prima volta che aveva gattonato
o camminato o corso. Il primo Natale. Il primo compleanno.
Per Ellie, non aveva vissuto nulla di tutto questo, tutti preziosi momenti che
aveva perso per sempre.
I suoi occhi si posarono sulla cornice all’angolo della scrivania. Max aveva
fatto del suo meglio per riempire quei vuoti, per ricreare la storia della vita
di Ellie, a penna o a matita. Le sue immagini riempivano ogni angolo della
casa. Ellie appena nata. Ellie che faceva i primi passi. Ellie con gli occhi
chiusi in un sonno tranquillo o sveglia, scintillante di gioia.
La sua immagine impreziosiva la parete dietro la culla di Matthew e il
guardaroba della loro camera da letto. La sua faccia adornava la mensola del
caminetto e tutti quelli che entravano, vedevano il silenzioso ricordo di
quello che mancava in quella casa.
Un solo disegno decorava il frigorifero: un cavallo alato che faceva volare le
sue amazzoni sopra una prato amato. I tratti del disegno erano infantili e
l’immagine non era riconoscibile eccetto per quelli che l’avevano vissuta e
sentivano ancora il vento scorrere tra i capelli.
Ma nessun disegno, dipinto o sogno poteva sostituire quello che le era stato
rubato quella notte di ottobre – due anni, nove mesi e sei giorni prima. Liz si
strinse al seno la cornice, premendola contro il suo cuore, mentre lacrime
silenziose di un desiderio inseguito a lungo le correvano sulla guance.
***
Max riattaccò lentamente il telefono, assimilando le informazioni che Jim
Valenti gli aveva appena dato. la telefonata era arrivata inaspettata, ma Max
era contento di conoscere finalmente la storia di Robert Johnson e della
sparizione di sua figlia. C’erano voluti più di venti anni per scoprire la
verità.
Si era attardato per decidere se fosse il caso di parlarne subito a Liz o
aspettare quella sera, fino a quando fosse ritornato a casa. Avrebbe preferito
essere lì e parlargliene di persona, ma conoscendo Liz come la conosceva,
sapeva che lei si sarebbe arrabbiata se non glielo avesse detto subito.
L’informazione non poteva aiutarli a trovare Ellie, e forse l’avrebbe fatta
preoccupare ancora di più per la sicurezza di sua figlia, ma lei non voleva che
lui gli tenesse nascoste le cose.
Gli occhi di Max andarono alle foto sopra la sua scrivania. C’era una foto di
Liz, un’immagine li lei e Matthew, che sorrideva alla macchina. C’era anche un
disegno di Ellie, lei e Liz che camminavano mano nella mano attraverso il
prato. Sopprimendo il bisogno di proteggerla, Max prese il telefono e compose
il numero.
Mentre aspettava la risposta, tamburellò le dita sulla scrivania, chiedendosi
dove fosse e se riuscisse a sentire lo squillo del telefono. Non gli aveva
detto che sarebbe uscita, oggi. Non che lui la controllasse, se lo avesse
fatto, ma lui non poteva fare a meno di preoccuparsi, quando non riusciva a
raggiungerla.
Max si sentì stringere lo stomaco, in parte per le informazioni avute da Jim,
in parte per la sua preoccupazione per Liz. Quando finalmente sentì arrivare la
risposta e udì la sua voce tremante, la preoccupazione arrivò alle stelle.
“Liz?” La sua voce era carica di tensione. Lei stava piangendo?
Quando lei era incinta, Max era abituato a sentire le sue sensazioni attraverso
la loro connessione, ma dopo la nascita di Matthew, quella connessione si era
affievolita. Ora l’unico momento in cui dividevano le loro sensazioni era
quando si toccavano, ma in questo momento il dolore di Liz era così forte, che
lui riusciva letteralmente a sentirlo attraversi i fili del telefono. Jenny gli
aveva detto che lui non aveva detto nulla a Liz della figlia di Johnson, così
non poteva essere quella la causa del suo pianto.
“Liz, qual è il problema?” Era Matthew? Qualcosa non andava con Matthew? Dio,
non lasciare che accada qualcosa di male a Matthew. Lui sarebbe morto, se fosse
accaduto qualcosa a suo figlio.
“Max …” Liz si sentì in colpa per averlo fatto preoccupare. Sapeva cosa lui
stava pensando. “Sto bene. E anche Matthew sta bene.”
“Tu non stai bene.” Max si chinò in avanti, abbassando la voce. “Non dirmi che
stai bene, quando io so benissimo che non è vero.”
“E’ solo che …”
Liz parlava così piano che lui riusciva a malapena a sentirla. Dolcemente,
rassicurandola, le chiese “Cosa c’è, Liz?”
“Stavo guardando le foto di Matthew …”
“Sono delle belle foto …” Max capì all’improvviso di cosa si trattasse. Le
parole successive glielo confermarono.
“Non avremo mai delle foto di Ellie …”
“Liz …” Lui non riuscì ad aggiungere nulla. La sua gola si era chiusa.
“Noi non sapremo mai come era quando ha fatto le cosa per la prima volta.
Quando ha fatto i primi passi. O quando ha imparato a nuotare. Noi non sapremo
mai …”
La sua voce si spezzò e Max la sentì piangere dall’altro capo del telefono. Non
succedeva spesso che si lasciasse andare in quel modo, che i suoi pensieri
diventassero scuri e che tutto sembrasse senza speranza e perduto. Lei era
sempre ottimista, l’unica che teneva in piedi le speranze di Max. Chiuse gli
occhi, avvertendo la disperazione di Liz scorrere dentro di lui, spinse
indietro la sedia e si alzò in piedi. Lei aveva bisogno di lui.
“Sto venendo a casa.”
Le cartelle furono dimenticate sulla scrivania. La scatola dell’archivio rimase
abbandonata sul pavimento. Max afferrò la giacca dalla spalliera della sedia e
di corsa lasciò la stanza della Squadra, senza prestare la minima attenzione
alla scatola sul pavimento e ai preziosi dati che vi erano contenuti.
***
Mary mise a letto Jenny per il sonnellino pomeridiano, sapendo che non ci
sarebbe voluto molto prima che lei abbandonasse quella abitudine. Stava
crescendo velocemente e Mary si chiese cosa le avrebbe riservato il futuro.
Avrebbe dovuto vivere per sempre senza mai conoscere il mondo esterno? Avrebbe
avuto l’occasione per sperimentare le cose meravigliose che c’erano fuori?
Mary desiderò che il Dottore le avesse dato il permesso di contattare il gruppo
che si era formato tra le famiglie dei bambini malati. Lei sapeva che la
qualità della vita di Jenny sarebbe notevolmente migliorata, ma le era sembrato
che il Dottore avesse rifiutato il suo suggerimento. Mary sapeva che il suo
lavoro aveva raggiunto un punto critico e che lui non aveva il tempo per
contattarlo da solo, ma il suo rifiuto di farlo al suo posto l’aveva lasciata
perplessa.
Jenny si era abbandonata al sonno con un sorriso sulla faccia e Mary le
accarezzò i capelli, per spostarli all’indietro. Forse quando il Dottore fosse
tornato dal suo viaggio, avrebbe potuto provare di nuovo. Domani sarebbe
partito presto, con il rientro programmato per venerdì sera. Forse domenica,
quando sarebbe andata a trovare Martha, si sarebbe potuta fermare in biblioteca
per fare qualche altra piccola ricerca. Poi avrebbe potuto mostrargli i dati
che fosse riuscita a recuperare.
Si alzò dal letto di Jenny e si diresse verso la cucina, ancora immersa nella
ricerca del modo per aiutare Jenny. Prese il secchio, lo riempì di acqua
saponata e lo posò sul pavimento. Poi prese un paio di guanti di gomma, poi si
inginocchiò per lavare il pavimento della cucina. Cominciò dal lavandino per
andare verso la porta, perché aveva già imparato da molti anni a non chiudersi
in un angolo, e per quando fu arrivata al frigo, le ginocchia e la schiena
avevano cominciato a dolerle.
Si raddrizzò, premendosi una mano sulla schiena, poi immerse la spugna nel
secchio e continuò il suo lavoro ingrato. Per un attimo pensò di spostare il
frigo per poter lavare il retro, poi decise che quel lavoro poteva aspettare la
prossima settimana. Invece, passò la spugna sotto l’elettrodomestico fino a
dove poteva arrivare e fu sorpresa di sentire qualcosa che era finita lì sotto.
Si chinò per guardare cosa fosse e spalancò gli occhi quando vide qualcosa che
sembrava essere una lettera. Come era finita li?
Fu in grado di raggiungerla con la punta di un dito e la tirò verso di se. Era
qualcosa che era caduta al Dottore quando quella mattina Jenny era caduta
contro di lui? Togliendosi i guanti di gomma per non bagnare la lettera, dette
un’occhiata da vicino al mittente e i suoi occhi lessero un nome sconosciuto.
Pacifica Research Group
San Francisco, CA.
Quella lettera aveva qualcosa a che fare col viaggio programmato dal Dottore?
Ora stava preparando i bagagli per il volo della mattina successiva e Mary
decise di portargliela subito.
Si lamentò,alzandosi in piedi sulle gambe affaticate dalla posizione che aveva
tenuto sul pavimento e, quando fu in piedi, una espressione inquieta le
traversò il viso. Guardò, senza capire, il nome al quale era indirizzata la
lettera.
Dr. Robert Sinclair
2745 E. Beardsley Road
Phoenix, Az.
Chi era il Dottor Sinclair? E perché avevano consegnato la lettera al loro
indirizzo?
***
Johnson mise la valigia sul letto e, con calma, preparò il suo bagaglio. Non
pensava di stare via a lungo ed il piccolo trolley era più che sufficiente per
le sue necessità. Notando che si era scordato la giacca di tweed uscì in
corridoio alla ricerca di Mary. Lei si prendeva cura di tutte le sue cose.
“Mary?” chiamò, avvicinandosi in cucina. L’aveva sentita sfaccendare lì,
qualche minuto prima. “Sa dov’è finita la mia giacca? Quella di tweed?”
Al suono della sua voce, Mary nascose la lettera nella tasca del grembiule. Il
cuore le batteva forte nel petto e sentiva salire la pressione del sangue. Era
sicura che la sua faccia l’avrebbe tradita e allora girò l’angolo e tornò in
cucina.
“Mary, sto cercando …” diede un’occhiata al suo viso rosso e le chiese “si
sente bene?”
“Oh, si.” dissimulò Mary. “Mi sono solo alzata troppo in fretta.” Non riusciva
a credere di aver appena detto una grossa bugia al Dottore. Che diavolo le
stava succedendo? Non aveva mai fatto nulla di simile in vita sua. Lei era una
sua dipendente, viveva nella sua stessa casa, gli serviva i pasti e gli lavava
la biancheria da quasi tre anni, ormai. Da quando si era permessa di mentirgli?
E perché si sentiva forzata a farlo?
“Ne è sicura?” Johnson la guardò da vicino. Doveva lasciare Jenny alle sue cure
per i prossimi tre giorni. Non voleva che accadesse qualcosa a Mary proprio
ora.
“Oh, sto perfettamente.” Mary tentò un sorriso. “C’era qualcosa che voleva
chiedermi?”
“Stavo giusto chiedendole se avesse visto la mia giacca di tweed. Vorrei
portarla con me.”
“Si.” Mary si asciugò le mani sudate sul grembiule. “Ho visto che l’aveva
indossata e l’ho stirata per togliere le pieghe. Ora la vado a prendere.”
“Grazie, Mary.” sorrise Johnson. Era veramente una governante perfetta.
Troppo …
Capitolo 100
Preoccupata, Mary era stesa nel letto, e
si girava ogni pochi minuti, incapace di lasciar andare la sua mente e di
prendere sonno. Il ricordo della lettera che aveva trovato sul pavimento non
voleva lasciarla. Si era sorpresa dallo strano nome in indirizzo e una domanda
le frullava nella mente.
Chi diamine era il Dottor Sinclair?
In un primo momento aveva pensato che la lettera fosse vecchia, indirizzata al
precedente inquilino, ma un’occhiata le aveva fatto capire che non poteva
essere così. La busta era troppo nuova, troppo fresca, ed inoltre il timbro
postale portava la data del giorno prima.
Il senso di disagio che aveva provato negli ultimi tempi, era esploso nel
pomeriggio, quando aveva preso la lettera ed aveva fatto qualcosa di
completamente inconsueto per lei. L’aveva presa, nascosta nella tasca del
grembiule, senza nemmeno sapere il perché. Una improvvisa ed incontestabile
sensazione le aveva detto che era qualcosa di importante. Cosa, lei non ne
aveva idea.
Ora era nascosta sotto il suo materasso, chiusa ma non dimenticata,
e la sua presenza le impediva di prendere sonno, come nella vecchia favola
della Principessa sul Pisello. Lei riusciva a ‘sentirla’.
Ricordava chiaramente di aver sentito una telefonata che il Dottore aveva fatto
alcune settimane prima, quando lei era fuori dalla porta del suo studio in
attesa di parlare con lui del mondo immaginario che Jenny si era inventata. il
mondo dove il suo nome era Ellie, e suo padre era bruno ed alto e sua madre era
viva. Il disagio che aveva provato quel giorno per la sua decisione di rimanere
il silenzio, era esattamente come quello che stava provando in quel momento per
la lettera.
Quel giorno lui aveva nominato il Dottor Sinclair, ed anche la Pacifica, ma lei
aveva capito che Sinclair fosse quello che parlando all’altro capo della linea.
E allora perché la lettera indirizzata al Dottor Sinclair era stata recapitata
al loro indirizzo? Qualcosa non andava.
***
Max si spostò sul divano, cambiando posizione in modo da riuscire a guardarla
in faccia. Avevano visto insieme un film in TV, ma la debole comicità non era
riuscita a farla sorridere. Si era addormentata al suo fianco quasi un’ora
prima e lui era restio a svegliarla. Sperava che il mattino dopo si sarebbe
sentita meglio.
Quando quel pomeriggio si era precipitato a casa per starle accanto, più di
un’ora prima, lei aveva preteso fermamente che non c’era nulla che non andava,
ma dopo tutto il tempo trascorso insieme, non era difficile per lui leggerle in
faccia la verità. Oggi la mancanza di Ellie le pesava molto, e lui non voleva
lasciarla sola.
“Liz …?” le sussurrò, solo per essere sicuro che lei stesse dormendo.
Lei non si mosse e Max ne fu contento. L’esperienza gli suggeriva che il giorno
dopo lei sarebbe stata meglio. Ormai Matthew dormiva per intervalli sempre più
lunghi, di notte, e questo le permetteva di riposare meglio. Scivolando via da
lei, si alzò dal divano e si fermò a guardare il suo viso tranquillo. Se c’era
qualcuno al mondo che meritava di vivere tranquillamente, quella era Liz, pensò
Max guardandola.
Facendo scivolare le braccia sotto la sua forma sottile, la prese in braccio,
accompagnato dai piccoli suoni che lei emetteva dalla gola. Lei si accoccolò
contro il suo petto e lui la portò fuori dal soggiorno, per il corridoio, fino
in camera. Mise grande attenzione nel deporla sul letto, per non svegliarla,
poi si sporse sopra di lei, per controllare il suo sonno.
Era contento di esserle stato vicino quando ne aveva bisogno. Negli anni
passati, lei era sempre stata presente per lui, tante di quelle volte che lui
ne aveva perso il conto, sostenendolo sempre, anche nei giorni più neri,
comunicandogli il suo amore semplicemente con un tocco, uno sguardo, una
parola. Oggi sperava di essere stato in grado di restituirle qualcosa,
sostenendola quando ne aveva avuto bisogno.
I capelli scuri erano sparsi sul cuscino e Max pensò che finalmente i suoi
lineamenti apparivano rilassati. Domani sarebbe andata meglio. Lui ne era
convinto. Cercando di metterla comoda, le sfilò lentamente i pantaloni e li
mise da una parte. Poi prese la sua camicetta tra il pollice e l’indice e si
concentrò, chiudendo gli occhi. In un attimo la sua camicetta si trasformò in
una serica camicia da notte e Max si compiacque del suo lavoro. Era veramente
bella vestita di rosa.
Togliendosi i vestiti e lasciandosi solo i boxers, Max andò dalla sua parte del
letto. Scivolò sotto le coperte e si rannicchiò accanto a Liz, sapendo che lei
l’avrebbe sentito anche nel sonno. Proprio come le innumerevoli altre notti, il
sonno si sarebbe fatto aspettare, ma finché poteva avere Liz tra le sue
braccia, a lui non importava.
***
Ellie era nel suo letto, con a fianco la sua bambola. Nel sonno il suo viso era
sereno, ma dentro la sua mente lavorava. Stava cercando di raggiungere suo
padre, qualcosa che sapeva fare istintivamente, ma lui non stava dormendo
ancora. Lei non riusciva a sentirlo.
Cambiò direzione ed andò in cerca di Mary. Questo era un nuovo sviluppo per
Ellie, la capacità di connettersi con Mary, di entrare nei suoi sogni o di
portare lei nei propri. Lei non era sicura di come fosse possibile, ma il suo
papà le aveva detto che lei era differente e forse questo spiegava il perché.
Lei non aveva detto a Mary di essere differente, perché papà le aveva detto che
doveva essere un segreto. Ellie sapeva che il suo papà aveva paura di quello
che il papà Dottore poteva fare se lo avesse saputo. Papà Dottore aveva fatto
delle brutte cose alla sua mamma e al suo papà. Cose molto brutte. Lei le aveva
viste in un incubo che il papà aveva avuto una notte.
Nemmeno Mary stava dormendo, così Ellie prese un’altra direzione. Lei se ne
stava lontana dai sogni di papà Dottore. Mettevano paura. Sognava che papà lo
inseguiva e lo inseguiva e lo inseguiva. Lui gridava forte quando papà lo
raggiungeva, grida terribili che le facevano male e le mettevano paura. Le urla
di papà Dottore erano brutte.
La mente di Ellie volò per raggiungere un posto speciale, un posto
confortevole, un caldo posto invitante. Le pareti di quella stanza erano
dipinte di azzurro chiaro e sembrava uscito dalle pagine del suo libro
preferito. la stanza era piena di animali di stoffa, seduti sui mobili e sul
pavimento e perfino appesi al soffitto. Grandi orsacchiotti e orsacchiotti
piccoli e orsi panda e orsi polari. Una scimmia dondolava dal soffitto ed un
gattino che assomigliava a Smokey era sopra la cassettiera. Cagnolini saltavano
sul pavimento e un gigantesco cavallo alato li sovrastava tutti.
Ellie prese un coniglietto molto speciale e si fece strada nella stanza, verso
la piccola culla dove l’aspettava un piccolo bambino. Si sporse oltre il bordo
della culla e Matthew le sorrise., facendo le bolle e cercando di afferrarle i
capelli. Fece piccoli rumori di gioia, felice che la sua sorellina più grande
fosse venuta a trovarlo. Durante il giorno aveva sentito la sua mancanza.
“Ciao, Matthew.” gli sorrise Ellie. “Vuoi che ti leggo una storia?”
Matthew scalciò eccitato. Gli piaceva quando lei leggeva per lui. Ellie spostò
il grande orso dalla sedia a dondolo e vi salì sopra, quasi scivolando per
quanto era grande per lei. Accomodò il coniglio accanto a lei e aprì il libro
che si era portata dietro. In realtà lei non sapeva ancora leggere, ma ormai
conosceva le parole a memoria.
“C’era una volta un Oniglio di Belluto e all’initio era veramente pplendido …”
***
Il mattino successivo, Mary si alzò presto dopo una notte senza riposo. Poteva
sentire il Dottore che si muoveva nella stanza da letto, mentre passò davanti
alla sua porta, diretta in cucina per preparargli una colazione svelta prima
che arrivasse il taxi per portarlo all’aeroporto. Non aveva nemmeno preso in
considerazione l’idea di non prepararla. Aveva trascorso anni a prendersi cura
degli altri. Era tutto quello che sapeva fare.
Mise un paio di fette di pane nel tostapane e prese le uova dal frigorifero,
insieme ad un cartone di latte. Stava giusto sbattendo le uova in una ciotola,
quando il Dottore entrò in cucina.
“Buon giorno, Mary.” le disse allegramente.
“Buon giorno, Dottore.” Mary ricambiò il saluto. “La colazione sarà pronta in
un attimo. A che ora deve partire?”
“Il taxi sarà qui tra mezz’ora.” Si sedette alla tavola e riesaminò il suo
itinerario. Si era trastullato con l’idea di guidare fino all’aeroporto, e
lasciare la sua macchina nel parcheggio di lunga permanenza, ma alla fine aveva
deciso che col taxi avrebbe avuto meno problemi e sicuramente risparmiato,
visti i costi del parcheggio. Inoltre, avrebbe potuto usare la sala bar locale
come punto di incontro, così non avrebbe lasciato registrazioni dietro di lui.
Non gli piaceva lasciare cose incomplete dietro di lui. “Starò all’Hotel
Broadmore di San Francisco, ma se avrà bisogno di mettersi in contatto con me
per qualcosa, mi chiami sul cellulare. La chiamerò ogni giorno, per essere
sicuro che vada tutto bene.”
“Oh, staremo bene, Dottore.” Mary sbatté le uova per fare un’omelette. “Non si
preoccupi per noi.”
“Tracy lavorerà in laboratorio durante la mia assenza, ma non si dovrà occupare
di lei. Non avrà bisogno di nulla.” Johnson guardò Mary e disse con un tono
autoritario “Anzi, stia lontana dal laboratorio. Il suo lavoro è ad un punto
cruciale e non voglio che sia disturbata per nessun motivo.”
“Si, naturalmente, Dottore.” rispose obbediente Mary.
Lui ritornò a guardare le sue carte e lo sguardo di Mary si attardò su di lui.
Ormai Tracy lavorava nel laboratorio da un paio di settimane, ma Mary non
l’aveva più vista o parlato con lei dal primo giorno. Quasi come se … lui
volesse tenerle separate …
No. Mary scacciò il pensiero. Il Dottore era un brav’uomo. Quale ragione poteva
avere per tenerle isolate lì?
***
Max uscì lentamente dal sonno profondo e sentì piccole mani che gli colpivano
il viso. I suoi occhi si aprirono su una visione meravigliosa ed un sorriso si
allargò sulla sua faccia. Anche Liz era sdraiata sul letto e sorrideva, con lo
sguardo luminoso e felice. Tra di loro, Matthew giocava soddisfatto con le dita
dei piedi con una mano, mentre con l’altra cercava di afferrare il labbro
inferiore di Max.
Allungando la mano per cingere il bambino, Max spostò le piccole dita dalla sua
bocca e disse “Ehi, amico. Buon giorno a te.” Le piccole dita di Matthew si
strinsero attorno ad un dito del padre e il bambino gorgogliò un saluto verso
di lui.
Max si tirò su appoggiandosi ad un gomito e si allungò sopra di lui per dare
anche a Liz un buon giorno appropriato. Lei sollevò la testa dal cuscino e lo
incontrò a metà strada, mentre Matthew guardava in su per vedere i genitori che
si baciavano.
“Come ti senti?” le chiese Max dolcemente, staccando le labbra da lei.
“Sto bene.” Liz gli prese il viso tra le mani. Lui la guardò negli occhi e si
rese conto che quella mattina diceva la verità. Avvertiva che la sofferenza del
giorno prima era stata sospinta in sottofondo. Non sarebbe mai passata, per
nessuno dei due, ma il loro meccanismo di autodifesa era di nuovo in funzione.
“Bene.” Max si rilassò e la baciò ancora con dolcezza. Nel frattempo Matthew,
stanco di essere ignorato, aveva cominciato a scalciare e a tubare e, com’era
prevedibile, attirò l’attenzione su di lui. Il papà gli mordicchiò la pancia,
la mamma lo baciò sulle guance e Matthew si sentì un bambino contento.
***
Johnson si sedette sul bordo del letto e guardò il visino addormentato di
Jenny. Il suo ottimismo stava crescendo e, se il colloquio con la Pacifica
fosse andato bene, loro due avrebbero potuto cominciare presto la loro nuova
vita. Tracy era stata una fortuna inaspettata ed il suo lavoro era quasi
completato, molto prima del previsto. Era intelligente ed efficiente e teneva
il naso fuori dalle cose che non la riguardavano. Non sapeva nulla di Jenny ed
aveva incontrato Mary una sola volta.
Johnson spostò i capelli dalla fronte di Jenny e lei trovò veramente difficile
rimanere immobile, non lasciare che lui si accorgesse che era sveglia. Sapeva
che sarebbe partito per alcuni giorni e questo la rendeva felice. Le piaceva
rimanere sola con Mary. Forse, in assenza del Dottore, poteva convincere Mary a
portarla al parco.
Si fece piccola piccola, quando Johnson si chinò sopra di lei per baciarle una
guancia. Tenne gli occhi chiusi e non mosse un muscolo , poi sentì il letto
sollevarsi quando lui si alzò in piedi. Sentì i passi che si allontanavano
dalla stanza, poi aprirsi la porta dell’appartamento. Sentì la voce di Mary,
mentre gli augurava un buon viaggio, poi la porta si chiuse dietro di lui. Se
n’era andato.
Ellie si sedette in silenzio nel letto sperando che non tornasse più indietro.
***
Max passò nell’ingresso, ormai familiare, del 7° Distretto diretto verso
l’ufficio della Squadra.
Aveva una ciambella in una mano ed una tazza di caffé fumante nell’altra e,
attraversata la soglia fu accolto dal saluto di Carl.
“Buon giorno, Max. Tutto bene a casa?”
“Si.” annuì Max, guardando la faccia preoccupata del suo capo e dei suoi
colleghi. Era contento che Carl ormai sapesse la verità, che non ci fossero più
segreti tra di loro. “oggi Liz sta molto meglio.”
“Bene. Sono contento di saperlo.” Guardò Max che si dirigeva alla sua
scrivania. Era un delitto che questi ragazzi fossero costretti a vivere così.
Non era una sorpresa che una volta ogni tanto il peso fosse eccessivo per loro.
Lui e Rachel ne avevano parlato la notte scorsa, quando erano a letto insieme.
“Carl …” disse Max appena si fu seduto, girandosi per guardarlo.
“Si?” Carl chiuse la cartella che stava guardando e prestò a Max tutta
l’attenzione.
“Hai mai avuto la sensazione, mentre stai indagando su un caso, di aver
tralasciato qualche cosa? Qualche prova decisiva, che sai che c’è ma che non
riesci a vedere?
“Certo.” annuì Carl, notando lo sguardo nervoso sul viso del ragazzo. “Mi
succede più spesso di quanto tu non immagini. Perché me lo chiedi?”
Max si alzò in piedi, lasciando la ciambella sulla scrivania e cominciando a
camminare. “Mi sembra di aver tralasciato qualcosa.” si passò le mani tra i
capelli. Camminò verso la scrivania di Carl poi diede uno sguardo fuori dalla
porta per essere sicuro che nessuno fosse abbastanza vicino da sentire la loro
conversazione. Girandosi di nuovo verso Carl, abbassò la voce dicendo “Nel
sogno. C’era qualcosa lì. Qualcosa di importante. Qualcosa che mi sfugge.”
“Qualcosa che pensi possa esserti utile per ritrovare Ellie?” Carl si appoggiò
contro la spalliera della sedia.
“Esattamente.” annuì Max.
“Forse qualcosa che lei può ave detto?” lo pungolò Carl.
“e’ proprio questo.” disse Max frustrato. “Non lo so. Non so se è qualcosa che
ha detto, o fatto o … dannazione, non lo so.”
“E’ difficile dirti qualcosa, quando non so quello che hai vissuto.” lo compatì
Carl.
“Lo so.” Max camminò ancora verso la scrivania di Carl.
“Hai detto di esserti connesso con Liz, così da poterla portare nei sogni.”
Carl si portò in avanti, mentre un embrione di idea gli si stava formando nella
mente.
“Giusto.” Max incontrò il suo sguardo.
“Lo puoi fare con chiunque?” chiese Carl.”Potresti portare me? Potresti
introdurmi nel sogno?”
“Dovresti venire a casa mia e dormire con me.” disse Max, prima di rendersi
conto di come la frase suonasse. Naturalmente, fu proprio quello il momento che
Chris scelse per entrare nella stanza. I suoi occhi blu fissarono prima Max,
poi Carl, poi si girò ed uscì.
Prima che Max e Carl potessero reagire al gesto di Chris, il telefono sulla
scrivania di Carl iniziò a suonare. Sollevò il microfono ed il suo
atteggiamento rilassato scomparve velocemente. Si sedette eretto e cominciò a
prendere appunti sul blocchetto che stava sulla scrivania. Alzatosi in piedi,
chiuse il telefono ed afferrò il soprabito dalla spalliera della sedia.
“Andiamo.” abbaiò. “Abbiamo un 235 in corso.”
“Oh, dannazione.” fischiò Max. “Dove?”
Carl si infilò il soprabito mentre si affrettavano in strada e prese il
cellulare dalla tasca. “Sunrise Preschool, a Delancey Street. un sospetto ha
preso possesso di una classe e tiene in ostaggio i bambini. I primi rapporti
indicano che il criminale è armato.”
“Gesù.” Max scosse la testa scioccato. “Nessuna idea del motivo?”
“Il motivo?” scattò Carl, mentre uscivano dalla porta della stazione. “Perché
qualche volta il mondo diventa dannatamente pazzo.”
Capitolo 101
Il cielo era illuminato dalle luci
lampeggianti rosse e blu e la strada era piena di poliziotti. Ufficiali in
uniforme pattugliavano le strade, tenendo i curiosi dietro le barricate.
Genitori, ansiosi e spaventati aspettavano in un area circoscritta, lontani dai
curiosi e dalla stampa. Gli agenti speciali avevano preso posizione intorno
all’edificio e la tensione nell’aria si poteva tagliare col coltello. crepitii
statici venivano dai radiotelefoni , mentre la comunicazione andava e veniva.
Il sospetto non si era arreso.
Carl e Max erano seduti con le spalle all’edificio, mentre un ufficiale cercava
di negoziare una resa. Erano lì da ore, tutta la mattina e il pomeriggio, e la
loro conversazione si spostava da un soggetto all’altro, mentre aspettavano che
succedesse qualcosa.
“Così ero lì.” ricordava Carl. “ Sul ring, con l’arbitro che mi alzava il
braccio in aria e Sparks disteso ai miei piedi sul tappeto, svenuto. Nonostante
questo, mi ci è voluto un po’ per rendermi conto che avevo vinto. Campione del
mondo dei pesi Welter. Mi sembra che sia passato un secolo.”
“Devi essere orgoglioso di te stesso.” commentò Max. Carl aveva fatto parecchia
strada da quel bambino che correva per le strade di Mexico City.
“Oh, credo di esserlo.” Carl raccolse un pezzo di vetro. “Sarebbe stato più
bello se avessi potuto dividerlo con qualcuno, ma allora ero solo. Mia madre
era morta da anni e non avevo nessun’altro parente … e ancora non avevo
incontrato Michelle.”
Max si limitò ad annuire. Sapeva cosa significasse essere soli. Tutti gli anni
passati a desiderare Liz, con la certezza di non poterla avere. E poi lei era
sua, ma le loro vite erano diventate così tumultuose, chiusi in quel posto
d’inferno. E quando lui era scappato, era stato di nuovo solo, ma ora allora
era stato molto peggio di prima. Liz era veramente perduta, e lui non sapeva
nemmeno se era viva o morta, o se l’avrebbe mai più vista.
“Allora dimmi.” gli disse Carl mentre sedevano fianco a fianco sul terreno
duro. Diede un’occhiata al suo compagno, poi raccolse un altro pezzo di vetro.
“Com’è stato quando gli Evans ti hanno trovato nel deserto?”
Carl sapeva che c’erano grossi pezzi della vita di Max, che ancora lui non
conosceva. Max gli aveva raccontato quelli che per lui erano particolari
importanti. Chi era. da dove veniva. Cosa era successo a lui e a Liz nel Lakely
Institute, e più tardi a Liz nell’Haystack Mountain. Cosa avevano fatto ad
Ellie. E perché.
Ma Carl ancora non conosceva le cose che avevano formato il ragazzo pacato che
sedeva accanto a lui. Le cose che aveva dovuto affrontare, crescendo in un
mondo a cui non poteva adattarsi. Max gli avrebbe lasciato vedere il vero uomo
che cercava di nascondersi dal mondo?
“Non c’è molto da dire.” Max cercò di schivare la domanda. Era bravo in questo.
Aveva trascorso la vita intera a perfezionarsi.
“Non so perché.” rise Carl “ma non riesco a crederti.” Fissò intensamente il
suo giovane collega e i loro occhi si incontrarono, due anime affini. “Deve
essere stato incredibilmente duro per te, trovarsi all’improvviso a camminare
per una terra estranea, incapace perfino di capire il linguaggio.”
“E’ vero.” confessò Max. “Quando siamo usciti dai bozzoli,” e guardò di nuovo
l’uomo più anziano. “i bozzoli di stasi in cui eravamo, non sapevamo nulla.
Quando i nostri genitori ci presero, Isabel ed io eravamo spaventati a morte.
Avevamo perso Michael ed eravamo terrorizzati all’idea che avrebbero potuto
dividerci.”
“Allora come è stato crescere? Ho l’impressione che tu non eri esattamente Il
Signor Grande Max della scuola.”
“No.” Max rise, poi tornò di nuovo serio. “Ho praticamente visto il mondo
passarmi accanto. Non ci siamo mai legati con nessuno. Eravamo troppo …
differenti.”
“Eccetto Liz.” Carl guardava l’attività della polizia, ma la sua attenzione era
rivolta a Max.
“Anche Liz.” Max fissava il vuoto, ricordando tutte le volte che avrebbe voluto
guardarla, certo che non sarebbe mai stata sua. “Soprattutto Liz.” Max fece una
pausa e Carl stava chiedendosi cosa volesse dire, quando lui riprese “Ho
cercato di stare lontano da lei per tanto tempo, perché lo sapevo che avrei
finito col farle del male. E avevo ragione. Ha sofferto molto per colpa mia.”
“Ma, ovviamente, non sei riuscito a starle lontano. Cosa è cambiato?”
“Le hanno sparato, quel giorno al Crashdown e da quel giorno è cambiato tutto.”
rispose Max.
“Perché l’hai salvata, Max?” chiese Carl, sapendo quello che aveva rischiato
con quell’atto di coraggio. La sua risposta gli avrebbe raccontato la storia di
che genere di uomo fosse.
Max tornò a guardare Carl, con un’espressione di adorazione sul volto, e disse
“Avrei fatto tutto per lei. Tutto. Non salvarla non era nemmeno da prendere in
considerazione.”
Il radiotelefono di Carl gracchiò e lui vi parlò dentro sottovoce, riportando
che era tutto tranquillo in quella posizione. Max si focalizzò sulla missione
che stavano svolgendo, cercando di pensare a come farla finire.
“Quei bambini saranno affamati, ormai.” disse, scuotendosi dai ricordi del
passato.” Bambini affamati uguale a bambini piangenti. E bambini piangenti
intorno ad un uomo armato non è una buona combinazione.”
“Hai ragione.” concordò Carl.
“Lasciami entrare dentro …”
“Max. No!” Carl fu inflessibile. Non poteva lasciare che Max entrasse lì
dentro. Per l’amor di Dio, era solo un ragazzo. Lì dentro c’era un pazzo
bastardo con una pistola. Non intendeva lasciare che il suo giovane collega
rischiasse la sua vita in quel modo.
“Carl, è possibile per me entrare.” cercò di convincerlo Max. “sono giovane:
vestimi con un uniforme del Burger Palace e quel tipo non sospetterà mai che
lavoro per il Dipartimento di Polizia. Tua hai bisogno di qualcuno che
controlli quello che succede lì dentro. io sono la tua arma migliore. Inoltre …
ci sono molte cose che posso fare. …”
“Vuoi dire …” Carl lasciò le parole in sospeso. Max poteva usare i suoi poteri
per fermare tutto questo senza che nessuno rimanesse ferito?
Max annuì lentamente, sapendo che Carl aveva capito. Avevano veramente una
possibilità?
***
Max era in piedi accanto alla Centrale operativa, con indosso una camicia
rossa, una cravatta a farfalla dorata e una corona di carta in testa. Sulla
targhetta che portava sul petto si leggeva ‘King Max’. Sulla tavola davanti a
lui cerano buste e buste piene di hamburgers e patatine fritte, appena fatte
nel vicino Burger Palace. Il profumo si spandeva nell’aria attorno a lui, ma
non gli stuzzicava l’appetito, nonostante non mangiasse da diverse ore. Aveva
lo stomaco troppo chiuso.
“Questo ci darà una visione di quello che succede dentro.” disse Carl inserendo
la piccola telecamera in uno dei ‘gioielli’ della corona di carta di Max. “Fino
a che terrai la corona,”Carl sorrise incoraggiante “saremo in grado di vedere
quello che vedi tu.”
“Okay.” disse Max, tentando di non manifestare il suo nervosismo. Quell’idea
era venuta veramente a lui? All’inizio gli era sembrata buona, e allora perché
gli tremavano le ginocchia?
“Senti.” Carl afferrò le spalle del suo collega. “Stai attento lì dentro.
Limitati ad entrare, valuta la situazione e esci da lì vivo. Non cercare di
fare l’eroe.”
“Non sono certo il tipo dell’eroe.” cercò di scherzare Max.
Si che lo sei, pensò Carl in silenzio guardando il ragazzo in faccia. Max era
la persona più eroica che lui avesse mai incontrato. Una silente unione passò
tra di loro, da uomo a uomo, comprendendosi l’un l’altro senza bisogno di
parole. Erano una coppia.
“Okay, allora.” disse Carl con voce rauca.
Max fece un profondo respiro e si girò verso le buste di cibo, prendendole con
una mano, che sembrava salda all’esterno ma che dentro tremava come una foglia.
Prese le buste e cercò di inghiottire, ma nella sua bocca non c’era saliva.
L’Ufficiale responsabile dell’operazione gli diede una pacca sulla spalla, come
segno di avvio e Max si incamminò lentamente verso l’ingresso della Sunrise
Preschool.
***
Liz giocava a bu-bu-settette con Matthew, che pur non conoscendo le regole del
gioco, sembrava trovarlo divertente, quando fu interrotta dal telefono. Allungò
distrattamente il braccio per rispondere, chiedendosi se fosse ancora Max, che
chiamava per sapere se tutto andava bene. Si preoccupava sempre troppo. Le
dispiaceva di essersi lasciata andare il giorno prima, fornendogli un ulteriore
motivo di preoccupazione.
“Sarà papà?” chiese a Matthew che stava sorridendo gioioso. “Dovrebbe quasi
essere a casa, vero? Credo che tu sia impaziente di rivedere papà!” Matthew
scalciava eccitato e lei prese a tastoni il telefono, rispondendo allegra
“Pronto?”
“Liz?” la voce di Rachel era tesa all’altro capo della linea. “Stai bene?”
“Rachel?” disse Liz sorpresa. La sua voce era così strana, così … sconvolta.
Aveva saputo di ieri? Max le aveva forse chiesto di chiamarla per sapere se
andava tutto bene? “Io sto bene, Rachel.”
“Non sai cosa è successo?” Rachel era seduta su una sedia nel suo ufficio, ed
aveva avuto la risposta dal tono della voce di Liz.
“Va avanti.” disse Liz confusa.
“Accendi la TV.” disse Rachel e Liz si accigliò.
Accendere la TV? Perché Rachel l’aveva chiamata e le aveva detto di accendere
la TV? Un’improvvisa agitazione si impadronì del suo stomaco e Liz prese il
telecomando. Premette il bottone e la TV si accese. Una stupida pubblicità
della Snapple riempì lo schermo, con bottiglie che portavano la parrucca e Liz
cambiò canale. Lì c’era una pubblicità del Burger Palace, una che non aveva mai
visto prima, con un ragazzo che portava delle buste … di … Perché quel ragazzo
le sembrava così familiare? Era veramente una brutta pubblicità. Le
inquadrature si muovevano a scatti, ed erano sfuocate. E perché c’erano
macchine della Polizia in una pubblicità del Burger Palace? La camera si
avvicinò e il mondo si fermò all’improvviso.
Perché Carl era in una pubblicità del Burger Palace?
“Liz?” la voce preoccupata di Rachel le arrivò dalla linea.
“Oh, Gesù. Oh, mio Dio.” Il telefono le scivolò dalle mani, e restò dimenticato
sul divano. L’inquadratura era cambiata e si era focalizzata sul ragazzo del
Burger Palace. Le parole ‘edizione speciale’ e ‘rettifica’ e ‘armato di
pistola’ e ‘ostaggi’ erano dette in Tv e si facevano strada nel suo cervello
annebbiato. “Oh, Dio.” Liz traversò il pavimento e posò una mano sullo schermo.
“Max … cosa stai facendo?”
***
Max si fece coraggio ed entrò nella scuola. Gli ci volle un attimo per
abituarsi al buio dell’interno, poi andò avanti passando accanto a una fila di
armadietti adornati con nomi scritti su nastro adesivo, indicanti i proprietari
del contenuto. Nicky e Ryan e Susie e Maggie e Rosita. Bobby aveva disegnato
una macchina da corsa, probabilmente per mostrarla ai suoi genitori. Miguel
aveva fatto qualcosa di colorato con la carta da collage. Darrell aveva
incollato vari tipi di pasta per formare una casa. Era casa sua? La casa alla
quale si era aspettato di tornare ogni sera, non sapendo che un giorno, un
pazzo avrebbe cambiato il suo piccolo mondo sicuro?
“Salve?” disse ad alta voce nella stanza vuota. “Sto portando il vostro cibo …”
La sua voce risuonava veramente così tremante? Un suono di passi risuonò nelle
sue orecchie e gocce di sudore cominciavano a formarsi sulla sua fronte. Una
porta si aprì davanti a lui e gli fu dato un silenzioso permesso di entrare.
Max entrò col cuore che gli era arrivato in gola.
***
Liz camminava avanti e indietro davanti alla TV , guardando in silenzio la
scena sullo schermo. Un reporter dalla sala stampa stava ricapitolando gli
eventi per l’ennesima volta, ma questo non li rendeva più facili da sentire.
“Un testimone riferisce che Ronald Kane, 34 anni, è entrato nella Sunrise
Preschool questa mattina presto per prendere suo figlio Ryan di 5 anni. Le
registrazioni del tribunale indicano che Shelia Kane, 32 anni, ex moglie di
Ronald, risulta la sola affidataria della custodia del bambino in un amaro
procedimento di divorzio del gennaio di quest’anno. Kane è stato arrestato nel
Maggio 2000, con l’accusa di rapina a mano armata ed ha scontato 2 dei 5 anni
ai quali era stato condannato …
***
Max camminò verso la fauce spalancata che in qualsiasi altro giorno sarebbe
sembrata una porta normale. Al di dietro, poteva sentire dei movimenti,
qualcuno che tirava su col naso e movimenti di piccoli corpi che cambiavano
posizione, e chiuse gli occhi sperando che tutti stessero bene. Avevano
definito che Kane tratteneva in ostaggio 10, forse 11 bambini e una insegnante.
Si fermò lentamente nella stanza oscurata, con le tapparelle abbassate per
impedire che da fuori si potesse vedere quello che stava accadendo all’interno.
I suoi occhi girarono rapidamente per la stanza, assorbendo tutto in rapida
successione. Sedie spostate … sottosopra … evidenti segni di lotta.
Gli avevano mostrato foto dei bambini che pensavano potessero essere
all’interno e ora cercò quei visi, dando un nome a ciascun bambino. Nicky
Larson, 6 anni, era seduto con la schiena contro la parete. Max lo guardò negli
occhi, pensando che un bambino non avrebbe mai dovuto avere uno sguardo così
spaventato. Vicino a Nicky c’era Manuel Hernandez, 7 anni. Tra due settimane
sarebbe stato il suo compleanno e l’espressione sulla sua faccia diceva che non
era sicuro che sarebbe stato ancora vivo per festeggiarlo. Teneva la mano di
sua sorella Rosita. Lei aveva solo 4 anni.
Susie and Sarah Walzer erano due gemelle di 5 anni. Erano sedute abbracciate
sul pavimento, con ancora tracce di lacrime sul viso. Darrell Brown, anche lui
5 anni, teneva le braccia strette intorno alle gambe e si dondolava avanti e
indietro. Miguel Ortiz, 6 anni, teneva il suo braccio intorno a Maggie Holcombe,
5 anni. Miguel stava cercando di proteggerla, di farle da scudo dal male.
Bobby Hitchner, 6 anni stava accanto a Carol Wilson, l’insegnante ventitreenne,
che non aveva un bell’aspetto. Aveva lo sguardo vuoto e da una ferita al cuoio
capelluto scorreva sangue che le colava al lato del viso. Come si fosse
procurata la ferita era facile da capire. Aveva cercato, senza successo, di
fermare il pazzo con la pistola.
Max muoveva la testa lentamente, in modo che la telecamera che aveva nascosta
nella corona di carta che portava in testa, potesse catturare tutti gli angoli
della stanza. Sulla sinistra, lontano dai bambini stretti assieme addosso alla
parete, c’era l’uomo che li aveva gettati in questo incubo.
Ronald Kane, con l’aspetto sporco e scarmigliato, era in piedi contro la parete
più lontana. I capelli scuri e lunghi, erano sporchi e gli ricadevano davanti
agli occhi. La barba incolta era il segno che non si radeva da diversi giorni.
i vestiti erano sporchi e stracciati. Su una sedia davanti a lui era seduto un
bambino terrorizzato.
Ryan Kevin Kane. Il figlio di Ronald.
“Io sono …” Max si addentrò nella stanza, portando in mano le buste.
“Lasciale sul pavimento!” urlò Ronald, puntando la pistola contro Max.
“Okay … Okay.” Lentamente, Max posò un ginocchio a terra.
Guardò un attimo in basso per sistemate le buste sul pavimento e,
all’improvviso, sentì il freddo acciaio premere contro la sua nuca. Trattenne
il respiro, poi alzò lo sguardo per incontrare un paio di freddi, folli occhi.
Le prime parole che vennero fuori da quella bocca, gli fecero gelare il sangue.
Ronald Kane, premette la canna della pistola puntata contro la testa di Max e
disse “ E’ il tuo momento per morire?”
***
Ellie era seduta al tavolo della cucina, con una gamba piegata sotto di lei e
l’altra che dondolava avanti e indietro. Era ora di cena, solo lei e Mary, e
lei si sentiva felice.
“A me piace la salsa Tabacco.” dichiarò Ellie mentre cospargeva il condimento
sul formaggio grigliato del suo panino
“La salsa Tabasco.” la corresse Mary, prendendo un morso dal proprio sandwich.
Formaggio grigliato per cena non era il suo preferito, ma a Jenny piaceva ed
era quello che importava.
“”E’ pello che ho detto.” esclamò Ellie. “Salsa Tabacco.”
“Scusa.” disse Mary ridendo. A volte Jenny sapeva essere inflessibile.
“Anche a papà piase il Tabacco. Lo mette su tutto!” Ellie prese un grosso morso
dal suo sandwich e sospirò di apprezzamento. Il tabasco rendeva tutto più
buono.
“Lo usa?” Mary alzò un sopracciglio. Non sapeva che il Dottore usasse molto …
“Ma alla mia mamma non piase molto.” cinguettò Ellie. “Solo quando papà le da i
bambini. Allora le piase.”
“Oh?” Mary non era sicura se dovesse compiacere Jenny e continuare la finzione
o ignorare il mondo immaginario in cui Jenny sembrava vivere. O doveva
correggerla, ricordandole che sua madre era morta? Non aveva esperienza in
questo genere di cose.
“Si.” Ellie annuì entusiasta e felice diede un altro morso al panino.
***
“Questo è per te.” Max tese lentamente una delle borse. La pistola era ancora
puntata contro la sua testa e lui stava combattendo contro il tremore delle sue
mani. “Cheeseburger e patate fritte, come hai chiesto …”
“Come faccio a sapere che non è avvelenato? O drogato?” disse Kane minaccioso.
“Senti,” Max lo guardò e la sua voce suonò spaventata. “Io sono solo il ragazzo
delle consegne.”
Kane lo guardò da vicino e si rilassò un po’. Era solo un dannato ragazzo.
Probabilmente nulla di più di uno studente di scuola superiore o uno di quei
mocciosi del college. Afferrò una delle altre buste e tornò svelto contro la
parete, con suo figlio davanti a lui. Con un cenno della testa, diede
silenziosamente a Max il permesso di consegnare il resto del cibo.
Max fece un respiro e si diresse lentamente alla sua destra, aprendo le buste e
tendendo ad ogni bambino qualcosa da mangiare. Li toccò uno ad uno, una mano,
un braccio, un viso, per controllare le loro condizioni. Tranne il fatto che
erano spaventati a morte, sembravano incolumi. Alla fine, arrivò a Carol, ma
qui la cosa era differente. Guardò verso Bobby e i due si scambiarono uno
sguardo di comprensione. Carol era in cattivo stato. Anche Bobby se ne era reso
conto.
***
“Bene … Bene …” mormorò Carl guardando nel monitor. La camera mostrava le
immagini chiaramente, anche se erano un po’ scure. Riusciva a vedere la mano di
Max nel campo visivo e quando lo vide toccare i bambini, capì esattamente cosa
il suo compagno stesse facendo.
“Abbiamo una visuale chiara di 10 degli 11 bambini.” disse una voce dal
radiotelefono di Carl. “Sembrano tutti illesi.”
“Cosa abbiamo qui?” disse Carl ad alta voce. Sul monitor era comparsa
l’immagine di una giovane donna col viso insanguinato.
***
“Um … signore.” Max si girò a guardare Kane. I loro occhi si incontrarono e Max
tremò alla freddezza che vi scorse. “Questa signora è gravemente ferita. Credo
che dovrebbe vederla un dottore.”
“Stai fuori dalle cose che non ti riguardano.” abbaiò Kane. “A meno che tu non
voglia andarci di mezzo.”
“Senti,” Max alzò le mani per assumere una posizione inoffensiva.” Io non so il
perché di tutto questo, ma se lei la lascia andare, magari può essere una
dimostrazione di buona volontà da parte tua, capisci?”
“Cosa ne capisci tu?” sibilò Kane. “Sei solo un ragazzo.”
“So che è ferita e se le accedesse qualcosa, gliela farebbero pagare.”
***
“Bene cos’, Max.” lo incitò Carl guardando il monitor. “Fallo parlare. fallo
distrarre. Se dolo potessi togliere il bambino da davanti a lui …”
***
Kane guardò la ragazza, chiedendosi se quell’idiota di ragazzo non avesse
regione. Se quella stupida strega non avesse cercato di fermarlo, ora non
sarebbe lì stesa a terra, ferita. Forse gli conveniva lasciarla andare. Forse
il gesto gli poteva garantire qualche concessione.
“Okay.” Kane indicò la porta con la pistola. “Portala fuori di qui. Ora!”
Max cercò di non far trapelare la sua sorpresa. Lui non aveva veramente creduto
che Kane gli avrebbe dato ascolto. Fece scivolare un braccio attorno a Carol e
Bobby, dal suo lato, fece altrettanto. I due si guardarono. Max era quasi
sicuro di quello che stava per accadere. In effetti, ci contava.
Max e Bobby portarono lentamente Carol verso la porta e quando vi furono
vicini, Kane gridò “Ora basta.”
“Io pensavo …” cominciò a dire Max ma Kane lo fece tacere.
“Può portarla il ragazzo. Tu rimani qui.”
“Lui non può farcela.” Max lasciò andare il peso di Carol per dimostrarlo. “Da
solo il ragazzo non ce la farà a portarla fuori di qui. Io rimango, ma c’è
bisogno di almeno un altro paio di bambini per aiutarlo a portarla fuori.”
***
“Ci siamo, Max.” Carl annuì approvando. “Fagli rilasciare più bambini che puoi.
Non spingere troppo. Bene … Bene … Ci siamo …”
***
Max indicò Miguel Ortiz e la bambina che gli stava accanto. “Tu e tu, venite
qui.” I due bambini titubarono e Max fece loro segno di sbrigarsi. Miguel si
alzò in piedi e tirò Maggie dietro di lui. La teneva stretta per mano, timoroso
che da un momento all’altro l’uomo cattivo potesse dirgli di mettersi di nuovo
seduto e che le sue preghiere di uscire da lì potessero rimanere inascoltate.
Il ragazzo simpatico fece ancora segno di affrettarsi e Miguel traversò
velocemente la stanza. Ancora non sapeva leggere molto bene, ma era in grado di
riconoscere il nome scritto sul petto del ragazzo. Max. Max stava facendolo
uscire da quel brutto posto e avrebbe portato Maggie via con lui.
“Non c’è bisogno che vadano via tutti e due.” disse duro Kane.
“Guarda quanto sono piccoli.” Max cercò di calmare l’uomo. “Ce ne vogliono
almeno due per rimpiazzare me.” Kane strinse sospettoso i suoi occhi, poi
decise di lasciar correre. Non aveva bisogno di tutti quei mocciosi. Fece segno
a Max di continuare e Max mise Miguel in posizione accanto a Carol, facendo
passare il suo piccolo braccio dietro la schiena di lei.
Carol sapeva che quel ragazzo stava tentando di far uscire i bambini, usando
lei per raggiungere lo scopo, e gliene fu grata. Lei sarebbe stata in grado di
camminare da sola, ma voleva reggere il gioco, agendo come se fosse semi
incosciente.
Bobby era un ragazzino intelligente per la sua età e sapeva che c’era qualcosa,
dietro a questo ragazzo che stava cercando di aiutarli. Suo fratello lavorava
al Burger Palace e Bobby passava lì molto tempo. E non c’era nessun impiegato
che si chiamasse ‘King Max’. Si chiese se potesse fare qualcosa per aiutare
Max, ammesso che Max fosse il suo vero nome. Era comunque un nome che gli si
adattava.
Kane guardò fuori dalla finestra, scostando le imposte e sbirciando tra due
stecche. Non vedeva nessuna attività, lì fuori, ma sapeva che c’era la Polizia.
“Sbrigati!” disse rudemente. “Mandali fuori di qui.”
“Okay, ragazzi, andate.” li esortò Max, proprio mentre Bobby si allontanava e
correva verso Darrell. Il bambino più piccolo era spaventato a morte ed aveva
pianto per tutto il pomeriggio. Max si morse la lingua per non urlare a Bobby
di tornare indietro, di uscire, di salvarsi. Sapeva quanto era importante
mantenere la calma. Bobby fece alzare in piedi Darrell e lo spinse verso Carol.
Max comprese allora le intenzioni del ragazzino e silenziosamente ne riconobbe
il coraggio. Sperando di riuscirci, Max fece cenno anche a Nicky di andare e il
bambino corse ad aiutare Darrell.
“Andate adesso, svelti!” Max spinse la schiena di Miguel, per farli muovere.
Carol strascicò i piedi, mentre i bambini la spinsero in avanti, Miguel e
Maggie alla sinistra, Darrell e Nicky a destra. Max tirò un sospiro di sollievo
vedendoli uscire dalla porta. Si girò a guardare Bobby e gli scompigliò i
capelli con la mano. Aveva fatto un atto di coraggio, lasciando che Darrell
prendesse il suo posto. Ora lui sperava solo che Bobby potesse essere ancora
vivo domani per raccontarlo.
***
“Gli ostaggi stanno uscendo!” gridò Carl nel radiotelefono, che gli sembrava
essere diventato un prolungamento della sua mano. “Quattro! No, sembra che
siano cinque! Quattro dei bambini, più l’insegnante. Fate venire i paramedici!”
I suoi occhi erano incollati alla porta d’ingresso della scuola e, quando i
quattro bambini uscirono, furono accolti da un applauso. Carl sentì i sospiri
di sollievo arrivare da quei genitori che erano stati tanto fortunati da vedere
i loro bambini liberi e salvi, e i singhiozzi soffocati dei genitori che non
erano stati così fortunati. Membri della Squadra Speciale circondarono i
bambini e l’insegnante e li portarono al sicuro.
Carl si girò verso il monitor, guardando i volti dei bambini che erano rimasti
all’interno, sapendo che era la stessa la stessa scena che il suo collega
all’interno stava guardando. Nello schema delle cose, lui non conosceva Max da
molto tempo. Il ragazzo era entrato nella sua vita solo sette mesi prima, ma
l’aveva cambiata profondamente. Vedendo Max raccogliere intorno a lui i bambini
che erano rimasti, Carl non era mai stato più orgoglioso di nessuno, nella sua
vita. Senza nessuna preparazione, e nessuna esperienza, Max era riuscito a far
rilasciare al criminale un terzo degli ostaggi. Per di più, sembrava che ci
fosse riuscito usando il suo cervello e non i suoi poteri alieni.
sapendo questo, Carl non poteva fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo
ora e per quanto la fortuna di Max lo avrebbe assistito!
***
Liz aveva la mano premuta contro la bocca e gli occhi incollati alla
televisione. Era successo qualcosa. Lo aveva immaginato dalla crescente
attività. Sembrava che i componenti della squadra Speciale si fossero
avvicinati all’ingresso della scuola, pistole spianate e pronte a sparare, e
lei pregò che Max uscisse intero, vivo e vegeto.
La sua speranza svanì quando dalla porta apparve una figura e lei lanciò un
lamento. Non era Max. Naturalmente, non era Max. Max non sarebbe uscito finché
anche l’ultimo bambino non fosse stato in salvo. Liz lo sapeva.
“Devo andare lì.” la sua dichiarazione non lasciava spazio alla discussione.
“Ti ci porto io.” Rachel si alzò in piedi.
“Noi ci prenderemo cura di Matthew.” disse Annie e la sua mano strinse quella
di Josh.
Il soggiorno della casa degli Evans era affollato. Uno ad uno, coppia a coppia,
gli amici erano arrivati nella piccola casa per dare a Liz il sostegno di cui
aveva bisogno. Max si era sbagliato, pensando di non essersi fatto notare, che
nessuno sapesse realmente chi fosse, di passare inosservato. La verità era che
Max era un uomo che aveva coinvolto molte vite. Arricchito tanta gente. Aveva
cambiato profondamente qualcuno. Una parola passata tra i suoi amici, ed erano
corsi da Liz, per sostenerla mentre la vita di suo marito era in pericolo.
***
“Mary?” disse Ellie, mentre giocava con le bolle di sapone nel suo bagno.
“Si, cara?” Mary le alzò il mento ed usò una tazza per far scorrere l’acqua sui
capelli della bambina e risciacquarli dal sapone.
“Vuoi venire con me al Luna Pac?” chiese Ellie, stringendo forte gli occhi per
non farvi entrare dentro l’acqua.
“Certo che verrò.” Mary assecondò il suo gioco.”sarà bello venire con te al
Luna Park!”
“Bene!” Ellie fece schizzare l’acqua. “Papà mi ha detto che mi ci porterà
ttasera!”
“Jenny …”
“Papà mantiene sempre le sue promesse. Vedrai.” Ellie guardò verso di lei, con
il viso illuminato da un sorriso. “Ttasera ti porterò con me.”
Mary si sentì così addolorata per la bambina. Come poteva suo padre mantenere
la promessa, se non era nemmeno a casa?
***
Max si appoggiò contro la parete, guardando Kane che camminava avanti e
indietro davanti a suo figlio. Se solo fosse riuscito a togliere Ryan da lì,
avrebbe potuto fermare Kane. Ma per come stavano le cose, lui non avrebbe
potuto nemmeno creare il suo scudo protettivo, perché avrebbe lasciato Ryan
vulnerabile dall’altra parte. Max osservò Kane che camminava, chiedendosi come
quell’uomo potesse dire che amava suo figlio. Guarda quello che gli stava
facendo! Come per sottolineare i pensieri di Max, Kane diede uno schiaffo a
Ryan e Max sobbalzò, sentendo il suono che echeggiò nella stanza.
“Smettila di frignare, ragazzo.” disse Kane “Tua madre ti ha fatto diventare un
rammollito. Io farò un uomo di te.”
Max vide rosso, furibondo contro quell’uomo che diceva di amare suo figlio e
poi gli infliggeva dolore fisico. Avrebbe voluto fare a pezzi Kane. Voleva
farlo urlare fino a chiedere pietà. Voleva fargli provare tutte le orribili
cose che lui aveva fatto ad Ellie.
Quando questo pensiero gli arrivò alla mente, Max si rese conto che le sue
emozioni stavano prendendo il sopravvento. Kane non aveva nulla a che fare con
Ellie. Lui lo sapeva, ma dentro di lui, tutto si ricollegava a Ellie. Ogni
bambino che soffriva, lui immaginava che fosse Ellie. Ogni grido, era il suo
grido. Ogni lacrima versata, usciva dai suoi occhi. Una manina si chiuse
intorno al suo braccio, e Max incontrò lo sguardo di Bobby.
Il bambino aveva percepito il conflitto interno di Max, ma capiva che senza di
lui loro non avrebbero avuto nessuna possibilità. Era evidente che il papà di
Ryan era pazzo. Gli dispiaceva per lui, ma era vero. Il papà di Ryan era pazzo.
Max guardò Bobby, meravigliandosi del legame che si era creato tra loro. Per
quanto poteva dire, Bobby non aveva cellule aliene nel suo corpo, eppure tra di
loro c’era qualcosa. Una connessione. Max aveva deciso già da tempo di non
combattere più il suo lato alieno e di usarlo, invece, e di lasciarlo emergere
quando ce n’era bisogno e guardandosi intorno, riconobbe che non c’era un
momento più adatto di quello.
Oltre Ryan, c’erano altri cinque bambini tra quelle pareti. Il suo compito era
portarli fuori. Anche se non avesse più fatto altro in vita sua, doveva
riuscirci. Il suo braccio sinistro circondava Susie e Sarah. Loro erano
gemelle. Gemelle identiche, e Max non riusciva a distinguerle. Entrambi erano
adorabili, con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Max decise che l’unico
modo per farle uscire da lì, era farle sentire male contemporaneamente.
Fece scivolare la sua mano sinistra sul viso di Sarah e poi ripeté il gesto,
accarezzando il viso di Susie. Quasi immediatamente, Sarah sentì le sue guance
andare a fuoco. Il respiro le divenne difficile e rantolò alla ricerca di aria.
I suoi lineamenti presero una colorazione bluastra e Max riportò la sua
attenzione su Kane.
***
Liz stava perfettamente immobile davanti al monitor, guardando quello che
succedeva attraverso gli occhi di Max. La sua mano entrò nel campo visivo
mentre toccava delicatamente il visetto di una bambina, poi la scena cambiò,
quando lui si girò per guardare il mostro che li teneva in ostaggio. Il monitor
si riempì dell’immagine del folle, che camminava avanti e indietro, con un
fucile in mano e una pistola infilata nella cintura. Il cuore di Liz si fermò,
quando sentì la voce di Max nell’altoparlante e quando vide il pazzo puntare il
fucile contro Max.
“Uh … credo che qui ci sia un problema …”
***
“Quale problema?” disse Kane minaccioso. Il suo fucile era puntato contro il
ragazzo e lui non avrebbe avuto alcuno scrupolo ad usarlo.
Max indicò Susie e Sarah e disse “C’è qualcosa che non va in queste bambine.
Penso che sia meglio lasciarle andare.”
“Di che stai parlando?” abbaiò Kane.
“Guardale. Guarda come respirano. Credo che abbiano un attacco d’asma, o
qualcosa del genere.” Max sollevò il viso di Susie e aggiunse “Le sue labbra
stanno diventando blu.”
Bobby guardò le bambine, chiedendosi cosa stesse succedendo. Susie e Sarah non
avevano l’asma. Loro tre erano cresciuti insieme e loro non avevano mai
sofferto di nulla del genere. Ma ora, respiravano con difficoltà, facendo un
sacco di rumori, e la loro pelle stava diventando di uno strano colore.
Kane stava diventando nervoso. Lui voleva solo andarsene da lì, prendersi il
suo dannato ragazzino e andarsene, ma quella stupida strega aveva rovinato
tutto. Quello che stava succedendo era tutta colpa sua. Avrebbe dovuto sparare
un maledetto proiettile in quella sua maledetta testa. Come aveva avuto il
coraggio di dirgli che lui non poteva prendere suo figlio. Nessun ordine del
tribunale avrebbe potuto fermarlo. Ryan era suo figlio e nessun bastardo
avrebbe potuto tenere suo figlio lontano da lui. Lui avrebbe dovuto spararle,
invece di colpirla alla testa col calcio della pistola. Così avrebbe evitato
tutta quella dannata faccenda.
“Signore …”
“Sta zitto, bastardo!” sibilò Kane verso Max. Il ragazzo cominciava a dargli
sui nervi. E altrettanto per le bambine, con tutti quei rumori. Forse poteva
direttamente sparargli. Prese la 38 Magnum dalla cintura e traversò la stanza ,
puntandola alla testa di Sarah.
***
“Oh, Gesù!” fischiò Carl e Liz sentì le sue gambe che cedevano. Furono solo le
braccia di Rachel a sostenerla e ad impedirle di cadere per terra.
L’immagine del bandito armato, mentre traversava la stanza con la pistola in
mano, comparve sullo schermo. Tutti osservarono inermi e sconvolti, timorosi di
guardare quello che stava per accadere, poi lo schermo divenne bianco.
***
“Non farlo!” gridò Max , togliendosi la corona dalla testa. Si strinse accanto
le bambine e tutti i bimbi scoppiarono a piangere. Susie, Sarah, Manuel e
Rosita. E, oltre il rumore del suo sangue che scorreva veloce, sentì che ora
anche Bobby stava piangendo. Stese la sua mano per proiettare il suo scudo, ma
si fermò all’ultimo momento, quando vide Kane fare un passo indietro.
“Tu e tu.” Kane indicò le bambine e diresse la pistola verso la porta. “Fuori
di qui!”
Entrambe guardarono Max ad occhi spalancati e intimiditi, chiedendogli
silenziosamente se avrebbero fatto bene ad obbedire, se l’uomo cattivo
intendesse veramente lasciarle andare. Max toccò sul viso le due bimbe, per
rassicurarle e per far terminare l’illusione dell’attacco d’asma che aveva
creato, e disse loro “Andate.”
Le bambine si alzarono in piedi e, mano nella mano, corsero verso la porta.
Kane guardo verso gli ostaggi che rimanevano e il suo sguardo si fermò su
Rosita. Era seduta sul pavimento accanto a suo fratello, col pollice in bocca.
Kane la guardò disgustato la pozza in cui era seduta. La bambina si era fatta
la pipì addosso.
“Tu.” puntò la pistola contro la bambina e lei si rannicchiò lontano da lui.
Manuel le teneva un braccio attorno per proteggere la sua sorellina, ma anche
lui era spaventato a morte. Lui era il fratello maggiore. Si supponeva che
dovesse proteggerla, ma non era in grado di fare nulla.
“Signore.” lo supplicò Max. “Lasciala andare. E’ solo una bambina”
***
“Si sentono ancora dei rumori.” disse Carl nel radiotelefono. Si stava
chiedendo se Max si fosse tolto la corona di proposito, in previsione di dover
usare i suoi poteri alieni per prevenire un bagno di sangue. Ascoltò
attentamente, vedendo l’interno ormai solo con la sua immaginazione e poi gridò
“Ne stanno uscendo altri due! Aspettate! Sono tre!”
***
“Cosa facciamo, ora?” sussurrò Bobby guardando verso Max.
“Questa è una bella domanda.” gli sussurrò Max in risposta. “Vorrei saperlo
anche io.” Era seduto sul pavimento, con la schiena contro la parete e le
ginocchia piegate contro il petto. Bobby era seduto alla sua destra e Manuel
alla sua sinistra, e le sue braccia erano sulle spalle di tutti e due i
bambini, per dare loro un senso di protezione. Dall’altra parte della stanza,
Kane cominciava a dare segni di agitazione crescente.
“Questo è tutta colpa di tua madre.” Kane sputò le parole contro suo figlio.
“Non mi ha permesso di vederti. Mi diceva che era dannoso per te. “Che ne sa
quella strega? Huh? Huh? E’ stata una stupida dal giorno che l’ho incontrata
fino al giorno che …”
Fino al giorno che, cosa? Max se lo chiese. Kane aveva smesso di parlare
all’improvviso, ma Max aveva una mezza idea di quella che poteva essere la fine
della frase. I suoi occhi si spalancarono, certo ormai di guardare la faccia di
un assassino.
***
“La conferma è arrivata.” sentì dire Carl nel radiotelefono. “Due corpi sono
stati trovati in un residence sopra Chandler.” Sonya Barton, 54 anni, e sua
figlia Sheila Kane di 32. La madre aveva diverse ferite d’arma da fuoco nel
petto. Sheila Kane aveva una sola ferita alla nuca. Il medico legale aveva
detto che sembrava una esecuzione.
Carl girò lo sguardo verso la scuola, chiedendosi quanto tempo sarebbe passato
prima che il killer colpisse ancora. “Mi raccomando, Max.” sussurrò Carl. “Fa’
qualsiasi cosa per uscire fuori da lì vivo.”
***
“Lo sai, non avresti dovuto venire qui.” gli occhi di Kane fissarono quelli di
Max. “Avresti dovuto lasciare da mangiare sul pavimento dell’altra stanza e
correre via. Così non avrei dovuto …”
Dovuto cosa? Max si accorse che Kane stava perdendo la lucidità.
“Devo costringerli a fare marcia indietro.” mormorò Kane. Fuori stava facendo
buio e i lampeggianti delle macchine della Polizia filtravano attraverso le
persiane e mulinavano sulle pareti. Era in quel dannato buco da quasi dodici
ore, con i dannati poliziotti fuori e quegli stupidi ragazzini dentro e non
poteva fare nulla. Si voltò all’improvviso verso Max e i ragazzi, e si
precipitò contro di loro, afferrando Bobby per il collo. Il bambino urlò
spaventato, poi Kane lo gettò sul pavimento, puntandogli il fucile alla nuca.
“Sarà un esempio per quelli fuori …”
Max vide il dito di Kane teso sul grilletto e seppe di non avere più tempo.
Raccolse tutta la sua energia, proprio come aveva fatto una notte di tanto
tempo fa’, e si focalizzò sull’arma. Gli occhi di Kane si spalancarono mentre
il suo braccio si opponeva a quello che il cervello gli ordinava di fare. Le
sue dita erano allontanate dal grilletto da una forza sconosciuta, poi il
fucile gli cadde di mano. Scivolò sul pavimento per finire vicino ai piedi di
Ryan.
Kane cadde all’indietro e rimase a bocca aperta quando vide la luce blu emanata
dagli occhi del ragazzo delle consegne. “Che diavolo …?” Prese la pistola dalla
cintura dei pantaloni e la puntò dritta verso Max.
“No!” una sottile, tremolante voce arrivò dall’altra parte della stanza.
Quattro paia di occhi si girarono per vedere Ryan che imbracciava un fucile più
grande di lui. Lo stava puntando dritto verso suo padre, con le lacrime che gli
scorrevano sul viso. “Non lascerò che tu gli faccia del male.”
“Tu, piccolo bastardo.” urlò Kane a suo figlio. cercò di saltargli addosso e
Ryan inciampò all’ indietro, premendo il grilletto mentre cadeva. L’aria si
riempì del suono dello sparo e Max spedì un fascio di energia contro Kane,
sollevandolo da terra e facendolo volare attraverso la stanza come una bambola
di pezza. Andò a sbattere contro la parete e scivolò svenuto sul pavimento.
Max si alzò in piedi e corse verso Bobby, per essere sicuro che stesse bene.
Poi traversò la stanza per controllare Kane. Il proiettile del fucile aveva
colpito il soffitto lasciandolo illeso, ma l’impatto con l’energia di Max che
l’aveva fatto sbattere contro la parete l’aveva lasciato privo di conoscenza.
“Devo ucciderlo?” la voce tremante di Ryan ruppe il silenzio della stanza.
“No!” Max si girò verso il bambino e lo prese tra le braccia. Ryan stava
piangendo in modo incontrollabile, ora e Max lo tenne stretto, dicendogli
rassicurante “Non devi fargli del male. Ora è finito tutto. Andrà tutto bene.”
La Squadra Speciale fece irruzione nella stanza, spinta all’azione dallo sparo,
notando immediatamente il bandito che era disteso privo di conoscenza sul
pavimento e un ragazzo con l’uniforme del Palace Burger che stringeva a sé tre
bambini spaventati.
***
Rachel stava tentando con tutte le sue forze di trattenere Liz, per impedirle
di correre nell’edificio. Tutti loro avevano udito lo sparo ed erano rimasti
pietrificati quando la Squadra Speciale era penetrata nella scuola. Dopo ore e
ore di attesa, ora tutto stava accadendo troppo velocemente.
“Non puoi entrare lì dentro, Liz.” Rachel la trattenne per le braccia.
“Io devo! Io devo sapere se sta bene!” Liz tentò di liberarsi. I suoi occhi
erano incollati all’entrata della scuola, poi si fermò all’improvviso. “Max …”
Carl e Rachel si girarono per seguire il suo sguardo, giusto in tempo per
vedere Max uscire, con tre bambini intorno a lui. Un applauso uscì dalla folla
per l’eroico ragazzo che aveva portato in salvo tutti i bambini e Liz si liberò
dalla stretta di Rachel, per mettersi a correre e gettarsi tra le braccia di
Max.
La sua presenza lo calmò immediatamente e Max la strinse tra le braccia,
chiudendo gli occhi e respirando con lei. La faccia di Liz era premuta contro
il petto di lui e Max posò la guancia sulla testa, con una mano infilata tra i
capelli di lei, per attirarla a sé, mentre i flash delle macchine fotografiche
scattavano intorno a loro. La sua immagine sarebbe stata in tutti i notiziari,
quella sera, ma ora lui non ci pensava. Erano tutti salvi. E questo era tutto
quello che importava.
“Cosa ci fai, qui?” le chiese finalmente Max, staccandola dolcemente dal suo
abbraccio.
“C’è bisogno di chiederlo?” Liz lo guardò. Lei non lo avrebbe tormentato, o
rimproverato, o supplicato di non fare mai più una cosa simile. Liz conosceva
suo marito, il suo senso di cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Era una parte
di quello che glielo faceva amare così tanto.
“Credo di no.” le sorrise Max. Fece scivolare la mano dentro quella di lei e le
disse “Andiamo a casa.”
***
Max si sedette lentamente sulla poltrona blu del suo soggiorno e fissò lo
schermo televisivo. Quando finalmente erano rientrati, erano stati accolti da
una casa piena di amici e, con suo grande orrore, Max aveva visto la sua faccia
in tutti i notiziari della notte. Le telecamere avevano ripreso la sua
immagine, vestita con la camicia rossa e la corona in testa, mentre entrava
nella scuola e poi più tardi, quando ne era uscito con i bambini. Per di più,
le camere avevano mostrato il giovane eroe mentre si riuniva con la sua
bellissima, giovane moglie. Era il genere di cose che i media adoravano.
Max vide la sua immagine a tutto schermo, mentre il reporter riassumeva
l’accaduto. “Il giovane agente, Max Evans è entrato nella Sunrise Preschool per
…”
“Non sono ancora un agente …” commentò scandalizzato Max. Le telecamere avevano
catturato la sua immagine chiaramente, sia quando era entrato nell’edificio,
sia mentre ne era uscito alla fine, con i tre bambini spaventati al suo fianco.
“Perché mi chiamano così, quando non è vero?”
“I media danno sempre informazioni eccessive.” dichiarò Josh. “Non ti
preoccupare.”
Ma come faceva a non preoccuparsi di quello che vedeva sullo schermo? Guardò
verso Liz, che stava seduta sul bracciolo della poltrona e la sua mano si
strinse a quella di lei. Lei sapeva cosa lo preoccupava. E se Johnson l’avesse
visto? E se avesse scoperto che loro vivevano lì, a Phoenix? E se avesse
scoperto che Max lavorava per il dipartimento di Polizia? Voltandosi a
guardarla in silenzio, Max si chiese se Johnson avesse visto in Tv anche Liz.
Ora era anche lei in pericolo? Johnson sarebbe venuto a cercarla? E Matthew? La
sua azione di oggi poteva aver messo a rischio anche Matthew? E Ellie? Cosa
sarebbe successo ora ad Ellie?
Capitolo 102
Max scosse la testa e l’acqua volò dai
capelli in tutte le direzioni. Chiuse gli occhi e allungò la mano per chiudere
il rubinetto della doccia. La casa si era svuotata da poco, quando tutti se ne
erano andati, e lui era stanchissimo, fisicamente, mentalmente ed
emozionalmente dopo tutto quello che era successo quel giorno, ma non era
ancora pronto per andare a riposare. No. C’era ancora una cosa che doveva fare.
Si asciugò alla svelta, si infilò un paio di boxer e una maglietta puliti, poi
si diresse in camera da letto. Spense la luce del bagno e salì sul letto, ma
non si infilò sotto le coperte. Si sedette sul copriletto ed aspettò che Liz
tornasse dalla camera di Matthew.
I suoi piccoli piedi fecero a malapena rumore mentre lei tornava nella loro
stanza, poi si fermò, con le mani sui fianchi, fissando Max. “Cosa pensi di
fare?”
“Aspettare te.” rispose Max, restituendole lo sguardo.
“Perché?” Lei non si era ancora mossa.
“Lo sai perché.” un sorriso gli ornava le labbra. Tese il suo braccio e disse
“Vieni qui.”
“Oh, no!” Liz fu irremovibile. “Non stasera, signore! Ho mal di testa!”
“Liz.” Max le fece uno sguardo malizioso. “Tu non hai mai mal di testa.
Inoltre, quando mai un mal di testa ti impedirebbe di connetterci con Ellie?”
“Max! Me l’hai promesso, ricordi?” lo rimproverò Liz. “Sei stanco. Posso
leggertelo in faccia. Mi hai promesso che non avresti tirato troppo la corda,
con i sogni.”
“Liz.” Max cercò di dissipare le sue preoccupazioni. “Non sono poi così stanco.
Inoltre, io … io ne ho bisogno. Dopo … dopo quello che è successo oggi. Devo
stare con lei … solo per poco …”
“Max …” Liz andò verso il letto e si sedette accanto a lui.
“Abbiamo bisogno di sapere se tutto va bene. lei potrebbe sapere se Johnson ci
ha visto in Tv o se sta facendo le valige per scappare. Noi dobbiamo sapere …”
“Hai ragione.” concordò Liz. “Ma perché non ci limitiamo ad incontrarla nel
prato: Non c’e bisogno …”
“Gliel’ho promesso, Liz.” Max le prese la mano. “Lei era così eccitata
all’idea. Io … io non voglio deluderla.”
Ellie aveva chiesto tante volte quando l’avrebbero portata al Luna Pac, come lo
chiamava lei. Lui e Liz avevano programmato tutto, che cavallo le piaceva, che
giochi avrebbe preferito fare, che anomali avrebbe visto. Dopo il disastro
dello zoo, Liz aveva insistito che non ci fossero le scimmie.
Alla fine avevano deciso di essere pronti e, due notti prima, lui aveva
promesso che quella sarebbe stata la loro prossima meta. Il Luna Park. Gli
occhi di Ellie si erano riempiti di eccitazione e di delizia e lui non poteva
sopportare di deluderla.
“Max …”
“Liz.” Max la guardò supplicandola. “Non ci staremo molto. Lo farò piccolo,
così non dovrò sforzarmi molto. Ma … io …”
Lui ne aveva bisogno. lei lo vedeva dai suoi occhi. “Okay.” lei si commosse.
“Ma ti fermerai se sarai troppo stanco?”
“Si.” annuì Max.
“E lo farai piccolo? Non una quantità di gente come in un vero Luna Park?”
“Si.” fu d’accordo Max.
“E lo farai finire quando sarai stanco?”
“Si, mamma.” Max roteò gli occhi.
“Okay, allora.” Liz sorrise, facendola finita con le raccomandazioni. Per lui
era stato un giorno orribile. Aveva messo a repentaglio la sua vita, per
salvare quella di altri. Bambini poco più grandi di Ellie. Tutta l’attenzione
che si era guadagnata oggi, era una cosa difficile da gestire per una persona
che aveva sempre cercato di nascondersi. Aveva bisogno di rilassarsi, di
lasciarsi andare, e il modo migliore per lui era circondarsi dell’amore della
sua famiglia. Di tutta la sua famiglia. Il sogno poteva fare questo per lui
come niente altro avrebbe potuto fare.
Inoltre, Max aveva fatto una promessa e lui manteneva sempre le sue promesse.
Liz gli prese le guance tra le mani e lo baciò dolcemente sulle labbra. Quando
si scostò, i suoi occhi brillavano, mentre gli diceva “Portami alle giostre.”
***
Mary si tolse il vestito e lo appoggiò ai piedi del letto, come faceva tutte le
sere da anni. Spostò la coperta da una parte, scivolò tra le lenzuola e spense
la luce del piccolo comodino di lato al letto. Mentre era distesa a fissare il
soffitto, a malapena visibile nel buio, i suoi pensieri andarono a Jenny.
Poco prima aveva letto per lei la sua storia preferita, poi le aveva rimboccato
le coperte. Quella era stata una bella giornata e Mary si era resa conto che la
bambina era stata più allegra, più comunicativa degli altri giorni. Proprio
prima di addormentarsi, Jenny le aveva dato un bacio sulla guancia e le aveva
detto che si sarebbero riviste dopo pochi minuti e sarebbero andate al Luna
Park. Mary si era augurata che potesse essere vero.
A Jenny sarebbero piaciute le luci e l’aria festosa del parco dei divertimenti.
Anche a lei erano piaciuti, quando era piccola e sapeva che per Jenny sarebbe
stato uguale. C’erano delle cose che tutti i bambini avevano in comune, non
importa quanto ‘differenti’ o ‘speciali’ fossero.
La bambina si era addormentata subito e Mary le aveva dato un ultimo bacio
sulla guancia ed era uscita dalla camera. Ora, era pronta per andare a letto.
Si era alzata all’alba ed era stanca. Gli occhi le si appesantirono velocemente
e lei si girò di fianco, scivolando nel sonno. I suoi sogni erano diventati più
movimentati ultimamente, con fuochi artificiali nel parco e gite allo zoo,
tutti sogni che indugiavano dentro di lei anche quando era sveglia. Lei non lo
sapeva ancora, ma un'altra avventura era dietro l’angolo.
***
“Lei arriverà.” disse Max fiducioso, mentre leccava la sua granita alla
fragola.
“Ma è così tardi, Max.” si preoccupò Liz mentre camminavano nel viale
silenzioso. Era più tardi dell’ora in cui di solito incontravano Ellie nel loro
mondo dei sogni e lei non era ancora arrivata. Era solo perché non l’avevano
incontrata o c’era una ragione più sinistra che le aveva impedito di unirsi a
loro? Johnson l’aveva già portata via, lasciando Phoenix dopo aver visto Max
nei notiziari della sera?
“Lei arriverà.” Non c’erano dubbi nella mente di Max. Nemmeno l’eventuale fuga
di Johnson nella notte, avrebbe potuto impedire la loro connessione.
***
Il respiro di Mary si regolarizzò, mentre scivolava nel sonno profondo e non ci
volle molto perché i suoi occhi cominciassero ad andare avanti e indietro sotto
le palpebre, mentre il mondo dei sogni si apriva intorno a lei.
Un ronzio le riempì le orecchie e lei si rese conto che era la sua stessa
voce che faceva quel suono. Era in cucina, occupata a tagliare con un paio di
cesoie gli steli delle rose appena colte dal giardino. Un vaso era poggiato
sopra al bancone lì accanto, in attesa dei fiori che avrebbero dato allegria
alla cucina, scarsamente illuminata dalla luce del sole.
“Sei pronta?” Una vocina arrivò alle sue spalle e Mary si girò per vedere Jenny
che era dietro di lei con uno smagliante sorriso sulle labbra che le fece
scoppiare il cuore d’amore per la bambina.
“Pronta per cosa, tesoro?” chiese Mary.
“Per il Luna Pac.” disse Ellie.
“Certamente.” Mary assecondò la bambina. Jenny le venne vicino e Mary sentì
scivolare la sua manina nella propria.
“Cudi gli occhi, Mary, e io ti porterò lì.” Ellie la guardò e l’ammonì “Non
bicciare!”
“Io non sbircio!” rise Mary. Chiuse gli occhi e Ellie la portò in un posto che
Mary pensava esistesse solo nell’immaginazione della bambina.
***
Max e Liz camminavano mano nella mano in mezzo al viale, guardando tutte le
luminarie ed ascoltando la musica che usciva dagli altoparlanti intorno a loro.
L’atmosfera era piena di aspettativa, piena di anticipazione, mentre
aspettavano che la bambina si unisse a loro per portare tutto alla vita.
Si avvicinarono ad un’attrazione, dove l’imbonitore stava gridando il suo
discorso, invitandoli ad entrare dentro e a spendere il loro denaro. In fondo
alla strada c’era un uomo che suonava melodie note con la fisarmonica, con a
fianco una piccola scimmia con vestito e cappello ed un piattino in mano.
Quando Max e Liz si avvicinarono la scimmia corse dal suo padrone e cominciò ad
“attaccarsi” alla gamba dell’uomo. (NdT “humping on the leg” ovvero come fanno
i cani quando sono in calore ^^””)
“Max!” Liz gli diede un pugno sul petto e lui scoppiò a ridere. Lui si riparò,
per evitare un nuovo colpo, e Liz gridò “Smettila!”
“Di fare cosa?” Gli occhi di Max assunsero uno sguardo malizioso.
“Lo sai cosa!” lei gli diede una gomitata nel fianco. “E se Ellie fosse qui a
vedere?”
Lui le passò le braccia attorno, per non essere colpito ancora e le strofinò un
orecchio con le labbra avvolte mentre sul suo viso si espandeva un sorriso
birichino. Poi le andò dietro pronto ad “attaccarsi” anche lui mentre le diceva
“Intendi questo …”
“Che ttai facendo?” Una voce curiosa risuonò dietro di loro.
Max si voltò con un’espressione che diceva ‘Oh, dannazione!’ sulla faccia e
quasi spinse Liz a terra. “Ellie! Piccola! Sei qui!”
“Ttai giocando con mamma?” chiese Ellie innocentemente
“Vieni qui, tu.” Max la fece volare in aria ed ascoltò le sue risatine, mentre
la riempiva di baci sul collo e sulle guance.
“Che ttai mangiando?” Ellie spostò indietro la testa per guardare le sue labbra
e la sua lingua rosse.
“Una granita.” Max era raggiante.
“Anch’io voio una ganita!” chiese Ellie. Si guardò intorno e spalancò gli occhi
di gioia. Appena l’aveva vista, una parte della mente di Max aveva cominciato a
lavorare per espandere il sogno, creando immagini di persone che voleva
diventassero familiari per lei. Anche le attrazioni lungo il viale crebbero,
esplodendo di suoni e di luci.
“E’ quetto il Luna Pac?” chiese Ellie eccitata.
“Si, Ellie.” Max si girò lentamente su se stesso, perché lei potesse vedere
tutto. “Questo è il Luna Park, tutto per te.”
***
Tempo e spazio cambiarono e Mary si trovò seduta su una panchina in mezzo al
parco dei divertimenti, proprio come aveva detto Jenny. La gente cominciava ad
aumentare e le sembrava che molte delle persone le apparissero familiari. Vide
una coppia che camminava mano nella mano. I folti capelli di lui erano scuri,
con appena un tocco di grigio sulle tempie e la forma del naso dava carattere
al suo viso. Anche la donna dai capelli neri che aveva a fianco doveva
pensarlo, perché era sicuramente innamorata di lui. Mary era sicura di averli
già incontrati prima, ma non si ricordava dove.
Credette di aver visto un altro volto familiare,una donna i cui grandi occhi
dominavano i lineamenti, che sorrideva a qualcosa che Mary non riusciva a
scorgere. La donna scomparve tra la folla e Mary le andò dietro.
***
Ellie aveva la bocca infilata in una granita alla fragola mentre camminava,
qualche passo avanti ai suoi genitori. Non aveva mai visto colori così vivaci,
tranne forse quelli dei fuochi d’artificio. Camminavano tra le attrazioni, con
uomini che decantavano le qualità dei loro giochi, ed Ellie adocchiò un
gigantesco orsacchiotto, proprio davanti a lei.
“Voio quello!” indicò.
“Vuoi quel grosso orso?” Liz rise. Era più grande di lei.
“Matthew ne ha uno come quetto! Anche io lo voio!”
“Va bene, allora!” Max si rimboccò le maniche. Dopo aver pagato, prese la palla
e cercò di infilarla nel canestro. La palla girò intorno al bordo, poi cadde
fuori. Il secondo tirò mancò completamente il bersaglio. Il terzo tiro colpì il
bordo e rimbalzò via. Max provò ancora … e ancora … e ancora … e ancora …
“Papà.” Ellie arricciò il naso. “Non sei motto bravo.”
Liz rise e sussurrò nell’orecchio di Max “E’ fisica, mio caro. Prova a dare un
po’ di effetto al tiro.”
“Pensi di saper fare di meglio?” le chiese malignamente.
Accettando la sfida, Liz gli tolse la palla dalle mani e fece un centro
perfetto.
“Come hai fatto?” chiese stupito Max.
“Ho giocato a pallacanestro nelle medie, ricordi?” Lei sollevò alteramente la
testa.
“Vero.” ricordò Max. “Hai giocato fino che tutti gli altri non sono cresciuti e
tu no!”
“Falla finita!” Liz gli diede una gomitata nello stomaco.
“Mamma!” Ellie stava diventando impaziente. “Posso avere quett’orso o no?”
“Arriva, tesoro.” Liz prese la palla e fece altri due tiri a canestro.
***
Le orecchie di Mary sentirono una voce familiare. Non era sicura di capire cosa
stesse dicendo, ma non c’erano dubbi che la voce appartenesse a Jenny. Davanti
a lei, sul viale, c’era un ragazzo alto dai lunghi capelli biondi. Stava
bisticciando con una ragazza che, mani sui fianchi, dava l’impressione di non
volersi muovere finché non avesse finito.
Mary girò loro intorno e guardò lungo il viale, cercando di trovale la piccola
di cui si prendeva cura. Vide, davanti a lei, una donna piccola con i lunghi
capelli neri che passeggiava. Al suo fianco, un ragazzo alto che parlava
animatamente con la bambina che camminava tra di loro e, per Mary, anche se era
distante, non ci furono dubbi su chi fosse la bambina.
Jenny.
***
Max camminò verso il recinto degli animali, con l’orso a cavallo delle sue
spalle. Passarono oltre le gabbie dei gatti e dei topolini ed Ellie corse
avanti, attirata dai conigli. Si girò eccitata per guardare Matthew, nel suo
passeggino, ed esclamò “Guarda! Sembra proprio l’Oniglio di Belluto!”
Matthew cercò di sollevarsi per vedere, ma era ancora troppo piccolo. Invece,
tese le manine e decise di giocare con le sue dita.
“Onigli …Onigli …Onigli …” disse Ellie camminando davanti alle gabbie, poi
spalancò gli occhi, gridando “Mr. Wiggles!”
“Mr. Wiggles?” le fece eco Max e si girò a guardare Liz. Stavano per scoprire
chi fosse Mr. Wiggles? Si affrettarono a raggiungere Ellie e guardarono nella
gabbia per scoprire che era piena di porcellini d’India, col pelo chiazzato.
Stavano annusando l’aria ed erano in costante movimento.
“Lui è come Mr. Wiggles!” esclamò Ellie. “ Lui mi fa sempre il solletito col
naso!”
“Davvero?” dissero insieme Max e Liz, guardando la gabbia.
Mentre erano occupati a guardare Mr. Wiggles Ellie sentì abbaiare e si voltò
per guardare un cucciolo che correva per il recinto. Un allegro sorriso le
illuminò il viso e cominciò a rincorrerlo gridando “King!”
“Ellie?” Max cominciò a seguirla “Ellie?” Dove stai andando? ELLIE!” Max le
corse dietro, poi si fermò per togliersi l’orso dalle spalle e darlo a Liz. La
sia mente registrò il fatto che l’animale di stoffa era grande quasi quanto
lei, poi continuò ad inseguire la figlia. “Ellie, amore, torna indietro!”
Ellie stava correndo attorno ad una fila di gabbie, quando vide il cucciolo
dirigersi dritto verso Mary. Le corse intorno alle gambe, abbaiando e dimenando
la coda, poi si allontanò per inseguire Smokey. Ellie rise, mentre correva
verso Mary e le sussurrò “Non posso parlare ora! Papà mi segue. Fa finta che
non mi vedi!”
“Jenny …” ed in quel momento apparve un attraente ragazzo e la bambina
ricominciò a correre ridendo.
“Ellie!” Max la raggiunse e lei gridò quando la sollevò da terra. “Ti ho
preso!”
Mary guardò stupita Jenny che gettava le sue braccia attorno al collo del
ragazzo e lo stringeva affettuosamente. Lei non aveva mai visto la bambina così
prima d’ora. mai così … felice.
Li vide allontanarsi e traversare il recinto per raggiungere la donna con il
passeggino e Jenny lanciò un sorriso a Mary da dietro la spalla del giovane
uomo. Ora poteva riconoscere la donna, che aveva già visto in un altro sogno,
nel parco con i fuochi d’artificio che illuminavano il cielo.
Mary pensò che doveva aver visto anche l’uomo, quella volta nel sogno, seduto
su una coperta. Quello che era riuscita a vedere solo di sfuggita. Le sembrava
così familiare e sapeva che doveva averlo visto da qualche altra parte. Ma
dove?
***
“Che cosè quetto?” Ellie indicò qualcosa proprio davanti a loro. “E’ così
grande!”
“Quella,” Max le toccò il naso con un dito. “è la Ruota panoramica. Vuoi fare
un giro?” Max rise mentre Ellie si dimenava eccitata tra le sue braccia e diede
a Liz lo zucchero filato che lui e Ellie si erano divisi.
“La Ruota paronamica! La Ruota paronamica!” cominciò a canticchiare Ellie. Max
stava per correggerla, poi decise di non farlo.
“Possiamo?” Max guardò verso Liz con la gioia negli occhi. Era da tanto che
aspettava di portare Ellie a fare un giro.
“Tu porta lei.” Liz gli strinse il braccio. “Io vi aspetterò con Matthew.”
“Sei sicura? Non vuoi venire con noi?”
“Per dirti la verità, Max, preferisco vedere la sua faccia da qui. Andrò con
lei al prossimo giro.”
“Okay.” concordò. Si girò verso Ellie e le disse “Vieni, tesoro. Andiamo a
farci un giro.” Max la posò in terra e si allontanarono.
La Ruota panoramica si fermò e loro salirono sulla rampa mentre l’aiutante
teneva ferma la cabina con un piede. Ellie gli diede un’occhiata, guardandolo
attentamente man mano che si avvicinava, poi decise di fidarsi. L’uomo,
infatti, somigliava a suo zio. Cercò di arrampicarsi sul sedile, ma Max la
prese e la fece sedere accanto a lui. La barra si abbassò sul sedile per
trattenerli al loro posto e la ruota cominciò a girare, mentre Alex si faceva
da parte.
“Ooooooo.” gli occhi di Ellie si spalancarono per la sorpresa. “Si muove!”
“Aspetta ancora!” Max sorrise e la strinse a sé. Sedevano fianco a fianco,
mentre la cabina saliva lentamente, portandoli all’indietro e il alto. Si fermò
per far salire altri passeggeri e Max si girò verso Ellie, dicendole “E’
divertente?”
“Mi piase la Ruota panoramica!” esclamò Ellie.
“Bene!” rise Max felice. La corsa riprese per un altro tratto, poi si fermò
ancora e Max prese la mano di Ellie nella sua, cogliendo l’opportunità di
parlarle seriamente.
“Amore? Va tutto bene dove … vivi tu? Il tuo … altro papà … ti sembra normale?”
Ellie guardò il padre e scosse lentamente la testa “Lui è andato via.”
“Cosa?” Max era scioccato." “Andato via? Dove? Quando?”
“Io non lo so, io.” disse la vocetta di Ellie.
“Ellie, ti prego.” il cuore gli martellava nel petto." “E’ una cosa importante.
Quando è andato via?”
“Quetta mattina.” gli disse Ellie.
Dio sia ringraziato, pensò Max. Forse Johnson non aveva visto la sua faccia
formato gigante sui notiziari della sera. “Dove è andato? Quando tornerà?”
“Io non lo so.” Ellie abbassò la testa. Odiava deludere suo padre. “Lui ha
detto che ttava via quacche giorno.” Rialzò la testa per guardare suo padre ed
arricciò il naso, chiedendogli “Quanti giorni sono quacche giorno?!
“Vorrei saperlo.” sospirò Max.
“Forse Mary lo sa.” si rianimò Ellie. “Mary sa tante cose.”
Mary. Lei parlava sempre di Mary, e Max avrebbe tanto voluto sapere se poteva
fidarsi di lei. Era certo che Ellie le voleva bene, ma per quello che lui ne
sapeva, Mary avrebbe potuto essere altrettanto colpevole di Johnson. Dopo
tutto, lei teneva chiusa Ellie in quel buco d’inferno, proprio come faceva quel
bastardo di Johnson. Lei faceva parte della cospirazione che teneva sua figlia
lontana da lui. E allora, lui non aveva nessun motivo per fidarsi, oltre
all’affetto di una bambina che non aveva ancora tre anni.
“Puoi parlare con Mary?” le chiese Max, scegliendo accuratamente le parole.
“Puoi chiederle quando papà Dottore tornerà a casa? Ho veramente bisogno di
saperlo, tesoro.”
“Okay.” annuì Ellie. “Lo chiederò a Mary domani mattina.”
“Okay.” Max non voleva spingersi troppo oltre con lei. Raggiunsero la cima
della corsa, poi cominciarono a riscendere e Ellie scorse la sua mamma, con
Matthew in braccio e le fece ciao muovendo la piccola manina del bimbo. Quando
la cabina fu a livello del terreno, Ellie mosse ancora la mano e fece
segretamente un sorriso. Mary era a pochi passi dalla sua mamma e da Matthew,
ed entrambe le donne pensarono che la bambina stesse salutando loro.
Quando i passeggeri scesero, la ruota riprese a girare e la conversazione
cessò. Ellie era troppo presa dalla nuova avventura. Quando era sulla sommità
poteva vedere dappertutto e poi la ruota scendeva, solo per ricominciare la sua
corsa. Per una bambina di due anni e mezzo, la Ruota panoramica era un gioco
inebriante.
Finalmente il girò arrivò alla fine, ed Ellie si girò verso il padre, chiedendo
“Antora, papà? Possiamo andate antora?”
“Diamo una possibilità alla mamma.” suggerì Max ed Ellie annuì. Scesero quando
la cabina si fermò a livello del terreno e l’uomo che assomigliava ad Alex li
aiutò. Max fu compiaciuto che Ellie prendesse la mano di Alex per farsi
assistere all’uscita. Ellie cominciava a sentirsi a proprio agio con le persone
che popolavano i suoi sogni, proprio come Max aveva sperato. Tra poche
settimane sarebbero andati a Roswell e forse Ellie avrebbe permesso alla vera
Isabel di entrare nei suoi sogni, così che lei potesse aiutarli a trovarla.
“Max!” Liz fece loro cenno con la mano mentre lui ed Ellie uscivano dalla
cabina e si dirigevano verso di lei. Poteva vedere quanto Ellie fosse eccitata,
ma l’espressione gioviale di Liz scomparve quando vide il viso del marito.
Quando le fu vicino, lo rimproverò. “Max! Stai di nuovo spingendoti troppo.”
“Liz …” Max cercò di negarlo, ma sapeva di essere stato scoperto.
“Non ti lascerò far del male a te stesso, Max.” Liz continuò come se lui non
avesse detto niente. “Finisci ora e io ti risparmio una scenata.” Poteva
leggere la fatica nei suoi occhi, e se lui non voleva prendersi cura di se
stesso, lei l’avrebbe fatto al suo posto.
“Liz…”
“ORA, Max!” Liz fu irremovibile.
Ecco da dove Ellie aveva preso la sua testardaggine, pensò Max scoppiando a
ridere. Ellie somigliava molto a sua madre, anche se nella realtà non si erano
mai incontrate, avendo sperimentato quella gioia solo lì, nel mondo dei sogni.
“Papà.” Ellie lo guardò tentando di decidere se dovesse dirgli di Mary. Si
sarebbe arrabbiato? Sarebbe ancora andato via? Lei era proprio l’ che la
guardava e Ellie avrebbe tanto voluto che Mary sapesse che il suo papà era
reale, non solo un sogno.
“Tesoro.” Max si accovacciò davanti alla figlia. “Noi dobbiamo andare.”
“No, papà.” Il labbro inferiore della bambina cominciò a tremare. “Non andare
via. Io voio dirti di …”
“Hai sentito la mamma?” si lamentò Max. “E lei ha ragione. Se andiamo via ora,
potremo tornare domani e ci incontreremo nel nostro prato.”
“Promesso?” chiese Ellie. Poteva parlargli domani di Mary.
“Prometto!” Max le passò le dita tra i capelli.
“Okay.” Ellie si era rassegnata alla fine del sogno. Dopo tutto, ci sarebbe
stato sempre domani.
Baciò il padre sulla guancia e lui la abbracciò forte, poi andò verso Liz e
baciò anche lei. Si chinò sul passeggino e sorrise al fratello, che aveva
scoperto quanto fossero affascinanti le dita dei piedi. Lo baciò sulla fronte e
si alzo, guardando Mary che era appena a pochi passi di distanza.
Max e Liz videro l’aria intorno ad Ellie brillare ed incresparsi e lei
scomparve. La sua partenza lasciò un vuoto dentro di loro, che stavano
guardando il Luna Park che ormai sembrava vuoto senza di lei. Mentre il sogno
terminava, si strinsero l’una all’altro costretti ad accontentasi della
consapevolezza che domani avrebbero potuto vederla ancora.
Domani …
Continua...
Scritta
da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di
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