Riassunto: Questa
storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore
alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai
fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o
duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più
grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa
ricambiarlo.
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: Ogni
riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori
protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitoli 31-36
Capitoli 37-42
Capitoli 43-48
Capitoli 49-54
Capitoli 55-60
Capitoli 61-66
Capitoli 67-72
Capitoli 73-78
Capitolo 79
Mary era ferma sul vano della porta della
stanza di Jenny e la guardava disegnare contenta, seduta alla piccola scrivania
con davanti il suo album. I lunghi capelli le ricadevano in onde sopra la
schiena, fermati ai lati dalle barrette a fiori gialli e verdi, in tinta con la
maglietta gialla e i pantaloni verdi che indossava. Mary tirò un sospiro di
sollievo al fatto che non ci fossero evidenti segni del disturbo che l’aveva
colpita la notte precedente. Jenny appariva in salute, come al solito. Doveva
essere stato uno di quei virus che vivono 24 ore.
Mentre traversava la stanza, le chiese “Cosa stai facendo, cara?”
“Disegno.” rispose Ellie e lanciò un breve sorriso a Maria, prima di tornare al
foglio davanti a lei.
Andandole vicino, Maria sbirciò da sopra la piccola spalla, per vederla
disegnare un’altra delle sue scene familiari. L’uomo con i capelli scuri era al
centro della pagina e dietro di lui c’era la donna con i capelli lunghi, ed
entrambi sorridevano. Tra di loro, con le mani unite insieme, stava una bambina
piccola. E anche lei sorrideva. Considerando i lunghi capelli, Mary immaginò
che la bambina avesse rappresentato se stessa e che la figura dietro di lei
fosse la madre che non aveva mai conosciuto.
Però ancora non riusciva a capire, perché disegnasse suo padre con un aspetto
diverso. I suoi lineamenti erano irriconoscibili, dopo tutto Jenny non aveva
ancora tre anni e i suoi disegni avevano tratti infantili, ma l’uomo sembrava
alto, con la testa piena di capelli scuri, per nulla somigliante al padre. Il
buon Dottore era di altezza media con i capelli biondo rossicci, o almeno
quelli che erano rimasti. Sospettava che avesse cominciato a perderli già da
diversi anni, molto prima che Jenny nascesse.
“Cos’è questo?” chiese Mary indicando qualcosa che la donna aveva in braccio.
“Mamma ha avuto un bambino.” Ellie sorrise in direzione di Mary.
“Oh.” Mary le rese il sorriso. Ora lo distingueva. La mamma del disegno aveva
tra le braccia un bambino. “Sai come si chiama il bimbo?”
“Si.” Ellie era raggiante, mentre guardava il disegno. “Si chiama Maffew.”
“Matthew?” Mary strinse gli occhi. La bambina aveva proprio una fervida
immaginazione. “E questo qui cos’è?” chiese, indicando una forma nera sulla
destra.
“Un cucciolo. Maffew voleva un cucciolo.”
“Io avevo un cucciolo, quando ero piccola.” ricordò Mary con un sorriso. “Era
un Labrador nero e l’avevamo chiamato Max. Forse anche tu puoi chiamarlo Max.”
“Non può chiamarsi Max.” Ellie arricciò il naso e puntò un dito sull’uomo dai
capelli scuri. “Quello è il nome di papà.”
“Oh!” Mary rise alla vista della faccia che aveva fatto Jenny. “Scusami. Mia
sorella Martha aveva un cane di nome King. Questo va meglio?”
“King?” Ellie ci pensò su.”Okay. Lo chiameremo King, se a Maffew piace.”
‘Se a Matthew piace’, Mary scosse la testa. Jenny alle volte aveva certe
uscite! Era una bambina così sveglia ed intelligente. Toccando col dito la
donna del disegno, Mary chiese “Come si chiama?”
“Il suo nome è Tesoro.” Ellie ridacchiò, coprendosi la bocca con la mano. “Papà
la chiama sempre tesoro!”
Che dolce! Mary era incantata dalle cose che Jenny raccontava. Sapendo già la
risposta che avrebbe avuto, Mary puntò il dito sulla bambina tra ‘Max’ e
‘Tesoro’ e chiese “E lei come si chiama?”
“Questa è Ellie.” disse con un sospiro.
Sorpresa, Mary guardò la bambina, che fissava un punto in lontananza con lo
sguardo inespressivo. La risposta che si era aspettata era ’Jenny’, certa che
il disegno rappresentasse la famiglia che Jenny avrebbe voluto avere, ma forse
si era sbagliata. Forse il disegno non era altro che un disegno, qualcosa
creato da una bambina dall’immaginazione molto viva.
“Vuoi aiutarmi a preparare qualche biscotto?” chiese Mary.
“Okay.” rispose Ellie. Posò il pastello e chiuse il suo album. Scendendo dalla
sedia, infilò la manina in quella di Mary ed insieme si diressero in cucina.
***
In casa c’era stata confusione per tutto il giorno, con gente che andava e
veniva, amici e vicini che erano venuti a vedere il neonato e a fare gli auguri
ai neo genitori. L’aria si era riempita di risate, che si libravano da una
stanza all’altra, mentre gli Evans ed i Parker raccontavano le storie dei loro
ragazzi quando erano piccoli, con grande imbarazzo dei sunnominati ragazzi.
Carl e Rachel se ne erano andati verso mezzogiorno, mentre Daniel e Sarah erano
appena arrivati. Colleghi di lavoro e di scuola erano passati o avevano
telefonato per tutto il giorno e, arrivata la sera, Max era esausto. Non
dormiva da giovedì notte.
Stava cominciando ad essere troppo, per lui. L’eccitazione. Lo stress. La
preoccupazione. La gioia. Gli sembrava di aver provato ogni emozione possibile
negli ultimi due giorni e, non solo era stanco fisicamente, ma anche
emozionalmente. Stando in cucina, si coprì la bocca con la mano per coprire uno
sbadiglio, poi finì di scrivere la parola ‘ciambelle’ sulla lista della spesa
da fare. Liz gli arrivò alle spalle e lui fece un salto quando lo toccò sul
braccio.
“Che stai facendo?” gli chiese, notando i circoli scuri sotto i suoi occhi.
“Preparando la lista della spesa.” le sue braccia la circondarono. “Con tutta
questa gente in casa, domani dovrò fare una corsa al supermercato. Abbiamo
finito tutto.”
“Perché non lo lasci fare a qualcun altro?” gli suggerì. “Stai girando a vuoto,
Max. Hai bisogno di riposarti un po’”
“Sto bene.” cercò di dire, ma uno sbadiglio che non riuscì a trattenere, lo
smentì.
“Max, non sei Superman. Ieri sei stato sveglio tutta la notte e oggi non ti sei
mai riposato, vero?” gli chiese, carezzandogli la schiena con la mano.
“No.” ammise lui, dandole uno di quei suoi sguardi da cucciolo.
“Perché non vai a riposarti?” disse Liz, togliendogli la lista della spesa..”Al
supermercato può andarci qualcun altro.”
“Liz, posso andare … “ cominciò a protestare, ma lei lo fece tacere.
Liz lo baciò dolcemente sulle labbra e, quando si separarono, capì di avere
vinto. “Se proprio non vuoi andare a letto, almeno va’ in soggiorno, siediti
sul divano e rilassati,”
“Okay.” concordò Max, sorridendole. Lei era sempre la voce della ragione. La
prese per mano e, fianco a fianco, uscirono dalla cucina.
Guardando la lista della spesa che teneva in mano, Liz non poté fare a meno di
scoppiare a ridere. Nella sua nitida calligrafia Max aveva scritto la parola ‘ciambelle’.
Non una, non due, ma tre volte. Sicuramente amava le sue ciambelle.
***
Max aveva accolto il suggerimento di sua moglie di andare a letto presto ed
aveva appena finito di farsi la doccia. Che giorno era stato quello! I suoi
genitori ed i Parker erano in soggiorno. Stanotte avrebbero dormito nel
Winnebago parcheggiato nel viale. Michael e Maria erano andati in un motel a
poco più di un chilometro di distanza e sarebbero tornati la mattina dopo per
la colazione, prima di tornare a Roswell.
Alex e Isabel avevano fatto la spesa al supermercato e sarebbero tornati tra
poco. Liz aveva appena fatto mangiare Matthew e lui si era riaddormentato. Il
piccolo si era già assestato in uno schema che comprendeva: dormire 3 ore,
svegliarsi per mangiare e riaddormentarsi per altre tre ore.
Sorridendo, Max scosse la testa e si lasciò andare ad una risata. Per essere
così piccoli e per dormire così tanto, i neonati erano decisamente estenuanti!
Terminò di asciugarsi e si infilò un paio di pantaloni del pigiama e una
maglietta. Ritornato in camera da letto, passò accanto alla culla, posta
nell’angolo più lontano della stanza. Il suo cuore era pieno d’amore, mentre
guardava il suo bambino addormentato, così tranquillo, avvolto in una copertina
di un delicato azzurro. Avrebbe voluto prenderlo e tenerlo in braccio, solo per
camminare nella stanza sentendo il suo peso tra le braccia, per assicurarsi che
lui fosse sano e salvo e che nulla avrebbe potuto fargli del male. Ma come
Matthew, anche lui aveva bisogno di riposare, così si accontentò di
accovacciarsi accanto alla culla solo per vederlo dormire, e poi tornò verso il
letto.
Infilatosi sotto le coperte, si addormentò appena poggiata la testa sul
cuscino. Non ci volle molto perché la sua mente raggiungesse la terra dei
sogni, dove non rimase solo …
Max camminava lentamente sul prato, con l’erba alta che gli arrivava alle
ginocchia e che la brezza muoveva avanti e indietro. Il cielo azzurro era
cristallino e leggere nuvole bianche andavano alla deriva sopra la sua testa.
la mano di Ellie, piccola e calda, si annidava comodamente dentro la sua. Oggi
era tranquilla, non la bambina esuberante che trovava nella maggior parte dei
suoi sogni. Lui sapeva perché, ma nessuno dei due aveva voglia di parlarne.
Max si fermò, si sedette a terra e prese Ellie in grembo. La sua mano le spostò
delicatamente una ciocca di capelli dalla faccia e poi la baciò sulla fronte.
Vedere i suoi grandi occhi, così scuri ed espressivi, gli faceva male al cuore.
Più diventava grande, più somigliava a sua madre. Si ricordò del breve momento
in cui l’aveva vista, la notte che era nata. Già da allora si era accorto di
quanto somigliasse a Liz. Ora, con i lunghi capelli che le ricadevano sulla
schiena, si notava ancora di più. Stringendola forte, sentì le piccole braccia
intorno al suo collo mentre lei ricambiava il suo abbraccio.
“Ti voglio bene, Ellie.” le disse Max sottovoce, mentre le accarezzava la
testa.
“Anche io ti voio bene, papà.” la voce di Ellie era smorzata contro il suo
petto.
Si strinsero l’una all’altro, e l’unico suono che si sentiva nell’aria era
quello del loro respiro.
***
Liz entrò in camera, aprendo piano la porta per non disturbare i suoi due
uomini che dormivano. Matthew avrebbe dovuto dormire almeno un altro paio d’ore
e Max aveva bisogno di tutto il sonno possibile. Le era sembrato così stanco,
poco prima e lei era contenta che l’avesse ascoltato e che non si fosse spinto
oltre le sue forze. Lui si spingeva sempre oltre i suoi limiti, pensando prima
a tutti gli altri.
Per primo controllò Matthew, traversando la stanza e sorridendo alla vista del
faccino addormentato. Era l’immagine precisa di suo padre, perfino nelle sue
piccole e adorabili orecchie. Già riusciva a immaginarlo, ragazze adolescenti
che telefonavano giorno e notte, sperando in un appuntamento col bellissimo
Matthew Evans. Gli sfiorò leggermente la soffice guancia con un dito, piena di
amore materno per quel bambino che lei e Max avevano portato nel mondo.
Muovendosi nella stanza, si fermò al lato del letto, per guardare il viso di
suo marito. I suoi lineamenti erano rilassati nel sonno, le lunghe ciglia gli
toccavano le guance, le labbra erano leggermente aperte e il suo petto saliva e
scendeva col respiro. Guardando i suoi occhi, li vide muoversi avanti e
indietro sotto le palpebre, mentre viveva un sogno che lei non poteva più
condividere. Si sedette accanto a lui, prendendogli una mano tra le sue, e
restando a guardare il suo viso mentre dormiva.
***
“Quella sembra un uccello.” Max rise, puntando il dito contro una nuvola. “Vedi
le ali?”
“Dove?” Ellie strinse gli occhi.
“Lì.” indicò lui. “Dietro quella che sembra una scarpa.”
“La vedo!” gridò Ellie e Max rise ancora.
Guardare le nuvole che correvano nel cielo gli ricordò quando loro due facevano
questo gioco, prima che Liz si unisse ai loro sogni.
Stavano distesi sulla schiena, circondati dall’erba alta, nascosti nel loro
piccolo mondo. Poteva sentire Ellie ridere e quel suono gli riscaldava il
cuore. Girò la testa per guardarla e le loro fronti si toccarono, mentre gli
occhi brillanti di Ellie lo guardavano. Le ci sarebbe voluto un po’ di tempo
per adattarsi al fatto che non avevano più Liz con loro, ma col tempo sarebbe
andata meglio. Se ne sarebbe assicurato lui.
***
Liz seguì il suono della sua voce, ansiosa di arrivare in tempo. Girò l’angolo,
correndo in cucina ed afferrò Isabel per il braccio, dicendo “Svelta. Devi
venire, prima che sia troppo tardi.”
“Liz, che succede?” Isabel si mise in allarme. Lei ed Alex erano appena tornati
dal supermercato e stavano riponendo le provviste. Aveva pensato che Liz stesse
riposando ed ora non riusciva a capire cosa avesse provocato quello sguardo
frenetico nei suoi occhi. Qualcosa non andava con il bambino?
“E’ Max.” Liz la tirò per il braccio. “Sta dormendo.”
Era un’ottima cosa, pensò Isabel, sentendosi spingere fuori dalla cucina. Max
aveva un aspetto così stanco prima ed aveva bisogno di dormire. Ma dov’era il
problema?
“Isabel, sta sognando.” disse Liz come se quello spiegasse tutto.
all’improvviso Isabel comprese e si girò per guardare Alex.
“Vai.” Alex gli fece un segno con la mano. Non ci voleva uno scienziato per
sapere che avevano bisogno di Isabel da qualche altra parte. Indicando le buste
della spesa disse “Ci penserò io.”
Vide Liz trascinare Isabel verso la stanza da letto, poi aprì uno portello per
riporre il caffé. Guardando tutte le scatole di glassa ammucchiate una sopra
l’altra, mormorò “Gesù, devono mangiare un sacco di dolci.”
Liz guidò Isabel nella camera, stringendole forte la mano. Sapeva che c’erano
poche possibilità che Isabel riuscisse a raggiungere Ellie, ma dovevano
tentare. Ellie era così piccola e le sue passeggiate nei sogni così tenui, che
non ci erano mai riusciti.
Isabel traversò la stanza e si sedette sul bordo del letto accanto a suo
fratello, guardando i suoi occhi che si muovevano sotto le palpebre. Era nel
mondo dei sogni, ma cosa avrebbe visto quando si fosse riunita a lui? Era solo
quello? Solo un sogno? O sarebbe arrivata in quel mondo speciale dove lui
viveva di notte con Ellie e, fino a ieri, anche con Liz?
Il suo viso sembrava così tranquillo, così rilassato, e lei sperò di poterlo
aiutare a trovare l’unica cosa che gli mancava nella vita.
Con un cenno di incoraggiamento da parte di Liz, Isabel posò le mani sulla
testa di Max, con i pollici appoggiati alle sue tempie, sperando di non
ritrovarsi in un sogno fatto di navi spaziali e di uniformi del Crashdown.
***
Isabel sentì le risate echeggiare nell’aria e si guardò attorno nel tentativo
di capire da dove arrivassero. Ricordava quel posto dalle passeggiate che aveva
fatto nel tentativo di trovare Liz, e più tardi, quando avevano inutilmente
cercato di individuare dove si trovasse Ellie. C’era qualcosa di magico in quel
posto, di sereno, e le risate che sentiva lo dimostravano. Ora, se solo fosse
riuscita a trovarli.
Max stava facendo il solletico ad Ellie, sorridendo quando lei rideva e cercava
di afferrargli le mani per farlo smettere. Max amava ascoltare le sue acute
risatine e avrebbe potuto ascoltarle per tutto il giorno. Dopo aver sentito un
rumore, le sue mani si fermarono improvvisamente.
“Max?” chiamò ancora Isabel. Le risate si erano fermate e lei girava intorno lo
sguardo alla sua ricerca. “Max?”
“Isabel?”
Sentì la sua voce arrivarle alle spalle e si girò per vedere la sua testa
spuntare tra l’erba alta. Aveva gli occhi spalancati per la sorpresa e, mentre
lei camminava a grandi passi per raggiungerlo, lui si alzò in piedi.
“Isabel, sei qui.”, una cosa scontata.
“Mi ha mandato Liz. Ha visto che stavi sognando e mi ha chiesto di
raggiungerti. Raggiungere …” e la sua voce venne meno quando arrivò abbastanza
vicino da vedere la piccola figura tra le gambe di Max. Ellie. La bellissima
piccola Ellie. Aveva i più grandi occhi scuri e il più delicato viso di
porcellana che avesse mai visto, quasi fosse una bambola. I lunghi capelli neri
erano tenuti all’indietro da un nastro rosa, in armonia col vestito che
portava. Quando Isabel si avvicinò, Ellie scomparve dietro le gambe del padre.
“Ellie? Tesoro? Vieni ad incontrare la zia Isabel.” la incitò Max, cercando di
convincerla a farsi avanti. Non l’aveva mai vista agire così. naturalmente, lei
non aveva mai incontrato nessuno, prima d’ora. La sentiva scuotere la testa per
dire no, e all’improvviso capì quale era il problema. La vita di Ellie era così
limitata, che non aveva mai incontrato un estraneo prima d’ora.
Sapeva che lei viveva una vita isolata dal mondo esterno e non sapeva nulla
della moltitudine di gente che certamente viveva intorno a lui, mentre il mondo
dei sogni che condividevano consisteva in quel posto intimo.
“Ellie.” disse Max dolcemente e si chinò per prenderla in braccio. “Vieni qui,
amore.” La prese tra le braccia e lei nascose la sua faccia contro il petto del
padre. Lui cercò di tranquillizzarla, carezzandole la testa ed i lunghi
capelli. “Tesoro, è mia sorella. Isabel. Puoi dirle ‘Ciao’?”
la sentì scuotere la testa, per dire no in silenzio, e le sue braccine si
strinsero ancora più forte attorno al collo di Max.
“Va tutto bene, piccola.” le disse rassicurante.” Guardò Isabel, incerto su
cosa fare, e con un cenno della testa le fece segno di avvicinarsi.
Isabel ridusse la distanza tra di loro, fino ad arrivare alla distanza di un
braccio. delicatamente le disse “Ciao, Ellie. Sono contenta di incontrarti,
finalmente. Il tuo papà mi parla sempre di te.”
Ellie alzò la testa e diede all’estranea un’occhiata diffidente.
“Vuoi dirle ‘Ciao’?” la incoraggiò Max ed Ellie scosse di nuovo la testa.
Guardò sua sorella e, con l’imbarazzo che traspariva dalla sua voce, disse “Di
solito è molto aperta. Estroversa. Un fascio di energia. Non l’ho mai vista
comportarsi così.”
Isabel allungò lentamente la mano, toccando leggermente la schiena della
bambina e lei scomparve. Isabel si portò la mano davanti alla bocca per lo choc
e Isabel grido “Oh, mio Dio, Max! Cosa ho fatto?”
Capitolo 80
“Isabel, non hai fatto niente.” Max
inseguì la sconfortata sorella, mentre attraversava il soggiorno correndo. Lei
si rifugiò tra le braccia di Alex e Max si girò verso Liz, guardandola confuso.
Erano usciti dal sogno solo un attimo prima e Isabel aveva lasciato la stanza
certa di aver fatto qualcosa di talmente orribile che Ellie era sparita.
Cercando di farsi comprendere da Isabel, Max disse “E’ una cosa che fa
normalmente, quando qualcosa la turba. Lei esce semplicemente dal sogno. Non è
colpa tua, Isabel.”
“Ne sei sicuro?” Isabel girò il suo sguardo preoccupato verso di lui. Alex le
aveva passato il braccio sulle spalle e Isabel si era appoggiata contro di lui,
grata del suo supporto.
“Si, ne sono sicuro. Lei era solo spaventata, ecco tutto.” disse Max, cercando
di sembrare calmo.
“E’ colpa mia.” disse Liz sottovoce.
Max girò lo sguardo verso di lei, con la preoccupazione dipinta in faccia. Non
gli piaceva il tono della sua voce. Poteva sentirci la durezza, il tremito che
stava cercando di nascondere, e la preoccupazione crebbe, quando si accorse che
non lo guardava in faccia. Lo sorpassò senza alzare la testa, diretta al centro
del soggiorno.
“Liz …” cominciò e lei lo interruppe.
“Avrei dovuto pensarci.” Liz si strinse le braccia attorno, a disagio.
Alex spinse Isabel verso la sedia blu e la fece sedere sui soffici cuscini. Si
spostò dietro di lei, toccandole le spalle in modo rassicurante e lei allungò
una mano per posarla su quella di lui. Max si sedette sul divano e cercò di
calmare la sua agitatissima moglie. “Liz, vieni a sederti. Nessuno è da
biasimare, qui.”
“Cosa è successo, Max. Cosa ho fatto?” chiese Isabel. Non si era mai sentita
così male, prima di allora. Suo fratello era passato attraverso tante
sofferenze nella sua vita e lei voleva solo aiutarlo, ma aveva solo peggiorato
le cose. Quando aveva toccato Ellie, la bambina era scomparsa.
“Isabel, non sei stata tu.” cercò di rassicurarla Max. Aveva le mani unite e
sedeva sul bordo del divano, preoccupato di come Liz la stava prendendo.
“Avrei dovuto immaginare che questo sarebbe successo.” Liz camminava avanti ed
indietro per la stanza. Fermatasi, si girò verso Isabel e le disse “Non puoi
biasimarti per quello che è successo. Molti bambini dell’età di Ellie sono
spaventati dalle persone che non conoscono. In Ellie il problema è ancora
maggiore. Non è colpa tua se lei ha reagito così. Avrei dovuto pensarci e
prepararla all’incontro.”
“NOI avremmo dovuto pensarci.” la corresse Max. “Nessuno è da biasimare, Liz, e
tu in modo particolare.”
“Max, sono stata io a costringere Isabel ad entrare nel sogno.” Liz si girò
verso di lui. Max vide il suo sguardo torturato e non seppe cosa dirle.
“Liz, non …”
“Non vedi, Max?” Liz non riuscì a nascondere il tremito della voce. “Se non
avessi forzato Isabel, forse avresti potuto prepararla meglio, ma io volevo …
ho visto che stavi sognando … e …” la voce cominciava a mancarle e Max si alzò
dal divano per andare ad abbracciarla.
“Shhhh.” le sussurrò nell’orecchio. “Non è stata colpa tua, Liz. Calmati.”
“Sapevo che eri con Ellie.” mentre lo guardava aveva gli occhi pieni di
lacrime. “e … e io sapevo che non potevo unirmi a voi nel sogno.” Liz cominciò
a piangere. “e ho pensato che Isabel poteva trovarla, e allora … allora …”
“Liz, non fare questo a te stessa.” Max la strinse forte, combattendo contro le
sue stesse emozioni.
“Ho pensato … ho pensato … che potevamo … riportarla finalmente a casa.”
singhiozzò Liz contro il suo petto. “Mi dispiace, Max.” la sua mano si strinse
a pugno contro la t-shirt di lui.
“Liz.” Max le passò la mano sulla schiena, nel tentativo di calmarla. Alex
portò Isabel in cucina per lasciarli soli e Max gli fece un cenno di
gratitudine. Poteva sentire le lacrime di Liz bagnargli la maglietta e sapeva
che le lacrime non dipendevano solo dal fatto che Ellie si fosse spaventata nel
sogno. Le passò le mani tra i capelli sapendo che era perché non sarebbe più
potuta andare lì, con Ellie, per aiutarla, per guidarla, per stare con lei.
“Voglio solo che torni a casa.” Liz si appoggiò contro di lui, singhiozzando in
un modo che lui non aveva più sentito dai giorni neri dopo la nascita di Ellie.
“Lo so.” Max l’ accarezzò dolcemente. Le appoggiò la mano sulla nuca e fu il
suo turno di rincuorarla. “La troveremo, Liz. Lo sai che la troveremo.” Con gli
occhi chiusi, sentendola tremare tra le sue braccia, la incitò dolcemente
“Lasciati andare, Liz. Lasciati andare.”
Lei era sempre così forte, l’unica su cui avrebbe potuto contare in ogni giorno
della sua vita. Ma stasera era lui che doveva essere lì per lei, per
sostenerla, per amarla, per aiutarla a sostenere il suo dolore. Quando i suoi
singhiozzi cominciarono a calmarsi, Max la portò verso la camera. Spostò le
coperte dal letto e l’aiutò a scivolare tra le lenzuola e si infilò accanto a
lei , stringendola tra le braccia.
Liz aveva affrontato con coraggio tutte le prove e le sofferenze che la vita le
aveva riservato e stasera erano arrivati ad un punto critico. Non era una
semplice reazione emotiva ad uno stress ormonale che stava cambiando il suo
corpo. Nelle ultime 24 ore, Liz aveva guadagnato molto, ma aveva perso qualcosa
di più. La sua connessione con Ellie era scomparsa, nello stesso momento in cui
si era rallegrata per la nascita di Matthew. mentre Max la teneva tra le
braccia, lui sapeva che Liz aveva tutte le ragioni del mondo per sentirsi in
quel modo.
I suoi singhiozzi si erano placati e Max sentì il corpo di lei che si
rilassava, mentre la stringeva per confortarla. Liz aveva bisogno di riposare
adesso, e lui si voleva assicurare che lo facesse. Presto Matthew avrebbe avuto
bisogno di lei e sapeva che lei voleva essere pronta quando i suoi strilli
affamati l’avrebbero svegliata dal sonno.
***
Quando la mattina dopo, parenti e amici arrivarono per la colazione, l’umore
era sotto controllo. Michael si era assunto l’incarico di capo cuoco e stava
dando ordini a Maria e Maria lo lasciava fare. Le nonne aiutavano, mentre
aspettavano il loro turno di tenere il bambino. Isabel era seduta
tranquillamente al tavolo, pensando al fallimento della sera precedente, e Alex
era seduto accanto a lei.
Nella stanza da letto, Max guardò Liz prendere Matthew dalla culla. Sembrava
che questa mattina stesse meglio, rilassata come al solito, e lui si chiese se
l’esplosione delle sue emozioni la sera prima, l’avesse sollevata. Dio solo
sapeva che lo stress che aveva sopportato di recente, era sufficiente per
distruggere chiunque.
“Vado a cambiarlo.” disse Liz dolcemente guardando suo figlio. Matthew era
sveglio e si stava guardando intorno. Per il momento era tranquillo, ma non ci
sarebbe voluto molto perché la fame gli facesse cambiare umore. Max stava
infilando un paio di jeans e, passando accanto a lui, si fermò. Senza alzare la
testa, lei gli disse “Mi dispiace per il modo in cui mi sono comportata ieri
sera.”
“Liz.” Max le mise un dito sotto il mento e le alzò il viso.” I suoi occhi si
alzarono lentamente per incontrare quelli di lei e le diede un bacio sulla
fronte. “Ieri sera eri sconvolta, ed è completamente comprensibile. Hai visto
un’opportunità per cercare di raggiungere Ellie e l’hai presa. Non mi sarei
aspettato nulla di meno.”
“Ma ho sbagliato tutto, Max.” Liz cercò di spostare lo sguardo. “Non ho saputo
sfruttarla bene.”
“Liz.” Lui le girò ancora il mento verso di lui, “Ti ricordi quella sera, in
cucina, quando mi hai detto che non sono Superman?” Lei annuì ed aggrottò le
sopracciglia, chiedendosi cosa avesse a che fare con quello che era accaduto la
notte scorsa, e Max si lasciò andare a una risata. “Nemmeno tu sei Superwoman.
Hai tutti i diritti di sbagliare, specialmente con tutto quello che è successo.
La cosa importante è che ieri notte abbiamo imparato qualcosa alla quale non
avevamo mai pensato. Ellie vive una vita isolata, e noi dobbiamo pensare a come
allargare il suo mondo, così le cose nuove non la spaventeranno così tanto.”
“Non ‘noi’, Max.” la sua voce suonò intimidita ed i suoi occhi pieni di
tristezza. “Ora puoi aiutarla solo tu.”
Matthew cominciò ad agitarsi tra le sue braccia e Max lasciò che la mano gli
ricadesse sul fianco, sentendosi impotente. La vide lasciare la stanza e
dirigersi in camera di Matthew per cambiarlo, chiedendosi come avrebbe potuto
aiutarla a superare tutto questo. Lei era ancora la sua roccia, la sua forza,
la sua ancora nella tempesta, e vederla così abbattuta gli spezzava il cuore.
***
“Rachel?” disse piano Max al telefono. Lui era in soggiorno, mentre Liz era in
camera ad allattare Matthew e lui non voleva farsi sentire.
“Max?” lei si preoccupò sentendo il tono della sua voce. “Va tutto bene?”
“Sono un po’ preoccupato per Liz.” Max si sedette sul bordo della sedia.
“Qual è il problema? Sta sanguinando? Ha i crampi? Disturbi?”
“No, niente di tutto questo.” disse veloce Max. “E’ solo che, lei è così …
quando stavo sognando, ieri sera, con Ellie, bene …”
“Oh.” Rachel comprese subito. “E Liz non poteva essere con voi.”
“Si.” Max annuì.
“E questo l’ha fatta diventare triste. Probabilmente ha pianto, vero?”
“Si.” Max si sentì sollevato che Rachel sapesse esattamente di cosa stavano
parlando.
“Max, è normale per una donna sperimentare la depressione del dopo parto.”
Rachel cercò di alleviare le sue preoccupazioni. “Nel caso di Liz può essere
più pronunciata a causa di …lo sai, di tutto. Lei è andata incontro a tanti
cambiamenti, sia fisici che emozionali. Il suo corpo si sta adattando a uno
stato di non-gravidanza, mentre nello stesso tempo deve assumersi la
responsabilità del neonato. Se oltretutto si tiene conto che sta attraversando
il problema di aver perso la connessione con Ellie, Max sarei sorpresa se non
fosse sconvolta.”
“Cosa devo fare?” chiese Max impotente.
“Solo essere lì per lei.” lo spronò Rachel. “Aiutala a superare tutto questo.
Liz è una donna forte. Starà bene. Dalle solo un po’ di tempo.”
“Okay.” disse Max con gratitudine.
“Max non esitare a chiamarmi per qualsiasi cosa. Sono qui per te.”
“Grazie, Rachel. Non so cosa faremmo senza di te.”
“Di nulla, Max. Ci vediamo presto.”
Max chiuse il telefono sentendosi meglio di alcuni minuti prima, ma poteva
ancora ricordare la depressione in cui era caduta Liz dopo la nascita di Ellie.
Capiva che le circostanze tra la nascita di Ellie e quella di Matthew erano
differenti, ma entrambe le volte Liz aveva perso Ellie. La prima volta le era
stata portata via. Questa volta, la presenza di Ellie era scivolata
silenziosamente via dalla sua mente.
Un suono interruppe i suoi pensieri e Max sollevò la testa per vedere Liz che
veniva dal corridoio con Matthew tra le braccia. Aveva un lampante sorriso
sulla faccia e Max adeguò la sua, costruendo una sorridente facciata. E mentre
camminavano insieme per raggiungere il resto della famiglia, Max era sempre più
deciso a sistemare le cose, appena si fosse aperto uno spiraglio.
***
“Le piacciono gli animali, vero?” disse Michael con la bocca piena di uova
strapazzate. “Portala allo zoo!”
“Lo zoo?” Max alzò un sopracciglio. Stavano cercando di trovare dei posti per
portarci Ellie durante i sogni, così che potesse vedere il mondo come era
veramente. Il prato silenzioso era il loro rifugio, ma serviva solo a tenerla
isolata. Max aveva bisogno di sottrarla gradatamente al mare d’erba ed al
serpeggiante torrente.
Ellie aveva amato l’oceano, deliziata dalla nuova avventura. Avevano solo
bisogno di espanderla, farle vedere che il mondo era pieno di gente, gente che
voleva aiutarla, come Isabel, per farla ritornare a casa.
“Sappiamo che conosce gli animali.” continuò Michael. “Perché quel figlio di pu
… perché Johnson lavora in un laboratorio. hai detto che ha nominato scimmie,
cani, gatti e criceti ...”
“Qualcosa di simile ad una fiera di campagna.” intervenne Maria. “Ti ricordi di
aver detto che le piacevano le altalene? Scommetto che le piacerebbe andare su
una giostra! Una piccola giostra! E nelle fiere di campagna ci sono mostre di
cani e gatti , di maiali, mucche e cavalli! Sai quanto le piacciono i cavalli!”
“E una grande idea, Maria!” esclamò Liz.
Ora sorrideva e quando i suoi occhi incontrarono quelli di Max lui vide una
scintilla di vita che brillava luminosa. La sua eccitazione lo contagiò e la
sua mano raggiunse quella di lei, intrecciando insieme le loro dita. Creare un
complicato mondo di sogno per Ellie gli sarebbe costato un grande dispendio di
energia, ma lui già stava pensando al modo in cui Liz avrebbe potuto essere
utile, così da coinvolgerla.
“Ho bisogno del tuo aiuto, Liz. “ le sorrise. “Tu puoi pianificare tutto per
me. Il genere di giostra che le potrebbe piacere, come dovrebbe sembrare.”
“E quali animali mostrarle.” Liz gli strinse la mano e, girandosi verso Maria,
disse “Lei ama i cavalli. Max, potresti farle vedere i Clydesdales! Sono così
grandi!”
“Si.” lui sentì il suo entusiasmo. “E ci saranno Isabel, le nonne e i nonni.”
disse lui guardando entrambe le coppie di genitori. “Starebbero tutti in
sottofondo, così lei si abituerebbe a vedere tutti voi. Così quando Isabel
cercherà di passeggiare nei suoi sogni, Ellie la conoscerà e, si spera, non
sarà più spaventata, come la scorsa notte. Credo che potremo farlo.”
Con un chiaro scopo da raggiungere, l’umore intorno al tavolo era notevolmente
migliore di quando si erano seduti per mangiare. La loro conversazione era
animata e non ci volle molto perché si trovassero a discutere sul pro e sul
contro delle giostre.
“Io dico di si.” insistette Michael. “Le macchine sono le migliori.”
“No.” Maria scosse la testa. “Meglio le tazze da the.”
“le tazze da the?.” Michael fece una smorfia. “Quelle che girano e ti fanno
vomitare?”
“Sono divertenti, Michael.” Maria gli dette una pacca sul braccio.
“Si, specie se vomiti sul ragazzo seduto al tuo fianco.” rispose Michael.
“Ci sarebbe la ruota panoramica.” Nancy interruppe il loro scherzoso
battibecco. Teneva in braccio un Matthew addormentato e quando i suoi occhi
incontrarono quelli di Diane, entrambe annuirono in accordo. “decisamente la
ruota panoramica è la soluzione migliore.”
“A Ellie piacerà sicuramente.” concordò Diane. “Non è troppo veloce da
spaventarla, non fa vomitare,” e lanciò un’occhiata a Michael. “e quando si
fermerà in cima, le sembrerà di volare.”
Max spostò lo sguardo da sua madre a Liz , e si accorse dal suo sguardo che
stava pensando quello che pensava lui. Nel loro ultimo sogno insieme, loro tre
avevano volato, cavalcando sulla schiena del cavallo bianco e ad Ellie era
piaciuto, Volando in alto sopra la terra, non aveva avuto la minima paura.
Mentre erano seduti al tavolo uno al fianco dell’altra, Max mise il suo braccio
attorno a Liz, tirandola a sé fino a che la testa di lei fu contro la sua
spalla e la mano appoggiata sulla coscia di Max, coperta dalla sua mano. Già si
immaginava appollaiato sulla ruota panoramica, con Ellie stretta al suo fianco.
L’unica cosa che stonava nell’immagine, era l’assenza di Liz dal suo fianco.
Dentro di lui, nel profondo, sentiva un turbamento, qualcosa che non sapeva
definire ma che galleggiava nel perimetro della sua mente.
Qualcosa di significativo che riguardava Liz era successo, ma lui non riusciva
ad afferrarlo. Sapeva che era qualcosa che aveva a che fare con la loro
connessione, ma era fuori dalla sua portata. Scuotendosi, decise che la cosa
migliore da fare era non pensarci, ed aspettare che si chiarisse da solo. Ora
sapeva una sola cosa, che venisse l’inferno o l’ alta marea, lui avrebbe fatto
tutto quello che era in suo potere per tenere Ellie viva per Liz, nel suo cuore
e nella sua mente, fino al giorno che avrebbero potuto riportarla a casa.
Capitolo 81
Domenica diventò lunedì, poi martedì, con
intorno a loro gente che andava e veniva e un mare di attività. Carl aveva
insistito perché Max si prendesse tutta la settimana di libertà. Si era
meritato una vacanza e Max non poteva immaginare un modo migliore di
trascorrerla, che prendersi cura di sua moglie e suo figlio. La maggior parte
dei loro familiari era tornata a Roswell domenica, tutti eccetto le rispettive
madri che si erano trattenute un paio di giorni in più per aiutare in casa e,
naturalmente, per impossessarsi del bambino. Erano partite per Roswell il
pomeriggio precedente e, quando arrivò l’alba del mercoledì, fu la prima
mattina che in casa c’erano solo Max, Liz e il piccolo Matthew.
Disteso sulla pancia, Max si stiracchiò lentamente dal sonno, chiedendosi cosa
ci fosse di sbagliato con la sua faccia. Sentiva come se gli stessero portando
via il labbro inferiore dalla faccia. Ora qualcuno lo stava colpendo
sull’occhio. Oh, oh, oh, ora gli stavano attorcigliando un orecchio. Che
diavolo succedeva? L’occhio che non era sepolto nel cuscino si aprì e la voce
di sua moglie penetrò nella nebbia.
“Max …” Liz lo scosse, cercando di svegliarlo. “Il bambino … Matthew sta
piangendo.” Lei era ancora mezzo addormentata e la sua mano lo colpiva sulla
faccia per attirare la sua attenzione.
“Co …?” mormorò Max confuso. Le dita di lei lo schiaffeggiarono piano sulla
guancia e sul naso, poi qualcosa trovò la strada della sua bocca, quando l’aprì
per chiedere cosa stesse facendo. La mano di Max si chiuse su quella di lei e
tolse le dita dalla bocca, poi sollevò la testa per borbottare “Cosa c’è?”
“Matthew.” Liz si strofinò gli occhi insonnoliti. “Va' a prendere Matthew.”
“Matthew.” ripeté Max “Va' a prendere Matthew.” Si costrinse ad alzarsi e a
mettersi seduto sul bordo del letto, tentando di togliersi le ragnatele dal
cervello. Non era andato a prendere Matthew solo pochi minuti prima? Guardò
l’orologio sul comodino e vide che erano quasi le 7 e 30. L’ultima volta che
aveva preso Matthew segnava le 5. La volta precedente ancora mancavano pochi
minuti alle 2. Max arrivò alla conclusione che ai neonati non facesse piacere
che i loro genitori dormissero.
Si alzò in piedi e si diresse verso il bagno, quando la voce di Liz lo fermò
“Prima Matthew.”
“Giusto.” mormorò sottovoce e, a metà strada, cambiò direzione.
Poteva fare pipì più tardi. I bambini vengono prima dei genitori che devono
fare pipì. Se la sua vescica scoppiava, non doveva fare altro che autoguarirsi,
più tardi.
Trascinando i piedi per la stanza, si chinò sopra la culla e lì c’era Matthew,
che si mangiava le mani.
“Ehi, amico.” Max sorrise, mentre suo figlio arricciava la faccia e si agitava
più forte. “Sei affamato? Vuoi la tua mamma? Scommetto che lei ha qualcosa che
tu vuoi.” Prese delicatamente Matthew, lo strinse a sé e lo portò a Liz.
“Prima cambialo, tesoro.” gli ricordò Liz. mentre lei sistemava i cuscini in
modo da stare comoda per allattarlo.
“Giusto.” mormorò ancora Max e cambiò direzione per andare in camera del
bambino e cambiargli il pannolino. “I bambini devono essere cambiati, mentre i
papà devono trattenerla finché non scoppiano.” Max cullò Matthew, sostenendogli
la testa come gli aveva mostrato Liz e, attraversata la stanza, lo depose sul
fasciatolo.
“Ricordati di usare le salviettine per bambini.” gli urlò Liz.
“Me lo ricordo.” rispose Max, aprendo la tutina di Matthew. Prese dalla scatola
un pannolino pulito, lo poggiò lì accanto e cominciò a togliere quello sporco.
Un sorriso si allargò sul viso del piccolo e Max eccitato, urlò “Liz! Mi sta
sorridendo!”
“E’ solo gas.” gli gridò Liz di rimando. “E’ troppo piccolo per sorridere.”
“Gas?” Max si chinò e col naso fece un po’ di solletico sul pancino di Matthew.
“Questo era un sorriso, non è vero? Un sorriso solo per papà … oh,” Max
arricciò il naso. Liz aveva avuto ragione.
“Max, stai attento quando gli togli il pannolino …”
“Parla come se non ti avessi mai cambiato il pannolino prima d’ora.” disse Max
sottovoce a Matthew.
“ … i maschietti tendono …”
“Ti ho cambiato il pannolino un sacco di volte, vero?” disse in tono amorevole
mentre apriva le linguette.
“ … quando sentono l’aria fredda sulla pancia, …”
Max tolse il pannolino, allungò una mano per prendere le salviette e tornò a
guardare in basso verso Matthew con un largo sorriso sulla faccia. “Lei crede
che non so cosa sto facendo …”
“ … a fare la pipì.”
E in quel momento, Max vide impotente un getto di pipì attraversare l’aria e
colpirlo in pieno petto, bagnandogli completamente la t-shirt grigia, mentre
lui stava lì, immobile, a bocca aperta. Ancora una volta Liz aveva avuto
ragione. Recuperando la voce, Max guardò suo figlio.
“Ho capito, stai dalla sua parte!”
Matthew si limito a gorgogliare ed agitarsi contento.
“Max? Mi hai sentito?” lo chiamò Liz. C’era troppo silenzio nell’altra stanza.
“Hai bisogno di aiuto?” Ancora silenzio. “Max? C’è bisogno di me?”
Proprio allora lui apparve dalla porta con un bambino fresco e pulito e Liz si
chiese come mai portava Matthew così lontano dal suo corpo. Lei gli aveva
mostrato come portare il bambino, e non era quello il modo. Lui girò attorno al
letto e si chinò per passarle Matthew, ed allora lei capì la ragione.
“Max …” Liz cominciò a ridere, sapendo quale fosse la causa della macchia di
bagnato sulla sua maglietta.
“Ora vado a farmi una doccia.” la interruppe Max. Lei rise ancora più forte,
mentre lui traversava la stanza a testa alta, cercando di riguadagnare la
dignità che aveva perso.
***
In ufficio, Carl stava guardando una cartella, perso nei suoi pensieri. Stava
studiando le note che aveva preso durante la conversazione con Wakely, cercando
il numero di telefono della guardia di sicurezza che aveva lavorato alla
Haystack Mountain, mentre Liz era tenuta prigioniera. Non aveva ancora preso
contatto con l’uomo, ma ora gli sembrò che fosse il momento buono. Liz sarebbe
stato via per il resto della settimana e non c’era molto lavoro. Carl annotò il
nome e l’indirizzo su un foglio di carta, proprio mentre Chris entrò nella
stanza.
“Ah.” Carl sorrise. “Tempismo perfetto.”
“Cosa c’è di nuovo?” Chris alzò speranzoso un sopracciglio. Carl l’avrebbe
mandato fuori per acchiappare qualche cattivo?
“Voglio che mi porti questo tipo per interrogarlo.” Carl gli tese il foglio di
carta.
“Un nuovo caso?” chiese Chris lanciando un’occhiata al nome e all’indirizzo.
“Nah.” Carl scrollò le spalle. “Solo qualcosa che sto cercando. Ho intenzione
di fargli il quarto grado.”
“Quando vuoi che te lo porti?”
“Se è possibile, questo pomeriggio.”
“Lo avrai.” Chris si infilò il foglio nel taschino. “Farò un salto a Chandler
nel pomeriggio. Se ci saranno problemi, ti chiamerò.”
Chris si allontanò dalla scrivania e Carl chiuse la cartella e la poggiò sul
lato destro della sua scrivania. Forse, quel pomeriggio, avrebbe avuto qualche
risposta alle sue domande.
***
Max era seduto al tavolo della cucina, mentre cullava Matthew tra le sue
braccia. Guardava meravigliato gli occhi di suo figlio andare avanti e indietro
sotto le palpebre e la sua bocca muoversi come se stesse sognando di prendere
il latte dal seno di sua madre. Il bimbo si stiracchiò, poi tornò tranquillo, e
Max si sentì improvvisamente preoccupato. Guardò la luce sopra la tavola, poi
guardò Matthew, prima di spingere indietro la sedia e traversare la cucina per
andare accanto a Liz.
“Liz, pensi che il suo colorito sia normale?” chiese ansioso.
Liz distolse gli occhi dalla minestra che stava preparando e guardò suo figlio.
“La sua pelle mi sembra normale.”
“Non ti sembra giallo?” Max lo scrutò da vicino.
“No, Max.” Liz si morse il labbro inferiore. “La sua pelle è normale, non ha
l’itterizia.”
“Sei sicura? Perché Rachel ha detto di tenere gli occhi aperti nel caso in cui
…”
“Max, Matthew sta bene. Ora torna a sederti, amore.” gli diede una pacca sul
braccio.
“Il pranzo sarà pronto tra pochi minuti.”
Max tornò verso la sedia e si sedette delicatamente, per non svegliare il
bambino. Dopo pochi minuti si alzò di nuovo e traversò la cucina.
“Liz?” disse nel medesimo tono preoccupato. “Non ti sembra che faccia un suono
strano?”
Liz alzò gli occhi al cielo e posò il cucchiaio, prima di tornare a guardare
Matthew, che gorgogliava contendo mentre dalla sua piccola gola uscivano
piccoli suoni di soddisfazione. “Max, questi sono suoni normali.”
“Sei sicura?” disse ancora Max.
“Si, sono sicura.” Lei lo guardò tornare a tavola con gli occhi incollati al
fagottino tra le sue braccia. Preso il cucchiaio, ricominciò a girare la
minestra, contando lentamente dentro di sé. Non ci volle molto prima che Max
fosse di nuovo in piedi e camminasse nella sua direzione.
“Liz …”
“Cosa, amore?” chiese Liz a denti stretti.
“Cos’è questa cosa strana sulla sua testa?” Quel tono preoccupato non se ne
voleva andare.
“Quella è la ‘crosta lattea’.” lo tranquillizzò lei, sorridendo a Matthew ed
accarezzandogli la testa. I suoi occhi si alzarono su Max e gli disse “E’ molto
comune. Puoi guarirla, se vuoi.”
“Posso?” il tono era speranzoso.
“Si, amore.” gli diede la solita pacca sul braccio.
Felice di avere una missione, Max tornò a tavola e si rimise a sedere. Sospese
la sua mano sopra la testa di Matthew, mentre guariva la squamosità della
pelle, così comune nei neonati. Liz tornò a rimestare la minestra e quasi si
mise ad urlare, quando sentì la sedia spostarsi di nuovo.
“Liz …”
Lei sentì il suo passo traversare la cucina e si girò tenendo minacciosamente
in mano il cucchiaio che gocciolava brodo di pollo, e brandendolo come un’arma.
“Cosa c’è Max!”
Lui aggrottò le sopracciglia alla sua improvvisa esplosione, poi ricordò quello
che Rachel aveva detto sugli ormoni e sulla depressione post-partum. Doveva
solo essere paziente con lei, fino a che i suoi ormoni non si fossero
riassestati.
Liz fece un profondo respiro, chiedendosi quando Max avrebbe smesso di reagire
esageratamente a tutto, e cercò di calmarsi, mentre gli chiedeva “Cosa c’è
Max?”
Max le porse Matthew a braccia tese dicendo “Ha fatto la cacca. E’ il tuo turno
di cambiarlo.”
***
Carl era fuori dalla stanza degli interrogatori, studiando attraverso il vetro
l’uomo che sedeva al tavolo dentro la stanza. Era di allessa media, soprappeso,
con i capelli che diradavano in cima alla testa. La sua uniforme, appartenente
ad una società di sicurezza che Carl conosceva, non gli si adattava, troppo
stretta per il suo corpo tozzo. Guardò l’uomo muoversi irrequieto, incapace di
stare seduto per più di qualche minuto. Osservandolo, Carl si chiese per quale
motivo fosse nervoso.
la sua mano aprì la porta, facendo sobbalzare l’uomo. La sua testa si girò in
direzione di Carl, i loro sguardi si incontrarono e ci vollero solo pochi
istanti perché Carl lo inquadrasse. Non gli piaceva quello che vedeva.
Walter Anderson. 45 anni, maschio. Due lavori fatti giusto per mantenersi. Carl
sapeva quasi tutto di lui. Dove lavorava. Il suo stato civile. Quanti bambini
aveva. Quanti debiti aveva. ma c’era una cosa che non sapeva, ed era quella che
voleva scoprire quel giorno. Cosa aveva visto esattamente quando lavorava alla
Haystack Mountain.
“Signor Anderson,” Carl fece un cenno di saluto e si sedette di fronte a lui.
L’uomo lo fissò con piccoli occhi da furetto e Carl provò per lui un’antipatia
immediata. Il suo corpo era teso e gli occhi perlustravano la stanza, cercando
di guardare dappertutto tranne che Carl. Le sue dita grasse picchiettavano il
tavolo che gli stava davanti, in un gesto nervoso. Un naso tondeggiante
dominava la sua faccia e Carl pensò che passava più notti con una bottiglia che
con una donna.
“Cosa ci faccio qui?” chiese Anderson.
“Voglio farle solo qualche domanda.” disse deciso Carl.
“Che domande? A che proposito?” chiese lui sulla difensiva.
“Tu sei una guardia giurata.” disse Carl semplicemente.
“Si.” Anderson ghignò e guardò la sua uniforme. “Cosa glielo fa pensare?”
“Tu lavori alla Global.” Carl rimase impassibile.
“Si.” replicò Anderson e si agitò a disagio.
“Da quanto tempo?” chiese Carl.
“Un paio d’anni.”
“Ti piace il lavoro?”
“E’ solo un lavoro.”
“Sei sposato?” chiese Carl.
“Divorziato.” Anderson cominciò a infastidirsi.
“Bambini?”
“Due.”
“Che genere di attività trattano alla Global?” chiese Carl.
“Non lo so. Qualcosa a che fare con la bio-tecnologia.”
“Alta tecnologia, vero? scommetto che il livello di sicurezza sia piuttosto
alto, lì.”
“Farà meglio a crederci.” annuì Anderson. Telecamere a circuito chiuso. Sistemi
di allarme ad infrarossi. Scanner per la retina per mantenere la massima
segretezza.”
“Hai familiarità con gli alti livelli di sicurezza, non è vero?”
“Si, dipende dal lavoro.”
“Dove lavoravi prima di entrare alla Global?”
Anderson fissò il detective, sentendo che gli si drizzavano i capelli sulla
nuca. Era questo quello di cui si trattava? Pensava di aver coperto tutte le
tracce quando aveva falsificato i suoi dati di assunzione. Il suo ex cognato le
aveva coperte per lui. Quel bastardo aveva fatto la spia? Se quel figlio di
puttana l’aveva detto a qualcuno che lui lavorava a …
“Cosa è successo esattamente alla Haystack Mountain, signor Anderson?” chiese
Carl.
“Io … non … non ho mai sentito …”
“Tu hai lavorato lì dalla metà di maggio fino al 17 ottobre 2000.”
“No.” negò Anderson.
“Si.” Carl lo assediò verbalmente. “Tu hai partecipato ad un’operazione
illegale che teneva prigioniera una ragazza contro la sua volontà.”
“No.” Anderson scosse la testa ma i suoi occhi avevano lo sguardo di un animale
in trappola.
“Posso farti arrestare per rapimento. Posso fare in modo che tu non riveda mai
più la luce del sole. Posso mandarti in prigione per il resto della tua vita.”
“Cosa vuole da me?” disse Anderson spaventato.
“Voglio sapere tutto quello che è successo la notte del 17 ottobre.”
“Io non …”
“Tutto!” disse Carl minaccioso.
Anderson si sedette, fissando Carl a bocca aperta. poteva finire in prigione.
Uomini come lui non sopravvivevano alla prigione. sarebbe finito con un
coltello in pancia, sanguinando come un maiale sul pavimento della doccia.
Tornando indietro sui suoi propositi, disse alla fine “Voglio l’immunità, prima
di andare avanti.”
“Okay.” Carl annuì. Se lo era aspettato, e se da una parte voleva che pagasse
per i suoi crimini, sapeva anche che una confessione non era perseguibile. non
c’erano prove a suo carico.
“Cosa vuole sapere?”
“Dimmi tutto quello che è successo quella notte,” Carl tornò a sedersi.
“Comincia dal principio.”
***
Carl stava alla finestra, scuotendo la testa alle fesserie che stava
ascoltando. Quest’uomo era sincero, o veniva da quel manicomio che lakely aveva
trovato nel New Mexico? “Allora, dimmelo di nuovo. Quando ti sei accorto che
c’era qualcosa che non andava?”
“Come le ho detto, è stato quando ho sentito urlare Sandusky che mi sono
accorto che avevamo un problema. Mi sono girato ed ho visto un ragazzo che
stava in una delle celle. La stanza della ragazza. ma lei era già stata portata
in camera operatoria e il ragazzo era livido. Dio, i suoi occhi!”
Anderson fece una pausa mentre ricordava lo sguardo assassino in quegli occhi
spiritati. “Lui era arrabbiato, gridava a Sandusky di dirgli dove era la
ragazza. Sandusky era un vero cretino e si fece beffe del ragazzo e io l’ho
visto … crollare all’improvviso. Subito dopo Sandusky era sospeso in aria e ci
gridava di sparare al ragazzo. Aveva quella strana luce intorno a lui, come se
lo stesse stringendo, e cominciò ad urlare dal dolore. Abbiamo preso le pistole
ed abbiamo sparato, ma quella dannata parete di energia si formò tra noi, come
uno scudo, e i proiettili vi rimbalzavano contro. Il ragazzo teneva aperta la
sua mano in aria verso Sandusky e lui splendeva , e poi il ragazzo si limitò a
chiudere a pugno la mano e lui semplicemente … scomparve! E poi quel pazzo si
girò e guardò verso di me e mi sono trovato a volare per aria e sapevo che
stavo per morire. Sapevo che quel mostro avrebbe ucciso anche me, come aveva
ucciso Sandusky. Devo aver urtato la parete ed essere svenuto, perché quando mi
sono risvegliato, lui se ne era andato ed allora io sono scappato via da lì.”
Carl camminò verso il tavolo, senza sapere a cosa credere. La storia di quell’uomo
era troppo strana per essere credibile. Mostri che fanno scomparire la gente
nell’aria? Anderson aveva probabilmente preso una sbornia ed immaginato
l’intera storia. Stando di fronte a lui, Carl tirò fuori una serie di foto e le
fece scivolare lentamente sul tavolo. “Qualcuna di queste facce ti sembra
familiare?”
Anderson raccolse le foto e le guardò una ad una. La sua faccia rimase
impassibile fino a quando fu arrivato all’ultima poi, all’improvviso, saltò
sulla sedia e gettò via la foto come se scottasse. La sua mano tremava, mentre
la indicava, e la sua faccia era diventata bianca come quella di un fantasma ,
mentre urlava “E’ lui! E’ quel ragazzo! E’ il pazzo che ha ucciso Sandusky!”
Carl guardò la foto sul tavolo, fissando la faccia familiare del suo collega,
Max Evans.
Capitolo 82
Carl era seduto nella penombra del
soggiorno pensando all’interrogatorio fatto ad Anderson nel pomeriggio,
analizzando le cose che aveva sentito. Era tutto troppo inconcepibile per
essere vero. Troppo inverosimile. Mostri? Bambini non umani? L’alcol si doveva
essere bevuto il cervello di Anderson. Magari aveva immaginato tutto durante un
attacco di Delirium Tremens. Era tutto troppo dannatamente incredibile.
Ma Liz era stata tenuta prigioniera alla Haystack Mountain. Contro la sua
volontà. E Max era stato coinvolto in un’incursione per entrare in quel posto
la notte del 17 ottobre. La notte in cui era nata Ellie. E stando a quello che
aveva detto Max, quella notte avevano letteralmente strappato via Ellie dal
grembo della madre, perché la volevano fortemente.
Guardò nella cartella che aveva sulle ginocchia, fissando l’immagine di una
bellissima bambina dai capelli neri, disegnata con amore da un abile artista.
Cosa c’era in Ellie che faceva agire Miller così spaventosamente? Da fargli
aprire letteralmente Liz per toglierle la bambina e lasciarla a morire? Perché?
Perché quella bambina? Perché lei non era completamente … umana?
“Stupidaggini!” esplose Carl esasperato e chiuse di scatto la cartella. Non
credeva a una parola, di tutto quello. Oggi aveva ascoltato i vaneggiamenti di
un pazzo, che diceva un mucchio di castronerie. Max non era un mostro. Max non
era un pazzo che assassinava la gente con un cenno della mano. Uomini sospesi
per aria? Aloni splendenti? Campi di energia che respingevano i proiettili?
Fesserie!
Gettò la cartella sopra il tavolino da caffé di vetro e acciaio ed nella foga,
ne uscì una foto.
Carl la prese, guardando ancora una volta il viso sorridente del suo collega.
lui era sempre stato un buon conoscitore di caratteri e aveva saputo fin dal
primo momento che aveva visto Max, nel gennaio scorso, che era un uomo buono.
Un uomo premuroso. Un uomo con molti segreti, si, ma un uomo che provava
compassione e che aveva un cuore ed un’anima gentili.
Cindy Morgan lo aveva chiamato ‘Angelo’, diceva che lui brillava e che le sue
magiche mani le avevano fatto sparire il dolore. Walter Anderson lo aveva
chiamato ‘Mostro’, che usava quelle stesse mani per uccidere. Le due estremità
di una gamma. Un angelo ed un mostro. Come potevano entrambi essere Max?
Carl lavorava ogni giorno con lui, vedendo un uomo buono, gentile e onesto. Ma
anche vedendo un lato oscuro dentro di lui. Quando quel giorno al Maryvale
Hospital Johnson era fuggito, aveva sentito in lui la rabbia. I suoi lineamenti
si erano trasformati in qualcosa di oscuro, pericoloso, un’animale ferito
pronto ad attaccare. Ma quale uomo non avrebbe reagito così al suo posto? Se
lui e Michelle avessero avuto un bambino, e questo bambino fosse stato portato
via da loro, lui non avrebbe fatto altrettanto? Lui non avrebbe fatto tutto,
incluso l’uccidere, per salvare la sua vita e quella del suo bambino? Tutto
quello non era … umano? Proteggere quello che è nostro.
Alzatosi in piedi, prese la cartella e traversò la stanza per andare alla
piccola scrivania vicino alla parete. Aprì il primo cassetto e la mise dentro,
pensando che se Max aveva ucciso qualcuno, era stato giustificato dalle
circostanze. Tutto il resto della faccenda erano balle. I soli mostri alla
Haystack Mountain erano i dottori che lavoravano in quel posto.
***
Liz si alzò dal letto per mettere un addormentato Matthew nella culla, avvolto
nella sua copertina. Ritornò in silenzio nel letto e scivolò sotto le lenzuola,
facendo attenzione a non disturbare Max. Si era addormentato mentre la guardava
allattare Matthew, e Liz poggiò la testa sul cuscino, guardando il suo
bellissimo viso. I capelli gli ricadevano sulla fronte e lei si chiese quando
si sarebbe deciso a tagliarli. Di solito non li portava così lunghi, ma
ultimamente era stato un po’ preoccupato, a dire poco.
Avrebbe voluto toccarlo, spostargli i capelli dalla faccia, accarezzargli la
guancia con la punta delle dita, toccargli le labbra così sensuali con le sue,
ma non ne aveva il coraggio. E allora, si limitò a guardarlo e ad aspettare.
Non ci volle molto prima di avere il primo segno e una nebbiolina cominciò ad
offuscare la sua visione. Cercò di combattere la voglia di piangere, sapendo
quanto vicina fosse al posto in cui avrebbe voluto essere in quel momento. Gli
occhi di Max si muovevano sotto le palpebre e lei ebbe la conferma che la stava
vedendo, che stava parlando con lei, tenendo la piccola mano nella sua mentre
camminavano nel mondo dei loro sogni. Liz si avvicinò, giusto ne caso che lui
avesse parlato nel sonno, e allora, in piccola parte, lei avrebbe potuto
dividerlo con loro.
Una lacrima solitaria le scese dagli occhi per andare a bagnare la federa del
cuscino mentre il mondo di Max cambiava, portandolo in un posto dove lei non
avrebbe potuto seguirlo …
Ellie scrutò l’acqua, guardando attentamente il letto sassoso del ruscello. il
suo dito teso penetrò nella fredda superficie e quando cercò di prendere un
oggetto sul fondo, l’acqua le arrivò fino al gomito. Dal punto in cui era,
pochi passi distante, Max non riusciva a vedere cosa stesse cercando di
prendere, ma qualsiasi cosa fosse, aveva la completa attenzione della bambina.
“Papà?” Ellie interruppe il confortevole silenzio.
“Cosa c’è, tesoro?” le chiese, spostando un altro sasso. Lui era con i piedi
nell’acqua, con i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia e stavano costruendo
una diga per deviare una parte del ruscello. Voleva formare una piccola pozza
per vedere quali animali avrebbero potuto avventurarvisi.
“Ci sono dei pagui, qui?” chiese Ellie, girando un’altra conchiglia.
“No.” Max scosse la testa. “Non credici siano dei paguri. Dovremmo tornare
sulla spiaggia, per vederli.” Visto lo sguardo solenne sulla faccia della
piccola, non poté fare a meno di chiedersi, se ci fosse qualche altra cosa
dietro a quella domanda.
Alzatasi in piedi, lei guardò l’oggetto nella sua mano, poi si avvicinò a lui.
Max mise a posto un’altra pietra e poi le rivolse la sua completa attenzione,
quando lei gli chiese “Papà, cosa succede se al paguo non piace la sua casa?”
Max vide la conchiglia vuota nella sua mano, una conchiglia che non sarebbe
dovuta stare in un ruscello come questo, ma che ora le era familiare, una nuova
parte del suo mondo. “Vuoi dire, “ chiese guardandola in faccia “vuoi dire la
conchiglia che sceglie?”
“Si.” annuì lei, toccando la conchiglia con un dito. “Cosa succede se non gli
piace?”
“allora sceglie una nuova conchiglia.” Max cercò di leggere l’espressione della
sua faccia.
“Tutti ne possono scegliee una nuova?”
“Tutti ne possono …” Max cominciò a ripetere, poi comprese all’improvviso. Lei
voleva essere capace di scegliere una nuova casa, proprio come il paguro. Non
voleva stare dove stava.
“Vieni qui.” lui allungò le mani e lei tese le braccia verso di lui. Max la
sollevò in aria e camminò nell’acqua verso la riva del ruscello. Sedutosi in
terra, la mise sulle sue ginocchia, spostandole i capelli dal viso e
poggiandole le labbra sulla fronte.
“Mi manca mamma.” gli occhi di Ellie si alzarono per incontrare i suoi e il suo
mento cominciò a tremare.
“Lo so, Ellie.” sentì il respiro fermarsi alla straziante affermazione. “Anche
la mamma sente la tua mancanza.” Questa era la prima volta che parlava dei suoi
sentimenti sulla perdita della connessione con Liz. L’abbracciò e la strinse
forte, sentendo il piccolo petto contro il suo e le dita giocherellare con i
bottoni della sua camicia. “Sto cercando di trovare il modo per portarla ancora
qui.”
“Io lo so come fare.” Ellie lo guardò con i suoi grandi occhi innocenti.
“Lo sai?” Max inarcò un sopracciglio.”Come?” Era curioso di sapere che genere
di soluzione aveva trovato, ma non era preparato alla risposta che ebbe.
“Puoi dae a mamma un atto bambino.”
“Posso …” Max riuscì a stento a trattenere una risata. Lui si era scervellato
per trovare il modo di riportare Liz nei sogni, ma rimettere di nuovo incinta
Liz non era stato uno di quelli a cui avrebbe pensato. Com’era quel vecchio
detto? Dalla bocca dei bambini … Per quanto Liz volesse essere ancora con Ellie,
con Matthew che aveva meno di un mese, un’altra gravidanza era fuori questione.
“Sai, tesoro, la mamma ha appena avuto Matthew e c’è bisogno di tempo prima che
possa avere un altro bambino.” disse Max dolcemente.
“Oh.” Ellie giocò ancora con i bottoni della sua camicia. Pensò per quasi un
minuto e poi lo guardò speranzosa. “Domani va bene?”
Max non riuscì a trattenere il sorriso che gli si aprì sulla faccia e scosse la
testa. “No, penso che la mamma abbia bisogno di più tempo che un giorno.”
“La prossima settimana!” Ellie sorrise eccitata e Max rise alla sua
determinazione. La strinse forte tra le braccia, desiderando più di ogni altra
cosa che Liz avesse potuto vederla in quel momento.
***
Carl camminò nella sua desolata e vuota cucina, dirigendosi verso il
frigorifero per cercare qualcosa da mangiare. Aperta la porta, ne guardò il
contenuto, ma niente sembrava invitante. Quella notte si sentiva inquieto,
incapace di stare seduto a vedere la TV, o di leggere un libro, cosa che di
solito gli piaceva fare. Il suo appartamento era troppo tranquillo.
Ormai conviveva col silenzio da anni, tutto solo tra quelle pareti e la quiete
era stata la sua sola compagnia. La portava addosso come un mantello, come uno
scudo, mentre viveva dei suoi ricordi. Quando si ritirava in quel mondo che
esisteva solo nella sua mente, Michelle non era morta. Lei era viva e stava
bene e le loro vite erano ricche e piene, e per anni questo gli aveva dato
forza. Per anni il ricordo do lei lo Aveva fatto andare avanti, da una mattina
solitaria all’altra.
Qualche volta la sua risata echeggiava nel silenzio e poteva parlare con lei,
sentendo la sua voce solo nella mente. Le raccontava come era andata la
giornata, risparmiandole gli aspetti più brutti del suo lavoro, proprio come
succedeva quando era ancora viva. Poi, quando gli anni passavano uno dopo
l’altro, il silenzio era diventato più profondo. La sua risata era sbiadita,
fino a scomparire. Si era svegliato una mattine con la mano tesa per cercarla,
ed aveva trovato solo il suo posto vuoto.
E mentre gli anni passavano, si era gettato sempre di più nel suo lavoro.
Lavorare dodici ore al giorno, era una cosa normale per lui, perché così non
avrebbe dovuto affrontare il silenzio della sua casa vuota.
Il silenzio era diventato il suo nemico e gli ricordava tutto quello che aveva
perduto. man mano che il tempo passava, si era adattato ad una vita senza
Michelle, ma il silenzio rimaneva ancora. Ora, solo nella sua cucina, l’unico
suono che sentiva era quello dell’orologio sulla parete che contava i minuti
della sua vita mentre passavano.
Si passò le mani sulla faccia ed uscì dalla cucina, traversando adagio il
soggiorno, per raggiungere la stanza da letto. Si sbottonò lentamente i polsini
della camicia ed allora un suono penetrò il silenzio. Era un suono che
proveniva dalla sua mente e mentre i ricordi si riaffacciavano, le sue gambe si
fecero vacillanti e si dovette sorreggere con la mano, per evitare di cadere
sul letto. Si sedette sul bordo, invaso da un ricordo che credeva di avere
sepolto da tanti anni …
Lui odiava quel suono incessante. Era sempre presente, sempre in sottofondo in
quella desolata camera asettica. Se lo portava dietro quando usciva, quando
cercava di concentrarsi nel suo lavoro, quando andava a fare la spesa, non
poteva nemmeno fare la doccia senza sentirlo. Beep … beep … beep …
Fissò quella macchina terrificante, guardando la linea rossa che si arcuava al
ritmo do ogni beep. Beep … beep … beep … 60 beep ogni minuto.
Sentì la mano di lei stringergli la sua e girò lo sguardo sul suo viso. Il
cancro le aveva rubato la bellezza, ma non ai suoi occhi. Lui non vedeva le
ferite che non volevano guarire, le labbra secche o le guance incavate. Non
vedeva le zone calve che lei cercava di nascondere sotto il foulard. Per lui,
lei era ancora bella come il giorno che aveva percorso la navata ed aveva fatto
di lui l’uomo più felice del mondo.
“Carl.” sussurrò con difficoltà.
“Zitta, Michelle.” lui le strinse dolcemente la mano. “Conserva le forze.” Lui
non poteva perdere la speranza. I dottori avevano detto che non avrebbe ripreso
conoscenza, ma ora lei stava provando che si erano sbagliati.
“Carl.” sospirò lei, esausta per lo sforzo di parlare e lui si chinò per
sentirla. “Non addolorarti per me, Carl …”
“Michelle.” Lui si sentì soffocare. “Non …”
“Tu hai riempito d’amore la mia vita …”
“Michelle, ti prego … hai bisogno di riposare …” Le lacrime scendevano
liberamente sul suo viso. “ … ti prego …”
“Voglio che tu sia felice, Carl …” La sua voce era flebile, non più di un
soffio di brezza estiva.
“Michelle.”
“Hai così tanto amore da dare.” con grande sforzo lei allungò la mano per
accarezzargli la guancia. “Non addolorarti per me.”
“Michelle, no.” Carl piangeva, mentre appoggiava la sua testa sul petto di lei.
“Io ti amo, Michelle. Io … Io non posso …”
“Io sarò sempre con te, Carl.” Una lacrima le scivolò sulla guancia e poi
chiuse gli occhi.
Il beep incessante rallentò per poi ricominciare veloce e trasformarsi in un
suono prolungato. la mano di Carl si strinse a pugno sul sottile tessuto della
camicia da ospedale e le sue lacrime la bagnarono. Poteva sentire i movimenti
delle infermiere intorno a lui e poi un clic, ed il suono della macchina cessò,
rimpiazzato dal silenzio mortale che aveva invaso la sua vita.
L’unico suono che rimase furono i suoi torturati singhiozzi e l’eco della voce
di Michelle che ripeteva “Non addolorarti per me.”
Carl era scosso, mentre il ricordo si esaurì nella sua mente, il ricordo che
aveva sepolto nella sua mente per tanto tempo. alzò la testa e guardò la foto
sul comò, dall’altra parte della stanza, e vi si diresse, con le gambe ancora
instabili. Allungò la mano e toccò con le dita il viso sorridente di Michelle,
e poi un sorriso gli comparve sulla faccia. “Se da dove sei puoi vedermi,
probabilmente sarai arrabbiata, vero? Negli ultimi dieci anni ho fatto
esattamente l’unica cosa che mi avevi chiesto di non fare.” Il sorriso
scomparve e la sua voce tremò mentre aggiungeva “Non ho potuto farne a meno.”
Rimettendo a posto la fotografia, disse “Ora penso di essere pronto. Cosa ne
pensi?”
Proprio in quel momento il telefono squillò e lui si diresse verso il comodino.
Portò il telefono all’orecchio e quando riconobbe la voce all’altro capo, il
sorriso tornò ad addolcire i suoi lineamenti mentre diceva “Ciao, Rachel.”
il suo sguardo tornò alla foto sul comò e lui annuì in un gesto di
ringraziamento. Lei gli aveva appena dato la risposta alla sua domanda. Era
pronto ora ad abbracciare il futuro invece di vivere con i morti ricordi del
passato.
***
Max uscì lentamente dal sogno e la prima cosa che notò fu la sensazione della
mano di Liz che toccava la sua. Lei stava dormendo, con la testa poggiata sul
cuscino e rivolta verso di lui, e lui vide le tracce umide lasciate dalle sue
lacrime. Liberata la mano, fece scorrere le dita sopra la guancia di lei,
sentendo le lacrime che non si erano ancora asciugate.
Muovendosi più vicino, le passò un braccio intorno, sperando che il suo tocco
potesse calmarla nel sonno. Poteva sentire il suo lieve respiro contro il
proprio petto e le passò la mano tra i capelli, delicatamente, amorosamente,
augurandosi di poterla aiutare a superare quei momenti così dolorosi. Forse,
più tardi, quando si fosse svegliata, avrebbe potuto connettersi con lei e
lasciarle vedere il ricordo del suo sogno.
Non sarebbe stata la stessa cosa che essere lì, ma almeno avrebbe potuto vedere
Ellie e sentire il suono della sua voce. Avrebbero ancora potuto dividere il
sogno, almeno in piccola parte, e sapeva di averne bisogno ancora più di Liz.
Forse domani o il giorno dopo ancora sarebbe andata meglio. Forse avrebbero
trovato quell’unico indizio che li avrebbe portati più vicini ad Ellie. Forse
presto, i sogni non avrebbero più avuto importanza, perché Ellie sarebbe stata
a casa.
Capitolo 83
Carl prese la busta di carta marrone che
conteneva il suo pranzo e ne tolse il contenuto. un panino al prosciutto e
formaggio. Una confezione monoporzione di crepes, con panna acida ed erba
cipollina. Una busta di carotine, che non erano esattamente carotine ma carote
tagliate in modo da sembrare carotine. Infilò la mano nella busta e ne prese
una banana matura, che sbucciò e cominciò a mangiare.
Era stata una settimana tranquilla e Carl era compiaciuto quando i crimini
contro i bambini avevano un calo. Questo significava anche passare molto più
tempo alla stazione, nell’ufficio della Squadra e, mentre la settimana passava,
lui passava sempre più tempo a fissare la scrivania contro la parete più
lontana. Quella scrivania che sembrava vuota e in attesa.
Nel corso degli anni, aveva lavorato con diversi colleghi, ma non si era mai
affezionato a nessuno, come si era affezionato a Max. C’era qualcosa nel
ragazzo che gli aveva immediatamente ispirato fiducia, in cui si era
immedesimato, che aveva sentito affine. Se glielo avessero chiesto, Carl non
sarebbe stato capace di indicare cosa fosse. Max non parlava molto. Non rideva
molto. Non faceva battute spinte e di solito sembrava imbarazzato quando ne
sentiva una. Era più maturo dei suoi anni, ma ancora giovane e innocente. Carl
sentiva la sua mancanza. Senza di lui l’atmosfera sembrava vuota. Aspettava con
ansia il lunedì successivo, quando sarebbe rientrato in servizio e tutto
sarebbe tornato normale.
Finita la banana, gettò la buccia nella busta vuota e scartò il panino. Il suo
pranzo non era certo appetitoso, ma sicuramente più salutare di hamburger
grassi e patate fritte. Naturalmente, non si poteva paragonate all’ottimo
pranzo che aveva diviso con Rachel la scorsa settimana, quando lei era capitata
lì per una visita. Non riusciva nemmeno a ricordare cosa avesse preso. Di
fatto, non era nemmeno sicuro di aver mangiato qualcosa. Era stato troppo
occupato a guardare Rachel e ad ascoltare il suono della sua voce. Guardando
l’orologio sopra la porta, si chiese se ora lei fosse seduta alla sua
scrivania, mangiando il suo pranzo. la mano si diresse verso il telefono, quasi
avesse una sua volontà, e compose il numero che aveva mandato a memoria più di
un mese prima. Al secondo squillo, il suono della sua voce gli arrivò
all’orecchio, e lui disse “Ciao, Rachel. Sono …”
“Ciao, Carl.” disse lei, con una familiarità che lo riscaldò. Poteva quasi
credere di aver sentito un sorriso nella sua voce.
“Ho pensato che potevo trovarti a pranzo.” La voce di lui era smorzata , mentre
tamburellava con la matita sulla scrivania.
“Eccomi.” lei guardò il cibo che aveva sparso davanti. Un panino al tacchino.
Una busta di patatine, jalapeno, perché erano piccanti. Una banana perché era
salutare e perché le piaceva. Stava cercando di tenersi leggera, per potersi
godere la cena con lui quella sera.
“E’ ancora valido l’invito a cena?” chiese lui speranzoso. “madre Natura ha
pianificato di bussare a qualche porta, stasera?” Lui sentì la risata di lei
dall’altra parte e anche lui sorrise.
“nessuna visite della cicogna in programma per stasera.” fu felice di
informarlo. “Almeno non che io sappia. Per adesso.”
“Per adesso? Sembra quasi che tu stia valutando le probabilità pro e contro.”
“Quando dipende da Madre Natura,” rise Rachel “niente è sicuro, ma non penso
che saremo interrotti questa sera.”
“Bene.” Carl sorrise, pensando ai suoi occhi verdi. Sentendosi improvvisamente
nervoso, giocherellò con la busta di patatine sopra la sua scrivania,
schiacciando con il pollice prima una patatina poi un’altra, senza neanche
rendersene conto, fino a che una si spezzò volando in aria e colpendolo sulla
fronte. raccogliendola, disse “Um … per questa sera … vestiti informali?”
“Okay.” Rachel si mise una ciocca dei suoi lunghi capelli dietro l’orecchio. Si
chiese dove l’avrebbe portata quella sera. Sembrava che lui conoscesse i posti
migliori della città, con il cibo più buono e la gente più simpatica, ma lei
aveva avuto la sensazione che in molti di quei posti lui avesse mangiato da
solo. camerieri e cameriere sembravano conoscerlo, e di solito sembravano
sorpresi di vederlo in compagnia.
“Conosco un piccolo posto tranquillo dove potrai mangiare del vero cibo
messicano.” le disse Carl.
“Vero cibo messicano?” chiese Rachel. Amava il cibo caldo e piccante, più
piccante era meglio era. “Roba buona?”
“Penso di si, ma lo lascerò giudicare a te.” rispose lui.
“Dove?” gli chiese, incuriosita dal tono della sua voce. Era impazienza?
Entusiasmo? C’era una nota di nervosa attesa?
Lui trattenne il respiro per un attimo poi, esitante, disse lentamente “A casa
mia.” Si piegò avanti sulla sedia, aspettando la sua reazione.
Dopo una pausa densa di significato, lei disse “Non sapevo che sapessi
cucinare, Carl.” Lei non era mai stata a casa sua prima.
“Sono stato solo per tanto tempo, Rachel.” Non riuscì a nascondere la
malinconia nella sua voce. “Avevo la scelta tra andare fallito mangiando sempre
fuori casa, morire di fame o imparare a cucinare.” Anche se cercava di
scherzare sull’argomento, lei riusciva a sentire quanto fossero stati solitari
quegli anni per lui.
“Amo il vero cibo messicano.” disse lei, pensando che poteva amare un uomo dai
capelli scuri, con il naso rotto che sapeva cucinare cibo messicano autentico.
“Vengo a prenderti alle sette?” le chiese, con un senso di sollievo. Non le era
sembrata contraria a trascorrere un tranquillo venerdì sera loro due soli,
invece di andare ad un ristorante.
“Alle ses… sei sarebbe meglio.” suggerì lei. Sentì il calore salire dal suo
corpo e sorrise al lapsus freudiano, stava per dire sesso invece di sei.
“Alle sei sarò lì. Ci vediamo stasera, Rachel.”
“Ti aspetterò.”
***
Max stava quasi per impazzire. Come aveva fatto a cacciarsi in quel guaio?
Stava nel mezzo della cucina senza sapere cosa fare.
Il timer aveva suonato, riempiendo la cucina di un rumore insistente. La
pentola sul fuoco stava sibilando e traboccando e il vapore aveva riempito
l’aria. Il pane nel forno stava bruciando e l’odore era insopportabile. A
peggiorare la situazione il telefono aveva cominciato a squillare impazzito.
E poi c’era Matthew. Matthew lo stava assordando. Max lo teneva appoggiato
sulla spalla e gli dava piccole pacche sulla schiena mentre camminava avanti e
indietro per la cucina, ma Matthew aveva fame e papà non aveva
l’equipaggiamento giusto. Max si fermò e guardo in alto, gridando nella sua
mente ‘LIZZZZZZZZZZZZZZZZ!’.
Muovendosi di nuovo, Max posò delicatamente Matthew sul seggiolino posto al
centro del tavolo, sapendo che sarebbe stato al sicuro mentre lui cercava di
rimediare al disastro sui fornelli. Ma Matthew non aveva gradito e gridò ancora
più forte, sentendo l’improvvisa perdita del calore di suo padre. Max armeggiò
col timer, cercando di ricordarsi in quale direzione Liz gli avesse detto di
spegnerlo. Ogni volta che credeva di esserci riuscito, dopo un minuto, l’affare
infernale ricominciava di nuovo.
Quando finalmente il timer si fermò, Max si diresse verso la pentola che
traboccava sui fornelli. Alzò il coperchio proprio mentre Matthew lo distraeva
con un altro lamentoso gemito e una colonna di vapore si alzò a bruciargli la
parte interna del braccio.
Lasciò andare il coperchio con un forte rumore e imprecò “Dannazione!”
Abbandonando la pentola, si guarì il braccio passandoci sopra la mano, mentre
correva verso Matthew e lo sollevava dal seggiolino. Il bimbo si quietò per un
momento mentre rosicchiava il collo di Max, e quando si accorse che non c’era
latte, cominciò di nuovo a piangere nel suo orecchio. Proprio allora, il
telefono ricominciò a suonare incessantemente e, per aggiungere la beffa al
danno, il dannato timer della cucina fece il bis del suo spettacolo.
Perché, Dio, perché? si chiese Max, sentendosi sopraffatto. Perché aveva
permesso a Liz di andare al supermercato? Lei aveva detto che aveva bisogno di
uscire di casa per alcuni minuti. Aveva detto di essere stata rinchiusa per
tutta la settimana e di aver bisogno di prendere una boccata d’aria. Aveva
detto che era il turno di Max di preparare il pranzo e di non pensare nemmeno a
defilarsi.
Lui avrebbe dovuto essere un uomo e combattere per afferrare le chiavi,
prendere la lista della spesa e correre via.
Max andò in soggiorno e guardò fuori dalla finestra cercando di vedere se lei
fosse di ritorno. Dannazione. La strada di fronte alla casa era vuota. Dov’era
Liz? Non le avrebbe mai più dato il permesso di uscire da casa. Non fino a che
Matthew avesse compiuto 18 anni. Forse 19. Aveva cercato di dargli il ciuccio
per tenerlo quieto e per un minuto aveva funzionato, poi l’aveva sputato e
aveva ricominciato a piangere.
Proprio quando Max cominciava a credere che non si sarebbe più ripreso dalla
mezz’ora più lunga e drammatica della sua vita, vide la macchina di sua moglie
apparire in fondo alla strada. Improvvisamente i suoi occhi si spalancarono, e
lanciò un “Oh, dannazione!”
Tornò di corsa in cucina e passò la mano davanti al pannello anteriore del
fornello e l’incessante stridore del timer finì. Infatti, fece scomparire il
timer. Con un altro passaggio della mano, raffreddò il becco del gas e il
contenuto della pentola traboccante andò ad aggiungersi al timer nella terra
dei sogni. Mentre cercava ancora di confortare il suo urlante figliolo, aprì il
forno, ne tolse il pane bruciato e lo gettò nella spazzatura e poi girò la mano
attorno per far sparire il fumo dall’aria. Proprio mentre Liz infilava la
chiave nella toppa, Max infilò di nuovo il ciuccio nella bocca di Matthew.
Facendo un profondo respiro, si girò e sorrise a Liz che entrava in cucina
portando una borsa con la spesa. “Ciao!” gli disse un po’ troppo in fretta e
poi, per mascherarlo, aggiunse “Ti sei goduta la tua passeggiata al
supermercato?”
“Si, ma …” si accigliò, mentre si guardava intorno nella cucina. Posò la borsa
sulla tavola e disse “Max, io …”
“Matthew è affamato.” tagliò corto lui. traversò svelto la stanza e le porse il
bambino, dicendo impaziente “Tieni. E’ tutto tuo.”
“Affamato? Già?” Liz guardò suo figlio scuotendo la testa vedendo come
succhiava forte il ciuccio. Non avrebbe dovuto mangiare per almeno un’altra
ora.
“Ebbene, è un bambino che cresce, Liz.” Max era in piedi con le mani sui
fianchi. Stava cominciando ad essere contrariato, chiedendosi come mai ora
Matthew sembrava perfettamente felice col suo ciuccio, quando cinque minuti
prima lo aveva sputato via. Alzò la mano per grattarsi il collo e la tirò via
bagnata della bava del bambino.
“Non lo so, Max.” Liz cullò il bambino tra le braccia. “Non mi sembra
affamato.”
Huh? Non era affamato? Ma se stava cercando di mangiarmi, pensò Max,
asciugandosi la bava sulla gamba dei pantaloni. Il ragazzo era stato vorace,
aveva lappato il suo collo come se non ci fosse un domani.
“Parlando si fame,” Liz girò lo sguardo intorno alla cucina ordinata e poi
trafisse Max con lo sguardo. “Non dovevi preparare il pranzo?”
La bocca di Max si aprì e si chiuse in rapida successione, mentre cercava di
rimettere in moto il cervello. Pranzo? Come poteva spiegarle che fine aveva
fatto il pranzo, quando Matthew se ne stava contento a succhiare il suo ciuccio
e non faceva un suono?
Ancora con le mani sui fianchi, Max dichiarò “Prendi la borsa del bambino,
andiamo a cena fuori.”
***
Mentre Carl appendeva la sua giacca nel guardaroba, Rachel si girava nel
soggiorno guardando i mobili. Lui era venuto a prenderla alle sei in punto, ed
ora per la prima volta, stava vedendo il suo appartamento. Notò il divano nero
di cuoio e le poltrone assortite, il tavolino da caffé di vetro e acciaio; alla
fine del tavolo una lampada a stelo con la base d’ottone e il paralume bianco e
una libreria in legno laccato nero che si adattava alla scura stanza.
Ogni tanto c’era una macchia di colore qui e là. Un cuscino ricamato in
brillanti gialli, verdi e blu, era appoggiato ad un bracciolo del divano. Sulla
spalliera una coperta afgana, fatta da un paio di mani amorevoli. Un’eclettica
scelta di libri riempiva la libreria. Western di Zane Gray accanto a novelle
romantiche di Cartland e Holt. Classici di Austin e Bronte accanto a romanzi
popolari di Grisham e Clancy. Rachel notò l’unica mancanza evidente. Non
c’erano libri di fantascienza. Nessun libro di Arthur C. Clarke. Di Robert
Heinlein. Di Asimov o di Bradbury o di H. G. Wells.
I suoi occhi furono attirati da una fotografia in una cornice d’argento. La
foto, formato 8 x 10, di una coppia sorridente, lui in abito scuro e cravatta,
lei in un vestito bianco di seta e merletti. la fotografia di un matrimonio di
una coppia radiosamente felice. Le sue dita toccarono il bordo della cornice ,
poi sentì Carl avvicinarsi dietro di lei e tolse velocemente la mano.
“Questi siamo io e Michelle.” disse lui imbarazzato. “Quando, è piuttosto
ovvio.”
“Il giorno del vostro matrimonio.” Rachel lo guardò d sopra la spalla.
“Si.” rispose lui con un mesto sorriso.
Tornando a guardare la foto, Rachel disse “E’ molto graziosa.”
“Si.” disse Carl malinconico. “Lo era.”
“Anche tu avevi un bell’aspetto.” gli sorrise Rachel.
Carl inarcò il sopracciglio e scherzò “Col naso rotto e tutto il resto?”
“Specialmente col naso rotto e tutto il resto.” rise Rachel. Alzò la mano per
accarezzargli la guancia e gli occhi di lui risero quando lei aggiunse “Ti da
carattere.”
La mano di Carl coprì quella di lei e poi chiudendole intorno le dita la tirò
via dicendole “Andiamo. Voglio mostrarti la cucina.” La sua mano teneva quelle
di lei mentre le faceva strada e quando arrivarono dietro il divano, lei sfiorò
la coperta afgana. Un’immagine le balenò nella mente e Rachel si fermò
all’improvviso, quasi schiacciata dalla sua intensità.
Carl camminava nel soggiorno portando il suo carico con attenzione e tenerezza
infinite. La posò delicatamente sul divano e poi la avvolse nella coperta, per
essere sicuro che stesse al caldo. Le mise affianco il telefono, casomai ne
avesse avuto bisogno, e il telecomando nel caso in cui avesse voluto vedere la
TV. Prima ancora che lei avesse la possibilità di chiederglielo, le prese
l’ultima novella che lei aveva cominciato a leggere. La prese dal tavolino e la
mise vicino a lei, così non avrebbe dovuto allungarsi per raggiungerla.
Prendendole dolcemente la mano nella sua, si attardò, non volendo andarsene.
“Carl, farai tardi.”
“Michelle, ho avuto un permesso. Non mi va di lasciarti sola.”
“Carl, ne abbiamo già parlato. Barbara sarà qui tra un paio d’ore. Starò bene.”
“Ma …”
“Hai un lavoro da fare. Un lavoro importante. Inoltre, come farò a finir di
leggere il mio libro, se tu sei sempre qui intorno?”
“Stai dicendo che vuoi sbarazzarti di me?” Un sorriso apparve sulla sua faccia
ed ammorbidì i suoi lineamenti.
“Si.” lei rise. “Ma ti rivoglio indietro alla fine della giornata.”
“Chiamami.” il suo sorriso sbiadì. “Se hai bisogno di qualcosa. chiamami.”
“Lo farò.” Le loro mani si strinsero, poi Carl si avvicinò e poggiò le labbra
sulla sua guancia prima di costringersi ad allontanarsi da lei.
La visione cambiò e Rachel vide Carl seduto sul divano, solo, chinato in avanti
con le mani tra le sue ginocchia. i suoi occhi erano caduti sul libro,
abbandonato sul tavolino, con un segnalibro a tre quarti dall’inizio, che
segnava una pagina che lei non avrebbe mai più letto. Allungò la mano per
prenderlo, poi la ritirò e i suoi occhi lucidi percorsero la stanza silenziosa,
chiedendosi cosa avrebbe fatto ora.
Il suo corpo teso si appoggiò alla spalliera del divano, e le sue mani si
strofinarono gli occhi, prima di infilarsi tra i capelli. Una mano venne in
contatto con la coperta e le sue dita scivolarono tra i disegni lavorati
all’uncinetto. L’aveva fatta lei, per lui. Un regalo di Natale. il loro primo
anno insieme, anche se lei era l’unica a sentire il freddo, non lui. Lei aveva
ripreso i colori del tramonto, ombre di giallo che diventavano arancio e rosso,
e il blu del cielo a mezzanotte. La tolse dalla spalliera del divano,
raccogliendola tra le mani e seppellendo il viso nel tessuto, respirando il
profumo che ancora persisteva dove lei era stata, mentre il silenzio nella
stanza cedeva il passo al pianto di un uomo addolorato.
“Rachel?” chiese Carl, guardandola preoccupato. “C’è qualcosa che non va?”
Riscuotendosi dalla visione, le ci volle un qualche istante per ritrovare la
voce. “No.” gli sorrise debolmente. “Sto bene.”Lui la guardò per un lungo
momento e poi, stringendole la mano, rispese la strada per la cucina.
Lei lo seguì a testa bassa, cercando di riprendersi dalla visione, dalle
emozioni impresse nelle cose che lo circondavano. Michelle se ne era andata da
più di dieci anni ormai, ma il suo amore per lei restava ancora. Viveva nelle
pareti, negli oggetti che avevano diviso. Avrebbe mai potuto competere con
tutto questo?
Mentre passavano la soglia della cucina, Rachel notò che era altrettanto
spartana del soggiorno. Era come se, quando Michelle era morta, tutta la vita
fosse stata risucchiata, lasciando solo il vuoto dietro di lei. Apparentemente,
era così che appariva, fredda e vuota, ma lei aveva la capacità di vedere oltre
l’esteriorità. Dentro, quella stanza, quella casa, era piena del ricordo di
Michelle.
i suoi occhi andarono da una parte all’altra della cucina, e poi lo vide. Una
macchia di colore, in una stanza monocroma. Le margherite poste in un vaso
sulla tavola e un grande sorriso illuminò il viso di Carl quando si rese conto
del modo in cui gli occhi di lei si illuminarono. Rachel si avvicinò al tavolo
e posò un dito su un petalo vellutato e ancora una volta un’immagine arrivò
inaspettata.
“Devono essere adatti a lei.” disse Carl guardandosi attorno nel negozio di
fiori.
“Qualsiasi donna ama le rose.” raccomandò il fioraio.
“No.” Carl scosse la testa. “Sono sicuro che anche lei ama le rose, ma …”
“Ma non esprimono completamente il messaggio che lei vuole inviarle?”
“Io non so che …” e allora Carl mise a fuoco la macchia di giallo nella stanza.
“Quelli!”
“Oh, si.” il fioraio sorrise. “Margherite. Fresche e luminose.”
“Come un raggio di sole …” Carl sorrise mentre le guardava. Proprio come lei.
Rachel tolse la mano dai fiori e guardò Carl, quasi trattenendo il respiro. I
suoi dubbi di poco prima erano stati spazzati via dall’intensità delle emozioni
che aveva percepito nella visione. In quel momento, lei si rese conto che non
avrebbe mai dovuto competere con l’amore che lui aveva provato per Michelle.
Lui ne aveva più che abbastanza da offrire ancora.
“Sei sicura di stare bene?” chiese Carl con uno sguardo sconcertato. Non
l’aveva mai vista così prima d’ora.
“Si.” sorrise lei.
“Ti piacciono?” disse Carl indicando i fiori.
Lei annuì e poi, con il viso illuminato da una luce interiore, aggiunse “Sono i
miei preferiti.”
***
Rachel prese il tovagliolo dal tavolo e si pulì leggermente le labbra, le mani
e poi lo posò al fianco del piatto, mentre si appoggiava alla spalliera della
sedia. “E’ una delle migliori cene che abbia mai fatto, Carl.” sorrise. “Sei un
cuoco meraviglioso.”
“Sono contento che ti sia piaciuta.” Carl era raggiante e il sorriso sulla sua
faccia trasformò i suoi lineamenti in qualcosa di più dolce del suo solito
aspetto. Lei pensò che sembrava rudemente attraente con quello sguardo
profondo,col forte mento squadrato e con il collo robusto.
Il mondo vedeva il suo aspetto esteriore come duro e provato dalla vita che
aveva trascorso, ma Rachel poteva vedere l’uomo che era realmente al suo
interno. Lo aveva visto nel modo in cui aveva preso Max sotto le sue ali subito
dopo averlo conosciuto. Lo aveva visto nello sguardo che aveva negli occhi
quando parlava delle persone che amava, come Michelle, o sua madre, o il primo
compagno che aveva avuto nella Polizia, Dio custodisca la sua anima. Lo aveva
visto nel notiziario delle sei, nel modo in cui aveva stretto a sé la piccola
Cindy Morgan, come se fosse un delicato pezzo di cristallo. I bambini
riuscivano a vedere oltre i rudi lineamenti l’uomo gentile che era all’interno,
e così poteva fare lei.
Carl si alzò in piedi e cominciò a sparecchiare la tavola e Rachel fece lo
stesso. Lo seguì in silenzio in cucina e quando, dopo aver posato i piatti nel
lavandino, lui si girò quasi la travolse.
“Oh Dio, Rachel!” lui si affrettò a sostenerla. “Non mi ero accorto che fossi
qui!” Si trovò a sostenerla per la vita, proprio nel modo che aveva desiderato
per tutta la serata e lei strinse la presa sui bicchieri che stava portando per
non farli cadere sul pavimento.
“Mi spiace.” disse Rachel, con gli occhi fissi sulle labbra di lui, le sue
piene, mielate, sensuali labbra. Lentamente si avvicinarono, come calamite che
si attirano l’una con l’altra, e le labbra di lui incontrarono quelle di lei,
baciandola nel modo che aveva desiderato ardentemente fin da quando era
arrivata nel suo appartamento. Lei cercò a tastoni un ripiano per poter
poggiare i bicchieri di cristallo ed avere le mani libere, facendoli
tintinnare. Ne sentì uno rovesciarsi sul ripiano e cercò di staccarsi da Carl
per controllare se si fosse rotto.
“Non smettere.” mormorò Carl contro le sue labbra mentre la stringeva ancora.
“Potrebbe essersi rotto …” cercò di spiegare lei, ma le labbra di Carl le
impedirono di proseguire.
“Non importa.” disse lui e la baciò ancora più ardentemente. Sentì un gemito
profondo salire dalla gola di lei e si tirò indietro, ricordando a se stesso
che aveva deciso di portare avanti le cose lentamente.
Ma la desiderava così tanto, e prendere le cose lentamente sembrava così …
lento.
“Desideri qualche altra cosa?” cercò di chiederle e i suoi occhi verdi si
rabbuiarono. Deglutendo, le chiese “Vuoi del dolce?”
“No.” lei scosse la testa. “Non ora. Forse più tardi.”
“Più tardi?” le fece eco e la vide annuire. Era possibile che desiderasse la
stessa cosa che desiderava lui? No, si rimproverò. Lei voleva dire il dessert.
“Io, uh … ho noleggiato un paio di DVD. Screma 5 e Voci dal buio. hai detto che
ti piacciono …”
“va bene.” gli disse. Più spaventoso era il film, più avrebbe potuto
rannicchiarsi contro di lui. D’altro canto, non pensava di avere bisogno di un
pretesto. Non dopo il modo in cui l’aveva baciata.
“Da questa parte.” Carl le prese la mano e la condusse di nuovo in soggiorno. I
piatti sporchi nel lavandino era l’ultima cosa che avevano in mente.
Carl prese un film, non vide neanche quale, e lo inserì nel lettore DVD, prima
di unirsi a Rachel sul divano. La pelle era morbida e mentre affondò
nell’imbottitura del divano, sentì che Rachel si stava appoggiando a lui.
Spinse il bottone ‘play’ sul telecomando e poi si allungò per posarlo sul
tavolino.
La mano di Rachel si poggiò sulla sua, prendendogli il telecomando e spingendo
lo ‘stop’. Incontrando il suo sguardo interrogativo, gli disse “Parliamo,
invece.”
“Di cosa vuoi parlare?” disse Carl, andando in iperventilazione.
“Di questo …” disse lei, prendendogli il viso tra le mani e avvicinandosi a
lui. Le loro labbra si toccarono, all’inizio dolcemente e poi sempre più
appassionatamente, mentre Carl accantonava i propositi precedenti. Le sue
braccia la circondarono, stringendola contro di lui mentre si lasciava andare
alla passione. Era da tanto tempo, tanto, tanto tempo, che lui non si lasciava
andare.
La pressò contro la schiena del divano, le loro bocche ancora unite,
sospendendo il bacio solo per prendere respiro quando non poteva farne a meno,
per poi tornare a baciarla. Sentiva le mani di lei scorrere lungo la sua
schiena, sentiva il suo soffice corpo contro il suo e la desiderava così tanto.
Lei. Questo. Tutti e due. Per sentirsi ancora vivo.
Rachel si spinse via da lui e Carl si sentì terrorizzato, pensando che se ne
sarebbe andata, che non voleva quello che lui voleva, che non voleva lui. Lei
premette le sue mani contro il suo petto, mentre lui la guardava con profondo
desiderio, e gli disse esitante “Non c’è … non c’è un posto più comodo dove
possiamo andare?”
Lui deglutì mentre la guardava, poi annuì lentamente. Non riusciva a parlare.
Aveva dimenticato come si faceva. La sua voce aveva deciso di andare in
vacanza. La guardò alzarsi , poi si rese conto che il suo corpo aveva
dimenticato come muoversi. Era bloccato, capace solo di fissarla. La mano di
Rachel prese la sua e lo tirò in piedi. Si trovarono faccia a faccia, con solo
un cuscino d’aria tra di loro. Non era sicuro se stava respirando troppo
velocemente o se non stava respirando affatto e quando ritrovò la sua voce,
inciampò sulle parole.
“Rachel, io … tu sei … è da …”
Lei lo fece tacere con un lungo bacio e quando si separarono, gli disse
dolcemente
“E’ da cosa, Carl?”
“E’ da … così tanto tempo.” mormorò, ammettendo le sue paure. “Non voglio …
deluderti.”
“Da quanto, Carl?” gli chiese, dandogli un altro bacio.
Quando le loro labbra si staccarono lei lesse il sia desiderio che la
malinconia nei suoi occhi. Lui fece un sospiro, poi disse “Non da … è da … più
di dieci anni.”
La comprensione la colpì e la verità la incantò. “Tu non l’hai fatto … con
nessuno? Da quando è morta Michelle?”
“No.” Carl scosse la testa.”Io … non potevo. Voglio dire, avrei potuto, ma …”
Il suo sguardo si distolse da lei per un attimo e lui si passò la lingua sulle
labbra, improvvisamente asciutte. Quando i loro occhi si incontrarono di nuovo,
lei vi lesse la profondità del suo dolore. “Quando lei è morta, io, non ho
voluto farlo con nessun’altra.”
“Ti senti ancora così, Carl?” gli chiese sottovoce.
“No.” Carl guardò i suoi occhi affascinanti. “Voglio stare con te, Rachel.
Voglio toccarti. Voglio sentirti toccare me. Voglio fare l’amore con te.”
“Anche io lo voglio, Carl.” sorrise lei, sentendo il cuore battere svelto.
Carl fece scivolare la mano tra le sue e, dopo una breve esitazione si girò per
condurla in camera da letto. Esitò ancora quando raggiunse la porta e Rachel si
avvicinò, incoraggiandolo a dire quello che ovviamente aveva in mente.
“potrei non essere …” Cosa? All’altezza? Incapace di soddisfarla? Avrebbe
potuto finire prima ancora di averle dato la possibilità di cominciare? Erta da
tanto che non toccava una donna.
“Abbiamo tutta la notte, Carl e io non devo andare da nessuna parte.” Era una
cosa sfacciata da dire da parte sua, dicendogli che avrebbe trascorso tutta la
notte con lui, senza che lui glielo avesse chiesto, ma lei poteva sentire
dentro di lui e sapeva che era quello che lui voleva. Un giorno, forse presto,
lei sarebbe stata pronta per dirgli la verità e per aprirgli anche la sua
mente, oltre che il suo corpo. Fino ad allora, era felice di agire in modo
umano, pur di stare con lui.
Quando Carl aprì la porta della camera, aprì un nuovo capitolo della storia
della sua vita.
Capitolo 84
Max stava in silenzio sulla soglia del
bagno, guardando Liz che allattava Matthew. Lei era seduta sull’enorme sedia a
dondolo che fino ad una settimana prima era stata di sentinella alla camera di
Matthew, ma che adesso era di guardia accanto alla piccola culla dove dormiva,
accanto al letto dei suoi genitori. Presto l’avrebbero spostato nella sua
stanza, ma per ora né Max né Liz volevano Matthew fuori dalla loro vista.
Guardando sua moglie e suo figlio, il cuore di Max era gonfio d’amore per loro.
Liz sembrava raggiante quando lo teneva tra le braccia, come ora. Il suo viso
si illuminava quando Matthew succhiava dal suo seno e i suoni soddisfatti che
mandava facevano nascere un bellissimo sorriso sulle sue labbra, che lasciava
Max senza respiro.
Non volendo disturbare un momento così intimo tra madre e figlio, Max si infilò
in silenzio nel bagno.
Posò il suo cambio pulito sulla mensola vicino agli asciugamani e velocemente
si tolse la biancheria sporca. Entrando nella doccia, aprì l’acqua e regolò la
temperatura prima di infilarsi sotto al getto. Lasciò che l’acqua gli bagnasse
la pelle, chiudendo gli occhi mentre il calore gli penetrava nei muscoli e lo
rilassava. Era stata una settimana densa di eventi, con la nascita di Matthew e
l’arrivo del parentado da Roswell per vederlo. Ora, si sperava che la loro vita
tornasse ad una parvenza di normalità.
Max canticchiava, uscendo dalla doccia, contento e rilassato alla fine di
un’altra stupefacente giornata. Si, aveva avuto i suoi momenti difficili, vale
a dire la catastrofe quando Liz era andata a fare la spesa e l’aveva lasciato
solo con Matthew, ma era sopravvissuto e più tardi, ne aveva anche riso.
Specialmente quando Liz stava preparando la cena e non era riuscita a trovare
il timer del fornello.
Avvolgendosi nell’enorme asciugamano, noto a malapena la sensazione del soffice
cotone contro la sua pelle. Era troppo preso dal pensiero di tornare a letto
per trovarsi accanto a Liz e guardare suo figlio. Tutti i momenti che passava
con loro erano preziosi per lui, ed ogni minuto che passava lontano da loro,
era tempo perduto che non avrebbe più riacquistato.
Posò l’asciugamano e con agile grazia, traversò il bagno per prendere il cambio
pulito. Si infilò un paio di pantaloncini sopra le cosce muscolose, poi si
sistemò la cintura sui fianchi. Si fece scivolare una maglietta sopra la testa,
poi si ravviò i capelli, così si sarebbero asciugati in maniera ordinata, e si
avviò verso la stanza da letto.
Passata la porta, vide Liz con la testa chinata su Matthew, per vederlo
dormire. Max stava pensando che era una bella visione, un quadro che avrebbe
voluto disegnare, quando udì il singhiozzo smorzato che le uscì dalla gola. Si
affrettò nella stanza e si inginocchiò di fronte a lei, posandole piano un dito
sotto il mento e sollevandole il viso per poterla vedere. Le sue guance
portavano i segni di lacrime appena versate e Max sentì il suo stomaco
annodarsi. Non sopportava di vederla infelice, e vederla piangere era più di
quanto potesse sopportare.
“Amore, cosa c’è che non va?” le chiese dolcemente. Matthew stava dormendo
pacificamente, cullato amorosamente nelle sue braccia e Max tirò un sospiro di
sollievo vedendo che non c’era nulla che non andava in lui. Non era per Matthew
che stava piangendo.
Liz tentò di distogliere lo sguardo, ma Max non glielo permise. Lei cercava
sempre di tenergli nascoste le cose che la turbavano, pensando che lui aveva
già abbastanza fardelli da portare senza che lei ne aggiungesse altri. Lei
cercava di essere ottimista con lui, ma qualche volta era così difficile.
“Liz.” disse Max in tono rassicurante ma deciso “Dimmi cosa c’è che non va.”
“E’ che …” Liz cominciò a dire e quando la sua voce cominciò a tremare si morse
il labbro prima di riuscire a continuare. Sentire che Max le stava asciugando
le lacrime con il pollice era confortante, ma allo stesso tempo la faceva
piangere ancora di più. Max stava cominciando a chiedersi se non si trattasse
di depressione postpartum , da cui l’aveva messo in guardia Rachel, quando lei
parlò e le sue parole lo raggelarono.
“Lei … lei mi manca, Max.” e nuove lacrime le colarono sulle guance. “Mi manca
così tanto.”
“Liz …” Max la strinse a sé. La faccia di lei era premuta contro il suo petto e
le sue lacrime gli bagnavano la camicia. Max passò le dita tra i capelli di lei
cercando di confortarla, ma sapendo che solo una cosa avrebbe potuto aiutarla.
Aveva bisogno di Ellie. Di vederla ancora. Di toccarla. Di tenerla tra le
braccia. Matthew era perfetto in tutti i sensi, ma non avrebbe mai potuto
rimpiazzare Ellie.
“Shhhh.” Max cercò di calmarla. Matthew dormiva ancora tranquillo tra le sue
braccia, ma sarebbe stato questione di attimi e i suoi singhiozzi l’avrebbero
svegliato e le sue grida si sarebbero aggiunte a quelle di Liz. Max aveva una
cosa da tentare, e sapeva che tentarla era rischioso. Se non avesse funzionato,
le cose avrebbero potuto peggiorare, ma vedere Liz in quello stato gli spezzava
il cuore. “Liz.” cominciò a dire esitante. “Stavo pensando …”
“Cosa?” la sua voce era smorzata contro il petto di lui.
“A proposito di Ellie …” e la sentì irrigidirsi al sentire il nome di sua
figlia. “E di te e di me e della nostra connessione.” si affrettò a dire Max.
“Stavo pensando a qualcosa che è accaduto …”
“Cosa è accaduto?” Liz spinse indietro la testa e Max vide i suoi occhi, grandi
e rotondi, pieni di lacrime che aspettavano di essere versate. “Di cosa stai
parlando?”
“E se le tue passeggiate nei sogni non fossero limitate solo al periodo della
gravidanza?” suggerì Max.
“Cosa?” Liz scosse la testa, senza comprendere.
“Liz.” Max le prese il viso tra le mani e guardò nei profondi occhi scuri.
“Ricordi … “ cominciò a dire poi si fermò, odiandosi di dover far rivivere la
memoria di quel posto. “ricordi quando eravamo … in quel posto …”
Loro non ne parlavano mai, di quelle settimane e mesi che avevano passato
nell’istituto, trattenuti contro la loro volontà. Avevano cercato di andare
avanti con le loro vite, di lasciarsi alle spalle tutto quel dolore, ma tutti e
due convivevano ogni giorno con i ricordi.
“Ricordo.” disse piano Liz e distolse lo sguardo da lui.
“Noi dividevamo i sogni lì, Liz, lo ricordi?” Max cercò di far convergere i
pensieri di lei per non farle ricordare tutto il resto che era accaduto in quel
posto. “A quel tempo non lo sapevamo, ma fin dall’inizio, abbiamo condiviso
quel sogno in cui eravamo quasi riusciti a fuggire …”
“e ti avevano sparato.” Liz riportò il suo sguardo su di lui.
“Si.” annuì Max. il suo sguardo si addolcì, mentre aggiungeva “E ne ricordo uno
particolarmente bello che riguardava una torta di compleanno.”
“Si.” sorrise Liz. “Quello è stato un bel sogno.”
“Un gran bel sogno.” sorrise anche lui. “Ma il punto è,” e Max divenne serio
“quei sogno sono comparsi molto prima che facessimo l’amore, molto prima che tu
rimanessi incinta. Liz,” lui la guardò intensamente . “Io credo che la tua
capacità di dividere i miei sogni, nasca da qualcosa dentro di te.”
“No, Max.” Liz scosse la testa incredula. “Come potrebbe essere?”
“Forse quando ti ho guarita, ti ho cambiato.” disse Max, coprendole una guancia
con l mano. “Non ci sono molti guaritori tra la mia gente e non conosciamo le
conseguenze di tutto questo. Forse ho lasciato una parte di me dentro di te,
quel giorno che ci siamo collegati e lo saremo sempre.”
“Veramente pensi …” Liz aveva quasi paura di dirlo.
“Tu eri incinta da settimane prima che Josh ti spiegasse come passeggiare nei
sogni. La capacità era lì da tanto tempo, ma tu non lo sapevi, così non ci hai
mai provato. E se questa capacità è ancora lì, ma non è comparsa perché tu
pensi che non ci sia?”
“Lo pensi veramente?” chiese Liz con un filo di voce, timorosa di concedersi
delle speranze.
“Mentre stavi partorendo, ti ricordi che abbiamo preso Ellie e l’abbiamo
portata sulla spiaggia?” chiese lui.
“Si.” annuì lei e il suo mento tremò al ricordo di quell’ultima volta.
“Ci ho pensato molto, quest’ultima settimana.” Max passò un dito sul mento di
lei.” E’ stato differente da tutte le altre volte. Liz, noi non stavamo
dormendo quando ci siamo connessi, quella volta.”
“Cosa vuoi dire?” Liz strinse gli occhi, e una lacrima residua le scese sulla
guancia.
“Ellie è sempre venuta da noi nei nostri sogni.” cercò di spiegarle Max. “Ma la
notte del tuo parto, anche se riposavi tra una contrazione e l’altra e magari
schiacciavi anche un pisolino, non hai mai preso il sonno profondo, non il
sonno REM, e io ero completamente sveglio. Tu eri così concentrata durante le
contrazioni …”
“E mi concentravo su Pegaso, sul desiderio di volare via con Ellie.” lo
interruppe Liz.
“Giusto.” concordò Max. “E poi, dopo la contrazione …”
“Svuotavo la mia mente, per farla riposare prima della successiva.” Liz riportò
il pensiero a quella sera.
“Esattamente.” sorrise Max. “Tu svuotavi la tua mente tra le contrazioni e
Ellie trovava via libera. E poi ho posato le mie dita sulle tue tempie e mi
sono connesso con te, come facciamo qualche volta e sono stato in grado di
unirmi a voi.”
“Io pensavo che fosse per la gravidanza.” Liz lo guardò con gli occhi sgranati.
“Forse si, forse no.” suggerì Max. “Ma riflettici. Noi sapevamo che avremmo
passeggiato nel sogno con Ellie e tu ed io non stavamo dormendo, mentre lei
probabilmente sì. Credo che ci fosse qualcosa di più lì, Liz, una connessione
tra noi diventata più forte.”
“Lo pensi veramente?” Liz sentì nascere la speranza.
“Non ne sono certo, penso solo che la nostra connessione sia la chiave. Se tu
riesci a svuotare la tua mente e lasci che io mi unisca alla tua, forse quando
Ellie mi raggiungerà … forse potremo essere lì insieme.”
Guardando l’orologio sul comodino, aggiunse “E’ quasi il momento che di solito
raggiungo Ellie nel sogno. Vuoi provare a …”
“Certo che voglio provare!” esclamò Liz prima che lui riuscisse a finire la
frase.
“Bene.” le sorrise, sperando per lei che non il tutto non si risolvesse in una
delusione. Si alzò in piedi e fece alzare Liz dalla sedia a dondolo, sperando e
pregando che in pochi minuti Liz avesse potuto ancora una volta connettersi con
la loro bambina. Max la condusse accanto letto sentendo che avrebbero dovuto
ripetere le stesse azioni della settimana precedente, quando Liz stava
partorendo ed erano entrati insieme e da svegli nel loro mondo dei sogni. Montò
sul letto e fece stendere Liz finché non fu seduta comodamente tra le sue
gambe, con la schiena contro il suo petto. Lei lasciò che il suo peso posasse
contro di lui, tenendo Matthew ancora tranquillamente addormentato tra le sue
braccia. Anche lui faceva parte di tutto questo, questo speciale legame che
univa loro quattro in una famiglia.
“Ora chiusi gli occhi e rilassati.” le sussurrò Max all’orecchio. Con la mano
le accarezzava lentamente il braccio, risalendo fino alla spalla, cercando di
allentare la sua tensione. La camicia da notte era fresca e setosa, sotto il
palmo della mano e la sua pelle gli sembro morbidissima, quando arrivò ad
accarezzarle la gola. Poteva sentire le pulsazioni che correvano e le sussurrò
ancora “Rilassati. Liz. Svuota la tua mente come abbiamo già fatto un centinaio
di volte. Rilassati, così potremo connetterci, solo tu ed io, e vediamo cosa
succede …”
Tolse la mano dalla spalla di lei, per poterle baciare la delicata pelle sotto
la gola. Sotto il tocco delle sue labbra, Liz ebbe la sensazione di qualcosa
caldo e morbido e Max udì un leggero sospiro mentre lasciava un sentiero di
baci sul suo collo. Lei si girò, offrendogli le labbra e si baciarono
teneramente, mentre Matthew dormiva contento tra le braccia di sua madre.
Sentendo che si era calmata, Max stacco le sue labbra e mentre lei apriva
lentamente gli occhi e incontrava il suo sguardo, lui le chiese sottovoce “Sei
pronta adesso?”
Liz annuì e sul suo viso comparve un’espressione piena di fiducia, di speranza
e di fede. Max non si sentiva degno di quello sguardo, della fiducia che
riponeva in lui, o della fede che aveva in lui, ma la speranza che vedeva nei
suoi occhi era qualcosa che li teneva uniti. Lui aveva ancora i sogni che
divideva con Ellie, ma senza Liz, il loro mondo era incompleto. Ellie e Max
avevano bisogno di avere Liz con loro quanto Liz aveva bisogno di stare lì.
nessuno di loro si sarebbe sentito intero fino a che non fossero di nuovo tutti
insieme, anche se si dovevano limitare a i sogni.
“Chiudi gli occhi, Liz.” disse piano Max. “e apri la tua mente.” Lei lo baciò
ancora una volta, poi girò la testa in avanti. Le mani di lui lasciarono le
spalle di Liz per posarsi sulle sue tempie. “Pensa al prato, Liz.” le sussurrò.
Anche lui chiuse gli occhi, e poggiò la fronte sulla nuca di lei.” Lascia che
la tua mente si rilassi e pensa a quanto è tranquillo il prato, quando il sole
filtra tra i rami degli alberi e l’erba si muove dolcemente, increspandosi
intorno a noi. Ellie ama quel posto. Dice che è il nostro prato e che vivremo
lì per sempre. Pensa al nostro prato, Liz. cerca di arrivarci con la mente e
noi ti raggiungeremo lì …”
Liz galleggiava nel vuoto, da qualche parte tra la realtà e il mondo dei sogni.
Poteva sentire la voce di Max, dolce e ritmata, che aleggiava in sottofondo,
poi lentamente mise a fuoco le sue parole. La voce di Max si sovrapponeva al
dolce gorgogliare del loro ruscello, che si faceva strada nel loro paradiso di
sogno. I rami degli alberi scricchiolavano mentre si muovevano alla brezza
gentile e una farfalla le svolazzò attorno, appena fuori dalla sua portata.
Liz si ritrovò seduta sulla sponda del loro ruscello con la gonna arrotolata
sopra le ginocchia e l’acqua che le arrivava alle caviglie. Le ci volle un
attimo per sentire la presenza di Max dietro di lei e poi sentì le braccia di
lui cingerla in un caldo abbraccio.
“Liz!” Max quasi urlava dall’eccitazione. “Ha funzionato” Sei qui!”
“Noi siamo qui!” La sua voce era piena di gioia. Guardando lungo il ruscello e
verso il panorama, aggiunse “Mi è mancato tutto questo. Qui mi sembra di essere
a casa.”
“E’ vero.” concordò lui. Era una cosa che sentiva da tanto tempo, che il tempo
passato nel mondo dei sogni era in qualche modo più reale del mondo che li
circondava da svegli. Poteva vedere che Liz si guardava intorno e sapeva che
stava cercando Ellie. Se potavano stare lì insieme e dare ad Ellie la
possibilità di unirsi a loro, allora il loro mondo sarebbe stato completo.
“E’ così bello, qui, Max.” disse dolcemente Liz e sia appoggiò contro la spalla
di lui. “Così pieno di pace.”
“Lo è.” sospirò Max. La sola cosa che mancava era la loro bambina. Stare qui
con Liz era meraviglioso, solo loro due in un mondo di quiete, ma per quanto
speciale fosse il tempo che trascorrevano lì, la sua anima desiderava di avere
con loro Ellie e Matthew. La sua famiglia non sarebbe mai stata completa fino a
che loro quattro non si fossero riuniti. Appena formulato questo pensiero, Max
avvertì un cambiamento nell’aria. I suoi occhi si spalancarono, mentre lo
spazio davanti a loro ondeggiava e cominciò a sentire un peso tra le sue
braccia mentre Matthew prendeva forma. Il bambino si era unito a loro.
“Max …” Liz era raggiante, guardando il bambino tra le braccia di Max.
Matthew si agitava pieno di vita, mentre guardava i suoi genitori, e Max
esclamò “Ora non dirmi che questo non è un sorriso!”
“Hai ragione, Max.” rise Liz “Quello è veramente un sorriso.”
“Hey, amico.” si entusiasmò lui, chinandosi sopra suo figlio. Le sue piccole
dita si allungarono verso di lui colpendogli il viso, toccarono il suo naso e
gli tirarono il labbro inferiore. Max rise, togliendosi i ditini dalla bocca e
racchiudendo con la sua mano grande la piccola mano. Matthew gorgogliò e tubò,
muovendo le gambe eccitato mentre guardava il nuovo circondario.
Il sorriso di Liz andava da un orecchio all’altro, mentre guardava Max
interagire con suo figlio. Lei aveva sempre saputo che sarebbe stato un buon
padre, ma vederlo in azione la riempiva di un amore ancora più profondo. Già
aveva visto come si comportava con Ellie in quel mondo di sogno che dividevano
insieme. Pensava che Max, come marito e come uomo, fosse speciale. Come padre,
pensava che non ci fossero parole adatte per descrivere come fosse veramente
eccezionale. Con Matthew tra le sue braccia, l’evidenza era lì, alla portata di
tutti. Era doloroso che il mondo non avesse potuto vederlo con Ellie, o vedere
le magie che l’amore che provavano l’uno per l’altra creava intorno a loro.
Sorrisero a Matthew e Liz circondò Max con le sue braccia, facendo scorrere le
mani sulla sua schiena per rilassargli i muscoli. Il pomeriggio era caldo, con
la brezza leggera che soffiava tra l’erba e all’inizio non sentì il rumore dei
piccoli passi dietro di lei. Ellie si era fatta strada nel prato in silenzio,
timorosa del fatto che se avesse fatto rumore la mamma sarebbe scomparsa. Mamma
non doveva essere lì … forse, dopotutto, papà le aveva dato un altro bambino.
Se lei fosse stata in silenzio e immobile, forse poteva vedere la mamma e
sentire la voce della mamma e se fosse stata veramente, veramente ferma, senza
fare il minimo rumore, forse la mamma sarebbe rimasta.
Ma Ellie era solo una bambina, e la sua eccitazione nel vedere la madre non
poteva essere trattenuta. Sottovoce, quasi in un sospiro, Ellie disse “Mamma?”
Liz si sentì gelare, mentre il sorriso sulle sua labbra scomparve e le sue
mani, sulla schiena di Max, si immobilizzarono. Aveva sentito un suono, una
parola che aveva temuto di non sentire mai più da quella dolce voce. Staccò la
testa dalla spalla del marito e chiuse gli occhi, pregando silenziosamente che
non fosse solo uno scherzo della sua immaginazione o solo il suono del vento
che soffiava tra gli alberi. Stringendosi il labbro inferiore, rivolse
lentamente lo sguardo dietro di lei e rimase senza respiro alla vista davanti a
lei. La sua cara, dolce Ellie, era a poco più di qualche metro da lei.
Per un attimo non riuscì a muoversi, sentendo la voglia di ridere e piangere
allo stesso tempo e Max le guardò in silenzio, sentendo un immenso senso di
sollievo. Non era stato sicuro che la cosa avrebbe funzionato e temeva che il
fallimento potesse rendere ancora più profonda la disperazione di Liz. Ma aveva
funzionato e ora erano tutti insieme, in quel posto che chiamavano casa.
“Ellie.” la voce di Liz tremò mentre diceva il suo nome. Si portò la mano alla
bocca per trattenere un grido e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Lacrime
di gioia.
Ellie era immobile, dicendo a se stessa di non muoversi per non far scomparire
la mamma. Era la sua mamma reale, non l’immagine della mamma che papà aveva
ricreato per lei prima che avesse Matthew nella sua pancia.
“Ellie!” gridò Liz e si inerpicò sulla riva del ruscello. I suoi piedi scalzi
volarono nell’erba e cadde in ginocchio davanti a sua figlia, stringendola tra
le braccia, con le lacrime che le rigavano il viso. “Ellie, sei qui!”
“Mamma!” gridò anche Ellie. Strinse le piccole braccia attorno al colle della
madre e la strinse, per essere certa che non scomparisse. Con la voce rotta
dall’emozione disse contro l’orecchio di Liz “Sei ritonnata!”
“Si, bambina.” Liz la tenne stretta tra le braccia. “Sono ritornata. Ero così
triste senza di te, ma papà ha trovato il modo di riportarmi qui.”
“Devi andattene ancoa?” chiese Ellie terrorizzata e Liz la spinse indietro per
poterla vedere in faccia.
“No, Ellie, non devo andarmene più.” La strinse ancora una volta, poi si voltò
per guardare Max. Gli sorrise gioiosamente mentre diceva “Papà ha sistemato
tutto. Noi saremo sempre insieme. Tutti noi.”
Continua...
Scritta
da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di
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