"Wake from your sleep
and dry all your tears
Today we escape
We escape..."
Si riscosse all’improvviso, e si mise
istintivamente in ascolto: il silenzio sembrava parlarle di quella notte,
la prima di sonno da davvero molto tempo. Il suo respiro era regolare, la
mente sgombra da nubi. Questo la stupì. Restò così per un pò, non
riuscendo a svegliarsi, piuttosto decisa a godersi quell’insolita quiete,
e capire da dove provenisse; finché qualcosa accanto a lei si mosse,
sfiorandola. Quel contatto le riportò alla memoria tutti gli avvenimenti
delle 48 ore precedenti. Sbarrò gli occhi nel buio, soffocando un gemito.
“Sei sveglia?” bisbigliò una voce sopra di lei.
Sì, decisamente sveglia. Tanto che si avvicinò, sporgendosi per meglio
orientarsi nell’oscurità della camera, sulla scia di quel suono, cercando
da dove provenissero quelle parole.
Tornando alla realtà.
“No, Vaughn.” trattenne uno sbadiglio.
“Scusa, non volevo non svegliarti” fece lui, stringendola a sé.
Risero. “Non mi hai svegliato tu...ma chiunque fosse ti assomigliava
molto.”
Le scoccò un bacio sulla fronte. Sydney si ritrovò ad abbracciarlo, di
nuovo.
“Vaughn, che ci fai nel mio letto?”
“Vuoi sposarmi?”
“Cosa?”
“Sposarmi. Sai, con l’abito bianco, il prete, e tutto il resto. O in
qualunque altro modo tu voglia.”
“Mi sembra alquanto eccessivo, per un letto prestato una notte.“
Vaughn accese il lume sul comodino. Era visibilmente stanco; i capelli
arruffati, gli occhi gonfi, i pantaloni spiegazzati; ma sereno... e serio,
lo sapeva.
“Così potresti dire che il letto è tuo.”
“Non sarebbe onesto sposarti solo perché hai un letto comodo e una
trapunta blu.” riprese lei. Vaughn era davvero fissato, coi matrimoni,
pensò di sfuggita. Ma senza dispiacere. “E poi, me lo chiedi così, senza
anello, e senza neanche un caffé?!”
Lui non si scompose. “Il caffé ti aspetta in cucina, insieme ad una bella
colazione, e...”
Poi la prese delicatamente, facendola sedere sul letto: e mentre lei si
stropicciava gli occhi, si mise ad aprire i cassetti del comodino. Sydney
fece giusto in tempo a voltarsi.
“...e qui c’è il tuo anello.”
Aspettava con quel suo modo curioso, la fronte aggrottata, e un’indicibile
impazienza negli occhi, che lei aprisse bocca.
“Vaughn!”
Non poté fare a meno di mostrarsi meravigliata.
“Allora, che ne dici?”
I suoi occhi non tradirono alcuna risposta. “Prima devo provare il caffé,
per sapere se sei degno di me.” fece lei con aria divertita.
“OK, come lei desidera...” Ciò detto le prese dolcemente il viso,
avvicinandosi, e la baciò. A lei il caffé parve piacere, perché le
dispiacque staccarsi.
“Era di suo gradimento?”
Sorrise, di un sorriso sincero e intimo; Vaughn ricambiò, felice di
vederla così.
I loro occhi però restavano fermi.
Fu Sydney la prima a muoversi. Scese dal letto, e si avviò verso la porta.
Ricordava ancora l’appartamento di Vaughn, e il suo stile perfettamente
impersonale; l’arredamento sobrio, i colori tenui, il suo ordine cronico.
Sul divano, una leggera coperta, e accanto ad esso le scarpe. Era lì che
era crollato, dopo averla deposta sul suo letto. Trovò il bagno, e si
infilò sotto la doccia bollente. Doveva riordinare le idee. Notò con
disappunto che Michael usava sempre lo stesso shampoo. Stava pensando al
matrimonio dei suoi genitori, quando lo sentì entrare.
“Syd.” Le cinse la vita con le braccia. “Non mi hai risposto.”
“Ti ho risposto.”
Le si parò davanti. “No, invece. E non ti sei neanche messa l’anello.”
“Mi hai preso alla sprovvista.” Gli accarezzò i capelli bagnati,
guardandolo.
“Ma tu non mi hai risposto.”
“Abbiamo ragione entrambi.” Sentendolo così vicino, la sua voce iniziò ad
incrinarsi.
Vaughn la strinse forte a sé, sentendo tutta la sua agitazione; quando mai
era riuscita a nascondergli qualcosa?
“Syd, so cosa pensi. Ma non devi avere paura. Cerco solo di fare almeno
una cosa giusta e normale nella mia vita. Voglio stare con te per tutto il
tempo che mi rimane. Ho già commesso troppi errori: stavolta non ti
lascerò andare via.”
Le asciugò con le dita le lacrime che si erano mescolate alle gocce
d’acqua, lavando via con un gesto tutti i suoi dubbi e timori.
“Va bene, Vaughn.” riuscì a sorridere “Sposiamoci.”
La guardò un breve istante, come per fissare nella mente il ricordo di
quel momento. Poi scappò via, ancora bagnato. Sydney non capiva: pensò di
inseguirlo, ma in quella lui tornò, trafelato, raggiante: portava in mano
l’anello, il suo anello. Glielo infilò al dito, sotto il suo sguardo
attento.
“Vaughn, come hai fatto a trovarmi?”
“Ho seguito il mio cuore, Syd.”
Anche lei seguì il suo. Lo attrasse a sé, stringendolo.
“Ti amo.”
48 ORE PRIMA
Un dossier. La sua vita era un dossier. Un fascicolo ordinato, preciso e
puntuale. I suoi spostamenti, i suoi comportamenti, e magari anche i suoi
pensieri, tutto scritto lì, per mano di chi l’aveva messa al mondo. E
tradita. E salvata. E tradita di nuovo. La prima cosa le venne da pensare,
mentre era seduta lì a leggere la sua non autorizzata biografia, fu che
fosse tutta opera sua. Del resto nei due anni in cui era scomparsa era
stata lei ad occuparsi del suo caso. Lei a indagare nel suo passato, e
chissà, lei, a scrivere il suo futuro. Ora, le sembrava di aver recitato
una parte già programmata, e le era assolutamente difficile accettare una
verità così inspiegabile. L’arrivo di suo padre l’aveva sconvolta. Quante
altre cose non sapeva? Tutta la sua vita sembrava ruotare attorno ad
un’unica soluzione. E lei davvero non riusciva a trovarla.
“Cosa vuoi dire?”
“Syd...”
“Forse che da quando sono nata non fai altro che progettare la mia vita? E
che non era previsto che io me ne accorgessi? Andiamo, come hai potuto
pensare che non sarei mai riuscita a scoprirlo?”
“Non c’era nulla da scoprire, in effetti.” Rimaneva impassibile, come
sempre freddo e impenetrabile; anche con sua figlia.
“Hai ragione; nulla, a parte che hai fatto un resoconto della mia vita, e
me lo hai tenuto nascosto. Che c’è, papà, non avevi idee per il tuo diario
personale?”
“Non mi dirai che è il primo segreto che scopri? Andiamo, Sydney!
Dall’SD6, a Sloane, a tua madre, a Francie, alla tua sorellastra, quanti
segreti nella tua vita? Non ricordi, forse, che Kendall ti nascose la
verità sui tuoi due anni come Julia Thorne?”
“Non è lo stesso, quello era lavoro. Glielo avevo chiesto io. Era una
verità che non dovevo ricordare, anche se lo sto pagando ancora adesso. E
poi, tu sei mio padre. Mio padre.” Si chiese quale fosse il vero
significato di quella parola. O della parola famiglia; non si era mai
sentita così sola.
“Perché, questo non é lavoro? Sydney, ci sono tante cose che non puoi
pretendere di sapere. E’ stato così anche per me. E’ così per tutti.”
Adesso i suoi occhi non potevano più celare l’amarezza.
“Lavoro? Hai permesso che mi rapissero, torturassero, manipolassero, e
chissà cos’altro ancora...per lavoro? Qui non si tratta di servire il
proprio paese: mi hai programmata per essere una spia, tu mi hai fatta
diventare quella che sono, e ora scopro l’esistenza di un copione fatto
apposta per me, di cui tu eri a conoscenza. Questa é la mia vita.” I suoi
occhi erano freddi, e il suo cuore gelido.
Mentre reggeva il suo sguardo, apparentemente con distacco, passò in
rassegna mentalmente la sua vita, di uomo, di spia, di marito e di padre:
pochi successi, troppi rimpianti, soffocati nel tempo da una patina di
indifferenza, e all’occorrenza di rifiuto. Per tutto e tutti, ma non per
lei. Un film di flashback confusi e opachi, illuminati a tratti dai
sorrisi di Sydney. La figlia che stava perdendo? si chiese. Ma non osava
darsi una risposta.
“Non ti piace quella che sei?”
“Non mi piace pensare che non so per quale motivo sono così.”
“La verità richiede tempo. Niente é come credi, Syd.”
“Ti metti a citare la mamma, adesso? Oh, che stupida...c’entra anche lei,
non é così? Ah, ben recitato, non c’é che dire. Il marito abbandonato,
colmo di risentimento...la moglie e i suoi comportamenti sibillini...E
dimmi, qual’era il vostro scopo finale? Cosa c’é dietro tutto questo? E
cosa c’entra Lauren Reed?” Sbatté il suo fascicolo con violenza sulla
scrivania. “Cosa volevate fare? Dimmelo. Ora.”
“Personalmente non ho mai voluto fare altro che proteggerti. Che tu mi
creda o no, é la verità. La mia ultima parola.”
“Ultimissima, Jack.”
Fu un attimo. Afferrò il bordo della pesante scrivania, e la rovesciò
contro Jack Bristow, che ricadde all’indietro fragorosamente. Tutto il
peso gravava sul suo petto, e non avrebbe potuto divincolarsi con l’aiuto
delle braccia, intrappolate al di sopra delle spalle. I fogli di carta si
sparsero per la stanza, sfuggiti dalla fragile copertina slabbrata. Gocce
di sangue stillarono da quella testa prossima alla canizie.
“E ora, Jack, se non vuoi che sia davvero l’ultima, mi dirai tutto quello
che voglio sapere.”
“Sydney, aspetta...”
“Dov’é mio padre? Chi sei tu?”
“Sono io tuo padre, Sydney.”
“Sei un clone? Il terzo? Il quarto? Quanti siete?”
“I cloni erano solo due, Sydney, e sono entrambi morti.”
“Ah davvero? Nei sei sicuro? O forse é un segreto anche questo? Non puoi
saperlo neanche tu, vero?”
“Sydney, ragiona, se non fossi tuo padre a quest’ora saresti morta.
Pensaci.”
Il peso iniziava a gravare su di lui. Ma nessuno dei due sembrò
accorgersene.
“E’ proprio quello che mi stavo chiedendo, sai. Che fine avrà il vostro
bel giornalino? Perché siamo arrivati a questo punto?”
“Perché non hai fiducia in me, Sydney.”
“Hai ragione, papà. Ma del resto, te lo sei meritato. E ora rispondi: che
ci faccio qui? Cosa mi avete nascosto per tutto questo tempo? C’entra
Rambaldi, vero? E Nadia?”
Fece pressione sulla scrivania, riuscendo a strappare all’uomo nient’altro
che un colpo di tosse.
“RISPONDI! Rispondimi, accidenti.”
Tutto inutile. Non si sarebbe mai piegato. Lo conosceva bene. Ma mai
troppo. Certo, non avrebbe mai creduto in quello che aveva appena
scoperto. D’un tratto le forze le vennero meno, e senza volerlo, si
ritrovò a piangere. Ancora.
“Sydney...Non é come sembra. Toglimi quest’affare di dosso. Posso fare
qualcosa, se solo... Risolveremo tutto, come abbiamo già fatto altre
volte. Devo solo...
“Non voglio la tua compassione. Mettitelo bene in testa. Non voglio
neanche il tuo aiuto. Non m’importa quel che puoi fare, o che farai.
Capito?”
Lasciò la presa, e la mano le corse alla pistola.
“Vuoi uccidermi? E’ questo che vuoi?”
Jack tornò a respirare. Non aveva paura. Conosceva sua figlia, e sapeva
che non gli avrebbe fatto del male. Non fisicamente.
“No. Ma visto che non vuoi collaborare, devo almeno evitare che tu mi
metta ancora i bastoni tra le ruote.”
Raccolse i fogli da terra. “Chissà quante volte hai insabbiato la verità,
eh? Ma non preoccuparti...” si allontanò da lui “...era lavoro, no? E io
so che la verità richiede tempo, é solo che...” cercò con gli occhi la
borsa, probabilmente caduta a terra.
“ ...mi sono stufata di aspettare.”
Non sentì alcun rumore. Stava pensando alla sua prossima tappa. Finalmente
trovò la sua borsa, nascosta dietro la sedia. Prima che la sedia le
cadesse addosso.
E fu l’ultima cosa che vide.
***
[sigla]
24 ore dopo
“Dov’é l’agente Bristow?”
“Non é ancora arrivata.”
Corse via.
Era da due giorni che non la vedeva. Da quella notte a Palermo. Da quel
bacio. Sull’aereo del ritorno non gli aveva quasi rivolto parola,
limitandosi a sorridere brevemente ai suoi “Stai bene?”. E il giorno dopo
non aveva risposto alle sue chiamate. E oggi non era a lavoro. Iniziò a
preoccuparsi. Sydney non aveva voluto che la accompagnasse a casa, e così
l’aveva lasciata all’aeroporto, ma se n’era subito pentito. Ora
rimproverava se stesso di non aver insistito. A cosa sarebbe servito, poi?
Probabilmente a nulla, si disse, ma non poté fare a meno di biasimarsi, e
non solo per questo.
Grosso errore, lasciarla andare via.
Il campanello suonò più e più volte, ma sempre senza esito. Sembrava
davvero non ci fosse nessuno, dentro. Fece il giro dal retro, spiando
dalle finestre irrimediabilmente chiuse. Forzò la porta secondaria, che
cedette facilmente. Entrò quindi nella casa avvolta nell’oscurità,
avanzando cautamente. Niente si mosse.
“Marcus.”
“Vaughn? Agente Vaughn?”
“Dov’é Sydney?”
“Ha mandato una e-mail: é in malattia. “
Scosse la testa. “No, é scomparsa.” Di nuovo.
“Perché lo pensa?”
“Non ho sue notizie dalla missione di recupero in Italia. Il suo telefono
é isolato, e la casa vuota. Non ha contattato nessuno in questi due
giorni; temo che le sia successo qualcosa.”
“Ha avvisato l’agenzia ieri mattina.”
“Dove si trova?”
“Agente Vaughn, Foster ha intenzione di prendere provvedimenti per quello
che é successo l’altro giorno in ospedale...”
“Sydney era in pericolo. Dovevo avvisarla.”
“Ha ucciso l’agente Reed.”
“Era una traditrice. Ha tradito il Paese. Ha tradito me.”
“Non può farsi giustizia da sé. Temo che per un pò debba tenersi lontano
dal lavoro.”
“Devo trovare Sydney.”
“Non abbiamo bisogno di un agente che non sappia attenersi alle nostre
direttive.”
I suoi occhi sfidarono Dixon, ma l’altro decise che non era tempo di
ostilità.
“La troveremo.”
1062.
Quei numeri. Lauren, prima di morire, li aveva pronunciati distintamente,
con convinzione, come se si trattasse di qualcosa di importante per
Sydney. Pensare a lei lo riempiva di uno strano disgusto. “Ti odio. Ma
ancora di più amo Sydney...”. Ripensava alle sue parole, e a quello che
aveva fatto. Ma non provava il minimo rimorso. E ancora si chiedeva:
perché avrebbe voluto rivelare qualcosa, qualcosa magari riguardo al suo
lavoro nella Convenzione?
Aveva deciso di lasciare la casa che aveva condiviso con lei, per tornare
nell’appartamento che occupava prima, prima della morte di Sydney, prima
di sposarsi, prima del buio. Decise che non avrebbe sbagliato. Non
l’avrebbe lasciata andare via. Avrebbe dovuto trovarla, stavolta. Rifletté
sugli avvenimenti di quella sera, distraendosi sovente sui particolari del
loro abbraccio. Sydney aveva detto che non sapeva cosa significassero quei
numeri, che non erano importanti. Ma allora, perché...?
***
Perché si trovava lì? Non riusciva a ricordarlo. Solo un’ombra, davanti a
lei. I suoi occhi velati non distinguevano le figure che discutevano
animatamente sopra di lei. Ripensò alle parole di Lauren. Era tutto vero.
Lei era niente più che una pedina; e non sapeva chi la stava pilotando.
Suo padre? Ancora non lo credeva possibile. Piuttosto...
Sentì freddo sulla pelle.
Perse i sensi.
***
Non poteva agire da solo.
“Marshall, io non credo che Sydney sia malata. Temo che quell’e-mail sia
solo un trucco.”
“Davvero, agente Vaughn?”
“Esatto. Marshall, devi inserirti nel computer di Dixon, e scoprire da
dove é stata mandata.”
“Oh, ma io non so se...”
“Marshall, ascolta: forse Sydney é in pericolo; io non sono più operativo,
Dixon prende tempo, e Jack Bristow é in missione. Solo tu puoi aiutarmi a
trovarla.”
“Se é così...conti pure su di me. Non ci vorrà molto...”
Di nuovo lei. Tornò col pensiero al viaggio di ritorno. Avrebbe voluto
parlarle, di sé, di loro, ma l’ aveva veduta distante, concentrata; forse
pensava a quel numero...
“1062...Cosa diavolo può essere?”
“Come dice?”
“Scusa Marshall, pensavo a voce alta.”
“Ah. Ci siamo quasi...Beh, può essere tante cose. Un palazzo, un tesserino
sanitario, un codice, una cassetta di sicurezza... sa, ho deciso di
mettere in custodia tutti i miei progetti, non si sa mai...per il piccolo
Mitchell. Certo, adesso é piccolino, ma quando crescerà... “
“Bingo!”
“Bingo? Mhmm, no, é una cifra troppo grande per il bingo, agente Vaughn.”
Quale luogo migliore per i custodire i segreti della sua ex-moglie? Poteva
funzionare.
“Mashall, devi trovare questa cassetta di sicurezza.”
“Eh?”
“Sydney. Forse Sydney é andata a cercare dei documenti, prima di
scomparire.”
“Ma...dove?”
“Dove non lo so. Ma controlla tutti gli accessi, e cerca una certa Julia
Thorne.”
***
“Julia. Finalmente!”
“Proprio così. Ora siamo davvero vicini.”
“Dov’é?”
“Al sicuro.”
“Quando potremo finalmente...”
“Questa notte.”
“La profezia si avvererà?”
“C’é da starne certi.”
***
Sospeso.
Non era una sorpresa.
Era appena salito in macchina, quando suonò il cellulare. Pregò fosse lei.
“Mike.”
Weiss.
“Ehi amico, scusa, non volevo ferirti. Comunque l’altra notte é stato
bellissimo.”
“Eric, non sono dell’umore adatto.”
“Andiamo Mike, la stai prendendo troppo sul serio.”
“Ah, ma davvero?”
“Sì, davvero. Sai che ti dico? Te la sei meritata, la sospensione! Mi hai
puntato una pistola contro. E non mi hai neanche lasciato un biglietto di
scuse.”
“Eric, Sydney é scomparsa.”
“Cosa?”
“Dicono che é in malattia, ma non sono convinto. Non é a casa, non
risponde al telefono...”
“Forse é partita. Dicono che le Figi siano un toccasana per l’artrosi.
Sai, credo che dovrei farci un giretto anche io...”
“Eric, non mi ha avvisato.”
“Michael. Ascolta, so che quello che ti dirò potrebbe non piacerti, ma
sono sincero: sei sicuro che ti avrebbe avvisato?”
***
“Che ci fai qui? Chi ti ha avvisato?”
“Non é importante. Quello che importa é Sydney.”
“Lei sta bene.”
“Dove l’hai portata?”
“Non é importante.”
“Niente scherzi con me. Dov’é mia figlia?”
Gli indicò una porta. Sydney era a letto, e dormiva.
“Cosa le hai fatto?”
Ma nessuno rispose.
***
Era passato da casa per ritirare le ultime cose, prima di trasferirsi.
Anche lì, circondato dagli oggetti della loro intimità, non riusciva a
pensare alla sua ex-moglie, perso com’era nell’immagine di Sydney. Era
sempre stato così? Sì, lo riconosceva. Il suo errore era stato cercare di
mentire a se stesso. E a Sydney. Sydney. Non credeva se ne sarebbe mai
andata senza avvertirlo. Non voleva credere avrebbe fatto qualcosa senza
pensare a lui. Lui di certo non lo avrebbe fatto. Non lo aveva mai fatto,
del resto. Lo sguardo gli cadde su una foto posata sul tavolino del
soggiorno. Lui e Lauren sorridevano all’obbiettivo. Una ruga sul mento, e
la cornice fu a pezzi. Odiava quella donna, e tutto quello che la
riguardava. Anche se stesso, forse. E se avesse attirato Sydney in una
trappola? Rimpianse di averla uccisa troppo presto, quella sera. Cos’altro
nascondeva? Forse Sark sapeva qualcosa, ma lo volle tenere come ultima
eventualità. Distolse il pensiero, e uscì per l’ultima volta da quella
casa, rimuginando di abbatterla. Mentre passava, intravide della posta a
terra. Ma il suo indirizzo era cambiato.
***
Il risveglio fu un altro di quelli caliginosi, stile Hong Kong, le venne
da pensare. Ma non riusciva ad abituarsi. Aveva mal di testa, si disse.
Probabilmente l’avevano drogata. Cercò di orientarsi nel tempo, ma non
riusciva ad immaginare per quanto tempo avesse dormito. Restare svenuti
non era molto riposante, c’era da convenirne...
“Caffé?”
Tempismo perfetto. Troppo. Sarebbe mai finito il tempo di farsi leggere
nel pensiero?
“Cosa ci metterai dentro, mamma?”
“Nulla, tesoro.”
Tesoro. “Un tesoro davvero prezioso, non é vero?”
“Non sai quanto.” Irina Derevko sorrise alla figlia, porgendole una tazza
di caffé nero, e una cannuccia. “Come si dice, chi trova un amico, trova
un tesoro. Vorrei fosse il contrario.”
“Noi non siamo amiche, mamma.”
“Per un pò di tempo ho creduto lo fossimo. Quando collaboravo con la
CIA...”
Non la sentiva. Aveva un ronzio in testa.
“Sei stata tu a colpirmi?”
“No.”
Si guardò intorno. Si trovavano in un normale appartamento ammobiliato,
con discutibile gusto, d’accordo, ma normale; niente bunker, o magazzini,
o basi navali o aeree. Erano in una casa, una villetta, isolata
probabilmente, forse in campagna. Tese l’orecchio, ma da fuori non
giungeva alcun rumore. Le finestre erano chiuse, e le persiane abbassate.
“Dove siamo?”
“Non posso dirtelo.”
“Bella amica.”
“Non siamo amiche, Sydney, lo hai detto tu stessa. Non é andata come
speravo, ma ora che sei qui, avremo tempo per chiarirci.”
“Sai mamma, esistono anche i telefoni per parlare.”
***
Non era la sveglia a suonare. Non l’aveva puntata. Ma allora cos’era quel
fracasso, all’alba delle dodici meno un quarto? Si era addormentato
neanche un’ora prima, senza neanche pranzare. Finalmente riconobbe il
campanello della porta.
“Oh, Eric!”
“Mike, finalmente! Mi ha fatto preoccupare, sai? Sarà mezz’ora che suono.”
“Dormivo.“
“L’inconsolabile! Dormire a mezzogiorno. Accidenti amico, tu sì che sai
come vivere le sospensioni.”
“Eric.”
“OK, OK, serio. Ero passato da casa tua, cioè, l’altra, per portarti
qualcosa da mangiare; sapevo che non ti saresti fatto neanche un panino...te
lo sei fatto?”
Scosse il capo.
“Ecco, lo sapevo. Prosciutto e mozzarella, cheeseburger, questo col tonno
é mio... Notizie di Sydney?”
“No. Entra.”
“Ah, ti ho preso la posta. Ce n’era un mucchio davanti la porta. Tieni.”
Con la vista ancora annebbiata, scorse velocemente le buste che aveva in
mano.
“Cos’hai da bere?”
“Guarda in frigo.”
“Ma sai che la tipa del Time out mi ha dato il numero? Accidenti...”
Riconobbe due bollette, una partecipazione, pubblicità varie. Una lettera
senza mittente lo mise sul chi va là. Iniziò a svegliarsi. Marshall gli
aveva dato un indirizzo di Dublino; l’e-mail di Sydney proveniva da lì. La
lettera anche. La aprì, ed ebbe un tuffo al cuore.
Sydney.
Caro Michael,
lascio la città. E la CIA. E te. Mio padre é scomparso, nella mattinata di
ieri. Nadia é sfuggita alla custodia della CIA, e devo trovarla, prima che
lo faccia Sloane. Credo che le due sparizioni sono collegate. Ho bisogno
di aiuto; dovrò mettermi in contatto con mia madre, e questo mi creerebbe
problemi con l’agenzia. Ormai sia Sloane che la Convenzione sono vicini
alla sfera di Rambaldi, quindi nel bene o nel male questa faccenda presto
finirà: devo solo pensare a proteggere mia sorella. Non voglio coinvolgere
anche te, quindi non cercarmi, non tentare di aiutarmi, e non mettere
nessuno sulle mie tracce. E’ l’ultimo favore che ti chiedo.
Sydney
“...ci crederesti?”
No. Non poteva crederci.
“Vaughn? Hai sentito? Yu-uh! Terra chiama ammasso nebulare disperso nello
Spazio... Michael? Che c’é?”
Lo guardò, ma non lo vide.
“Cattive notizie?”
“Sydney.”
“Ah, allora ti aveva avvertito; e dove sta? Alle Mauritius? O in Alaska?“
“Non so dov’é. Non me lo ha detto. Non...non mi vuole più vedere.”
“Eh?”
Era completamente sveglio, eppure era come in preda ad un incubo. Non si
sentiva più le gambe. Non si sentiva più niente. Weiss gli prese la
lettera di mano, la lesse velocemente, e lo guardò sorpreso. “Michael...”
“Non é niente, Weiss. Solo...”
Cadde.
***
Ordinò uno whisky secco. E si mise in attesa. Poco dopo i due arrivarono.
“Siete in ritardo. Non perdiamo altro tempo. Dov’é?”
“Ci segua, signor Mbomani. Il luogo dell’appuntamento é un casolare nella
periferia di Dublino. Arriveremo in poche ore. E’ pronta la sua squadra?”
“Certo. ”
“La mandi in questo posto, allora.”
***
Le ore passavano, e lei restava lì. Sua madre non si decideva a parlare di
nulla che non fosse un rimpianto. Ma ormai non le credeva più. Non la
ascoltava neanche. Da quella mattina era divenuta estremamente cinica. Il
giorno prima aveva scoperto della fuga di sua sorella dalla custodia della
CIA. Aveva provato un’angoscia indefinibile. Oggi, nulla. Probabilmente
anche Nadia faceva parte del gioco. In effetti, era strano che anche sua
sorella fosse un’agente. Tutta la storia di Rambaldi le apparve
all’improvviso un’immensa montatura, atta a mettere in secondo piano gli
intrighi di cui era stata vittima. Era stanca. E non era sicura di voler
sapere la verità. Aveva quasi voglia di perdere i sensi, per non sentire
quel senso di impotenza che invadeva la sua vita. Anche adesso, che le sue
mani riuscivano a malapena a muoversi.
“Dov’é papà?”
Non riusciva a chiamarlo altrimenti. Anche se ricordava bene la loro
ultima conversazione. Aveva creduto fosse l’ultima. Stava andandosene,
quando qualcuno la aveva colpita. Si chiese come avessero fatto a portarla
via dalla banca. Con un’ambulanza?
“Tuo padre” sorrise Irina “sta per arrivare. Poi potremo parlare, Sydney.”
“Liberami. Non ho intenzione di passare la riunione di famiglia legata ad
una sedia.”
“Spiacente. So quanto sei vivace. Non posso lasciarti scappare.”
“Scapperò comunque. E quando lo farò, bada di essere lontana. Ho scoperto
tutto, lo sai.”
“Tutto? Oh, no, proprio no, Sydney, proprio no.”
“E tu non hai intenzione di dirmi nulla, vero?”
“La verità...”
“....richiede tempo, Sydney. Oh, basta frasi fatte. Fatela finita con
questa perdita di tempo.”
“Sydney, non é stato tempo perso. E mettiti tranquilla:dovrai restare qui
finché non sarà tutto finito.”
“Non sono d’accordo.”
***
Si trovava a Dublino. E non sapeva come facesse a saperlo...ricordava che
non mangiava da più di ventiquattr’ore, e si sentiva estremamente debole:
calo di zuccheri, probabilmente. Ma non ci badava; stava girovagando da
ore per strade sconosciute, sotto la pioggia battente, guardando in giro,
cercando di scorgere un segno, qualcosa che lo portasse da lei. Non aveva
ancora perso le speranze. Non lo avrebbe fatto. Non questa volta. Per la
città, non un’anima. Non un’auto, o un taxi che lo portasse a quell’indirizzo,
almeno per cercare una traccia. Ma non pensò neanche un attimo di
fermarsi. Continuò a correre, suonare ai campanelli, chiamare, e gridare.
Nessuno gli si avvicinò. Nessuno sapeva che si trovava lì. Tutta la sua
rabbia, la sua disperazione, si tradussero in un grido angosciato; alzò
gli occhi torvi al cielo, prima di cadere accasciato al suolo. Ma in
quell’attimo vide qualcosa, un baleno, che gli fece immediatamente
riaprire gli occhi. Era lei, splendida, in piedi davanti a lui, che gli
porgeva la mano, e lo aiutava a rialzarsi. Non riuscì a dire nulla, un
singhiozzo gli morì in gola, mentre la guardava. Sydney alzò una mano,
indicando un punto dietro di lui. Si voltò, seguendo la linea immaginaria
tracciata dal suo dito. I suoi occhi scorsero un muretto. Non capiva. Si
voltò verso di lei. Ma non c’era più nessuno.
“Sydney! Sydney!”
Gridò ancora, e poi ancora, il suo nome. Gli mancò di nuovo il repiro...
“Mike, coraggio, tirati su.”
“Eric...che é successo?”
“Sei svenuto. Mi sei quasi saltato addosso. Veramente sei caduto; ma non
siamo pignoli.”
“Eric, l’ho vista.”
“Che?”
“Sydney!”
“Mike, hai preso una bella botta. Sulla mia spalla, qui, vedi? Hai
sognato.”
“No, ti dico che l’ho vista davvero.”
“E io ti dico che hai preso qualche virus. Sei pallidissimo.”
“Sciocchezze. E’ che non mangio da chissà quanto tempo. Ascolta, non ha
scritto lei quella lettera.”
“Te lo ha detto in sogno?”
“No, ma...”
“Ascoltami, Vaughn. Adesso stenditi e fatti un bel riposino, d’accordo?”
“Ascoltami tu, Weiss. Sydney mi sta aspettando.”
“E allora perché ti ha detto di non cercarla?”
“Non lo so. E’ quello che vorrei capire. Vado da lei.”
“E dove sarebbe? Senti, sei preoccupato, e ti capisco. Ma usa la testa,
Michael. “
Non ho più una testa, pensò distintamente. “Lasciami, Weiss. Devo
raggiungerla. Potrebbe aver bisogno di me.”
“Potrebbe aver bisogno di dimenticarti. Lo sai questo?”
“No, non credo proprio.”
“Tu non esci di qui.”
“Eric, spostati, e fammi passare. Adesso.” La sua voce tremava, ma il suo
sguardo era fermo.
“Amico, non scherziamo OK? Fila in camera tua!”
“Accidenti a te!” Lo colpì al viso.
Poco dopo era già fuori di casa. Compose il numero di Marshall con la mano
ancora dolorante.
“Ah, agente Vaughn. Abbiamo fatto bingo!”
“L’hai trovata?”
“Eh sì. E’ successo ieri mattina in una banca a Wittenberg; Julia Thorne
ha aperto la cassetta di sicurezza numero 1062.”
“Abbiamo il filmato?”
“No, purtroppo no.”
“Sappiamo chi aveva lasciato il deposito?”
“Oh, sì. La stessa persona che ieri mattina ha visitato la stessa banca, e
indovini un pò? Ha prelevato il contenuto della cassetta.”
“Sloane?”
“Talja Dreznev.”
Talja Dreznev... nella sua mente si aprì un cassetto. Ma fu troppo rapido
a richiudersi.
***
“Papà!”
“Jack, cosa significa?”
“Significa che non mi fido di te, Irina. E ormai dovresti saperlo.” Le si
avvicinò, armato.
“Jack...”
“No. Ho accettato di portare Sydney qui da te solo per proteggerla, anche
se forse lei non mi crederà... ma non sono sicuro che tu non voglia
tradirmi di nuovo. In ogni caso, stavolta non te lo lascerò fare. Fingerò
un… incidente. Questo depisterà Arvin fintanto che la porterò via di qui”
“Sydney é anche mia figlia. Credi davvero che la lascerei nelle mani di
Sloane?”
“Perché no? Non dimentichiamoci che con lui c’é l’altra tua figlia. E tu
stessa per anni hai cercato i manufatti di Rambaldi. Non mi dire che non
ti interessa più.”
“Nadia é con Sloane?”
“Sì, Sydney. E credo che questo significhi solo una cosa: hanno le
coordinate esatte della sfera di Rambaldi. Tua madre ha finto un accordo
con Sloane e la Convenzione per il recupero.”
“Perché?”
“Sydney, la profezia é chiara. Dovrai combattere con il passeggero, e
nessuno dei due avrà la meglio. Ora, Nadia é sicuramente vicina alla
cosiddetta essenza di Rambaldi, e io non ho alcuna intenzione di
rischiarti per i vaneggiamenti di un folle.”
“Tu non disponi della mia vita. Non più”.
“Sydney, ascolta. Quel fascicolo è opera di Sloane. Le sue ricerche su
Rambaldi lo hanno portato a credere che la donna della profezia sia tu. Il
ritrovamento di quella pagina con quell'immagine poi lo ha definitivamente
persuaso. Con l’aiuto di tua madre é riuscito a trovarti, e reclutarti.
Voleva legarti a sé, per avere via libera ai segreti del Dire. Per questo,
dopo il tuo allontanamento dall’SD6, non ti ha mai perso di vista, ha
svolto indagini su di te, e, sì, ti ha fatto rapire dalla Convenzione,
dopo essersi accordato per la spartizione del bottino finale. Il resto lo
sai.”
“Lo sapevano tutti, tranne me. Vero?”
“Sydney, io l’ho scoperto da poco. Arvin mi ha detto tutto prima della sua
esecuzione. Il ritrovamento di Nadia non é stato un caso. Ricordi quando
la incontrasti la prima volta? Era in un carcere. La Convenzione ti voleva
morta; avevi intralciato i loro piani una volta di troppo. Tua sorella
Nadia era stata incaricata di ucciderti.”
“Questo prima che Sloane scoprisse che fossi la Prescelta. Abbiamo dovuto
fermarla.”
“Mi aveva detto di essere un’ agente dei servizi segreti argentini.”
“Per essere precisi, una doppiogiochista della Convenzione.”
“E… cosa mi hanno fatto mentre ero prigioniera?”
“Non lo so. Credo esperimenti. Dovevano assicurarsi che tu fossi la
prescelta.”
“Lo sono?” Guardò sua madre.
L’altra annuì.
“Capisci, Sydney? Sloane verrà qui a prenderti. Il nostro piano prevedeva
un’irruzione della CIA mentre lui e i suoi si trovavano qui. Ma non verrà
nessuno a fermarli.”
“Perché non mi hai detto nulla, Jack?”
“Mi pare di avertelo già detto, Irina. Sono certo che avevi già pensato ad
un modo per gabbare tutti e andare a rinvenire la sfera di Rambaldi. Ma
stavolta non sfuggirai.”
“Papà, alla CIA sanno di tutto questo? Dixon lo sa?”
“Dixon non è più operativo. E’ stato arrestato per tradimento. E’ per
questo che il piano é saltato.”
“Come? E perché?”
“E’ accusato di aver passato informazioni alla Convenzione. Foster ha
preso il suo posto.”
“Foster?”
“Sì. E’ appoggiato da personaggi influenti, a quanto pare...”
“E da chi?”
“La madre di Lauren Reed.”
***
Dublino, biblioteca comunale. Il messaggio era partito da lì. Ma era
sicuro che sapere questo non gli sarebbe servito a nulla. In ogni modo si
sentiva tranquillo. La lettera era un falso. Non c’era neanche
un’allusione a quello che c’era stato tra loro. Non un saluto affettuoso,
non una riga di biasimo. Non era la sua Sydney. Aveva di certo bisogno di
lui. Non lo avrebbe allontanato così dalla sua vita. Si stiracchiò sul
sedile: tra poco sarebbe arrivato.
Una biblioteca. Niente di più. Uscì, con in bocca uno strano sapore di
dejà-vu. Il pomeriggio era umido; cadde qualche goccia di pioggia. Il
sopralluogo nel caveau della banca non aveva portato a nulla. La sortita a
Dublino idem. Perse di colpo tutta la sua sicurezza. Aveva sperato in una
traccia; ma la biblioteca non era dotata di un servizio di telecamere, e i
pc con collegamento ad Internet non erano controllati da nessuno. Non
aveva modo di sapere chi avesse spedito quell’e-mail. Decise
che se ci fossero state telecamere, di certo le avrebbero disattivate. Si
trovò a sorridere, pensando che era indeciso se sperare che Sydney fosse
lì di sua spontanea volontà, e che dunque non lo avrebbe voluto intorno, o
che viceversa si trovasse in difficoltà, e stesse aspettando il suo
arrivo. Iniziò a piovere fittamente, e si trovò a girovagare, immerso in
questi pensieri. Non riusciva a focalizzare l’attimo in cui si ricordò
dove aveva già visto quelle strade, quelle case, e sentito quella pioggia;
ma non importava già più. Si lanciò di corsa verso il muretto indicatogli
da Sydney. Lo scavalcò prontamente, e appena scorse il sentiero, si mise a
percorrerlo con il cuore in gola.
***
“E Vaughn?”
Non aveva osato pensare a lui, in tutto quel tempo. Non aveva temuto un
attimo per sé, ma non era tranquilla per lui. Ora che suo padre stava
liberandola, tentò di farsi venire in mente un modo per scappare, e
trovare il sistema di avvisare Michael. Era l’unico che potesse aiutarla
per quello che aveva in mente. E l’unico di cui si fosse sempre fidata. E
l’unico che voleva accanto a sè.
“Vaughn sta bene.”
“Dove si trova?”
“A Los Angeles, naturalmente.”
“Si sarà preoccupato per me. E anche alla CIA mi staranno cercando.”
“Non é così. Gli ho fatto arrivare un tuo messaggio. E la CIA crede tu sia
malata.”
Sua madre pensava sempre a tutto.
“Sydney, tieni; legala.”
“Cosa hai intenzione di fare?”
“Mi ucciderà.”
“Papà!”
“Sydney, ho accettato di trattare con lei solo per tenerti al sicuro. Mi
hai accusato di aver controllato la tua vita, e non ce l’ho con te per
questo. Ma tua madre é sempre stata dietro a questa vicenda; é lei in gran
parte la causa delle tue afflizioni. Per tutto questo tempo non ha fatto
che ingannarti, e ingannarmi. E’ giunto il momento di chiudere la
partita.”
“No, invece. Qualunque cosa abbia fatto, non merita questo. Gli anni
potranno aver inaridito il tuo cuore, ma non il mio.”
“Non devi farlo tu.”
“Tanto é ladro chi ruba, quanto chi tiene il sacco, papà. Non ho
intenzione di uccidere mia madre, né di aiutarti. Anzi, non ti avvicinare
a lei.”
“Sydney.”
“Sydney, non preoccuparti per me. Esci di qui, prima che Sloane e i suoi
arrivino.”
“No, invece. E tu, se vuoi prenderla, devi prima vedertela con me...
papà.”
“Accidenti, Sydney, ma vuoi capirlo che lo faccio per te? Altrimenti
questa storia non finirà mai.”
“Che non finisca mai, allora.”
Si lanciò verso di lui. Con un calcio ben assestato riuscì facilmente a
disarmarlo. Poi lo colpì alla testa. Ma il terzo colpo andò a vuoto. Jack
si scansò e, ruotando su se stesso, la bloccò, intrappolandola con il
braccio destro.
Era quello l’attimo giusto. Non aveva molto tempo a disposizione. Contò
mentalmente fino a tre, e corse fuori. Non prese neanche la pistola; pensò
soltanto a scappare. Diede un’occhiata indietro: Sydney si divincolava
dalla stretta di suo padre, cercandola con la sguardo. Anche Jack si era
voltato verso il suo lato, proprio mentre lei chiudeva la porta. Afferrò
il cappotto, e si avviò velocemente verso la porta.
“Irina!”
Si voltò. Non vide nessuno. Ma lo sentì.
***
Erano in viaggio da parecchie ore. Oltre che ad essere stanca, era
vagamente preoccupata. Nonostante non sapesse bene il perché. Ripensava ad
una frase dettale da suo padre poco tempo prima.
Oggi si compirà il mio destino.
Chiuse gli occhi.
“Come stai, Nadia?”
“Bene.”
“Non sembrerebbe. Sei stanca?”
“Non ha importanza.”
“Certo che ne ha. Per me. Sono tuo padre.”
Dallo sguardo di lei non trasparì alcuna emozione.
Mbomani si voltò, nel vasto abitacolo della jeep. Guardava l’uomo con
malcelata ironia.
***
Sebbene non la vedesse da molto, la riconobbe subito. Appena intrufolatosi
in casa, aveva trovato nascondiglio dietro la tenda del finestrone che
dava sul corridoio, e lì, nascosto al buio, aveva teso l’orecchio. La
prima cosa che sentì fu una porta sbattere, e passi veloci. Nessuna luce
si accese, ma non ebbe dubbi.
“Irina!”
Non lo vide. Si sporse, e la colpì alla testa con il calcio della pistola.
Non potè nascondere un gesto di stizza. Si lanciò fuori.
Lo vide.
Si chinò accanto a lei. La porta di aprì di nuovo.
La vide.
“Vaughn!”
“Sydney.”
Non aveva più fiato in gola, era bagnato, e non troppo sicuro di stare
bene. Ma sorrideva: in quell’abbraccio sciolse tutta la sua paura. Non si
era sbagliato. Desiderò che quel momento non finisse mai.
“Vaughn... come hai fatto a trovarmi?”
“Stai bene?”
“Sì. Sei fradicio.”
“Il clima irlandese non é un granché.”
“Non...”
“Sydney!”
“Agente Bristow.”
Vide la sua ex moglie stesa a terra.
“Ben fatto, agente Vaughn. Aiutatemi a portarla di là.”
“Papà, non...”
“Non le farò nulla, Sydney. Ma come vedi, avevo ragione.”
“Uno, due, tre... forza!”
“Si sta riprendendo. Adagiamola lì, sul divano.”
“Va bene, é scappata. Ma avrei fatto lo stesso anche io, se mio marito
avesse voluto uccidermi.”
“Non siamo più sposati.”
Si tocco la fronte, e mostrò la mano insanguinata a sua figlia.
Lei fece spallucce. “Siamo pari. Ho ancora mal di testa da ieri mattina.”
“Non sono stato io a colpirti, Sydney.”
I suoi occhi non poterono celare la sua sorpresa.
Vaughn la condusse fuori dalla stanza. “Sydney, chi é Talja Dreznev?”
“Talja...? Non lo so, Vaughn. Perché?”
“E’ entrata in quella banca, dopo di te. Ha prelavato il contenuto della
cassetta di sicurezza.”
“Cosa?”
“Ed era stata lei a depositarlo.”
“Talja Dreznev.....”
“E’ un alias, sicuramente. Dobbiamo scoprire chi c’é dietro.”
“Katja Derevko.”
“Mamma!“
“Bel colpo, agente Vaughn.”
“Signora Derevko...”
“Mamma, cosa vuol dire?”
“Tua zia; é stata lei. Tua padre ti ha trovata nel suo rifugio di Oslo, e
poi ti ha condotta qui.”
“Ma...”
“Basta, adesso. Dobbiamo andarcene da qui. Sloane sta arrivando.”
“Sì, tuo padre ha ragione. Rinvieremo le spiegazioni ad un altro momento.”
“No. Non ho paura di Sloane. Voglio sapere la verità, una volta per
tutte.”
“Sydney...”
“Vaughn, no.”
Volse lo sguardo su sua madre, attendendo.
Udirono il rumore di un’auto.
“E’ Sloane.”
“Accidenti!”
Jack si avviò all’entrata. Ma la porta si aprì da sé.
“Jack. Che piacere vederti di nuovo.”
“Non posso dire lo stesso, Arvin.”
“In verità, credo che questa sia l’ultima volta.”
“Dov’é Julia?”
“Signor Mbomani.”
“Irina.”
Andò incontro a sua madre. Sydney lo guardò. Lo aveva visto poche volte...
come agente Bristow. Ma da Julia Thorne... davvero non sapeva. Eppure lui
sembrava conoscerla benissimo.
“Julia...”
Le si avvicinò, sorridendo.
Vaughn non trattenne un gesto di impazienza. Pensò rapidamente.
“... finalmente!”
“Lontano da mia figlia! Arvin, non si fa nulla. Lei non verrà con te.”
“Jack...”
“No.” Si avvicinò a Sydney, frapponendosi tra lei e Sloane.
“Jack, noi avevamo un patto.”
“Non m’interessa. E io non faccio patti con uno come te.”
“Irina, che succede?”
“Ora basta.” sbottò Sydney. Era ora di finirla. “Si tratta di me. Potrò
decidere io cosa fare?”
“Sydney, che dici?”
“Dico che non sono una bambina sotto la tua tutela, papà. Non puoi
disporre della mia vita.”
“Jack, Sydney ha ragione.”
Scosse il capo, in segno di diniego.
“Non spetta a noi stabilire cosa é meglio per lei. E’ la sua vita. E’ una
sua decisione, come agire.”
Agì. Si portò dietro il grosso uomo di colore e lo spinse con forza verso
una sedia, che si spostò davanto a lui, facendolo cadere.
Abbrancò Sloane con un braccio, facendolo voltare. Poi gli sferrò un
colpo.
“Vaughn!”
“Sydney, vieni con me.”
La portò velocemente fuori. Non pioveva più, ma l’aria fuori era gelida.
Correvano attraverso la boscaglia verso la strada. Vaughn la trascinava di
peso, finché lei non trovò la forza di divincolarsi, fermandosi. Sidney si
allontanò da lui.
“Vaughn! Che ti é preso?”
“Sydney...”
“Sei impazzito?”
“Non vorrai mica andare davvero con quei matti?”
“E’ una decisione che spetta a me.”
“E a me non pensi?”
La sua domanda era inequivocabile. Tuttavia, lei finse di non capire.
Michael si spazientì. “Oh, andiamo Sydney!”
“Vaughn...”
“Sydney, ascolta. Non so se tutta questa storia della profezia sia vera o
no, e non m’interessa saperlo. So soltanto che quell’uomo é un pazzo, e
qualunque cosa accada dopo che avrà trovato questa… Sfera della Vita, o
comunque si chiami quello che sta cercando, non é escluso che potrebbe
farti del male. E non posso permetterlo.”
Lo fissò, e quello che vide la placò. La sua voce perse ogni nota acuta.
“Sydney, io ti amo. Non capisci? Non posso perderti.”
“Vaughn, sei tu che non capisci. Io... devo sapere. Forse tutta la mia
vita dipenderà da quello che scoprirò stasera; ci sono dentro da troppo
tempo per rinunciare adesso, a un passo dalla verità. Ho perso due anni
della mia vita: voglio almeno sapere perché. Non posso abbandonare la
partita.”
“Sì che puoi, Sydney.”
“No, invece. E’ troppo importante per me.”
“Più importante di…? Tu non hai bisogno di questo.”
“Ho bisogno di sapere chi sono davvero.”
“Chi sei? Sei... la persona più fantastica che abbia mai conosciuto, la
più incredibile che mai... che mai abbia amato. E non hai bisogno di
sapere altro. Credimi: non esiste altra Sydney.”
Silenzio.
“Scegli me. Vieni via con me.”
“E dove?”
Non aveva bisogno di scegliere. Era quello che aveva sempre voluto. Un
posto dove restare con lui, per una vita o più, come si erano detti in una
notte della loro lontana felicità. I suoi occhi gli dissero che sì, lo
avrebbe seguito. Dovunque sarebbe andato, qualunque cosa avesse fatto.
Perché ciò che la legava a lui era capace di andare oltre qualunque cosa.
E Vaughn lo sentì. Ancora, desiderò che il tempo si fermasse. In quel
momento in cui fu certo del loro amore. Senza fine.
Le tese la mano, gli occhi illuminati, mentre la porta del cottage si
spalancava rumorosamente. “Dovunque tu voglia. Adesso...”
Il rumore di una brusca frenata lo interruppe. Si voltarono all’unisono.
Dall’auto, ferma accanto a loro, Nadia li incitò salire.
“Forza, sbrigatevi!”
Sembrava un sogno. Sydney lo baciò, e fu come un lampo. Ora non sentiva
più il freddo; non sentiva più nulla. Vagò con la mente per un angolo
sperduto di cielo, dove sarebbe potuto finalmente restare con lei, per una
vita o più... ma il freddo tornò. Sydney gli prese una mano, e se la portò
sulle labbra, con una strana espressione sul viso. Subito dopo un’auto
sfrecciava via, lontano da lui, mentre gli occhi con i quali vedeva lo
guardavano da un finestrino appannato; e cadeva a terra con lui l’ultimo
dei suoi sogni, mentre il freddo tornava, in una lacrima che gli rigava il
viso, e un’altra che gli si asciugava in mano.
“Nadia!”
Ma erano già lontane.
“Sydney era con lei?”
“Sì. Irina, dobbiamo raggiungerle subito. Dove possiamo trovare una
macchina?”
“Nel garage...”
“Presto, allora!”
Iniziavano ad esagerare. Prima sua figlia, poi Irina. Le donne della sua
vita erano davvero terribili, si disse. Ma non aveva tempo per sorridere.
Si sciacquò le mani, che rimasero comunque insanguinate. Scosse con forza
la testa ancora dolorante, e corse in garage.
“Jack, fermati!”
Teneva il cofano sollevato con un braccio, la testa nascosta. Tranciò il
cavo di netto.
Troppo tardi. Jack la stupì ancora una volta. Si era ripreso subito, ed
era anche sfuggito a Mbomani. L’auto era ormai inservibile. Sydney e Nadia
imprendibili.
Tutto perduto.
Il garage era saturo dell’odore forte del cherosene. Ma a questo pensò
troppo tardi.
“Bon voyage, mon ami.” Il suo sguardo fu per Sloane.
Lasciò cadere il fiammifero.
***
Non avrebbe mai capito. Non l’avrebbe mai perdonata. Sapeva che questo
l’avrebbe perseguitata tutta la vita. Ma scacciò subito quel pensiero,
rivolgendosi a sua sorella, alla guida dell’auto che le avrebbe portate
verso il loro destino.
“E’ vero che eri stata incaricata di uccidermi?”
Nadia si voltò. “Sì.” disse tranquillamente “ma non sapevo fossi mia
sorella.”
“Quando lo hai saputo?”
“Me lo hai detto tu”. Sorrise, non riuscendo a celare la sua mestizia.
“Cosa c’è?”
“Ho paura.”
Semplicemente.
“Anch’io.”
Durante quel viaggio non avrebbero più parlato.
***
“Si alzi, agente Vaughn.”
Non aprì neanche gli occhi. Si era di nuovo messo a piovere, ma non se ne
sarebbe accorto, se quella voce non lo avesse disturbato.
“Forza, in piedi!”
Non sentiva. Poi la riconobbe. Si tirò su, senza rialzarsi.
“Talja…Talja Dreznev!” disse con ironia “a cosa devo l’onore?”
“A Sydney.”
I suoi occhi si scurirono.
“Andiamo, se vuole rivederla.”
“E’ lei che non vuole rivedere me.”
“Non dica sciocchezze.”
“Ma insomma, perché non mi lascia in pace?”
Tirò fuori la sua automatica. “Ho bisogno della sua macchina. Non mi
faccia perdere tempo.”
Vaughn scoppiò a ridere. “Oh, spari pure, senza problemi. Tanto ormai…”
“Sarebbe facile. Ma non è a lei che sparerò.”
Vaughn si drizzò in piedi, confuso.
Katja scoprì le su carte. “La troverò. Forse non oggi, ma lo troverò
comunque, e la ucciderò.” Attese che le sue parole facessero effetto.
“Andiamo?”
Restò zitto e immobile. Ma i suoi occhi parlarono per lui.
“Non faccia scherzi. Non riuscirà a disarmarmi. E neanche a prendere la
sua pistola.”
“Lasciala stare!”
Gliela avrebbe fatta pagare. Si gettò verso di lei.
Partì un colpo.
Vide solo fiamme e fumo. Arvin era sparito, e Jack anche. Non riusciva che
a pensare a lui. Anche adesso, che la vita la abbandonava, e il suo cuore
vacillava, e le sue gambe cedevano, e il suo respiro si fermava, Jack…
“Jack!”
Non vedeva nulla. Il fumo era dappertutto, comunque trovò facilmente la
porta. Presto le fiamme sarebbero arrivate all’auto. Doveva sbrigarsi. Per
un attimo pensò di aver fatto la cosa sbagliata, e già si consumava in lui
l’angoscia, e il rimorso; forse per la prima volta ebbe un tentennamento…
Non ci pensò più.
Tornò indietro. Correva, facendosi scudo con la mano, chiamandola.
“Irina!”
La sollevò di peso, e la portò fuori di lì.
La prima cosa che vide all'esterno fu Arvin Sloane. Aveva il volto
tumefatto, con lividi che andavano disegnandosi sulla sua pelle rugosa.
Quando le fiamme erano divampate si era gettato a terra, ed era stato
colpito dagli scaffali che bruciando erano precipitati. Era ancora a
terra, fermo; e stringeva in mano una pistola.
Non una parola. Solo quello sguardo.
Udì uno sparo.
Poi svenne.
***
L’auto si fermò, neanche mezz’ora dopo.
“Siamo arrivate?”
“Sì.”
“Dove…?”
“Seguimi.”
Scesero dall’auto, parcheggiata dietro una grossa siepe. Si inoltrarono in
una desolata radura. Camminarono a fianco per un breve tratto. Poi sua
sorella si fermò. Sydney vide solo un piccolo spiazzo erboso, odoroso
della recente pioggia, che affacciava su uno scoscendimento impervio, e un
masso, poco più alto di un metro, posto nelle vicinanze del margine. Non
capì.
“Tutto qui?”
Nadia annuì. Si avviò a passo sicuro verso la roccia, si inginocchiò e
rimosse due o tre piccoli blocchi di pietra, rivelando così una minuscola
nicchia interna.
Vi introdusse la mano e subito ne estrasse un globo, grande poco meno di
un pugno.
“Vieni qui, Sydney.”
***
La mancò. Si era girata per vedere da dove provenisse lo sparo, evitando
il suo colpo.
“No, no, agente Vaughn. E dire che l’avevo avvertita.”
Vaughn si vide costretto a fare buon viso a cattivo gioco.
“OK, OK, ha vinto. Andiamo.”
“No. Mi dia le chiavi.”
“Non le ho. Sono rimaste in casa.”
“Non menta. E badi: la mia pazienza non è infinita.”
“E’ la verità.”
“Se arriviamo troppo tardi, perderà Sydney per sempre. E ha ancora bisogno
di lei.”
“Perché dovrei crederle?”
“Per lo stesso motivo per cui io non le credo.”
Non poté celare un sorriso.
“Andiamo.”
Estrasse dal taschino le chiavi e iniziò a correre verso la sua auto.
Katja Derevko lo seguì.
***
Riaprì gli occhi poco dopo. E lo vide.
“Jack!”
“Come stai?”
“Arvin... Jack, ti ha colpito?”
“No. Come ti senti?”
“Bene, ma…”
“Andiamo, adesso.”
L’auto che Jack aveva noleggiato era parcheggiata appena oltre.
Si alzò in piedi, appoggiandosi lui. Lo fissò. “Jack… perché?”
Lo sguardo di lui vacillò… “Sydney non me l’avrebbe mai perdonato…”
… Poi tornò su di lei. “… e io non me lo sarei mai perdonato.”
Irina sorrise, stringendo il suo braccio.
***
“E’ questa la… Sfera della Vita?”
“Sì.”
La prese in mano, delicatamente. Era lucida, leggera, composta da due
emisferi che combaciavano perfettamente.
“Da quanto tempo ce l’hai tu?”
“Da sempre.”
“Non capisco.”
“Un giorno di molti anni fa, compiuti i diciotto anni, lasciai
l’orfanotrofio. Quel giorno mi era arrivata una lettera. Mi si diceva che
avrei avuto una casa tutta per me, e soldi per studiare e vivere, finché
non avessi trovato un lavoro, o finché avessi voluto.”
“Di chi era quella lettera?”
“Non l’ho mai saputo. Da allora me ne arrivarono molte altre.”
Guardava un punto imprecisato oltre di lei; Sydney si voltò da quella
parte.
“Quella laggiù, è la mia casa.”
A poca distanza da lì, sorgeva una minuscola baita.
“Sei sempre stata lì, da sola?”
“Sì. Non era male. Quando arrivai, trovai la sfera di Rambaldi, e un’altra
lettera. Potevo fare quello che volevo, a patto di conservarla
gelosamente. Non capivo, ovviamente. Ma lo feci. Ed eccola qui.”
“E quando hai scoperto la verità?”
“Mentre frequentavo l’Università, venni reclutata dall’SD6…”
A Sydney mancò il fiato.
“… e conobbi ovviamente tutta la storia di Rambaldi. Il mio capo era
Sloane.”
“E non lo hai mai conosciuto? Come è possibile?”
“Mi trasferirono in Argentina quasi subito. Quello per me era solo un nome
come tanti. Di certo non avrei mai creduto che fosse… mio padre.”
Il cervello di Sydney cominciò a mandare strani segnali. Ma lei non fece
un piega.
“Sapevi… sapevi di cosa si occupava l’SD6?”
“Sulle prime no. Credevo fosse una sottosezione della CIA… come te. Non
fare quella faccia, Sydney. Sì, proprio come te.”
“E poi?”
“Le lettere smisero di arrivare.”
Non riusciva a capire. Le sfuggiva il senso di ciò che sentiva.
“Ma cosa c’era in quelle lettere?”
“Consigli, suggerimenti… sapevano tutto quello che facevo. E mi davano il
loro parere. Era l’unica compagnia che avessi. Qualcuno si prendeva cura
di me.”
“E tu rispondevi?”
“No. Non potevo. E per quanto abbia tentato, non sono mai riuscita a
scoprire chi le spedisse.”
“Sapevano che eri un’agente.”
“Sì, certo. L’ultima lettera mi mise a conoscenza del fatto che non ero
un’agente della CIA, bensì di un gruppo di terroristi. C’erano anche le
prove.”
“E cosa hai fatto?”
“Sono rimasta lì.”
Si voltò verso Sydney.
***
“Come facciamo a trovarle?”
“La macchina ha un segnalatore nascosto nel bagagliaio.”
“E lei come fa a saperlo?”
“Ce l’ho messo io. Non sarà difficile raggiungerle.”
Lo guardò. Ma Vaughn pensava ad altro.
***
“Lascia guidare me.”
“Lo hai sempre saputo, vero?”
“A cosa ti riferisci, Jack?”
“A tua figlia.”
“Sì. Avrei voluto dirtelo, molto tempo fa, ma non ero sicura mi avresti
ascoltato.”
“Adesso puoi esserlo.”
“Sì?”
“Sì.”
“La Sfera è stato il primo manufatto di Rambaldi che ho trovato. Per caso,
quasi. Non sapevo nulla di lui, o delle sue profezie.”
“E dov’è, adesso?”
“Non lo so. Poco tempo dopo, era sparita. Forse un ladro, o chissà chi.
Non l’ho mai scoperto.”
“Ma se è così… l’equazione di Rambaldi rivelerebbe il punto in cui l’hai
rinvenuta, non il punto in cui si trova adesso.”
“No, Jack. La sua ubicazione è identificata dal Passeggero… ovunque essa
sia. Nadia l’avrebbe trovata comunque.”
“Va bene. Ma cosa succederà, adesso? Sydney e Vaughn sono spariti, e anche
Nadia. Se trovano la sfera…”
“L’hanno già trovata, Jack.”
“Come fai a saperlo?”
“Siamo insieme.” Conosceva Sydney.
“Sì… ma non capisco. Dov’è che stiamo andando?”
“Da nostra figlia.”
***
Era ormai notte. Ma la luna era piena. Sydney distingueva chiaramente il
volto di sua sorella.
“Ti starai chiedendo perché, vero?”
“Infatti.”
“Non lo so. E’ stata una decisione che ho preso da me. E non me ne sono
pentita. Si può dire che sono presa da mio padre…”
“E poi?”
“Dovevo ucciderti. Per aver distrutto l’SD6.”
“Ma avevano scoperto che io ero la Prescelta. Così, ti hanno fatto
arrestare.”
“Sai chi è stato?”
“Mia… nostra madre. E Sloane. L’ho saputo oggi.”
Nadia non tradì alcuna emozione.
“Suona bene, però. Grazie mamma, grazie papà.”
“Non siamo state troppo fortunate, in questo campo.”
“Già.”
“Quando hai iniziato a lavorare per la Convenzione?”
“Eh? Ma… mai, veramente.”
“Cosa?”
“E’ la verità. Non sapevo neanche della sua esistenza. Ho saputo tutto,
sulla Convenzione, e la mamma, e le profezie di Rambaldi, quel giorno che
tu sei venuta a liberarmi. E’ stato un mio vecchio contatto a raccontarmi
tutto. Era stato sempre lui a suggerirmi di non scappare da lì. Certo, io
credevo fosse ancora fedele a Sloane. Non sapevo che lui fosse diventato…
un filantropo. Salvo poi usarmi, per trovare la sfera.”
“Ma…”
“Che c’è, Sydney?”
“Qual’è il nome del tuo contatto?”
“Era una donna. Bassina, bella, capelli corti. Aveva un accento russo…”
“… si chiamava Talja Dreznev.”
“Esatto! Come fai a saperlo?”
***
“Siamo arrivati. Vede l’auto, agente Vaughn?”
“No. Ma accosti pure, dev’essere qui vicino.”
“Si è fatto tardi.”
“Già.”
Vaughn scese, e si avviò verso la boscaglia. Katja non lo seguì.
Non sapeva esattamente quello che avrebbe fatto quando l’avesse trovata.
Ma doveva farlo, doveva rivederla, lei e i suoi occhi… e glielo avrebbe
richiesto. Voleva darle una seconda possibilità, quella che le aveva
negato due anni prima.
***
Tutto le era chiaro, finalmente. La sorella di sua madre, Katja Derevko,
sapeva tutto. Di Nadia, e di lei. E anche della profezia, della sfera,
della Prescelta e del Passeggero; era dunque anche lei interna alla
Convenzione, insieme a Lauren Reed… Ma ancora non capiva perché... Nadia
interruppe il flusso dei suoi pensieri.
“Ho depistato la CIA, la Convenzione, e infine anche mio padre, quando ho
scoperto che l’equazione di Rambaldi portava qui. Ho capito che la Sfera
della Vita l’avevo sempre avuta io.”
“Nadia, tu sai cosa accadrà?”
”No. Ma qualunque cosa accada, voglio che ci sia solo tu con me.”
“Perché?”
“Ho studiato a lungo Rambaldi. La sua vita, le sue opere, i manufatti, le
profezie… e ho studiato anche te.”
“Cosa?”
“Ho letto il dossier S.A.B. 47. Lo ha scritto mio padre in tutti questi
anni.”
“Lo so, ma…”
“Mi sono sempre chiesta, quando venivo quassù, cosa significasse avere
qualcuno, anche solo con cui parlare. Avere una famiglia, e non essere
sola. All’improvviso ho saputo di voi. Mia madre, un’ex-spia del KGB; mio
padre… non saprei definirlo, un fanatico, forse. E mia sorella…”
La guardò lungamente, con un’infinita pena negli occhi. “… quella che ho
sempre sognato di avere. So tutto di te, Sydney. So quante ne hai passate,
e con quanta forza ne sei sempre uscita. Tutto quello per cui hai lottato,
ci ha unite qui, adesso. Tutto questo tempo… non è stato perso. Adesso
siamo qui, insieme. Finalmente.”
Sydney le si avvicinò, e la strinse forte. Piansero.
***
Jack si guardò intorno. “Dove siamo?”
“Qui abitava Nadia.”
“Credi davvero che siano qui?”
“Sì. Katja ed io le comprammo questa casa, quando compì i diciotto anni.”
Aveva tradito anche sua sorella. Ma le sue figlie erano più importanti di
tutto.
Aveva tradito anche sua sorella. Per essere lì con lui, e le sue figlie. E
lui aveva tradito lei. Aveva sbagliato? Decise di sì.
“Irina, dimmi la verità.”
“Jack…”
“Cosa c’è nella sfera?”
“La Sfera della Vita rappresenta l’essenza… non già quella di Rambaldi
stesso… ma la mia. Della persona che avrebbe dovuto scegliere.”
“Scegliere cosa?”
“Tra la Prescelta, e…”
“E’ Vaughn!”
***
Ad un tratto vide un’auto. Era buio, ma riconobbe Jack Bristow e Irina
Derevko. Come avevano fatto ad arrivare lì? Era certo che nessuno li aveva
seguiti. Si avviò verso di loro. Jack lo vide, e scese dalla macchina.
“Vaughn, dov’è Sydney?”
“Non era con me. E’ scappata con Nadia.”
Irina si avvicinò ai due uomini.
“Come è arrivato qui?”
“Con Katja. L’auto di Sloane aveva un rilevatore nascosto…”
No! Li lasciò lì, sparendo nel buio. Katja. Doveva aver scoperto tutto.
Rifletté in fretta: la Convenzione, Lauren Reed e sua madre… era Katja il
loro informatore. Anche lei l’aveva tradita. Erano davvero sorelle.
“Ma che succede?”
Jack capì. Le due sorelle combatteranno, e nessuna delle due avrà la
meglio.
“Mi segua, Vaughn. Veloce!”
Si lanciarono all’inseguimento di Irina.
***
Non era come pensava. Non avrebbero combattuto. Nulla sarebbe successo,
perché non avrebbe aperto la Sfera. Forse l’avrebbe distrutta, portando
Nadia via con sé. A Sloane avrebbe pensato poi. E Vaughn…
Avanzava cautamente. Finalmente le intravide. Prese in mano la pistola.
Non capiva. Ma sapeva che Sydney era in pericolo. La faccia di Irina era
stata fin troppo chiara. “Jack, che succede?”
“Dobbiamo fermare Katja Derevko.”
“Ma perché? Cosa c’entra lei con Sydney?”
“La ucciderà.”
Le vide strette in quell’abbraccio. E il cuore si fermò.
Il suo secondo pensiero fu per Vaughn. Doveva trovarlo.
“Vieni, andiamo via di qui.”
“E la sfera?”
“La distruggerò.”
“Non puoi farlo.”
“Ha ragione, Sydney. Non puoi farlo.”
Talja, anzi Katja, avanzava verso di loro, con la pistola in mano.
“Sì che posso.” La prese tra le mani.
“Se lo farai, tua madre morirà.”
“Non ti credo.”
“E’ vero, Sydney.”
“Mamma!”
“Irina…”
“Sorpresa di vedermi viva, Katja?”
“Devo dire la verità. Jack mi ha illuso molto bene.”
“Non è così. Ha davvero cercato di… liquidarmi.”
“Eppure sei qui.”
“Sì, sono qui. Puoi uccidermi, ora.”
“Mamma, no!”
“Nadia, Sydney…” guardò le sue due figlie, finalmente insieme, e decise.
“Avanti, Katja. Fallo.”
“No!” Jack si lanciò verso di lei. Ma Irina lo bloccò. “Jack…”
“Hai detto che devi scegliere.”
“E’ vero. Ma non posso dividere Sydney e Nadia.”
“Cosa significa?”
“Sydney, la Sfera rappresenta l’essenza di tua madre, non quella di
Rambaldi. E’ lei che ha raccolto la sua eredità. Tu sei la Prescelta, è
vero, e solo tu puoi aprirla, ma quello che succederà dopo... ”
“Non…”
“Sloane credeva che la Sfera contenesse lo spirito di Rambaldi, e che
questo lo avrebbe reso immortale, o quanto meno immensamente potente. In
verità, la Sfera è mossa dalle due grandi forze dell’amore e dell’odio.”
“Sydney, aprila.”
“Perché, Katja?”
Le puntò contro la pistola. “Perché sceglierà te. Avanti, aprila!”
“E cosa succederà?”
“Sydney, scegliendo te, sacrificherò me stessa. La Sfera sprigionerà la
forza dell’amore, che mi annienterà. Se scegliessi me, il mio atto di
egoismo libererebbe quella dell’odio, e saresti tu a morire.”
Sydney si rivolse verso Katja. “E tu che ci guadagni?”
“Molti anni fa… esattamente 47 anni fa, quando io e tua madre eravamo
molto piccole, nostro padre morì, ucciso da un’agente della CIA. Io mi
trovavo con lui, quando morì. Gli ero molto legata, e giurai che avrei
trovato i responsabili, un giorno. Ma non ci sono mai riuscita.”
“Katja…”
“Sì, Irina. E’ per questo che sono diventata un’agente. Per odio. La Sfera
libererà il suo amore, e l’odio rimasto mi renderà immensamente potente.
Sloane aveva ragione: una pagina del diario di Rambaldi parla di questo.
Potrò finalmente scoprire chi ha ucciso nostro padre. Tu non sapevi quale
fosse la sua importanza, a quel tempo, quindi la trafugai, dandola a Nadia
affinché la custodisse. Non potevo aprirla. Non sapevo ancora della
profezia.”
“Eri tu… ?”
“Sì, Nadia. Ti sono sempre stata accanto, in tutti questi anni.”
Vaughn era rimasto un po’ in disparte. Neanche Sydney lo aveva visto.
Aveva seguito tutta la discussione senza aprir bocca.
“Ora che sai tutto, Sydney…” Katja si voltò verso di lei “… apri la Sfera,
e lascia che il destino si compia. Avrai sempre tua sorella, e tuo padre
accanto. E anche il tuo uomo.”
Sydney girò gli occhi intorno, e lo vide di nuovo. Ora i suoi occhi erano
di nuovo nei suoi. Non li distolse. “Uccidimi.”
Vaughn scattò. “Sydney, no!”
“Non la aprirò mai. Spara.” Stava ancora guardandolo.
“Sydney!”
“Papà… neanche tu sei stato capace di ucciderla. Non sarò io a farlo.”
Sentì il suo respiro venir meno. Capì subito. Il braccio di Nadia era
stretto intorno alla sua gola.
“Lui non ti ucciderà mai. Ma lo farò io.”
“Nadia…” riuscì a dire “… è nostra madre.”
“Non è mai stata una madre. Per nessuna di noi due. Apri quella Sfera.”
“No!”
Sydney le tirò un calcio, e fu libera. La Sfera cadde a terra.
Le due sorelle combatteranno. E nessuna delle due avrà la meglio.
Era folle. Non avrebbe mai sparato. Mille pensieri percorsero la sua
mente. E a un tratto ricordò. Dreznev.
“E’ stato mio padre.”
Tutti si voltarono verso di lui. Si rivolse a Katja. “E’stato mio padre.
William Vaughn. Ho trovato il rapporto dell’uccisione di Nikolai Dreznev…
tuo padre.”
“Quello era il suo alias.”
“Tua sorella lo ha già vendicato. Lo ha ucciso quando avevo otto anni.”
“E’ la verità, Katja.”
Si fermarono. La profezia si era avverata.
“E’ inutile combattere, Nadia.”
“Hai ragione. Nessuno morirà.”
“Neanche nostra madre. Lei non merita di morire.”
“Forse no. Ma morirà comunque.”
Amava da sempre il marito di sua sorella.
“Katja!”
Puntava ad Irina. Sparò.
Vaughn fu più lento di lei. Ma la uccise.
“Papà!”
Jack Bristow era a terra, riverso nel sangue. Irina, illesa, era
inginocchiata accanto a lui. Sydney e Nadia accorsero. Vaughn gli tastò il
polso.
“E’ ancora vivo. Ma bisogna fare in fretta.”
“Presto, carichiamolo in macchina.”
***
Non sapeva da dove cominciare. Né dove finire.
“Vaughn…”
“Non dire nulla, Sydney. Non ce n’è bisogno.”
Si abbracciarono nella notte. Sotto di loro, l’oscurità che la luna non
riusciva ad illuminare.
“Sì, invece. Il motivo per cui Rambaldi costruì la Sfera della Vita era
esaudire l’ultimo desiderio della Prescelta. Una… sorta di premio.
Catalizzato dalle due grandi forze dell’amore e dell’odio.”
“Non ti seguo.”
“Mia madre non sarebbe morta. Perché io non avrei mai aperto la Sfera. Ma
il solo fatto che io l’abbia toccata, ha realizzato la mia volontà.”
“E qual’era, Syd?”
“Non lo sapevo neanche io. E’ per questo che sono andata via con Nadia.
Non è stata una scelta contro di te, perché tu… tu sei tutto quello che
volevo. Ma non sapevo bene cosa sarebbe successo. Non volevo metterti in
pericolo.”
“Se mi avessi ascoltato, ti saresti ingannata. Venire con me non era
quello che volevi.”
“Esatto. Poco fa, ho capito quello che davvero desideravo, da sempre.”
La baciò. E il tempo che trascorse finché non scesero dall’aereo sembrò
senza fine.
“Avere accanto le persone che amo.”
“…And don’t fool
yourself. This life could be the last...”
La luna si spense, proprio mentre un
luccichio smarrito nell’erba le faceva l’occhiolino.
NOTA DELL’AUTRICE
Ho deciso di cimentarmi nella scrittura di una fanfiction per combattere
il fato avverso che mi ha privato degli ultimi minuti dell’ultima puntata
della stagione; come a dire: “Sono io l’artefice del mio finale, tié! E
pure della mia continuazione... e già che ci sono, della nuova serie.” Ciò
premesso, credo che senza aver letto le opere degli altri fans non sarei
potuta andare oltre la canzone di apertura (“Exit music” dei Radiohead,
ndr); alcune di esse sono davvero notevoli (mi riferisco soprattutto a
quelle di JADE, NEVERIN e PAN_Z), e mi spiace non avere mai tempo per
forumeggiare e conoscervi tutti. Comunque siete invitati a partecipare al
festival della psicolabilità, scrivendomi, per dirmi cosa ne pensate, o
chiedermi delucidazioni. Spero vi sia piaciuto: in più parti ho cercato di
mettere in evidenza le scene più importanti, rappresentandole dal punto di
vista dei diretti interessati.
Colonna sonora del finale della MIA puntata di Alias, un capolavoro come
“Blackout” dei Muse. E mentre scorrono gli immaginari titoli di coda,
“Oxygen” dei JJ72, assieme alle scene del matrimonio di Sydney e Vaughn.
(Vi consiglio l’ascolto di tutte e tre le canzoni.)
Scrivere mi ha preso un po’ di tempo, ma è stata un’ottima opportunità:
l’ossatura di questo raccontino ino ino ino é stato scritta da mezzanotte
alle 10 di mattina. Vabbé che la verità richiede tempo...
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