Riassunto: Questa
storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore
alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai
fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o
duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più
grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa
ricambiarlo.
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: Ogni
riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori
protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitoli 31-36
Capitoli 37-42
Capitoli 43-48
Capitoli 49-54
Capitoli 55-60
Capitoli 61-66
Capitoli 67-72
Capitoli 73-78
Capitoli 79-84
Capitoli 85-90
Capitoli 91-96
Capitoli 97-102
Capitolo 103
Max si sentì girare la testa quando, il
mattino dopo, si chinò per prendere il giornale nel portico. La sera prima
si era spinto un po’ troppo oltre e, anche se con Liz non l’avrebbe mai
ammesso, ne stava risentendo gli effetti. Probabilmente avrebbe dovuto
dormire ancora qualche ora, ma il dovere lo chiamava. Quella mattina c’era
in programma un rapporto e lui doveva essere lì.
Si diresse in cucina con il giornale in mano e si versò una tazza di caffé
per cominciare la mattinata. Deviò verso Liz, che stava versando l’impasto
delle frittelle sulla piastra, avvolse le braccia attorno alla sua vita e
immergendosi nel collo di lei strofinando le labbra contro il suo orecchio.
“Buon giorno, bellissima.” disse baciandole la gola.
“Buon giorno, mio Principe.” lo prese in giro lei, poi si girò tra le
braccia di lui per baciarlo meglio. Lo guardò e vide la camicia verde con la
cravatta in tinta. “Come? Niente viola, oggi?”
“Molto divertente!” Max spostò le mani sulle sue spalle e la attirò a se.
Qualche volta, quando succedeva qualcosa di brutto, era bello trovare
qualcosa per sorridere, per sdrammatizzare. Per trovare forza. Entrambi si
erano sostenuto a vicenda, negli ultimi anni. “Inoltre,” la baciò sulle
labbra. “Non sono stato un Principe. Io sono stato Re-per-un-giorno.”
“E ora tornerai ad essere soltanto il piccolo vecchio alieno Max.” Liz lo
baciò un’altra volta, poi si girò per finire di preparare la colazione,
prima che bruciasse.
“Grazie a Dio.” Max andò verso la tavola, portando il suo caffé. “Ora forse
le cose si calmeranno … Oh, dannazione!”
“Cosa c’è?” Liz girò la testa verso di lui, con evidente preoccupazione. Max
stava guardando il giornale che aveva aperto sopra la tavola e lei si
affrettò a vedere cosa stesse leggendo. Quando fu vicina, un senso di
malessere si fece strada dentro di lei alla vista della prima pagina del
Phoenix Sun. L’immagine di Max, estremamente dettagliata, le stava davanti,
sotto la testata:
IL RAPIMENTO FINISCE SENZA SPARGIMENTO DI SANGUE. GIOVANE EROE SALVA LA
SITUAZIONE.
Stettero in piedi in un silenzio attonito, leggendo l’articolo e girando la
pagina, per scoprire molte altre foto. Max, con le buste del Burger Palace
in mano, che entrava nella scuola. La Squadra Speciale che circondava
l’edificio. Carol che usciva dalla scuola, sorretta da quattro bambini. Le
gemelle che uscivamo dalla porta ed erano soffocate di abbracci dai
genitori. Una bambina di quattro anni che correva verso la salvezza. Max che
usciva dalla scuola con tre bambini abbracciati a lui. Ronald Kane che
veniva condotto via in manette.
Max sfiorò con le dita l’ultima foto della pagina. Nella foto i suoi occhi
erano chiusi, e lui ricordava cosa aveva provato in quel momento, tenendo
tra le braccia Liz, dopo che l’arduo compito era finito. Loro si stavano
tenendo stretti, Liz con le braccia intorno alle spalle di lui e Max con una
mano infilata tra i capelli di lei, mentre intorno a loro non esisteva più
niente.
Quando aveva proposto a Carl l’idea di entrare lì dentro, non aveva pensato
che sarebbe finita così. All’inizio, tutto quello che importava era portare
in salvo i bambini che erano nella scuola. Questo dimostrava come fosse
cambiato da quel ragazzo che sfuggiva ad ogni tipo di esposizione, per paura
di quello che poteva accadergli. Questa volta non aveva mai pensato a se
stesso.
Girandosi verso Liz, disse ad alta voce quello che entrambi stavano
pensando. “Johnson poteva anche non essere in città e non aver visto la Tv
ieri sera, ma i giornali sono un problema differente.” Max guardò il
giornale ancora una volta, poi aggiunse “Sarà meglio che ne parli con Carl.
***
Johnson aprì la porta della sua stanza d’albergo, pronto per andare al suo
incontro con Benjamin Hunter, Direttore del Pacifica Research Group. Una
copia omaggio di USA Today era ai suoi piedi e lui si chinò a raccoglierla.
La piegò e se la infilò sotto il braccio, pensando che avrebbe avuto
qualcosa da leggere mentre traversava la città in taxi, o magari più tardi.
Guardato l’orologio, decise che era troppo presto per chiamare Mary. Avrebbe
aspettato più tardi, forse prima di pranzo. Spinse la porta d’ingresso
dell’hotel ed entrò nella fredda aria mattutina di San Francisco, cercando
un taxi che lo portasse all’appuntamento che sperava avrebbe portato una
vita nuova per lui e per Jenny.
***
Mary si girò nel letto e anche con le palpebre chiuse registrò il fatto che
la sua stanza era piena di luce. Anche se ancora mezza addormentata, sapeva
che non era la luce del sole. La luce solare non era mai entrata in quella
stanza, due piani sotto al livello del terreno. si stirò ed aprì gli occhi,
poi li spalancò alla vita della faccia sopra di lei. Si portò una mano alla
gola, spaventata, poi, per reazione, scoppiò a ridere.
“Buon zorno.” sorrise Ellie guardando la faccia di Maria.
“Buon giorno!” Mary scompigliò i capelli di Ellie. Il battito del suo cuore
stava lentamente tornando alla normalità, si mise a sedere e disse “Ti sei
svegliata presto!”
“Non ho più sonno!” la informò Ellie e poi si alzò in piedi e cominciò a
saltare sul letto. “E’ … ora … di … azzassi!” Ellie pronunciava ogni parola
tutte le volte che i suoi piedini colpivano il materasso e poi saltava in
aria. “Ora … di … azzassi … ora … di … azzassi …”
“Jenny!” Mary rise, poi l’avvertì “Non saltare sul letto, potresti farti
male.”
“No, io no.” Ellie fece un altro salto.
“Andiamo a preparare la colazione.” Mary sorrise ed Ellie scese dal letto,
correndo verso la cucina. Mary la seguì a passo più lento, chiedendosi dove
i bambini trovassero tutta quella energia.
***
Max arrivò al distretto, pensando al sogno che aveva diviso quella notte con
Ellie. Ringraziò Dio che ieri Johnson non fosse stato in città per vedere i
notiziari, ma ora si preoccupava sempre di più per i giornali. Una volta
Ellie gli aveva detto che non c’erano giornali nel posto dove viveva; quando
gliene aveva mostrato uno lei aveva detto che non l’aveva mai visto prima,
ma questo non significava che Johnson non li leggesse.
Era così assorto nei pensieri, che gli ci volle qualche attimo per rendersi
conto che era al centro dell’attenzione. Rallentò il passo e poi esitò
quando gli agenti , le segretarie e le persone presenti cominciarono ad
applaudirlo. Sentì il sangue arrivargli alle guance sotto il loro sguardo e
si guardò attorno sorpreso. Non era abituato a stare al centro
dell’attenzione.
Mentre camminava nel corridoio, diretto verso l’Ufficio della Squadra, ai
suoi lati si formarono due file di persone che gli resero onore. Mani che
cercavano le sue, per stringere la mano dell’uomo che aveva reso orgoglioso
il loro dipartimento e gli dicevano parole come ‘sei stato in gamba’ ,
‘siamo orgogliosi di te’ o ‘ben fatto’.
Max era senza parole per l’accoglienza che gli stavano riservando i suoi
colleghi e non riuscì a controllare il sorriso che gli si era incollato sul
viso, quando finalmente entrò nel suo ufficio, per trovarsi faccia a faccia
con Carl. l’uomo si alzò dalla scrivania e mettendogli una mano sulla
spalla, disse “Come ti senti stamattina?”
“Bene.” sorrise Max, anche se si sentiva un po’ sopraffatto. “Sto bene.”
“Immagino che tu abbia letto i titoli dei giornali del mattino?” gli chiese
“Si.” il sorriso scomparve dalla sua faccia. “Ne volevo giusto parlare con
te.”
“Sono tutto tuo.” Carl incrociò le braccia sul petto e si sedette sul bordo
della scrivania.
“Allora, come sai,” cominciò Max, infilando una mano nella tasca anteriore e
toccando distrattamente con l’alta la scrivania di Carl. “Ho evitato di
mettermi in mostra per tutta la vita …”
Carl annuì ed ascoltò in silenzio. Ora capiva perché Max gli aveva
consegnato Cindy Morgan dopo che l’avevano ritrovata al Coyote Canyon Park.
Perché lui rimaneva sempre in secondo piano quando la stampa compariva sulla
scena. Molti uomini andavano a caccia di pubblicità, contenti di stare sotto
i riflettori che accompagnavano i casi importanti, ma non Max. Aveva troppi
segreti da nascondere, segreti che Carl ora capiva. Avrebbe fatto tutto
quello che era in suo potere, perché i segreti del suo giovane partner
rimanessero tali.
“Ieri sera, quando sono tornato a casa, vedere i notiziari è stato uno
choc.” fece una scrollata di spalle e continuò. “Non ho pensato alla
pubblicità. Volevo solo aiutare quei bambini ad uscire vivi. Ma …”
“Ora sei preoccupato che Johnson ti abbia visto, ieri sera.” finì Carl per
lui.
“Lo ero, certo, ma dopo il sogno con Ellie, la preoccupazione è diminuita.
Ellie mi ha detto che Johnson è fuori città. Non sa quando tornerà, ma è
partito ieri mattina e lei crede che tornerà tra qualche giorno. Per allora
la storia sarà vecchia, almeno per la TV, ma mi preoccupo dei giornali. La
mia foto è dappertutto. E anche la foto di Liz. E se …”
“Aspetta un minuto.” Carl fu colpito da qualcosa che lui aveva detto.
“Johnson è partito? E’ fuori città?”
“Questo è quello che ha detto Ellie.” confermò Max.
“Ma tu non sai dove? O che mezzo ha preso per partire?”
“No.” Max questa volta scosse la testa. “Le ho chiesto di parlare con Mary,
per sapere quando sarebbe rientrato, ma lei deve stare attenta. Ancora non
so se questa Mary è al corrente della verità. Voglio dire,” Max si passò
nervosamente la mano tra i capelli. “Per come parla di lei, Mary significa
il mondo per Ellie, ma se Mary lavora per Johnson, come posso fidarmi di
lei? Potrebbe essere una complice.”
“Comprendo la tua prudenza.” fu d’accordo Carl. “Ma questa è una traccia che
vale la pena di seguire. Ha preso l’auto? O un aereo? O il treno?”
“Non lo so.” Max si passò le mani sulla faccia.
“Se è andato vicino, probabilmente ha preso l’auto e allora non ci sarebbero
tracce.” la mente di Carl era al lavoro. “Ma se ha preso l’aereo, potrebbe
esserci qualcosa …”
“Cosa?” Max era pronto ad attaccarsi a qualsiasi speranza. Qualsiasi.
“Se ha preso l’aereo, potrebbe aver lasciato la sua auto all’aeroporto, o
avere un amico che l’abbia accompagnato …”
“Non è possibile che quell’uomo abbia degli amici.” disse Max velenosamente.
“O potrebbe aver preso un taxi.” suggerì Carl. “I taxi hanno delle
registrazioni. partenza e arrivo. E le registrazioni possono essere
controllate. Quanti taxi sono andati all’aeroporto, ieri mattina?”
“Pensi …?” Max guardò Carl, quasi spaventato al pensiero che poteva esserci
una possibilità di ritrovare quel bastardo che aveva preso sua figlia.
“Andiamo a scoprirlo.” sorrise Carl. Max sentì il suo battito accelerare e
si sforzò di rimanere calmo. Era troppo presto per sperare. Il telefono
squillò proprio mentre Carl aveva allungato una mano per prenderlo e, mentre
ascoltava, il suo sguardo si posò su Max.
Il suo sguardo era rassegnato a quello che veniva detto dall’altro capo
della linea e Max lo sentì dire “Oggi? A mezzogiorno? … Qui? … Si …Si … Lui
deve … Lo aspettano per … Deve rispondere alle domande? … Capo, lui non …
Si, lo capisco … si … naturalmente , ma … ma io ho esperienza in queste cose
e lui no … si, lo so … questo lo capisco …”
Carl non era molto bravo a nascondere la sua irritazione e Max si chiese
cosa lo stesse irritando. Stava per scoprirlo.
“Dannazione!” esclamò Carl riattaccando il telefono.
“Cosa?” Max non ne era sicuro, ma temeva che quella telefonata avesse
qualcosa a che fare con lui.
“Il Sindaco ha indetto una conferenza stampa per oggi a mezzogiorno.”
sospirò Carl.
“Una … conferenza … stampa?” Max deglutì. “E’ … per quello che è successo
ieri?”
“Mi dispiace, Max. Ho tentato di tirartene fuori, ma il Sindaco insiste per
averti lì. Sei tu l’eroe, quello che la stampa vuole vedere.”
“Ma Carl …” Max impallidì. “Non posso. Io … non posso.”
Carl si alzò in piedi e strinse il braccio del suo giovane collega. “Non hai
scelta.” Carl era lì, in piedi, immobile, incapace di parlare, pensando alla
ulteriore pubblicità che ne sarebbe derivata e al suo significato, finché
Carl si girò verso il telefono. Proviamo a trovare quella compagnia di taxi.
Magari scopriremo qualcosa.”
Max riportò la sua attenzione su quell’argomento, cercando di non pensare a
quello che sarebbe successo dopo. Prese l’elenco telefonico dal cassetto
della scrivania e cominciò a cercare le società di taxi a Phoenix e
dintorni. Fece un sospiro alla vista di quanto fosse lunga la lista. Ci
sarebbe voluto un po’ di tempo.
***
“Hai finito di mangiare, tesoro?” Mary si avvicinò ad Ellie e si sporse
oltre le sue spalle. La bambina aveva disegnato per tutta la mattinata e
Mary non era riuscita a farla smettere, nemmeno per mangiare un panino.
“Quasi.” Ellie dette l’ultimo morso e leccò il prosciutto che le era rimasto
al lato della bocca.
“Cosa hai disegnato, Jenny?” Mary guardò l’album.
“Il Luna Pac.” rispose Ellie e sorrise a Mary. “Vedi?” indicò. “Quetta è la
Ruota paronamica e qui ci sono le ‘ganite’ e quetto è l’orso che mamma ha
vinto per me, e qui è dove ci sono gli onigli! Ti piassono gli onigli,
Mary?”
“I …” Mary la guardò attonita. I conigli? La Ruota panoramica? L’orso
gigante sopra le spalle di un ragazzo? Sembrava che Jenny stesse descrivendo
il sogno che lei aveva fatto quella notte, ma … come era possibile?
“Mi dippiace che non ho potuto giocare con te. Papà ancoa non ti conocce.”
Ellie guardò verso mu e le chiese fiduciosa “Ti piase il mio papà?”
“Il tuo …” Mary si mise a sedere sul tavolo di Ellie, trovandosi in
difficoltà per quello che Jenny stava dicendo.
“Io credo che a papà piacerai, ma non voio che vada via. Ecco perché non ho
giocato con te. Sei arrabbiata con me?”
“Arrabbiata con te?” Mary non sapeva cosa pensare.
“Hai vitto che ti ho salutata dalla Ruota paronamica? papà credeva che
salutavo mamma. Voi conoccere mamma e papà la prossima volta?” Ellie la
guardò con aspettativa, ma Mary riusciva solo a muovere gli occhi.
Quando lei non rispose, Ellie chiuse la copertina dell’album ed annunciò
“Ora lo metto via.” Ellie scese dalla sedia, raccolse le sue cose e si
diresse nella sua camera. Forse lei e Mary potevano giocare un po’ prima di
riposare.
I pensieri di Mary erano in tumulto mentre guardava uscire la bambina, poi
aprì lentamente la bocca per dire “Ellie …?”
***
Max era sul podio della conferenza stampa, decisamente a disagio, mentre il
Sindaco rispondeva alle domande fatte dai giornalisti. Stava lodando il
dipartimento per come aveva gestito la faccenda della scuola e Max in
particolare.
Sentendosi messo in mostra, Max non vedeva l’ora che tutto finisse.
“Come valuta la risposta del Dipartimento a questa crisi?” chiese un
reporter.
“Credo che il Dipartimento abbia fatto un lavoro eccellente.” Il Sindaco era
raggiante. “L’Unità di crisi era sul posto pochi minuti dopo che era
arrivata la prima telefonata. E, naturalmente, non avremmo chiesto una fine
migliore.”
“Signor Sindaco.” un altro reporter fece la sua richiesta. “Da quanto tempo
presta servizio l’Agente Evans?” Max si sentì impallidire. Quando sarebbe
finita quella tortura?
“Ha cominciato a lavorare per noi da gennaio di quest’anno.” disse il
Sindaco, dopo aver consultato i suoi appunti.
“Non è troppo giovane per essere un agente?” lo incalzò il reporter per
avere maggiori informazioni. Il sangue che era sparito dalla faccia di Max,
ora tornò indietro con violenza. L’unica cosa che voleva era andare a
nascondersi.
“Veramente … si.” il Sindaco esitò e Carl si fece avanti.
“L’agente Evans entrato in un programma di formazione, sotto la mia
direzione.” disse Carl chiaro e deciso dentro il microfono. L’aveva già
fatto altre volte e la sua esperienza era evidente. “ovviamente, dopo quello
che è successo ieri, potete capire perché eravamo così ansiosi che lui
facesse parte della nostra Squadra, nonostante la sua età.”
“Sotto la sua direzione?” si fece avanti un altro giornalista. “Lei lo
definirebbe un suo ‘allievo’?”
Carl guardò verso Max, e i due uomini si scambiarono un sorriso. Giratosi di
nuovo verso la folla dei cronisti, Carl disse “Max è un mio collega. Puro e
semplice. La prossima domanda.”
“Voci riferiscono che Ronald Kane stia parlando a vanvera nella sua cella, a
proposito di una misteriosa luce blu e che quella luce era controllata da
lui. C’è niente di vero?”
Carl tenne lo sguardo fisso sul reporter mentre rispondeva con voce calma e
controllata. “Ronald Kane è accusato del feroce omicidio della sua ex
moglie, della madre di lei, di aver tenuto in ostaggio dei bambini e
dell’intenzione di ucciderli. Parlare di luci blu, in questo momento, è la
sua miglior difesa. Una dichiarazione di insanità mentale è probabilmente
l’unica cosa che potrebbe salvarlo dalla pena di morte.”
Max lasciò andare un sommesso sospiro alla destrezza che Carl stava usando
nel rispondere alle domande dei giornalisti. Kane era l’unico ad aver
assistito a quello che Max aveva fatto per porre fine al rapimento. Manuel
era rannicchiato al suo fianco, con la faccia nascosta, quando Kane aveva
afferrato Bobby e l’aveva gettato in terra. Bobby aveva il viso contro il
pavimento, con la canna del fucile premuta sulla nuca. Ryan si era coperto
il viso con le mani, pregando Dio che suo padre non uccidesse qualcuno dei
suoi amici. Non aveva aperto gli occhi fino a che non aveva sentito il
fucile cadere sul pavimento, accanto a lui.
Nessuno dei ragazzi aveva visto abbastanza per capire cosa fosse realmente
accaduto. Tutto quello che sapevano era che il ragazzo con l’uniforme del
Burger Palace li aveva liberati e aveva loro salvato la vita.
Nessuno dava credito ad un assassino, chiuso nella sua cella, che dava la
colpa a d una luce blu.
“Una domanda per l’Agente Evans …” disse un giornalista e tutti gli occhi si
diressero su Max. Si sentì oppresso sotto il peso di tutti quegli sguardi e
vide Carl fargli un cenno. Riluttante, traversò il podio e si unì al suo
partner, con l’aria dell’agnello condotto al sacrificio.
“Agente Evans, è vero che si è offerto volontario per entrare nella scuola?”
Max si chinò sul microfono e rispose “Si.”
“Sapeva che Kane era armato?”
Max si chinò ancora e si concentrò sul microfono “Si.”
“Di fatto, è stata sua l’idea di vestirsi con l’uniforme del Burger Palace,
vero?”
“Si.” rispose Max, poi trasalì quando la stanza si riempì dei commenti della
reazione dei presenti.
“Come si è sentito quando è entrato?”
“Um … terrorizzato.” rispose Max e si girò verso Carl con lo sguardo che
diceva ‘Aiuto!’. Non sapeva cosa fosse peggio, quello che aveva passato ieri
o fare la conferenza stampa.
“Come ho detto,” Carl scherzò con i giornalisti. “Max prende parte al
Programma di formazione CVU, ma ancora non ha studiato Conferenza Stampa
101.” La stanza si riempì di risate e Max si rilassò visibilmente, con
un’espressione imbarazzata sul viso.
“Qual è la prima cosa che ha visto?” chiese un cronista in prima fila.
“I bambini.” rispose Max, con la voce addolcita dal ricordo. “Erano
spaventati. Ma sono stati coraggiosi. Manuel Hernandez stava cercando di
proteggere la sorellina e Bobby Hitchner si prendeva cura di Carol Wilson,
l’insegnante ferita.” Max guardò i bambini, che erano seduti in prima fila,
accanto ai genitori, e fece loro un sorriso. “Questi due, sono i bambini più
coraggiosi che io abbia mai incontrato …”
Carl si fece indietro per lasciare a Max le acclamazioni che aveva meritato.
La sua voce aveva conquistato il pubblico mentre raccontava quello che
poteva, tralasciando quanto avrebbe potuto complicare le cose o rivelare uno
dei suoi segreti così accuratamente custoditi. Le sue parole avevano
rivelato la sua intelligenza e in pochi minuti i giornalisti erano pronti a
mangiare dalla sua mano. Carl non era mai stato più orgoglioso di qualcuno
in vita sua.
***
Ellie si fermò a mezza strada e si girò a guardare Mary. Aveva sentito bene?
Mary l’aveva chiamata Ellie? un sorriso le illuminò il viso e il cuore le si
riempì di gioia.
“Ellie?” ripeté Mary, ancora incapace di credere che fosse tutto vero. Era
solo una finzione dettata dall’immaginazione della bambina, un sogno … che
avevano in qualche modo … diviso.
“Mary.” le disse Ellie eccitata. “Mi hai chiamato col mio …”
Il telefono squillò e fece trasalire entrambe. Mary guardò dalla bambina al
telefono e poi dal telefono alla bambina, prima di alzarsi dalla tavola per
rispondere al quarto squillo. Una voce familiare le risuonò nelle orecchie.
“Signorina Condor?. disse l’infermiera. “Mary?”
“Si?” rispose Mary, continuando a fissare Ellie. “Temo di avere delle brutte
notizie. Martha sta peggiorando.”
“Martha?” Mary si aggrappò al microfono.
“Si, Mary. Mi dispiace che lo sappia in questo modo, ma sembra che abbia
avuto un altro ictus, questa mattina. Questa volta non sta reagendo. Abbiamo
pensato che lei volesse venire …”
“Venire … ” Mary stava cercando di assimilare quello che aveva sentito.
“Venire? Alla clinica? Così da poter essere lì … quando … Martha … “Oh.”
“Mary? Mary, va tutto bene? So che è penoso e che deve arrese difficile per
lei venire qui.”
“Io, um,” Mary ricacciò indietro le lacrime. Martha avrebbe voluto che lei
fosse forte. “Cercherò di venire … in qualche modo …”
“Okay, Mary. Ci faccia sapere in che modo possiamo aiutarla.” si offrì
l’infermiera. Alla clinica, tutte volevano bene a Martha.
“Grazie, Sally.” Mary riattaccò lentamente.
“Mary? Quaccosa non va?” Ellie avvertì il cambiamento.
“Non va?” Mary scosse la testa, mentre assorbiva la notizia. Cosa avrebbe
dovuto fare, adesso? Come avrebbe fatto ad andare? Il Dottore era partito e
non sarebbe rientrato fino all’indomani. non poteva certamente lasciare
Jenny da sola, ma nemmeno poteva portarla con lei, non alla clinica, non di
fuori. Anche se l’avesse protetta accuratamente, il rischio sarebbe stato
troppo grande. La luce del sole, per lei, poteva essere una sentenza di
morte.
“Mary?” Ellie andò verso di lei e mise una mano sulla sua gamba. “Quaccosa
non va?”
“E’ Martha. Sta male.”
“Voi andare a vederla?” chiese Ellie innocentemente. “Me posso venire con
te.”
“No, Jenny, non puoi. Tu devi restare qui … ma …” Forse c’era un modo.
“Vieni, tesoro.” Mary la prese per la mano. Afferrò un giacchetto e la borsa
e traversò il soggiorno, dirigendosi verso la porta dell’appartamento.
Ellie era preoccupata per Mary, sapeva quanto amasse sua sorella, ma non
poteva fare a meno di sentirsi eccitata. Mary la stava portando verso la
porta d’ingresso. Finalmente avrebbe visto Fuori? Il posto che tutti
potevano vedere?
Cosa ci sarebbe stato Fuori? E papà sarebbe stato lì ad aspettarla?
Capitolo 104
Johnson entrò nel ristorante, dopo che
la folla dell’ora di pranzo aveva cominciato a scemare e si accomodò
velocemente. L’incontro di quella mattina era andato bene, meglio di quanto
si era aspettato, ed era certo che il Dottor Hunter era stato favorevolmente
impressionato dalle sue credenziali. Infatti, non si sarebbe minimamente
sorpreso se Hunter gli avesse fatto una proposta formale prima del volo di
ritorno, all’indomani.
Rilassandosi davanti ad una tazza di caffé, aprì il giornale che aveva
trovato quella mattina davanti alla sua stanza d’albergo. Dette un’occhiata
alla prima pagina, poi l’aprì lentamente, girandolo pagina dopo pagina,
guardando le foto e cercando le notizie principali. Aveva quasi terminato la
prima parte, quando il suo sguardo si congelò alla vista di una foro a fondo
pagina.
La sua mano cominciò a tremare, mentre leggeva la didascalia della foto e
l’articolo che l’accompagnava.
‘L’ agente Max Evans, membro della Children Victims Unit del Dipartimento di
Polizia di Phoenix, ha risolto brillantemente l’assedio nella Sunrise
Preschool …’
“Maledizione!” sibilò Johnson leggendo l’articolo. Quel mostro l’avrebbe
seguito dappertutto? Eroe? Il giornale lo definiva un eroe? Erano impazziti
tutti? Max Evans era un dannato alieno, un mostro assassino, non un eroe.
Possibile che non lo capivano?
Guardò la foto della faccia odiata e la prese come un segnale che era
arrivato il tempo di agire. Max Evans si era fatto una posizione di
autorità, come membro della Polizia di Phoenix. Johnson doveva portare Jenny
lontano da lì.
Via da Phoenix. Via dall’Arizona. Via da Max Evans.
Si alzò dal tavolo e si diresse ai telefoni vicino all’ingresso. Sfogliando
l’elenco, trovò il numero della linea aerea e fece velocemente la chiamata.
“Si.” disse con urgenza al telefono. “Quando c’è il primo volo disponibile
per Phoenix?”
***
“Dio, sono così contento che sia finita!” Mentre tornavano nell’ufficio
della Squadra, Max si slacciò la cravatta. Quella conferenza stampa era
stata una delle ore più lunghe della sua vita.
“Sei stato bravo.” lo rassicurò Carl.
“Uno schifo!” Max scosse la testa, facendosi piccolo.
“No.” disse Carl sincero. “Te la sei cavata molto bene. Non ti dico bugie.
Hai reso orgoglioso il Dipartimento.”
I loro sguardi si incontrarono e, per la prima volta da quando era
cominciata la conferenza stampa, Max sorrise. “Grazie.”
“Assolutamente di nulla.” rispose Carl.
“Agente Evans … “ Una voce esitante lo chiamò da dietro e Max si fermò,
voltandosi. Si stava abituando a sentirsi chiamare Agente, anche se
tecnicamente era ancora un tirocinante. I suoi occhi scorsero un viso
familiare.
“Signora Hitchner! Bobby! Ciao!” Max fece un largo sorriso. “Pensavo che
fossi già andato via.”
“Io …” Sandy sorrise, cercando di mantenere ferma la voce. “Volevo
ringraziarla, per quello che ha fatto ieri.” Passò un braccio attorno a suo
figlio e gli accarezzò la testa. “Grazie a lei, io ho ancora mio figlio.”
“Ed è un ragazzo in gamba.” Max si avvicinò a Bobby e gli diede un finto
pugno sul mento. “Uno dei ragazzi più coraggiosi che abbia mai conosciuto.”
Max sorrise ed il viso Bobby lo ricambiò ampiamente.
“Non volevo disturbarvi, so che avete molto da fare …”
“No, non si preoccupi.” Max le fece segno di fermarsi.
Ancora grazie Agente Evans, Agente Montoya.” La donna sembrava un po’ a
disagio. “Bobby ed io volevamo solo venire a ringraziarvi …”
“La prego, il mio nome è Max.” Rivolse ancora lo sguardo verso il bambino e
gli disse “Bobby e io ne abbiamo passate tante insieme, credo che abbia il
diritto a chiamarmi per nome, vero Bobby?”
“Giusto, Max.” gongolò il ragazzo.
“Vuoi fare un giro del posto?” e fu contento di vedere Bobby rispondere con
calore. Ieri aveva vissuto un’esperienza orribile, ma sembrava che si stesse
riprendendo bene. Max guardò la mamma per chiedere l’approvazione e la donna
acconsentì.
“Si, naturalmente. Bobby ne sarà entusiasta.” sorrise Sandy.
“Bene.” annuì Max e si diresse in corridoio con Bobby, per mostrargli un
vero ufficio di Polizia. Bobby fece scivolare la sua manina in quella grande
di Max e lo guardò come se fosse solo un gradino al di sotto di Dio. Max lo
fece girare per l’ufficio della Squadra, portandolo davanti alla lavagna con
i nominativi dei casi su cui stavano lavorando.
“vedi qui?” e indicò un nome. “Quando è verde significa che il caso è ancora
in corso. Che ci stiamo lavorando sopra. Quando il nome è scritto in nero,
significa che il caso è chiuso.” I suoi occhi corsero sulla lavagna,
fermandosi sul nome di Ellie, sperando un giorno di vederlo scritto in
lettere nere.
“Anche tu hai una scrivania?” chiese Bobby girandosi nella stanza.
“E’ quella.” Max indicò verso la parete. Si avvicinarono e Bobby guardò la
foto che dominava in un angolo.
“E’ la tua ragazza?” disse Bobby guardando la foto di Liz.
“Si.” Max sorrise. “E’ anche mia moglie.”
“Sei sposato?” Bobby lo guardò sorpreso.
“Si.” annuì Max. “Questa è una fotografia di mio figlio. Ha poco più di un
mese.”
“Oh.” Bobby non riuscì a nascondere la sua sorpresa. Max non sembrava così
vecchio da essere sposato, e da avere addirittura un figlio. Guardò ancora
sulla scrivania, poi indicò un disegno accanto alle foto. il suo sguardo era
incollato sul ritratto. “E questa chi è?”
Max prese il disegno e lo toccò con reverenza. “Questa è mia figlia.” Lo
guardò per un attimo, poi lo rimise a posto. “Forse, un giorno, potrai
conoscerla.”
“Okay.” Bobby guardò il disegno, chiedendosi come mai Max fosse diventato
improvvisamente triste.
“Hey.” Max scacciò la tristezza. “Vuoi vedere una vera cella?”
“Si!” disse Bobby eccitato.
“Andiamo.” Max prese il bambino per mano e si diressero verso la porta.
Quando furono vicini a Carl e alla signora Hitchner, Max sorrise e disse
“Torneremo tra un minuto.”
Sandy vide Max e Bobby camminare lungo il corridoio, meravigliandosi di
quanto apparisse giovane l’agente, ma di come si comportasse da persona
adulta. Maturo oltre i suoi anni. “Bobby ha parlato di Max per tutto il
giorno.” disse Sandy a Carl. “Ha anche detto che da grande vuole essere come
Max.”
“Max è un bravo ragazzo.” le assicurò Carl. “Non posso pensare ad una
persona migliore che possa essere d’esempio a Bobby.” Carl la guardò ed
aggiunse “Non posso darle i dettagli di quello che è successo ieri, non
finché il caso è ancora aperto, ma posso dirle questo. Suo figlio è stato
maledettamente fortunato che la persona che è entrata nella scuola ieri sia
stato Max Evans. Lui probabilmente è il motivo per cui suo figlio è ancora
vivo.”
***
Max andò alla sua sedia e posò la sua giacca sulla spalliera. Si era
divertito a mostrare a Bobby il Distretto e godersi le espressioni del
bambino mentre glielo mostrava. Era contento che Bobby stesse superando bene
gli eventi traumatici che erano accaduti il giorno prima. Nessun bambino
avrebbe mai dovuto passare momenti come quelli, ma Bobby sarebbe stato bene.
Carl posò la cartella su cui stava lavorando e guardò il suo giovane
collega. “Max, stavo pensando a quello che hai detto ieri. Circa la tua
sensazione che c’era, nel sogno, qualcosa che ti era sfuggito.”
“Si.” Max lo guardò, desideroso di ascoltare il suo parere.
“Allora, per dirti la verità,” Carl scrollò quasi inconsciamente le spalle.
“questo genere di ‘investigazioni psichiche’ sono un po’ al di fuori della
mia sfera di esperienza.”
”Investigazioni psichiche?” Max lo guardò a bocca aperta.
“Quei tuoi sogni.” cercò di spiegargli Carl. “Io mi occupo dei fatti. Duri,
freddi fatti. Ma tutto questo è un’altra storia. Forse avresti bisogno di un
dottore che possa analizzare i sogni.”
“Non è una cosa che posso fare. “ Max si avvilì. “Non posso dire ‘Hey,
Dottore, io sono un alieno e la mia mezza aliena figlia è stata rapita, ma
noi dividiamo gli stessi sogni.’ Mi rinchiuderebbero di sicuro.”
“Vero.” si inquietò Carl. “Hai ragione. Allora, tutto quello che posso
dirti, guarda tutte le piccole cose che ti sembrano fuori posto. Ascolta
quello che ti dicono i tuoi sensi. Se ti sembra che qualcosa non va,
probabilmente non va, anche se i tuoi occhi ti dicono che è tutto a posto.
Ascolta il tuo istinto. Qualche volta un piccolo indizio è la chiave che
porta alla scoperta di tuta la verità. Come un filo che spunta da un
maglione, se lo tiri comincia a disfarsi tutto.”
“Qualcosa fuori posto, huh?” rimuginò Max.
“Potrebbe essere un semplice abbigliamento non adatto al tempo, o un
comportamento inappropriato. Controlla se manca qualcosa o se c’è qualcosa
che non dovrebbe esserci. E poi chiediti ‘Perché è qui?’ ‘Come ha fatto ad
arrivare?’”
“Okay.” annuì Max, assorto nei pensieri. Guarda qualcosa fuori posto. Ma
cosa poteva essere fuori posto nel prato? C’erano solo erba ed alberi, e il
ruscello che lo traversava. Sentì ancora quel pizzicore in fondo alla sua
mente, quello che gli faceva pensare che la risposta era lì, ma lui non
sapeva dove.
“Hey.” Carl strinse la spalla di Max, ansioso di tornare a quel lavoro di
Polizia che gli era familiare. “Controlla se quelle richieste alle società
dei taxi sono arrivate …”
***
Mary camminò nel corridoio, tenendo Ellie per mano fino ad arrivare alla
porta del laboratorio ed Ellie la guardò con disappunto, quando comprese
che, dopotutto, non la stava portando Fuori. se ne stette tranquilla, mentre
Mary componeva il codice di sicurezza nel pannello e, dopo che la porta si
fu aperta, entrarono all’interno. Ellie era stata lì molte volte, ma Mary no
ed era un po’ intimidita dal posto.
“Hey?” chiamò Mary. Sapeva che non avrebbe dovuto essere lì, ma che altra
scelta aveva? Sperava solo che il Dottore non si arrabbiasse per aver
disturbato la sua assistente mentre era ad un punto cruciale del lavoro.
“C’e nessuno?” chiamò ancora Mary. “Tracy? E’ qui?”
Ellie tirò la camicia di Mary e chiese timidamente “Chi è Tracy?”
“Lei lavora per il tuo papà.” Mary guardò la bambina, cercando di spiegarle.
“Si?” Ellie arricciò il naso. lei non conosceva nessuna Tracy.
“Si.” disse Mary distrattamente. “Speriamo che sia qui.”
Proprio in quel momento, Ellie vide una giovane donna vestita con un lungo
camice da laboratorio, uscire dalla porta che portava nell’area degli
animali. Ellie spalancò gli occhi, riconoscendola dal sogno della notte
scorsa. Lei era sulla Ruota panoramica proprio dietro lei e il suo papà e
stava ridendo con un uomo che era un compagno di lavoro del suo papà.
“Mary, giusto?” chiese Tracy ed entrò nella stanza. I suoi occhi si posarono
sulla bambina e si chiese chi fosse. Era una bambina bellissima!
“Si, Tracy.” mormorò Mary alle sue parole. “Mi dispiace disturbarla. So che
il suo lavoro è in un momento importante …”
“Non mi disturba.” le assicurò Tracy. “In questo momento, stavo giusto in
attesa di alcuni risultati. Cercavo di passare il tempo.”
“Veramente?” Mary si sentì un po’ meglio. Forse, dopo tutto, non sarebbe
stata importuna.
“Cosa c’è?” chiese candidamente Tracy.
“Ho avuto una brutta notizia dalla clinica dove è ricoverata mia sorella. E’
peggiorata e loro mi hanno avvisato di andare subito, ma naturalmente non
posso portare Jenny con me e, con il Dottore fuori città, lei è la mia unica
opportunità. C’è la possibilità che io possa lasciare con lei la bambina per
un po’? Io non so quanto dovrò assentarmi. forse un’ora, forse due. Non so
in quali condizioni troverò marita. Mi hanno detto di andare …”
“Vuole che le faccia da babysitter?” Tracy alzò un sopracciglio, sorpresa.
“So che è una imposizione e che lei ha delle cose importanti da fare …”
“Chi è lei?” la interruppe Tracy, indicando la bambina. Non poteva prendersi
cura di lei sua madre?
“Jenny?” Mary mise una mano sulla spalla della piccola. Tracy non sapeva
nulla di Jenny? Il Dottore non gliela aveva mai nominata? Tracy era lì ormai
da un paio di settimane e trovava strano credere che il Dottore non le
avesse nemmeno menzionato sua figlia.
“Jenny?” ripeté Tracy, inchinandosi davanti alla bambina. “Ciao, Jenny. Io
sono Tracy.”
“Ciao.” rispose Ellie , stringendosi alla gamba di Mary.
“Chi è?” chiese ancora Tracy guardando verso Mary. “Sua nipote?”
“No.” disse Mary, incerta. “E’ la figlia del Dottore.”
“oh.” disse Tracy sorpresa. “Wow, non sapevo che avesse una bambina così
piccola. Immaginavo che se aveva dei figli, fossero più grandi e già via di
casa.”
“No.” Mary era altrettanto sorpresa di Tracy. Il Dottore non aveva mai
nominato sua figlia? “Jenny …”
“Sarò contenta di guardarle per lei.” disse Tracy e tese una mano alla
bambina. “Sempre che a Jenny non dispiaccia.”
“Jenny?” Mary chiese la sua attenzione. “Vuoi stare per un po’ con Tracy,
così posso andare da Martha?”
“Okay.” acconsentì Ellie. Non aveva paura di Tracy. Papà le aveva detto che
le persone che incontrava nei sogni erano persone di cui si poteva fidare.
Fece scivolare la sua manine in quella della giovane donna e si allontanò da
Mary.
“Grazie.” Mary sospirò sollevata. “farò presto, più presto che posso.”
“Si prenda il tempo che le serve.” la rassicurò Tracy. “Sarò qui tutto il
pomeriggio.”
“Grazie.” disse ancora Mary, e diede un bacio a Jenny prima di uscire dalla
stanza. sarebbe stata una lunga corsa in autobus, fino alla clinica. Ellie
la vide uscire e sperò che Martha guarisse, così Mary non sarebbe stata
triste.
***
“Sembra che i taxi di questa città abbiano avuto una mattinata piena di
attività, ieri.” Carl guardò i rapporti sulla sua scrivania. “Tra i taxi, le
limousine in affitto e le navette per l’aeroporto, ci sono stati più di 300
viaggi tra le 4.00 e le 10.00 di mattina.”
“Dannazione.” mormorò Max sottovoce. Erano tanti. Si sentì inquieto, chino
sulla scrivania di Carl , mentre guardava il mucchio di fogli.
“Bene.” Carl diede un’occhiata di incoraggiamento al suo amico. “Non è così
male come pensi. Ce ne sono tanti diretti verso il centro Congressi che
possiamo eliminare. Credo che possiamo eliminare anche le corse dagli
alberghi. Tolti quelli … lasciami vedere … il totale scende a … 52 nell’area
di Phoenix.”
“52?” disse Max incerto. Sembravano ancora tanti.
“Meglio che 300.” disse Carl imperterrito.
“Si.” concordò Max. “hai ragione.”
“Prendi una sedia.” Carl sorrise e vide Max prendere la sua sedia con le
ruote e spingerla attraverso la stanza. non tutti i lavori della Polizia
contemplavano sorveglianza o sparatorie. Qualche volta i casi si risolvevano
controllando attentamente i dettagli. Max si sedette accanto a lui e Carl
divenne l’insegnante e Max lo studente attento.
“Ora, molte di queste sono corse prenotate.” Carl vide lo sguardo
interrogativo di Max e continuò “Chiamano prima per programmare la corsa.
Non stanno per strada ad aspettare che passi il taxi.”
“Oh, okay.” annuì Max. Aveva capito.
“Così abbiamo gli indirizzi di dove questi passeggeri sono saliti. Sembra
che siamo stati fortunati. Qualche compagnia ha delle registrazioni
imprecise, ma qui sembra che abbiamo diversi nomi e numeri di telefono. Il
che dovrebbe renderci la ricerca più facile. Qualcuno possiamo eliminarlo,
perché sono donne. Se non troviamo nulla li riprenderemo in considerazione,
ma dubito che Johnson abbia usato il nome … Julie Price.” disse Carl dopo
aver controllato uno dei nomi.
“Probabilmente hai ragione.” Max si lasciò andare ad una risata.
“Allora,” Carl controllò la lista che Tully aveva compilato, mentre loro
erano alla conferenza stampa. “vediamo come Tul ha diviso queste
informazioni. Abbiamo una lista di 52 indirizzi. 10 di questa lista sono
nomi di donna. 4 hanno un nome maschile. Qualcuno ti sembra familiare?”
Max controllò i nomi, sperando che sarebbe stato semplice. Blake, Hewitt,
Turner, Zeier . . . Max scosse la testa e guardò Carl. “Quei nomi non fanno
squillare nessun campanello.”
“Si, la cosa non mi sorprende.” sospirò Carl. “o probabilmente, ha coperto
bene le sue tracce. Sappiamo che usa un nome falso. Sembra che Tully sia
stato molto occupato, mentre eravamo alla conferenza stampa. Ha già fatto
controlli incrociati con le liste d’imbarco delle compagnie aeree di ieri
mattina, per vedere dove sono andate quelle persone. Vediamo cosa ne è
uscito fuori.” Carl mise una stampa tra loro, per poterla leggere insieme.
Max lesse i nomi, sorpreso dal dettaglio delle informazioni. Non sapeva che
si potesse essere controllati così facilmente. Fred Blake era andato alle
Bahamas. Era stato preso alle 5.40 di ieri mattina, usando la sua carta di
credito per pagare il servizio navetta della PHX International e un
controllo incrociato con le aerolinee aveva indicato l’acquisto di due
biglietti per l’aeroporto Bimini International, per un soggiorno di una
settimana. Il nome sul secondo biglietto era Arlene. Sembrava che Fred
avesse portato la moglie a fare una bella vacanza.
Steven Hewitt era diretto a Boston. un Taxi Giallo lo aveva prelevato a
Front Street alle 6.15 e le aerolinee indicavano che aveva preso il volo
delle 7.25, con un ritorno prenotato per domenica 27 luglio.
Roger Turner aveva preso un City Cab alle 7.12 per un volo che lo riportava
a Seattle alle 8.35.
Walter Zeier aveva chiamato un taxi alle 7.00 tra la 47th e Jefferson per un
volo verso Dallas, con ritorno prenotato per venerdì prossimo.
“Wow.” Max fissò il foglio. “E’ sorprendente.”
“Viviamo nell’era dell’informatica.” replicò Carl.
“La storia della tua vita può essere tracciata attraverso la tua carta di
credito. Ora, penso che possiamo eliminare i Blake. Sembra che siano in
vacanza. E Turner sta tornando a Seattle, così penso che debba vivere lì.
Gli altri due Hewitt e Zeier, necessitano di ulteriori ricerche. Entrambi
risiedono qui, e allora andiamo a controllare le loro patenti.
Carl digitò qualcosa sulla tastiera del suo computer ed un minuto dopo lo
schermo si riempì dell’immagine di un giovane uomo con i capelli biondi, gli
occhi blu, alto circa 1 e 80, 85 chili, 24 anni. Steven Hewitt.
“No.” Max scosse la testa e constatò quello che era evidente. “Non è
Johnson.”
“Controlliamo l’altro.” Carl tornò alla tastiera. Ci volle un attimo e, con
grande disappunto di Max, comparvero le informazioni su Zeier. Bianco, alto
1 e 55, 65 chili. Anni 85. Carl guardò verso Max, ma la risposta era
evidente sulla sua faccia, ma chiese lo stesso “No?”
“No.” Max si sedette di nuovo. “A meno che non abbia perso qualche chilo e
abbia fatto molte operazioni di chirurgia plastica per cambiare il suo
aspetto. Johnson ha circa 50 anni, non 80. E ora?”
“Ci è andata male.” Carl scrollò le spalle. “Dobbiamo ancora fare un doppio
controllo, e acquisire altre informazioni per controllare gli indirizzi. Ci
sono un sacco di identificazioni da fare, ma questo ci aiuterà a restringere
la ricerca.”
“Così ora abbiamo 38 indirizzi, senza un nome di riferimento.” Max si alzò
dalla scrivania, pronto ad uscire. “Adesso andiamo sul campo? Bussiamo alle
porte? Cerchiamo …”
“Non così in fretta, Max.” Carl lo trattenne con la mano. “Mai sentito
parlare di elenco stradario?”
“Elenco stradario?” chiese Max e si sedette di nuovo sulla sedia. “No.”
“Invece di un elenco in ordine alfabetico, l’elenco stradario è un elenco
per indirizzo. Digiti un indirizzo e troverai la lista di chi ci abita, che
genere di abitazione è, un sacco di informazioni interessanti. Ora ne
abbiamo una versione computerizzata, che rende la ricerca molto più facile.
Qual è il primo indirizzo della lista, che non ha un nome associato?”
“3502 W. Thomas Road,” lesse Max ad alta voce e Carl inserì l’informazione
sul computer. Entrambi guardarono lo schermo, aspettando che elaborasse i
dati.
“Ci siamo.” Carl indicò lo schermo con la punta del dito. “Residenza
unifamiliare, di proprietà di un certo Alfred Davis. Scrivi il nome sulla
tua lista. Prendi anche il numero di telefono.”
Carl attese che Max annotasse le informazioni, poi cambiò schermata. “Ora
controlla la lista di imbarco, guarda se il signor Davis ieri mattina è
partito per un viaggio e controlla la sua patente. Guarda il suo aspetto.”
Max controllò pagine e pagine di passeggeri, cercando il nome. Jack Davis .
. . Donald Davis . . . Shirley Davis . . . “C’è un sacco di gente che si
chiama Davis, qui.” brontolò Max. “Oh, aspetta. La Southwest Airlines ha un
Alfred Davis sul volo delle 7.20 per LA di ieri mattina.
Carl aprì i record della Motorizzazione e sul computer apparve l’immagine di
una patente dell’Arizona per Alfred Davis, con i suoi dati personali. Occhi
scuri, capelli neri. La foto era di un afro-americano di 47 anni.
“Non credo che questo sia il tuo Dottor Johnson.” scherzò Carl.
“No.” Max si passò la mano tra i capelli. “Non è lui.”
“Qual è l’indirizzo seguente?” chiese Carl, guardando la lista che Max aveva
in mano.
“7824 E. Moreland.” Max guardò Carl digitare l’informazione.
“Hector Mendoza. Casa unifamiliare.” Carl prese nota del numero di telefono,
mentre Max controllava le liste delle aerolinee.
“Dannazione.” bofonchiò Max. “Anche Mendoza è un nome molto comune qui
attorno. Julio . . . Alan . . . Michael . . . Carmen …”
Carmen?” lo fermò Carl. “Confronta l’indirizzo. Qui c’è una Carmen.”
“Si, coincide.” annuì Max. “Volo Delta per Mazatlan, Mexico. Ieri alle
9.05.”
“Eccone uno che possiamo cancellare dalla lista.” sorrise Carl. “Dubito che
Johnson sia andato in Messico travestito da donna. Il prossimo?
“2745 E. Beardsley Road,” lesse Max.
“William Wakely,” Carl lesse il nome che era comparso sullo schermo.
“Interessante. Questo è un ufficio, non un’abitazione. . La Café Ole. Wakely
ne è il proprietario.”
“E’ un bar, davanti al Coyote Canyon Park,” Max guardò la lista. “Ci sono
stato.” Quando arrivò alla fine, Max aggrottò le sopracciglia e cominciò da
capo. “Wake . . . Walker . . . Wakeman . . . Non vedo nessun Wakely.”
“Prendi nota dell’indirizzo.” disse Carl.” Necessita di ulteriori ricerche.
Manderò Chris e Tully a controllarlo, come prima cosa.”
“Questa faccenda durerà una vita.” sospirò Max.
“Questo è il lavoro della Polizia, Max.” Carl gli sorrise, imperterrito.
“Può essere lungo, noioso, ripetitivo e monotono. Qualche volta non ti porta
da nessuna parte, , ma qualche volta … “ Carl cercò di essere incoraggiante
“ … ti porta esattamente dove vuoi andare.”
“Lo spero.” Max cercò di non sembrare abbattuto.
“Ci sono un sacco di ‘se’, qui, Max.” Carl poteva avvertire la frustrazione
del suo collega. “Se Johnson ha preso l’aereo per la sua destinazione. Se ha
preso un taxi per andare all’aeroporto. Se è partito dal Phoenix
International invece che da qualche aeroporto secondario. Ma, se siamo
fortunati, l’indirizzo di Johnson potrebbe essere uno di questi.”
“Terrò le dita incrociate.” cercò di alleggerire Max.
“Naturalmente.” scherzò Carl. “se potessi usare un po’ di magia aliena,
questo faciliterebbe notevolmente le cose, non credi?”
Max scoppiò a ridere e Carl si unì a lui, contento di vedere che il suo
collega era in grado di scherzare. “Così sono 3 fuori e 35 dentro. Qual è il
prossimo?”
“1719 W. Jefferson,” Max lesse il successivo indirizzo della lista. Sentì
Carl sbuffare e lo vide posarsi le dita sulla fronte, prima di girarsi ad
incontrare il suo sguardo. Guardò lo schermo per vedere cosa avesse
scatenato quella reazione e fu allora che vide il nome. Smith. John Smith.
“Stai scherzando, vero?” Max scosse la testa incredulo. Sai quanti Smith ci
sono in queste liste?”
“Lavoro di Polizia, Max.” gli ricordò Carl. “Lento, noioso e metodico.”
Max chiuse gli occhi e posò la mano sulle liste di imbarco delle aerolinee
che aveva davanti. La sua mente selezionò la moltitudine di nomi che doveva
controllare e trovò la pagina giusta. “John Smith. United flight 1224 per
Washington D.C.” Levò lo sguardo su Carl e sorrise. “Magia aliena. Tu hai i
tuoi metodi, io ho i miei.”
L’umore si era sollevato mentre i due uomini, uno umano, uno no, lavoravano
insieme, usando le loro diverse abilità per uno scopo comune. Max sapeva di
avere molto da imparare per arrivare al livello di Carl, ma c’era anche
qualcosa che Carl poteva imparare da lui. Come guardare le cose in modo
differente e aprire la mente ad altre possibilità. Insieme, formavano una
grande squadra.
***
Johnson ascoltò il suono dall’altra parte della linea e al sua paura
cominciò a crescere. Dove diavolo era Mary? Perché non rispondeva? Mary era
sempre lì. sempre. Eccetto ora, quando aveva bisogno di parlarle come non
mai.
“Dannazione!” riattaccò il telefono e guardò l’orologio. Maledizione. Quando
avrebbero cominciato l’imbarco su quel maledetto aereo? L’attesa lo stava
facendo impazzire. Doveva tornare a Phoenix, così avrebbe potuto portare via
Jenny. Nient’altro contava. Né l’attività, né il lavoro. Niente.
Solo Jenny … sua figlia Jenny …
Capitolo 105
“Ti piace Mr. Wiggles?” chiese Ellie,
seduta sul pavimento al centro della stanza delle cavie, circondata dalle
gabbie. Mr. Wiggles era l’unico animale che Papà Dottore le permetteva di
tirare fuori dalla gabbia. Tutti gli altri dovevano stare dentro le loro
piccole scatole.
“Penso che sia adorabile.” Tracy passò le dita tra la sua pelliccia.
Ellie strofinò il naso contro il muso del porcellino d’India e rise “I suoi
baffi fanno il solletoto!” Tracy rise con lei e Ellie decise che Tracy era
simpatica. L’aveva vista nel sogno, e questo significava che papà gliela
aveva fatta conoscere e l’aveva portata lì. Guardò Tracy con i suoi grandi
occhi scuri e le chiese “Conosci il mio papà?”
“Si.” Tracy fu sorpresa dalla domanda. “Il tuo papà è molto simpatico.”
“Puoi portarmi Fuori?” chiese Ellie speranzosa, poi non riuscì a trattenere
uno sbadiglio.
“Credo che prima dovresti fare un sonnellino.” Tracy sorrise. Ne sapeva
abbastanza di bambini per sapere che a quella età avevano ancora bisogno del
riposino pomeridiano.
“Poi mi porti Fuori?” chiese Ellie eccitata.
“Certo.” Tracy sorrise all’espressione sul viso della bambina. Avresti
pensato che non era mai andata fuori! Prese Mr. Wiggles e lo rimise nella
sua gabbia, poi prese Jenny per la mano e la portò sul retro. “Qui dietro
s’è un divano, e tu potrai dormire un po’. Quando ti sveglierai, ti porterò
fuori. Potremo fare una passeggiata nel parco, dall’altra parte della
strada, Ti piacerebbe?”
Ellie sorrise a Tracy, eccitata oltre ogni dire.
***
Mary era seduta al lato del letto e teneva la mano di Martha, cercando di
trattenere le lacrime. Il viso della sua povera sorella era inclinato a
destra e non dava segni di riconoscimento. La Martha con la quale era
cresciuta e che aveva amato per tutta la vita non era ormai più lì. Rimaneva
solo il suo corpo. Lei aveva già firmato l’autorizzazione che permetteva ai
paramedici di non rianimarla.
Una infermiera entrò nella stanza e, gentilmente, le mise una mano attorno
alla spalla. “Come stai, Mary?”
“Oh, io sto bene.” Mary cercò di sorridere. Le infermiere le erano state
vicino nell’ultima ora.
“Hai fame? desideri bere qualcosa?”
“No, cara, sto bene, ma comunque grazie.” Mary carezzò la mano di Linda.
Conosceva il nome di tutte le infermiere.
“Forse ti piacerebbe qualcosa da leggere, giusto per distogliere la mente da
… altre cose. E’ tutto un po’ vecchio, temo. C’è il numero di giungo di Good
Housekeeping, e quello di maggio di Entertainment Weekly. Ho il National
Enquirer della settimana scorsa e, un po’ più recente, il giornale di ieri.
“Grazie, Linda.” Mary apprezzò la sua gentilezza. Riportò la sua attenzione
su Martha e Linda mise le riviste ai piedi del letto, in modo che Mary
potesse averle a portata di mano, e in silenzio lasciò la stanza.
***
Carl si appoggiò sullo schienale della sua sedia, con una espressione
stupita sulla faccia. “Non posso credere che tu sia riuscito a controllare
tutti quei dati in così poco tempo.” Sulla scrivania avevano pile e pile di
pagine da controllare, da cui estrarre nomi, indirizzi, informazioni, e
tutto quello che Max doveva fare era posare una mano sopra la pila e
riusciva a trovare il nome?
“Ammettilo,” Max cercò di sembrare allegro. “La magia aliena è utile, vero?”
“Dove sei stato per tutta la mia vita?” scherzò Carl, e Max si sentì le
guance arrossire. Dio, quanto odiava arrossire! Ritornando alla sua
occupazione, Carl guardò la lista che avevano compilato. “Non credevo che
avremmo fatto così presto.”
“E adesso che facciamo?” chiese Max. Stare seduto lì lo stava facendo
impazzire.
“Ora andiamo sul campo.” sorrise Carl, mentre il suo compagno si alzava in
piedi. Max era molto più che ansioso di uscire da lì, di darsi da fare, di
avere la sensazione di stare facendo qualcosa per trovare Ellie. “Darò la
metà di questa lista a Chris e a Tully e noi terremo l’altra metà. Se siamo
fortunati, saremo in grado di finire i controlli entro oggi, o al più tardi
domani.”
“Noi non sappiamo per quanto tempo Johnson starà via.” gli ricordò Max,
mentre riportava la sedia alla sua scrivania.
“Ecco perché è necessario che tu ti connetta con Ellie stanotte.” Carl gli
ricordò quanto fosse importante continuare. “Abbiamo bisogno di maggiori
informazioni, del genere che solo Ellie può fornirci. Se da qui non esce
nulla, la tua connessione con tua figlia può essere l’unico modo per
ritrovarla.”
“Lo so.” annuì Max e i due uomini passarono la porta. Max sapeva quanto
poteva essere importante incontrarsi nel sogno con Ellie, quella notte.
Poteva fare la differenza tra trovarla e non rivederla mai più.
“Rilassati, Max.” Carl gli strinse la spalla, avvertendo la tensione del suo
compagno. “Troveremo le risposte. Non ci fermeremo finché Ellie non sarà
tornata a casa. Non sei da solo a combattere.”
Max fece un profondo respiro e i due uomini uscirono dall’ufficio, sapeva
che aveva bisogno di rilassarsi, di fare un passo alla volta, ma vivere
senza sua figlia era come vivere con mezzo cuore. Non sarebbe mai stato
intero fino a che lei non fosse tornata a casa, dove era il suo posto.
***
Mary si alzò dalla sedia dove era seduta e distese i muscoli indolenziti. I
segni vitali di Martha si erano stabilizzati e non era più in pericolo di
vita immediato, anche se era penosamente ovvio che non avrebbe mai più
recuperato, data la gravità dell’ultimo ictus. Girò per la stanza per
riportare la circolazione nelle gambe e si fermò ai piedi del letto,
guardando il corpo immobile di Martha. Anche se odiava ammetterlo, sapeva
che la sua fine era imminente.
Tirando via la sua mente da quel pensiero, Mary vide le riviste che Linda le
aveva gentilmente offerto e decise che avrebbe potuto leggerle per
distrarsi. Erano anni che non leggeva un giornale e lo prese, chiedendosi
cosa era successo nel mondo. Ne era rimasta fuori da tanto tempo.
Un articolo attirò la sua attenzione e lei scosse la testa, lamentando lo
stato in cui versava il mondo. Era proprio per quello che aveva smesso di
leggere i giornali. Solo cattive notizie. Bambini terrorizzati in una
scuola? Santissimi Gesù, Maria e Giuseppe, dove stava finendo il mondo.
Scosse ancora la testa, non volendo leggere certe cose e stava per riporre
il giornale, quando una foto attirò la sua attenzione. C’era qualcosa di
familiare … aspetta … chi era l’uomo in quella foto? Quel ragazzo … lei
l’aveva già visto … da qualche parte …
“Oh. Mio Dio!” Mary si coprì la bocca con la mano.” Non può essere …”
***
Johnson sentì la chiamata per l’imbarco e mormorò sottovoce “Finalmente!”.
Afferrò la sua valigia e si diresse verso il cancello, ansioso di tornare a
Phoenix. Salì di corsa sulla rampa e trovò subito il suo posto, dopo di ché
si sforzò di rilassarsi nell’attesa che l’aereo decollasse.
Aveva già pronta nella sua mente la prossima mossa. Una volta a Phoenix,
avrebbe chiuso tutte le cose in sospeso, ma sapeva che non sarebbe stato
difficile. Aveva pianificato la possibilità che fosse necessaria una fuga
improvvisa, da molto tempo. Quando quella notte sarebbe partito con Jenny,
non si sarebbe lasciato niente alle spalle. Nessun laboratorio. Nessun
appartamento. Nessuna traccia incriminante, di nessun tipo.
***
Mary si sentì venir meno le gambe e si appoggiò al letto per non cadere.
Cominciò a leggere l’articolo e le parole le fecero battere svelto il cuore.
Max Evans … Dipartimento di Polizia … risolto … eroe …
Girò la pagina e vide altre fotografie, immagini del ragazzo che lei aveva
sognato. Ma come era possibile? Improvvisamente un ricordo le si affacciò
alla mente, un giorno di primavera in cui il parco dall’altra parte della
strada si era riempito di poliziotti. Nessuna meraviglia che gli sembrasse
così familiare. Lo aveva incontrato quel giorno. Il giovane agente che le
aveva fatto alcune domande. Le era sembrato così simpatico, così … educato,
così … amichevole.
Era per questo che lo aveva sognato? Il mondo immaginario di Jenny era
scivolato nel suo subconscio e lei aveva sovrapposto il viso di quel ragazzo
sul volto del papà dei sogni di Jenny? Come … papà Max? Ma era stata Jenny
era a chiamarlo così. Gli aveva dato il nome di Max. Come aveva fatto? Come
aveva fatto la bambina a sapere che quel ragazzo si chiamava Max? E questo
ancora non spiegava come avesse fatto Jenny a sapere del sogno che aveva
fatto la scorsa notte. O come …
“Oh, Santo Cielo!” gridò Mary. quando vide la giovane donna dell’ultima
fotografia. Max Evans stava abbracciando una ragazza, la stessa ragazza che
lei aveva sognato la scorsa notte e le altre notti prima di quella. Mamma
Tesoro. Santo Cielo, Santo Cielo, Santo Cielo, la donna era identica a …
Jenny.
“Mary, ho portato un vassoio …” Marcus entrò nella stanza, fermandosi
all’improvviso. Guardò Martha, ma un’occhiata veloce gli bastò per capire
che le sue condizioni erano stazionarie. “Mary? Si sente bene? Qualcosa non
va?”
“Devo tornare a casa.” gridò Mary. “Devo andare da Jenny!” Da … Ellie?
“Mary?” Linda entrò nella stanza, attirata dal suono di voci alzate.
Mary guardò l’orologio, sentendosi tremare le mani. Quando sarebbe passato
il prossimo autobus? Non riusciva a pensare chiaramente. Voleva tornare
disperatamente da Jenny, ma non sapeva quando ci sarebbe passato l’autobus.
“Mary ha bisogno di andare di corsa a casa.” Marcus informò Linda. Mary, di
solito, era così calma, così rilassata, che vederla così era uno choc.
“L’autobus è appena passato.” disse Linda, sapendo che quello era il mezzo
di trasporto usato da Mary. “Il prossimo passerà tra circa 45 minuti.”
“Oh, no.” Mary si coprì il viso con le mani che tremavano. “Oh. no.”
“Venga, Mary.” Marcus le mise una mano attorno alla spalla e la condusse
fuori dalla stanza. “le chiamerò un taxi. La porterà di corsa a casa.”
***
“Okay, ci siamo.” Tully teneva il notes in una mano e il cellulare
nell’altra. Stava guardando Chris che flirtava con la cameriera, mentre lui
faceva un rapporto telefonico a Carl.
“E niente di sospetto?” chiese Carl, mentre guidava verso l’indirizzo
successivo della loro lista. Sentiva la frustrazione di Max aumentare man
mano che il pomeriggio passava, senza avere novità dalle ricerche.
“No. Siamo oltre la metà della lista, ma ancora niente.” riportò Tully.
“abbiamo mostrato la fotografia di Johnson in tutte le abitazioni, ma non
abbiamo concluso nulla. C’è ancora una coppia di nominativi che dobbiamo
interrogare più tardi, quando saranno rientrati dal lavoro e qualcuno che
non abbiamo ancora controllato. Lo faremo appena Chris avrà finito di
mangiare il suo sandwich, o la cameriera. Non so ancora cosa gli piaccia di
più tra i due.”
“Okay.” Carl fece una risata, immaginando Chris che usava i suoi soliti
trucchi, poi si bloccò quando guardò il suo giovane partner. Poteva sentire,
accanto a lui, la tensione di Max, deluso dalla mancanza di progressi. “Buon
lavoro, ragazzi. Risentiamoci, diciamo, tra un’ora.”
“Certo, Rocky.! Tully mise via il suo taccuino. Alzò gli occhi al cielo,
alla vista di Chris che puntava la ragazza seduta al tavolo a fianco a loro,
e rimise il cellulare in tasca.
“Mi dispiace.” Carl scosse la testa , girandosi verso Max. “Ancora niente.”
“Dannazione.” Max non riuscì a nascondere la sua delusione. Guardò fuori dal
finestrino, senza nemmeno notare il traffico che li circondava.
“Non devi arrenderti.” Carl lanciò un’occhiata al suo viso stanco. “non è
ancora finita.”
“Lo so.” Max cercò di sorridere, ma gli uscì una smorfia. Puntò un dito
avanti a sé, dicendo “Il prossimo indirizzo è lì a destra, la casa gialla
con le imposte bianche.” Appena lo ebbe detto, sentì che non era quello il
posto. Un triciclo stazionava davanti al portico e giocattoli erano sul
giardino davanti alla casa. Questa era una casa che apparteneva ad una
famiglia, non ad un pazzo che nascondeva una bambina al mondo.
Stette comunque ad ascoltare il colloquio tra Carl e la donna che aveva
aperto la porta, chiedendole dei vicini e mostrandole la foto di Johnson.
Poi tornarono all’auto e ricominciarono il procedimento all’indirizzo
successivo.
Se aveva pensato di impazzire in ufficio, seduto davanti a una miriade di
fogli di carta, qui, sul campo, era ancora peggio, soffrendo una delusione
dopo l’altra, proprio appena aveva cominciato a sperare.
“Rilassati.” Carl cercò di persuadere Max a calmarsi. Si era reso conto che
era più teso di un tamburo.
“Va bene.” Max annuì, ma non aveva la minima idea di cosa fare per
riuscirci. Stava ricordando che aveva provato le stesse sensazioni, prima di
allora, la notte che si preparavano ad entrare nella Haystack Mountain.
Quella notte sapeva cosa stava per accadere, cosa avevano pianificato, quale
era il risultato voluto. Non era andata come avevano progettato e il ricordo
di quello che era successo era diventato uno degli incubi che ancora lo
tormentavano.
Ora, adesso, quel pomeriggio, sentiva di nuovo la stessa tensione crescere
dentro di lui, ma questa volta lui non sapeva cosa stava succedendo. Non
c’erano piani d’azione, né destinazione. Non c’era altro che la sensazione,
che non riusciva a scacciare, che stava per accadere qualcosa e poteva solo
sperare che se c’era un Dio in cielo, questa volta ascoltasse le sue
preghiere.
***
Mentre il taxi si fermava. Mary cercò nella sua borsa, sperando di avere
abbastanza denaro per pagare la corsa. L’unico giorno in cui andava fuori
era la domenica, e oggi era uscita così di corsa, che non aveva nemmeno
controllato il borsellino. La sua mano tremava, mentre cercava i soldi,
trovando soltanto qualche moneta e sapendo che il denaro non sarebbe
bastato.
Signora.” il tassista si girò per guardarla. “La sua corsa è stata già
pagata.”
“Cosa?” Mary lo guardò sorpresa.
“Marcus è mio cugino. Mi ha chiamato a casa per dirmi di arrivare di corsa.
Mi ha detto che una piccola signora aveva necessità di andare di corsa a
casa.”
“Veramente?” chiese Mary. Ormai conosceva Marcus da anni, da quando Martha
era stata ricoverata in clinica, e le era sempre sembrato un ragazzo fine.
“Lo staff della clinica ha già pagato la corsa. E’ tutto a posto.”
“Grazie.” Mary era a corto di parole. Fece comunque scivolare cinque dollari
nella sua mano, una mancia per la sua gentilezza.
“E’ stato un piacere, signora Connor.” Si toccò il cappello e vide Mary
scendere dall’auto.
Corse nello stabile e spinse il pulsante per l’ascensore, aspettando
impazientemente che arrivasse. Finalmente le porta si aprirono e lei vi si
precipitò dentro, usando la carta di accesso per scendere ai piani
sottostanti. Le porte si chiusero e l’ascensore cominciò a scendere
lentamente.
***
Tracy finì di catalogare l’ultima scoperta, poi vide Jenny svegliarsi dal
suo sonnellino. La vide stiracchiarsi , poi sedersi e guardarsi intorno,
ovviamente sorpresa dall’ambiente che la circondava. Poi lo riconobbe e
guardò in direzione di Tracy.
Quando la giovane scienziata le disse “Ti sei svegliata.” Ellie chiese “Ora
possiamo andare Fuori?” Durante il sonno aveva sognato di andare Fuori, e lì
c’era il suo papà che l’aspettava.
“Lasciami prima finire qui.” rise Tracy. Decisamente la bambina era
determinata. Un rumore nell’altra stanza attirò la sua attenzione e Mary
entrò all’improvviso.
“Jenny!” gridò e si guardò freneticamente intorno. L’aveva cercata in tutte
le altre stanze, timorosa che potesse già essere andata via, quando lei
fosse arrivata a casa. “Jenny!” gridò quando la vide e volò attraverso la
stanza. “Vieni, Jenny. Dobbiamo andare.”
“Va tutto bene, Mary?” chiese Tracy preoccupata.
“Oh, si.” annuì Mary, cercando di ricomporsi. “Va tutto bene. Spero che non
abbia avuto problemi, durante la mia assenza.”
“Oh, no.” Tracy sorrise. “E’ stata un tesoro. Il Dottor Sinclair deve essere
orgoglioso di lei.”
“Il Dottor …?” Sinclair? Oh, mio Dio! Quello che stava pensando era vero? La
lettera indirizzata al Dottor Sinclair. Ora la sua assistente che lo
chiamava con quel nome. Oh dolce Gesù. Quello non era il suo nome. Almeno,
non era il nome con cui lei lo conosceva. Oh, Dio. Quale era la verità e
quale la menzogna?
“Stavo per portare Jenny a fare una passeggiata nel parco dall’altra parte
della strada.” Tracy scese dallo sgabello sul quale era seduta. “Io …”
“Oh, no!” Mary andò nel panico, realizzando che aveva dimenticato di dire a
Tracy che Jenny non poteva uscire. Grazie a Dio, era tornata in tempo.“Ora
riporterò Jenny nella sua stanza. Grazie per averla guardata. Grazie.
Grazie.”
Mary uscì dalla stanza, portando Jenny con lei e Tracy le guardò,
chiedendosi cosa ci fosse sotto.
Capitolo 106
Mary corse nell’appartamento e si
affrettò a chiudere la porta dietro di sé, come se fosse inseguita dai
fantasmi. Ellie non l’aveva mai vista in quello stato, ne era un po’
spaventata e questa era una cosa nuova. Mary non l’aveva mai spaventata
prima di allora.
“Jenny.” Mary si accovacciò accanto alla bambina e la prese per la parte
superiore delle braccia. “Ho bisogno che tu mi dica la verità.” fece una
pausa, lo sguardo incollato sulla bimba, e le domandò “Il tuo vero nome è
Ellie?”
Ellie la guardò, percependo il panico che la vecchia signora stava provando.
Ora era veramente spaventata e avrebbe voluto avere accanto il suo papà,
perché le dicesse cosa fare. Mary non si stava comportando normalmente, e
papà le aveva sempre detto di tenere segreti i suoi segreti.
“Jenny.” la pregò Mary. “ Io devo saperlo. Il tuo cognome è Robertson?”
Ellie scosse lentamente la testa. Quello non era il suo nome e sperava che
papà non si sarebbe arrabbiato con lei per aver detto i suoi segreti. Il suo
labbro inferiore cominciò a tremare leggermente e poi decise di dire a Mary
la verità. Dopo tutto, lei era Mary.
“Quando papà mi troverà e mi farà diventare reale, il mio nome sarà Ellie
Ebans. Popio come lui.”
“Oh, mio Dio!” Mary si portò le mani sul cuore. Evans. Max Evans. Il vero
padre di …Ellie.
***
Max cancellò un altro indirizzo dalla lista sempre più corta, sentendo la
sua speranza svanire sempre di più. C’erano stati così pochi indizi, in
quegli anni, nella sua ricerca di Ellie, che non poteva fare a meno di
riporre la sua speranza anche sulla minima possibilità, confidando che
quella poteva essere la traccia di cui avevano bisogno. Ma lui continuava a
chiedersi se avrebbero mai trovato quella traccia.
Era destinato a trascorrere tutta la sua vita vedendo Ellie solo nei suoi
sogni?
O i suoi sogni avrebbero potuto essere la sua salvezza? Poteva scuotere
l’abitudine dai suoi sogni e guardarli come avrebbe fatto Carl se fosse
stato lì? Il sogno di stanotte sarebbe stato differente da tutti gli altri
sogni o la frustrazione sarebbe continuata ancora ed ancora?
“Max?” disse ancora Carl, vedendo finalmente l’attenzione negli occhi del
suo compagno.
“Cosa?” Max uscì dalle sue riflessioni. “Hai detto qualcosa?”
“Max, sei stanco.” disse Carl preoccupato. Erano stati due giorni pesanti
per lui, e la tensione lo dimostrava. “Perché non ti fai accompagnare a
casa, così potrai riposarti?”
“No!” Max scosse la testa ed una nuova paura si impadronì di lui. come
avrebbe potuto salvare Ellie se non partecipava alle ricerche? “Non abbiamo
ancora finito!”
“Sono rimasti solo pochi indirizzi sulla lista.” Carl cercò di farlo
ragionare. “Posso chiamarti se salta fuori qualcosa.”
“Carl.” Max lo stava supplicando con gli occhi. “Non mandarmi a casa. Non
ancora. Ho bisogno di far parte di tutto questo. Ho bisogno di sapere che ho
fatto tutto il possibile.”
“Okay.” Carl si lasciò commuovere. “Finiremo la lista insieme e poi ti
spedisco a casa. D’accordo?”
“D’accordo.” Max annuì e lasciò andare il respiro che aveva trattenuto.
Sperando che l’accordo avrebbe compreso il ritrovare Ellie e il condurla a
casa. Aveva una promessa da mantenere e la sua piccola contava su di lui.
***
“Ellie.” Mary accompagnò la bambina nella sua stanza, poi si inginocchiò
davanti a lei. “Ora metteremo qualche cosa in valigia e poi faremo un
giretto. Ti farebbe piacere?”
“Andare Fuori?” esclamò Ellie.
“Si.” Mary accennò col capo. “Ti piacerebbe, cara?”
“Ora?” Ellie le tirò la mano. “possiamo andare ora?”
“Ellie!” Mary la spinse indietro. “No, tesoro. Non ancora. Dobbiamo
aspettare finché non sarà andato via il sole. Tu non puoi uscire ora.” Un
pensiero improvviso l’afferrò, ed era un pensiero straziante. E se non ci
fosse stato nulla di sbagliato in Ellie? E se la sua malattia fosse stata
parte della menzogna?
“Oh.” Ellie era delusa. Lei voleva uscire ora. “Più tardi?”
“Si, si Ellie.” Mary avvicinò la bambina e la abbracciò forte. “Usciremo più
tardi. Quando farà buio.” Non poteva correre il rischio di portare fuori
Ellie adesso, con la luce del sole, non potendo distinguere tra verità e
bugia. Grazie a Dio, il Dottore non sarebbe tornato fino a domani. Avevano
tutto il tempo di andare via da lì.
***
Johnson tirò fuori il cellulare dalla tasca mentre camminava nel terminal
dell’aeroporto. Non era stato in grado di raggiungere Mary prima di lasciare
San Francisco, ma ora che era tornato a Phoenix era ansioso di parlare con
lei. Cominciò a formare il numero di casa, quando vide la piccola icona che
indicava la mancanza di linea. Dannazione. Doveva spettare di essere fuori
dall’edificio, ma ci non sarebbe voluto molto tempo. Aveva con lui il suo
bagaglio, così non avrebbe dovuto aspettare per ritirarlo. Il suo telefono
emise dei beep, lui guardò giù e imprecò ancora. “Dannata batteria.”
Avrebbe potuto fermarsi ed usare un telefono pubblico, ma non voleva perdere
altro tempo. Aveva bisogno di andare a casa da Jenny.
***
Tracy fece l’ultima annotazione e si alzò dal tavolo del laboratorio. Il
lavoro stava progredendo bene e pensò che il Dottor Sinclair sarebbe stato
contento di lei. Era quasi certa, che quando il lavoro fosse giunto a
termine, il Dottore le avrebbe fatto ottime referenze. Sarebbe stato bello
per lei ritornare, una volta completati gli studi.
Si stirò per distendere i muscoli ed uscì dal laboratorio. Mise la carta di
accesso nel pannello di sicurezza dietro la porta, ed uscì nell’atrio.
Guardò la porta dell’ appartamento sulla destra e si chiese se Mary stesse
bene. Prima, nel laboratorio, le era sembrata così agitata, ma forse
dipendeva dallo stato della sorella. Aveva avuto l’intenzione di chiederle
notizie, ma lei era scappata via così in fretta, con la piccola Jenny, che
non ne aveva avuto il modo.
Chiuse la porta alle sue spalle e si diresse all’ascensore, aspettandone
pazientemente l’arrivo. Non avrebbe rivisto il Dottor Sinclair fino alla
settimana prossima, ma gli avrebbe detto quanto fosse adorabile la sua
bambina. Si era gustata il pomeriggio assieme a lei. Jenny era la bambina
più dolce che avesse mai conosciuto.
L’ascensore arrivò e lei vi entrò dentro, diretta al piano terra e al suo
vecchio macinino che la stava aspettando.
***
Il taxi si fermò sul marciapiedi e Johnson mise una manciata di biglietti
nella mano del guidatore. Uscì di corsa dal veicolo e traversò di corsa il
marciapiedi, per salire le scale che portavano al Park Ridge Apartments.
Tutti gli appartamenti costruiti nell’isolato, portavano nel nome la parola
Park. Park Vista dietro l’angolo e accanto Park Place , poi Park Manor, e
alla fine Park Ridge proprio in mezzo all’isolato. Quando si era trasferito
lì, aveva pensato che mettere nomi simili era stata una idiozia perché i
nomi potevano essere facilmente confusi, ma alla fine aveva finito per
piacergli. I nomi erano intercambiabili, nessuno si distingueva. Erano
legati assieme e questo era un vantaggio per un uomo che voleva nascondersi.
Johnson si affrettò ad entrare nel palazzo proprio mentre Tracy accendeva il
motore della sua auto, cercando di mettere in moto la sua stupida macchina.
***
“Ce la fai a portare questa, tesoro?” chiese Mary girandosi verso la porta
della stanza di Ellie. Le sue braccia erano cariche di vestitini della
bambina e stava per metterli in una borsa che aveva lasciato aperta sul
letto della sua camera. Avrebbero dovuto dividersi un’unica borsa. Ellie era
troppo piccola per portare la sua e Mary non poteva portarne due.
“Appetta!” esclamò Ellie e corse verso la libreria per prendere il suo libro
favorito, Il Coniglio di Velluto. “Devo prender quetto!” Lo aggiunse alle
cose che non poteva lasciarsi dietro, come la sua bambola, l’album da
disegno e i colori, poi lottò per evitare che cadesse tutto per terra.
“Sei sicura di riuscire a portare tutta quella roba?” dubitò Mary.
“Lo farò.” disse Ellie determinata. I suoi lineamenti erano tesi per lo
sforzo e la sua mascella aveva un atteggiamento testardo, mentre seguiva
Mary nella sua stanza. La sua bambola scivolò dalla pila, cadendo sul
pavimento, ed Ellie disse “Oops!” Posò tutto sul pavimento e rimise in cima
la bambola, poi cercò di riprendere tutto. Barcollò sotto il peso del suo
carico, poi toccò al suo libro preferito cadere sul pavimento. “Oops!”
“Ellie fai due viaggi se non ce la fai.” le disse Mary dal corridoio.
“Ce la fassio!” insistette Ellie. Si fermò imbarazzata, quando le cadde la
scatola dei colori. “Oops!”
“Perché non torni dopo a riprenderla?” cominciò a dire Mary. poi si gelò
sentendo aprirsi la porta d’ingresso. Il cuore le impazzì nel petto al suono
dei passi che si avvicinavano, poi la sua voce chiamò, e per poco lei non
fece cadere il suo carico a terra.
“Mary? Mary, è lì?”
Mary voltò di scatto la testa per guardare Ellie e la bambina spalancò gli
occhi allarmata, rispecchiando la propria paura. Ellie si guardò attorno
spaventata, poi cercò velocemente di nascondere le sue cose sotto al letto,
dove papà Dottore non avrebbe potuto vederle. Non aveva il tempo di
rimettere tutto a posto.
“Mary!” muggì Johnson, sentendo peggiorare la tensione nel suo addome. Dove
diavolo si era cacciata? “Jenny! Dove sei?”
Mary guardò la pila di vestiti nelle sue braccia, ma i suoi piedi erano
incollati sul posto. Non riusciva a muoversi. Si sentiva come un cervo preso
in trappola dai fari di un auto che viaggiava ad alta velocità nella sua
direzione, poi Johnson girò l’angolo.
“Mary!” esclamò sollevato vedendola.
“Dottore!” riuscì a dire, ritrovando la sua voce.
“Cosa sta facendo, Mary?” gli occhi di Johnson erano posati sui vestiti tra
le sue braccia.
“Il bucato!” Mary tirò fuori la prima cosa che le era venuta in mente. “Il
bucato di El …Jenny. Mary vide il Dottore rilassarsi e finalmente riuscì a
respirare. Pensare. Pensare. Aveva bisogno di pensare. Doveva tornare nella
sua stanza e nascondere la borsa, prima che lui la vedesse. Non sarebbe mai
stata in grado di spiegare perché stava facendo i bagagli. “Dottore, lei mi
ha spaventato! Non l’aspettavamo fino a domani. Quando ho sentito aprire la
porta, ho pensato che fosse entrato un estraneo!”
“Ho cercato di telefonarle.” Johnson era ancora agitato. Perché Mary non
aveva risposto al telefono. “I miei piani sono cambiati ed ho preso il primo
aereo per casa, ma non ho potuto contattarla per avvisarla.”
Aveva telefonato? Aveva chiamato quando lei era fuori? Oh, santo Cielo. Come
poteva spiegare perché non aveva risposto? Non voleva fargli sapere che era
uscita. Cosa poteva dire? un idea le attraversò la mente e rispose svelta
“Avevo abbassato la suoneria quando Jenny stava facendo il suo sonnellino.
Non volevo disturbarla. Non l’ho rialzata che poco fa, quando si è
svegliata.”
“Oh.” Johnson le credette. “capisco.” Questo spiegava tutto. Si era
preoccupato per niente. Mary si era solo presa cura di Jenny, pensando al
suo benessere. “Dov’è Jenny?”
“Sono qui.” Ellie mise la testa fuori dalla porta della sua stanza.
Sorridendole, Johnson si inchinò e le tese le mani dicendo “Vieni qui,
Jenny. Dai un abbraccio a papà. Mi sei mancata.”
Ellie guardò Mary ed una silenziosa comunicazione passò tra di loro. Poi si
girò verso Johnson e gli corse incontro dicendo “Anche tu mi sei mancato.”
Quando le braccia del Dottore l’avvolsero, Ellie cautamente si girò a
guardare Mary, con una espressione sul viso che ora Mary comprendeva. Ellie
aveva finto per molto tempo.
***
“Maledetta macchina!” Tracy sbatté la portiera e girò intorno all’auto, per
dare un calcio alla ruota anteriore dalla parte del passeggero. “Maledetta!
Maledetta, maledetta, maledetta, maledetta! Stupida macchina!”
“C’è qualche problema, signorina?” chiese Chris Palmer col suo tono di voce
che diceva ‘E andiamo!’ Gli piacevano le ragazze che prendevano fuoco
facilmente e questa era decisamente infuocata. E come faceva a resistere ad
una damigella bisognosa di aiuto? E per di più una damigella carina? Molto
carina. Un seno impertinente. Un sedere da morirci. E il fuoco nei suoi
occhi era …
“Rimettilo nei pantaloni, Chris.” gli disse Tully sottovoce. Il ragazzo era
trasparente.
“Torno subito.” Chris diede un’occhiata al suo collega e puntò alla ragazza
che stava ovviamente avendo problemi con la macchina. Infilò i pollici nelle
tasche anteriori dei pantaloni, con le mani che posavano sul davanti
dell’addome. Guardò la ragazza dall’altro in basso e le disse con voce
suadente “Sembra che abbia bisogno di aiuto.”
“Veramente si.” Tracy gli lanciò uno sguardo. Accidenti. Guarda quei capelli
biondi, quegli occhi azzurri, quella mascella decisa, quei pettorali e, di
nuovo accidenti, quello che aveva tra le mani. Appetitoso. Si schiarì la
voce e disse “Non riesco a far partire la macchina.”
“Perché non, uhm … apre il cofano?” disse Chris in modo provocante. “E io ci
darò un’occhiata.”
“Certo” Tracy lasciò andare ancora una volta lo sguardo lungo il suo corpo e
tornò a sedersi al posto del guidatore.
Chris, con un grande sorriso stampato in faccia, lanciò un’occhiata al suo
partner, e Tully alzò gli occhi al cielo.
Accidenti, se era veloce! Quella ragazza stava abboccando senza combattere.
Abboccando? Tully scacciò quel pensiero.
Tornò ai suoi appunti e controllò sulla lista l’indirizzo seguente. 2745 E.
Beardsley Road. Il Café Ole. Guardò l’edificio di fronte a lui e ne lesse il
nome. Park Place Apartments, 2759 E. Beardsley Road. Girò a sinistra,
seguendo la numerazione decrescente. Fu colpito dal profumo del caffè, prima
ancora di vederlo. Sopra la porta c’era in bella vista il numero 2745.
Bingo!
Quando passò la porta, suonò un campanello e il commesso dietro al bancone
si girò per guardarlo. Tully consultò ancora le sue annotazioni, poi si
diresse al bancone per chiedere al giovane commesso “C’è il signor Wakely?
William Wakely?”
“Bull?” rispose l’uomo. “No, non è qui.”
“E’ partito per un viaggio?” chiese Tully.
“Chi vuole saperlo?” chiese sospettosamente il commesso. Non avrebbe certo
dato informazioni personali sul suo capo al primo che capitava. Oh!
Tesserino! Agente di Polizia. Cavoli! “Um, no, non è in viaggio. Lui è il
proprietario e apre il bar la mattina. Poi lavora solo nell’ultimo turno.
Vuole che lo chiami?”
“Dalle nostre registrazioni, risulta che un taxi ha iniziato una corsa da
qui, ieri mattina, diretto all’aeroporto. Ne sa qualcosa?” chiese Tully.
“No.” il ragazzo scosse la testa. “Temo di no. Non era Bill. Questa mattina
era al lavoro. Mi spiace.”
“Ha mai visto quest’uomo prima d’ora?” Tully gli mostrò la foto di Johnson.
Il commesso la guardò attentamente, poi scosse la testa.
“No. Non è un viso familiare. Forse Bill lo conosce. Abbiamo un sacco di
gente che viene la mattina.
“Ha un numero di telefono al quale possa raggiungerlo?” chiese Tully per
scriverlo velocemente quando il ragazzo glielo diede. “Bene. Grazie della
collaborazione.” Tully chiuse il suo notes e uscì dal locale. Tornato in
strada, fece in tempo a vedere Chris che salutava con la mano la macchina
che si immetteva nel traffico. “Hai avuto il suo numero?”
“Oh, si.” Chris rise e appoggiò la mano sul taschino della giacca.
***
Carl era seduto alla sua scrivania e stava controllando le registrazioni
sparse davanti a lui. Ormai era tardi e la stazione di Polizia era piuttosto
silenziosa. Era da un po’ che non lavorava così, passando ore su un singolo
caso, ma questo era un caso speciale.
Tully gli aveva fatto un rapporto negativo un paio d’ore prima e,.
nonostante le sue proteste, Carl aveva spedito Max a casa dopo che avevano
controllato l’ultimo indirizzo della lista. Il ragazzo aveva bisogno di
riposare e stare a casa con sua moglie, era probabilmente per lui il miglior
modo di rilassarsi. Doveva essere pronto per quando Ellie si sarebbe unita
al suo sogno, quella notte. Inoltre, Carl aveva bisogno di stare da solo per
cercare di individuare cosa si fosse lasciato sfuggire.
E si era lasciato sfuggire qualcosa. Di questo era sicuro. Qualcosa che era
proprio sotto i suoi occhi, ma che lui non riusciva a vedere.
Il telefono all’angolo della scrivania squillò e lui sollevò distrattamente
la cornetta, senza prestare attenzione fino a che non sentì la voce
dall’altra parte della linea. Allora il suo sguardo si addolcì ed un sorriso
gli comparve sulla faccia. “Ciao, Rachel.”
“Il lavoro ti sta impegnando fino a tardi?” chiese lei. Avevano in programma
una cena, prima che lui poco prima disdicesse l’impegno, promettendole di
passare per il dessert. Ma sembrava che non sarebbe riuscito a fare nemmeno
quello, non finché fosse stato così immerso in quel caso.
“Si.” annuì Carl. “Al momento sono immerso fino ai gomiti. Mi dispiace di
averti rovinato la serata.” Fissò ancora i fogli davanti a lui, incapace di
mettersi l’anima in pace.
“Probabilmente non ti vedrò stasera, vero?” sospirò lei.
“Mi dispiace.” si scusò lui. “Posso venirti a prendere domani? Una
passeggiata al chiaro di luna nel parco?”
“Con tutti i rapinatori?” scherzò Rachel.
“Che ne dici di un giro nel deserto a guardare le stelle?
“Non hai inteso? Le previsioni dicono che pioverà.”
“Allora … che ne dici se ti tiro fuori dal letto e faccio appassionatamente
l’amore con te per tutta la notte?”
“Come può una ragazza rifiutare una proposta del genere?” sorrise lei.
“Rachel?” disse Carl, ora concentrato solamente su di lei.
“Si?” rispose lei dopo una pausa significativa.
“Ti amo, Rachel.”
Carl la sentì trattenere il respiro, all’altro capo del telefono, poi con
voce soffice e piena di emozione disse “Anche io ti amo, Carl.”
“Te lo prometto. Farò il possibile per arrivare in tempo da te.” Carl
sorrise.
“Non vedo l’ora!” disse Rachel soddisfatta.
Si salutarono, e Carl guardò il telefono, combattuto tra il, lavoro davanti
a lui e la donna con la quale voleva stare, ma i suoi occhi erano calamitati
dai fogli sparsi davanti a lui ed un indirizzo gli tornò alla mente. E.
Beardsley Road. Perché quell’indirizzo gli era rimasto in mente?
Forse perché un taxi si era recato a quell’indirizzo per raccogliere un
passeggero che per qualche ragione aveva preferito farsi trovare davanti ad
un bar, invece che a casa sua. E se … avesse voluto coprire qualcosa?
Nascondere qualcosa? Cercare di coprire una traccia?
Tornò al suo computer e fece una ricerca sullo stradario dei palazzi accanto
al bar di Beardsley Road. Forse, ma solo forse, qualcuno che abitava in
quegli appartamenti aveva usato il bar come indirizzo, per non rivelare il
proprio.
Mentre il computer elaborava la sua richiesta, Carl prese il telefono per
contattare una sua conoscenza alla Società dei Taxi Gialli, seguendo una
idea molto vaga. Al terzo squillo rispose una voce rauca e familiare.
“Hey, Vinny. Quando la smetterai di fumare? Ti stai giocando i polmoni.”
“Hey, Carl, piglio di un cane. Come ti va?”
“Non posso lamentarmi.” Carl sorrise. Lui e Vinny erano vecchi amici.
Sospirando, gli disse “Ho bisogno di un favore.”
“Lo immaginavo.” Vinny sapeva che sarebbe arrivata una richiesta.
“Ho bisogno di sapere se hai avuto qualche corsa intorno all’isolato 2700 di
E. Beardsley Road, dalle 10.00 di ieri mattina a diciamo … fino a d ora.
Qualche inizio o fine corsa, non importa per e da dove.”
“Per quando ne hai bisogno?” chiese Vinny, solo perché faceva parte del
gioco.
“Cinque minuti fa.” Carl diede la solita risposta.
“Sei al lavoro?” chiese Vinny. Quando mai Carl Montoya non era al lavoro?
“Si.” rispose Carl. Era un po’ che non parlava con Vinny e lui non sapeva
che ora Carl aveva una ragione per tornare a casa.
“Vuoi che te lo mando per fax o via email?”
“Uno dei due. Per un po’ non mi muoverò da qui. Hai ancora i numeri?”
“Si.” Vinny controllò il suo file.
“Vinny?” la voce di Carl era preoccupata e l’uomo dei Taxi Gialli se ne era
accorto. “Ho veramente bisogno subito di quella informazione.”
“Vado.” e l’uomo riattaccò il telefono. Non avrebbe dovuto chiederlo due
volte. Dopotutto Carl era l’uomo che aveva catturato qual figlio di un cane
che aveva violentato la sua piccola Angelina e aveva fatto finire in galera
qual bastardo. Avrebbe fatto tutto per lui.
Dieci minuti dopo, Carl sentì il rumore del fax che prendeva vita. Un foglio
fu risucchiato nella macchina, per uscirne dalla parte opposta. Carl si alzò
dalla scrivania e stirò i suoi muscoli indolenziti, poi si avvicinò alla
macchina, guardando il foglio che usciva. I suoi occhi scorsero la piccola
lista dei movimenti delle ultime 30 ore.
Pagamento in contanti: 2929 E. Beardsley Road
Destinazione: 12th and Main, Downtown
Thelma Walker, 2543 E. Beardsley Road
Destinazione: Desert Plains Mall
Nulla colpì la sua attenzione mentre il foglio usciva dalla macchina. La
lista delle corse in partenza finì e cominciò quella delle corse in arrivo.
Sentì la sua speranza andare a picco mentre la leggeva. Dannazione! imprecò
Carl tra se. Ieri notte erano usciti un sacco di ubriaconi. La maggior parte
dell’attività della notte prima era dovuta a persone raccolte davanti a bar
e taverne, ma almeno gli ubriachi erano tornati a casa. Il fax sputò fuori
un foglio e Carl lo prese, controllando velocemente il resto della pagina.
Oggi c’era stata poca attività nella zona, almeno per quella compagnia di
taxi, poi un nome lo colpì.
Mary Connor, Dessert Mirage Nursing Home
Destinazione: Park Ridge Apartments, 2725 E. Beardsley Road
Il nome spiccava in modo chiaro tra gli altri. Mary Connor. Mary.
Carl controllò i suoi appunti e infatti, trovò il nome. Mary. La governante
di Ellie. Donna anziana, modi da nonna. Aveva una sorella malata di nome
Martha che andava a trovare una volta la settimana. Queste erano pressappoco
tutte le informazioni che Max era stato in grado di avere da Ellie.
Carl tornò velocemente allo stradario che aveva caricato sul suo computer e
chiese l’informazione per il Park Ridge Apartments. Aspettò impaziente che
la richiesta venisse elaborata e rimase a bocca aperta, quando lesse il
risultato.
La scritta ‘Nessuna Mary Connor a questo indirizzo’ apparve lampeggiando
nella parte inferiore dello schermo.
Allora, suppose, l’affitto dell’appartamento non era intestato a suo nome.
Doveva essere stato affittato da Johnson, sotto la falsa identità che aveva
assunto. Quel dannato palazzo aveva 14 piani. Erano una marea di
appartamenti. Allargando la ricerca, Carl chiese la lista di tutti gli
occupanti dello stabile.
Mentre aspettava, sorseggiò una tazza di caffè e quando la ricerca fu
completata quasi 150 nomi riempirono lo schermo. Immise i parametri per
compararli con i nomi delle liste dei passeggeri fornite dalle linee aeree,
che alla fine erano state immesse nel computer. Max e la sua magia aliena
avrebbero fatto più in fretta, ma era sempre più veloce farlo col computer
che a mano.
Mentre aspettava i risultati, prese l’elenco telefonico di Phoenix, cercando
il numero della Dessert Mirage Nursing Home e il suo istinto naturale stava
gridando. Sapeva di essere vicino a qualcosa.
Compose in fretta il numero e quando sentì rispondere una voce, Carl disse
in tono autoritario “Parla l’agente Carl Montoya della CVU del Dipartimento
di Polizia di Phoenix. Ho bisogno di alcune informazioni. Sto cercando una
donna che dovrebbe essere ricoverata da voi, primo nome Martha, cognome
sconosciuto. Ha una sorella che si chiama Mary Connor. Era da voi, oggi?”
“Martha?” linda si accigliò e guardò Marcus. “Phoenix PD? Mary Connor?”
“Si.” disse Carl con enfasi. “Ho bisogno dell’indirizzo di casa di Mary
Connor. Il suo numero di appartamento.”
“Signore, mi dispiace, ma questo genere di informazioni è riservato.” disse
Linda, riappendendo il telefono.
“di cosa si trattava?” chiese Marcus, appoggiandosi al bancone della
postazione delle infermiere.
“Oh, Dio!” disse Linda incredula. “Era qualcuno della Polizia che voleva
sapere dove vive Mary.”
“Stai scherzando?” Marcus aveva gli occhi fuori dalle orbite. Mary? Problemi
con la Polizia? Assurdo! “Cosa gli hai detto?”
“Ho riattaccato!” Linda era altrettanto stupita della sua reazione.
Nell’ufficio della Squadra, Carl guardò il telefono muto e lo sbatté con mal
garbo sulla scrivania. Maledizione. Gli avevano sbattuto il telefono in
faccia. Si alzò di scatto, si appuntò al volo l’indirizzo della clinica,
prima di correre a tutta velocità verso la porta.
Il computer cambiò schermata e, quando il risultato dell’ultima ricerca fu
completo, un singolo nome lampeggiò sullo schermo.
Robert Sinclair.
Capitolo 107
Liz mise Matthew a letto e si sporse
sulla culla per accarezzargli la guancia morbida. Era così bello quando
dormiva, così tranquillo, così rilassato, così sereno. Sperava che anche suo
padre, un giorno, potesse conoscere quel genere di sonno. Per Max, non c’era
notte in cui non fosse svegliato dal sonno da un incubo o da un ricordo.
Allontanatasi dalla culla, tornò in camera da letto. Max era disteso sulla
coperta, ancora completamente vestito e sembrava addormentato. Era così
stanco, per lo stress e la tensione del giorno precedente, ma aveva cercato
di restare sveglio fino a che Matthew non fosse stato sistemato per la
notte, così che Liz potesse unirsi al suo sogno. Traversò la stanza
sospirando e si sdraiò sul letto accanto a lui, sapendo che quella notte,
era la cosa più vicina al sogno che avrebbe potuto ottenere.
La mano di Max era piegata sul suo stomaco e Liz poteva vedere i suoi occhi
muoversi avanti e indietro sotto le palpebre. Ora stava sognando e lei si
chiese se Ellie fosse già lì.
Il prato era tranquillo mentre Max camminava nell’erba, con solo la brezza
che frusciava tra gli alberi a interrompere il silenzio. Si diresse verso il
ruscello, avvertendone il gorgoglio man mano che si avvicinava. Tutto
sembrava in ordine, tutto al suo posto. Niente stonava.
Max stava cercando di vedere il prato con gli occhi di Carl, notando i
dettagli come non aveva mai fatto prima. Solo, senza Liz , Ellie e Matthew,
il posto sembrava vuoto. Tutti loro, ognuno a suo modo, davano vita al
prato.
Un pensiero improvviso lo colpì, un pensiero che non aveva mai fatto, e si
inginocchio sulla riva del ruscello. Si arrotolò le maniche e immerse le
mani nella fredda superficie, e raccolse dal fondo una manciata di sassolini
e di conchiglie. Tirando le mani fuori dall’acqua, osservò da vicino i
ciottoli e le conchiglie, ma non vide quella che stava cercando.
Una conchiglia di mare che non doveva stare in un ruscello.
L’aveva già notata e si era chiesto perché quella conchiglia fosse lì, ma
aveva fatto l’abitudine a vederla fin dalla loro gita al mare, la notte
prima della nascita di Matthew. Anche il paguro eremita era stato una
novità. Ellie era sempre stata affascinata dai granchi e dalle conchiglie,
ma ora non ne vedeva nessuno. Camminò lungo il ruscello, fermandosi qui e là
per cercare nell’acqua, senza trovare paguri eremiti.
Max si alzò e si guardò attorno, chiedendosi se granchi e conchiglie
potevano essere qui in un sogno, ma non nell’altro, e fu allora che trovò il
metaforico filo del maglione.
Ellie amava i granchi. Ellie amava le conchiglie. E se fosse stata Ellie a
portarli nel sogno? Se fosse stata lei a ‘pensarli’ li? E se fosse stata la
sua mente ad immaginarli e a portarli lì? E senza di lei qui nel sogno, non
potevano esistere?
E se Ellie era in grado di fare quello, cos’altro aveva portato nei sogni
senza che lui se ne fosse accorto?
***
“Mary?” sussurrò Ellie, mentre Mary le rimboccava le coperte.
“Si, cara?” Mary le prese il viso tra le mani.
“Non possiamo più andare via, vero?” disse Ellie amareggiata. ““Non possiamo
più andare Fuori.”
“Non stasera, tesoro.” Mary scosse la testa.
“Riuccirò mai ad andare Fuori?” la sua voce sottile tremava.
“Lo spero, amore.” Mary combatté un brivido a sua volta.
“Io voio la mia mamma e il mio papà.” Una lacrima le scivolò dall’angolo
dell’occhio lungo la tempia, per finirle tra i capelli. “Io non voio ttare
più con papà Dottore.”
“Lo so, Ellie.” Anche Mary si asciugò una lacrima. “Troverò il modo di
portarti fuori di qui. In un modo o nell’altro. Te lo prometto.” Si chinò
sulla bambina e le baciò la fronte, giurando in silenzio di liberare quella
povera bambina dalla prigione in cui stava vivendo.
Le braccia di Ellie le circondarono il collo e le sussurrò in un orecchio
“Ti voio bene, Mary.”
“Anche io ti voglio bene, Ellie.” Mary ricambiò il suo abbraccio. Baciò la
bambina ancora una volta e poi si allontanò. “Dormi, ora.”
Ellie si strinse a fianco la bambola, mentre Mary si alzava dal letto.
Mentre Mary si girava per uscire, Ellie le disse sottovoce, perché solo lei
potesse sentire “Sono contenta che tu conocci il mio nome.”
“Anche io, cara.” le sorrise Mary. “Anche io.”
***
Johnson controllò i fusibili e i contasecondi, per essere sicuro che tutto
funzionasse. Non aveva mai pensato di usarle realmente, ma era contento di
essersi preparato per questa evenienza. Dopo stasera, non ci sarebbe stato
più nulla a legarlo a quel posto. Avrebbe sistemato i detonatori più tardi,
dopo che Mary fosse andata a dormire. Sarebbe successo tutto in fretta, lei
non ne avrebbe sofferto e il fuoco avrebbe distrutto tutto il piano, senza
lasciare tracce riconducibili a lui.
Chiuse la porta del laboratorio e tornò nell’appartamento.
***
Max si allontanò da ruscello e ripensò a parecchi messo prima, ad un sogno
nel quale lui, Liz ed Ellie, avevano diviso un picnic sotto gli alberi ed
Ellie aveva fatto uscire una palla dal nulla e lui aveva pensato che volesse
solo giocare a prenderla. Ma quando lui l’aveva lanciata, la palla si era
scontrata con un campo di forza purpureo, che lei aveva orgogliosamente
creato. La palla era rimbalzata e l’aveva colpito ad una gamba, ma lui era
così meravigliato dello scudo, che non ci aveva fatto caso.
Non era stato lui a portare la palla nel sogno, e in quel momento aveva
creduto che l’avesse portata Liz, ma ora la pensava differentemente. Era
stata Ellie a portare la palla. Ed era stata Ellie a portare i granchi e le
conchiglie.
Cos’altro? Cos’altro Ellie aveva portato nei sogni. O forse … chi altro?
***
Mary chiuse la porta della stanza di Ellie e si fermò per un momento,
chiedendosi cosa fare. Forse avrebbe potuto portare via di nascosto Ellie
quella notte, dopo che il Dottore fosse andato a letto. No, scosse la testa.
Non poteva funzionare. Il Dottore aveva il sonno leggero ed Ellie era solo
una bambina. Era troppo pericoloso e se lui si fosse svegliato, non
sarebbero state in grado di sfuggirgli.
Scappare durante il giorno era fuori questione. Ellie non poteva esporsi
alla luce del sole. Forse, se fosse riuscita a trovare una scusa per uscire
durante il giorno, poteva trovare Max Evans e raccontargli quello che
sapeva.
Avrebbe potuto condurlo all’appartamento, a quella prigione, e la Polizia
avrebbe potuto arrestare il Dottore.
O forse se avesse trovato Max Evans, lui non avrebbe voluto saperne niente
di quella storia. Era così difficile da accettare. Come poteva Ellie essere
stata rapita da neonata eppure conoscere chi erano i suoi genitori, che
aspetto avevano e come si chiamavano? Era una cosa insensata, da pazzi,
impossibile, ma lei sentiva che era vera.
Stava realizzando che aveva fatto un grosso errore a non contattare subito
Max Evans. Avrebbe potuto chiamarlo non appena Ellie le aveva detto quale
era il suo vero nome, ma era rimasta così scioccata, che non aveva potuto
pensare chiaramente e, quando il Dottore era tornato a casa, aveva ormai
perso quella opportunità. Forse poteva provarci ora, finché il Dottore era
in laboratorio, nella porta accanto …
Il telefono squillò, tirandola fuori dalle sue riflessioni e lei corse a
rispondere. Arrivavano raramente telefonate e il Dottore le aveva dato
istruzioni, quando erano andati ad abitare lì, che alle chiamate avrebbe
risposto lui stesso. ma ora decise di ignorare quell’ordine ed alzò il
ricevitore al terzo squillo. I suoi occhi si spalancarono, quando riconobbe
la voce in linea.
“Mary? Sono Linda. E’ appena successa una cosa strana.”
“Linda?” Il suo primo pensiero fu che fosse successo qualcosa a Martha. Il
Dottore entrò dalla porta proprio mentre Mary stava dicendo “Cosa è
successo?”
“Ha appena chiamato un agente di Polizia, chiedendo di lei e di dove
viveva.” La voce di Linda era preoccupata.
“Capisco.” disse Mary al telefono. La sua mente andava a mille all’ora e lo
sguardo negli occhi del Dottore la stava spaventando. Sembrava così …
freddo.
“Cosa dobbiamo fare, se dovesse chiamare ancora?” chiese Linda.
“Vengo subito.” disse Mary ed attaccò il telefono. Era l’unico modo. L’unica
cosa che era riuscita a pensare.
“Chi era?” chiese Johnson.
“La clinica.” rispose Mary. “E’ per Martha. Mi avevano chiamato oggi
pomeriggio per dirmi che aveva avuto un altro colpo. Sarei andata a trovarla
domani, quando lei fosse tornato, ma ora hanno richiamato dicendomi che non
si aspettano che arrivi viva fino a domani. Devo andare a vederla ora.” Gli
occhi di Mary si riempirono di lacrime. “O io … non … la rivedrò … mai più.”
Odiava usare Martha come pretesto, ma lei sapeva che sua sorella avrebbe
approvato.
“Un colpo?” Johnson si spostò per leggere l’ID di chiamata. Era vero, c’era
stata una chiamata nel pomeriggio dalla clinica e un’altra, pochi minuti fa.
“Mi dispiace di sentire una cosa così grave.”
“Devo andare …” Mary cominciò a muoversi in direzione della porta.
“Si, certo.” Il Dottore la guardò. Lei aveva detto a chiunque fosse al
telefono che stava andando. Se non l’avessero vista arrivare, si sarebbero
insospettiti. Doveva lasciarla andare, ma non se ne preoccupava. Sarebbe
tornata. Lei non avrebbe mai lasciato Jenny sola per molto tempo. Doveva
solo aspettare un po’ di più per mettere in azione il suo piano. “Mi lasci
chiamare un taxi. Non vorrà prendere l’autobus?”
***
Max si sedette sulla riva del ruscello e tornò a pensare al sogno in cui
avevano portato Ellie al parco e lei aveva giocato sull’altalena, con Amber
e Cindy, e dato da mangiare alle anatre, ed aveva inseguito qualcosa che
aveva visto. Cos’era? Che cosa l’aveva fatta correre in quel modo? In quel
momento, lui aveva pensato si trattasse del gattino, ma la fine del sogno
era stata così incoerente, per lui, che non ne era più sicuro.
Un rumore improvviso si infilò tra i suoi pensieri ed alzò lo sguardo per
guardare l’acqua. E, infatti, un germano reale gli stava di fronte e lo
guardava. Si arruffò le piume, poi
scivolò nell’acqua. Fu raggiunto da un altro e da un altro ancora,
improvvisamente, intorno a lui, ne apparve uno stormo. Riuscì ad intravedere
un movimento nell’acqua ed allungò la mano per prendere un paguro eremita
che si stava affrettando su una roccia.
Si alzò in piedi e guardò il prato, sapendo che lei doveva essere lì.
“Papà?” Ellie si girò attorno cercando di vederlo. “Papà?”
“Ellie!” Max rimise in acqua il paguro e corse attraverso il prato. Cadde in
ginocchio di fronte a lei e tutti e due cominciarono a parlare nello stesso
momento.
“Ellie tu …”
“Papà, devo ditti una cosa …”
Max scoppiò a ridere, tenendo sua figlia tra le braccia e passandole le mani
tra i folti capelli ondulati. I suoi grandi occhi scuri lo guardavano e lui
le disse “Vai avanti. Cosa mi devi dire?”
“Sono quasi andata Fuori, oggi.” gli disse Ellie e cominciò a giocherellare
nervosamente con i bottoni della sua camicia.
“Tu cosa?” Max alzò la voce e Ellie sollevò bruscamente la testa,
chiedendosi se fosse impazzito. Lui vide lo sguardo della piccola e cercò di
controllare le sue reazioni, certo che quel giorno fosse accaduto qualcosa
di importante. Non voleva farla spaventare ed uscire dal sogno. “Va avanti,
Ellie. Ti ascolto.”
“Martha è ttata male e io pensavo che Mary mi faceva andare con lei, ma lei
ha detto che non posso andare Fuori. Così mi ha pottata da Twacy …”
“Tracy?” se ne uscì Max. Lui non le aveva mai nominato Tracy prima.
“Twacy. E’ quello che ti tto dicendo!” Lo rimproverò per averla interrotta.
“scusami.” Max scosse la testa e la esortò a continuare. “Va avanti,
tesoro.”
“Così Mary mi ha portata in laboratoio e ho giocato con Mr. Wiggles e poi ho
fatto il sonnellino e poi Twacy mi voleva portare Fuori, nel parco, ma poi
Mary è tornata e era agitata e mi ha portata a casa e poi lei mi ha chiamata
Ellie.”
“Lei cosa?” Max quasi urlava. Mary l’aveva chiamata Ellie? Max si mise
seduto, guardando fisso Ellie.
“Si.” annuì lei. “Mi ha chiamato Ellie e mi ha detto di prendere le mie cose
…”
“Lei ti ha detto di prendere le tue cose?” Max sentì contemporaneamente
un’ondata di speranza e di paura. Mary stava cercando di salvare Ellie o di
portarla via?
“Papà!” Ellie si mise le mani sui fianchi e sbuffò. “ E’ qello che tto
dicendo …”
“Okay, okay.” Max le baciò la fronte e fece un sospiro. “Va avanti. E poi?”
La mano di Ellie ricominciò a toccare nervosamente il primo bottone della
camicia di Max e disse “Mary ha preso i miei vettiti e io ho preso la mia
bambola e le mie cosa, ma poi … poi …”
“Poi cosa, Ellie?”
I suoi occhi divennero tristi e disse piano “Poi papà Dottore è tornato a
casa.”
“Oh.” Max sentì l’aria uscire di corsa dai suoi polmoni. Johnson era
tornato. Dio. “ Cosa … cosa ha fatto Mary?”
“Lei aveva paura. L’ho vitta piangere. Non le piase più il papà Dottore.”
“Come fai a saperlo, tesoro?” Max la strinse a sé.
“Io … Io … l’ho detto …a lei.”
“Cosa le hai detto, amore?” Ora Max tratteneva il respiro.
“Io lo so che era un segheto, ma … io volevo che Mary lo sapeva. Lei ha
detto che tu e mamma non siete veri e allora io … io … le ho fatto vedere.”
“Tu … le hai … fatto … vedere …”
“Io ho visto un giorno la Mary finta nel parco, e allora l’ho portata a
vedere i fochi d’artifisio, e poi le è piaciuto lo zoo, ma non le ccimmie e
King le correva dietro al Luna Pac …”
“King?” Cosa stava dicendo Ellie.? La finta Mary nel parco? Lei l’aveva
portata a vedere i fuochi artificiali? E lo zoo … e il … Luna Park? Ellie
stava dicendo … che lei aveva portato Mary nei sogni? La Mary vera?
“King.” Ellie guardò suo padre. “King, il cussolo di Matthew .”
All’improvviso una immagine si materializzò nella sua mente e gli si
ghiacciò il sangue. Mary. Ellie aveva portato Mary nei sogni. King … il
cucciolo … che correva intorno alle gambe di … Mary. O, mio Dio! Lui sapeva
chi era Mary!
Santa Madre di Dio! Lui sapeva chi era Mary!
***
Max scattò a sedere sul letto con gli occhi spalancati e i polmoni che si
rifiutavano di respirare. Lui l’aveva avuto la soluzione sotto gli occhi per
tutto quel tempo. Cose che lui non aveva portato nei sogni, cose che lui non
aveva creato, che non aveva fatto. Era stata Ellie a portare la palla di
gomma blu, e i granchi, e le conchiglie, e le anatre … e Mary. Ellie aveva
portato Mary nei loro sogni. Come poteva essere stato così cieco?
“Max? Max! MAX!”
I suoi occhi si focalizzarono e la faccia di Liz galleggiò davanti lui, gli
occhi spalancati dallo choc, con un tocco di paura che affiorava. Le sue
mani lo stringevano per le braccia, penetrando dolorosamente nella sua
pelle, mentre tentava di scuoterlo e finalmente lui riuscì a sentire la sua
voce.
“Max! Cosa è successo? Cosa c’è che non va?”
Max alzò le mani per prenderle il viso, e focalizzò lo sguardo su di lei
dicendole “Io so chi è Mary! Io so chi è Mary!”
Capitolo 108
Liz si tirò indietro, allontanandosi
da Max, e lo fissò con la mano sopra la bocca. Cosa stava dicendo? Aveva
detto quello che lei pensava avesse detto? Aveva … detto …
“Tu sai chi è Mary? Tu sai? Tu …”
Max saltò fuori dal letto e si diresse in soggiorno con Liz alle sue
calcagna che cercava di assimilare quello che lui aveva detto. “Avrei dovuto
accorgermene prima! Perché non me ne sono accorto prima? Dio! Tutto questo
tempo! Lei stava portando delle cose nei sogni …”
“Max!” Liz lo afferrò per le braccia e lo costrinse a girarsi. “Che cosa hai
visto? Dimmelo!”
“Liz!” Lui la prese tra le braccia e i suoi occhi luminosi bruciarono in
quelli di lei. “Ellie portava delle cose nei sogni. Cose che lei voleva
avere lì. Cose che esistevano solo quando c’era lei. Le anatre, il paguro
eremita, le conchiglie … Mary. Lei portava Mary nei sogni.”
Max si girò lasciandola con una espressione scioccata e corse verso il
computer nell’angolo del soggiorno. Si mise cercare qualcosa, spostando
tutto, incurante di quello che cadeva sul pavimento. “Dov’è? Dov’è?”
brontolava ferocemente, spalancando tutto e lasciando tutto aperto.
“Dov’è cosa?” Liz ritrovò la sua voce. “Cosa stai cercando?”
Liz si girò verso di lei e gridò “L’album delle fotografie di Matthew! Dov’è
l’album delle fotografie di Matthew?”
“Qui.” lei corse al tavolino. L’aveva guardato quel giorno.
Lei lo prese e Max glielo strappò dalle mani, girando freneticamente le
pagine, mentre cercava tra le foto.
La sua testa andava avanti e indietro e lui mormorava “no, no, no,” mentre
voltava le pagine. Poi la sua mano si fermò a mezz’aria. Praticamente
strappò la pagina, per prendere la foto, poi gettò l’album sul pavimento.
Liz vedeva tremare la sua mano, mentre girava la foto verso di lei e lei
riconobbe quella che lei aveva scattato nel parco, con Max che teneva
Matthew, chiedendosi perché gliela stesse facendo vedere. Vide il suo dito
indicare qualcosa nel sottofondo, proprio dietro le sue spalle.
Una donna, una donna sorridente, una anziana donna sorridente, e la voce di
Max le inviò un’onda d’urto attraverso il corpo quando lui disse il nome.
“Mary,”
***
Carl si fermò davanti alla Dessert Mirage Nursing Home e scese dalla
macchina. Chiuse la portiera e i suoi passi fecero scricchiolare la ghiaia
mentre si dirigeva all’entrata principale. Dovette chiudere gli occhi per la
luce improvvisa, quando oltrepassò la porta, poi li girò per controllare la
stanza in cerca della ricezione o della postazione delle infermiere.
del personale medico era riunito intorno ad un bancone e tutti si girarono a
guardarlo. A giudicare dall’abbigliamento, sembravano essere infermiere ed
inservienti che effettuavano il turno di notte. Mise la mano nel taschino
per estrarne il tesserino da Agente di Polizia e si diresse direttamente
verso di loro.
“Porca miseria.” mormorò Marcus sottovoce e Linda si sentì impallidire.
Entrambi avevano visto la pistola nella fondina sotto il suo braccio.
Carl tese avanti il suo tesserino ed annunciò “Agente Montoya, Dipartimento
di Polizia di Phoenix.” Il suo tono era aspro, non consentiva sciocchezze, e
lo sguardo nei suoi occhi era mortalmente serio. “Ho delle domande e mi
aspetto delle risposte.”
***
Liz stava in piedi al centro del soggiorno e fissava la foto che teneva in
mano, non sicura di essere in grado di respirare. Max camminava avanti e
indietro, con una mano sul fianco, mentre con l’altra si strofinava il viso,
mentre cercava di pensare.
“La prima volta che l’ho vista è stato al Parco, al Coyote Canyon Park,
quando Cindy Morgan si era smarrita. Stavo interrogando le persone presenti,
per sapere se avessero visto qualcosa, e lei stava aspettando l’autobus. Le
ho parlato. Mio Dio, Liz,” voltò lo sguardo carico di senso di colpa verso
di lei. “Io le ho parlato. Ho parlato con Mary quel giorno! Io … Io …”
“Max, non lo sapevi. Non lo sapevi.” Liz poteva vedere che stava di nuovo
biasimando se stesso. Biasimava se stesso per non sapere qualcosa, ma la
verità era che non poteva saperlo. Non allora. Non aveva nessun motivo di
sospettarlo.
“Avrei dovuto saperlo, Liz.” si passò le mani tra i capelli. “Mio Dio, avrei
dovuto saperlo.”
“Max, basta …”
“Se solo lo avessi saputo, avrei potuto far finire tutto questo settimane,
mesi fa … “ si girò per guardare Liz e i suoi occhi sembravano furiosi. “Mi
disse che viveva dall’altra parte della strada. “Per tutto questo tempo
Ellie è stata solo dall’altra parte di quella strada!”
“Cosa?” Liz si mise una mano sul cuore. “Cosa?”
“Aspetta! io … Io l’ho scritto! Il suo nome. Il suo nome completo. Il suo
numero di telefono!” Traversò il soggiorno e prese ancora Liz per le braccia
e il suo angoscioso rimorso di un momento prima fu rimpiazzato da un gioioso
senso di speranza. “Io ho scritto il suo nome e il suo numero di telefono.
Nel mio taccuino del caso! E’ in ufficio. Nella mia scrivania. Devo andare a
prenderlo.”
Lasciò la sua presa e corse verso la porta, ma Liz lo fermò. Max si girò e
lei gli disse con voce incerta “Tu non andrai da nessuna parte senza di me.”
Max la guardò, desideroso che lei rimanesse lì, dove era al sicuro, ma
sapendo che non sarebbe riuscito a fermarla. “Prendi Matthew. Io chiamerò
Carl.”
Liz corse in camera e prese Matthew dalla culla dove stava dormendo
tranquillamente. Lo avvolse in una coperta e si diresse alla porta, correndo
verso il soggiorno.
Con la coda dell’occhio vide la borsa dei pannolini per terra accanto al
guardaroba e la prese al volo, sperando che dentro ci fossero abbastanza
ricambi. Non sapeva quanto sarebbero rimasti fuori. Si passò il manico sulla
spalla e tornò in soggiorno, in tempo per vedere Max che riattaccava il
telefono.
“Carl?” chiese lei.
“Non è in casa.” Max afferrò la giacca ed aprì la porta d’ingresso.
“Andiamo. Possiamo chiamarlo dalla macchina.”
Corsero nella notte senza che nessuno di loro si accorgesse che il suo
cellulare era caduto fuori dalla tasca della giacca ed era rimasto sul
pavimento del soggiorno.
***
Carl aprì la portiera dell’auto e s’infilò dietro al volante. Prese il
cellulare dalla tasca e compose velocemente il numero, sentendo crescere
l’agitazione mentre la sua chiamata rimaneva senza risposta.
“Dove sei, Max?” mormorò, stringendo nervosamente il volante. “Avanti.
Rispondi al telefono.”
Dopo il decimo squillo, chiuse la chiamata e chiamò un numero differente.
Max aveva sempre il suo cellulare.
L’unico suono in casa degli Evans fu lo stridente squillo del cellulare, al
quale nessuno poteva rispondere.
***
Max aprì il cassetto della sua scrivania, mentre Liz cullava Matthew tra le
braccia, per farlo calmare. Aveva cominciato ad agitarsi, avvertendo l’ansia
dei suoi genitori. Lei camminava intorno alla stanza della squadra,
guardando Max che girava le pagine dei suoi taccuini, alla ricerca di un
nome che non riusciva a trovare.
“Deve essere qui.” La mano di Max stava tremando mentre cercava una pagina
dopo l’altra. “Non butto via MAI nulla.” batté il pugno sulla scrivania per
l’agitazione. “MAI!”.
Vide Liz sobbalzare al suo gesto ed abbassò il tono della voce, dicendo
addolorato “Dovrebbe essere qui.”
“Max …” lei non sapeva cosa dire o come aiutarlo. Non c’era niente che lei
potesse fare. Ricadeva tutto sulle spalle di Max. E lui lo sapeva. Tutti e
due lo sapevano. L’avrebbe letteralmente ucciso se Ellie gli fosse scappata
ancora tra le dita.
Pensa. Pensa. Camminò avanti e indietro obbligandosi a pensare, passandosi
le mani tra i capelli e cercando di non guardare Liz. Come avrebbe potuto
guardarla ancora in faccia, se avesse fallito anche questa volta? Si coprì
il viso con le mani, cercando di trattenersi ma sentendo che stava per
esplodere. Dove diavolo era quel dannato taccuino?
Aprì con uno strattone il cassetto della scrivania, per controllarlo ancora
una volta, quando i suoi occhi si posarono su una scatola. “Archivio.”
sussurrò e chiuse di scatto il cassetto.
“La scatola dell’archivio.” disse ad alta voce. “L’ho messo nella scatola
dell’archivio.” Il pavimento intorno a lui era vuoto e lui imprecò,
freddamente e ad alta voce ora “Dove diavolo è la scatola dell’archivio?”
Liz sobbalzò ancora e Matthew cominciò a piangere. Max non aveva mai parlato
in quel modo. Non con lei. Solo in casi estremi usava quel linguaggio o
parlava con quel tono aspro. Max si comportava come un animale in gabbia,
pronto a colpite, pronto ad artigliare, pronto … ad uccidere.
Si appoggiò Matthew sulla spalla, massaggiandogli la schiena per
tranquillizzarlo. L’ultima cosa di cui Max aveva bisogno era il suono
irritante del pianto di un bambino. Si allontanò da lui, dandogli spazio, ma
lui la seguì sapendo quanto doveva averla spaventata. Liz si avvicinò alla
scrivania di Carl. guardando la confusione di fogli che la ricopriva e
sorpresa di vederla in quello stato. Carl, di solito, era una persona molto
ordinata.
“Liz, io … “ disse Max in tono smorzato, seguendola.
“Cos’è questo. Max?” gli chiese, guardando i nomi e gli indirizzi sparsi
davanti a lei.
Max la toccò delicatamente sul braccio e si sporse oltre la sua spalla,
dicendo “Sono sorpreso che l’abbia lasciata in questo stato. Lui non lascia
mai la scrivania così.”
Si chinò e spostò qualche foglio. “Sono le liste d’imbarco delle linee
aeree, gli elenchi dei passeggeri e questi … guarda …” prese un foglio dalla
casella della posta in arrivo di Carl. Lesse velocemente la ricevuta e poi
guardò Liz con sollievo.
“Hanno portato la scatola nell’archivio, in cantina. La cartella di Cindy
Morgan è lì. Andiamo!”
“Che significa?” Liz puntò il dito verso lo schermo del computer di Carl. Il
salva-schermo era scomparso quando Liz aveva toccato i fogli sulla scrivania
ed aveva inavvertitamente spostato il mouse. Un nome lampeggiava in
continuazione sullo schermo e Max lo fissò, sapendo di averlo già sentito
prima di allora.
Sinclair. Robert Sinclair.
Dove lo aveva se … “Oh, mio Dio.” Max sentì le ginocchia cedere. “Tracy!”
“Chi?” Liz non capiva.
“Ellie mi ha detto che oggi Mary l’aveva lasciata con qualcuno che si
chiamava Tracy, quando era dovuta andare in clinica per vedere Martha.” la
voce di Max tremava. “Un paio di settimane fa, ho incontrato Tracy Coleman
in un bar di Beardsley Road, di fronte al parco, e le mi ha detto di aver
avuto un lavoro per l’estate, quel lavoro che il tuo professore aveva
offerto a te. Liz,” Max la guardò. “Lei mi disse di lavorare per il dottor
Sinclair.”
“Max.” Liz crollò addosso a Max e lui fu pronto a sorreggerla. “Chiamala.
Chiamala, Max. Chiedile dove è la mia bambina.”
Max la fece sedere sulla sedia e prese il telefono, componendo il numero che
Liz ancora ricordava a memoria.
***
“Ohhh … si … così … non fermarti … non fermarti.” Tracy stava andando a
fuoco, gemendo di piacere, sotto di lui. non aveva mai fatto l’amore così in
vita sua. Le sue dita stringevano la schiena di Chris, le unghie gli
graffiavano la pelle, spingeva i fianchi per incontrare le sue spinte
aggressive, costruendo un altro appassionante orgasmo. Accidenti se era
bello.
E grazie a Dio, lei aveva quel catorcio di macchina.
Chris stringeva la morbida carne delle sue cosce, sollevandole in alto
mentre i suoi movimenti diventavano più urgenti. L’aria gli usciva dai
polmoni ad ogni spinta e sentiva il sudore scorrergli sulla schiena e stava
cominciando a pensare che non aveva mai fatto sesso migliore in vita sua.
Naturalmente, per lui era un pensiero ricorrente.
Il telefono mandò uno squillo fastidioso, distraendolo e lui staccò la sua
bocca dalla gola di lei. I suoi movimenti rallentarono. “Stai aspettando
qualche chiamata?”
Lei era vicina, troppo vicina egli strinse le natiche, trattenendolo
profondamente dentro di sé. “Non fermarti. C’è la segreteria. Non fermarti.”
Lui grugni in segno di comprensione, poi il rumore dei due corpi che si
incontravano, lucidi di sudore, riempì l’aria.
***
“Tracy non risponde.” Max sbatté giù il telefono. Si girò verso Liz ed
accarezzandole un braccio, cercò di calmarla. “Tu rimani qui. Io andrò in
cantina a cercare quella male … a cercare quella cartella in archivio.
Tornerò presto …”
“Vengo con te.” Liz strinse Matthew tra le braccia, determinata a non
perdere di vista Max.
“Liz …”
“Io vengo con te!” tagliò corto Liz.
“Okay.” Max l’aiutò ad alzarsi. Non c’era modo di ragionare con lei, quando
usava quel tono di voce.
***
Mary era seduta nel taxi e guardava l’imponente edificio, sperando che fosse
il posto giusto. Lei non sapeva in quale Distretto Max lavorasse. Santo
Cielo, lei non sapeva nemmeno che ci fossero diversi Distretti di Polizia.
“Sono 5 dollari e 20, signora.” il tassista si voltò verso di lei.
Mary cercò il borsellino e vi trovò solo i 3 dollari che aveva visto prima.
Aveva, però, una busta che conteneva 350 dollari, quello che le era rimasto
del fondo per la spesa mensile, soldi che aveva preso in cucina prima che il
Dottore rientrasse a casa. Aggiunse 5 dollari ai suoi 3 e li mise in mano
all’uomo, prima di scendere dal taxi.
Quando il taxi si allontanò, rimase sul marciapiedi, sentendosi sola ed
indifesa, poi salì le scale che portavano all’ingresso. Entrando, le luci
forti le colpirono gli occhi e le ci volle un minuto per adattarsi. Si
guardava incerta per la stanza, relativamente tranquilla, incerta sul cosa
fare. Una lunga e alta scrivania stava contro la parete di sinistra, con
dietro un agente in uniforme e lei si diresse lì.
“Mi scusi.” la voce di Mary tremava leggermente.
L’uomo era intento a scrivere qualcosa e le rispose senza alzare gli occhi.
“Come posso aiutarla?” Poi, finite di prendere le sue annotazioni, volse lo
sguardo su di lei.
“Sono …” Mary si fermò per schiarirsi la voce. “Sto cercando qualcuno. Non
so se lavora qui o no.”
“Chi sarebbe, signora?” L’agente Peterson si sporse in avanti, prestandole
ora tutta la sua attenzione.
“E’ un agente. Il suo nome è Max Evans.”
***
Max fece scivolare il braccio intorno alle spalle di Liz e si diressero nel
corridoio per raggiungere l’ingresso principale della Stazione. Le scale per
la cantina erano a sinistra e lui si affrettò in quella direzione, ansioso
di trovare gli appunti di cui aveva così disperatamente bisogno. Era
contento che la stazione fosse tranquilla, quella notte, più tranquilla di
quanto lo era di solito il giovedì, così poteva concentrarsi sul compito da
svolgere.
Tutto quello che importava era trovare quella cartella con il nome completo
e il numero di telefono di Mary. I numeri di telefono potevano essere
controllati e gli indirizzi accertati, come gli aveva mostrato Carl quel
giorno, ed era tutto quello di cui aveva bisogno per arrivare ad Ellie.
“Hey, Evans.” lo chiamò Peterson. “Qui c’è qualcuno che vuole vederti.”
Max si fermò un attimo, girando la testa verso la scrivania. Qualcuno voleva
vederlo? Ora? A quell’ora della notte? Guardò la donna che stava davanti
alla scrivania, notando l’abbigliamento fuori moda, i corti capelli grigi e
quando lei si voltò nella sua direzione, rimase senza respiro. Fece un passo
avanti, con la mano rivolta all’indietro per afferrare Liz, e disse l’unica
cosa che riuscì a dire.
“Mary.”
Continua...
Scritta
da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di
Coccy85 |