La musica era davvero
assordante. Ma Sydney non la sentiva. Camminava a passo rapido; tutto
compariva e all’improvviso scompariva davanti ai suoi occhi, mentre le
luci si succedevano instancabili nel fumo che avvolgeva la sala da ballo.
Si sedette sul divano di pelle lucida, sorseggiando il suo drink. Micheal
era al suo fianco, impassibile. Dinanzi a loro, decine di corpi si
muovevano al ritmo di un rock chiassoso; ma avevano entrambi nelle
orecchie la voce di Marshall, e solo quella.
“Ecco, lo abbiamo trovato! Ora si trova esattamente accanto al bancone
centrale, quello con tutte quelle luci blu, lo vede agente Vaughn?
Dovrebbe andare ai servizi tra…un minuto e mezzo.”
“Va bene Marshall, vado.”
“Ti aspetto all’uscita di sicurezza, Vaughn. Tra quattro minuti.”
“Torno subito.”
Sydney gli sorrise brevemente e poi lo guardò scomparire nella calca. Si
chinò e posò il suo bicchiere ancora mezzo pieno a terra; si alzò, mentre
si sfilava il braccialetto dal polso. Premette un minuscolo pulsante, e lo
gettò nella borsetta che aveva con sé. La fece sparire dietro una delle
piante che adornavano quell’angolo del locale, e si allontanò lentamente.
In poco tempo altro fumo si andò spargendo per il locale; l’allarme
antincendio lottò contro il volume della musica, e solo quando si
azionarono i getti d’acqua l’ebbe vinta. La musica cessò di colpo, e in
pochi minuti il piccolo locale si spopolò.
Si guardava allo specchio, lavandosi le mani. Si riavviò i capelli.
Davvero un figurino, pensò, e fece l’occhiolino al volto riflesso. Diede
un’occhiata all’orologio; il suo uomo entrò proprio in quel momento. Aveva
controllato: non c’era niente e nessuno oltre a loro lì dentro.
Evidentemente il tipo si fidava di lui. Lo vide e gli fece un cenno col
capo.
“Signor Rodriguez…abbiamo parlato al telefono.”
“Cosa vuole da me la Convenzione?”
“Solo informazioni. Su Katja Derevko.”
“Chi?”
“O Talja Dreznev. E’ così che si faceva chiamare…dagli amici.”
“Talja…sì, la conosco. O meglio, la conoscevo. Non ho sue notizie da anni.
Perché?”
“Non importa. Sappiamo che avete avuto dei contatti. Voglio sapere di cosa
avete parlato.”
“Nulla di rilevante.”
“Non mi faccia perdere tempo! Perché l’ha incontrata?”
“Se alla Convenzione interessa tanto, credo che dovremmo cominciare a
parlare del mio compenso, prima.”
Aveva solo sessanta secondi, prima che le uscite di sicurezza fosse
intasate di gente. Sydney era sempre estremamente precisa. Lo guardò
accomodante.
“Iniziamo a ragionare, adesso.” Aprì la giubba e infilò la mano destra nel
taschino interno. Ne estrasse nient’altro che un pugno.
“Allora, questo basta per iniziare?”
“Ma che…?”
Vaughn lo immobilizzò facilmente alla porta.
“Cosa ti ha detto Talja?”
“Nulla, non mi ha detto nulla. Ma chi diavolo sei tu?”
“Non è di questo che dobbiamo parlare, ricordi?”
Sentì un rumore. Passi. Spinse Rodriguez nel bagno, e chiuse la porta,
armeggiando con la serratura rotta, e distraendosi per un attimo. E tanto
bastò perché l’altro lo colpisse, facendolo cadere.
“C’è qualcuno? Aiutatemi!”
I passi si allontanarono di corsa.
Non c’era più tempo. Vaughn lo afferrò per la gamba, facendogli perdere
l’equilibrio. L’uomo sbatté la testa, e ricadde sul WC.
“Basta scherzare, adesso. La vedi questa?” Aveva estratto la pistola.
“Dimmi quello che voglio sapere. Adesso. Avete lavorato insieme? E’ lei
che ti ha dato i soldi per aprire questa baracca?”
“No! Non mi ha dato niente. Non so nulla, io. Non…non sparare.”
“Dipende dalla risposta che mi darai. Perché vi siete incontrati?”
“Tanto ti prenderanno. Sta arrivando gente...“
“Non credo. Ma tu potresti non saperlo mai. Sei sicuro di voler
rischiare?”
No.
“Hai mai lavorato per la Convenzione?”
“Sì.”
“Come hai conosciuto Talja?”
“Mi ha contattato lei. E’ stato a Dublino…non so quanti anni fa. Ero lì in
vacanza.”
“Non mi interessa la storia della tua vita. Cosa voleva?”
“Voleva questo.” Gli mostrò un medaglione, presumibilmente d’oro, molto
vecchio, ma semplice. Niente di che.
“Cos’è?”
“Non so, l’ho comprato in un mercatino in città. Talja mi disse che era
appartenuto ad un certo tizio italiano…non so, non ricordo più chi.”
“Rambaldi? Milo Rambaldi?”
“Sì, Rambaldi! Ma perché è così importante?”
“Perché non glielo hai dato?”
“Mi piaceva. E lei offriva troppo poco. Allora mi ha chiesto se poteva
guardarlo.”
“E poi?”
“E poi se n’è andata.”
“Cosa c’è scritto sopra?”
“Due parole strane. DEREVAUN SERAUN.”
Vaughn gli strappò il ciondolo dal collo. “DEREVAUN SERAUN…cosa
significa?”
“Non lo so.”
“Oh, andiamo!”
“E’ vero, giuro! Deve essere una lingua morta.”
Tempo scaduto. “Spero per te che sia davvero così.”
Lo lasciò lì, e scomparve.
Con una sgommata, si allontanavano dal luogo dell’incendio. Il ‘Forteza’
era abbastanza isolato, ma presto sarebbe accorsa un mucchio di gente.
“Questo è tutto.”
“E’ ben poco.”
“Abbiamo quella frase. Potrebbe esserci utile.”
“Se ne conoscessimo il significato. Ma DEREVAUN SERAUN a me non dice
nulla.”
“Marshall sta controllando. Sul PC ha praticamente i dizionari di ogni
lingua. Se non sono lettere messe così a caso, lo scopriremo presto.”
“Uff! Credevo fosse finita.”
“E’ finita, Syd. Stiamo solo cercando le prove contro Foster. E per farlo,
abbiamo bisogno di sapere qualcosa di più sui membri della Convenzione. Ma
senza Lauren, Sark, Sloane, e la Derevko, hanno praticamente le ore
contate.”
“Non mi riferivo a questo, Micheal. E’ la profezia. E’ Rambaldi.”
“La profezia si é avverata, e questo é tutto. Tua madre l’ha confermato. E
poi, sei sicura che si tratti i Rambaldi anche stavolta?”
“Se non fosse così, perché Katja ci teneva tanto?”
“Non lo so.”
“Ci sono molte cose che non mi riesco a spiegare.”
Per quanto ancora? Era inevitabile pensare che la sua vita somigliava
sempre più ad un gigantesco rebus. E per di più, ogni volta che svelava
un’incognita, se ne presentavano sempre di nuove.
“Neanche io Syd, se è per questo. Ma non mi importa. Sloane è morto, e
così pure Lauren e Katja. E’ una storia chiusa. Hai ritrovato tua sorella,
tua madre…”
“Mia madre probabilmente sarà condannata a morte.”
“Non se potrà aiutarci ad inchiodare Foster.”
***
“Non posso aiutarvi. Non ne so nulla.”
“Mamma…sai cosa significa questo?”
“Certo, Syd. Prima o poi la CIA mi troverà. E’ inevitabile. E anche tu
passerai dei guai, se continuerai a nascondermi a casa tua.”
“Devi scappare, allora! Far perdere le tue tracce, di nuovo...”
“…E poi di nuovo? Oh no, basta scappare. Non ho più alcun appoggio, e mi
prenderebbero subito. E comunque non voglio. Devo restare.”
“No, non devi.”
“Sì, invece. E’ quello che vuoi.”
“Ma preferisco saperti al sicuro.”
“Non pensarci. Se è come dici, se Rambaldi ha ancora qualcosa da dirci,
potrei esserti utile QUI.”
“Allora dimmi qualcosa di tua sorella.”
“Mia sorella…Katja” sospirò “non siamo mai state molto unite. Intendo come
sorelle. Invece come colleghe ce la cavavamo, abbiamo collaborato spesso.”
“Come è entrata nella Convenzione?”
“La presentai io a Sloane.”
“Ma lei è rimasta con lui, quando tu sei…scomparsa.”
“Sì. Eravamo d’accordo. Mi vennero a cercare spesso, Sloane e Sark, e
anche la Reed. Ma dovevo aspettare che la profezia si avverasse, che tu
incontrassi Nadia e tutto il resto. E’ per questo che non mi sono fatta
viva per un po’. E Katja restò il mio contatto.”
Sydney sorrise dentro di sé. Sì, mamma, è da un po’ che non ti facevi
viva.
“So cosa stai pensando, Syd. Ma è davvero così. E comunque ti sono stata
sempre vicina, anche se tu non lo sapevi.”
“Ah sì?”
“Sì. Quando tu e Vaughn stavate per essere fucilati, in Asia, ricordi?”
Eccome se ricordava.
“Bé, tuo padre mi contattò via chat. Mi chiese aiuto.”
“E tu cosa hai fatto?”
“Ho mandato Katja.”
“Mi è parso di capire che c’era un patto tra di voi.”
“Qualcosa del genere. Appena scoperta la verità sulla Sfera di Rambaldi,
ho capito che tu e Nadia correvate troppi rischi. Ero certa che Katja vi
avrebbe venduto a Sloane. Così ho barattato la vostra incolumità con una
promessa.”
“Quale promessa?”
“Quando tutto sarebbe finito, cioè quando la profezia si fosse avverata,
Katja avrebbe avuto quello che voleva.”
“Cioè?”
Sua madre sorrise. Senza amarezza. “Uccidermi.”
Aveva da poco trovato una sorella. Le sembrava incredibile che qualcuno
volesse perdere la propria. “Cosa?”
“L’ho sempre saputo. Credo che non mi abbia perdonato molte cose. A
partire dall’aver lasciato crescere Nadia senza una madre. Le era molto
affezionata.”
Guardò sua madre dritto negli occhi. “Anche io sono cresciuta senza una
madre.”
“E’ vero, Sydney. Ma tu avevi sempre tuo padre. E, per inciso, Katja amava
tuo padre.”
“E’ impossibile.”
“Sì, è quello che credevo anche io. Ma è la verità. Puoi chiederlo a Jack,
quando andrai a trovarlo in ospedale.”
“Immagino che tu non mi abbia detto nulla perché la verità richiede tempo,
vero?”
“Sì, proprio così.” Irina rise. Era bello vederla ridere, dopotutto.
“Se non fosse andata come è andata, saresti morta.”
“Sì. Sarebbe dovuta andare così. Se non fosse andata com’è andata tanto
tempo fa, forse a quest’ora avresti una famiglia normale, un lavoro
normale, una vita normale…”
“Sono cose a cui ho rinunciato da tempo. E poi, non è quello che desidero,
evidentemente.” Tradì per un attimo tutto il suo fastidio.
“Capisco come ti senti.”
“No, non credo. Sai, non è facile, né piacevole, pensare che la propria
vita è nelle mani di futurologo italiano del ‘500, di un pazzo omicida nel
2000, e di una zia di cui non ero certo la favorita.”
“Non ti dò torto, Sydney. So che a volte è difficile accettare il ruolo
che ci è stato dato, o che ci siamo costruiti. A volte si cerca di
scappare. Ma spesso è inutile.”
“Il ruolo che ci è stato dato…ma c’è davvero un piano per ognuno di noi?”
“Sai, non avrei mai creduto che tra noi ci sarebbe una discussione così
profonda.”
“Stiamo migliorando, allora.”
Si persero così, in una risata, tutti quei pensieri. Ma fu solo per una
sera.
***
[sigla]
Si svegliò ancora stanca. Aveva dormito poco, e male. Per tutta la notte
aveva pensato a come sarebbe stato il suo futuro, lì a Los Angeles, con
una sorella che aveva da poco conosciuto, e una madre che avrebbe dovuto
imparare a conoscere. Nonché una vita nuova davanti. Spiò fuori dalle
coperte, con cautela; non voleva rischiare di prendere freddo. La suite
d’albergo non era troppo grande, ma era accogliente, ed era quello che
serviva ad una straniera a Los Angeles. Ci pensò un po’ su, ma si alzò
solo quando il cellulare iniziò a squillare.
“Nadia?”
“Sì? Rosamunde?”
Rosamunde Potwell era stata la prima persona che aveva conosciuto a Los
Angeles. Stava cercando un lavoro, e se possibile nuove conoscenze.
“Esatto! Che ne diresti di venire oggi?”
Era già sotto la doccia, era già giù in strada. Non sapeva quanto tempo
era passato, ma sapeva che l’orologio la stava portando verso una giornata
normale.
***
Si svegliò ancora stanca. Aveva dormito poco, e male. Come le succedeva da
un po’ di tempo a quella parte. Per tutta la notte aveva pensato a quelle
due incomprensibili parole, DEREVAUN SERAUN, e a molte altre. Quelle dette
da sua madre, ad esempio. Quelle di Vaughn. Quelle di Dixon. Dixon. Il
giorno prima si erano incontrati, in cella. Le prove contro di lui erano
davvero schiaccianti; evidentemente create ad arte. Incontri con Lauren
Reed, e anche con Sark; versamenti misteriosi sul suo conto corrente,
addirittura particolari sul rapimento dei suoi due figli, come se fosse
stato a conoscenza di tutto, e che anzi fosse stato lui l’orditore del
piano. “Syd, non c’è nulla da fare. I miei figli perderanno anche loro
padre.” Ma lei si era rifiutata di crederci. Avrebbe di certo fatto tutto
il possibile, e non solo per salvare Dixon, ma anche per se stessa. Aveva
una lunga giornata dinanzi a sé. Si alzò, e andò in soggiorno con questo
pensiero. Ma la giornata sarebbe stata ancora più lunga. Sua madre era
scomparsa.
***
Stava facendo colazione. Niente di buono, per la verità. Odiava gli
ospedali. Li aveva sempre odiati. Benché si intendesse di medicina. Ma
riflettè che avrebbe odiato anche avere una pallottola nella spalla per
poco più del necessario, così, sebbene a malincuore, mangiò ancora. Voleva
riprendersi il più presto possibile. E parlare con Sydney. Bussarono alla
porta. Telepatia?
“Salve, Jack.”
“Agente Vaughn.“
“Come si sente?”
“Meglio dell’altra sera.”
Laconico. Come sempre. Che suocero si era andato a scegliere. Ma non ci
badò.
“Bene.”
“Novità?”
“Una, sì. Abbiamo rintracciato un vecchio contatto di Katja Derevko, Ramon
Rodriguez. Alias Patrick Leibster.”
“Questo nome non mi dice nulla.”
“Ha svolto qualche lavoretto per la Convenzione. Niente di che, ma ha
avuto contatti anche con Sark. Ora, abbiamo un medaglione di Rambaldi, con
un messaggio: DEREVAUN SERAUN.”
“E cosa significherebbe?”
“Non lo sappiamo ancora. Una formula magica, magari.”
Jack Bristow scosse la testa con decisione. “Agente Vaughn, crede davvero
di riuscire a trovare le prove del coinvolgimento di Foster?”
Poi guardò negli occhi Vaughn, e lo lasciò interdetto. “Sì? Tempo perso.”
“Se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni, è che non si può
mai trascurare una pista. Solo cercando potremo…”
“Lei non ha più anni di servizio di me. Se c’è una cosa che ho imparato
io, è che la verità può restare nascosta per anni, e in certi casi per
sempre. E questa è una di quelle volte. C’è troppo in ballo stavolta. Non
avranno commesso errori.”
“Non ha neanche un ragionevole dubbio? Non crede di potersi sbagliare?”
“Con sua moglie non ho sbagliato.”
Vaughn non seppe cosa rispondere.
“A proposito, si ricorda cosa le dissi poco dopo il ritorno di Sydney?”
Annuì. Il suo sguardo non prometteva nulla di buono.
“Non voglio che Sydney soffra ancora per questa storia, e la aiuterò,
nonostante tutto. Ma stia lontano da lei. Ha capito?”
“Non può decidere per lei.”
“No? Ascolti, Vaughn: lei non potrà rendere Sydney felice. Non importa se
andate a letto insieme, e prima o poi lo capirà da sé, ne sono convinto;
ma intanto devo preoccuparmi che stia bene. Sono suo padre. ”
“Io sono l’uomo che ama.”
“Sciocchezze.”
“Non è una sciocchezza. E’ quello che Sydney desidera. Con o senza il suo
permesso.”
Questa volta fu Jack a restare senza parole. Si limitò a guardarlo torvo.
“La sposerò. Fosse l’ultima cosa che faccio.”
Non gli rivolse nessun saluto. Vaughn si alzò, e uscì, sebbene fosse
appena arrivato. Jack tornò a mangiare, senza apparentemente avvedersene.
***
Fermò un taxi, e montò a bordo. Diede l’indirizzo all’uomo seduto davanti
a lei, e si lasciò cadere sul sedile. Guardava dritto innanzi a sé, o
forse in qualche punto indeterminato nella sua mente. E’ la cosa giusta da
fare, si convinse finalmente. Anche se aveva già deciso tutto la sera
prima, nel momento in cui aveva visto sua figlia sorridere. Si stupì della
sua spietata dolcezza, senza rimorso. Ripensava ai grandi piani del
destino, al suo ruolo di spia e di moglie e madre, alla ricerca di una
sistemazione per quello che restava della sua vita. Quando il taxi si
fermò, comandò all’autista di aspettarla, perché sarebbe tornata subito
per essere condotta in altro luogo. Poi discese, ma si fermò
all’improvviso, come rammentandosi di qualcosa di estremamente importante.
La sua mano corse a frugare nella tasca della giacca; tranquillizzatasi,
la donna entrò infine nel grande edificio che le stava davanti.
***
Fermò un taxi, e montò a bordo. Diede l’indirizzo all’uomo seduto davanti
a lei, e si lasciò cadere sul sedile. Guardava a destra e a sinistra,
senza sosta; dai finestrini la città le raccontava le sue innumerevoli
storie, storie di uomini e donne e bambini, e le loro vite, vite di padri,
madri, figli, amici, colleghi…in una dolce e metropolitana confusione
mentale, si lasciò cullare dal traffico fino alla scuola dove avrebbe
dovuto tenere qualche lezione di letteratura, finché la titolare non fosse
tornata dalle vacanze che aveva aspettato per trent’anni. Aveva sempre
adorato la lettura, e l’insegnamento, e il contatto con i giovani. Ma più
di tutto stava convincendosi di adorare l’idea di un’esistenza comune,
avvolta nel monotono e insostituibile grigiore della routine.
***
Non era adirato. Era stranamente rilassato. Si avviò per il corridoio fino
all’ascensore, decidendo di non degnare le parole di Jack di nessuna
considerazione. Le rimosse mentalmente ad una ad una, senza soffermarvisi
troppo, perché temeva che qualcosa dentro di lui gli stesse dicendo che
chissà, forse non sarebbero state così improbabili. I momenti che aveva
passato in quel periodo con Sydney lo tranquillizzavano. Poi, come per
persuadersi meglio di non starsi sbagliando, le telefonò. Sentendo il
segnale di occupato riattaccò, mentre intanto schiacciava il tasto che lo
avrebbe condotto verso il pianoterra. Sydney lo richiamò intanto che Irina
Derevko oltrepassava le porte dell’ascensore adiacente.
“Sì?”
“Micheal.”
“Syd! Come stai?”
“Malissimo. Ho la testa che non smette di girare, e devo aver mangiato
qualcosa che mi ha scombussolato lo stomaco.”
“Mi dispiace, tesoro.”
“C’è dell’altro. Mia madre è scomparsa.”
“Cosa?”
“Non è in casa. E dubito che sia andata a fare shopping.”
“Accidenti! E’ impazzita?”
“Avrà qualcosa in mente.”
“Certo. Farsi arrestare, probabilmente.”
“Credo abbia altri gusti riguardo alle vacanze.”
“Dobbiamo trovarla subito.”
“Non la troveremo, a meno che lei non voglia.”
“Suppongo che tu abbia ragione.”
“Dove sei?”
“Sono appena andato a trovare tuo padre.”
“Davvero?”
“Già. Abbiamo parlato un pò”
“Strano. L’ho appena chiamato, ma non mi ha detto niente.”
Strano.
***
Niente. Aveva provato di tutto. Erano 26 ore che si lambiccava il
cervello. Certo, era più adatto ai numeri che alle parole, ma non avrebbe
mai creduto di doversi arrendere. C’era qualcosa che la tecnologia non
riusciva a scoprire, un punto dove non poteva arrivare, a quanto sembrava.
Ne era sorpreso. E un po’ deluso.
“Allora, Marshall?”
“Oh, agente Bristow…che piacere rivederla.”
“Come sta andando?”
“Beh…male. Malissimo, cioè, peggio di così non potrebbe.”
“Nulla?”
“Nulla. Quelle parole non esistono da nessuna parte.”
Sydney non ebbe il tempo né di rammaricarsi, né di tentare nuove
soluzioni, né di pensare del tutto. Entrarono due uomini che non aveva mai
visto, e senza porre tempo in mezzo la condussero nell’ufficio di Dixon,
ora usurpato da Foster. Si lasciò condurre disciplinatamente, ma quando
gli fu davanti, iniziò a perdere la calma.
“Allora?”
“Agente Bristow. Si accomodi, prego. Senza complimenti.”
“Di cosa voleva parlarmi così…urgentemente?”
“In verità volevo presentarmi. E’ un vero piacere per me. Non abbiamo
avuto occasione di vederci prima, ma so tutto di lei.”
Non ne era stupita. Forse il Dossier S.A.B. 47 era prossimo a divenire un
best seller, si disse. Ma sarebbe venuto il tempo in cui il capitolo
finale l’avrebbe scritto lei.
“So che è la migliore agente dell’agenzia, ovviamente. Perciò confido nel
suo appoggio, e nel suo prezioso contributo, per la missione che stiamo
preparando.”
“Ovvero?”
“Distruggere la Convenzione, ovviamente.”
Sydney non battè ciglio. Sapeva che c’era gente che sputava nel piatto in
cui mangiava, ma Foster non le sembrava il tipo.
“Non è rimasto molto da distruggere.”
“Non direi. Ci mancano ancora alcuni tasselli del puzzle. Quando Dixon si
deciderà a parlare, avremo qualche elemento in più. Intanto indaghiamo
sulla Derevko.”
“Dixon è innocente.”
“Davvero? E come può giustificare questa affermazione?”
“Lo so e basta.”
“E’ un pò poco. Noi ci basiamo su prove concrete, non sui giudizi dettati
dalla sua sensibilità. Prove, capisce? Come quelle che abbiamo contro di
lui.”
Sydney scosse la testa.
“E poi c’è la Derevko. Sua madre.”
“Non la vedo da anni.”
“E suo padre, Jack Bristow, ha avuto altri contatti con lei?”
“No.”
“Davvero, agente Bristow? Ne è sicura?”
“Certo. Irina Derevko è introvabile, non lo sa?”
“A noi risulta che sia stata avvistata a Dublino. Che coincidenza…mentre
lei si trovava in quella città. Altro che anni. Ma questo il suo rapporto
non lo riporta.”
Non credeva alle proprie orecchie. La notte di Dublino aveva riportato tre
morti, un incendio, e quella che aveva creduto essere la fine di quella
storia. I superstiti, e unici testimoni di quello che era successo, erano
lei, Vaughn, Nadia, suo padre e sua madre. Non c’era nessuno oltre a loro.
Nessuno.
“Nessuno oltre ai citati Sloane Arvin, Derevko Katja, il tipo africano, o
giù di lì, Mbomani mi pare, l’agente Bristow Jack, e l’agente Vaughn
Micheal, agente Bristow? Nessuno? Bene, mi fa piacere avere la sua
conferma.”
I suoi genitori gli avevano confermato di essere rimasti ben nascosti.
Jack aveva finto di essere in missione, e Irina…beh, sparire era una sua
specialità. Era inverosimile che si fosse fatta scoprire adesso.
“Dovrebbe controllare meglio le sue fonti. E anche se la Dereko fosse
stata lì, non era di certo con me quella sera.” Corse il rischio. “O ha
forse le prove di un nostro incontro?”
“Oh no, no agente Bristow. Ma le mie fonti non hanno bisogno di controlli.
Mi dica solo quello che sa.”
“E’ tutto scritto sul mio rapporto.”
“Il suo rapporto è pieno di lacune, ed è poco approfondito…mi sorge il
dubbio che non coincida pienamente con la verità.”
“Questa è una critica alle mie doti di scrittrice o di agente?”
“Decida lei. Sua madre è ricercata; è una pericolosa criminale.
Proteggerla la metterebbe in una posizione difficile, agente Bristow. Le
conviene dirmi la verità.”
“L’ho già fatto.”
“D’accordo, le credo. Mi piace la sincerità. Se sarà sincera con me,
andremo d’accordo, Sydney…posso chiamarla così?”
Certo che no. Sydney si sforzò di dominarsi.
“Diventereno grandi amici, lo sento. E ora…” il telefono riportò Foster
nel mondo del credibile “…ah sì, perfetto, fatela entrare.”
Sorrise a Sydney. La cosa non le piacque per niente.
“Poco fa ha criticato le mie fonti. Mi permetta di presentargliele.”
Bussarono lievemente alla porta. Sydney si voltò, e sua madre entrò
nell’ufficio.
***
Era mattino inoltrato, forse ora di pranzo o giù di lì. Nel dormiveglia
gli pareva di sentire rumore di piatti e forchette, nonché quello delle
ruote del carrello portavivande su per il corridoio. Quando ne fu certo,
non perse altro tempo. Si alzò, e andò nel piccolo bagno, socchiudendo la
porta. Ringraziò la sua copertura sanitaria che la sua fosse una stanza
singola, e aspettò. Poco dopo bussarono alla porta.
“Sì?”
“Signor Ellis, il pranzo.”
“Entri pure, sono in bagno.”
Un ausiliario. Giovane. Maschio. Robusto. Quello che vedeva. Quello che ci
voleva.
Uscì cautamente mentre l’uomo sistemava il vassoio sul tavolino,
avvicinandoglisi alle spalle. Fu un attimo: lo colpì alla testa. L’altro
vacillò, mentre un urlo gli moriva in gola, ma Jack lo trattenne in tempo,
per evitare che facesse rumore cadendo. Poco dopo il vassoio uscì vuoto
dalla stanza, accompagnato non troppo stabilmente dal braccio di un
ausiliario. Anziano. Maschio. Robusto.
***
Non c’era molto che potesse fare. La sua sospensione non era ancora stata
revocata, e non c’era da sperarci finchè Foster fosse rimasto dov’era.
Decise che doveva concentrarsi su quello che aveva scoperto durante la
loro piccola missione, segreta anche per la CIA. A cominciare da quelle
due parole quantomeno bizzarre che gli martellavano la testa a ritmo
serrato. Ma per farlo aveva bisogno di aiuto. Tornò a casa, e vi trovò
Weiss ad aspettarlo. Lo mise al corrente delle ultime novità, meno quella
più importante, forse. Ma non poteva neanche lontanamente immaginare che
Irina Derevko si fosse consegnata alla CIA.
***
“Immagino che non ci sia bisogno di presentazioni.”
Sua madre la guardava serena, come se nulla fosse. Le sorrise addirittura.
“Non capisco.”
“La signora Derevko ha deciso di collaborare. Di nuovo.” E puntò l’accento
su quelle parole, mentre il suo sguardo la seguiva. Come a dire: non mi
fido di te, non cercare di fregarmi perché non ce la farai.”
Di rimando, Irina lo ignorò del tutto. “Sydney. Basta scappare. Sono
pronta a pagare.”
“E pagherà, questo è certo. Ma prima…”
A Sydney parve di essere rinchiusa in una campana di vetro. Ogni suono le
giungeva ovattato, ogni azione avveniva al rallentatore. Rimase così,
immobile, incredula di quello che avveniva. Ma era certa che stesse
avvenendo davvero.
Incurante della schiera di agenti oltre la porta dell’ufficio pronti
senz’altro a fermarla, Irina si portò dietro Foster, con in mano un
fazzoletto; ma da fuori non sentirono nulla. Appena glielo posò sulla
bocca, l’uomo si accasciò.
“Cloroformio.” Irina la tranquilizzò così. O almeno, ci provò.
“Mamma!”
“Stttss! Non credo che qui dentro ci siano microfoni nascosti, ma non
facciamoci sentire da fuori. Abbiamo al massimo tre minuti per parlare.”
“Che ci fai qui?”
“Cerco di aiutarti.”
“Saperti nelle mani di Foster, o su un lettino in attesa di un’iniezione
letale non credo mi sia di molto aiuto.”
“Ascoltami: la CIA custodisce i fascicoli su Rambaldi. Pagine e pagine di
informazioni. E’ quello che cerchiamo. Se quelle parole significano
qualcosa, solo così potremo arrivare alla verità.”
Non era convinta. Non era affatto sicura che fosse una buona idea.
“Io conosco i codici, le parole chiave, so decifrare i messaggi. Rambaldi
è stato la mia ossessione per anni, lo sai. E’ solo così che posso
aiutarti. E sono l’unica che può farlo.”
“Mi stai chiedendo di farti scappare dalla cella di sicurezza in cui ti
rinchiuderanno, farti accedere ad informazioni segretissime, e poi farti
sparire nel nulla?”
“No. E poi di riportarmi in cella.”
“Cosa?”
“Se io scappassi, sicuramente ci andresti di mezzo tu. E’ troppo
rischioso.”
“E’ tutto troppo rischioso, non credi?”
“Sì. E ora rispondi tu: sei pronta a farlo?”
Guardò negli occhi sua madre. A parlare per loro era solo l’intenso colore
che da lei Sydney aveva ereditato. Null’altro, oltre a quella luce. E
seppe in un momento che poteva fidarsi di lei. Questo le bastò.
“Sì.”
Irina non disse nulla. Non avrebbero parlato per le due settimane
successive.
Sydney corse fuori dalla porta, invocando un bicchiere d’acqua.
“Cosa è successo?”
“Foster è a terra. E’svenuto.”
***
“Niente di niente.”
“Già.”
“Cosa facciamo adesso?”
“Non ne ho idea.”
“Senti Mike, ma è poi così rilevante questo medaglione, queste parole, se
parole sono, e tutto il resto?”
“Non lo so, Eric.”
“Questa storia va avanti da troppo tempo, ormai.”
“Lo so. Ma è importante. Per Sydney, intendo. E’ tormentata dal pensiero
che ci sia dell’altro, oltre alla profezia. E poi dobbiamo incastrare
Foster, te lo sei scordato? Dixon rischia di essere condananto a morte.”
“Mi riesce difficile però credere che le cose siano collegate. Tu come la
vedi?”
“Non lo so, non lo so. Da qualunque parte la vedo, vedo sempre nebbia.”
Era vero. Era tutto confuso, lui compreso.
“Senti, mi è venuta un’idea. Nadia, la sorellastra di Sydney.”
“Cosa?”
“Sa del medaglione?”
“No, credo di no. Non lo so, non la vedo da quando siamo tornati da
Dublino. So solo che alloggia in un albergo in centro.”
“Magari sa qualcosa. Forse conosceva il proprietario del ‘Forteza’. Perché
non provare?”
“Non lo so, Weiss. Non ne vuole più sapere di giochi di spie e misteri. E
ti confesso, neanche io vorrei.”
“Neanche per sua sorella?”
“Forse hai ragione. Devo urgentemente parlare con Sydney. Ma perché ha il
cellulare staccato?”
“Era da Foster, prima. Sarà ancora lì.”
“Che avrà da dirle di così importante?”
“Che, sei geloso, Mike?”
“Di Foster?”
“Hai una faccia…Oh, ma ti ricordi, quella volta, che c’era quel tipo,
sull’aereo, non mi ricordo più il nome…ah, Macor, hai presente? E Sydney
doveva fingersi una squillo…”
“Oddio, Eric!”
“E quando le ha detto ‘No, mets quel autre rouge!’, che faccia che hai
fatto!”
“L’avrei strozzato. O peggio.”
“’Io quello lo ammazzo!’ Oh, era uno spasso. E quel dopobarba poi…ma
senti, come vanno adesso le cose?”
“Bella domanda. Dovrebbe essere tutto a posto adesso, ma non lo so, non ne
abbiamo più parlato…”
“Vi siete dati alla pazza gioia e basta, eh? Maschione!”
“Eric! Smettila. Dico davvero, sono preoccupato.”
“E’ per il matrimonio?”
***
Era finalmente uscita, dopo ore passate lì dentro. Foster era stato fin
troppo chiaro. Sua madre sarebbe stata sottoposta ad altri pressanti
interrogatori, e poi spedita in cella. E prevedibilmente processata e
giustiziata. Per lei. Ora sapeva cosa doveva fare. Innanzitutto, capire
cosa davvero voleva, visto che tutto il mondo sembrava girare solo per
lei, anche se questa era la cosa più difficile; andare da suo padre,
contattare Nadia; organizzare un piano a prova di CIA; parlare finalmente
con Micheal.
Del matrimonio.
***
Il matrimonio. Lo aveva sognato, una notte. Lo aveva immaginato più volte
di quanto avrebbe creduto, come una cenerentola che sogna il suo principe
azzurro. Sebbene non fosse un uomo particolarmente romantico. O meglio,
credeva di non esserlo; ma in fondo non gli importava. Quando si trattava
a Sydney, tutto diveniva relativo, o forse semplicemente scompariva. Mai
come in quel momento desiderò un po’ di tranquillità. Per sé e per tutti.
E proprio allora scoppiò il finimondo.
***
“Signorina Nadia! Signorina Nadia!”
Corse fuori, verso la voce che la chiamava, visibilmente preoccupata.
“Che succede?”
“Venga qui! Presto!”
Il segretario la fece entrare nell’ufficio affollato di personale che
fissava la TV. Ma nessuno di loro stava chiedendosi cosa ci facesse un
minitelevisore nella segreteria di una scuola, bensì chi avesse appena
fatto saltare in aria il più grande centro ricerche dello Stato.
La suadente voce dell’inviata informava tutti che un gruppo di terroristi
armati era penetrato nel sorvegliatissimo centro ricerche poco distante
dalla città, tenendo in ostaggio chi si trovava all’interno della
struttura; per fortuna la maggior parte dei dipendenti era andata via,
infatti di pomeriggio il centro era chiuso, ma si supponeva che ci fossero
all’incirca cinquanta persone lì dentro, quando nell’edificio era esplosa
una bomba.
La sua reazione non fu come quella delle persone che aveva attorno,
persone conosciute solo poche ore prima, e di cui a stento avrebbe
riconosciuto i nomi. Perché mentre loro erano del tutto impreparati anche
solo a formulare ipotesi sul perché e il percome, lei aveva una vaga idea,
come un presentimento, di chi potesse essere stato, e del perché lo avesse
fatto. E il motivo era molto semplice. Anche lei aveva cercato di
introdursi lì dentro, quando era ancora un’agente al servizio di Sloane.
“Perché?”
“Perché secondo Sloane lì dentro si stava sperimentando per creare un
virus, un virus mortale. E voleva rapissimo il responsabile del progetto,
un certo Meyer, e lo portassimo da lui. Ma una volta entrati, fummo
scoperti, e il piano fallì.”
“Sloane voleva lavorasse per lui.”
“Penso di sì.”
“Scommetto che questo tizio è scomparso, e hanno fatto saltare in aria
tutto per non lasciare prove, o meglio ancora per evitare che i progetti
potessero essere recuperati.”
“Lo credo anche io.”
“Roba grossa.”
“Pare di sì…”
“Eric.”
“Eric. Giusto. Perché sei venuto a prendermi, Eric? E dove stiamo
andando?”
“Dobbiamo parlarti. Io e Mike, intendo. Forse anche Sydney.”
“Di cosa?”
“Di Rambaldi.”
“Oh, no. No, basta; non voglio più avere a che fare con questa vicenda.”
“Non puoi. Ci sei dentro fino al collo.”
“Non più. Portami a casa, o fermati qui.”
“Aspetta Nadia. E’ per tua sorella. E forse riguarda anche quello che è
successo oggi.”
“In che senso?”
“Non lo so.”
“Di che si tratta?”
“L’altra sera Sydney e Vaughn hanno parlato con un tizio, Ramon Rodriguez…lo
conosci?”
“No.”
“Si fa chiamare anche Patrick Leibster.”
“Non lo conosco. Davvero.”
“Va bene, comunque questo tipo aveva un manufatto di Rambaldi; a quanto
pare Katja Derevko lo ha incontrato apposta per averlo. Ne sai qualcosa?”
“Dovrei?”
“Certo che sei davvero impossibile, ragazza mia.”
Nadia rise. “No, davvero, non ne so nulla.”
“Come non detto. Mi sei stata molto utile comunque. Ti porto a casa.”
“Era questo che volevi sapere da me? Se sapevo che Katja voleva
un…cos’era?”
“Un medaglione. Era, è un medaglione.”
“Ah, un medaglione.”
“L’ho messo nel cruscotto. Dagli un’occhiata, se vuoi.”
Nadia la guardò attentamente, passandoselo tra le mani. “E’ ben strano.”
“Vero? Ci sono incise due parole assurde, tra l’altro, vedi?”
“Sono queste? DEREVAUN...DEREVAUN SERAUN?”
“Già.”
“Forse stenterai a credermi, ma mi dicono qualcosa.”
“Davvero? Dove le hai sentite?”
“Non le ho sentite. Le ho viste.”
“Viste dove?”
“In un libro. Stamattina.”
***
“Non sembri stupita di vedermi.”
“Sono appena stata in ospedale. Trent Ellis era scomparso, e un ausiliario
aveva un leggero trauma cranico. Ho semplicemente fatto due più due. Non
mi aspettavo altro che di vederti sul mio divano, papà.”
“Hai visto tua madre?”
“Sai tutto?”
“E’ venuta da me, stamattina.”
“Anche Vaughn è stato da te, stamattina.”
“Sì, anche lui.”
Lesse negli occhi di suo padre tutto il fastidio che provava.
“Cosa ne pensi? Del piano della mamma, intendo.”
“E’ pericoloso, quasi folle. Non solo per lei.”
“E’ quel che le ho detto anche io. Ma adesso sono quasi convinta che sia
l’unico modo per venire a capo di tutto.”
“Di tutto cosa, Sydney?”
“Non hai sentito cos’è successo oggi al Reserch Lab? Sono sicura che si
tratti della Convenzione.”
“Ma questo cosa c’entra con Rambaldi?”
“Ancora non lo so. E’ per questo che aiuterò la mamma a cercare di
scoprirlo. Se ci fosse di mezzo Rambaldi, forse possiamo fermarli.”
“Non farti troppe illusioni, Sydney. Quella è gente che non scherza.”
“Neanche Sloane scherzava.”
“Ma Sloane era un vaneggiatore. Questi invece hanno i piedi per terra. Non
sono alla ricerca di chimere, ma mirano al sodo, e basta.”
“Cioè?”
“Il potere, Syd. Al Reserch Lab erano custoditi importanti progetti. Armi,
software, macchine, vaccini, informazioni... E non solo: la CIA prende lì
i suoi cervelloni. E’ da presumere che qualcuno di importante sia stato
rapito, o ucciso, e poi tutte le prove distrutte. Con quello che c’era lì
dentro si può tenere in scacco il mondo intero, volendo.”
“Non lo sapevo.”
“Quindi è bene non perdere altro tempo con le sciocchezze, e concentrarsi.
Foster ci metterà di sicuro i bastoni tra le ruote.”
“Sono sciocchezze che riguardano la mia vita, papà.”
“Questo non lo sappiamo.”
“Sento che è così.”
“Non fare troppo affidamento al tuo cuore, Sydney. Non ora.”
Non volle chiedergli perchè. Già il suo cuore le faceva brutti scherzi, di
quei tempi. Ed era per il solito motivo. Aveva detto a Micheal un sì che
ora le pesava come un macigno sulla coscienza. Non sapeva se sarebbe stata
pronta al matrimonio, o se lo volesse davvero; di certo c’erano cose più
importanti cui pensare, come il destino di Dixon, di sua madre, e di
Foster. Di certo non rinnegava quel che sentiva, ma forse era davvero
tempo di non badare troppo a quel che voleva lei, quanto cercare di
chiudere al più presto i giochi. Una volta per tutte.
Dopo la doccia, si era cambiata, ed aveva raggiunto suo padre sul divano.
Ma in quel momento la stanza si mise a girare, così forte che non potè
fermarla.
“Sydney! Sydney, che succede?”
“Niente…un piccolo capogiro. Non preoccuparti. Come va la spalla?”
“Meglio.”
“Sei preoccupato? Per la mamma?”
“Anche per te. Penso che abbia fatto una sconsideratezza non da poco. E’
in gioco la sua vita, e anche la tua. Ma quel che mi sorprende è che non
le importi.”
“Anche io ho avuto questa impressione. Di certo non glielo lascerò fare.”
“Fare cosa?”
“Sembra che si sia rassegnata a morire. Ma non mi farò abbandonare di
nuovo.”
Il voltò di Jack si rabbuiò. Sydney ne fu quasi contenta. Finalmente
sapeva quanto era forte ciò che legava i suoi genitori, e che, volenti o
nolenti, li aveva legati in tutti quegli anni. Nonostante tutto, si
sentiva un po’ meglio ora. E il suo umore era evidentemente destinato a
migliorare, visto che Vaughn suonò al campanello, mentre lei e suo padre
stavano decidendo cosa mangiare.
“Grandi novità.” La abbracciò.
“Davvero?”
“Eric ha parlato con Nadia.”
“Buonasera, agente Vaughn.”
“Jack.”
Non aveva dimenticato il loro colloquio di poche ore prima, ma finse di
sì.
“Cosa avete scoperto?”
“Hai sentito del Reserch Lab?”
“Sì. So tutto. La Convenzione?”
“Già. Abbiamo controllato. Tra i dispersi, forse morti in seguito
all’esplosione, ma forse no, c’è il professor Meyer.”
“Anche lui?”
“Vaughn, non è quello che anni fa iniziò a preparare un virus artificiale?
Credevo fosse morto in quell’incidente aereo…”
“Proprio lui. E’ quello che hanno voluto farci credere. Invece lavorava
ancora, sotto falso nome. Sloane aveva cercato di saperne di più, ma non
ci riuscì. A quei tempi il progetto era in fase si lavorazione.”
“Evidentemente ora è finito. E la Convenzione potrebbe esserne entrata in
possesso.”
“Agente Vaughn, chi le dice che fosse quello l’obiettivo dei criminali?”
“La CIA sovrintendeva la struttura. In poche parole, sappiamo tutto quello
che si faceva lì dentro. E questo era il pesce più grosso.”
“Foster avrebbe potuto eliminare le prove sull’esistenza di un eventuale
pesce ancora più grosso.”
“No. Perché anche il governo ne è a conoscenza. Avrebbe dovuto manomettere
una tale mole di documentazione che lo riteniamo francamente impossibile.”
“LEI lo ritiene impossibile.”
“E’ così. Stiamo rintracciando i colleghi del professore per saperne di
più.”
Jack scoppiò in una fragorosa risata.
“Papà!”
“Andiamo, Sydney! E anche lei, agente Vaughn. Ci vogliono le prove. Non si
può andare avanti per congetture.
“E’ tutto quello che abbiamo. Ma dobbiamo pur partire da qualcosa.”
“Dipende da dove volete arrivare. Agire così è il modo migliore per fare
un buco nell’acqua.”
“Che ti prende, papà? Vaughn ha ragione. Non possiamo aspettare che le
cose si risolvano da sole. Dobbiamo agire.”
“Basta, chiudiamola qui ora…” sbottò Jack “…sono certo che l’agente Vaughn
è passato di qui per vedere te, e non me, quindi me ne torno a casa.”
“Dove vai? Non puoi uscire così, papà.”
“E perché no?”
“No, vado io, ho alcune cose da sbrigare.”
“E’ bello che qualcuno abbia qualcosa da fare.”
“Volete spiegarmi cosa è successo tra vi due?”
“Niente.”
“Niente.”
“Non siete mai d’accordo su nulla. Se lo siete ora, mi punge vaghezza che
stiate mentendo.”
“Oh, basta per oggi. Tienimi aggiornato.”
Jack uscì, senza voltarsi a salutarli.
“Vaughn…”
“Sydney, tranquilla, non è successo niente.”
“Sicuro?”
“Sì. Ma tu cos’hai? Sei pallidissima.”
“Niente. E’ da un po’ di giorni che mi sveglio stanca.”
“Dovresti fare un controllo.”
“Oh, smettila di preoccuparti. Sto bene, adesso.”
Il suo bacio glielo confermò. E iil suo sorriso era davvero incoraggiante,
così smise di pensarci.
“Cos’è quel libro?”
“Questo? Nadia mi ha detto di comprarlo.”
“Perché?”
‘The Dubliners’ di James Joyce. Questo le diceva Irlanda, ma poco altro.
“Oggi Nadia ha avuto la sua prima lezione nella Central School, lo
sapevi?”
“Sapevo che stava cercando lavoro…non credevo fosse abilitata
all’insegnamento.”
“A quanto pare lo è; sta supplendo una professoressa di lettere.”
“Ecco perché aveva cercato di chiamarmi. E tu fai ripetizioni?”
“No, che dici? Eric è andato da lei per cercare di scoprire qualcosa sul
medaglione.”
“Perché poi non sono venuti qui?”
“Ti stupirà, ma credo siano usciti insieme.”
“Non ci credo!”
“Credici, invece. Ma c’è dell’altro. Nadia ovviamente non aveva idea di
cosa fosse la storia del medaglione, ma aveva idea di cosa fosse il
DEREVAUN SERAUN”
“Davvero?!”
“Dice che lo ha letto, pensa un po’, proprio stamattina, sul libro di
letteratura. E’ una frase del racconto ‘Eveline’ di ‘Gente di Dublino’ di
Joyce.”
“E’ incredibile. Che collegamento ci può essere tra Rambaldi e Joyce?”
“Non lo so. Ma vale la pena di approfondire, no?”
“Direi di sì.”
Rilessero insieme il racconto più e più volte, seduti sul divano. Alla
fine, Vaughn chiuse il libro e lo posò sul tavolino.
“Cosa ne pensi?”
“L’unica cosa che mi viene è che anche Joyce fosse un seguace di Rambaldi;
forse il medaglione era appartenuto anche a lui, e magari ha scoperto il
significato di quelle parole…”
“Ma perché metterle nel libro?”
“Forse come messaggio. Dopotutto, quante tracce ha lasciato Rambaldi?”
“Può darsi. Questo non spiega cosa vogliano dire, però.”
“No, però ci portano di nuovo a Dublino, Vaughn.”
“Ok, Rodriguez ha comprato il medaglione a Dublino, e Joyce era di
Dublino. Ma non credo che Rambaldi sia mai stato lì.”
“Ma forse aveva previsto che a Dublino sarebbe successo qualcosa. Se
consideriamo che tra tutte le città del mondo mia madre ha scelto per
Nadia una casa proprio lì vicino, e che la Sfera della Vita era sempre lì,
che Joyce potrebbe aver letto quelle parole, mettendole in un libro che
sia chiama ‘Gente di Dublino’…”
“E’ vero, tutto porta lì. Forse tua madre non ha scelto a caso.”
“C’era anche Katja con lei, del resto.”
“Il punto è: perché Katja cercava il medaglione? E come faceva a sapere
che lo avrebbe trovato a Dublino?”
“Evidentemente sapeva qualcosa che nessun altro sa.”
“Già. Ma perché non ha comprato il medaglione? Avrebbe potuto uccidere
Rodriguez, al limite. E’ strano che non abbia fatto di tutto per averlo.”
“Ma a quel tempo lavorava per Sloane. Avrebbe dovuto dargliene conto. E
poi, se avesse tenuto il medaglione, qualcun altro avrebbe potuto venirne
in possesso, la CIA per esempio; evidentemente voleva tenersi tutto per
sé. Lasciandolo a Rodriguez, nessuno sarebbe potuto arrivare a lei. Noi ci
siamo arrivati per puro caso, del resto. Anche il più spietato killer a
volte decide di non uccidere; chissà, forse le servivano solo quelle
parole. E forse scopriremo il perché.”
“Sì? E come?”
“Mia madre.”
“E’ tornata? Ti ha detto qualcosa?”
“No. Lo ha detto a Foster. Si è consegnata alla CIA stamattina.”
“Cosa?”
“Ha un piano. E vuole il nostro aiuto.”
Vaughn la guardava dubbioso. Del resto, non c’era da fidarsi di chi uccide
tuo padre, lo scusò. Prese fiato, e ricominciò.
“Dobbiamo farla evadere dalla cella di sicurezza dove si trova, e farla
accedere alla documentazione relativa a Rambaldi. Può darsi che qualcosa
venga fuori.”
“E’ un rischio troppo grosso da correre. E se evadesse?”
“Non lo farà. Tornerà in cella.”
“Ma così sarebbe sicuramente condannata.”
“E’ vero.”
“Sei sicura che non ci sia sotto qualcosa?”
“Cosa intendi?”
“Sydney, non sarebbe la prima volta se tua madre fingesse di collaborare
con la CIA per carpire informazioni e dileguarsi.”
“No, Vaughn, non succederà.”
“Come puoi esserne sicura?”
“Lo so. Lo sento.”
“So che è tua madre, ma…”
“Non è per questo, Vaughn. E’ diversa. Da quando ho toccato quella Sfera.”
“In che senso?”
“Tutto è diverso. Non se ne andrà, e anche Nadia. Sono sicura che
resteranno, perché è quello che voglio. Sembra assurdo, lo so, ma sembra
che tutto vada come voglio io, o come credo di volere, o forse come è
meglio per me.”
“Questo vale anche per me? Come vanno le cose tra noi?”
Ci siamo.
“Non lo so, Vaughn.”
“Non ne abbiamo più parlato, perché?”
“Perché non sapevo cosa dire.”
“Cosa c’è che non va?”
“E’ tutta questa storia che non va. Quando tutto sembrava finito, si
ricomincia; e sembra che tutta la mia vita debba seguire un percorso
predestinato, e io non so gestire questa situazione. Non so come
comportarmi. Con te.”
“Fai quello che senti.”
“E’ questo il punto. Non so come mi sento.”
“Dammi la mano, Syd. Ti ricordi quella sera, a Dublino, di cosa abbiamo
parlato?”
Gli affidò la sua mano, annuendo.
“Quando ti guardavo, ero convinto che quello che mi stavi dicendo fosse
quello che davvero volevi. E anche tu lo eri, ne sono convinto. E in
questi giorni siamo stati bene no? Cosa è cambiato? E’ per il matrimonio?”
“E’ che tu eri sposato. Con Lauren.”
“Lauren non esiste più. Io l’ho cancellata; perché non lo fai anche tu?”
“Vaughn, ricordi quando scoprimmo che Lauren era una doppiogiochista della
Convenzione…”
Un brivido percorse la schiena di Micheal, e ad un tratto capì.
“…ti dissi che comunque io non sarei mai stata l’altra. Tu dicesti che lo
sapevi.”
“Ma tu sei l’unica. Tu non sei l’altra.”
“Forse è così che mi sento.”
Così la sentì. Lontanissima, benchè fosse a pochi centimentri da lui. La
sua mano la stringeva ancora, ma sentì freddo in quel contatto. La lasciò.
Gli occhi la gurdavano ancora, ma lei aveva distolto i suoi, spostandoli
verso il pavimento. Micheal ripensò alle parole di Jack, e capì. Sydney
non avrebbe mai dimenticato quanto aveva sofferto, e per questo con lui
avrebbe sempre sofferto. Era qui che aveva sbagliato. Nel cercare di
cancellare il passato.
“Ho capito.”
Così si sentì. Lontanissima, benchè fosse a pochi centimetri da lui. La
sua mano la stringeva ancora, ma all’improvviso la lasciò. Gli occhi la
guardavano con un’infinita mestizia, perciò distolse i suoi, spostandoli
verso il pavimento. Sperò che Micheal capisse; sapeva che non avrebbe mai
dimenticato quanto aveva sofferto, e per questo con lui avrebbe sempre
sofferto. Era qui che aveva sbagliato. Nel cercare di cancellare il
passato.
“E’ strano: oggi tutti mi chiedono di ricordare qualcosa. Ti ricordo una
cosa anch’io, posso?”
“Cosa?”
“Quando…quando ti ho detto che mio padre mi aveva dato il suo orologio,
dicendomi ‘Regola il cuore con questo orologio’…e che si era fermato il 1°
ottobre, quando ci siamo conosciuti…all’ultimo anniversario della sua
morte, Lauren lo ha portato a riparare; ma…sai, credo che sia ancora
fermo. Non l’orologio.”
“Vaughn…”
“No, lascia stare. E’ meglio che vada, ora.”
“Vaughn, ho bisogno di te.”
“Lo so.”
Non lo accompagnò alla porta. Restò lì, seduta, mentre il giorno andava
morendo, insieme a qualcosa che teneva dentro di sé.
***
Ricapitolando. Un uomo, Rambaldi, vissuto cinquecento anni prima,
costruisce una serie di manufatti che saranno sparsi poi per il mondo, i
quali messi insieme compongono una macchina, il Dire; tale macchina
identifica la sequenza genetica di una donna, il Passeggero, sorella di
Sydney, capace di rintracciare l’ubicazione di una Sfera, verosimilmente
creata da Rambaldi, che può essere aperta solo da Sydney stessa, la
Prescelta. Così facendo si compirebbe la volontà decisa da sua moglie,
nonché madre delle due donne, dal nome Irina, che rimanda alla parola
‘pace’ trasmessa dal marchingegno, una sorta di futura speranza. Il tutto
rintracciato e messo insieme da un criminale, Arvin Sloane, padre del
Passeggero, e odiato nemico della Prescelta. Connesso con le profezie di
Rambaldi è l’operato di un gruppo criminale, chiamato la Convenzione, che
vanificata l’opportunità di utilizzare il potere della Sfera della Vita
per scopi non certo filantropici, si impadronisce con tutta probabilità di
un virus artificiale, sintetizzato a partire dal lavoro dello stesso
Rambaldi, come risulterà poi. L’ultimo manufatto di Rambaldi ritrovato, un
misterioso medaglione con incise due parole, riporta al luogo di
ritrovamento della Sfera, Dublino. I vocaboli DEREVAUN SERAUN compaiono in
un racconto di James Joyce; le pronuncia nel delirio la madre morente di
una ragazza che ha tenta di scappare dalla prigionia della sua vita in
città, ma alla fine rinuncia ad ogni possibilità di affrancamento, per
rassegnarsi al suo destino nell’isola. (Non troppo allegro, questo Joyce).
Vista così, la trama che li vedeva impegnati da anni sembrava il copione
di un lunghissimo sceneggiato; ma c’era qualcosa di ancora più
incredibile: era tutto vero. Jack Bristow, sdraiato sul letto con ancora
in bocca il sapore dell’analgesico, pensava a questo, cercando nella sua
testa lo spazio per qualche idea che potesse salvare sua moglie, sì, era
così che la considerava, nonostante si fosse intrufolata nella sua vita
come spia del KGB per usarlo, e vi fosse tornata più volte, anche per
ingannarlo di nuovo, dalla pena capitale.
***
“Oh-oh! Cos’è quella faccia?”
“Niente. Sono ufficialmente single.”
“Oh, accidenti! Ma cosa è successo?”
“Non ne voglio parlare, Weiss.”
“Come vuoi. Altre novità?”
“Abbiamo scoperto che al Reserch Lab stavano sintetizzando quel virus
sulla base di annotazioni ed esperimenti di Rambaldi.”
“E ora ce l’ha la Convenzione.”
“Già.”
“Chissà cos’altro c’è.”
“Questo: la Derevko si è consegnata alla CIA. E vuole che prepariamo un
piano per farla evadere il tempo necessario per accedere a tutto quello
che abbiamo in agenzia su Rambaldi, e poi tornare in cella. Dice che è
l’unico modo che abbiamo per saperne di più. E’ l’unica che sa come
muoversi.”
“Ma è pazzesco! Quanto bisogna essere matti per fare una cosa del genere?”
“Abbastanza.”
“Sydney è d’accordo? Sì? La credevo più…assennata. Cosa hai intenzione di
fare?”
“Organizzo il piano.”
***
Organizzare il piano aveva preso parecchio tempo. Era impensabile credere
di riuscire a farcela in quattro, anche con la supervisione tecnica di
Marshall. Eppure lo credevano. Lo credeva lei, lo credeva anche suo padre,
lo credevano Vaughn ed Eric. Far uscire Irina dalla cella dove era
rinchiusa sarebbe di certo stata la tappa più difficile. Chiese ed ottenne
un colloquio con lei, esattamente due settimane dopo che sua madre si era
consegnata alla CIA; le guardie da eludere erano cinque, solo lì intorno.
Nel gabbiotto della sorveglianza, dove venivano trasmesse anche le
immagini provenienti dalle celle sotterranee, le guardie si mossero con un
attimo di ritardo. Appena Sydney fu davanti a sua madre, questa la colpì
al viso con un pugno. Dalla sala uscì sotto la minaccia di un coltello.
“Gettate a terra le armi.”
“Lasciala stare, Derevko!”
“Se vi preme della vita di un vistro agente, fatemi passare.”
Le sentinelle obbedirono. Irina raccolse una mitraglietta, e minacciandoli
così, spinse gli uomini oltre le sbarre. Tenendola sotto tiro, portò
Sydney oltre la porta, rimasta aperta. Un altro agente era subito lì
dietro; Irina gli spinse Sydney addosso, approfittandone per disarmarlo;
lo colpì dunque con il calcio dell’arma. In quella le due donne sentirono
voci giungere dal corridoio, ma quando gli altri guardiani arrivarono non
c’era più nessuno. Oltre la porta Vaughn, in divisa, ne porgeva una simile
ad Irina.
“Scusami, Syd.”
“Scusami tu.”
Glielo aveva detto. Ma lui aveva già distolto lo sguardo, mentre la
colpiva. Sydney cadde. Furono pochi attimi. Le guardie entrarono, e la
trovarono priva di sensi. Perlustrarono il locale, ma era vuoto. Fuori,
Jack era al volante; vedendoli arrivare accese il motore. Poco dopo erano
già lontani, diretti verso un falso ufficio che si occupava di passaggi di
proprietà, dove era custodita la documentazione su Rambaldi. Weiss era già
lì che trafugava la tessera magnetica ad un annoiato custode, uscito sul
pianerottolo per un sigaretta. Sistemato l’allarme, entrò nella camera, e
accese il pc; vi collegò quindi un dispositivo, aspettando che Marshall
facesse il resto. L’hard disk fu interamente copiato, e la registrazione
dell’accesso cancellata. Ma per far entrare la Derevko lì dentro,
bisognava distrarre un po’ di gente. Proprio in quel momento arrivò un
cameriere con un vassoio, e lo posò sulla scrivania della guardia.
Arrivarono gli altri; in tutto c’erano quattro persone lì dentro. Appena
ebbe finito il suo caffè, la guardia ebbe un sussulto; si portò una mano
al petto, poi svenne.
“Un infarto!”
“Oddio, Paul! Paul, mi senti?”
“Dobbiamo chiamare un’ambulanza!”
“Non c’è tempo!”. Il cameriere si era portato su di lui, e gli tastava il
polso. “Bisogna correre in ospedale adesso, o morirà!”
“Andiamo allora, ho la macchina qua sotto!”
“Clark, non possiamo lasciare aperto, qui!”
“E’ vero! Via ragazzo, dobbiamo chiudere!”
“Certo.”
Uscirono tutti, portando l’uomo fino alla strada. L’auto partì sgommando.
Il cameriere tornò nell’edificio, si tolse il grembiule, la parrucca, e la
maschera dal viso. Poi gettò tutto nel sacchetto portogli dall’uomo che
gli si era avvicinato. Nell’altra mano aveva un bicchierino di caffè.
“Andiamo, Vaughn.”
Poco dopo Irina, infilati i guanti, era già all’opera. Consultava appunti
e annotazioni, a volte interessata, altre divertita. Intanto Jack
risciacquava la tazzina che era rimasta sulla scrivania e la riempiva col
caffè che aveva portato. Poi gettò il bicchiere nel sacchetto.
“Non abbiamo molto tempo.”
“Lo so. Almeno uno dei due tornerà entro mezz’ora.”
“Siamo sicuri che il tipo non morirà?”
“Sì. Il farmaco disciolto nel suo caffè non era in quantità sufficiente
per farlo morire. Ha avuto solo un piccolo attacco cardiaco.”
“Ho controllato l’ufficio accanto. E’ deserto.”
“Mike, và a controllare che qualcuno non torni. E se viene qualcuno, fai
un fischio.”
Vaughn uscì.
“Ma non faranno rapporto su quanto accaduto?”
“Solo se ci scopriranno. Non vorranno dare conto del fatto di aver
lasciato questo posto scoperto.”
"Speriamo non ci scoprano, allora.”
Weiss era un po’ nervoso. Si disse di calmarsi, senza però convincersene
troppo. Le telecamere sopra le loro teste continuavano a ronzare, e questo
lo preoccupava, sebbene sapesse che in quel momento Marshall stava
trasmettendo (perché era lui che stava trasmettendo) immagini registrate
lì dentro almeno un anno prima. Mentre Jack cercava di cancellare
eventuali impronte, arrivò il fischio di Vaughn, un po’ tardi in verità.
Infatti i due tizi, non uno, erano tornati poco prima del previsto,
evidentemente per evitare grane. E da un diverso ingresso, tra l’altro. Se
ne avvide per caso, mentre sbirciava da un’altra finestra. Fu subito su.
“Sono arrivati! Presto!”
“Irina, sono arrivati!”
“Arrivo.”
Jack aveva già aperto l’ufficio accanto; Weiss richiuse la porta con la
tessera, che ripulì e fece scivolare sotto la sedia del custode
infartuato, reinserì l’allarme, poi uscì; gli altri furono fuori in un
lampo. Nessun rumore arrivò ai due uomini ormai quasi arrivati in cima
alle scale. Sembrava fatta…
Il sacchetto! Non c’era più il tempo di prenderlo. Vaughn chiuse la porta
mentre sentiva distintamente due voci passargli davanti. Ma Jack non fece
in tempo ad avvertire gli altri di aver lasciato una traccia non
indifferente del loro passaggio, che Irina estrasse dalla borsa il
sacchetto.
***
“Come si sente?”
“Bene.”
“Ha preso una bella botta.”
“Già.”
Sydney fece la faccia più scura che le riuscì, e vide Foster gongolare. O
era solo un’impressione?
“Sua madre non la passerà liscia.”
“Non è mia madre!”
“Si calmi. Capisco la sua amarezza, ma stia tranquilla. Irina Derevko non
la ingannerà di nuovo.”
“Non ha ingannato me. Ha ingannato lei.”
Vederlo sbigottito in quel modo era una buona ricompensa per la sua botta
in testa.
***
Una botta in testa. Ecco cosa ci voleva. Bene assestata, soprattutto.
Sperava che qualcuno arrivasse presto a dargliela. Correva per i corridoi
tutti uguali, in cui non si sarebbe mai involontariamente persa, con
questo pensiero in mente. E la botta arrivò, appena ebbe svoltato
l’angolo.
***
“Com’è andata?”
“E’ filato tutto liscio.”
“Cosa avete scoperto?”
“Irina ha lasciato questo.”
“Cos’è?”
“Quello che ha scoperto. Marshall sta analizzando i dati del computer.”
“Papà…Foster ha detto che…”
“Lo so. Ma non ti preocupare.”
Non aveva visto sua madre, ma sapeva che era stata catturata, mentre si
trovava ancora nell’edificio. Neanche dopo una lobotomia avrebbe creduto
che si fosse persa, ma pregava che la CIA non la conoscesse come lei.
Soprattutto pregava di poterla liberare. Uscì all’aperto, e si recò al
parco. Seduta su una panchina, rileggeva la calligrafia ordinata di sua
madre. L’unica novità, o l’unico dato accettabile, per Irina, era questa:
se si poteva rintracciare nel lavoro di Rambaldi un filo conduttore, era
il tentativo di mettere in guardia le generazioni future dai rischi di una
guerra. Del resto era vissuto nel XVI secolo, periodo non certo
tranquillo…Sydney non poteva credere a quello che stava leggendo: secondo
sua madre, Rambaldi aveva intenzione di distruggere la razza umana, per
portare la pace. Con il virus letale che aveva iniziato a sperimentare,
con la bomba portatile al neutrone mai rinvenuta, e con chissà cos’altro.
E la Sfera della Vita? Beh, lo diceva il nome stesso: solo la Prescelta
avrebbe potuto riportare la vita sulla Terra. Ma era assurdo pensarlo.
Avrebbe dovuto essere quanto meno una dea…e il dolore alla testa le diceva
che era una mortale, altrochè! Non capiva, per quanto si sforzasse, il
senso di quelle parole. Ma c’era anche dell’altro, e stavolta la grafia
era diversa. Poi il sole di mezzogiorno la illuminò all’improvviso. PACE,
in greco IRINI, da cui IRINA, sua madre. Dalla pace nasce la vita. Ecco
cosa voleva dire. Ma come avrebbe potuto lei impedire una guerra? Lei, che
non era neanche in pace con se stessa? Ripensava al DEREVAUN SERAUN, e ad
Eveline. Come lei, aveva una gran voglia di scappare. Se quelle parole
fossero state il permesso di farlo…
***
Tornata da scuola, Nadia si sedette a tavola. Pensò di farsi portare su
qualcosa, ma si sentiva stanca anche per mangiare. Aveva passato la notte
in bianco, fuori casa. Poi ci ripensò, e ordinò il pranzo per due.
***
Non sapeva se fosse importante, ma il campanello che gli suonava in testa
non la smetteva più. Decise di andare a fondo. Inoltre Weiss gli aveva
detto che la Derevko e Dixon sarebbero stati processati l’indomani. Uscì
di casa.
***
Non aveva bisogno di nessuno per quello che voleva fare. Aveva con sé
tutto il necessario. E aveva se stesso. Uscì di casa.
***
Bussarono alla porta. Come aveva previsto. Ma quando aprì, davanti a lei
c’era Micheal Vaughn.
“Posso?”
“Agente Vaughn.”
“Sta pranzando?”
“Ancora no. Vuole unirsi a me?”
“Se non è troppo disturbo…”
“No, si accomodi.”
“Grazie.”
“Cos’è successo?”
“Sua madre sarà processata. Domani.”
Nadia stava servendo in tavola.
“E lei non ha intenzione di fare nulla?”
“Io? E cosa potrei fare?”
“Dirmi quello che sa, per esempio.”
“Non so nulla di questa storia.”
“A parte DEREVAUN SERAUN.”
“A parte quello.”
“Perché non mi dice cosa significa? Sono sicuro che ci sia qualcosa di
più.”
Gli occhi di Vaughn la sfidavano. Ma Nadia non si scompose.
“Vediamo…mhmm, no, non c’è altro.”
“Non mi piace essere preso in giro.”
“E a me non piace essere accusata ingiustamente.”
“Ha ragione. Le spiace se do un’occhiata in giro?”
“Cosa?”
“Se non ha nulla da nascondere, qual è il problema?”
“Non capisco.”
“Allora ascolti. Se Irina muore, Sydney non se lo perdonerà mai. E ho
intenzione di evitare tutto quello che possa farla soffrire…più di quanto
abbia già sofferto. Mi serve anche il suo aiuto.”
Poteva funzionare.
“D’accordo, allora. Ma non troverà nulla.”
Funzionò. Vaughn le credette…ma si alzò lo stesso, dirigendosi verso la
camera da letto. Non sapeva bene cosa cercare, ma era sicuro che l’avrebbe
trovato. Quando vide il portatile di Nadia lei lo aveva già raggiunto; ma
quando se ne accorse, la lama di un coltello attraversò il suo corpo.
***
“Cosa succede?”
“La domanda esatta è: cosa succederà.”
“Bristow! Cosa significa questo?”
Foster lo guardava impietrito. Jack era davanti a lui, con una pistola in
mano.
“Molto semplice, signor Foster. Venga con me. Senza storie.”
Si trovavano nel parcheggio della CIA. Foster sapeva che era costantemente
ripreso dalle telecamere, ma Jack sembrava non preoccuparsene. Lo
ammanettò, e lo spinse in auto. Poi i due uomini scomparvero dagli
schermi.
“Dove stiamo andando?”
“In un posto sicuro.”
“Bristow! Lei rischia grosso, lo sa? Finirà molto male per lei.”
“Non si preoccupi per me. Si preoccupi per lei.”
***
Forse era questa la chiave di tutto. Ma per saperlo aveva bisogno di
parlare con Nadia.
Arrivò in albergo verso le due di pomeriggio, e la trovò a tavola.
“Sydney.”
“Nadia, ho bisogno di te.”
“Per cosa?”
“La mamma è in pericolo di vita.”
Nadia fece spallucce. Evidentemente la cosa non la riguardava più.
“So che ce non t’importa di lei, ma è per aiutare me che è finita in
prigione. E io devo fare qualcosa per lei.”
“E vorresti il mio aiuto? Per cosa?”
“Devi dirmi quello che sai su Foster. Solo togliendo lui di mezzo potrò
scagionarla.”
“Chi?”
“Basta con le commedie. Questa notte Weiss ti ha seguita; se entrata in un
appartamento intestato a lui, abbiamo controllato. Vi siete incontrati,
no? Dimmi la verità, tu lavori per la Convenzione?”
Nadia rise.
“Tu sei matta!”
“Facciamo così: dimmi quello che vuoi, qualunque cosa, e l’avrai. Ma dammi
le prove che mi servono.”
Nadia ridiventò seria.
“Voglio te.”
“Me?”
“Esatto.”
Sydney non ci pensò neanche un attimo.
“D’accordo. Ma dimmi cos’ha in mente Foster.”
***
Appena fu dentro, ebbe un sussulto. Un lettino, farmaci, strumenti medici.
“Cosa ha intenzione di fare?”
“Di farla parlare, nient’altro.”
Lo fece stendere, e lo legò. Poi prese una siringa.
“No, aspetti, è matto?”
“Assolutamente no. Vogliamo iniziare?”
Jack spinse giù la siringa per il suo braccio.
“E’ lei il capo della Convenzione adesso?”
“Agente Bristow, mi lasci subito andare. Finirà in prigione, per questo.
Sulla sedia elettrica!”
“Forse ha ragione. Ma almeno prima mi sarò tolto una soddisfazione.”
Jack si tolse la giacca e si rimboccò le maniche. Poi inziò a colpire.
***
“La Convenzione vuole attaccare l’Europa. Il virus di Meyer è pronto. E’
un po’ quello che voleva Rambaldi, in fondo.”
“Distruggere la razza umana?”
“Distruggere gli oppositori. E restare gli unici al potere.”
“E come? Uccidendo milioni di persone?”
“Esatto. L’Europa è un avversario non solo politico, ma anche economico.
Il virus è programmabile; agirà solo in certe zone. Si inizierà dai
palazzi di governo, dalle sedi dei servizi segreti, e dalle banche. Dopo
l’Europa toccherà al Giappone, e via dicendo. Se l’attacco non avviene in
contemporanea è solo perché si spera di poter prima ricattare l’Asia.
Capirai che un’operazione così potrebbe risultare un tantino onerosa.”
“Rambaldi voleva la pace.”
“O la guerra.”
“Cosa c’entra Dublino?”
“Dublino sarà il primo focolare dell’infezione, non a caso. Appena il
virus sbarcherà in Irlanda, ci vorrà poco per decimare tutti i potenti
d’Europa.”
“DEREVAUN SERAUN. Cosa significa?”
“Rambaldi parlava un discreto inglese. Forse aveva previsto che in Irlanda
prima o poi non si sarebbe parlato molto irlandese. E amava i misteri,
come sai. Ora, scomponi i due termini in lettere. Le due iniziali, D ed S
stanno per Decision Strenght. Potere decisionale. AUN e AUN non
significano nulla; resta dunque EREVER, cioè Right REEVE, giusto
magistrato (anglosassone). La persona che deve decidere, dunque. E’ così
che Rambaldi intendeva il ruolo della Prescelta. Così Joyce ha poi
parafrasato il ruolo di Eveline. Ciascuno di noi è libero di fare le sue
scelte, giuste o sbagliate che siano, prendendosene la responsabilità; ma
solo una persona può prendere quella giusta inevitabilmente per tutti.
Tu.”
“Come sai queste cose?”
“E’ da parecchio che seguo Rambaldi, sebbene ti abbia detto in contrario.
E c’è ancora qualcosa che non sai.”
“Per esempio, non so perché ci hai aiutati.”
“L’ho fatto solo dopo che la Derevko si era consegnata. Ti ho dato una
mano, diciamo. Ed è servito. Sei arrivata fino a me.”
“Non io. E’ stato Vaughn.”
“Vaughn, sì. E’ di là.”
Sydney trasalì. Seguì la direzione indicatale da Nadia, e lo trovò. Vaughn
era in camera da letto, riverso a terra in un lago di sangue.
“Era venuto qui per un’ispezione, o cose del genere.”
Sydney si gettò a terra, e lo girò verso sé, cercando di farlo rinvenire.
“Non ti conviene lasciare impronte, potrebbero pensare che sia stata tu.”
“Perché lo hai fatto? Cosa c’entrava lui?”
“Te l’ho detto.”
“Cosa? Cosa?”
“Devi scegliere, no? Restare o scappare.”
“In che senso?”
“Se verrai con me, avrai quello che vuoi. Incastreremo Foster, e
prenderemo il suo posto. E anche la madre della Reed, se ti va. Se resti
qui, tua madre è spacciata, Dixon anche, e resterai chiusa qui a vedere il
tuo fidanzato morire. E sarebbe un vero peccato. Non solo è carino, ma ti
ama alla follia. Sei una donna fortunata.”
“Sei esattamente come tuo padre. Folle. Ricattare il mondo intero?”
“Sei esattamente come tua madre. Folle. Salvare tutti?”
Ciò detto, Nadia estrasse la pistola, puntandola verso di lei. Staccò il
telefono, e lo gettò oltre la robusta porta. La stanza era priva di
balconi, ed era all’ottavo piano; non doveva dunque preoccuparsi della
finestra. Una volta chiusa la porta, sarebbe stato quasi impossibile per
Sydney scappare. E inoltre Nadia confidava sul suo stato emotivo. Vaughn
non dava segni di vita.
“Se vengo con te mi assicuri che lui sarà salvo?”
“Chiameremo un’ambulanza. Non c’è tempo per pensarci su. Devi decidere
adesso.”
***
Quando ebbe finito, Foster sembrava disposto a trattare.
“Basta! Basta, se mi ammazza, non saprà niente.”
“E’ vero. Perciò confessi tutto e può darsi che non lo faccia.”
“Confessare quello che vuole lei equivalerebbe a essere condannato a
morte. Dove sta la differenza?”
“Che io le farò molto più male.”
***
“Va bene. Vengo con te. Ma chiama i soccorsi.”
“Saggia decisione. E, giusto perché tu lo sappia, non cercare di fregarmi
perché Foster è sempre in contatto con me; siamo in diretta, sorellina. Un
solo passo falso e tua madre muore.”
“Non è vero che vuoi eliminarlo, allora.”
“No, direi di no.”
“A cosa ti servo, Nadia?”
“Il virus può essere attivato solo a partire da una cellula della
Prescelta di Rambaldi. Quando Katja ti portò via dalla banca, ti tenne con
sé alcune ore, e ti fece un…prelievo. Ma non basta più. Non sei più la
Sydney di allora; solo adesso sei pronta. Perché sei sfuggita.”
“In che senso?”
“Non lo indovini?”
***
Guardava quell’uomo, senza apparentemente vederlo. Si stava asciugando le
mani.
“Ultima occasione, Foster.”
“Va bene…basta!”
“Firma qui allora.”
Senza neanche leggere Foster firmò. E Irina fu salva.
Jack se ne andò, dopo avergli aumentato la dose di morfina.
***
“Sono incinta?”
“Sì. E’ strano che tu non te ne sia accorta.”
“Come lo sai?”
“James Joyce è scappato da Dublino il 16 giugno, nel 1904. Aveva scoperto
tutto, ma era in anticipo di dieci anni. E non riuscì ad evitare lo
scoppio della guerra.”
“Sapeva che sarebbe scoppiata la prima guerra mondiale?”
“Sì. Anche lui era un…eletto.”
“Ma perché scappare?”
“Lasciando la sua vita alle spalle si sarebbe potuto dedicare totalmente a
quello che aveva scelto: evitare la guerra, appunto.”
“Cosa sarà di me? Sto lasciando la mia vita alle spalle?”
“Esatto. Così potrai dedicarti totalmente a quello che hai scelto.”
“Non c’è da vantarsene.”
“Non avevi scelta. L’epidemia inizierà entro il 16 del mese. C’è giusto il
tempo per terminare il virus e trasferirlo, quindi devi per forza essere
incinta.”
“Perché? Cosa c’entra?”
“’La pace è madre della vita’, diceva Rambaldi. Irina è madre della vita.
E da vita nasce vita. Non stupirti troppo, il figlio che porti dentro
avrebbe dovuto attivare, per così dire, un’arma di pace.”
“Non avete paura di mettervi contro ill vaticinio?”
“No, perché le regole le decidiamo noi. La guerra non sarà tra dieci
anni.”
“Ma Rambaldi aveva previsto tutto questo.”
“Non è mai un solo uomo a fare la storia. Ci siamo limitati a chiedere il
suo aiuto.”
Se avesse saputo che Foster era ben lungi dall’ascoltare le loro
conversazioni, Sydney avrebbe senza dubbio assalito sua sorella, quando
questa le disse che per niente al mondo avrebbe salvato il padre di suo
figlio; ma non lo sapeva, perciò si limitò a piangere la sua morte.
***
Arrivò con un mazzo di fiori. Niente di serio, ovviamente. Del resto
doveva solo farle qualche domanda. Pensava alla faccia che avrebbe fatto
Sydney se lo avesse visto. Perché, quella di Micheal no? Entrò dalla porta
socchiusa, chiamandola per nome; ma nessuno rispose. La stanza era in
disordine, e per un attimo paventò fosse accaduto qualcosa. Varcata
l’altra porta, ne ebbe la certezza.
“Vaughn! O mio Dio!”
***
L’ordine era regolare. La firma autentica. Irina era davvero libera.
Mentre aspettava che la andassero a prendere, ispezionò i documenti di
Foster; era già stato a casa sua. Trovato quello che gli serviva, emise un
lungo respiro di sollievo, e si avviò verso le celle. Provò a telefonare a
Sydney, ma non ottenne alcuna risposta.
***
Non potè frenarsi. Era quello il prezzo da pagare per amare? Si disse che
no, non poteva essere. E non sarebbe stato. Finalmente l’auto si fermò, e
Nadia la portò da Foster. Ma non c’era nessuno ad aspettarle.
“Poco male. Andiamo a fare i prelievi.”
Si lasciò condurre docile. Quando ebbe la sicurezza che nello stanzino in
cui erano entrate non ci fosse nessun altro, agì. Colpì Nadia, che si
trovava davanti a lei, decisa anche ad ucciderla.
“Ehi! Che succede?”
"Ci ho ripensato. Non scapperò.”
“La tua parola vale meno di quella di tua madre, allora. Fortuna che
presto di voi non ci sarà traccia.”
“Non riuscirete nel vostro piano, mettitelo in testa, Nadia.”
“Povera illusa!”
“L’illusione più grande è stata quella di credere che da Sloane fosse nata
una persona…umana. “
“Il fatto che tu al mio posto non avresti fatto lo stesso non significa
che non sia giusto, Sydney. Ho anche io diritto alle mie scelte. E poi,
sei tu che mi hai voluta qui, ricordi?”
“Perché non sapevo chi fossi.”
“Sono tua sorella.”
“Ancora per poco.”
Sydney attaccò. Ma fu una dura lotta. Alla fine, Nadia era svenuta accanto
a lei. Sangue le sgorgava copioso dalla testa. Sydney sentiva male
dappertutto, ed era certa di essersi rotta un braccio. Riuscì ad alzarsi,
e si recò nel laboratorio. Decine di provette, contenitori, vetrini. Non
ci pensò su troppo. Diede fuoco a tutto. L’ultima cosa che pensò mentre
scendeva le scale fu che appiccare incendi stava diventando la sua
specialità. Rise anche, per un attimo. Poi non ricordò più nulla.
***
Le ruote correvano veloci nel corridoio. Si spalancò una porta, e fu
dentro. La spostarono sul letto. Sentiva ancora nella testa la voce di suo
padre; le stava dicendo che aveva trovato le prove che inchiodavano Foster;
sua madre e Dixon erano liberi. Poi aprì gli occhi. Non stava sognando.
Voltò la testa; sull’altro letto, c’era un’altra persona. Vaughn.
“Non ti puoi alzare, Syd.”
“Papà! Papà, dov’è Vaughn?”
Sull’altro letto c’era Nadia. La guardava con occhi spenti.
“Rispondimi! Come sta?”
“Sta…bene.”
“Dov’è? Devo vederlo!”
“Ora non puoi alzarti, Syd. Hai…”
“Maledizione, papà!”
Corse via. Lo trovò poco dopo. Intanto aveva scoperto di essersi rotta
anche un piede. Vaughn era attaccato ad una macchina. I suoi occhi erano
chiusi, e il suo battito regolare. Accanto al letto era seduta Irina.
“Se la caverà.”
“Sono incinta.”
Sydney guardò Jack.
“Sarà un buon padre.”
NOTA DELL’AUTRICE
E’ finita di nuovo. Ma magari ci sarà un seguito del seguito, se siete
proprio sfortunati.
Il mio grazie va ovviamente ad Alias, davvero indefinibile, perché
“definire è limitare”.
E un altro grazie è per all’artefice di tutto ciò, Antonio Genna.
E un altro va a tutti voi, coraggiosi lettori.
P.S.
Questo è per Ale. E per tutti gli altri. Non vi dimenticherò mai. E forse
non lo sapete. “E’ tutto un DEREVAUN SERAUN!”. Spero di aver fatto la cosa
giusta. E lo so che ogni volta che hai letto questi due lemmi ci hai riso
su per mezz’ora, ma è così che voglio richiamarti alla mente. Sorridente.
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