Riassunto: Questa
storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore
alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai
fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o
duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più
grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa
ricambiarlo.
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: Ogni
riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori
protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitoli 31-36
Capitoli 37-42
Capitoli 43-48
Capitoli 49-54
Capitoli 55-60
Capitoli 61-66
Capitoli 67-72
Capitolo 73
Max finì di aggiustarsi la cravatta e
lanciò un’occhiata a Liz, riflessa nello specchio. Aveva cominciato a muoversi
e lui poteva sentire che il mormorio in fondo alla sua mente cominciava ad
intensificarsi. Per qualche ragione, negli ultimi giorni, la loro connessione
si era rafforzata, mentre nello stesso tempo Matthew era diventato più
tranquillo. Dopo averci pensato, fu quasi certo di saperne la ragione e sentì
lo stomaco stringersi in anticipazione e trepidazione. Suo figlio era pronto
per nascere. Presto.
Nel riflesso dello specchio, vide Liz che si stiracchiava e si allungava nel
letto e sorrise, sapendo che stava cercandolo. Sentendo soltanto il lenzuolo
vuoto, alzò la testa per controllare la stanza.
“Buongiorno.” lui lasciò lo specchio e raggiunse il letto. “Come ti senti?”
“Bene.” lei gli prese la mano e lo tirò accanto a sé.”Stai andando via?”
“Dopo aver fatto questo.” lui si chinò e le diede il bacio del
buongiorno.”Probabilmente sarò in ufficio per la maggior parte della giornata.”
disse Max quando le loro labbra si separarono. “Devo stendere il rapporto
dell’ultimo caso e poi fare qualche ricerca che Carl mi ha chiesto di fare per
lui. Chiamami se hai bisogno di me.”
“Lo farò.” lei gli strinse la mano. “Non ti preoccupare. Inoltre,” sorrise “tu
lo saprai nel mio stesso momento se sta per accadere qualcosa.”
“Lo so, ma …” cominciò a dire lui con un sorriso nervoso sul viso.
“Max.” tagliò corto Liz. “Va a lavorare! Io starò bene.”
Lui la baciò ancora una volta e lei lo vide uscire, percependo i suoi conflitti
emozionali.
Lui voleva restare con lei, solo per il caso che accadesse qualcosa, ma sapeva
anche che ci potevano volere dei giorni e lui aveva del lavoro da fare. Max si
fermò sulla porta, guardandola ancora una volta e sentendo che la sua vita
stava per cambiare.
Lui non lo sapeva ancora, ma aveva ragione.
***
Carl era seduto alla sua scrivania e prendeva appunti ai margini della pratica
che stava trattando, e occasionalmente, lanciava un’occhiata a Max. Si appoggiò
alla spalliera della sedia, ripensando alla conversazione che aveva avuto con
Mark Wakely, all’inizio della settimana. Quanto di quello che l’uomo aveva
detto era vero e quanto erano fesserie?
Era vero che Max e Liz erano stati portati via contro la loro volontà e
sottoposti ad esperimenti medici, per un motivo che Carl ancora non aveva
capito. Erano una coppia di ragazzi, ottimi studenti e, secondo i rapporti, Max
era stato tranquillo e riservato, sempre in secondo piano, mentre Liz era la
più aperta tra i due, impegnata con il Club Scientifico e altre attività
scolastiche. Nessuno dei due sembrava fuori dal normale, tranne che per la
faccenda delle impronte argentate.
Carl stava ancora tentando di decidere cosa pensare del fatto. Lui non gli
avrebbe dato alcuna importanza, una impronta argentata che copriva la pelle
dove avrebbe dovuto essere un foro di proiettile, ma c’era da tener conto
dell’intera storia di Cindy Morgan. La bambina aveva un’impronta argentata
intorno al braccio. Sul suo braccio rotto. Sul suo braccio rotto che non era
più rotto.
E, inoltre, Wakely sembrava pensare che Max fosse una specie di mostro, che
portava rovina e distruzione, che aveva ucciso con furia assassina nel
tentativo di trovare Liz. Max? Sarebbe stato capace di uccidere qualcuno?
Assolutamente no! Non il Max che lui conosceva. Max non era mai stato violento,
da quando era lì, tranne …
C’era stato quell’incidente, in cui Carl l’aveva visto perdere il controllo,
quel giorno al Maryvale Hospital, quando Johnson era fuggito. Carl si era
rimasto sorpreso, quel giorno, dalla sua esplosione di violenza, dai pugni che
aveva dato contro il muro. Veramente, sembrava che i suoi pugni passassero
oltre il muro, si ricordò Carl. Eppure, questo era ancora ben lontano
dall’uccidere qualcuno.
Max cambiò posizione sulla sedia e Carl notò che si stava massaggiando la
schiena. Era stato irrequieto durante tutta la mattinata, cosa molto strana per
lui, e Carl pensò che avrebbe finito con lo scavare un solco sul pavimento, col
suo andirivieni verso il refrigeratore dell’acqua.
Max spinse all’indietro la sua sedia e Carl mormorò “Ci siamo di nuovo.”
Max si alzò in piedi, sobbalzando al dolore che aveva nella parte bassa della
schiena. Oggi le contrazioni di Braxton Hicks gli stavano creando qualche
problema e meno male che oggi non era fuori, sul campo di battaglia, perché
aveva problemi a concentrarsi. Si versò un altro bicchiere d’acqua fresca e
tornò alla scrivania. Chiuse la cartella a cui stava lavorando e ne aprì
un’altra.
Si sedette, o almeno cercò di farlo, e in quel momento provò uno spasmo
all’addome. Si strofinò una mano sopra lo stomaco e guardò l’orologio alla
parete. Dall’ultima che aveva avuto erano passati circa 40 minuti. Era meglio
chiamare.
Prese il telefono e compose il numero, aspettando ansiosamente la risposta di
Liz. Sentì un’ondata di sollievo quando al terzo squillo, Liz alzò il
ricevitore, ma non ebbe nemmeno il tempo di dire ‘pronto?’ che lui già le stava
chiedendo “Stai bene?”
“Max? Sei tu?” La sua voce era così tesa che Max la riconobbe a malapena.
“L’ho sentita. Tu l’hai sentita? Era una contrazione? Hai cominciato il
travaglio? Devo tornare a casa? Devo chiamare Rachel? Devo chiamare tua madre?
Sto venendo! Sarò lì tra cinque minuti!”
Si era appena alzato in piedi quando la voce di Liz lo raggiunse attraverso il
suo panico “Max! Calmati! Non sto partorendo!”
“No?” lui ricadde sulla sedia “Ne sei sicura?”
“In realtà, no. Non ne sono sicura.” ammise lei e Max saltò di nuovo in piedi.
Lei, che riusciva a sentire la sua tensione attraverso la connessione, gli
disse in tono rassicurante “Max, calmati. Si, in effetti era una contrazione,
ma questo non significa che stia cominciando già il travaglio. Una contrazione,
non significa parto.”
“E’ la seconda. La prima è stata 40 minuti fa.”
“Va bene, si. Hai ragione. La prima è stata 40 minuti fa.”
Oh, Dio! Max crollò sulla sedia. Lei aveva avuto due contrazioni. Oh, Dio!
“Max, sei ancora lì?” chiese Liz quando sentì il silenzio.
“Si.” squittì lui.
“Max!” rise Liz “Torna a lavorare. E’ troppo presto per lasciarsi andare al
panico!”
“Sei sicura? Perché credo che starei molto meglio nel panico che al lavoro.
Posso venire a casa anche subito, se mi vuoi. Basta che lo dica a Carl…”
“Max, rilassati. Ti farò sapere quando sarà arrivato il momento del panico.”
Liz si mise una mano davanti alla bocca, perché non la sentisse ridere. Aveva
la sensazione che questo parto sarebbe stato più difficile per lui che per lei.
Carl stava osservando curiosamente Max, dalla sua scrivania. Un momento era
seduto, poi si era alzato, poi si era seduto di nuovo, poi si era alzato di
nuovo. Oggi il ragazzo non riusciva a controllarsi.
Max riappese il telefono e fece un profondo respiro, cercando di calmarsi. Era
un fascio di nervi, senza una possibilità di sfogo. Dondolava le gambe avanti e
indietro, le dita tamburellavano sulla scrivania, la sua mente correva a mille
miglia all’ora. Lei era a casa tutta sola e probabilmente in travaglio! E se
avesse inciampato e fosse caduta? E se le si rompevano le acque? Forse era
meglio se la chiamava di nuovo. La sua mano toccò il telefono, quando quello
cominciò a suonare.
Aveva appena cominciato a dire “Child…” prima che la sua voce severa lo
azzittisse.
“Max Evans! Smettila con il panico! Posso sentirlo!”
“Liz? Stai bene?” chiese Max preoccupato. Era di nuovo in piedi, pronto a
correre fuori dalla porta.
“Max, me lo hai chiesto solo due minuti fa!” sbuffò Liz.
“Ma, amore, tu mi hai chiamato!” protestò Max. “Pensavo che fosse cambiato
qualcosa.”
“No.” sospirò Liz. “Non è cambiato nulla. Sono perfettamente in grado di stare
a casa da sola. Sono una ragazza grande, ricordi?” cambiò mano al microfono e
disse “Troppo grande, dannazione!”
“Cosa hai detto?” chiese Max, rimettendosi a sedere. Dietro di lui, Carl si era
appoggiato alla sedia, con i piedi sulla scrivania e le braccia incrociate sul
petto, con un largo sorriso sulla faccia. Vedere Max, il nervoso-prossimo-padre,
era come assistere ad uno spettacolo.
“Max, voglio che tu mi faccia un favore.” disse Liz decisa.
“Cosa? Cosa vuoi che faccia? Hai bisogno di qualcosa? Ne hai bisogno subito?” E
si era di nuovo alzato in piedi.
“Adesso tu esci dalla stanza e vai verso l’ingresso, poi una volta uscito
dall’ufficio, traversa la strada e vai in quel piccolo negozio dove fanno le
ciambelle. Compratene una confezione intera. Scegli il tuo tipo favorito. Poi
ritraversa la strada e torna alla tua scrivania e mangiati tutte quelle
benedette ciambelle. Mentre le stai mangiando, non pensare a nient’altro che
alle ciambelle. Guarda le ciambelle. Annusa le ciambelle. Mangia le ciambelle.”
Magari questo lo terrà occupato per un po’, Liz roteò gli occhi.
“Vuoi che mi mangi una scatola intera di ciambelle?” chiese Max.
“Si, Max. hai bisogno di energia. Ora vai!”
“Okay.” Max riappese il telefono e si diresse verso la porta.
***
Carl tirò su la testa per vedere Max che rientrava nella stanza portando in una
mano una ciambella, con il segno di un morso e sotto l’altro braccio, un’intera
confezione di ciambelle. Sembrava felice, mentre la sgranocchiava, e quando
passò davanti alla scrivania di Carl, gli tese la scatola dicendo “Vooi ana
ella?”
“Dillo ancora?” Carl alzò un sopracciglio.
Max roteò gli occhi e inghiottì, poi disse “Vuoi una ciambella?”
“Certo!” Carl tolse il coperchio e scelse una paffuta ciambella, poi vide Max
tornare alla sua scrivania. Lo vide sedersi, appoggiare i piedi sul ripiano e
sistemarsi la scatola in grembo. Finita la prima, aprì la scatola e ne prese
un’altra.
“Tutto bene, Max?” chiese Carl.
“Sto olo iando ana ella.” Max sorrise con la bocca piena, poi ne prese un altro
morso.
“Intendevo, prima.” chiarì Carl. “La telefonata. Va tutto bene a casa?”
“Si.” Max annuì e guardò Carl da dietro la spalla. “Nso che iz tia nando vaio.”
bofonchiò Max intorno alla ciambella. “ ma ei tta ene.”
“Cosa?” chiese Carl. Stava cercando di non ridere, ma oggi Max era proprio
strano.
“Ho detto,” ripeté Max “Penso che Liz sta entrando in travaglio, ma che stia
bene.”
“Capisco.” Carl finì la sua ciambella e si leccò le dita. “Era proprio buona.”
“Oo soo.” Max si riempì la bocca con la restante seconda ciambella e tolse il
coperchio alla scatola per prenderne una terza. “Ee anno eeamente uone …”
All’improvviso Max tolse i piedi dalla scrivania e li poggiò in terra,
sedendosi dritto, soffocando e tossendo, finché non sputò un pezzo di ciambella
sopra la scrivania.
Si stava passando una mano sullo stomaco e Carl lo guardò preoccupato,
chiedendosi se le ciambelle non gli avessero fatto venire il mal di pancia. Non
se ne sarebbe sorpreso, considerando la velocità con cui le aveva mangiate. Max
posò la scatola sul pavimento ed afferrò il telefono, mentre balzava in piedi.
Carl pensò ‘Ci risiamo?’.
Mentre aspettava che lei gli rispondesse, Max guardò l’orologio alla parete e
si pulì il mento dallo zucchero della ciambella. Suonò una volta ed il suo
stomaco si strinse. Suonò due volte e sentì un brivido corrergli per la
schiena. Suonò tre volte e fu in preda al panico. Le ginocchia gli diventarono
gelatina e finalmente sentì la sua voce dolce nell’orecchio e tirò un sospiro
di sollievo.
“Ciao, Max!” ripose Liz.
“Questa era la terza.”
“Calmati, Max.” Liz ripeté il suo mantra.
“Ma era la terza, Liz! La terza! Ogni 40 minuti!” Passò la mano sulla
scrivania, per rimuovere le briciole e i pezzetti di ciambella che aveva
sputato durante la contrazione. Non si era nemmeno accorto di averlo fatto.
“Max, siediti!” insistette Liz.
Carl vide Max agitare la mano sulla scrivania e si chiese cosa diavolo stesse
facendo. Il suo giovane collega era di nuovo seduto e Carl non poté fare a meno
di chiedersi quanto ancora sarebbe rimasto seduto, prima di alzarsi di nuovo.
“Ascoltami bene, Max.” disse Liz calma. “Se sto cominciando il travaglio,
abbiamo ancora una lunga strada da fare. Potrebbero volerci ore, forse giorni.”
“Giorni?” disse Max sottotono “ma …ma…”
“Benvenuto nel mondo del Parto.” Liz provò un gusto maligno. “Sono così felice
di dividere con te tutto questo. Ti ho detto, recentemente, quanto adoro i tuoi
poteri alieni?”
“Te la stai godendo, vero?” Max si appoggiò allo schienale della sedia e cercò
di rilassarsi.
“Se devo essere sincera …si!” rise Liz.
“Sei sicura di stare bene?” Max si avvicinò ancora al microfono, chiedendosi se
non fosse il caso di riattaccare e di andare a casa ugualmente, anche se lei
non lo voleva.
“Sto bene, Max. Ci risentiamo tra 40 minuti.”
Max la sentì ridere mentre riattaccava il telefono e rimase seduto, perso nei
suoi pensieri. Era possibile che Liz avesse cominciato il travaglio. Suo figlio
poteva forse nascere quel giorno! Matthew. Oggi, forse, avrebbe tenuto Matthew
tra le braccia. Si alzò in piedi, sentendo all’improvviso il bisogno di bere un
bicchiere d’acqua.
***
Rachel era ferma fuori dal Distretto, chiedendosi se fosse il caso di entrare.
Doveva visitare una paziente da quelle parti ed aveva deciso di fermarsi per
vedere se Carl fosse stato libero per il pranzo, ma ora che era lì non era
sicura di voler entrare. Anche se lui ci fosse stato, la loro relazione era
ancora così nuova, così recente, che lui avrebbe potuto sentirsi pressato da
lei o pensare che lei aveva passato i limiti, venendo a cercarlo al lavoro.
Cominciò a voltarsi, poi ci ripensò, salì i gradini ed entrò.
All’interno c’era un’attività febbrile e un grande andirivieni, che la fece
immobilizzare. C’era gente dappertutto, poliziotti in uniforme, agenti senza
uniforme, persone che andavano e venivano, anche qualcuno ammanettato. Era
proprio come si vedeva nei films, tuttavia era qualcosa di completamente
differente. Era tutto vero.
Si sentì spingere da dietro, e si voltò per scusarsi quando il giovane
poliziotto si scusò per primo.
“Mi dispiace, signora. Non l’avevo vista. C’è qualcosa che posso fare per
aiutarla?”
“E’ così ovvio?” chiese lei.
“Mi sembra un po’ smarrita.” sorrise l’agente.
“Sono venuta per vedere l’Agente Montoya. Sa se è qui?” chiese Rachel. Disse a
se stessa di smettere di iperventilarsi. Se lui non era lì …allora non c’era.
Se c’era …c’era. E allora avrebbe potuto iperventilarsi.
“Credo che ci sia.” disse l’uomo”Ho visto Evans poco fa rientrare nell’Unità
con una scatola di ciambelle. Quei due di solito sono insieme. Sa dove si trova
l’ufficio? L’Unità, intendo.”
“No.” Rachel scosse la testa. “Non sono mai stata qui prima d’ora.”
“Glielo mostro.” Il poliziotto la condusse oltre il caos, all’interno del
Distretto. “Prosegua per il corridoio fino a che vede sulla destra la Children
Victims Unit. Lui dovrebbe essere lì.”
Rachel lo ringraziò ed imboccò il corridoio. Non le ci volle molto per trovarla
e riuscì ad avvertire la presenza di Carl anche prima di arrivare alla porta.
Era aperta e lei non riuscì a trattenere un sorriso quando lo vide, curvo su
una cartella appoggiata alla scrivania, completamente concentrato. Bussò
delicatamente sul vetro e quando lui alzò la testa per vedere chi fosse, lei
vide che i suoi lineamenti si addolcivano in un sorriso.
“Rachel!” Carl si alzò in piedi, facendo quasi cadere la sedia dietro di lui.
Girando attorno alla scrivania, le chiese “Cosa ci fai qui?”
“Passavo da queste parti ed ho pensato di venire a vedere se eri libero per il
pranzo.” Poi inarcò le sopracciglia e chiese “Non disturbo? Voglio dire, creo
problemi stando qui?”
“Va tutto bene …” Carl balbettò, prima di riguadagnare il suo contegno. “Certo
che va bene.”
Rachel vide Max sorriderle da una piccola scrivania dall’altra parte della
stanza, e per poco non scoppiò a ridere vedendo la sua faccia. “Ciao, Max.”
“Ciao, Rachel. Passavi da queste parti?”
“Si.” disse lei decisa e sentì il calore salire alle sue guance.
Carl osservò lo scambio di parole con interesse. Max stava forse insinuando che
Rachel aveva cambiato la sua strada solo per vedere lui? Poteva solo augurarsi
che fosse vero.
“Allora …” Rachel si girò verso Carl. “Posso tentarti?”
“Puoi …” Poteva tentarlo? Che domanda carica di significati!
“Con un pranzo.” specificò Rachel.
“Pranzo?” balbettò Carl. “Un pranzo mi sembra un’ottima idea.”
“Forse a Max piacerebbe unirsi a noi.” suggerì Rachel ed entrambi si voltarono
per vederlo alzarsi in piedi ed afferrare il telefono.
“Non credo.” disse Carl e scosse la testa mormorando “Ci siamo di nuovo.”
Max, strofinandosi lo stomaco, sibilò nel telefono “E con questa sono quattro,
Liz!”
Capitolo 74
Chris e Tully entrarono in ufficio nel
loro solito modo, litigando come una coppia di vecchi coniugi. Max alzò la
testa dalla cartella che stava esaminando e fece loro un cenno. “Salve,
ragazzi.”
“Come va, Max?” chiese Chris e Tully annuì per indicare il suo interessamento.
“Ci sono delle ciambelle.” offrì, poggiando la scatola sopra la sua scrivania.
“Bene.” Tully sorrise e si diresse verso di lui.
“Le ciambelle ti faranno diventare un obeso!” lo ammonì Chris.
“Non a me!” Max strofinò la mano sopra il suo addome piatto.
“Neanche a me.” Tully se ne mise una in bocca. Masticò con energia e poi guardò
Max, facendo cenno con la testa alla ciambella, per indicare che era veramente
superba.
“Queste vi fanno male.” li mise in guardia Carl.
“Non a me.” ripeté Max.
“Neanche a me.” convenne Tully e Chris agguantò la scatola di ciambelle dalle
sue mani
“Lasciatemi vedere ‘ste ciambelle!” Chris stava giusto per portare una grassa
ciambella alla bocca, quando Carl rientrò in ufficio, ma non da solo. Chris
rimase a bocca aperta alla vista donna che stava entrando dietro al suo capo.
Era splendida. Era perfetta. Era piccante!
Carl si girò verso Rachel, proprio mentre Max spuntò fuori per mettersi accanto
a lei. Lei alzò il dito verso Carl nel gesto di ‘scusami un secondo’ e seguì
Max alla sua scrivania.
“Penso che Liz abbia cominciato il travaglio.” Max le teneva stretto il
braccio.
“Come mai?” chiese lei, sentendo la sua preoccupazione. “Cosa te lo fa
pensare?”
“E’ da tutta la mattina che sta avendo contrazioni ogni 40 minuti!” scoppiò
Max.
“Max, calmati.” sussurrò Rachel, e quasi scoppiò a ridere alla comica
espressione della sua faccia.
“Calmati? Come faccio a stare calmo? Liz sta PARTORENDO!”
“Max, sono sicura che Liz ti ha detto che questa fase del parto, se è il parto,
può andare avanti per ore.” lo informò Rachel. “Non lasciarti prendere dal
panico, ora! Quante contrazioni ha avuto?”
“Cinque!” Max stava quasi urlando, quasi non avesse ascoltato il suo consiglio
di non lasciarsi prendere dal panico.”A distanza di 40 minuti l’una
dall’altra.”
“Quando ha avuto l’ultima?” chiese Rachel.
Max guardò l’orologio e disse “Quasi un’ora fa.”
“Un’ora fa?” Rachel strinse gli occhi.” Se venivano ogni 40 minuti, ed ora è
passata più di un’ora dall’ultima, direi che non è il caso che tu ti preoccupi
adesso. Non è entrata in travaglio.”
“No?” chiese Max, sentendosi sollevato.
“No.” Rachel gli sorrise”Questo non significa che non succederà presto, ma se
prima sentivi le contrazioni ogni 40 minuti e adesso no, ci sono buone
probabilità che non stia partorendo.”
“Grazie a Dio!” Max tirò un sospiro di sollievo.
Rachel sorrise e tornò accanto a Carl. Scosse la testa pensando che Max sarebbe
stato fortunato se fosse sopravvissuto alla nascita di Matthew. Sembrava che
stesse cadendo a pezzi. Quando fu accanto a Carl, gli disse dolcemente “Grazie
per il pranzo.”
Avrebbe voluto toccarlo, baciarlo, ma tutti li stavano guardando. Carl notò il
modo in cui gli occhi di lei si guardavano attorno e si criticò per essere
stato così scortese. Appoggiandole una mano sul braccio, si voltò verso i
ragazzi e disse “Rachel, questi sono Chris e Tomas, ragazzi, questa è Rachel.”
Tully porse educatamente la mano dicendole “Mi chiami pure Tully, lo fanno
tutti. Felice di conoscerla.”
Chris fece lo stesso, dando alla sua mano una decisa e prolungata stretta. Non
poteva fare ameno di fissare Carl, chiedendosi come nel mondo fosse riuscito ad
attrarre una donna meravigliosa come quella. Bravo! Continua così, Rocky!
Dopo la presentazione, Rachel controllò il suo orologio e disse “E’ ora che
vada. Faccio appena in tempo ad arrivare in ufficio per i miei appuntamenti.”
Carl appoggiò la mano al centro della schiena di lei e la guidò verso il
corridoio. Una volta fuori dalla porta, lui si fermò e mentre Rachel si voltava
verso di lui, le disse “Sono contento che tu sia venuta. Ho gradito andare a
pranzo con te.”
“Anche io.” lei sorrise allo sguardo profondo di lui. “E’ ancora valido
l’appuntamento per stasera?”
“Certo!” Carl annuì entusiasta “Cena e cinema. Passo a prenderti alle 7.00?”
“Cosa ne dici delle 6.00?” suggerì lei.
“Alle 6.00 è anche meglio.” gli occhi di Carl brillarono. Avrebbe contato i
minuti fino a quel momento.
Ci fu un attimo di imbarazzo tra di loro, con Carl che voleva baciare Rachel e
Rachel che voleva baciare Carl. Ma c’era tanta gente intorno a loro, gente con
la quale Carl lavorava.
“E’ meglio che vada.” disse alla fine Rachel e stava girandosi per andarsene,
quando la mano di Carl si chiuse intorno al suo braccio per trattenerla. Lui
fece un passo verso di lei, con gli occhi incollati alle sue labbra, e piegò la
testa. Sembrò loro che il tempo si muovesse a rallentatore, mentre le loro
labbra si unirono. Sparirono tutti i rumori, tranne il battito dei loro cuori
che correva. Carl sentì le mani di lei appoggiarsi contro il petto, avvertendo
qualcosa di occulto proprio sotto la superficie. Era desiderio quello che lei
stava tentando di tenere a freno? Era possibile che quella bellissima donna
potesse desiderare proprio lui?
Le loro labbra si staccarono lentamente e i loro occhi si aprirono, e i loro
sguardi profondi si incrociarono. Intorno a loro tornarono i rumori e Carl
realizzò all’improvviso che la gente intorno a loro stava applaudendo.
Sbigottito, si guardò intorno e le sue guance arrossirono, quando si rese conto
che stavano applaudendo lui. I colleghi avevano fatto capolino dai loro uffici,
per vedere Carl ‘Rocky’Montoya baciare una ragazza’. Tra gli applausi, Carl
sentì acclamare
“Congratulazioni, Rocky!”
Carl sorrise imbarazzato e Rachel si appoggiò alla sua spalla. Schiarendosi la
voce, lui brontolò “Muovetevi, non c’è niente da guardare, qui!”
Era una frase tipica del linguaggio della Polizia, usata per allontanare la
folla dal luogo di un crimine o di un incidente e l’aria si riempì delle risate
della gente che tornava al suo lavoro.
“Ci vediamo questa sera.” disse Rachel con le guance arrossate e posando le sue
mani a coppa sulle guance di lui. Gli diede ancora un bacio veloce e si
affrettò verso l’uscita. Carl la vide allontanarsi con sulla faccia un sorriso
che andava da un orecchio all’altro.
***
Carl guardò ancora all’altro lato della stanza per vedere cosa stesse facendo
Max. Avrebbe dovuto controllare gli incartamenti, ma era sicuro di non averlo
visto girare una pagina da oltre mezz’ora, forse di più. Prima di pranzo era
stato un fascio di nervi, su e giù, avanti e indietro, ma ora sembrava quasi
catatonico. S’era addormentato? Con la scrivania rivolta alla parete e le
spalle a lui, Carl non avrebbe potuto dirlo. Spinse indietro la sua sedia e
traversò la stanza, diretto verso Max.
Quando fu accanto a lui e vide la sua faccia, il suo buonumore svanì. Max aveva
uno sguardo ferito negli occhi, un’espressione torturata e Carl notò sulle sue
guance i segni di lacrime versate da poco.
“Max.” gli chiese preoccupato. “Qual è il problema?”
Max abbassò la testa, coprendosi la faccia con le mani per cancellare le tracce
della sua perdita di controllo. Tirò su col naso e batté gli occhi per
liberarli dalle lacrime e solo allora si raddrizzo per guardare Carl.
Avvicinandosi una cartella, si schiarì la voce e disse “Mi dispiace. Devo
essermi distratto per un momento.”
Si chinò sulla cartella, cercando di vedere le parole, cercando di fare il suo
lavoro, ma Carl non si allontanò da lui.
Con la coda dell’occhio, Max lo vide girare l’angolo della scrivania, con le
braccia incrociate sul petto.
“Ne vuoi parlare?” gli disse Carl dolcemente.
“Parlare di cosa?” Max fece finta di non capire. Carl lo guardò e lui distolse
lo sguardo.
“Lo sai,” Carl fissò l’angolo opposto della stanza “qualche volta parlarne può
aiutare.” Guardò di nuovo Max, che stava fissando la cartella chiusa davanti a
lui. Carl rimase in silenzio, preoccupato per quel ragazzo al quale si era
molto affezionato, ma che non voleva forzare. Sciolse le braccia e diede una
stretta sulla spalla di Max, dicendo “Sono un buon ascoltatore. Se mai sentissi
il bisogno di parlare, sai dove trovarmi.”
Carl cominciò ad allontanarsi dalla scrivania, ma si fermò bruscamente quando
Max cominciò a parlare.
“Stavo pensando alla notte in cui è nata Ellie. Se solo fossi arrivato prima.
Un giorno, un’ora … se solo …”
“Max,” disse Carl con comprensione.”Avevi solo diciassette anni. Non puoi
biasimare te stesso. Ti porti addosso tutti i sensi di colpa e non sei giusto
con te stesso.”
“Tu non eri lì, Carl.” Max appoggiò i gomiti sulla scrivania e chinò la testa
tra le mani. “Tu non hai visto quello che ho visto io. Tu non hai …” provato
quello che ho provato io, pensò Max.
Proprio come ora, quel giorno lui aveva sentito le contrazioni di Liz. Aveva
sentito gli spasmi nei muscoli del suo addome crescere in frequenza man mano
che il tempo passava. Si era sentito così impotente, aspettando ed aspettando,
e quando era entrato, era troppo tardi. Aveva aspettato troppo.
Le contrazioni di Liz si erano fermate un paio d’ore prima, come si erano
fermate quella notte, e la sua mente non riusciva a dimenticare il perché. Lui
sapeva che Liz era a casa, al sicuro, ma non riusciva a togliersi dalla mente
l’immagine di lei, distesa sul tavolo operatorio e coperta dal suo stesso
sangue. Non poteva smettere di pensare al breve sguardo che Dio gli aveva
permesso di dare ad Ellie, prima che fosse portata lontano da lui, prima che
lui la perdesse.
“Max, faccio questo lavoro da molti anni. E’ diventato la mia vita. Lo vivo, lo
respiro, e c’è una cosa che vedo in continuazione, anno dopo anno. Non so più
quante volte, ho visto le vittime divorate dai sensi di colpa. Ho sentito
bambini dire che ‘se fossero stati più buoni, il loro papà non gli avrebbe
fatto del male’. Max, quello che è successo a te, a Liz e ad Ellie … non è
colpa tua. Tu sei la vittima.”
“Lo so.” disse Max così piano che Carl lo sentì a malapena.
“Lo sai, ma non permetti a te stesso di crederci.” lo pressò Carl. “Avevi
sedici anni quando hanno preso te e Liz. Sedici.” sottolineò. “ Nessun ragazzo
di sedici anni avrebbe potuto opporsi a quello che vi è successo. Se tu vuoi
dare la colpa a qualcuno, dalla a quel bastardo che vi ha fatto tutto questo.”
“Ma era mia la responsabilità di proteggere Liz, e io non l’ho fatto.” la sua
voce s’incrinò.
“Era mia la responsabilità di proteggere Michelle.” disse Carl dolcemente. “ma
non sono riuscito ad impedire che un cancro si prendesse la sua vita.”
“Carl, io …” improvvisamente Max lo guardò.
“Qualche volta le cose che accadono sono fuori dal tuo controllo.” Carl era in
piedi e stringeva di nuovo la spalla di Max. “Ora voglio che tu vada a casa.
Smonta prima. E quando aprirai la porta di casa e vedrai la tua graziosa
mogliettina, presta attenzione a come ti guarda, Liz. Lei non ti biasima di
nulla. Non farlo nemmeno tu.”
“Carl …” Max non sapeva cosa dire, sentiva solo di avere una grande affinità
con quell’uomo.
Carl si allontanò dalla scrivania e tornò al suo posto. “Va a casa, Max. E’ un
ordine del tuo Ufficiale Superiore. Carl si sedette e non poté fare a meno di
sorridere, quando Max si affrettò a riordinare la sua scrivania, mise a posto
la sedia e si diresse verso la porta, fermandosi alla scrivania di Carl.
“Carl …” Max toccò nervosamente una cartella appoggiata nel cestino. Il suo
sguardo si alzò lentamente per incontrare quello dell’uomo più anziano e disse
esitante “Grazie … per avermi lasciato parlare …per avermi ascoltato.”
“Ogni volta che vuoi, Max.” Sapeva quanto fosse difficile per lui aprirsi. Era
un uomo pieno di segreti e Carl sperava che un giorno Max si sarebbe fidato
abbastanza da volerli dividere con lui. Desideroso che il suo giovane collega
tornasse a casa, Carl gli disse “Vai via. Tua moglie ti sta aspettando. Ci
vediamo lunedì. Fino ad allora, fai un buon fine settimana.”
“Anche tu.” sorrise Max, sentendosi l’animo più leggero. “Anche tu.”
***
“Liz!” chiamò forte Max aprendo la porta di casa. “Liz!”Aveva avuto paura per
tutto il pomeriggio, preoccupato per lei, incapace di distogliere la mente dal
passato o dalla paura che il passato potesse ripetersi. Quando quella mattina
aveva sentito le contrazioni, era stato troppo eccitato per pensarci, ma quando
si erano fermate, era stato allora che la sua mente aveva recuperato tutte le
sue paure e le sue preoccupazioni. Ora che era a casa, poteva rilassarsi.
Questa volta era con lei. Niente di brutto le sarebbe accaduto, finché lui le
fosse stato accanto. Lui non l’avrebbe permesso.
“Max, qual è il problema?” Liz accorse dalla cucina. “Come mai sei a casa così
presto?”
“Perché non riuscivo a stare un altro minuto lontano da te!” lui si affrettò a
raggiungerla. “Ho una cosa per te.”
“Cosa?” gli chiese, cercando di sbirciare cosa avesse dietro la schiena.”Cosa
stai nascondendo? Hai comprato un’ altro animale di stoffa per Matthew? Max!”
“No, Liz.” Max scosse la testa, sorridendo da un orecchio all’altro.”Questo è
per te. Solo per te.”
Max tolse le mani da dietro la schiena e, invece dell’orsacchiotto che si era
aspettata, Max gli porse uno enorme Pegaso, un cavallo bianco col ali
delicatissime.
“Max!” gridò Liz. “L’ hai comprato per me?”
“Non proprio.” sorrise Max. “Non riuscivo a trovare un cavallo con le ali,
allora ho comprato un Unicorno. Poi ho tolto il corno ed ho aggiunto le ali.”
“Oh, Max.” sospirò lei “E’ perfetto. Tu sei perfetto.” Si alzò in punta di
piedi per baciarlo, poi si diresse in camera da letto, portandosi dietro il
Pegaso.
Guardando da dietro la sua andatura ondeggiante, Max non poté fare a meno di
pensare a quello che gli aveva detto Carl, e si rese conto che aveva ragione.
Quando lei era uscita dalla cucina, quando il suo sguardo si era posato su di
lui, lui aveva visto una sola cosa. Non era biasimo. Non era accusa. Non era
rimpianto per quello che aveva passato a causa sua. L’unica cosa che aveva
visto negli occhi di lei quando lo aveva guardato era la profondità di un amore
che non cede davanti a niente.
“Liz?” disse dolcemente, stando sulla soglia della porta.
“Cosa c’è, Max?” lei si fermò, girandosi per guardarlo.
Lo sguardo di Max era incollato su di lei che stava in mezzo al soggiorno,
dall’aspetto così piccolo e fragile. Ma dentro, nel suo cuore e nella sua
mente, lei era la persona più forte che lui avesse mai conosciuto. La sua forza
interiore non avrebbe mai smesso di stupirlo.
“Io volevo … volevo solo che sapessi … ti amo, Liz.” La guardò, con quell’aria
così vulnerabile.”Voglio che non te lo dimentichi mai.”
Liz si avvicinò, poggiando Pegaso sul divano per poterlo abbracciare.
Stringendola a sé, Max avvertì un senso di completezza.Voleva stare con lei,
stringerla come stava facendo ora. Niente era paragonabile a come si sentiva
quando era con lei. Le diede un bacio sulla sommità della testa, pensando che
avrebbe potuto stringerla così per sempre. Ma Madre Natura aveva altri piani.
Tutti e due rimasero senza respiro al sopraggiungere di un’altra contrazione.
Capitolo 75
Max camminava avanti e indietro nella
loro camera da letto, mentre Liz era seduta sulla sedia a dondolo che avevano
preso dalla stanza di Matthew e si stava mordendo il labbro inferiore, nel
tentativo di non ridere di lui. Era veramente adorabile mentre si muoveva senza
sosta per la stanza.
“Ho messo le lenzuola pulite nel letto.” Max stava ricontrollando la lista di
tutte le cose che dovevano essere pronte per la nascita di Matthew.
“Fatto.” Liz spuntò la lista che Max aveva accuratamente steso.
“E ci sono un sacco di asciugamani puliti.” e indicò la pila che aveva
predisposto sul guardaroba.
“Fatto.” Liz fece un altro segno.
“E il tuo punto focale è sul guardaroba, accanto agli asciugamani.” e indicò la
statua di Pegaso.
“Fatto.” Liz fece un altro entusiastico segno.”Oh! Voglio Peggy! vado a
prenderlo.” cominciò ad alzarsi dalla sedia quando Max la fermò.
“No, non lo farai.” lui avanzò con decisione verso di lei.”Stai ferma lì. Vado
io.” Si fermò nel vano della porta, dando a Liz uno sguardo interrogativo e
chiese “Chi è Peggy e perché ha un nome di ragazza?”
“Peggy è l’ animaletto imbottito che hai portato a casa.” rise Liz. “E’ in
soggiorno, sul divano.”
“Oh.” Max scomparve nel corridoio e tornò un minuto dopo con il grande orso
bianco sotto il braccio, mormorando “Mi dispiace per te, amico, perché ti hanno
appiccicato un nome come Peggy.”
“Mettilo nel letto, vicino al cuscino.” lo istruì Liz.
“Si, signora.” Fatto questo, Max si guardò intorno dicendo “Dove eravamo
rimasti?”
“Devo fare pipì.” annunciò lei. Cominciò ad alzarsi in piedi e Max corse subito
ad aiutarla. La sostenne dalla vita, mentre si dirigeva in bagno e, arrivati al
vano della porta, lei si fermò e sospirò. Guardando verso di lui, gli disse
“Max, penso di essere capace di fare pipì da sola.”
Lui la guardò, quasi non fosse sicuro di questo, poi la lasciò andare in bagno
da sola. “Però lascia la porta aperta.” insistette lui e Liz roteò gli occhi.
“Mi sta facendo impazzire.” mormorò, sedendosi sulla toletta.
“Cosa hai detto?” chiese Max dalla stanza da letto.
“Ho detto che ti amo.” rispose Liz ad alta voce.
“Anche io ti amo, Baby. Non hai ancora fatto?”
“Si.” Liz roteò gli occhi di nuovo.”Sarò lì tra un secondo.” Si girò per tirare
l’acqua e lanciò un’occhiata dentro la tazza. “Oh.”
“Oh? hai detto ‘Oh’?” Max infilò la testa nel bagno e chiese “Perché hai detto
‘Oh’?”
“Ho appena perso il mio tappo di muco.” Liz sorrise, ondeggiando dietro di lui
e andando in camera da letto.
“Tu hai appena perso cosa?” Max sentì subito le ginocchia farsi gelatina.
Sapeva cosa significava. Il tappo di muco bloccava la cervice, impedendo ai
batteri e ad altre cose nocive di raggiungere il bambino. Se aveva perso il
tappo mucoso, voleva dire … che il bambino …stava arrivando … oh, accidenti.
Aveva bisogno di sedersi.
“Credo che dovrei chiamare Rachel.” Liz si diresse verso il letto e si sedette
sul bordo. Mentre prendeva il telefono, lanciò un’occhiata a Max e vide quanto
fosse diventato pallido. Ora era seduto sulla sedia a dondolo, con le mani
serrate sui braccioli. Compose in numero di Rachel ed aspettò, mentre il
telefono squillava.
“Forse non c’è.” disse Max apprensivo. “E se non ci fosse? E se non riuscissimo
a contattarla?”
“Ciao, Rachel.” Liz guardò caustica verso Max. “Sono Liz …Sto bene. Max è nel
panico … si … Ho appena perso il tappo di muco …si … si … le contrazioni sono
cominciate circa due ore fa … si … ogni venti minuti … okay …okay okay. Ne
parleremo dopo. Okay. Ciao.”
“Cosa ha detto?” chiese Max ancora prima che lei staccasse il telefono
dall’orecchio.
“Ha detto che stiamo per avere un bambino.”
***
Proprio mentre chiudeva la comunicazione, Rachel sentì suonare il campanello e
guardò l’orologio. Erano le sei precise. Attraversò di corsa la stanza e s
fermò davanti alla porta d’ingresso per aggiustarsi i capelli e la gonna, prima
di aprire. Aprì, e lì, nel suo portico, c’era Carl, con un aspetto rilassato e
affascinante.
Quella sera non portava la cravatta ed i primi due bottoni della camicia bianca
erano aperti. Rachel poteva scorgere la scura peluria sul suo petto, ed
inconsciamente si inumidì le labbra. le piacevano gli uomini con i peli sul
petto. Quella sera Carl indossava dei jeans, blue jeans scoloriti e lei non
poté fare a meno di notare come gli aderissero ai fianchi. Si decisamente gli
aderivano molto bene. Accidenti, che bei fianchi aveva! Anche belle braccia. Si
era arrotolato le maniche lunghe della camicia fino a metà degli avambracci ed
il suo fisico muscoloso era piuttosto evidente. Con le maniche così arrotolate,
aveva messo in evidenza i suoi muscoli e la sua pelle dorata. Carl non era
alto, ma aveva una costituzione potente. la sua lingua passò sulle labbra
ancora una volta.
“Ciao.” Carl sorrise alla sua vista. “Non sono in ritardo, vero?”
“Giusto in tempo.” Rachel indietreggiò per lasciarlo passare.
Lui la seguì in casa, cercando di non notare come l’abito le fasciava le curve.
Lei si fermò all’improvviso e lui le fu quasi addosso, mentre lei si voltava
verso di lui. Erano distanti solo pochi centimetri e lui si costrinse a non
vedere come la camicetta gialla mettesse il risalto il suo seno.
Non guardare. Non guardare. Guardò. Non riuscì a non farlo.
“Per la cena …” disse Rachel, poi lo sguardo acceso di Carl le fece perdere il
filo del discorso. Non credeva che avrebbe mai visto qualcuno lanciarle
un’occhiata come quella. Sentì le mani di lui sui suoi fianchi e poi le labbra
di lui si posarono sulle sue. Le morbide, calde, sensuali labbra di Carl. Lei
pensava che avesse le labbra più stupefacenti, e i suoi baci … il modo in cui
la baciava … non aveva mentito a Liz quando le aveva detto che sapeva baciare
bene. Mentre appoggiava le braccia sulle sue ampie spalle si chiese cos’altro
sapesse fare bene.
Ll telefono suonò e Rachel si staccò riluttante da lui. Non riusciva a staccare
lo sguardo dalle sue labbra e Carl le disse, con voce bassa e con le mani
ancora appoggiate ai fianchi “Vuoi andare a rispondere?”
Lei annuì distrattamente, quando il suono insistente del telefono la strappò ai
suoi ardenti pensieri. Attraversò la stanza, guardando ancora verso Carl mentre
rispondeva al telefono.
“Pronto? Oh, ciao Max! …si, sono ancora qui …si …stasera? Probabilmente … è
ancora nella prima fase del parto …sai, potrebbe durare per ore … è la sua
seconda gravidanza, quindi dovrebbe fare più in fretta della prima volta …si,
ho preso tutto … non l’ho dimenticato, è nella mia borsa … Max, questo non è il
mio primo parto …Qualcosa da mangiare? Quando ha fatto l’ultimo pasto? …
Qualcosa di leggero, toast o brodo o succo di frutta vanno bene … Max, tu puoi
mangiare tutto quello che vuoi. Tu non stai partorendo … mi dispiace, l’avevo
dimenticato … si, lo so … Max, ora sto andando a cena fuori. Chiamami al
cellulare se cambia qualcosa … come ad esempio se si rompono le acque … si, se
succede qualcosa del genere, chiamami …si, se non ti sento, chiamerò appena
finito di cenare … si, un film, ma … no, non andrò al cinema senza averti prima
chiamato …Max, rilassati. Ci vediamo presto.”
Carl vide Rachel riattaccare il telefono e scoppiò a ridere. “Questo era Max.”
“Si.” anche Rachel rise. “Puoi capire perché sia così nervoso, tuttavia …povera
Liz! Credo che la stia facendo impazzire.”
“So che oggi, al lavoro, stava facendo impazzire me!”
“Carl,” Rachel si avvicinò a lui e gli appoggiò una mano sul petto. “Per il
film, penso che il piccolo Matthew Evans abbia altri piani per me. La cena non
è un problema, ma dopo vorrei veramente andare a casa loro. Non hanno nessuno
qui, voglio dire, i loro familiari sono tutti a Roswell, così credo che sia il
caso che vada da loro abbastanza presto. Mi dispiace.”
“Non è un problema.” Carl le accarezzò il braccio.” Verrò con te. Inoltre,
vedere Max è meglio che andare al cinema.”
***
Max prese il telefono e formò il numero, ascoltando impaziente mentre suonava
sull’altro capo della linea. Al quarto squillo sentì la voce di Maria dire
‘Pronto’ e spiattellò “Liz sta per partorire. Spargi la voce. Ciao.”
“Max, ma che hai fatto?” Liz lo guardò con aria interrogativa.
“Ho appena detto a Maria che stai per partorire. Perché?” La stava guardando
con un dito sul tasto di disconnessione del telefono e con l’altra mano che
reggeva il microfono all’orecchio.
“C’era la segreteria telefonica?” chiese Liz.
“No. Era lei.” la guardò accigliato. Il tempo stava passando e lui aveva tante
altre cose da fare.
“Gli hai sparato la notizia e lei hai chiuso il telefono in faccia?” chiese Liz
divertita.
“Um …si.” Cosa c’era di sbagliato?
Il telefono suonò e Liz allungò una mano. Sapeva già chi era. Lui le passò il
telefono e Liz sentì la voce isterica di Maria uscire dalla linea, forte e
chiara. “Ciao, Maria … si …circa due ore fa …Rachel dice che dovrebbe nascere
prima di mezzanotte … Si, Maria, lo so che è venerdì 13. Max non ha voluto che
uscissi, oggi … Stai venendo? … Anche Michael? … Davvero? … Davvero? Quando?
…Maria, sono così eccitata! Non ti vedo da Natale! … Guida piano …okay …voglio
… vogliamo … vedervi presto … ciao!”
“Stanno venendo?” chiese Max, dopo che lei ebbe riattaccato.
“Stanno venendo tutti.” rise Liz. “Maria ha sparso la voce in un batter
d’occhio. Credo che domani avremo la casa piena.”
***
“Era buonissimo.” Rachel sorrise mentre prendeva il tovagliolo e lo posava
accanto al suo piatto. Aveva appena finito di mangiare una meravigliosa cena in
un pittoresco ristorante italiano e Carl stava chiedendo il conto.
“Sono molto parziale, nei confronti di questo posto.” disse Carl sorridendo.
“Mario non è molto bravo ad organizzare matrimoni, ma fa degli incredibili
Maccheroni al formaggio.”
“Organizzare matrimoni?” Rachel inarcò le sopracciglia e avvertì uno strano
senso di gelosia, che la lasciò stupita.
“Mario ha sei figlie.” rise Carl. “Il cibo è così buono che sono venuto qui
tantissime volte in questi anni e credo che Mario abbia pensato che era suo
compito farmi fermare.
“Sono contenta che sia migliore come cuoco che come organizzatore di
matrimoni.” disse Rachel, poi arrossì per la sua ammissione. Non aveva avuto
intenzione di essere così manifesta.
“Anche io.” precisò Carl. Per quanto fosse arrugginito nel corteggiamento,
voleva che Rachel capisse cosa provava. Era importante che sapesse che lui
voleva di più di una occasionale cena fuori, o della possibilità di tenerle la
mano al cinema. Voleva molto di più di questo.
“Devo andare a controllare Liz.” Lei distolse lo sguardo, sentendosi in preda
alle vertigini. Poteva quasi sentire le sue labbra su di lei. Formato il numero
sul suo cellulare, sorrise a Carl , in attesa della risposta.
***
“Liz, posso farlo io.” si lamentò Max da dietro le sue spalle. “Tu dovresti
sederti.”
“Max.” Liz si girò dal lavandino della cucina, guardandolo oltre la sua spalla.
“Nelle prime fasi del parto, è meglio tenersi in moto. L’ ha detto anche
Rachel, quando ha chiamato un minuto fa. Inoltre, tra un po’ sarò distesa nel
letto, maledicendo il tuo nome, così fino a che puoi, rilassati.”
“Maledicendo il mio nome?” Max quasi si soffocò.
Lei chiuse il rubinetto e si asciugò le mani su una salvietta, avvicinandosi a
lui. “Se lo farò, non prendertela.” gli sorrise dolcemente “ E’ una cosa
temporanea. Il fatto che anche tu puoi sentire le contrazioni mi farà stare
meglio.”
“Ci stai provando un gusto maligno, vero?” Max lasciò andare una risatina.
“Si, io …” e si piegò su se stessa all’arrivo di una forte contrazione. Max
strinse i denti mentre anche lui la sentiva e andò verso di lei, guardando
l’orologio della cucina. 15 minuti. Ora arrivavano ogni 15 minuti ed erano
diventate più forti. Quando fu passata, lei si raddrizzò e fece un respiro
profondo. Si appoggiò saldamente a Max, il sorriso svanito dalla sua faccia, e
gli disse dolcemente “Sono così contenta di vivere tutto questo insieme a te.”
“Anche io, piccola.” Lui appoggiò la mano dietro la testa di Liz e se la
appoggiò sul petto.”Anche io.” Le diede un bacio sulla testa e chiuse gli
occhi, poggiando il mento contro di lei, cercando di non ricordare una notte di
due anni, sette mesi e ventisette giorni prima, quando aveva dovuto vivere
tutto questo da sola.
***
Mary si sporse sulla vasca da bagno, per risciacquare lo shampoo dai lunghi
capelli di Jenny. La bambina era seduta e cercava ti togliersi l’acqua dagli
occhi. “Acciugami.”
“Eccomi, tesoro.” Mary le picchiettò la faccia per togliere l’acqua. “Sei
pronta per uscire, adesso?”
“Un minuto.” ed Ellie fece schizzare le bolle di schiuma.
Mary sorrise alla bambina. Come le piaceva giocare nel bagno. Le spezzava il
cuore sapere che Jenny non avrebbe mai potuto giocare in una piscina o
nell’acqua dell’oceano. Sembrava così sana e perfetta, e a Mary venne un
brivido al pensiero di quello che il sole avrebbe potuto fare alla sua cara
bambina.
“Sono pronta.” annunciò Ellie alzandosi in piedi. Mary la fece uscire dalla
vasca e la mise in piedi sul pavimento, avvolgendola nell’asciugamano.
Mary la stava asciugando delicatamente, per non danneggiarle la pelle, quando
Ellie sobbalzò e si piegò in avanti.
“Jenny, cosa c’è, amore?”
“La mia pancia fa male.”
“Non ti senti bene, cara?” le chiese Mary preoccupata. Non aveva mai visto
Jenny ammalata. Non un raffreddore, non un’influenza, mai avuta la febbre nella
sua intera vita.
“E’ passato.” dichiarò Ellie quando il dolore finì e corse via in direzione
della sua stanza, inseguita da Mary con l’asciugamano.
“Aspetta, Jenny!” rideva “Devo ancora asciugarti i capelli.” Quando raggiunse
la stanza da letto, guardò dentro per vedere Ellie nuda accanto al letto, che
giocava con la sua bambola. “Jenny, fatti vestire prima di morire di freddo.”
Mary prese da un cassetto una camicia da notte, mentre Ellie continuava a
giocare. Mary si sedette sul letto accanto alla bambina e si chinò verso di
lei, dicendole “Infilati queste.”
Ellie posò la bambola ed infilò prima un piede, poi l’altro in un paio di
mutandine. Tese in aria le sua braccia per permettere a Mary di farle indossare
la camicia da notte. Quando la sua testa riemerse, Ellie passò le sue braccia
intorno al collo di Mary e le diede un bacio su una guancia.
“Ti voio bene, May.” disse Ellie con tenerezza, poi riprese la sua bambola.
“Anche io ti voglio bene, Jenny.” sorrise Mary. Non aveva avuto la fortuna di
sposarsi e di avere una famiglia, ma Jenny era la figlia, o meglio la nipote,
che non aveva mai avuto. Ora Ellie stava strofinando la pancia della bambola.
“Cosa stai facendo, cara?”
“Mamma sta pe avee un bambino. Anche la sua pancia fa male.”
Povera bambina, Mary scosse amaramente la testa. Non aveva mai conosciuto sua
madre eppure aveva fantasie su di lei tutti i giorni. “Vieni, piccola.” Mary la
prese per mano, quando la vide sbadigliare e strofinarsi gli occhi. “Fatti
lavare i dentini e così ti metto a letto.”
Ellie prese la mano che le veniva tesa e camminò dietro la donna anziana verso
il bagno, proprio di fronte alla sua stanza. Con lo spazzolino in una mano,
salì sullo sgabello che usava per raggiungere il lavandino e cominciò a
strofinarsi i denti con attenzione. Si fermò improvvisamente e Mary notò che si
stava ancora strofinando la pancia.
“La tua pancia ti fa ancora male?” chiese Mary con aumentata preoccupazione e
poggiò il palmo della mano sulla fronte di Ellie. Non sembrava avesse la
febbre, eppure Mary non poté fare a meno di preoccuparsi.
“Passato.” disse Ellie, e sputò il dentifricio nel lavandino.
“Sei sicura?” si agitò Mary. “Ora ti senti bene, cara?”
“Si.” Ellie saltò giù dallo sgabello e tornò in camera. Infilandosi nel letto,
Ellie mise la bambola accanto a lei, sotto le coperte, dandole un bacio sulla
guancia.
Dopo averle dato la buonanotte, Mary si diresse verso la porta e chiuse la
luce. Guardò ancora Ellie per un momento e, sentendosi inquieta, andò verso lo
studio del Dottore. Forse era stata solo una sciocchezza ormai passata, ma lui
doveva essere al corrente se qualcosa non andava in sua figlia.
***
Liz risciacquò l’ultimo piatto e lo porse a Max per asciugarlo. Guardandosi
intorno, fu soddisfatta che la casa fosse presentabile. Era in piedi, in
cucina, persa nei pensieri, con le mani sui fianchi. Poi gli chiese “preparo il
caffè?”
“Lo faccio io.” Max mise il piatto nella credenza e prese la scatola dove
conservavano il caffè. Liz aveva ragione, si disse mentre camminava per la
cucina. Era meglio tenersi occupati, attivi, e non pensare alla prossima
contrazione.
Il suono del campanello interruppe il silenzio della casa e Liz disse “Tu vai
ad aprire ed io preparo il caffè”
Max annuì e traversò la stanza per andare alla porta. Aprì la porta e si sentì
pervadere da una sensazione di sollievo. Annie e Josh erano arrivati. Loro
avevano già fatto due volte quell’esperienza e Max improvvisamente non si sentì
più così solo.
“Josh! Annie! venite. Liz è in …”
Proprio allora uno spasmo passò per il suo addome, seguito immediatamente dal
rumore di qualcosa che era caduto. “Liz!” gridò Max terrorizzato, correndo in
cucina ed aspettandosi il peggio.
Era scivolata? Era caduta? Si era fatta male?
Arrivato in cucina, la vide in piedi vicino alla caffettiera, e sul pavimento,
il contenitore in pezzi ed il caffè sparso intorno ai suoi piedi. Le doveva
essere caduto quando era arrivata la contrazione.
“Liz, stai bene?” Max si precipitò accanto a lei, notando che era ancora
piegata. “Cosa c’è che non va?”
“Si sono rotte le acque.” disse calma Liz e fu allora che Max notò i suoi
pantaloni bagnati ed il fluido sul pavimento.
“Si sono rotte le acque?” ripeté Max stordito. Che frase strana. L’acqua non si
può rompere. L’acqua era liquida. L’acqua era fluida. L’acqua cola o scorre. ma
non si può rompere.
Annie lo spinse da una parte e mise un braccio intorno alla vita di Liz. “Credo
che dovremo ripulirti.” Liz annuì e le due donne si lasciarono dietro i due
uomini immobili. Quando ebbero lasciato la cucina, Annie indicò la macchia sul
pavimento e disse a Max “Vorresti dare una pulita?”
“Dove sono Amber e Joey?” chiese Liz, quando arrivarono in camera.
“Passeranno la notte con Daniel e Sarah.” Annie spinse Liz in bagno. “Ti
mandano i loro saluti. Ora, dimmi tutto quello che è successo.”
“Ho avuto delle contrazioni, questa mattina, ma all’ora di pranzo si sono
fermate. Sono ricominciate verso le 4 e ora vengono ogni 15 minuti circa.
“E quanto durano?” chiese Annie prendendo un asciugamano dall’armadio della
biancheria.
“Mezzo minuto, forse. Ma stanno diventando più lunghe.” Liz si calò i pantaloni
e prese l’asciugamano dalle mani di Annie.
“Dovresti mettere qualcosa di più comodo.” suggerì Annie. “Visto che le acque
si sono rotte, probabilmente avrai delle perdite. Controlla se il liquido
amniotico è chiaro. Rachel lo vorrà sapere. A proposito, dov’è Rachel?”
“Sta arrivando.” Liz fece un sorriso malizioso. “La sta accompagnando Carl.
Sono appena stati a cena insieme.”
“La cosa si sta facendo seria? Annie alzò le sopracciglia.
“Credo di si.” Liz era quasi gongolante. “Credo che sia quello giusto. Rachel è
pazza di lui e, a giudicare da come la guarda, Max dice che anche lui è un caso
disperato!.”
***
Carl si fermò di fronte alla casetta, dall’immacolata facciata e dal giardino
pieno di cespugli di rose. Rachel scese dalla parte della passeggero e Carl
aprì il portello posteriore per prendere la sua borsa da medico.
“Sei sicura di avere tutto quello che vuole Max?” scherzò Carl.
“Sicuramente lo spero.” rise Rachel. Il suo cellulare squillò di nuovo proprio
mentre era davanti alla porta. Prese il telefono dalla borsa e mentre diceva
‘Pronto?’, la porta si aprì.
Max era nel vano con il telefono all’orecchio e quando disse ‘Rachel’, lei non
lo udì provenire solo dalla sua bocca, ma anche nel proprio orecchio. “Sei qui.
Le acque di Liz si sono rotte.”
“Quando?” chiese lei e poi entrambi chiusero i loro telefoni con una ironica
espressione sulla faccia, prima di metterli via.
“Solo qualche minuto fa.” Max rivolse gli occhi all’interno della casa. “Era in
cucina quando è successo.”
“E dov’è ora?” chiese Rachel entrando.
“In camera da letto.” rispose Max e Rachel pensò che aveva un aspetto un po’
scioccato. “Annie è con lei.”
“Bene, so dove c’è bisogno di me.” sorrise Rachel e si diresse verso Liz.
“Hey, Max!” Carl gli diede una manata sulla spalla e chiuse la porta. “E’ stato
un giorno tranquillo per te?”
“Davvero!” bofonchiò Max.
Carl rise e, quando Josh uscì dalla cucina, qualcosa scattò nella sua mente.
Avvertì di nuovo quella pungente sensazione alla nuca, quella che aveva sempre
quando stava per scoprire qualche cosa di importante. Improvvisamente, le
parole che Mark Lakely alcuni giorni prima al telefono gli furono chiare.
“Ha detto che avevano preso quella ragazza incinta ed un uomo in coma.”
“Un uomo in coma?” Carl scrisse le parole ‘femmina’ e poi ‘incinta’. Poi si
spostò sulla parte destra del foglio e scrisse ‘maschio’ seguito dalle parole
‘in coma’.
“Sembra che l’uomo non fosse molto importante. Era la ragazza che interessava
loro, e il bambino.”
“Come era l’aspetto della ragazza? Come si chiamava?”
“Lui non lo sa. Non l’ha mai vista. La chiamavano soltanto Soggetto B.”
“Cosa mi dici dell’uomo? Lasciami indovinare, lo chiamavano Soggetto A?”
“No.” rispose Lakely “Lui aveva un nome, o almeno un primo nome. Sembra che
qualcuno dei tecnici avesse lavorato con lui. Si chiamava Joshua. Non ha mai
sentito il suo cognome.”
“Ciao, Carl.” Josh gli tese la mano e Carl la strinse. “Sono felice di vederti
di nuovo.”
“Come va?” chiese Carl, mentre la sua mente correva. Liz era stata tenuta alla
Haystack Mountain, insieme ad un uomo di nome Joshua. Joshua era stato in coma.
Forse per una ferita? Forse per una lotta durante un tentativo di salvataggio?
Un imprevisto che aveva permesso ad uno solo dei prigionieri di scappare?
poteva essere il Joshua che era stato con Liz?
“Carl! Ho bisogno della borsa!” chiamò Rachel dalla stanza da letto.
“Sembra che stasera siano le donne a comandare.” Carl rise e si diresse nella
stanza da letto, lanciando un’occhiata a Max e a Josh mentre si allontanava.
Doveva ancora prendere contatto con la guardia di sicurezza di cui Wakely gli
aveva parlato e, se avesse deciso di farlo, avrebbe mandato Chris e Tully a
prelevarlo e a portarlo alla Stazione. C’erano un sacco di domande che gli
mulinavano in testa e per le quali non aveva le risposte, ma era solo questione
di tempo.
Capitolo 76
Max stava osservando Rachel mentre posava
lenzuola sterili sul letto, lenzuola del genere che gli faceva accapponare la
pelle. Erano verdi, lo stesso verde che aveva coperto Liz già una volta, in un
altro posto, nella casa degli orrori. Liz era in bagno per cambiarsi la camicia
da notte e Max non voleva che li vedesse.
“Rachel, è proprio necessario?” chiese quietamente “ Ho appena cambiato le
lenzuola nel letto. C’è bisogno anche di queste?”
“Sono sterili, Max.” Rachel gli strinse il braccio. “Le altre non lo sono.”
“Ma …” Max le guardò. Tremava, mentre una fila di immagini, di ricordi,
invadeva la sua mente. memorie di Liz in sala operatoria. Il sangue. tanto
sangue. L’incisione aperta sul suo addome. L’incubo che ancora lo feriva.
“Max?” disse Rachel con la preoccupazione incisa sulla faccia. Era diventato
così pallido. “Cosa c’è che non va?”
“Puoi almeno cambiare colore?” disse Max sottovoce.
Rachel cominciò a capire cosa lo stesse sconvolgendo. “Certo, Max. Mi dispiace,
avrei dovuto pensarci.”
La sua mano tremava nel toccare l’angolo del lenzuolo, mentre lo cambiava da
verde in azzurro pallido, il colore del cielo. A Liz sarebbe piaciuto quel
colore, Max ne era certo. Si girò per guardarla, mentre usciva dal bagno con la
camicia da notte scelta proprio per questo evento, fatta in cotone e con
disegnati dei bambini che giocavano con dei cagnolini. Max aveva riso, quando
lei l’aveva scelta, e ora sorrideva ancora, cercando di scacciare via i
pensieri tormentosi di un momento prima.
Lei stava dirigendosi verso il letto, quando fu colta da un’altra contrazione e
Max corse al suo fianco, per aiutarla mentre lei si concentrava nella
respirazione, Le sue mani le strofinarono la pancia, usando massaggi e magie
aliene per alleggerirle il disagio. Il parto era un processo naturale e lui non
poteva toglierle il dolore, ma poteva renderglielo più facile da sopportare.
Liz fece un respiro profondo mentre la contrazione finiva, poi i loro occhi si
incontrarono, e Liz fu grata del suo amore e preoccupata del fatto che lui
cercasse di nascondere che era preoccupato a morte.
Sollevando lo sguardo dall’orologio, Rachel le disse “ Ci sono 8 minuti tra le
contrazioni. Salta sul letto, che controllo i tuoi progressi.”
***
“Allora, Josh,” disse Carl “Da quanto tempo lavori con tuo padre?”
I due uomini erano seduti in soggiorno, Carl sul divano e Josh sulla sedia
blue. Avevano chiacchierato un po’, nelle ultime due ore, mentre entrambi si
chiedevano come stessero andando le cose in camera da letto. Max ne era venuto
fuori una mezz’ora prima, con l’aspetto un po’ nervoso, ma con l’aria di
reggere la situazione. Era rientrato in camera con una tazza di cubetti di
ghiaccio e da allora, non l’avevano più rivisto.
“Da poco più di due anni.” rispose Josh. “Papà aveva bisogno di aiuto e gli
affari aumentavano velocemente. Così ho deciso di unirmi a lui.”
“Lavora nell’ import-export, vero?” chiese Carl.
“E’ così.” annuì Josh.
“Cosa facevi prima?” Carl cercò di non dare l’impressione di un interrogatorio.
“Tecnologia medica.” rispose Josh e cambiò posizione, accavallando le gambe.
“E’ stato un cambio notevole.” Carl provò ancora la strana sensazione sulla
nuca. Josh era stato un tecnico di medicina? Come il tecnico medico di nome
Joshua che era in coma nel laboratorio governativo insieme a Liz?
“Oh, sai,” commentò Johnson “Le cose cambiano. Annie ed io volevamo tornare a
Phoenix e a papà serviva un aiuto, così lavoro con lui a allora.”
“Oh, così siete rientrati a Phoenix. Dove vivevate prima?”
“New Mexico.” disse Josh senza pensarci.
“Dove, esattamente?” lo pressò Carl. “E’ stato lì che hai incontrato Max e
Liz?”
“Uhm …” Josh esitò, poi fu interrotto da Annie che usciva dalla stanza da
letto. “Hey, tesoro, come sta andando lì dentro?”
“Bene.” Annie si avvicinò a lui e gli strinse la mano. “Liz sta andando bene e
Max è un soldato di cavalleria. Le contrazioni sono …” si fermò a metà della
frase e guardò in direzione di Carl. Era stata così presa da quello che
succedeva nell’altra stanza, che stava quasi per dire quanto fossero forti le
contrazioni che sentiva Max. Non aveva mai finito di stupirsi di quanto fosse
forte la connessione tra Liz e Max, e questo ne era proprio un altro esempio.
Durante il suo parto, Josh non aveva sentito niente rispetto a quello che Max
stava sentendo. “Le contrazioni ora arrivano ogni 6 minuti, ma è dilatata solo
di 10 centimetri. Ci vorrà ancora un po’.”
“Non si può mettere fretta a Madre Natura.” sentenziò Carl.
“Non è vero.” rise Annie e si diresse in cucina.
“Così,” Josh fece prendere alla conversazione un’ altra direzione. “Tu sei
stato un pugile!”
***
“Okay, Max.” Rachel lo guardò mentre indossava il suo camice verde da chirurgo
ed Annie glielo allacciava dietro le spalle. “Tocca a te. Dobbiamo tenere il
posto più libero possibile dai germi, e allora devi toglierti gli abiti che usi
per tutti i giorni. Ci sono un paio di pantaloni sterili, nella borsa accanto
alla parete. Devi metterteli. E devi coprirti le scarpe o togliertele, se ti
senti più a tuo agio, e metterti le soprascarpe sterili.”
Max guardò verso Liz, che stava cercando di riposare tra una contrazione e
l’altra. Aveva gli occhi chiusi e sembrava calmo anche il suo respiro.
Attraversò la stanza per aprire la borsa, ed il suo stomaco si strinse ancora
una volta, quando vide gli odiati pantaloni verdi. Chiuse gli occhi, tentando
di contrastare un brivido, e poi sentì Rachel accanto a lui.
“Li puoi far diventare del colore che vuoi, Max.” gli disse dolcemente “se
questo te lo rende più facile.” Lui le sorrise quasi inconsciamente, sollevato
dalla sua consapevolezza. “Puoi far diventare giallo il mio?” gli chiese.
Lui annuì, prendendo l’orlo del camice tra le dita ed il colore di un raggio di
sole risalì per il braccio, traversò il torso per espandersi sull’altro braccio
e verso il basso. “Grazie.” Gli fece un largo sorriso e lo lasciò perché
potesse cambiarsi.
Max tolse i pantaloni dalla borsa e li tenne stretti nel pugno chiuso,
dirigendosi verso il bagno. Una volta dentro, chiuse la porta e vi si appoggiò
contro, combattendo contro la voglia di gettarli lontano. Le ferite erano così
profonde, i ricordi così terrificanti, che erano difficili da tenere a bada.
Uno spasmo di dolore passò per il suo addome, e lui chiuse fuori il passato,
sapendo che Liz aveva bisogno di lui. Rudemente si infilò i pantaloni,
prendendosi solo un momento per farli diventare blu, in armonia con il colore
delle lenzuola sul letto ed uscì dal bagno per accorrere al fianco di Liz.
Gli occhi di lei lo cercavano, e quando lo vide, Max vi lesse il sollievo. Girò
velocemente intorno al letto e le scivolò dietro, massaggiandole la pancia
quando le contrazione arrivò ed aiutandola a concentrarsi nella respirazione.
Quando fu passata, lei si piegò su di lui ed alzò gli occhi per guardarlo.
“Stai bene, Max?” gli chiese in un sussurro, lasciando che la mano gli
accarezzasse la guancia. “Posso sentire …”
“Concentrati su di te, Liz.” Max chinò il viso per appoggiarle il naso sulla
guancia. “Su di te e su Matthew.” Si sostenevano a vicenda, legati in quel loro
modo unico, tentando di rilassarsi e di riposare prima dell’arrivo della
prossima contrazione.
***
Johnson guardò il suo orologio, prima di chiudere la cartella sulla sua
scrivania, e tirò indietro la sedia. Era tardi, quasi mezzanotte, lui era
stanco e la realizzazione che non stava facendo passi avanti nei suoi
esperimenti, non lo aiutava il suo stato d’animo. Aveva fatto un buco
nell’acqua, analizzando il sangue di Jenny e forse era arrivato il momento di
analizzare i suoi tessuti.
Fin qui, aveva determinato che il sangue di Jenny, era simile a quello di un
donatore universale, sangue che non era rigettato dall’ospite, almeno negli
animali sui quali l’aveva testato. Gli animali non avevano sviluppato anticorpi
per combattere il sangue estraneo. Era stato accettato facilmente, come se
fosse simile al loro. Se avesse potuto isolare i componenti che rendevano quel
sangue differente e se avesse potuto riprodurli, il mondo ne avrebbe tratto un
grande giovamento.
Lasciato il suo studio, si diresse silenziosamente nel corridoio. la casa era
tranquilla, Jenny era già nel suo letto da ore e probabilmente anche Mary. Di
solito andava a letto intorno alle 9. Pensando a Mary, si ricordò che gli aveva
detto che la bambina non si era sentita bene, prima. Jenny non era mai stata
malata e Johnson sospettava che la sua composizione genetica ne fosse la
ragione. Proprio come era speciale il suo sangue, lei non era soggetta alle
infreddature, o all’influenza, o alle otiti così comuni nei bambini della sua
età.
Forse era stato qualcosa che aveva mangiato a darle i dolori alla pancia,
suppose Johnson e si diresse verso la stanza buia della bambina, pensando però
che lei non aveva mai avuto nemmeno il mal di pancia. Quando fu accanto al
letto, un suono penetrò nei suoi pensieri e nei suoi occhi stanchi scattò un
allarme. C’era qualcosa di insolito.
Quando l’aveva controllata, Jenny gli era sembrata normale. Dormiva
profondamente, con accanto la sua bambola, proprio come ogni altra notte. Ma il
suo respiro, invece di essere calmo e delicato come era sempre, stanotte era
difficile e faticoso.
La lampadina notturna le illuminava il viso addormentato e Johnson vide gocce
di sudore sul suo labbro superiore. Si inginocchiò accanto a lei e le poggiò le
dita al lato del collo, avvertendo il rapido battito delle sue pulsazioni.
Quando Mary l’aveva avvertito che Jenny sembrava star male, non aveva trovato
nulla di strano il lei. Ora, l’evidenza era davanti ai suoi occhi. Come aveva
fatto a peggiorare così in fretta?
“Jenny? Jenny? Puoi sentirmi, tesoro? Jenny?” le spostò i capelli dalla faccia.
“Jenny …”
***
Max appoggiò la schiena contro la testata del letto, con Liz tra le sue gambe,
e le fece poggiare la schiena contro di lui. Le spostò i capelli umidi dalla
fronte, facendola rilassare con il suo tocco amorevole e tenendola stretta tra
le sue braccia.
“Sono così stanca.” sospirò lei e chiuse gli occhi.
“Riposati.” Max le poggiò le labbra sulla fronte. “Riposati per qualche
minuto.”
“Mi dispiace, Liz.” li interruppe Rachel “Ho bisogno di controllarti ancora.”
Liz annuì in silenzio, tentando di risparmiare le sue forze.
Mentre Rachel spostava il panno sterile dalla sua pancia, Max le chiese
sottovoce “Altro ghiaccio?” Liz annuì e lui prese un cubetto, strofinandolo
sulle labbra secche prima di lasciarlo scivolare sulla sua lingua. Si sciolse
lentamente nella bocca riarsa.
“Sta procedendo tutto bene, Liz.” Rachel sorrise, togliendosi il guanto di
gomma e riponendo lo stetoscopio. Sei dilatata di 18 centimetri e le cose
andranno più svelte d’ora in poi.”
“Che ore sono?” Liz si scosse abbastanza per fare la domanda. Le sembrava di
essere in travaglio da sempre, come se non esistesse nient’altro che il dolore,
e qualche minuto di pace tra il dolore.
“Mezzanotte è passata da cinque minuti.” disse Annie dal guardaroba, dove stava
preparando il tavolo sul quale Max avrebbe lavato suo figlio, dopo la nascita.
“L’ho fatto.” disse Liz, stanca.
“Fatto cosa?” Max si chinò su di lei.
“Maria mi ha detto di tenere le gambe strette fino a dopo mezzanotte, così
Matthew non sarebbe nato di venerdì 13.”
“Dio mio!” sbuffò Max e le donne scoppiarono a ridere. “Davvero ti ha detto
così?”
“Si! la conosci Maria!” Liz rise, poi si tese mentre una nuova contrazione
cominciava a crescere. Rachel mise lo stetoscopio sulla pancia di Liz,
ascoltando attentamente, mentre Max e Liz, presi dal dolore, si concentravano
nella respirazione. Liz focalizzò il disegno sulla parete, avendo da tempo
abbandonato la statua sul comò in favore del disegno di Pegaso con le sue
amazzoni dai capelli neri.
La contrazione finì e Rachel si tolse lo stetoscopio dalle orecchie, dicendo
“Il suo battito è forte e costante. Nessuna diminuzione significativa durante
la contrazione. Matthew si sta comportando bene.”
Liz si lasciò andare contro il petto di Max, provando a riposarsi. Lui usò un
panno leggero per asciugarle il sudore dal labbro superiore e dall’attaccatura
dei capelli, cercando di darle il maggior conforto possibile. Posando il panno,
le passò le mani sulla faccia, toccandole le tempie e formando la connessione
con lei.
Liz stava tentando di riposare, nel breve intervallo tra una contrazione e
l’altra, e Max vide che i suoi pensieri erano ancora incentrati sul disegno
alla parete. Stava volando nel vento, cavalcando la schiena dell’enorme animale
bianco e non era da sola. Max si unì a loro, alle due donne che amava, sua
moglie e sua figlia, e volarono liberi sopra la terra con il sole che
riscaldava i loro volti e il vento che scompigliava i loro capelli. Max
abbracciò i suoi due amori e Ellie divenne la loro realtà …
“Mamma, guadda, c’è il fiume.” gridò Ellie e puntò il dito verso la terra sotto
di loro.
“E’vero, Ellie.” Liz tenne stretta sua figlia.
“Dove va?” chiese la piccola, mentre i suoi occhi seguivano il suo viaggio
serpeggiante nella valle.
“Non lo so, Ellie.” sospirò Liz, soddisfatta di sentirsi la figlia tra le
braccia. “Il nostro ruscello finisce nel fiume ed il fiume finisce
nell’oceano.”
“Oseano?” Ellie si girò per guardare Liz. “”Che cos’è un oseano?”
“E’ più grande di un fiume, Ellie.” Max mise le sue braccia intorno ad
entrambe, con le mani appoggiate sulla pancia di Ellie. la sua manina era
appoggiata su quelle del padre, calda morbida e innocente. “E’ così grande che
arriva fino all’orizzonte. E’ così profondo che tu non puoi toccare il fondo.”
“Puoi pottammi nell’oseano?”
Liz guardò dietro la sua spalla con un’espressione di speranza sul viso. “Si,
Ellie. Ti porteremo a vedere l’oceano.”
***
Max fece scendere Ellie dalla schiena di Pegaso mentre l’animale sbuffava e
raspava la sabbia. Poi aiutò Liz e la posò in terra accanto ad Ellie, che già
era in ginocchio ed aveva preso la sabbia tra le mani. Max si inginocchiò
accanto a lei e le tolse le scarpe e i calzini, facendo lo stesso con le
proprie. Quando vide Liz in difficoltà con le sue, aiutò anche lei. Rimessosi
in piedi, prese una manina di Ellie, mentre Liz prendeva l’altra e si girarono
per guardare il mare d’acqua davanti a loro.
“Papà, è così gande!”
“Questo è l’oceano, Ellie. Sembra che non finire mai, vero?”camminarono
insieme, con Ellie tra di loro, entrambi sorridendo del modo in cui infilava i
piedini nella sabbia. Quando furono vicini all’acqua, Max si fermò per
arrotolarsi i pantaloni. Liz fece lo stesso con la sua gonna, mentre l’abitino
di Ellie era abbastanza corto da non averne bisogno.
Una volta pronti, presero ciascuno una mano di Ellie e si avvicinarono
all’acqua. La marea si stava abbassando e le onde lambivano dolcemente la riva.
Gli occhi di Ellie si spalancarono, quando un’onda arrivò verso di lei e poi
lanciò un gridolino quando l’acqua fredda le bagnò i piedi.
Quando arrivò, lei perse quasi l’equilibrio, e ancora quando l’acqua si ritirò
e la sabbia si spostò da sotto i suoi piedini. Quando una seconda onda seguì la
prima, Ellie gridò allegramente, ancora prima che la raggiungesse. Non ci volle
molto perché fosse lei a dare la caccia alle onde quando si ritiravano
nell’oceano, per poi gridare deliziata quando una nuova onda arrivava sulla
spiaggia. Max e Liz erano mano nella mano, e sorridevano mentre la piccola
giocava con l’acqua.
Ellie correva sulla spiaggia, tirandosi dietro le mani dei suoi genitori e
trascinandoli dentro la spuma. Max e Liz risero insieme a lei, e all’improvviso
dovettero sollevarla per impedirle di bagnarsi, quando un’onda più forte si
diresse verso di loro.
Liz ondeggiò instabile, quando la sabbia le scivolò via da sotto i piedi, e
lasciò andare la mano di Ellie, obbligando Max a continuare senza di lei. lui
prese Ellie tra le braccia, sorridendo alla sua eccitazione. fece un passo, e
poi un altro e fu con le gambe nell’acqua, incurante del fatto di bagnarsi.
Cosa importava, in confronto al suono delle risate che venivano dalle donne che
amava?
Anche Liz mise i piedi nell’acqua, con un sorriso posato sulla faccia,
guardando un’altra onda che si infrangeva su Max, schizzando anche il visetto
di Ellie, che gridava felice. Avrebbe conservato cara questa visione, di Max
che portava in braccio Ellie e le piccole braccia strette intorno al suo collo.
I loro capelli erano bagnati, le loro fronti unite e i loro volti illuminati
dalla felicità.
***
“Cosa stanno facendo?” chiese Annie con la voce piena di timore reverenziale.
“Non lo so.” rispose Rachel guardando Max e Liz. Sembravano in trance da almeno
venti minuti, nonostante tre contrazioni e una quarta in arrivo.
“Tra me e Josh non è successo niente di tutto questo.”
“Max è differente da tutti gli altri.” Rachel guardò la silenziosa coppia sul
letto. Liz sembrava così in pace, appoggiata contro di lui, e Max che la teneva
tra le braccia, le mani appoggiate sulle guance di lei. “E anche Liz.”
“Cosa dobbiamo fare?”
“Niente.” rispose Rachel “Monitoriamo lei, fino al momento del passaggio, e poi
l’aiuteremo a far venire al mondo Matthew.”
***
“Eccone un’altra!” Max indicò un’altra stella di mare, nella parte inferiore di
una grande roccia. “Guarda quanto è grande!” Erano chinati davanti alle pozze
lasciate dalla marea che si ritirava e lui indicava ad Ellie le cose che non
aveva mai visto prima.
”Cos’è, papà?” ed indicò una strana cosa purpurea.
“E’ un anemone.” rispose Max e le premette contro un ditino.
“Pittica!” e spalancò gli occhi alla vista dei tentacoli che si tendevano verso
il suo dito. “MI STA MANGIANDO!” Ellie tirò velocemente indietro la mano e Max
quasi si piegò in due dalle risate.
Dopo aver riguadagnato il suo contegno, le indicò tutta l’altra abbondante
fauna marina. “Queste cose nere sono muscoli e quelli sono cirripedi e guarda,
guarda lì c’è un pesciolino.” Un movimento catturò il suo sguardo e si allungò
verso l’acqua, cercando di prendere qualcosa con la mano.
“Che fai?” Ellie allungò il collo per cercare di vedere.
“Un paguro eremita.” spiegò Max. “Guarda, un paguro trova una conchiglia sulla
spiaggia e se gli piace, la fa diventare la sua casa.” Distese la mano della
bambina e le posò il paguro sul palmo della mano. L’animaletto tirò fuori le
zampe dalla conchiglia e, mentre Ellie lo guardava, cominciò a camminare sulla
sua mano ed Ellie gridò ancora.
Max rise e cercò con gli occhi Liz, che era dietro di loro. Lei li stava
guardando, deliziata dall’esuberanza di Ellie e poi entrambi lo sentirono. Il
cambiamento. La risata morì ed uno sguardo consapevole passò tra di loro.
Insieme guardarono Ellie, e Max la prese in braccio.
“E’ ora di tornare indietro, tesoro.” le disse e scese con cautela dalle rocce,
tenendo stretta Ellie con un braccio ed aiutando Liz a tenersi in equilibrio,
con l’altro. Camminarono sulla spiaggia, lasciando una scia di impronte dietro
di loro che sarebbe stata presto cancellata dal ritorno dell’alta marea.
***
Rachel finì l’esame interno e si rivolse ad Annie con un cenno. “E’
completamente dilatata. E’ ora.” Si tolse il guanto e fece il giro del letto,
per svegliare la coppia. Scosse la testa, chiedendosi come facessero a dormire
in questa fase del parto, se così si voleva chiamare. Non stavano dormendo
veramente, ma lei non avrebbe saputo quale altra parola usare.
Proprio mentre stava allungando la mano per scuotergli la spalla, Liz aprì
lentamente gli occhi e la guardò, e disse con la voce che sembrava venire da
lontano “Rachel.”
“Non so dove siete stati, voi due, ma è ora di svegliarsi.” Rachel gli strinse
la spalla.
“Lo sappiamo.” Max appoggiò le mani sulla pancia di Liz. “E’ ora.” Appoggio la
sua guancia contro la fronte di Liz, poi disse sottovoce “Liz ha bisogno di un
altro minuto. Deve dirle addio.”
Capitolo 77
Liz camminava nel prato verde, tenendo la
manina di Ellie tra le sue; non voleva lasciarla andare, ma sapeva di non poter
fare altrimenti. Non aveva scelta. Il sole estivo scaldava l’aria intorno a
loro, ma non riusciva a penetrare i brividi che aveva dentro. Ci siamo, pensò.
Questa è la fine. questa è l’ultima volta.
Si fermò e piegò le ginocchia per essere accanto alla figlia, usando tutta la
sua forza di volontà per non crollare davanti a lei. Doveva essere forte, per
il bene di Ellie. Non poteva lasciarle capire come stesse morendo dentro. ”E’
ora che tu torni indietro, Ellie. E’ ora che il sogno finisca e che tu torni a
dormire tranquilla fino a domani mattina.”
“Io voio ttare qui, con te.” Ellie tirò su con il naso.
“Io non posso fermarmi qui, Ellie.” Liz accarezzava il braccio di Ellie, col
bisogno di toccarla fino all’ultimo momento. “Anche io vorrei stare qui con te,
amore, ma non posso.”
“Pe faoe, mamma.” Ellie mise le braccia intorno a Liz e seppellì il viso sul
petto della madre. “Pe faoe, non lasciammi.”
“Ellie.” singhiozzò Liz, cercando si scacciare il bisogno di piangere. Le sue
braccia circondavano la bambina e le mani le accarezzavano i capelli. “Presto
staremo sempre insieme, tesoro.” le sussurrò “Lo so!”
“Io voio ttare con te.” gridò Ellie.
“Anche io lo voglio, Ellie, più di qualsiasi altra cosa.” Liz sentì che stava
per crollare e faticò a riguadagnare il controllo. Perderlo non avrebbe aiutato
Ellie, e nemmeno Matthew, e non voleva nemmeno che Max si dovesse accollare il
compito di rimettere insieme i pezzi. Ne aveva già passate abbastanza. Tutti
loro ne avevano già passate abbastanza. Chiuse gli occhi ed aspirò il profumo
di Ellie per l’ultima volta, e poi allontanò sua figlia allungando le braccia.
Guardò il viso di Ellie, per memorizzarlo tutto. Ogni linea, ogni curva, la
vera essenza che faceva di Ellie quella che era e le affidò alla memoria. I
suoi occhi scuri, così grandi ed espressivi. le sue labbra rosa, così morbide e
tenere quando le sentiva sulle sue guance. la sua pelle perfetta, così calda e
liscia al tocco. Liz memorizzò tutto, non sapendo quando avrebbe potuto vederla
di nuovo.
“Ora devi andare, Ellie.” disse ferma Liz. “Non posso lasciarti qui da sola.”
“Mamma.” Ellie si gettò di nuovo tra le braccia della madre, ma questa volta
Liz sapeva che non ci sarebbe stata resistenza. Ellie aveva accettato quello
che sapeva di non poter cambiare. “Ti voio bene, mamma.”
“Ti voglio bene. Ellie.” le lacrime cominciavano a scendere sulle sue guance.
A Liz, per un momento, Ellie sembrò reale ed tangibile, stretta nelle sue
braccia, ed il momento dopo le sue braccia stringevano l’aria. I fiori
selvatici si muovevano dolcemente intorno a lei, spinti dalla brezza estiva, ma
Liz non li vedeva: i suoi occhi erano pieni di lacrime. Nel campo era sceso il
silenzio, nessun uccello cantava tra gli alberi, nessun insetto volava
nell’aria, non si sentiva più nemmeno il canto del ruscello.
E mentre Liz cadeva in ginocchio nell’erba, con le mani che le coprivano il
viso, i suoi pacati singhiozzi erano l’unico suono rimasto nel mondo.
***
Carl versò l’ultimo caffé rimasto nella caffettiera in una tazza e ritornò in
soggiorno. Mentre girava intorno al divano, si accorse che Josh aveva perso la
sua battaglia contro il sonno. Aveva la testa piegata in avanti e le braccia
rilasciare ai lati della sedia.
Mentre tornava a sedersi, Carl non poté fare a meno di ricordare che Josh aveva
lasciato trapelare qualcosa nella conversazione che avevano avuto poco prima.
Non era stato qualcosa che lui aveva detto, o il tono in cui aveva parlato, ma
le cose che non aveva detto. Carl era un veterano degli interrogatori e sapeva
leggere tra le righe.
Josh era stato vago sul luogo dove lavorava nel New Mexico e su quale lavoro
facesse lì. In effetti era stato piuttosto vago nel parlare di tutto il periodo
in cui Max e Liz erano stati tenuti prigionieri a Fort Bliss. E per il periodo
in cui Liz era stata tenuta alla Haystack Mountain, Josh si era tenuto
prudentemente al largo dall’argomento.
Carl prese il telecomando della TV e cominciò a saltellare tra i canali,
tenendo il volume basso per non svegliare Josh. Qualche volta, quando si
schiariva le idee, quando smetteva di analizzare un caso e smetteva di farsene
un assillo, allora tutte le risposte andavano al loro posto. Forse qualche
programma non impegnativo era quello che gli ci voleva. Inoltre, sarebbe forse
stato di aiuto per non sentire le grida che venivano dalla stanza accanto.
***
Max sobbalzò al dolore che sentiva nella mano, sicuro che le sue dita stavano
per spezzarsi. Non avrebbe mai creduto che Liz fosse in grado di stringere così
forte. La contrazione sarebbe passata presto, lei avrebbe smesso di spingere
per qualche istante e forse poteva convincerla a stringere qualcos’altro. No,
pensò ancora, forse gli conveniva lasciarle la mano. Max riuscì ad immaginare
facilmente quale parte della sua anatomia Liz avrebbe avuto il perverso piacere
di stritolare, in quel momento.
“Awwwwww,” Liz si lamentava a denti stretti, spingendo con tutta la sua forza.
Aveva gli occhi chiusi strettamente e la faccia rossa dallo sforzo e quando la
contrazione finì, si lasciò andare contro Max con un profondo sospiro.
Mentre Max sosteneva il suo corpo stanco, lei non poté fare a meno di chiedersi
se le contrazioni sarebbero finite mai.
“Stai andando bene … sei grande.” la incoraggiò Rachel “Ci siamo quasi, Liz.
Annie, è pronto quel vassoio?”
“E’ tutto in ordine.” replicò Annie. Lo portò sul letto e lo avvicinò a Rachel
perché potesse raggiungerlo facilmente. ben sistemato sul vassoio, c’era un
assortimento di strumenti, tra i quali una siringa, forcipi, un aspiratore per
pulire le vie aeree di Matthew, suture e un assortimento di pinze e altri
arnesi medici.
“Ora, Liz, sentirai una piccola puntura.” (NdT: gioco di parole non
riproducibile in italiano: ‘little prick’ significa contemporaneamente ‘piccola
puntura’ o ‘piccolo pene’) cominciò a dire Rachel ed allungò la mano per
prendere l’ago ipodermico contenente l’anestetico per isolare l’area per l’episiotomia.
“Una piccola cosa?” Liz cominciò a ridere e guardò verso Max. Non poté farne a
meno. Per qualche ragione quello che le stava succedendo le sembrava comico.
Ridacchiò e Max la fissò a bocca aperta, sorpreso che potesse ridere in un
momento come quello. Sollevò lo sguardo verso Rachel ed Annie, con
un’espressione che diceva ‘Non sta parlando di me!’ e sentì le guance andare a
fuoco.
Le emozioni represse di Liz sfociarono in una risata liberatoria, fino a che la
contrazione successiva la fece ridiventare improvvisamente seria. Si chinò in
avanti, con Max che la sosteneva e spinse con tutta la forza che poteva. Il suo
corpo tremò nello sforzo e la stanza si riempì del suono dei suoi forti gemiti.
Max cercò di distrarre la sua mente dalle sue dita che stavano per spezzarsi e
dal suo ego umiliato.
Quando la contrazione fu passata, Rachel somministrò l’anestetico e gettò
l’ago. Si allungò verso il bisturi e lo prese, ma la mano di Max le afferrò
fermamente il braccio. Lei guardò in su, per vedere che le guance rosse di un
minuto prima erano ora totalmente ceree e che i suoi occhi avevano uno sguardo
tormentato.
“No…” Max fissò il bisturi.
“Max.” cercò di calmarlo Rachel. “Sto solo per farle una piccola incisione, per
evitare che i tessuti si lacerino. Non le farò del male.”
“No…” Max fissò il suo sguardo in quello di Rachel e poi sulla ferita sul
ventre di Liz. Andava dall’ombelico all’osso pubico, un orribile ricordo del
passato. “Non farlo!” Il suo tono era straziante e lui distolse gli occhi dalla
ferita per supplicare Rachel.
“La guarirò.” La sua voce si fece più forte. “Se si lacera, posso guarirla.
L’hai già anestetizzata. Non sentirà dolore. Non voglio che tu la tagli.”
“Max …”
“Per favore.” Max scosse la testa “ Non tagliarla.”
“Va bene.” Rachel posò il bisturi e Max le lasciò il braccio. Lei si accorse
dagli sguardi che passarono tra i due, che Max non era l’unico sconvolto dalla
vista del bisturi. Lesse il sollievo anche sul viso di Liz.
Liz sentì un’altra contrazione e ricominciò a spingere più forte possibile, con
i denti serrati, e i lamenti che crescevano insieme alla spinta e la mano che
stringeva quella di Max, mentre cercava di sostenerla.
“La testa sta uscendo, Liz.” la incoraggiò Rachel. “Spingi … continua a
spingere … così …va bene così.”
Liz lasciò andare un ansito quando la contrazione terminò e Max le asciugò la
fronte quando lei si riappoggiò contro di lui. Le diede un bacio leggero,
tentando di farle sentire la sua vicinanza.
“Ancora un paio di spinte forti e avremo finito.” sorrise Rachel. “Stai andando
molto bene, Liz. Anche tu, Max.” e gli toccò il braccio.
Liz aspirò profondamente all’inizio della contrazione successiva e ricominciò a
spingere. Max vide lo sforzo sulla sua faccia ed una volta ancora si stupì
della forza di lei.
“La testa sta uscendo.” disse ancora Rachel “Guardalo! Questo ragazzo ha una
testa piena di capelli neri. Sembra che tu non debba preoccuparti, Liz.
Dopotutto non è biondo come il postino dopotutto”
Annie scoppiò a ridere e rise ancora più forte quando Max disse “Cosa?”
“Vuoi veder nascere tuo figlio?” disse Rachel rivolta a Max che la guardava con
gli occhi spalancati. Dalla sua posizione dietro a Liz poteva vedere ben poco
oltre la sua pancia. Guardò Liz e poi Rachel, mentre Annie si affrettava a
prendere il suo posto. Lui si sfilò da sotto il corpo di Liz e, tenendole
ancora la mano, si avvicinò a Rachel. Guardò tra le gambe di sua moglie e gli
occhi gli uscirono dalla testa. Come avrebbe fatto ‘quello’ a venire fuori da
Liz?
Lei stava emettendo suoni animaleschi mentre spingeva, e Max guardò
pietrificato la testa di Matthew che emergeva. Rachel prese l’aspiratore da
vassoio e gli asportò il muco dal naso e dalla bocca e allora la testa si girò
e cominciarono a venire fuori le spalle.
“Stai andando alla grande, Liz. Un’ultima spinta …”
Con un grido Liz diede una forte spinta e Matthew scivolò tra le braccia tese
di Rachel.
L’aria entrava ed usciva dai polmoni di Max mentre un’espressione di meraviglia
e di sgomento si dipingeva sulla sua faccia. Matthew era vivo e vegeto, era
sano e strillava con energia e le sue piccole grida erano il suono più dolce
che lui avesse mai sentito. La sua pelle rosa era bagnata e ricoperta da uno
strato di sostanza bianca di cui non riusciva a ricordare il nome ed il cordone
ombelicale era decisamente differente da come l’aveva immaginato. I suoi occhi
erano chiusi e la sua piccola mascella tremava mentre piangeva e le sue braccia
e le sue gambe si agitavano.
“Liz …” fu tutto quello che Max riuscì a dire e poi la guardò, notando che i
suoi occhi avevano uno sguardo interrogativo. Rachel stava legando il cordone e
Liz, dalla sua posizione, non riusciva a vedere bene. Tornò a guardare Max per
capire dalla sua espressione se tutto andava bene. Sentendosi completamente
incapace di parlare, Max balbettò “ Lui … Liz … Lui è… perfetto.”
“Oh, Max.” Liz lasciò andare un sospiro di sollievo e lui tornò svelto al suo
fianco, prendendola tra le braccia e baciandole il viso.
“E’ perfetto, Liz.” per poco non soffocava dalle emozioni che stava sentendo.
Rachel poggiò Matthew sulla pancia di Liz e lui si calmò, guardandosi intorno
per scoprire il nuovo mondo in cui si era improvvisamente trovato. Liz allungò
una mano e lo toccò esitante e in quel momento, non riuscì più a trattenere le
lacrime.
“Max …” la sua voce tremava “E’ bellissimo.”
“Si, lo è.” concordò Max e strofinò il naso contro la sua guancia, mentre
prendeva la manina di Matthew. Le sue dita erano così piccole e, mentre Max lo
toccava, lui le strinse forte intorno al suo dito.
“Liz!” non riuscì a trattenere la risata che gli usciva dal cuore.
“Somiglia a te, Max.” anche Liz rideva e gridava nello stesso tempo. “Guarda
tutti quei capelli e ha la linea della tua mascella e quella fossetta sul
mento, proprio come la tua, e il naso, e le orecchie … e i suoi occhi. Ha i
tuoi occhi.”
Matthew aveva smesso di piangere appena l’avevano messo sulla pancia di sua
madre e si guardava intorno come se riuscisse a vedere tutte quelle cose nuove.
Liz non riusciva a smettere di toccarlo, le sue braccia, le sue gambe, le sue
dita delle mani e dei piedi. Era veramente perfetto.
“Ora della nascita, “ disse Rachel ad alta voce “ Ore 1.47 della mattina.
Benvenuto al mondo, Matthew Evans.”
Nei minuti successivi, Rachel fu occupata nel pinzare il cordone ombelicale, ad
assecondare l’uscita della placenta e a seguire le necessità post-partum di
Liz. Attirò l’attenzione di Max e lui le venne accanto con un’aria
interrogativa sulla faccia.
“Hai una piccola riparazione da fare.” Rachel indicò il perineo di Liz. Era
lacerato, proprio come Rachel temeva che sarebbe successo, ma lei non era
preoccupata. Max non avrebbe mai lasciato che Liz soffrisse. E mentre lei era
occupata a meravigliarsi del suo bambino, Max allungò la mano e toccò con un
dito la pelle delicata.
Lui l’aveva toccata centinaia di volte, l’aveva accarezzata ed amata in più
modi di quelli che potesse elencare, ma mai con la gentilezza e la tenerezza
che stava usando in quel momento.
Lei non si accorse neppure che le dita di lui erano connesse alla sua pelle e
la mano di Max cominciò a brillare. I lembi di pelle si saldarono insieme,
senza nessuna traccia di evento traumatico, e Rachel scosse la testa
sbalordita.
“Hai idea di quante donne sarebbero capaci di uccidere, pur di averti in sala
parto con loro?” disse con ammirazione. Vide come le guance di Max arrossirono
e dovette ricordare a se stessa che Max non aveva mai toccato nessun’altra
donna. Liz era tutto quello che lui avesse mai voluto, e non aveva bisogno di
nessun’altra, e sarebbe stato più che felice di vivere la sua vita così.
Poggiata la sua mano sulla spalla di lui, gli disse “Puoi andare avanti, Max.
Ora puoi prendere tuo figlio.”
Max guardò gli occhi di Rachel, sentendosi schiacciato dalle emozioni, e poi
guardò Matthew, prima che il suo sguardo si posasse su Liz. Lei gli fece un
cenno di assenso con la testa, spingendolo a farlo, e Max trattenne il respiro
quando Rachel, preso Matthew, lo posò tra le sue braccia. Max lasciò andare un
involontario rantolo, quando suo figlio lo guardò ed i loro occhi entrarono in
contatto. Ora Matthew era tranquillo e Max lo tenne come se avesse paura di
romperlo.
Liz guardò l’espressione sul viso di Max cambiare in continuazione, mentre
guardava suo figlio. Un momento rideva come se fosse stato lo scemo del
villaggio, il momento successivo il suo viso fu pieno di meraviglia, il momento
ancora dopo fu preso da un attacco di panico quando gli sembrò che Matthew
stesse per piangere di nuovo.
Max si mosse con cautela, per sedersi accanto a Liz, continuando a tenere
Matthew tra le sue braccia. Si chinò per farglielo vedere meglio e quando vide
le lacrime scenderle sul viso, si rese conto che lui stava facendo la stessa
cosa.
Sentendo il bisogno di Liz di stringere il suo bambino, Max lo mise
delicatamente tre le sue braccia e lui si limitò a guardare la gioia più
assoluta che spuntò sul volto di lei. Era la cosa più bella che avesse mai
visto, la faccia radiosa di Liz mentre guardava suo figlio, e la sua vista si
offuscò e lui dovette battere gli occhi per allontanare le lacrime.
Max mise un braccio intorno a Liz e l’altro intorno a Matthew e insieme
guardarono il loro bambino. Entrambi sentivano di conoscerlo già, grazie alla
connessione che avevano diviso durante la gravidanza. Ora sembrava strano non
avere i pensieri di Matthew nelle loro menti.
Liz accarezzo le soffici guance con la punta di un dito e rise quando la bocca
di Matthew cercò di seguirlo. I suoi occhi ridenti guardarono Max e disse
“Credo che abbia fame.”
Toccò ancora con il dito la guancia di Matthew e, questa volta non solo cercò
di prenderlo in bocca, ma cacciò uno strillo di frustrazione quando non riuscì
ad avere quello che stava istintivamente cercando.
Insicura sulla sua capacità di farlo nel modo giusto, Liz si alzò la camicia da
notte. Guardò Max in cerca di un supporto morale e lui la ricambiò con un
sorriso. Guardando suo figlio, Liz premette il seno contro la sua guancia e la
sua bocca affamata si girò svelta, afferrando il capezzolo.
Liz sospirò alla nuova sensazione, sentendosi immediatamente colma di gioia e
di felicità. Sentì qualcosa accorrere al suo seno ed un riflesso di
rilasciamento, lasciò che il suo latte scorresse nella bocca del suo bambino.
Lei non aveva mai avuto la possibilità di farlo, prima d’ora. Non aveva mai
avuto la possibilità di toccare Ellie, o di tenerla tra le braccia, o di
nutrirla al seno.
Ricordava ancora, con vividi dettagli, il dolore del suo seno, pieno del latte
che Ellie non avrebbe mai avuto la gioia di assaggiare. Anche mentre nutriva
suo figlio, sentendosi pienamente soddisfatta, sapeva che il dolore sarebbe
rimasto per sempre.
“Credo che si sia addormentato.” disse Liz in un sussurro, quando la bocca di
Matthew smise di succhiare e si staccò dal suo seno.
“Solo un minuto da ciascuna parte, per cominciare.” Annie le strinse la spalla
per incoraggiarla. “Tu non vuoi che diventi troppo duro, vero?” Guardando verso
Max, sorrise con comprensione ed aggiunse “Credo che tu non debba preoccuparti
per questo.”
“Perché non lo lavi, Max?” suggerì Liz. Vide il piccolo baleno di apprensione
che percorse la faccia di lui, seguito da un sorriso nervoso quando guardò
Matthew. La sua ansietà venne fuori quando Liz gli mise il bimbo tra le
braccia. Dalla gola di Matthew uscì qualche rumorino mentre Max lo portava
verso la bacinella d’acqua, e poi, quando cominciò ad agitarsi, Max si voltò
verso Liz con uno sguardo che diceva ‘aiuto!’.
“La temperatura dell’acqua è perfetta.” disse Annie dopo averla provata e gli
sorrise come se un bambino urlante non fosse un grande problema.
Max esitò, quando raggiunse il comò, sentendosi insicuro ed inadeguato, finché
non udì Liz dire “Sembri così naturale con lui in braccio.”
Si girò di nuovo verso di lei, vedendo la fiducia che riponeva in lui, e poté
sentir crescere la sua sicurezza.
Posò lentamente Matthew fino a che l’acqua gli ricoprì le gambe e la pancia
rotonda, tenendogli poggiata la testa e le spalle contro il suo braccio, per
tenere la parte superiore del corpo fuori dall’acqua. Quando sentì il tocco del
liquido, il bimbo si calmò all’improvviso ed aprì gli occhi per guardare suo
padre in silenzio. Lui lo sciacquò delicatamente togliendo il sangue e i
residui della nascita dalla sua pelle, continuando guardare in adorazione per
tutto il tempo quella piccola vita che lui e Liz avevano creato.
***
Max cullava un addormentato Matthew tra le braccia, guardando ansiosamente
verso Liz. Gli occhi di lei erano chiusi e sembrava che finalmente stesse
riposando, dopo la lunga fatica. Annie se ne era andata da pochi minuti, dopo
aver fatto le sue sincere congratulazioni e Rachel camminava sbadigliando per
la stanza, raccogliendo le sue cose. Erano quasi le 3 di notte e le cose si
erano calmate, ma Max era ancora completamente sveglio. E preoccupato.
“Rachel?” chiamò sottovoce. Quando lei si voltò a guardarlo, lui le fece cenno
di andare verso l’altro capo della stanza. Non voleva che Liz lo sentisse. Lei
lo seguì e quando furono vicini alla finestra, lui si fermò.
“Cosa c’è, Max?” gli chiese piano, vedendo lo sguardo preoccupato nei suoi
occhi.
“Uhm … “ Lui guardava in giù, verso Matthew, stretto tra le sue braccia, con
gli occhi chiusi, dalla cui gola uscivano piccoli rumori di soddisfazione. “Uhm
… Credo che ci sia qualcosa di anormale …”
“Anormale?” Rachel si stupì e guardò il bambino che riposava pacifico. Era
perfetto. Cosa ci poteva essere di anormale?”
Max spostò la coperta dalla sua testina e guardò Rachel, non soltanto con
preoccupazione, ma con quello che sembrava essere un profondo senso di colpa.
“La sua … la sua testa è ammaccata.”
“Cosa?”cominciò a dire Rachel. “Vuoi dire questa?” e indicò un punto in cima
alla testa di Matthew che presentava una piccola fossetta.
“Si.” Max guardò Matthew. “la punta della sua testa è ammaccata.”
Rachel posò la mano sulla spalla di Max, dandogli un buffetto. “Questa e la ‘fontanella’,
Max. E’ il punto in cui le ossa della testa non si sono ancora fuse insieme. E’
perfettamente normale. Non te ne devi preoccupare.”
“Vuoi dire che non dipende da …”
“Da cosa, Max?” chiese Rachel quando lui non finì la frase.
“Non importa.” rispose Max , tirando un grosso sospiro di sollievo.
***
Rachel finì di impacchettare le sue cose, si mise una borsa sulla spalla e si
chinò per prendere l’altra. Girandosi per guardare Max, non poté evitare un
sorriso. Camminava avanti e indietro al lato del letto, cullando lentamente
Matthew tra le sue braccia, senza staccare gli occhi da lui. Mentre lei si
dirigeva verso la porta della stanza, era convinta che lui non si fosse nemmeno
reso conto della sua presenza tanto era preso dalla nuova vita che aveva in
braccio. Fu sorpresa, arrivata sulla soglia, nel sentire la sua voce.
“Grazie, Rachel.” le disse e lei si fermò, girandosi verso di lui.
Lei si accorse dal suo sguardo che quello che aveva detto andava oltre la
semplice parola ‘grazie’. C’era così tanto dietro quella parola, tanto che Max
non riusciva nemmeno ad esprimerlo. I suoi occhi erano colmi di meraviglia,
adorazione e stupore e, ancora più nel profondo, nel posto dove lui aveva
tentato di seppellirli, c’erano dolore, paura e desiderio per quello che ancora
gli mancava. In quella notte meravigliosa, tutte le sue emozioni, sia quelle
buone che quelle cattive, erano amplificate.
Sapendo che qualsiasi parola sarebbe stata inadeguata, Rachel rispose con un
semplice “Di nulla, Max.” lui annuì, sapendo che lei aveva compreso, e ritornò
a cullare il suo bimbo, addormentato pacificamente tra le sue braccia.
“Max.” lo chiamò e i loro sguardi si incrociarono ancora. “Non c’e niente di
male se ti lasci andare alla tua felicità.”
Max la guardò ancora, mentre un pallido sorriso cominciava a rilassargli il
volto, e si diresse verso di lei.Tenendo Matthew con un braccio, abbracciò
Rachel con l’altro e le diede un bacio sulla fronte. “Sei una così buona amica
per noi, Rachel. Grazie.”
“Oh, non la penserai così quando riceverai il mio conto!” sdrammatizzò lei e
gli ricambiò l’abbraccio. Lui tornò indietro ridendo, e lei aggiunse “Inoltre
credo di essere io in debito con te di un grazie.”
“Con me?” chiese Max curioso.
“Si.” Rachel fece un largo sorriso e puntò un dito verso il soggiorno.
“Oh!” Max annuì con comprensione e fu il suo turno di sorridere.
“Se non fosse stato per te e per Liz, non l’avrei mai incontrato. E questo si
merita un grosso ‘Grazie’!”
Guardando il suo orologio, cercò di trattenere uno sbadiglio quando si accorse
di quanto fosse tardi. “Prima di andarmene, vorrei controllare ancora una volta
Liz. E mentre aspetto di poterlo fare, vorrei portare la mia roba in soggiorno
e controllare se Carl è ancora sveglio.”
Max riportò la sua attenzione al bimbo tra le sue braccia e Rachel chiuse la
porta, mentre usciva. Nel soggiorno la luce era ancora accesa e sentiva suoni
provenire dalla televisione, ma quando entrò nella stanza, le bastò un’occhiata
per capire che Carl aveva ceduto all’ora tarda. Era seduto in un angolo del
divano, con le gambe stese, le mani appoggiate sulla pancia e il mento
appoggiato sul petto. E come fanno sempre gli uomini, il telecomando saldamente
stretto in mano.
Posò la borsa davanti alla porta e tornò verso il divano, con l’intenzione di
svegliarlo. Gli tolse il telecomando dalle mani e lui mormorò qualcosa. Aveva
appena detto il suo nome? Aveva il suo nome sulle labbra? Per qualche ragione,
le piaceva veramente l’idea che lui stesse sognandola.
Rachel si sedette accanto a lui, avvertendo la stanchezza della notte, con
l’intenzione di svegliare Carl, ma il cuscino del divano sembrava così soffice
e il corpo accanto al suo era così caldo, che non voleva muoversi. Chiuse gli
occhi, pensando di dormire solo per un minuto, ma il suo corpo aveva altri
progetti. Non ci volle molto perché si sdraiasse al fianco di Carl, con la
testa poggiata sulla sua spalla, dove dormì in pace per il resto della notte.
Nella stanza da letto, Max aveva appoggiato Matthew accanto a Liz. La casa era
silenziosa, mentre tutti dormivano tranquilli, tranne lui. Era troppo eccitato
per dormire.
Si stese sul letto, con Matthew tra lui e Liz, e poggiò la testa sul cuscino,
contento di rimanere a guardarli. Liz era completamente esausta, ma da
un’occhiata alla sua faccia, nessuno se ne sarebbe accorto. Era rilassata e
radiosa.
Matthew sembrava essere soddisfatto o di essersi nutrito al seno di Liz o di
sognare di nutrirsi al seno di Liz. Max non poteva biasimarlo. Allungando la
mano, Max toccò suo figlio, meravigliandosi di quanto fosse minuscolo. Presto
si sarebbe svegliato, e la pace notturna sarebbe stata rotta dai suoi strilli.
Fino ad allora, Matthew voleva vegliarli in silenzio e proteggerli da ogni
male.
Capitolo 78
Johnson era ancora seduto sulla sedia
dove aveva trascorso la notte, tenendo in braccio il corpicino di Jenny. Stava
dormendo tranquilla, almeno nelle ultime ore. Lui non aveva chiuso occhio.
L’aveva sentita tremare per tutta la notte e la sua indecisione era aumentata.
Non sapeva cosa non andasse con lei, il che significava che non poteva curarla.
ma non poteva nemmeno portarla in ospedale perché la verità su di lei sarebbe
stata scoperta. Se scoprivano cosa era, la sua vita non sarebbe più stata la
stessa.
in qualche modo afferrò l’ironia di quella riflessione. Ogni giorno, lui viveva
con la consapevolezza che aveva già alterato profondamente la sua vita la notte
in cui era nata. La sua mente doveva giustificare tutto questo, altrimenti
avrebbe dovuto ammettere il fatto che lui era un mostro.
Lui si era autoconvinto di non esserlo. Non permetteva a se stesso di pensare
alle cose che aveva fatto sotto l’influenza di Miller. Miller gli aveva fatto
fare quelle cose. Non doveva biasimare se stesso. Lui amava Jenny, e se la
teneva lì, isolata da tutti, era per proteggerla.
dopo aver visto Max Evans al maryvale Hospital, era stato ancora capace di
convincersi che Jenny, con lui, era al sicuro. Doveva proteggere Jenny dal suo
vero padre. Max Evans era cattivo, un mostro assassino che per lei era una
minaccia. Col il solo potere della sua mente, Max aveva fatto in modo che
Miller si sparasse alla testa. Un uomo come quello, non aveva il diritto di
rimanere accanto a una bambina come Jenny.
Nemmeno per un momento, un singolo, solitario secondo, Johnson aveva preso in
considerazione che Max era stato costretto a reagire a circostanze estreme con
rimedi estremi. Lui non l’avrebbe mai fatto. Per lui, tutto quello che faceva
aveva una giustificazione. Non aveva problemi a dormire, la notte.
Tranne quella notte, con Jenny tra le sue braccia, quando il suo respiro era
stato faticoso ed il suo cuore aveva battuto pericolosamente veloce. Tutto
questo non era colpa sua, vero? Nulla di tutto quello che aveva fatto aveva a
che fare con questo, vero? Ora era tranquilla, ma quale che fosse stato il
problema che l’aveva colpita, aveva scosso Johnson fin nel profondo. Non
credeva di poter sopravvivere, se le fosse accaduto qualcosa. Gia una volta
aveva perso una figlia. Non poteva permettersi di perderne un’altra.
Quando poco prima la sua respirazione si era fatta sempre più veloce, lui si
era lasciato prendere dal panico e non aveva saputo cosa fare per lei. L’aveva
presa dal letto e l’aveva tenuta tra le sue braccia, ma le sue condizioni
sembravano peggiorare. Il suo panico raggiunse vette paralizzanti e verso le 2
del mattino Jenny aveva cominciato a gridare, percuotendolo con un’ondata
scioccante. Lei aveva urlato un nome, un solo nome, una parola che aveva detto
di rado davanti a lui. Perché l’aveva detta proprio ora? Cosa l’aveva
provocata?
Aveva gridato, mentre la sua respirazione aumentava in velocità, e la parola
‘Mamma’ era echeggiata nella stanza, ricordandogli come tutto era cominciato.
All’inizio, non era stato nulla di più di un esperimento. Lui non guardava alla
ragazza come ad un’adolescente, con le sue speranze, i suoi sogni e le sue
aspirazioni per la vita che aveva davanti. Lei non era stata nulla di più che
il soggetto di un esperimento. Sentire Jenny chiamare sua madre, la madre che
non avrebbe mai conosciuto, lo aveva fatto riflettere.
Cosa ne era stato di Liz Parker, dopo quella notte? Dov’era adesso? Cosa stava
facendo? Guardando in faccia la verità, dovette ammettere con se stesso che non
lo sapeva. Se non pensava a lei, non doveva pensare nemmeno a le cose che le
aveva fatto, in nome della scienza.
Si era autoconvinto che quegli esperimenti erano stati fatti per una grande
causa, proprio come per Jenny, ma ora che lei dormiva tranquilla tra le sue
braccia, aveva capito di aver solo ingannato se stesso. Si era permesso di
credere che nulla era più importante dello scoprire i segreti che Jenny
racchiudeva. Ma ora non riusciva più a convivere con tutto quello, sapendo che
tutto questo poteva essere stato causato da quello che lui aveva fatto. Il
lavoro avrebbe dovuto aspettare fino a che la sua preziosa Jenny fosse
cresciuta e avrebbe potuto aiutarlo nella sua ricerca. Questo era stato un
avvertimento. Lui non avrebbe mai più messo in pericolo la salute della
bambina.
Una volta presa la decisione, capì che le loro vite dovevano cambiare
drasticamente. Si alzò dalla sedia e rimise a letto Jenny, che ora dormiva
pacificamente. Aveva molte cose da predisporre per il loro futuro ed era
ansioso di cominciare.
***
Carl si svegliò lentamente, sentendosi estremamente disorientato. Il muscoli
del suo collo erano incordati e non era sicuro di sentirsi il braccio, inoltre
c’era uno strano peso sul suo addome. mentre i suoi sensi si ridestavano, si
chiese perché stava dormendo in posizione seduta e allora gli tornò il ricordo
della notte passata. Max. Liz. Il bambino. Sicuramente Madre Natura aveva fatto
il suo corso.
Alzò una mano e la strofinò sopra la faccia, cercando di rimettere in moto il
cervello e fu allora che sentì il peso sul suo addome cambiare posizione. Che
diavolo … ? Aprì gli occhi e gli si fermò il respiro nella gola, impreparato a
quello che vide. Rachel era distesa sul divano, con un braccio appoggiato sulla
sua coscia e la testa sopra la sua pancia. La sua guancia stava … la sua
guancia stava … oh, Dio! Non voleva pensare a dove era la sua guancia” Se non
la spostava di corsa, correva il rischio di sentirsi terribilmente imbarazzato.
Il suono di colpi dati alla porta d’ingresso raggiunse le sue orecchie e
realizzò che dovevano essere stati quelli a svegliarlo. Sollevato dalla
possibilità di non pensare a dove si sarebbe trovata la bocca di Rachel se lei
si fosse spostata anche solo di poco, Carl si sfilò da sotto di lei e
l’appoggiò delicatamente sul cuscino.
Si alzò in piedi e la guardò, chiedendosi perché non l’avesse svegliato quando
era uscita dalla stanza da letto, chiedendosi se fosse andato tutto bene.
Ignorando tutti gli altri pensieri, ce ne fu uno che non riuscì a cacciare.
Svegliarsi accanto a lei era una sensazione appagante e frustrante nello stesso
tempo.
Il bussare insistente lo distolse dalla visione di Rachel addormentata, e lo
fece dirigere verso la porta. Non riusciva ad immaginare chi potesse essere, ma
chiunque diavolo fosse, era dannatamente insistente.
Fuori dalla porta, nel portico della graziosa casetta, Maria stava bollendo
dall’eccitazione. Michael roteava gli occhi, chiedendosi dove lei trovasse
tutta quella energia. Oh, certo, si ricordò. Lei aveva dormito durante il
viaggio, mentre lui aveva dovuto guidare tutta la dannata notte.
Maria sentì dei passi avvicinarsi alla porta e, aspettandosi di vedere Max, si
preparò a buttarsi tra le sue le braccia .
Ma quando la porta si aprì, restò di sasso, abbassando le braccia sui fianchi.
Guardando la faccia estranea, esplose in un “Ma chi diavolo sei tu?”
“Prego?” Carl spalancò gli occhi. Avrebbe potuto fare la stessa domanda, ma
naturalmente non la fece.
“Ciao.” Michael sorrise a Carl e poi diede un’occhiataccia a Maria. tese la sua
mano verso lo sconosciuto e disse “Io sono Michael Guerin. Questa è Maria
DeLuca. Veniamo da Roswell.”
“Oh, ciao.” Carl scosse la testa. “ Sono Carl Montoya. Io e Max lavoriamo
insieme.” Fatto un passo indietro per lasciarli entrare, disse Prego, entrate.
Max mi aveva detto che sareste arrivati.”
“Si.” Michael spinse Maria davanti a sé. “Il vagone del treno è proprio dietro
di noi.”
“Il vagone del treno?” Carl aggrottò le sopracciglia meravigliato. Ma chi era
questa strana gente?
“Alex e Isabel saranno qui tra poco. Sono nella SUV. Gli Evans arriveranno in
giornata. Loro sono su un camper. I Parker sono alla retroguardia con quel loro
dannato Winnebago. Credo che intendano fermarsi per un po’.” Michael sorrise
compiaciuto.
“Basta parlare!” lo interruppe Maria. “Liz ha già avuto il bambino?”
“Si.” Rachel si unì al gruppo, strofinandosi gli occhi per scacciare il sonno.
Si presentò e, dopo aver loro stretto la mano, continuò “Matthew è nato
all’1.47 di questa mattina.”
“Grazie a Dio!” esclamò Maria e Michael roteò ancora gli occhi. Aveva pregato
tutta la notte che il bambino non nascesse di venerdì 13.
“Pesa 3.650 ed è lungo 53 centimetri.” aggiunse Rachel.
“Oh, non riesco ad aspettare ancora per vederlo.” brontolò Maria.
“E’ qui.” disse Max dal corridoio. Entrò in soggiorno, con un sorriso che
andava da un orecchio all’altro, e Maria corse verso di lui per vedere il
bambino che lui teneva dolcemente tra le braccia.
“Oh, Max!” Maria guardò il visetto pacifico del bimbo. “E’ identico a te! E’ un
Mini Max!”
“Congratulazioni, Maxwell.” Michael batté orgogliosamente le mani in suo onore.
“Posso prenderlo in braccio?” lo pregò Maria. “Posso? Posso? Posso?”
“Non prima di avermi abbracciata.” disse Liz , unendosi alla folla in
soggiorno.
“Liz, dovresti essere a letto.” La rimproverò Max, mentre lei e Maria si
abbracciavano. Lei gli lanciò un’occhiata che diceva di non trattarla come una
invalida e lui cercò di far tacere la sua natura iperprotettiva.
“Certo che puoi prenderlo in braccio, Maria.” Si tenevano per mano, come erano
solite fare quando andavano a scuola, e Liz la spinse verso Max. Maria tese le
braccia e Max con cautela le trasferì il fagottino addormentato, cercando di
non scuoterlo.
“Oh, mio Dio!” Maria sospirò di soddisfazione e Max mise il suo braccio sulle
spalle di Liz, attirandola al suo fianco. Si sorrisero l’un l’altro orgogliosi,
mentre perfino lo stoico Michael guardava Matthew con in faccia un sorriso
inaspettato.
Lo stomaco di Liz brontolò e Max sorrise chiedendole “Hai fame?” Lei era
praticamente digiuna dal pranzo del giorno prima.
Liz annuì e Maria diede una gomitata a Michael, dicendogli “Ragazzo dello
spazio, fila a preparare la colazione.”
“Io?” disse Michael e si strofinò il petto nel punto in cui aveva ricevuto la
gomitata. Aveva già adocchiato il divano, pensando al lungo sonno di cui aveva
bisogno dopo aver guidato tutta la notte.
“Sei tu il cuoco, non è vero?” La sua occhiata rischiò di perforarlo.
“Lascia stare, Michael.” cominciò Liz. “Posso fare …”
“No, tu non puoi.” la rimproverò ancora Max. “Tu non farai altro che riposarti
e recuperare le forze.” La prese per le spalle e la condusse verso il divano,
obbligandola a sedersi. “Michael, Carl, venite con me. Andiamo a preparare la
colazione per le masse affamate.”
Si infilarono in cucina, dove Carl preparò delle Huevos Rancheros, Michael un
gigantesco piatto di patate fritte e Max delle frittelle. Alex e Isabel
arrivarono al momento di mettersi a tavola non prima di essersi uniti ad un
coro ‘oooh’ e di ‘aaah’ guardando il bambino.
La mattinata passò velocemente e nel primo pomeriggio la casa era piena. Gli
Evans erano arrivati, seguiti dai Parker e la piccola casa traboccò di
familiari ed amici, che celebravano la nascita di un bambino molto speciale.
Stanca dall eccitazione e dalla commozione, Liz si alzò dal tavolo ed uscì
dalla cucina. Stava andando a sdraiarsi per fare un riposino, per chiudere gli
occhi finché Matthew non avesse avuto di nuovo fame. Si fermò nel vano della
porta e si girò per guardare la sua famiglia e i suoi amici raccolti intorno al
tavolo della cucina.
Max e Michael stavano parlando animatamente, discutendo sulle sottili
differenze tra Matrix 1 e 2. Era bello vederli di nuovo insieme, uomini ormai
non più ragazzi, ma le loro conversazioni non finivano mai di stupirla. Alex si
era unito a loro, parlando delle nuove tecniche di computer grafica usate per
realizzare Matrix 3. Liz scosse la testa quando lo sentì usare il termine
‘molto sofisticato’.
Anche Carl entrò nella discussione, portando come paragone un’altra trilogia di
fantascienza/azione/giallo e dicendo che Arnold Schwarzenegger cominciava ad
essere un po’ troppo vecchio per interpretare Terminator. Max e Michael non
avevano ancora visto il film e, quando pressarono Carl per avere altre
informazioni, Carl fece fatica a ricordare certe parti, occupato com’era stato
a baciare Rachel, o a pensare di baciare Rachel, o a finire di baciare Rachel.
Si, baciare Rachel era stato più degno di essere ricordato che non il film.
Rachel stava raccontando a Maria e ad Isabel i dettagli della nascita di
Matthew, tralasciando i dettagli di origine aliena. Liz sapeva che entrambe
speravano di avere dei bambini, nei prossimi anni. Probabilmente Isabel sarebbe
stata capace di convincere Alex per prima. Il loro matrimonio era in programma
per la prima quindicina di agosto, mentre Maria stava ancora lavorando su
Michael.
Liz rivolse lo sguardo verso suo padre, che stava parlando di opzioni di
acquisto con suo suocero. Stavano discutendo di fondi per lo studio e di quanto
sarebbe costato frequentare Harvard di lì a 18 anni. Uomini. Quando mai non
parlavano di denaro?
Alla fine il suo sguardo cadde su sua madre, che teneva in braccio Matthew. Lui
dormiva tranquillo, ed ogni volta che si stiracchiava o gorgogliava, sia sua
madre che Diane, che stava sbirciando oltre la spalla di Nancy ed aspettava il
suo turno, si lasciavano andare ad espressioni di meraviglia. Le nonne erano al
settimo cielo.
Era un quadro perfetto, tranne per una cosa che ancora mancava.
***
Max aprì lentamente la porta della camera da letto, per guardare il viso di sua
moglie, che riposava tranquilla sul letto. Aveva la mano poggiata sul mento,
gli occhi chiusi ed un aspetto sereno e rilassato. Esitò a svegliarla, sapendo
quanto avesse bisogno di riposare dopo la fatica del giorno precedente, ma
Matthew si stava succhiando la mano e non sarebbe stato tranquillo ancora per
molto. Aveva già cominciato a ‘scricchiolare’ e a raggrinzire la faccia e Max
aveva cercato di cullarlo, per prendere un po’ di tempo.
“Shhhhhhh.” Max guardò Matthew, che dopo aver lanciato uno strillo di
frustrazione, si succhiava le dita ancora più forte.
Con un tono dolcissimo gli disse “Hai fame? Huh? Scommetto che vuoi la mamma,
vero? Lei ha qualcosa che vuoi? Ricordati, te lo presto per un po’. Ma quando
avrai fatto, lo rivoglio indietro.”
Traversò la stanza, sorridendo al fagottino che aveva in braccio. Era rimasto
paralizzato quando, l’altra notte, l’aveva tenuto in braccio per la prima
volta, ma oggi stava facendo più pratica. Cioè, quando sua madre gli permetteva
di tenerlo. E Nancy non era da meno. Le nonne si erano impossessate del bambino
e non intendevano dividerlo con nessuno.
Max si sedette sul letto, cullando Matthew con un braccio e toccandogli le
piccole dita. Era ancora stupito di quanto i neonati fossero minuscoli. Non era
mai stato a contatto con i bambini piccoli fino ad allora. Solo ad Ellie, ma
lei era già più grande, quando l’aveva raggiunto per la prima volta nei sogni.
Lei già camminava ed aveva già imparato a parlare, non era completamente
indifesa come Matthew. Con lei, Max si era perso tutto questo. Passò
delicatamente un dito sulla guancia di Matthew e la piccola bocca lo seguì,
lanciando un grido di frustrazione quando si accorse che non era quello che
voleva.
Liz si stirò ed aprì gli occhi, sorridendo allo spettacolo che aveva davanti.
Cosa c’era di più bello di un uomo grande e forte che teneva delicatamente in
braccio suo figlio appena nato? la sua mano si allungò per toccare quella di
Max e, quando i loro occhi si incontrarono, Liz pensò di non aver mai visto Max
così felice. Stringendogli piano la mano, gli disse “Ciao.”
“Matthew ha fame.” ridacchiò lui.
“Me ne sono accorta.” sorrise Liz.
Le sue dita non gli bastavano più e si stava preparando a creare una bella
confusione.
Liz si stirò ancora una volta, poi si mise seduta, aggiustandosi il cuscino per
stare più comoda mentre allattava Matthew. Max le passò il fagottino con
attenzione e si sentì umiliato dalla sua goffaggine. Forse, dopo tutto, sua
madre faceva bene a tenerlo lontano dal bambino.
Matthew si accomodò tra le braccia di lei e cercò il seno con la bocca. Liz si
slacciò i bottoni della camicia da notte, spostandola e slacciò la coppa del
reggiseno, esponendo il seno gonfio. Ora era pieno di latte e cominciava a
farle male. Una volta sistemato Matthew afferrò facilmente il capezzolo e lei
sentì il latte passare dal suo corpo a quello del piccolo.
Mentre succhiava faceva rumorini di soddisfazione e quando Max toccò la sua
pelle delicata, la sua manina si chiuse fermamente intorno al dito del padre.
Sentire quale forza poteva esserci in quella piccola mano, fece spuntare sul
viso di Max un sorriso di meraviglia..
“Stai diventando bravo, Max.” Liz allungò una mano e strinse le dita tra quello
di lui. Lei poteva avvertire come si sentisse sopraffatto da tutto questo.
“Non credo.” Max la guardò nervoso.
“Io credo di si.” Lei catturò il suo sguardo. “Diventerai un ottimo padre, Tu
sei già un ottimo padre. Lo provi ogni giorno con Ellie.”
“Penso che quello sia … differente.”
“Cosa che non cambia quello che sei.” gli assicurò Liz. “io lo so. Ellie lo sa.
E lo sa anche Matthew. E’ nella tua natura.”
“Spero che tu abbia ragione.” lui le fece un sorrisetto incerto e si portò la
sua mano alle labbra per baciarle le dita. Liz sapeva sempre cosa dire per
farlo sentire meglio.
“Lo sai che ho sempre ragione.” Lei ricambiò il suo sorriso poi insieme risero
sommessamente.
Matthew continuò a succhiare dal seno della madre, continuando a stringere
forte il dito del padre nella piccola mano. Erano state 24 ore stupefacenti e
degne di essere ricordate, quel genere di ricordi che avrebbero portato
felicemente con loro per il resto della vita.
Continua...
Scritta
da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di
Coccy85 |