ALIAS Italia

ALIAS ITALIA

FANFICTION

Scritto da Jade
Riassunto: Seguito di "...alias Lara Derevko". Due anni sono passati da quella missione a Los Angeles, e Lara e Sark ora sono uniti nel lavoro come nella vita privata… ma cosa potrebbe succedere se la strada di Lara si scontrasse di nuovo con quella di Vaughn?

Data di composizione: dal 27 marzo al 17 maggio 2003
Adatto a: tutti

DISCLAIMER
Si ricorda che tutti i diritti del racconto sono di proprietà del sito "Alias Italia – il dossier Sydney Bristow", e che tutti i personaggi della serie "ALIAS" utilizzati sono di proprietà ABC, Bad Robot – Touchstone Television e sono utilizzati senza il permesso degli autori e non a fini di lucro. I personaggi nuovi sono di proprietà dell'autrice

Nota dell'autrice: d’accordo, lo so anch’io che il titolo probabilmente non c’entra molto con la storia, ma questa canzone degli Evanescence contenuta nel loro album d’esordio, ‘Fallen’, è stata anche la mia sola ed unica colonna sonora mentre scrivevo questo racconto. Mi sembrava doveroso un piccolo tributo…

Bring me to life

Nella notte di Taipei risuonò un boato, seguito da una grande esplosione. L’evento aveva avuto luogo nel sotterraneo del palazzo, ma la reazione a catena era stata tale che aveva coinvolto anche gli altri piani, distruggendo l’intero edificio.
Sark, dal tetto di un altro palazzo, osservò la scena con un binocolo, estremamente soddisfatto. La CIA non avrebbe potuto far altro che mangiarsi le mani, ma il risultato finale era che loro avevano ottenuto le informazioni, e gli altri no.
Loro. Gli piaceva il suono di quella parola.
“Ti è piaciuto?”
“Incredibile” mormorò Lara, mettendo in borsa il proprio paio di binocoli. Poi si avvicinò, togliendo di mano a Sark i suoi e poi baciandolo. “Se me lo fossi perso non credo me lo sarei perdonato.”
“Derevko e Sark 1, CIA 0.”

Sark era stata la prima faccia che Lara aveva visto una volta finiti i due mesi di reclusione. Quando la porta si era aperta e lo aveva visto lì di fronte a lei, d’istinto lo aveva abbracciato, felice di non essere sola. Non si aspettava che lui ricambiasse il gesto, almeno non come fece. La strinse tanto forte che Lara ebbe paura le rompesse qualche costola, come se fosse l’unico appiglio a cui potesse aggrapparsi. Sciogliendosi dall’abbraccio lo aveva interrogato con gli occhi, ed era stato in quel fondo di tristezza nei suoi occhi che trovò la risposta.
Si era sempre domandata perché Mary non fosse mai venuta a trovarla in quei due mesi di prigionia al limite dell’isolamento, ma si era detta che probabilmente aveva ricevuto una promozione e che forse si trovava a Taipei, a dirigere il reparto tattico del nuovo centro di comando come meritava. Non avrebbe mai pensato che la sua amica in realtà fosse morta. Morta durante il suo periodo di custodia da parte della CIA, e lei lo scopriva solo in quel momento. Ricordava che una volta a casa aveva pianto fino a addormentarsi dallo sfinimento, e per tre giorni era rimasta sul letto, senza bere o mangiare, fissando il soffitto. Mary era stata come una sorella, l’amica che l’aveva aiutata ogni volta che cadeva durante un incidente di percorso… e ora la casa che dividevano sembrava così grande e vuota senza di lei. Era stato Sark a trovarla in quello stato catatonico. Le aveva mollato uno schiaffo talmente forte che l’aveva fatta cadere a terra, e afferrandola per le braccia le aveva ricordato a chiare lettere che non era l’unica a soffrire. Da quel dolore comune era nato un legame, che rapidamente era passato da amicizia ad amore. Mary ne sarebbe stata felice: non era un mistero che sperava che la sua migliore amica e il suo fratellone decidessero di mettersi insieme.
Si erano presi del tempo fuori dell’agenzia, dove non avevano fatto altro che parlare di loro e vivere nell’illusione di essere solo Lara e Andrew, e non un sicario e un’operativa di un’organizzazione terroristica. Quando il mondo esterno fece breccia nel loro mondo sotto forma di una telefonata di Irina da Taipei, fecero i loro bagagli e partirono. Ancora non avevano deciso se era il caso di nascondere la loro relazione o no, ma una volta sul luogo decisero che il problema non si poneva. Irina era il capo indiscusso, Khasinau non era più neanche un ricordo, e Lara e Sark non avevano nulla da temere mostrando apertamente il loro legame. Lara dopo il suo periodo di punizione era stata reintegrata completamente nel suo status, e aveva ripreso la sua ricerca su Rambaldi che fino a quel momento era andata abbastanza a rilento. A volte però non disdegnava qualche missione di sabotaggio insieme al suo fidanzato, ed allora nessuno riusciva a fermarli. Proprio come quella notte.

“Abbiamo altro da fare, stasera?”
“Qualche idea?” sorrise Lara, ancora tra le braccia di Andrew.
“Io, te, casa mia, una bottiglia di vino…”
“Andrew Steven Sark, non starai cercando di sedurmi?”
“Veramente quello lo avevo messo in programma dopo la bottiglia di vino, ma se insisti potrei anche metterlo prima...”
Lo squillo del cellulare di Lara interruppe l’atmosfera creatasi tra loro. Lara stralunò gli occhi e rispose. Si trattava di sua madre.
“Ciao mamma, che c’è?”
“Che c’è? Ho interrotto qualcosa forse?”
Era strano come tutto tra loro era ripreso come se nulla fosse successo. Forse a qualcuno poteva essere sembrato un atto crudele il far imprigionare la propria figlia dopo che quest’ultima era stata sul punto di essere uccisa, ma il mantenere il comando di un’organizzazione come quella era un gioco politico e di alleanze che si facevano e disfacevano con facilità estrema, e che potevano determinare la prosperità o la fine del suo impero. Non fare niente sarebbe stata la sua fine, e Lara lo aveva sempre saputo. In questo modo aveva dimostrato chiaramente che la sua legge era valida per tutti. Perfino per la sua stessa figlia.
“Mi avvalgo del diritto di non rispondere.”
“D’accordo. Comunque dì a Sark che l’operazione è andata a buon fine. La vostra squadra di appoggio ha catturato un paio di agenti CIA che avevano cercato di fermarci. Sarà utile interrogarli…puoi dire a Sark di occuparsene subito?”
“D’accordo…”
Lara chiuse la chiamata, e disse ad Andrew che il loro programma era appena saltato.
“Mia madre vorrebbe che tu andassi ad interrogare gli agenti CIA che hanno catturato i nostri.”
“E ‘subito’ era implicito… Ad ogni modo non credo che ci metterò più di tanto. Aspettami a casa e rilassati, vedrai che nel giro di tre, quattro ore sarò da te” sussurrò prendendole il viso tra le mani e sfiorando le sue labbra con un bacio, prima di andarsene.
Lara rimase ancora sul tetto qualche istante, osservando il palazzo che bruciava, poi se ne andò anche lei, diretta al loft di Sark.
Se lui diceva che ci sarebbe voluto poco, ci sarebbe voluto poco. Come dire, il suo fidanzato era estremamente persuasivo quando si trattava di convincere a parlare la gente recalcitrante…

Una volta entrata in casa, mise dentro al lettore un cd di musica, e tirò fuori una bottiglia di vino che mise in fresco. Poi si allungò sul divano e lo aspettò. Ebbe l’impressione di chiudere le palpebre per un secondo, per riposare gli occhi, ma quando li riaprì e controllò l’orologio che portava al polso si rese conto che all’alba mancavano sì e no due ore. Sark doveva aver trovato pane per i suoi denti.
Lara si stiracchiò, e lisciò con le mani la camicia e i pantaloni leggermente spiegazzati. Lentamente camminò verso la cucina, cercando il necessario per prepararsi una tazza di caffè molto forte.
Mentre l’acqua nella caffettiera si scaldava, Lara andò in bagno e cercò di darsi una parvenza di ordine, spazzolando e raccogliendo i capelli sulla nuca, e dando una sistemata al trucco ormai quasi scomparso del tutto. Guardava il riflesso nello specchio, ma evitava di soffermarsi a fissarlo negli occhi. Era una cosa che quasi temeva di fare. Non le piaceva guardare i suoi occhi, e vedere cos’era diventata. Colpa di Gavrilo? Certo, ma non era tutto merito suo. Era stata lei l’artefice del suo destino, quindi se voleva biasimare qualcuno poteva solo biasimare se stessa. Solo ora comprendeva appieno la decisione della madre di tenerla lontana, e quella sorta di dispiacere nel sapere che aveva deciso di fare la sua stessa vita. Era per questo che avrebbe lottato con le unghie e con i denti per evitare che Katarina facesse la sua stessa scelta.
Tornò in cucina giusto in tempo per evitare che il caffè traboccasse, e se ne versò una tazza piena godendosi l’aroma che emanava la bevanda. Il resto lo mise in un thermos e lo mise in borsa prima di uscire. Se poi ad Andrew non sarebbe andato, lei non avrebbe fatto complimenti. Senza la sua dose giornaliera di caffeina era veramente intrattabile.

Com’era diverso ora l’ambiente di lavoro. C’era una sorta di rispetto per lei che prima non c’era, o almeno non era così tangibile. Come d’abitudine, dopo aver controllato che nel suo ufficio fosse tutto in ordine, andò da sua madre. Come al solito, era intenta ad esaminare informazioni al suo computer, e completamente assorta nel suo mondo che quasi non si accorse della presenza di Lara a pochi passi da lei.
“Ci sono problemi?” domandò Lara, sedendosi.
“Temo di sì. Sei già stata da Sark?”
“Stavo per andarlo a cercare. Ma non starà ancora interrogando quei prigionieri?”
“Quel prigioniero. Uno dei due è morto mentre tentava la fuga.”
“Allora sta ancora interrogando quel prigioniero? Complimenti alla CIA, li addestrano bene…”
“Crollerà prima o poi. E ci dirà quello che vogliamo sapere. Ad ogni modo va da Sark e digli di venire da me, dobbiamo discutere di una faccenda importante e dobbiamo esserci tutti e tre.”
Lara annuì ed uscì dall’ufficio, dirigendosi verso quel sottolivello che ormai conosceva fin troppo bene.
“Che cosa posso fare per lei, miss Derevko?” domandò uno degli operativi di guardia. Lara lo riconobbe come uno degli operativi che erano stati reclutati dalle rovine del Direttorio K.
“Devo vedere il signor Sark. In quale cella si trova l’agente CIA che è stato catturato?”
L’operativo si alzò dalla sua scrivania e condusse Lara lungo il corridoio, fino all’ultima cella.
“Grazie.”
Avvicinandosi alla porta, cercò di ascoltare quello che Sark stava dicendo al prigioniero, ma non riusciva a sentire chiaramente le parole. Decise così di usare il suo badge e di entrare nella stanza.
Le bastò uno sguardo per capire che in quelle ore il malcapitato ne doveva aver passato delle belle, e non solo per mano di Sark.
“Vacci piano. Ci serve vivo, dopotutto” disse rivolta a Sark, seduto di fronte all’agente, legato ad una sedia metallica mani e piedi. L’uomo era svenuto, con il volto pieno di ferite e di sangue. Anche gli abiti erano chiazzati di sangue, e Lara indovinò che il resto del corpo non doveva stare meglio della sua faccia.
“Ho cercato di dargli il Penthotal, ma a quanto pare deve aver ingerito un composto di anfetamine che ne contrasta l’effetto. Beh, non durerà in eterno, ci riproveremo più tardi” disse Sark alzandosi in piedi e appoggiando la sedia alla parete. “Volevi dirmi qualcosa, Lara?”
“L’Uomo ci vuole vedere subito” disse lei, cercando di evitare di riferirsi a Irina come sua madre. L’agente poteva anche non essere del tutto privo di conoscenza, meglio non rischiare.
“Sentito, amico?” disse Sark rivolto all’agente, afferrandolo per i capelli per fare in modo di poterlo guardare in faccia. “Devo lasciarti, ma non ti preoccupare, sarò di ritorno molto presto. Pensa alla nostra conversazione, mi raccomando.”
Detto questo uscì dalla stanza. Lara stava per seguirlo, quando sentì una frase che le gelò il sangue.
“Salut, Nadja. Il a passé beaucoup de temps, n’est-ce pas?”
L’agente catturato era Vaughn.

Irina sembrava molto preoccupata quando Lara e Sark fecero il loro ingresso nel suo ufficio, e non cercò di nasconderlo.
“Ho ricevuto un messaggio da uno dei nostri contatti a Los Angeles. Nigel Nottingham è stato trovato ucciso, circa una settimana fa.”
“Una settimana fa e lo veniamo a sapere ora?”
“Non è stato aggredito in casa, ma fuori. Sembrava un tentativo di rapina, e ogni cosa che potesse identificarlo gli è stata portata via, faccia e impronte digitali comprese, che sono state bruciate con l’acido. Lo hanno identificato dalle impronte dentali…”
“E il database è veramente molto ampio” completò Lara. “Questo spiega il ritardo.”
“Inutile dire che non si è trattato di una rapina. Si è trattato di un’esecuzione. Dobbiamo scoprire chi è stato e agire, prima che qualcuno pensi che l’azione è partita da noi.”
“Non capisco, mamma.”
“Ti spiego” disse Sark, rivolto a Lara. “Mentre tu eri a Bali a recuperare quel disegno, io sono andato fuori Los Angeles per incontrare Nottingham. Un’altra asta. Quando l’ho lasciato però era ancora vivo, e non ho visto in giro nessuno.”
“Massima allerta, per tutti e due. Probabilmente saremo messi sotto attacco, ma fino a quando non succederà voglio che tutto continui come prima. C’è pur sempre la speranza di trovare il vero responsabile.”
“Assolutamente.”
“Come procede l’interrogatorio del prigioniero?”
“Continua a negare l’affiliazione alla CIA o a qualsiasi altra agenzia. Forse dovrei lasciarlo nelle abili mani di Yoshigawa… magari con un paio di denti in meno l’amnesia gli passerà.”
Lara dovette fare del suo meglio per rimanere calma. Takeshi Yoshigawa, altrimenti definito Suit and Glasses, quando non lavorava per loro ma per l’FTL l’aveva incatenata ad una sedia e levato un molare con un paio di pinze come se niente fosse, solo perché si rifiutava di dire per chi lavorava. Però quando era scappata si era vendicata, dando al signore un assaggio della sua medicina con una stretta di pinze sotto la cintura. Ora aveva una protesi al posto del dente mancante, ma il ricordo non se ne sarebbe andato tanto facilmente. E Sark voleva usare Yoshigawa con Vaughn…
“Io non credo. Yoshigawa mi ha levato un dente qui a Taipei, e io ho continuato a non parlare. Anzi, sono pure scappata.”
“Un tentativo va fatto comunque. Se non parla neanche con lui, uccidilo.”
Lara distolse lo sguardo. Sark non se ne accorse, e congedatosi da Lara e Irina ritornò al suo lavoro. Lara stava per alzarsi e andare nel suo ufficio, quando Irina la fermò.
“Che cosa ti succede?”
“Ho visto il prigioniero. Certe volte mi domando se ho lo stomaco abbastanza forte per vivere con uno come Sark.”
“Io mi riferivo al modo in cui hai reagito al sentir parlare di Yoshigawa e al fatto che avremmo potuto usarlo con il prigioniero.”
“Yoshigawa non mi piace, e lo vorrei vedere il meno possibile. Questo è quanto.”
“E mi riferivo anche a come hai reagito quando ho detto di ucciderlo. Smettila di mentirmi, Lara, non lo sopporto.”
“Perché dovrei mentire?”
“Chi è quell’agente?”
“Parli come se io lo conoscessi.”
“Non è così?”
“No.”
“Mi sembrava di averti detto che odio che tu mi menta.”
“Ho solo espresso il mio disappunto nel sapere che un altro essere umano finisca in mano a quel sadico! Ci sono passata anch’io, ed è una cosa che non auguro neanche al mio peggior nemico. Mi dispiace di non essere così fredda e distaccata come invece siete tu e Sark. A quanto pare mi ci vorrà un po’ di tempo per raggiungervi.”
Detto questo si alzò, e prima che Irina potesse dire qualcosa Lara uscì dall’ufficio.
Sperava che sua madre le avesse creduto, anche se aveva i suoi dubbi.

La sua testa era ancora dall’agente Vaughn quando insieme agli altri specialisti stava analizzando la collezione finora ritrovata, alla ricerca di un nesso comune. L’immagine del suo viso pesto e sanguinante continuava a danzarle davanti agli occhi mentre scriveva il rapporto sulla missione lì a Taipei. Non riusciva a concentrarsi su niente, e aveva voglia di maledire quell’agente, che di nuovo era entrato senza preavviso nella sua vita. Non le piacevano i ricordi che le faceva ritornare in mente, specialmente ora che lei e Sark avevano una storia che lei desiderava funzionasse con tutto il cuore.
Come se avesse saputo che stava pensando a lui, Sark fece capolino nell’ufficio di Lara, domandandole se aveva da fare.
“È una domanda retorica?”
“Tua madre mi ha detto…”
“Vorrei che mia madre la smettesse di intromettersi nella mia vita. Credi che se glielo dici tu finalmente lo farà?”
“Tu conoscevi già l’agente nostro prigioniero?”
“L’ho visto durante la mia prigionia.”
Dopotutto era vero. O quasi. Una mezza verità.
“E…?”
“E era una delle mie vittime. Il proiettile è stato deviato da una croce che portava al collo. Non c’è altro. E ora se a te e a mia madre non dispiace potete lasciarmi in pace?”
“Scusami” rispose lui appoggiandosi alla sua scrivania “non avevo intenzione di farti arrabbiare.”
“No scusami tu… È che sono parecchio nervosa ultimamente.”
“Se ce ne andassimo per un paio di giorni?”
“Non possiamo farlo… anche se mi piacerebbe.”
“Allora prendiamoci solo questa giornata. Andiamo, Irina può cavarsela da sola… e noi due avanziamo una serata da soli.”
“Pensavo avessi da fare.”
“Io ho fatto il possibile. Yoshigawa mi ha fatto sapere che verrà domani. Solo allora sapremo se l’agente parlerà o morirà.”
“Anch’io avrei da fare…”
Sark non voleva assolutamente un no come risposta, e in pratica la trascinò via dalla sede dell’agenzia.

Andarono a casa di Lara, un appartamento non troppo diverso da quello di Sark. Anche il suo era molto bello, ben arredato, ma anche altrettanto impersonale. Forse i quadri e le fotografie contribuivano a dare un po’ di calore, ma le ripetute assenze, sempre a causa di missioni in giro per il mondo, le impedivano di migliorare l’atmosfera di quel posto.
I quadri appesi nel salotto erano tutti paesaggi marini. Onde che s’infrangevano su alte scogliere, mari tranquilli che lambivano coste sabbiose, o figure enigmatiche che si stagliavano contro di esso, perse chissà in quali pensieri.
Era inutile.
Ricordava i momenti quando insieme ai suoi genitori osservava le onde dell’Oceano Pacifico infrangersi contro la spiaggia, quando ascoltava la risacca, e aspirava l'aria salmastra che le scompigliava i capelli. Sentiva che sarebbe potuta rimanere là per sempre ad ammirare quei quadri. Quei dipinti la rendevano felice, senza un motivo preciso. Doveva essere una cosa comune a tutti quelli che nascevano o crescevano in una città vicino all’oceano.
Sark, che lo sapeva, per il suo ultimo compleanno le aveva regalato un quadro che aveva come soggetto il mare, che Lara aveva subito appeso in soggiorno, al posto d’onore.
“Sapevo che ‘Monaco di fronte all’oceano’ ti sarebbe piaciuto. Hai già altri quadri di Friedrich.”
“Non avresti dovuto…”
“E perché no?” rispose lui avvicinandosi a Lara, di fronte al quadro. “Quando siamo andati in quel museo, ti ho dovuto trascinare via a forza. Eri come ipnotizzata.”
“Sì, ma tra questo e il commissionare il furto per me di un quadro dipinto da uno dei maestri della pittura romantica ce ne corre.”
Sark la prese tra le braccia, e i loro sguardi si incrociarono “Preferisco gli originali alle copie. Dovresti saperlo.”
Lara abbozzò un piccolo sorriso “Con te non vinco mai. È irritante.”
“Però siamo qui, e siamo insieme.”
“Già…”
Lara aveva distolto lo sguardo, e Sark ascoltando il tono assente di lei si voltò per vedere cosa stesse guardando. Una fotografia che la ritraeva insieme ad una ragazzina dai lunghi capelli scuri, vestita con quella che sembrava la divisa di un collegio.
“Ti manca, vero?”
“Non sai quanto vorrei che vivesse qui con me, invece che in Svizzera.”
“C’è un buon motivo se tu e tua madre avete deciso così.”
“Io ci sono cresciuta in collegio, non te lo dimenticare. Sono stata felicissima di tornarmene qui!”
“Esagerata… mai provato i collegi inglesi?”
“Andrew…”
“D’accordo, non parlo più.”
“Ottima idea” sussurrò Lara baciandolo, se non altro per impedirgli di aprire la bocca di nuovo. Sark l’attirò a sé con il braccio destro, mentre la mano sinistra dalla spalla scendeva verso la sua mano destra. La prese nella sua, e non poté fare a meno di notare che quell’anello era sempre lì.
“Perché porti ancora la vera nuziale? Mi sembra di corteggiare la donna di un altro.”
“Non che ti abbia mai fermato, mi pare.”
“Può essere un deterrente. Lara, quell’uomo ti ha rovinato la vita. E il figlio di Korolenko, come me del resto, se lo trovasse lo ammazzerebbe senza pensarci due volte.”
Ancora quella storia. Lara dubitava se ne sarebbe liberata mai.
“Andrew, ti ricordi quando mi hai trovato?”
Se lo ricordava… Neanche lui si sarebbe liberato tanto presto dell’immagine di lei stesa a terra, piena di lividi sul viso e sulle braccia, con le palpebre talmente gonfie che quasi non riusciva ad aprirle, un labbro spaccato, e livelli di Penthotal e Rohypnol tali nel sangue che sarebbe potuta morirne.
Forse era stato allora che aveva iniziato a pensare a lei in modo diverso che ad una collega, non sapeva dire con esattezza. Sapeva che aveva condiviso l’impotenza e la rabbia di Ivan nel vederla in quel letto di ospedale, ma se il giovane l’aveva chiaramente esternata lui non poteva permettersi quel lusso. Si era gettato a capofitto nel lavoro, diventando ancora più distaccato ed asociale del solito, ad un livello tale che perfino sua sorella aveva problemi a comunicare con lui. Poi, era ritornata. E sembrava che il suo mondo fosse cambiato all’improvviso. Il suo cuore si era come indurito, e aveva preso la decisione di essere pienamente coinvolta nel lavoro dell’agenzia, pur continuando a lavorare principalmente su Rambaldi. Nei mesi che erano seguiti l’aveva vista nascondere il dolore che provava, fino a quando non si era trasformato in rabbia, e in rancore. Anche lei desiderava fargliela pagare con tutto il cuore, ma non era in cima alla lista delle sue cose da fare.
“Sì.”
“Era stato mio marito a ridurmi in quel modo. Mio marito… in teoria l’uomo di cui più mi sarei dovuta fidare. Porto quell’anello perché in questo modo mi impedisco di dimenticare. E mi ricordo di non fidarmi di nessuno.”
“Potrai sempre fidarti di me. Sempre.”

Musica d’organo.
Un uomo nell’ombra ascoltava, ispirato, e si avvicinò ad un altro, incatenato ad una sedia.
In mano aveva una pinza, e un sorriso gentile, che non tradiva le sue intenzioni.
“Bach. Questa è una delle sue cantate per organo… una delle mie preferite.”
Strinse con più forza l’attrezzo, si avvicinò ancora di più all’uomo, che teneva lo sguardo fisso al pavimento.
“Il signor Sark mi ha convocato per lei. Io gli avevo detto che sarei venuto domani, ma il mio precedente impegno si è risolto più in fretta del previsto, e l’Uomo è stato molto persuasivo, per convincermi ad anticipare la mia venuta… Posso rendere le sue prossime ore sopportabili, oppure un vero inferno, a lei la scelta… deve solo dirmi per chi lavora.”
Vaughn continuò a fissare il pavimento.
“Come vuole.”
Dall’esterno, Irina osservava con aria impenetrabile.

Sark sorseggiava un bicchiere di vino bianco, guardando la vista che si godeva dall’appartamento di Lara. Qualche minuto dopo Lara lo raggiunse, con un bicchiere in mano.
“Da quand’è che non riuscivamo a stare così, senza pensare al lavoro o ad altri problemi, Andrew?”
“Da Mosca. Ti manca, la Russia?”
“Per niente. Hai fame?”
“Ora che mi ci fai pensare… sì, parecchia. Ieri abbiamo saltato la cena tutti e due.”
“Potremmo andare a quel ristorante che ha aperto da poco, ho sentito parlarne bene. Oppure se ti fidi…”
“Non mi fido.”
Lara finse un’espressione di disappunto e lo colpì al braccio “Grazie tante!”
Sark posò il suo bicchiere e quello di Lara sul tavolo della cucina, e cinse la sua vita con le braccia “Potrei fidarmi stasera però, a cena, tu che ne dici, Lara?”
“Dico che se non andrò a comprare qualcosa avrai ragione a non darmi mai più credito come cuoca.”
Sark sorrise alla battuta, e Lara alzò una mano per carezzare il suo viso, sorridendo anche lei.
“Non pensavo ti avrei più visto sorridere così. Devo ritenermi la causa o sono presuntuosa in maniera insopportabile?”
Andrew prese la sua mano e la portò alle labbra “Ti voglio presuntuosa in maniera insopportabile. Sei sempre stata troppo zitta e buona per i miei gusti, in questi anni.”
In contemporanea, entrambi i cellulari di Sark e Lara squillarono. Un’altra volta il lavoro irrompeva nel loro mondo.
La telefonata per Lara veniva da Vladimir. Sembrava ci fosse qualcosa di cui voleva discutere con lei ma non per telefono, e le chiedeva se le andava di fermarsi a pranzo con lui e Olga. Lara osservò Sark e la sua espressione seria, e decise di accettare l’invito.
“Lasciami indovinare” disse lei, quando Sark terminò la chiamata “il prigioniero.”
“Sembra voglia parlare, ora.”
“Bene.”
“Dove devi andare tu?”
“Da Vladimir. Olga sicuramente è ancora sotto shock per il trasferimento qui.”
“Non ho mai avuto il piacere.”
“Vladimir tende a separare piuttosto nettamente il lavoro dalla vita privata.”
“Con te fa un’eccezione.”
“Perché altrimenti Olga lo squarterebbe. Si era tanto abituata in Russia a vedermi in giro per la casa insieme a Ivan che si dev’essere convinta che anch’io sia sua figlia.”
“Allora vai, non farli aspettare. Ti chiamerò se la situazione con l’agente CIA evolve in qualche modo.”
Sark non poteva saperlo, ma nominare quell’agente era ogni volta un colpo allo stomaco per Lara.
Più si sforzava di non pensare a lui, più il suo volto era presente nella sua mente, insieme al senso di colpa nei confronti di Andrew. Era attratta da tutti e due, c’era poco da fare… Era con Andrew però che voleva costruire qualcosa. Doveva dimenticarsi di Michael Vaughn, il suo nemico, il prigioniero dell’organizzazione di sua madre, anche se non sarebbe stato facile per niente.
Ringraziando il cielo, varcata la soglia della nuova casa dei Korolenko, i problemi rimasero all’esterno. Olga aveva raggiunto suo marito solamente da nove mesi, perché fino all’ultimo si era rifiutata di lasciare la Russia. Quando alla fine aveva capitolato, in cambio aveva preteso una casa che non fosse niente di meno di quello che si aspettava, e Lara, Ivan e Vladimir ci avevano messo molti giorni e molta pazienza per riuscire ad accontentarla.
“Lara, ma che piacere!” esclamò sorridendo Olga accogliendo Lara all’ingresso. Senza darle il tempo di dire qualcosa, Olga la portò in soggiorno e le chiese se voleva qualcosa da bere.
“No, grazie. Ho già preso qualcosa con Sark prima di venire qua.”
“Ah.”
A Lara non era sfuggito il modo secco con cui aveva parlato, e il modo in cui le sue labbra si erano assottigliate. Andrew non riscuoteva l’approvazione di Ivan, ergo la sua. Gli occhi cobalto di Olga esprimevano chiaramente questo.
“Vladimir mi ha invitato a pranzo. Spero che almeno te l’abbia detto, stavolta!”
“È stata una mia idea. Non ti ho quasi mai visto da quando mi sono trasferita qui anch’io. E la casa è ancora tutta in subbuglio… ascoltandomi non si direbbe che lavoravo per il Ministero degli Esteri e che in otto anni prima di sposarmi ho cambiato residenza dieci volte, vero?”
“Ti prego, Lara, fermala prima che inizi a tediarci con i ricordi” disse scherzosamente Ivan, scendendo le scale che portavano al piano di sopra.
Schivò uno scapaccione di sua madre diretto alla testa, e abbracciò stretta Lara dandole un bacio sulla guancia “Finalmente ci si vede. Ti pare brutto telefonare ogni tanto, disgraziata?”
“Lavoro… Sai com’è, no?”
Ivan si scostò per fissarla negli occhi. C’era ancora un’ombra dell’antico rimprovero, ma non poteva smettere di volerle bene. Era sempre Lara, la sua amica d’infanzia e di isolamento in quel collegio di Lugano. Aveva fatto scelte diverse dalle sue, forse non comprendeva appieno le motivazioni dietro queste scelte, ma continuava a essere il suo confidente e consigliere anche se ultimamente erano più le volte che lo mandava al diavolo che quelle che gli dava retta.
“Ovviamente.”
“Dov’è tuo padre? Al telefono mi ha detto che doveva parlarmi.”
Ivan fece strada nel corridoio, fino all’ultima porta. Bussò, ed entrò senza aspettare risposta. Suo padre era al telefono, e conversava in arabo, lingua che Lara non conosceva ancora perfettamente. Ivan, che la ignorava completamente, alzò gli occhi al cielo e uscì chiudendo la porta dietro di loro.
Vladimir, senza interrompere la telefonata, fece un cenno di saluto con la testa e indicò a Lara di sedersi in una delle poltrone di fronte alla sua scrivania.
Lo studio era incredibilmente uguale a quello che aveva avuto in Russia, solo la vista era diversa. I libri, le fotografie, i quadri… tutto era al suo posto. Sapeva che Vladimir era preciso fino all’incredibile, ma certe volte sfiorava il maniacale.
“Scusami” disse, una volta finita la conversazione “Immagino tu abbia saputo.”
“Nottingham è morto. E tutto il mondo sospetta di noi.”
“Anche Shalaan El Hassein ne sembra convinto.”
“Il nostro contatto in Egitto?”
“Proprio lui. Non so come la notizia sia arrivata fin lì, ma la faccenda è grave. Pare che si stia radunando un commando di forze, una sorta di coalizione di tutte le agenzie che si servivano di Nottingham, e che sia loro intenzione farcela pagare.”
“E cos’altro? Vladimir, che cosa non mi stai dicendo?”
“Temo che ci sia una talpa. Qualcuno che li sta aiutando.”
“È escluso. Siamo solo in tre, quattro se contiamo anche te, a sapere quello che sta succedendo. L’informazione è strettamente classificata.”
“Tieni gli occhi aperti, Lara, ti prego.”
“Lo farò.”
“Come vanno le cose?”
“Con Sark? Abbastanza bene, anche se il lavoro di sicuro non semplifica le cose.”
“Lara, voglio solo che...”
“So a cosa ti riferisci, ma questa volta sto procedendo con i piedi di piombo. Anche lui sa cos’ho passato, e non ha fretta.”
“Lo sai che ti voglio bene, e vorrei che non ti capitasse niente di male, non di nuovo.”
“A te Andrew non piace proprio…”
“Non riesco a inquadrarlo, e non mi piace quello che non conosco. Te lo ripeto, fa attenzione. E ora andiamo a mangiare, prima che Olga fulmini entrambi.”

“Dov’è mia figlia?” domandò Irina a Sark, appena arrivato.
“A pranzo dai Korolenko.”
“Tempismo perfetto, non avrei saputo come dirglielo…”
“Che Yoshigawa sarebbe venuto a interrogare il prigioniero oggi?”
“Ho notato che non era molto incline a quel genere di soluzione. Lontano dagli occhi lontano dal cuore.”
“Non mi piace ingannare Lara di proposito, Irina. Le voglio bene davvero.”
“Sono felice di saperlo, ma gli affari sono affari e Lara certe cose non le sa gestire.”
“Ha parlato?”
“Si chiama Michael Vaughn. È un inizio. Vediamo col Penthotal che cosa sarà in grado di dirci.”
“Conti davvero di ucciderlo?”
“Se non ci sarà utile, sì.”

Lara, seduta a tavola con Olga, Vladimir e Ivan, si sentì come a casa. Complici anche la quiche e il tiramisù di Olga, sue specialità. Non ricordava neanche più quand’era l’ultima volta che aveva mangiato tanto ad un pranzo.
“Olga, pietà o non entrerò più in nessuno dei miei vestiti!” protestò Lara, cercando di rifiutare la seconda fetta di dolce.
“Tanto di guadagnato, ho sempre pensato che fossi troppo magra” rispose lei, mettendole nel piatto un’altra fetta di tiramisù. Lara aveva alzato gli occhi al cielo, e Ivan si era messo a ridacchiare.
“Zitto tu! Ma non hai fa fare a Hyderabad, a Bangalore o da qualche altra parte della Silicon Valley indiana?”
“Sono in vacanza. Cos’è, sei invidiosa?”
“Ti odio, io mia madre la devo supplicare per delle ferie.”
“Strano” disse Olga “pensavo fosse felice di dartele.”
“Non da quando mi sto rendendo, a dir suo, indispensabile.”
Olga assottigliò di nuovo le labbra, in un’espressione strana, come se stesse ricordando qualcosa che non le andava.

***flashback***
Olga entra nella sede dell’organizzazione di Irina, stringendo la borsa e guardandosi intorno. Irina, che la vede, le va incontro sorridendo, ma Olga la raggela. Non è lì per conversare frivolamente.
“Irina.”
“Olga. Quanto tempo.”
“Possiamo parlare?”
Irina fa strada fino al suo ufficio, fa entrare Olga, e prima di chiudere la porta dietro di sé dice alla sua assistente che non vuole essere disturbata per nessun motivo.
Olga si siede in una poltrona, e Irina dietro la sua scrivania.
“Sapevo che prima o poi noi due avremmo avuto questa conversazione.”
“Vladimir mi ha detto la verità sul suo lavoro. Non lavorava per i servizi segreti, ma per te e Khasinau… per due terroristi.”
“Vladimir addestra i miei agenti, è vero, ma non è coinvolto quanto pensi tu.”
“Non offendere la mia intelligenza!”
“Ha sempre cercato di proteggerti. Questo non lo puoi negare.”
“Come?”
“Ti ha fatto lasciare il mondo della diplomazia. Vladimir temeva che un giorno la tua posizione sarebbe potuta diventare molto scomoda, o molto preziosa… non voleva fossi coinvolta in quel che facciamo, e neanche Ivan.”
“Tutto mi sembra possibile, a questo punto. Mio marito lavora per dei terroristi, l'ha fatto per anni e io lo scopro solo ora…”
“Mi dispiace.”
“No, non è vero. Dimmi, Irina, io e Ivan non andavamo bene, ma tua figlia Lara sì?”
“Ho fatto tutto quello che era in mio potere per allontanarla! L’ho mandata in Svizzera, pensavo che sarebbe potuta rimanere a vivere lì e tornare saltuariamente in Russia, ma Lara è testarda, non te lo devo certo dire io. Le dissi tutto, nella speranza che mi odiasse e scappasse via… invece ha scelto di rimanermi vicino.”
“Lara ti vuole bene, è tua figlia… certe volte la sento vicina come se fosse anche figlia mia. È per questo che sono qui. Se posso, voglio evitare che soffra inutilmente.”
“Ma non puoi. Lara ha già scelto la sua strada.”
“Quando era troppo sconvolta per pensare coerentemente!”
“Non credere. Lara è più forte di quello che sembra.”
“Questo sicuramente l’ha preso da te. Lasciala andare, Irina.”
“Olga, non potrei neanche se lo volessi. Nessuno lascia da vivo questa agenzia, solo da morto.”
“Dannazione, stai parlando di tua figlia!”
Irina chiude gli occhi, abbassa la testa. Sorride amaramente.
“Se non l’avessi portata con me non sarebbe successo niente di tutto questo… forse Jack sarebbe stato un genitore migliore di me.”
“Jack Bristow è stato accusato di tradimento, e sospettato di essere in combutta con te. Dopo mesi di prigionia e una quasi condanna è stato rilasciato e discolpato completamente… non te lo devo dire io che una cosa del genere lascia il segno. Ha iniziato a bere e a correre rischi inutili. Non sarebbe stata una decisione saggia lasciare tua figlia con lui.”
Irina fissa il volto di Olga, sorpresa. La donna ricambia lo sguardo, e fa un piccolo, freddo sorriso.
“I diplomatici certe volte sono meglio delle reti di spie dei servizi segreti, specialmente se hanno amici in alto, o conoscono qualche ex collega del marito al dipartimento di stato. E dopo anni di misteri e tessere di mosaico apparentemente scollegate, ho iniziato anch’io a pormi qualche domanda. Certo, le mie ipotesi erano un tantino diverse dalla verità.”
“Non cambia niente.”
“Rimani delle tue idee?”
“Vale lo stesso anche per te.”
“Fai una cosa per me, comunque. Sark. Non ho mai avuto l’occasione di conoscerlo di persona, ma da quello che so non mi piace. Lara lo ama, ma non sono certa sia la persona giusta per lei.”
“Gli affiderei la mia vita.”
“Ma io no. Se proprio non puoi, o non vuoi, lasciare Lara, almeno vigila su loro due. Lara potrebbe non reggere ad una scottatura del genere per la seconda volta, non importa quanto tu, ma anche lei stessa, pensi di essere forte. Ti saluto, Irina.”
Detto questo, Olga riprende la sua borsa ed esce dall’ufficio. Irina, seduta, la osserva andare via.

***flashback***

“Davvero?” disse Olga, passandole la caraffa dell’acqua.
“Davvero. E ora che Khasinau non c’è più, le cose vanno sempre meglio.”
“Sono felice per te, Lara.”
Il cellulare di Lara iniziò a suonare. Era uno dei suoi collaboratori, che l’aveva chiamata per dirle che doveva consegnare il rapporto sulla missione insieme a Sark.
“Credevo di averlo compilato stamattina. Non lo trovate?”
L’assistente rispose di no, e che probabilmente si trovava nel suo computer, di cui lui però non conosceva le password.
“D’accordo, ho capito, arrivo subito.”
Lara si alzò da tavola “Scusate, ma devo tornare al lavoro. Non trovano più una relazione che ho fatto questa mattina e probabilmente dovrò riscriverla.”
“Vuoi che ti accompagni?” disse Vladimir.
“Mi farebbe piacere. Scusami, Olga, se vado via così, ma…”
“Il lavoro è lavoro. Vai, non preoccuparti. Ci vediamo presto, d’accordo?”
Lara annuì, e presa la giacca uscì con Vladimir.

“Ho detto a Olga la verità.”
Lara non riusciva a credere alle proprie orecchie.
“Ma avevi detto…”
“So benissimo quel che avevo detto, ma voleva sapere il perché di questo trasferimento, dopo dieci anni che non mi ero quasi mai mosso da Mosca. Ero stanco di mentirle.”
“Non l’ha presa bene, vero?”
“Ha gridato, ha pianto, e non mi ha più parlato.”
Solo allora Lara si rese conto che durante il pranzo, Vladimir era rimasto totalmente in silenzio. Né Ivan né sua madre gli avevano parlato, o lo avevano coinvolto nelle loro conversazioni.
“Anche Ivan segue la linea di sua madre?”
“Come sempre. Non che mi aspettassi il contrario, beninteso.”
“Da tempo al tempo. Dopotutto, tutto comprendere è tutto perdonare. Me lo dissero molti anni fa i genitori di un mio amico da cui andai a vivere per un po’, durante il periodo in cui non riuscivo neanche a guardare mia madre negli occhi…”
Vladimir sorrise, e Lara ricambiò.

Tutto comprendere è tutto perdonare.
Nel momento in cui incrociò Takeshi Yoshigawa, che le fece un cenno di saluto mentre usciva dalla sede dell’agenzia, questo proverbio le sembrò tutto fuorché utile. Pregava di non trovare né Andrew né Irina, altrimenti non sapeva che avrebbe fatto.
‘Mi hanno ingannato, e come una stupida ci ho creduto. E io che credevo che Andrew… no, questa volta mia madre me la paga!’
Attraversò i corridoi che portavano agli ascensori, e quelli dei sottolivelli, con passo marziale. Nessuno osava tagliarle la strada, nessuno osava rivolgerle la parola. Quello sguardo era lo stesso di Irina quando era furiosa oltre ogni limite, quindi era meglio rimanerne fuori.
Non dovette neanche fare tanta fatica per trovarli. Erano tutti e due nell’ufficio di Irina, e stavano discutendo di un piano di missione. Lara respirò profondamente. Se fosse entrata come una furia, non avrebbe ottenuto niente. Meglio prendere esempio dalla madre, e dire quello che pensava con il massimo e gelido contegno.
“Ma che combinazione… ciao Andrew. Mamma.”
Entrambi sembrarono sorpresi di vederla. Ottimo, pensò Lara.
“Mi hanno chiamato perché il mio rapporto di missione manca. A voi risulta?”
“Non girare intorno all’argomento, Lara. Parla.”
“Quale argomento?” rispose lei, fingendo di non sapere. “Sono qui solo perché un mio assistente mi ha chiamato. Non certo perché qualcuno mi ha detto che Yoshigawa è stato qui a torturare il prigioniero.”
“Il prigioniero ha un nome, Michael Vaughn.”
“Questo da voi due me lo sarei dovuto aspettare, ma speravo ci fosse un limite anche alla diffidenza che devo nutrire verso mia madre e il mio fidanzato.”
“Lara…”
Qualunque cosa Sark stesse per dire gli morì in gola, dopo che Lara gli rivolse un’occhiata gelida, identica a quella di sua madre, e a pensarci bene anche di Jack Bristow.
“Sark, per favore, puoi lasciarci da sole?”
“Certo, Irina.”
Una volta che chiuse la porta dietro di sé, Irina parlò.
“Smettila di comportarti come una bambina.”
“Sapevi che ero contraria e pur di fare quel che volevi hai detto a Sark di allontanarmi!”
“Il tempo non è dalla nostra parte.”
“Qui non stiamo parlando di tempo, stiamo parlando di fiducia. E tu non sembri averne nei miei riguardi, mentre pretendi cieca obbedienza da me. Spiacente, non funziona così.”
“Avresti utilizzato Yoshigawa contro l’agente Vaughn? Rispondimi.”
“Se il Pentothal non avesse dato risultati, sì. So anch’io che in certi casi la forza è l’unica soluzione, e non mi faccio problemi ad usarla. L’ultima missione parla da sola, mi pare.”
Madre e figlia rimasero a fissarsi per qualche secondo, in silenzio, poi Irina domandò a Lara se fosse andata da Vaughn.
“Non ancora.”
Lara osservò sua madre, e decise che sembrava sorpresa della sua risposta.
“Devo andarci?”
“Ho come l’impressione che tu potresti essere l’unica in grado di farlo parlare. Ha detto qualcosa anche a Yoshigawa, beninteso, ma io voglio anche il resto.”
“D’accordo.”
Andare da Vaughn. Lara aveva paura di quello che avrebbe visto… Visto?
Prima di andare doveva prendere una cosa dal suo ufficio.

Ancora una volta incrociò quell’operativo. Stavolta Lara lo fermò e gli chiese chi fosse.
“È troppo tempo che ti vedo in giro, e non so ancora chi sei.”
“Ilir Smirnoff.”
“Accento georgiano. Stavi col Direttorio K?”
“Quando il Direttorio è crollato, mi è stato detto che potevo essere un prigioniero o un operativo. Ho scelto la seconda offerta.”
“Non ti do torto… Ilir, devo vedere il prigioniero, Michael Vaughn.”
Ilir la condusse fino di fronte alla porta, poi Lara usò il suo badge ed entrò.

Vaughn era semisvenuto, ancora ammanettato alla sedia al centro della sala. Dalla fronte, dal naso e dalla bocca scendevano rivoli di sangue secco. Di sicuro ora nella sua bocca mancava almeno un dente. Lara si avvicinò lentamente, e il rumore dei tacchi fece alzare la testa di Vaughn.
Lara si mise un dito di fronte alla bocca, e premette la pietra verde dell’anello che portava.
“Manderà in tilt le telecamere per qualche minuto. Abbiamo problemi di questo tipo, pertanto nessuno si insospettirà.”
“Che cosa vuoi da me?”
“Non chiedere cosa voglio io, Michael, ma piuttosto cosa vuoi tu. Ti vogliono uccidere, credo tu l’abbia capito.”
Vaughn non rispose, così Lara continuò.
“Lo so che credi che sia stata mandata da loro, ma non è così. A me non piace uccidere la gente, e non ho il loro sangue freddo.”
“Bel tentativo, ma non funzionerà.”
“E perché non funzionerà?”
Ancora silenzio. Ma certi silenzi dicevano molto.
“D’accordo. Ma non dire che non ti avevo avvisato. Sark e l’Uomo…”
“Tu e Sark avete una storia.”
L’intonazione della sua voce le fece capire che non era una domanda.
“Non cambia niente. La mia offerta non ha a che fare con questo, e lo sai anche tu.”
“Se è per quanto è successo a Los Angeles, non sentirti obbligata.”
“Come vuoi.”
Premette di nuovo la pietra sull’anello, e le telecamere tornarono a posto. Lara rimase a fissare Vaughn per qualche altro secondo, e poi uscì diretta all’ufficio della madre.
“Mamma, credo che una squadra della CIA verrà a liberarlo.”
Irina sorrise e scosse la testa “Non è possibile. Cosa te lo fa credere?”
“È come se sapesse che la sua situazione non durerà ancora a lungo. So cosa stai per dire, che questo è quanto sperano tutti quelli tenuti prigionieri, ma io ne sono sicura.”
“Che bisogno avevi di creare un segnale che interferisse con le telecamere? Non sei in territorio nemico.”
“Speravo si fidasse di me.”
“E perché?” domandò Irina, con fare inquisitorio, mentre sorseggiava la sua tazza di caffè. Questa volta sembrava decisa a ottenere una risposta.
Lara desiderò darsi una mazzata in testa. Sua madre l’aveva portata esattamente dove voleva lei, ovvero sempre a quel punto che non voleva chiarire.
Che relazione c’era o c’era stata tra lei e quell’agente della CIA?
Irina aspettava, e Lara decise di parlare. Non sarebbe servito a niente mentirle ancora, se sospettava già qualcosa.
“Per via di una cosa che è successa a Los Angeles. Io e Vaughn…”
“Non sentirti obbligata a dirmelo. E non dirò niente a Sark, qualsiasi cosa sia successa.”
“Ma io credevo che…”
“Sì, ho capito cosa credevi. Io volevo solo che tu fossi sincera con me. L’avevo capito che tra te e Vaughn doveva esserci stato qualcosa, ma tu ti ostinavi a negare anche l’evidenza. Questo offusca la tua capacità di giudizio.”
“Mi sembra di sentire Khasinau.”
“Alexander su certe cose aveva ragione.”
“Dammi retta, mamma. Lo verranno ad estrarre da qui.”
“D’accordo. Terremo gli occhi aperti. E ora vai, non ti trattengo.”
Lara si alzò, e uscita dall’ufficio di Irina si diresse verso il suo. All’interno, sulla scrivania, c’era una rosa rossa.
Rimase ferma sulla soglia della stanza, a fissarla, per almeno due minuti. Non sapeva se strangolare Andrew o perdonarlo. Che Irina avesse ascendente su di lui lo aveva sempre saputo, quindi non era stupita del fatto che obbedisse ai suoi ordini, anche se andavano ad interferire con la loro relazione.
Mentre rifletteva, sentì la presenza di Andrew dietro di lei. Chiuse la porta, e sempre arrivandole da dietro le mise le mani sulle spalle, avvicinandola a lui.
“Mi dispiace, Lara.”
“Comincia ad essere un ritornello.”
“Lo so. Ma non ci posso fare niente. Devo molto a tua madre e non mi posso rifiutare di fare qualcosa per lei se me lo chiede…”
“…o te lo ordina. So come ci si sente, è la storia della mia vita da quando sono venuta a lavorare qui.”
Le mani di Sark lasciarono le spalle di Lara, e le sue braccia la strinsero in un abbraccio. Sark le baciò la base del collo, e Lara sorrise leggermente.
“Non vuol dire che ho smesso di avercela con te.”
“So anche questo. Come so che c’è una cosa che desidero fare da almeno due settimane, e non ne ho trovato il coraggio… fino ad ora.”
Lara aggrottò le sopracciglia, e girò la testa verso Sark “Ma che vuoi dire?”
Andrew si portò di fronte a lei, e le prese la mano con la fede nuziale “Ripensavo a questo anello. Pensare a Gavrilo, o come diavolo si chiami quell’uomo, non ti fa bene. E ti prometto che entro un anno da oggi riuscirò a fartelo togliere.”
“Non ci sono riusciti mia madre, tua sorella e i miei amici e vuoi riuscirci tu da solo? Accomodati pure.”
“Riuscirò a fartelo togliere…” disse prendendo dalla tasca la scatola di un gioielliere, che aprì di fronte a lei, e che conteneva uno splendido anello d’oro con un diamante solitario “…perché entro un anno da oggi riuscirò a convincerti a sposarmi.”
Lara sentì l’impellente bisogno di sedersi. Non sapeva che cosa dire… Sark invece sì.
“So che ti ho preso alla sprovvista…in due anni non abbiamo mai parlato di questo.”
“Sark, sarò esplicita. Ho paura di impegnarmi di nuovo.”
“Tu sai chi sono. Sai quello che faccio.”
Lara scosse leggermente la testa “Non è questo…”
Sark si inginocchiò di fronte a lei “Non ti chiedo una risposta subito. Come ho detto, mi sono dato un anno di tempo. Vorrei però che prendessi ugualmente questo anello” disse, levando l’anello dalla scatola e mettendolo nel palmo della mano di Lara.
Lara alzò gli occhi verso di lui, senza capire. Sark si alzò da terra, e con una mano tolse la polvere dai pantaloni. Poi la fissò negli occhi “Quando lo vedrò al posto giusto, capirò.”

Lara fissava l’anello, ancora nella sua mano. Cavolo, non se l’aspettava proprio che Andrew le chiedesse di sposarlo. Voleva accettare subito, ma l’esperienza le aveva insegnato a non essere impulsiva. Mai più. Quella Lara era morta dopo il matrimonio con Gavrilo, e la notte passata con Vaughn le aveva dato il colpo di grazia.
Poggiò il gioiello sul bordo della scrivania, e con le mani cercò la chiusura di una sottile catenina d’argento che portava al collo, oltre ad una collana d’oro con un fiore di rubini e diamante come pendaglio. Una volta aperta, infilò la catenina nel cerchio d’oro dell’anello, e poi la rimise al collo. In questo modo le sembrava di fare un ottimo compromesso. Sark avrebbe visto che portava l’anello, e lei non si sarebbe ancora impegnata definitivamente.

L’attacco della coalizione iniziò alle diciotto di quello stesso giorno.

Una squadra di dieci uomini, appartenenti a varie organizzazioni criminali e tutti mascherati, entrarono dalla porta secondaria della struttura, dove erano solite passare le squadre di ritorno dalle missioni, eludendo i controlli biometrici effettuati ai membri.
Armi con silenziatore in pugno, uccisero chiunque si trovasse sulla loro strada senza pensarci due volte. Si diressero all’armeria, ma il responsabile non era là. Presero molte delle armi lì riposte, e ripresero la loro marcia di morte e conquista… Ignorando che Sergej era là, e che dal suo antro dove era riuscito a nascondersi aveva visto tutto. Doveva avvertire Irina, Lara e Sark prima che li uccidessero a sangue freddo!

“Sì?” rispose Irina al telefono del suo ufficio. La sua calma mal si associava al tono agitato e quasi isterico del suo armaiolo.
“Signora, siamo sotto attacco! Sono già entrati nell’SL-5, hanno rapinato l’armeria e stanno scendendo! Stanno uccidendo tutti quelli che incontrano…”
Irina lasciò cadere il telefono, e corse fuori.

Lara non aveva mai visto sua madre tanto preoccupata, come quando la vide entrare nel suo ufficio di corsa, urlandole di prendere con sé la pistola e il disegno di Rambaldi che stava analizzando, e di venire subito con lei.
“Mamma che succede?”
“L’attacco… siamo sotto attacco. Tra non molto entreranno qui, e dobbiamo prepararci!”
“Come hanno fatto?” domandò Lara, caricando la sua pistola mentre usciva con la madre.
“Hanno eluso gli scanner biometrici.”
“C’era una squadra in arrivo…”
“Ecco come hanno fatto. Hanno usato loro.”
Lara cercò di cancellare dalla sua testa l’immagine della squadra, che prendeva dai loro compagni morti quello che sarebbe servito ad aprire loro le porte della loro sede.
“Lara, bisogna cancellare il sistema centrale. Il backup si trova in un server schermato, quindi sicuro. Per accedere al sistema bisogna scendere al SL-29.”
“Il sistema riconosce solo te.”
“No. Riconoscerà anche te… è una misura che ho preso fin dal giorno che sei venuta a lavorare qui. Ho inserito nel codice di riconoscimento il tuo scanner retinico, l’impronta vocale e della tua mano.”
Lara rimase quasi a bocca aperta.
“Non è vero che non ho fiducia in te, Lara. Ho sempre avuto fiducia in te…anche se a volte forse non te l’ho dimostrato abbastanza.”
“Mamma…”
“Concentrati. Cancella il sistema centrale, prima che quei maledetti ci mettano le mani. Ora attiverò il sistema anti intrusioni, se tutto va bene riusciremo a bloccarli. Dovrai usare il condotto dell’ascensore, e scendere attraverso quello fino al piano. Da lì, percorri tutto il corridoio, poi prendi la terza porta a sinistra. La parola d’ordine per cancellare il sistema è Razvyaska.”
“ ‘Fine della partita’. Appropriato.”
“Dammi il disegno, mi occuperò di occultarlo. Buona fortuna, Lara.”
“Anche a te. Ci vediamo alla fine di questa emergenza.”
Irina sorrise a sua figlia e annuì leggermente. Anche Lara sorrise, e poi iniziò a correre nella direzione opposta, fino al pannello d’accesso dell’ascensore. La lastra di metallo era assicurata molto saldamente alle altre, e lei non aveva niente per toglierla… Il suo sguardo si posò allora sull’estintore vicino a lei.
Afferrò saldamente bombola ed erogatore, e con il suo getto congelò tutte le viti, facendole poi saltare con un colpo secco dato con la bombola. Dopodiché, bastò un calcio per riuscire ad entrare nel condotto. Tutto era illuminato da una pallida luce bianca, che dava all’ambiente un aspetto spettrale. Lara si aggrappò alla scaletta di metallo che correva lungo tutta la parete vicino a lei, e facendo attenzione a dove metteva i piedi iniziò a scendere.
Era arrivata all’altezza del SL-19, quando le luci sparirono, per venir soppiantate dai fari di emergenza. Sua madre doveva aver attivato il sistema anti intrusioni, e se avevano avuto fortuna gli intrusi sarebbero dovuti rimanere bloccati nel sottolivello dove si trovavano in quel momento.
Muoviamoci, si disse, e ricominciò a scendere più velocemente. Prima completava la sua missione, prima sarebbe andata ad aiutare sua madre e Sark.

L’SL-29 era forse il sottolivello situato più in basso dell’intera struttura, o addirittura l’ultimo. Era adibito ad archivio generale, c’erano migliaia e migliaia di cartelle cartacee e di rapporti di missioni, e in una stanza era allestito il server generale. Lì, oltre alla copia elettronica di tutto quel che era contenuto nelle carte stipate in quel piano, c’era una copia della Bibbia, il manuale che Irina e Khasinau avevano creato per i loro operativi di alto livello. Mettere le mani su quello equivaleva a conoscere tutto della sua agenzia: contatti, reali dimensioni, traffici, conti bancari, sicari affiliati, nemici. Nessuno ci metteva piede, solo gli archivisti o chi era veramente molto scrupoloso, come lo era Mary, che si vantava di conoscere gli archivi a memoria.
Percorse tutto il corridoio, poi girò a sinistra e sempre correndo contò le porte fino alla terza.
Ancora una volta il badge magnetico che portava sempre con sé le garantì l’accesso all’interno della stanza, un intricato labirinto formato da calcolatori e cavi a fibre ottiche. La consolle che avrebbe dovuto usare si trovava vicino alla parete in fondo alla stanza, e appena seduta di fronte allo schermo il computer le chiese di identificarsi.
“Derevko, Lara. ID472904.”
Il computer analizzò le vibrazioni della sua voce con quelli già presenti, e confermò il primo elemento di identificazione. Poi fu la volta dello scanner retinico e delle impronte digitali, dopodiché le fu consentito l’accesso al software. Cercò nei programmi quello relativo all’autocancellazione, e a schermo apparve la finestra dove avrebbe dovuto digitare la parola d’ordine, Razvyaska.
Subito venne attivato un virus, che bloccò il sistema e iniziò a distruggerlo. Il suo lavoro era finito.
Senza restare ad osservare l’operato del virus, Lara si alzò e di nuovo corse via per ritornare dalla madre a darle una mano. Se possibile, si arrampicò su quella scala di metallo ancora più velocemente di prima, fino all’altezza del SL-23. Uno dei tre piani impiegati come struttura di detenzione. La struttura, come l’SL-17 dove si trovava il quartier generale, godevano di un generatore autonomo ed erano collegati oltre che al server appena cancellato anche al suo gemello, schermato. In caso di problemi, negli altri sottolivelli potevano resistere anche isolati. Grazie al cielo.
Si rimise in marcia, ma aveva una morsa allo stomaco e un presentimento. Doveva entrare in quel livello.

Quando vide Ilir a terra privo di conoscenza e senza la pistola, capì che il suo presentimento era fondato. Prese in mano la sua pistola, e iniziò a percorrere il corridoio facendo attenzione ad ogni rumore. Osservò il fondo del corridoio, e alzò la pistola, prendendo la mira.
“Alza le mani, Vaughn, e allontanati da quella porta.”
Michael per tutta risposta le puntò contro la pistola che aveva preso a Ilir. Lara lo fissò in volto, e si domandava come facesse ad avere ancora tante energie dopo le torture a cui era stato sottoposto.
Ecco che avveniva quello che Lara aveva immaginato più di due anni prima.
Il finale però era ancora da scrivere.
Lara sentì il rumore di un’esplosione alle sue spalle, rumori di spari e ordini urlati in russo e slavo. Non fece in tempo a sparare per difendersi che un proiettile la colpì alla testa di striscio, facendola cadere violentemente a terra e colpire il pavimento. L’ultima cosa che ricordava era uno slavo sopra di lei che le puntava una pistola alla testa per ucciderla, poi il nulla più assoluto.

***

Perché non riusciva a muovere le braccia?
E perché aveva un mal di testa così atroce?
Lara aprì gli occhi e cercò di capire dove si trovasse. Niente, il luogo non le diceva niente… non era nella sede dell’organizzazione, questo sicuro, allora dove?
Poi, quando si snebbiò il cervello, si rese conto che non poteva muovere le braccia perché erano ammanettate alla sedia dov’era seduta, e il mal di testa era causato dal colpo di striscio che quel maledetto slavo le aveva causato con la sua mira maldestra. Alzando gli occhi, vide le estremità di quelle che sembravano bende. Qualcuno l’aveva medicata, ma da come era stata legata era stato un nemico. Vide girare la maniglia della porta della stanza dove era tenuta – che assomigliava tanto ad un soggiorno di una casa normale, anche se di sicuro non lo era – e si preparò a tutto.
Nella stanza della safehouse entrarono Vaughn e un altro agente che Lara non aveva mai visto. Anche Vaughn era stato medicato da un medico, e aveva un’aria meno sofferente, di sicuro merito di analgesici… quelli che sembrava proprio non avessero intenzione di somministrare anche a lei.
“Come sono arrivata qui?”
“L’agente Vaughn l’ha portata qui.”
“E perché?” disse Lara, rivolgendosi direttamente a Vaughn.
“Sei fuggita dalla custodia della CIA. Pensavi non ti avremmo mai ripreso? L’uomo che ti ha sparato si era accorto di me, e stava per sparare, ma sono stato più rapido. Ti ho preso e sono venuto via.”
Lo slavo… l’attacco! Erano riusciti a entrare nel SL-23! E se erano riusciti ad entrare lì, erano entrati anche nel SL-17… Lara iniziò a tremare. Che ne era di sua madre? E di Sark, Sergej, Vladimir, Ilir e gli altri? Erano sopravvissuti o erano tutti morti?
Se ne doveva andare da lì. Ma prima…
“Si potrebbe avere un analgesico? La testa mi esplode.”
“Avrai tutti gli antidolorifici che vuoi una volta che saremo in volo. Ti riportiamo a Los Angeles.”

Questa volta sentiva che non aveva la minima possibilità. Si trovava in un furgone, con sei agenti armati senza contare i due alla guida, che correva verso il punto di ritrovo e l’aereo che l’avrebbe riportata negli Stati Uniti in catene… avrebbe dovuto essere Houdini per riuscire a scappare. E l’unica cosa a cui riusciva a pensare era sua madre, a quello che stava succedendo. No, mia madre è piena di risorse, si diceva, e ha passato prove peggiori. Ce la farà, ce la farà sicuramente…
Dopo quelle che le erano sembrate almeno un paio d’ore di strada, il furgone iniziò a sbandare, prima leggermente, poi sempre più forte. L’agente alla guida disse che c’era qualcuno che voleva farlo uscire di strada… e mentre lo stava ancora dicendo arrivò il colpo più forte, che fece uscire il veicolo dalla carreggiata, ribaltandosi un paio di volte. Lara cercò di mantenere l’equilibrio, ma le porte del furgone si aprirono e finì sbalzata fuori, perdendo i sensi.

***

Non era mai stata tanto felice di vedere gli occhi azzurri di Sark sopra di lei.
Era stesa a terra, lontano dal furgone nero dove gli altri agenti si trovavano ancora incoscienti, con Andrew inginocchiato accanto a lei. Sembrava spaventato a morte… non l’aveva mai visto così.
“Che è successo?”
“Ti spiegherò tutto quando saremo all’ospedale. Devi fare delle radiografie, e farti esaminare la testa.”
“Dov’è mia madre?”
Sark sembrava propenso a non darle risposte, e presa in braccio Lara la mise sui sedili posteriori del furgone che aveva usato per seguirli e farli uscire di strada. Gli agenti erano ancora tutti vivi, anche se malconci, e non correvano rischi immediati. A lui in ogni caso non interessava, gli premeva solo che Lara fosse viva, e potesse stare meglio.
Lara continuò ad insistere debolmente, ma Sark continuava a ripeterle che avrebbe avuto tutte le risposte dopo essere stata in ospedale, così alla fine si arrese. Se Sark era lì con lei dopotutto, voleva dire che la madre non aveva bisogno di lui. E se sua madre non aveva bisogno di lui probabilmente l’emergenza era terminata…

In ospedale la trattennero a malapena un paio d’ore, giusto il tempo per i medici di eseguire e visionare le lastre, sentenziando che alla testa aveva preso solo un brutto colpo oltre alla ferita preesistente, e che avrebbe dovuto tenere il braccio e la spalla sinistra immobilizzati per via di una lussazione. Le prescrissero delle medicine per il dolore, e Lara, agguantate le ricette, raggiunse Sark che la stava aspettando e lo costrinse a riportarla al quartier generale.
“Se non vuoi dirmi niente, lo farà mia madre!” urlò, entrando nel palazzo che faceva da copertura. Subito si bloccò, sconvolta. L’elegante entrata del centro di ricerca che faceva da copertura all’organizzazione di sua madre aveva muri e colonne crivellati di colpi. Molte persone erano a terra, morte mentre cercavano di scappare, mentre i sopravvissuti cercavano ancora di capire perché fosse successa una cosa simile. Alcune fissavano il vuoto in stato di shock.
“Erano due squadre. Una ha simulato una rapina di tecnologia medica ai laboratori dei piani alti… l’altra è venuta nei sottolivelli a cercare noi. Tua madre ha attivato il dispositivo anti intrusioni, e tu hai cancellato il server, ma non è servito. Dio solo sa come, sapevano esattamente come e dove colpire…”
“Andrew, dov’è mia madre?”
“Irina l’hanno presa per ultima. Credevo volessero interrogarla…”
“Sark, che vuoi dire? Che le hanno fatto?” urlò Lara afferrando Sark per la giacca e scuotendolo con forza. Negli occhi aveva lacrime che minacciavano di uscire, perché aveva un altro brutto presentimento ma che non poteva essere vero…
Senza aspettare risposta, Lara corse agli ascensori e scese fino al SL-19. Lì, le cose erano anche peggio. L’intero quartier generale era diventato una tomba comune.
Lara camminò lentamente tra i corpi, alcuni coperti, altri no, e sentiva… no, non sentiva niente. Non sapeva che cosa provare, a parte orrore. E paura. Paura che aumentava mano a mano che si avvicinava all’ufficio di sua madre. Mise la mano sulla maniglia, la strinse, la girò, e la porta si aprì.
Sua madre era a terra, con la pistola ancora stretta in mano. Gli occhi sembrava esprimessero sorpresa. Di sicuro sua madre non si era aspettata di finire la sua vita in quel modo, tra le rovine dell’organizzazione che aveva creato dal niente. Lara si inginocchiò accanto a lei, e le lacrime che aveva trattenuto a forza inondarono i suoi occhi, le guance, e scesero a bagnare il collo della camicia azzurra che portava. Urlò tutta la sua disperazione tra le lacrime, stringendo a sé il corpo ormai freddo di sua madre, ripetendosi inutilmente che doveva ancora essere svenuta in mano alla CIA, che niente di quello che stava vivendo era reale.
Ora sapeva esattamente che cosa provava. Un enorme, impellente, sanguinoso desiderio di vendetta.

‘Ti giuro mamma, io troverò il responsabile di tutto questo. Che ci metta mesi, anni o tutta la mia vita, io lo cercherò, lo troverò, e lo farò pagare caro quello che ti ha fatto… Te lo prometto… Te lo prometto, mamma…’

***

“Fratelli, siamo qui riuniti per dare l’estremo saluto alla nostra sorella Irina, strappataci prematuramente e ora al cospetto di nostro Signore…”
Lara non ricordava niente di quanto era successo da quando aveva trovato sua madre morta fino a quel momento. Ricordava solo di aver sempre pianto… probabilmente non aveva fatto nient’altro. Rinchiusa nella sua casa, si era crogiolata nell’autoconvinzione che niente di quello che aveva visto fosse successo. Solo quando Sark era venuto a prenderla per portarla al funerale tutto aveva iniziato a prendere una concretezza quasi tangibile e molto dolorosa. Per tutta la breve funzione, a cui erano presenti solo loro due e i Korolenko, Andrew era stato con le mani appoggiate alle sue spalle quasi temesse di vederla crollare da un momento all’altro.
Stupidamente, mentre guardava la tomba di sua madre mentre calavano la bara, pensava a quel giorno in cui sua madre le aveva insegnato a pattinare sul ghiaccio. Era stato l’inverno che precedeva la loro fuga. Non aveva all’epoca un grande equilibrio, e voleva che la madre le tenesse le mani per paura di cadere. Irina invece le disse di fare da sola, che lei non l’avrebbe aiutata. Ricordava di averci messo impegno, ma di essere caduta rovinosamente sulla pista e di essersi messa a piangere. Suo padre, che era presente, voleva intervenire, ma Irina invece le aveva detto di rialzarsi e finire quel che aveva cominciato, perché aveva preso solo una botta al braccio. Aveva obbedito, e nonostante il dolore ci era riuscita. Irina non sapeva che il braccio in realtà era fratturato, e quando al Pronto Soccorso aveva visto la lastra si era sentita morire. Le sembrava che si fosse anche messa a piangere una volta visto il gesso, e che era stata lei a dirle che non era niente di così grave. Non aveva mai visto sua madre piangere, prima di allora, e ora non l’avrebbe vista mai più. Katarina non l’avrebbe vista mai più. Lara strinse i pugni, e rinnovò la sua promessa. Chiunque avesse messo sua madre in quella bara, avrebbe condiviso il suo destino.

Sark non avrebbe dovuto dirle che poteva prendersi tutto il tempo che voleva fuori dal lavoro. Lara l’aveva preso in parola, e senza fare o dire niente a nessuno era uscita di casa e aveva vagato per la città senza una meta, prendendo autobus a caso, poi si era ritrovata davanti alla casa dov’era cresciuta… più esattamente, dove aveva sempre passato le vacanze dal collegio. Nonostante le bravi permanenze, in quella casa c’erano tanti ricordi. Amava quella casa perché in ogni stanza, in ogni angolo, c’era la presenza di sua madre. Era come se non se ne fosse mai andata da lì. Irina le sorrideva dalle fotografie fatte in Svizzera a lei e Katarina, dai ritratti di famiglia fatti con i nonni materni, Boris e Lara, che tutti chiamavano Larissa per distinguerla da lei, e dalle foto più vecchie che teneva nascoste in una scatola di metallo, che la ritraevano con la divisa del KGB insieme ad altri agenti, tra cui Lara aveva riconosciuto Valenko e Khasinau. In quella scatola c’erano anche due o tre medaglie, i gradi che aveva quando aveva lasciato i servizi segreti, e la sua pistola. Irina pensava che non l’avesse mai vista, ma non immaginava che, cercando tra i suoi libri di letteratura inglese ‘Passaggio in India’ di Forster, fosse incappata in quella sorta di reliquiario.
Ecco un altro pezzo dell’eredità che le aveva lasciato. I suoi libri di letteratura inglese. Lara sapeva che la sua copertura negli Stati Uniti era fingere di essere una professoressa di Letteratura, ma quella non era stata finzione. Per lei era stato un sogno che si realizzava.
Da ragazzina non avrebbe mai pensato di diventare un agente segreto. Voleva essere una professoressa, come suo padre, ma poi la sua vita aveva preso altre direzioni. Il sogno però era rimasto, e aveva fatto in modo che fosse lei a cercare di perseguirlo, studiando e laureandosi.
Cercando tra le cappelliere quella in cui lei aveva conservato tutta la corrispondenza tra lei e la madre mentre era in collegio, per sbaglio ne fece cadere un’altra che rovesciò a terra tutto il contenuto. Lara si rese conto di non aver mai visto quelle fotografie. Era sua madre, più o meno alla sua età, ritratta con un uomo che Lara riconobbe come suo padre, Jack Bristow. C’erano le foto del matrimonio, nella casa in West Virginia, mentre ballavano, e le foto di Irina con il pancione o con lei appena nata tra le braccia. Jack era sempre sorridente, niente a che vedere con l’uomo freddo che aveva incontrato. La finta morte di sua madre e la sua scomparsa dovevano aver lasciato il segno.
‘A dispetto di tutto, mamma era veramente innamorata di Jack…’
Stava rimettendo le foto nella scatola quando si accorse di una busta marrone, grande quanto la sua mano, con il suo nome scritto sopra con la calligrafia della madre. Dentro ci trovò una lettera, e gli orecchini di brillanti che Irina aveva ricevuto in regalo da nonna Lara molti anni prima. Aprì la lettera. La data era di quel giorno di due anni e mezzo prima, quando aveva dato l’ordine di farla rinchiudere per quella missione fallita.

«Cara Lara, ti ho appena lasciato, e sono già certa di aver commesso un atto imperdonabile. L’agente ha di nuovo preso il sopravvento sulla madre, e capirei se non mi volessi perdonare per averti sempre al secondo posto una volta di più. O forse lo farai, per ragioni che non conoscerò mai… o perché a dispetto di tutto mi vuoi bene, anche se certe volte sento di non meritarlo. Ti scrivo queste righe, che forse non leggerai mai, per dirti che mi dispiace… e per dirti che ho paura. Ho sempre avuto paura per te, ma solo dopo aver visto Khasinau puntarti una pistola alla testa ho realizzato quanto quel sentimento possa essere potente. E mi sono trovata a desiderare che tu avessi preso quell’aereo per tornare a Lugano, e poi fossi andata a studiare a Londra, o a Boston, o dovunque avessi voluto. Poi però mi sono ricordata di tutti i momenti che abbiamo condiviso, l’arrivo totalmente inaspettato della nostra piccola Katarina, e la forza che hai dimostrato durante la tua vita, che certe volte non è stata per niente facile. Sono felice di averti portato con me, e non me ne sono mai pentita. Questi orecchini sono un dono di mia madre, me li diede quando terminai l’accademia dicendomi di portarli con orgoglio e dignità come sua madre e sua nonna prima di lei. So che farai loro onore. Spero di essere io a consegnarteli in mano, e non attraverso questa lettera. Se la stai leggendo, probabilmente io non sono più in questo mondo. Con la vita che ho scelto di fare, è sempre stata una possibilità meno che remota. Il mio desiderio è di riuscire a vedere Katarina prendere il diploma, ma so già che probabilmente non ci sarò. Sii forte anche per lei, Lara, e non ti chiudere nel tuo dolore. Katarina, Vladimir, Olga e Ivan saranno il tuo sostegno, ti daranno il coraggio di andare avanti.
Se deciderai di continuare a lavorare con Sark, anche dopo la mia morte, sappi che io non lo desidero… ma non sono mai riuscita a farti cambiare idea su niente. Per me e tuo padre era un bel mistero da dove avessi preso quella testardaggine. Ho la brutta sensazione che qualcosa stia cambiando nell’agenzia che ho creato, come se all’orizzonte si stia preparando qualcosa di molto pericoloso. Spero che sia solo una brutta sensazione, o suggestione per aver ascoltato ancora una volta i discorsi paranoici di Vladimir.
Perdonami per non essere stata in grado di proteggerti come avrei voluto e dovuto fare.
Ti voglio bene. Mamma»

Lara piegò la lettera, e si rese conto di avere il viso bagnato da lacrime che neanche si era accorta di aver versato. Aprì l’astuccio degli orecchini, e li strinse forte nella sua mano. Ora capiva che fine avessero fatto… quelli erano gli orecchini preferiti della madre, li indossava anche il giorno in cui aveva scritto quella lettera. Poi non glieli aveva più visti addosso, e la cosa le era sembrata strana, ma in realtà erano in quella busta, insieme con quelle righe, ad aspettare che lei tornasse, li trovasse, e leggesse quelle parole.
Katarina.
Doveva andare da Katarina.

Blonay era un piccolo gioiello incastonato tra le montagne della Svizzera, che ospitava un collegio francese internazionale maschile e femminile, e poco altro nei dintorni, isolato quanto basta per non essere facilmente trovato, e senza funzioni religiose mattina e sera, come invece era toccato a lei per tutta la durata dei suoi studi. Katarina doveva avere neanche un anno, e loro due già litigavano sulla scuola dove mandarla. In Svizzera era fuori discussione, ma Irina premeva per una scuola femminile mentre Lara voleva un collegio come il suo, ma meno rigido. Come era riuscita a spuntarla, lo ignorava. A tutti dicevano che la scuola era a Lugano sempre per evitare di rendere le cose facili a chiunque volesse fare del male alla piccola. Il cognome che portava era già da solo una garanzia sicura di guai e problemi.
“Mademoiselle Derevko!”
Era Chantal Lacroix, la figlia della vecchia signora Lacroix che aveva diretto il collegio per tutta la vita prima di lasciare le redini alla figlia da circa quattro anni. Era una giovane alta, non brutta, dai pallidi occhi verdi e i capelli biondo cenere. Anche l’abbigliamento non era particolarmente colorato: sembrava proprio che avesse una predilezione per i colori sbiaditi e chiari. Lara si domandava come facesse, lei che a parte una certa quantità di abiti dai colori sgargianti, per vestirsi alla mattina le bastava mettere una mano nell’armadio, tanto ormai i suoi tailleur blu notte e neri li riconosceva al tatto.
“Bonjour, mademoiselle Lacroix. Comment allez-vous?”
“Très bien, merci. Excusez-moi, mais ça n’est pas la période pour les visites des parents…”
Chantal si fermò. Per lei rimaneva un mistero chi fossero le due donne che venivano a visitare quella bambina. Sua madre doveva sapere tutta la storia, ma non le aveva mai detto niente. Portavano tutte e tre lo stesso cognome, Derevko, ma la bambina chiamava tutte e due per nome. Non l’aveva mai sentita chiamare una delle due ‘mamma’ o ‘zia’ o ‘sorella’ una sola volta da quando era lì.
“…ou d’autres personnes.”
“Je dois parler avec Katarina. Tout de suite. C’est passé… Irina est morte, je dois le communiquer à la jeune fille.”
“Mon dieu… est-ce qu’elle est morte de maladie ?"
“Non. Elle a etè…”
Tuée. Uccisa. Se Lara non si fosse accorta di stare per dire troppo, avrebbe usato quel verbo.
“Elle est morte dans un accident avec la voiture…”
“Mes condoléances, mademoiselle.”
“Merci. Puis-je voir Katarina?”
“Mais oui! Venez, elle est en train de dessiner avec ses copains et madame Rimbaud, le professeur de dessin.”
Chantal la fece accomodare nel suo studio, e poi andò a chiamare Katarina, che nel sentire della presenza di Lara nel collegio minacciò di rompersi l’osso del collo facendo di corsa le scale e i corridoi che la separavano da lei, con al seguito Chantal, scandalizzata.
“Mademoiselle Derevko, arrêtez tout de suite! Une fille bien élevée ne se comporte pas comme ça!”
Parole al vento, Chantal già lo sapeva. Quando si trattava di Lara o Irina, la buona educazione che cercava di inculcare a quella piccola peste spariva all’istante. Non vedeva nessuno, oltre a loro e ad altre tre persone, russe anche loro.
“ Privet Lara!” esclamò Katarina fiondandosi tra le braccia della giovane donna, che la strinse forte.
“Privet Kathy!”
[Privet significa ciao in russo]
Le due conversarono velocemente in russo, raccontandosi le rispettive novità. Katarina aveva iniziato il corso di disegno da poco, e lo detestava cordialmente. Preferiva le materie scientifiche, come Irina. Ogni volta che tornava a casa per le vacanze estive e invernali, quando per qualche mese lei e la madre facevano finta di essere una famiglia normale, passavano il tempo a divorare testi del genere. Quando si trattava di problemi in storia e nelle lingue, veniva da Lara.
“Lara, perché Irina non viene mai a trovarmi?”
“Ha tanto da fare. Lo sai, il centro di ricerca… e poi deve viaggiare tanto.”
“Tu però vieni ogni volta che è possibile.”
“È Irina quella che parla con i tuoi professori, però. A proposito, ragazzina, cos’è questa storia che vai male in spagnolo e inglese? Non lo sai che sono le lingue più parlate al mondo?”
“Non mi entrano in testa, Lara!”
“Pensavo di avertele spiegate bene lo scorso inverno.”
“Io le cose le capisco solo se me le spieghi tu. O Irina. Perché sei qui? L’incontro è fra un paio di mesi.”
Lara sospirò, e fece sedere Katarina.
“Kathy, è successa una cosa brutta.”
“Quanto brutta?”
“Molto brutta.”
“Le persone cattive ci hanno trovato?” domandò con gli occhi pieni di lacrime.
Le persone cattive. A distanza di vent’anni, guardava Katarina e rivedeva le sue lacrime, la sua paura, tutto quello che aveva provato quella notte.
“Hanno trovato Irina, e le hanno fatto del male” disse Lara con la voce tremante. Ora stava piangendo anche lei.
“Ma Irina è forte, nessuno è più forte di lei!”
“Katarina, Irina è morta.”
“NO! NON È VERO, SEI UNA BUGIARDA!” urlò Katarina scoppiando in lacrime. Lara tentò di abbracciarla, ma la ragazzina la spinse via e corse fuori dalla stanza, diretta alla stanza dove dormiva con la sua compagna di stanza. Lara che conosceva la strada la percorse lentamente, dando tempo a Katarina di sfogarsi in solitudine.
Dalla porta socchiusa sentiva i singhiozzi della bambina, e ognuno era un colpo al cuore. Aprì lentamente la porta, e si avvicinò al letto dove Katarina stava piangendo, stringendo forte il cuscino già bagnato di lacrime.
“Kathy…”
“Perché è morta? Perché?”
Che si poteva dire ad una bambina di otto anni in quell’occasione? Lara non lo sapeva. Forse non c’era niente da dire, forse sì, ma lei non era in grado di parlare.
“Lara, voglio tornare in Russia.”
“Lo sai che non è possibile.”
“Voglio vedere la sua tomba.”
“Pensi che ti aiuterebbe ad andare avanti?”
“Voglio dirle addio. Lara, mi manca già così tanto…”
“Anche a me, piccola” mormorò Lara abbracciando Katarina, e carezzandole piano i capelli scuri con una mano “Irina manca tanto anche a me. Ti porterò da lei… e al diavolo le regole di Chantal Lacroix.”
La direttrice trovò subito mille difficoltà, ma Lara era decisa a portare via Katarina da quel posto il prima possibile, e non si sarebbe fatta fermare da quella donnetta slavata che sbraitava in francese. La salma di Irina riposava a Mosca, e Katarina voleva renderle omaggio. Che il resto andasse pure all’inferno.

Era lei che avrebbe dovuto fare forza alla bambina di otto anni che camminava per il cimitero al suo fianco, ma invece era Katarina a stringere forte la mano della donna che ora rappresentava tutto quello che restava dell’unica famiglia che avesse mai conosciuto. Nell’altra c’era un mazzo di rose gialle, le preferite da Irina. Katarina le depose accanto alla lapide, e incominciò a conversare con la donna in russo, mentre Lara assisteva da lontano. Stava per rimettersi a piangere, quando sentì una mano sulla spalla.
“Basta lacrime, almeno per oggi.”
Si era voltata, e dietro di lei c’era Sark, che l’aveva abbracciata e baciata.
“Dovevo immaginarlo che eri venuta qui. Così quella è Katarina?” disse, indicando la bambina ai piedi della lapide.
“Sì.”
“Quanti anni sono passati? Sette?”
“Otto.”
“A me sembra ancora ieri che passando per fare un saluto a mia sorella mi hai aperto con quella bambina tra le braccia.”
“E con mia madre che mi urlava da dietro che era ora di metterla a dormire. Non so come hai fatto a rimanere serio in quell’occasione. Mary non ce l’ha fatta di certo.”
“Vive sempre in Svizzera?”
“Sempre a Lugano.”
“Non pensi sia rischioso farla venire qui?”
“Sta solo mettendo dei fiori su una tomba. E io la sorveglio a vista. Se qualcuno osa sfiorarla gli sparo all’istante.”
“La riporterai in collegio?”
“Devo farlo… ma tra qualche giorno. Non è nelle condizioni psicologiche per tornare subito in quel posto.”
“Quando ritornerai a Taipei dovremo discutere di molte cose.”
“Va bene.”
“Lara, qui est-il?” mormorò Katarina, che aveva silenziosamente raggiunto la donna.
“Je suis un ami de Lara. Je m’appelle Andrew. Et toi doit être Katarina.”
Sark le sorrise, ma Katarina rimase vicino a Lara, senza dare troppa confidenza all’uomo.
“Kathy non ama gli estranei.”
“Neanche a me piacciono particolarmente. Torni a casa?”
“Sì. Ci vediamo a lavoro… ti avviso io.”
“Va bene.”

Questa volta, quando ritornò in quella casa, ebbe la sensazione che non l’avrebbe rivista mai più. Cacciò subito via quel pensiero, e si dedicò solo ed esclusivamente alla bambina per tutto quello che restava del giorno.
Rimasero in quella casa per circa cinque giorni, senza vedere nessuno. Katarina aveva pianto i primi giorni, poi aveva smesso. Lara passando per caso di fronte alla sua stanza l’aveva sentita parlare al suo riflesso allo specchio. Si diceva che doveva reagire, che Irina non l’avrebbe mai voluta vedere così, che piangere non l’avrebbe riportata da lei. Certe volte Lara si stupiva che Kathy avesse solo otto anni, era molto più matura della sua età… probabilmente era stato il crescere in una famiglia composta solo da lei e Irina. Non era stata una cosa facile.
Lara pensava di restare una settimana, ma era stata la bambina a chiederle di ritornare a Blonay. Non posso mancare perché c’è il compito di matematica, le aveva detto. In questo era precisa uguale ad Irina, il dovere innanzitutto. Così avevano chiuso la casa, e comprato i biglietti aerei per la Svizzera. Da lì Lara sarebbe proseguita per Hong Kong e per Taipei.

Durante il volo di ritorno, rilesse più e più volte la lettera che le aveva lasciato la madre.
La frase che esprimeva i suoi timori sull’agenzia e le paranoie di Vladimir le fece ritornare in mente il discorso che aveva avuto con lui il giorno dell’attacco. Vladimir le aveva accennato ad un traditore, forse lo aveva fatto anche con la madre, ed entrambe avevano liquidato i suoi dubbi. Forse erano più che semplici impressioni, e forse erano costate la vita a sua madre. Appena tornata a Taipei e riprese le redini dell’agenzia, decise, avrebbe chiamato Vladimir e chiesto il suo aiuto. Oltre che un bravo istruttore, era anche un esperto nell’uso delle macchine della verità, e lei aveva bisogno di sapere di chi poteva fidarsi e di chi no.
Come immaginava, Olga non ne fu affatto contenta. Voleva che Vladimir lasciasse tutto, e non avrebbe cambiato idea neanche per Lara. Suo marito però decise ugualmente di aiutare la ragazza.
“Ha il diritto di sapere chi ha ucciso sua madre, e se posso aiutarla lo farò.”
“E noi abbiamo il diritto di vivere in pace.”
“Olga, ma ti sei ascoltata? Chi sei, dov’è la donna che conoscevo?”
“Qui davanti a te, stanca e delusa dalle tue menzogne!”
“Si tratta solo di un esame con una sofisticata macchina della verità. Con un esame del genere è impossibile mentire. Lara vuole sapere di chi fidarsi e chi no. Solo questo.”
“Giurami che sarà solo questo.”
“È Lara che te lo giura. Sa che non vuoi, e l’ultima cosa che vuole è farci del male, ma pensa a quanto dev’essere in crisi per decidere proprio di fare questa scelta.”
“Dopo di questo, non voglio più sentir parlare di spionaggio.”
“Potremmo ritornare in Russia. Lara farà in modo che nessuno senta più parlare di noi.”
Questo rasserenò visibilmente Olga.

Era tutto diverso, eppure tutto era allo stesso tempo uguale. Il centro di ricerca, i sottolivelli, la base operativa, il nuovo archivio, non era mutato niente. Anche l’ufficio di sua madre era ancora lì, con tutte le sue cose ancora nei cassetti, le foto sulla scrivania. Lara entrò, e si sedette lentamente alla sua scrivania, decidendo che da quel momento in poi quello sarebbe stato il suo ufficio. A sua madre avrebbe fatto piacere? Si sentiva come se stesse violando il freddo sepolcro di una regina, tra l’altro potente e temuta… No, non le sarebbe dispiaciuto. Probabilmente si sarebbe fatta una risata, e poi avrebbe ripreso l’aria preoccupata che doveva aver avuto mentre le scriveva quella lettera, al pensiero che non avrebbe smesso di vivere a quel modo anche dopo la sua dipartita. Lara lo avrebbe voluto, sinceramente, se solo le cose fossero state diverse. Se sua madre fosse morta per un incidente chiaro, di malattia, o cose del genere, allora avrebbe posto fine all’agenzia, liberato gli operativi dall’impegno preso verso di lei e sua madre, e se ne sarebbe andata in Svizzera a prendere Katarina, per vivere con lei nella splendida casa di famiglia. La morte di Irina però era tutto tranne chiara, e non avrebbe avuto pace fino a quando non fosse riuscita a mettere a posto tutte le tessere del mosaico di fronte a lei.
Sark fu il primo a vederla insediata al posto di comando, e la cosa lo aveva lasciato sorpreso, anche se non disse niente. Quello che provò a fare invece fu tentare di far ragionare la fidanzata riguardo quello che aveva in mente di fare.
“Potresti non avere mai una risposta.”
“Correrò il rischio.”
“O potresti venire uccisa. Katarina rimarrebbe senza nessuno al mondo. O anche di questo non ti importa? L’agenzia non è più come quella che abbiamo conosciuto all’inizio del nostro lavoro, e ora che l’Uomo è morto…”
“Per quanto ne sanno tutti, l’Uomo potrei benissimo essere io.”
“Ti prego, Lara…”
“Proprio tu cerchi di convincermi a mollare il lavoro?”
“Tua madre sapeva che tu non sei né crudele né spietata, doti che servono a mandare avanti fino in fondo questi traffici. Ascoltami… sciogliamo questa organizzazione, e andiamo a Galway, io, te e la bambina. Mettiamo fine a questa vita di spionaggio, di omicidi, e la ricerca di Rambaldi. Non porteranno a niente di buono.”
“Quanto mi piacerebbe… e lo faremo, Andrew. Non appena avrò guardato negli occhi l’assassino di mia madre mentre muore.”
Ogni altra argomentazione portata da Sark si rivelò inutile, perché Lara rimase ferma nelle sue decisioni.
Tutti si sottoposero al test eseguito da Vladimir, ma i risultati furono chiari, nessuno dei sopravvissuti era una talpa. Lara non sapeva se esserne felice, o triste.
Anche Vladimir non sapeva che pensare. Era certo che ci fosse qualcuno che mentiva, e di sicuro abile a suddividere i centri di interesse e a controllare la propria emotività.
“Mi pare di cogliere una velata minaccia a Sark.”
“Come ti ho già detto, non mi piace quello che non conosco, e Sark è un mistero per me. Forse non per te, ma per me lo è.”
“Se fosse veramente un traditore come pensi tu, perché mi avrebbe salvato dalla CIA? Perché sarebbe ancora qui?”
“Perché a dispetto di tutto quello che credevo possibile, ti ama. Forse sarò monotono, ma tieni gli occhi aperti. Non voglio essere costretto a portare Katarina a visitare la tua tomba.”
“Torniamo ai risultati. Ce ne sono di troppo perfetti?”
“No. Uno troppo perfetto sarebbe subito saltato agli occhi, te lo avrei detto, e avrei iniziato a indagare.”
“Grazie comunque. E ora vai, Olga ti starà aspettando. Dille che non ho più intenzione di coinvolgerti in quello che farò, mai più.”
“Lo farò. Buona fortuna, Lara.”

Appurato una volta per tutte che poteva fidarsi di tutti gli operativi sopravvissuti, Lara decise di iniziare la sua crociata personale per scoprire l’assassino di sua madre. Era stata creata una storia convincente, e nessuno aveva sospettato la verità su quanto era accaduto ormai un mese prima. Decidendo di iniziare dal principio, Lara andò all’obitorio per visionare il referto sull’autopsia fatta alla madre. Sapeva già di cosa era morta, ma voleva sapere il come, la traiettoria del colpo, la distanza, il calibro dell’arma, e soprattutto se era un’arma di ordinanza dell’agenzia.
Appena entrata, si rese conto che nessuno l’avrebbe aiutata, anche se fosse ricorsa ai parecchi dollari americani che portava con sé. Il referto era scomparso nel nulla, e sembrava che nessuno ricordasse, o volesse ricordare, di aver mai esaminato il cadavere della signora Irina Derevko.
Fu solo quando uscì da quel posto, che qualcuno ebbe il coraggio di avvicinarla.
“Lei è troppo curiosa, signorina. Non le porterà niente di buono, mi creda…”
“Scusi, ci conosciamo?”
“L’ho vista fare domande riguardo un certo referto… io posso aiutarla.”
“Davvero? Non credo proprio, signor…?”
“Lindquist. Goran Lindquist.”
“Non credo, signor Lindquist…”
“Dottor Lindquist.”
D’accordo, dottor Lindquist. Non credo che lei possa aiutarmi.”
“Non sono in cerca di soldi, mi creda.”
“Ah no?”
“Sto rischiando la pelle ora a parlare con lei, e può anche non credermi ma non auguro a nessuno di essere minacciato di morte solo per aver compilato un referto scomodo!”
L’uomo sembrava sincero, e sinceramente spaventato. Lara si ritrovò a volergli dare fiducia, e gli disse di raggiungerla in un locale in periferia, tra due ore.
“Prenda tutte le precauzioni del caso. Non usi la sua macchina, giri a vuoto prima di venire, e non si faccia notare.”
“Ora anche lei mi sta spaventando.”
“Bene. In questo modo spero che arrivi vivo al nostro prossimo incontro.”

Le due ore passarono in un lampo. Lindquist arrivò dopo di lei, con un cappello calato sugli occhi, e l’aria guardinga. Notò Lara al bancone, di fronte ad un caffè, e la raggiunse.
“E ora parli.”
“Innanzitutto le mie condoglianze per…”
“Non mi interessano. Che cosa sa della morte di Irina Derevko?”
“La donna è morta per un solo colpo di arma da fuoco diretto al cuore, sparato da distanza ravvicinata. Il proiettile è di una Six Towers, ma non le so dire molto altro. È stato durante il tentativo di rapina a quel centro medico, giusto?”
“Sì. Continui.”
“Lei non è la prima che è venuta a chiedere informazioni. Anche un uomo, giovane… aveva un accento straniero, forse inglese o americano, non so distinguere… non gli hanno detto niente. Poi mentre stavo ricontrollando l’archivio mi sono accorto che mancava proprio quella cartella. A quel punto qualcuno mi ha sbattuto a terra e puntato una pistola alla nuca. Mi ha detto che sapeva che il referto lo avevo stilato io, e che se avessi mai parlato con qualcuno di quello che avevo trovato mi avrebbe ucciso come un cane.”
“E perché ora sta parlando con me?”
“Perché ho rimesso in ordine le mie priorità, da un mese a questa parte. Glioblastoma. Ho un tumore maligno al cervello, che mi ucciderà entro l’anno, o forse anche meno. Che parli o no, il risultato non cambia. Preferisco alleggerirmi la coscienza.”
“Cos’ha trovato di strano nel reperto, dottor Lindquist?”
“Questo è il punto. Niente. La causa della morte è chiara come il sole. Il decesso è avvenuto, come le ho detto, a causa di un colpo di arma da fuoco che ha colpito il cuore. Un colpo sparato da molto vicino, qualche passo, direi. Il decesso è stato istantaneo o quasi, e considerato lo stato in cui è arrivato, il rigor mortis eccetera posso affermare che la morte è sopraggiunta intorno alle diciotto e trenta di quel giorno.”
“Diciotto e trenta? Non può essere, mia m… voglio dire Irina è morta alle diciotto e cinquanta, è quanto hanno detto i dipendenti del centro.”
“No. Diciotto e trenta. Quando una persona muore, per essa il tempo si blocca in quel preciso istante, e le posso giurare che è morta esattamente a quell’ora.”
“Grazie per essere venuto.”
“Spero trovi quello che sta cercando.”
“Aspetti…” mormorò Lara, fermandolo. Dalla borsa tirò fuori una mazzetta di banconote da cento dollari e gliela mise in mano di nascosto.
“Ma…?”
“Lasci la città, subito, e si nasconda. In un biglietto infilato nella mazzetta troverà il nome e l’indirizzo di qualcuno che la potrà aiutare a farlo. Se proprio la morte è nel suo destino, almeno cerchi di allungarsi la vita per quanto possibile.”
L’uomo sorrise piano, annuì velocemente, e se ne andò. Lara si era voltata verso qualche rimaneva del suo caffè, ormai freddo, e fece segno al barista di servirgliene un altro, stavolta corretto con qualcosa di molto forte. Diciotto e trenta. Venti minuti di differenza tra quell’ora e la supposta ora di morte di sua madre…
Stava ancora riflettendo, il suo cervello intento a fare collegamenti frenetici, quando il cellulare suonò. Lara meccanicamente lo prese e lo accostò all’orecchio.
“Derevko.”
“Guarda la strada, Derevko” disse una voce metallica, camuffata.
Lara votò la testa giusto per vedere il medico che aveva appena parlato con lei salire nella macchina presa in prestito dall’altra parte della strada, girare la chiave del quadro di accensione, ed esplodere insieme ad essa.
“Smettila di fare domande, o la prossima volta a farne le spese saranno i tuoi amici russi Olga, Ivan e Vladimir.”
La telefonata si interruppe, lasciando solo il segnale di linea interrotta. Lara non lo notò neanche, il suo sguardo era ancora rapito dall’esplosione. Lentamente il cellulare che teneva in mano scivolò e le cadde a terra.

***

Diciotto e trenta. Non riusciva a pensare ad altro. Un uomo le aveva dato solo quella minuscola tessera del mosaico, ed era morto. Questo poteva significare solo una cosa, e cioè che chi aveva ucciso sua madre era lì a Taipei, e cosa peggiore, la stava tenendo d’occhio da molto vicino.
“…e così pensavo di partire per Denpasar per trattare l’acquisto di quelle armi.”
“Cosa?” esclamò Lara riscotendosi dai suoi pensieri. Sark, dall’altro lato della scrivania di sua madre, sospirò e prese uno sguardo eloquente.
“Lara, hai sentito una sola parola di quello che ti ho detto?”
“Denpasar. Acquisto di armi.”
“E prima?”
“Scusami, Andrew, non volevo distrarmi.”
“Lara, è fondamentale che su quella partita di missili ci mettiamo le mani noi, e non l’SD-6. Dopo che hanno perso il loro fornitore principale, Anini Hassan, sono alla ricerca di ogni possibile rimpiazzo.”
“Non nel nostro territorio. Sloane mi ha reso la vita difficile quando mi occupavo solo di Rambaldi, non gli permetterò di continuare. Parti pure, e ritorna con quelle armi. Ne abbiamo bisogno per ricostruire gli arsenali.”
“Lara, stai bene? Hai una brutta cera.”
Lara scosse la testa, e disse a Sark che non aveva dormito bene la notte precedente. Dopotutto era vero: il viso di Goran, e la sua morte, si erano fissati nella sua testa e li rivedeva ogni volta che chiudeva gli occhi, insieme al cadavere di sua madre. Due morti, e sicuramente un solo carnefice.
Quella minaccia le faceva paura. Non poteva interrompere la ricerca, ma non poteva permettere che fossero Olga, Vladimir, e Ivan a farne le spese. D’un tratto le balenò un’idea folle in testa. Sì, avrebbe funzionato. Doveva solo aspettare che Sark partisse, lui non avrebbe mai capito, e tantomeno approvato.

Diciotto e trenta. Una volta sola esaminò di nuovo il rapporto eseguito dopo l’incursione, alla ricerca di risposte. Lei era andata a cancellare il server verso le diciotto e dieci, ed era arrivata verso le venti. L’operazione non aveva preso più di cinque minuti. Poi era arrivata al SL-29, ed era stata aggredita. Nello stesso tempo aveva creduto che sua madre stesse organizzando la resistenza, e che la squadra fosse arrivata alle diciotto e cinquanta, quando era stata accertata la morte di sua madre. Sua madre però, secondo lo scomparso dottor Lindquist, era già morta da venti minuti. Come?
La talpa misteriosa, ecco l’unica risposta. Aveva freddato sua madre, di sicuro con un silenziatore, ed era uscito come se niente fosse dall’ufficio, senza essere sospettato. Aveva disabilitato il sistema anti intrusioni, e aveva partecipato alla distruzione dell’agenzia. Una talpa che, ora ne era certa, doveva essere viva. Il fatto di non poterle ancora dare un volto la riempiva di sconforto. Quel test con la macchina della verità ora perdeva di valore, i suoi operativi erano di nuovo tutti sotto accusa. Avrebbe voluto avere Vladimir al suo fianco, ma non avrebbe mai e poi mai infranto una promessa fatta a Olga e Ivan. Ad ogni modo, non aveva dimenticato un paio di nomi che Vladimir le aveva menzionato come importanti.

***

Olena Marinovskaja era una donna solitaria, più giovane di Irina di un paio d’anni, che aveva abbandonato il mondo dello spionaggio e l’SVR, pur rimanendo coinvolta indirettamente. Olga non lo sapeva, ma era una vecchia fiamma di Vladimir ai tempi del KGB, quando era un agente operativo del controspionaggio. Olena era della sezione sicurezza, e aveva un fiuto incredibile per trovare i traditori… o per far in modo che certe persone sembrassero tali. Da Vladimir sapeva che una volta ritirata aveva iniziato a lavorare come semplice investigatrice privata, facendosi un nome nella sua nuova città di residenza, Hong Kong. Per i vecchi amici che non avevano lasciato il mondo dell’intelligence certe volte faceva loro qualche favore, come investigare su certi agenti sospettati di tradimento, scavalcando senza destare sospetti la sezione sicurezza. Lara, ad Hong Kong, prima ancora che decidesse di chiedere aiuto a Vladimir, era andata da lei. Olena, che aveva conosciuto vagamente Irina ai tempi dell’agenzia, aveva ascoltato quanto Lara aveva da dirle. Era stata lei a suggerirle di usare proprio quella macchina della verità con i suoi operativi, e di chiedere a Vladimir di farlo. Ora che però si era vista l’inefficacia del mezzo, Lara aveva bisogno di Olena in persona.
Olena aveva accettato di buon grado l’incarico, e le aveva fatto sapere che si sarebbe subito recata da lei a Taipei. L’appuntamento era in uno dei grandi alberghi del centro, sempre pieni di gente in arrivo e in partenza da ogni parte del globo. Dopo essersi guardata intorno, Lara si diresse senza esitare verso uno dei divani, dove aveva visto una donna dai capelli neri seduta come se stesse aspettando qualcuno.
“Salve, signora Marinovskaja.”
“Olena va più che bene, Lara. Siediti.”
“Le devo dire subito che la situazione è degenerata.”
“Un altro morto?”
“Sì.”
“Hai sospetti?”
“Nessuno. I risultati sono tutti nella norma.”
“Quindi devo considerare tutti i nomi che mi darai come delle possibili talpe.”
“Esatto” mormorò Lara, passandole un dischetto.
Olena lo mise in borsa, e fece per alzarsi.
“Aspetti… forse una cosa strana c’è. Quando sono andata a cercare il referto dell’autopsia, il medico mi ha detto che qualcun altro era andato a fare domande. Il suo accento era straniero, forse inglese o americano.”
“Mi risulta tu abbia un operativo che venga dal Regno Unito.”
“È il mio numero due. Mia madre ed io ci siamo sempre fidate ciecamente di lui.”
“A volte la fiducia può essere la peggior cosa. Considerami pure troppo scrupolosa, ma vorrei il nome di quest’uomo.”
“Sarà una perdita di tempo, la avviso, comunque il nome è Sark… Andrew Sark.”
“Bene. Inizierò subito. Non preoccuparti, Lara, avrai le tue risposte. Mi piacciono le sfide, e detesto fallire.”
Lara le strinse la mano, e se ne andò via rimettendosi gli occhiali da sole. Aveva lasciato la reggenza a Ilir per quel giorno… lei ora doveva prendere un aereo.

***

Non erano passati neanche due giorni da quando aveva consegnato la lista a Olena, che successe un’altra cosa del tutto inaspettata. Gliela comunicò Sark, di ritorno vittorioso da Denpasar con la fornitura di armi.
“Lara, Korolenko è scomparso nel nulla.”
“Che cosa?”
“La casa è stata ripulita, nessuno sa niente di lui, della moglie o del figlio. Spariti come se non fossero mai esistiti.”
“Forse sono tornati in Russia.”
“No, ho già controllato. Una squadra è in partenza per…”
“Aspetta un momento, che stai dicendo?”
“Vladimir ci ha rubato le nostre liste di contatti europee, oltre a quelle di Nottingham. Le userà per sparire, probabilmente, ma non possiamo permetterlo!”
“Lascia stare, Andrew.”
“Perderemo di credibilità se non faremo niente!”
“Più di quanto abbiamo già perso? Vladimir sta solo cercando di proteggere la sua famiglia, e io gli sono debitrice per tutte le volte che lui e la sua famiglia mi hanno aiutato. Se è così che devo pagare il debito, sia.”
“Stai sbagliando, Lara.”
“Forse sì. Ma non posso andare contro quella che sono. E ad ogni modo, non potevamo più permetterci di mantenere quelle reti di informatori, lo sapevi già anche tu. Non ci ha fatto nessun danno.”
“Che gentile.”
“Veniamo alle cose più serie. Ilir mi ha fatto sapere che durante il viaggio di ritorno hai acquisito informazioni interessanti.”
“Sì, è così. Echelon. Abbiamo la possibilità di acquisire un terminale d’accesso, rubato alla NSA, e…”
Lara avrebbe ricordato quella conversazione. Da quel giorno in poi sarebbero iniziate a cambiare molte cose.

***

Marinovskaja, implacabile e senza timori, proseguiva nell’analisi dei profili che Lara le aveva dato. Nessuno degli operativi di lunga data sopravvissuti avrebbe mai osato tradire Irina, o sua figlia, a meno che non avesse avuto una ragione più che valida, e riguardo gli operativi più giovani… forse tra loro era più probabile, ma non sicuro. E poi c’era quella storia dell’accento straniero…
Sark rimaneva il suo sospettato maggiore. Aveva perso un membro della sua famiglia durante quella che era risultata una missione suicida, poteva nutrire desiderio di vendetta, anche se il suo comportamento suggeriva il contrario.
Analizzando poi il profilo di Ilir Smirnoff, Olena decise che avrebbe sospettato anche di lui. C’erano troppe poche informazioni al suo riguardo, e gli uomini che aveva pagato per scoprire qualcosa su di lui non le avevano detto niente di diverso da quanto scritto in quel dischetto. Quei due uomini sembravano non avere una vita al di fuori del loro lavoro, e la cosa le sembrava alquanto strana. Sospetta.
L’altro nome che Vladimir menzionava, questa volta non per conoscenza personale visto che si trattava di un quasi coetaneo di Lara e Ivan, era Vassilj. Olena lo conosceva perché era uno specialista nel frugare nel passato delle persone. Se c’era qualcosa da trovare, l’avrebbe trovata. Abile a trovare il passato, e ancora più abile a nascondere il suo. A parte il nome, che poteva benissimo essere falso, nessuno sapeva altro, nemmeno lei che non era certo l’ultima arrivata. L’unico problema di Vassilj era quello di essere un mercenario, e di non avere mai alleanze vincolanti… tutto nella sua vita era flessibile, e gli improvvisi mutamenti di bandiera non erano rari.
Con lei però non si era mai comportato da bastardo. Chissà perché. Ma se un giorno l’avesse fatto, lo avrebbe ucciso. Olena Marinovskaja odiava essere ingannata o presa in giro.

Nessuno aveva detto che scoprire chi aveva eliminato sua madre sarebbe stato semplice, ma Lara non pensava neanche che sarebbe stato tanto difficile. Non osava incolpare Olena, perché era una professionista nel suo lavoro, quindi se la prendeva con il tempo, che passava e non ritornava indietro.
Ormai era passato quasi un anno, e le cose erano tornate quasi alla normalità. L’aver acquisito un punto di accesso ad Echelon era la cosa migliore che poteva succedere per rimettersi presto in carreggiata. Il reclutamento procedeva, e anche l’acquisizione di nuovi manufatti di Rambaldi. Per non pensare, Lara si era dedicata con tutta sé stessa al lavoro diventando sempre di più quello che non sarebbe mai voluta diventare. Incredibile come cambiavano le cose.
Poi, improvvisamente, quella telefonata.
“Vediamoci al cimitero dov’è sepolta Irina, domani. Dì a tutti che andrai a farle visita per portarle dei fiori, perché non sei riuscita ad andarci per l’anniversario della morte.”
Olena non le disse altro. Lara uscì quasi a precipizio dal suo ufficio, e al cellulare prenotò un posto sul volo della notte per Mosca. Sark si sarebbe infuriato quando non l’avrebbe trovata… beh, ci avrebbe pensato sul volo di ritorno.

Lara, con in mano un mazzo di rose, si diresse alla tomba di sua madre, e si inginocchiò di fronte.
“Ciao, mamma… scusa se non vengo tanto spesso, ma ci sono tanti problemi… tu sai di che parlo, no? Kathy sta bene… è sempre molto brava in scienze, ma continuo a non capire perché odi così tanto la storia. La mantengo la promessa, sai? Troverò chi ti ha messo in questo posto, e ti ha impedito di essere viva per la cerimonia di diploma della nostra piccola. Te lo giuro ancora una volta, lo troverò e gliela farò pagare…”
“Lara Derevko?”
Lara si era girata, ma alle sue spalle vide una donna sconosciuta. Lara le chiese che cosa volesse, o perché sapesse il suo nome, e la donna rispose che aveva incontrato una signora dai capelli neri all’entrata.
“Quella donna mi ha detto di chiamarla, e di dirle di raggiungerla…”
Lara salutò sua madre, appoggiando il palmo della mano sull’immagine posta sulla tomba, e ringraziata la donna andò all’incontro con Olena.
Era sorprendente come Marinovskaja sembrava non cambiare mai. I capelli neri raccolti, la perfetta carnagione avorio, le scarpe nere lucide, abito e soprabito di sicuro usciti fuori da una sartoria piuttosto costosa, l’aria di aver passato la giornata su una chaise-longue invece che a lavorare per l’incarico che le aveva dato.
Osservarla era quasi confortante, come un punto fermo nel caos.
“Ci sono novità?”
“Sì. Ho delle novità piuttosto grosse. Ma andiamo nel mio albergo, non facciamoci vedere in giro.”
Una volta nella stanza di un lussuoso albergo del centro, dopo essersi accertate di non essere seguite, Olena e Lara si rilassarono un momento.
“Posso offrirti qualcosa? Un caffè?”
“Qualcosa di molto forte, per favore.”
“Vodka?”
“Perfetto.”
“È un po’ presto per bere.”
“Lo so… ma non mi interessa. Ho smesso di preoccuparmi dell’opinione degli altri quando ho preso in mano l’agenzia.”
“Non era un giudizio. Liscia?”
“Sì.”
Olena si diresse verso il mobile bar, e prese la bottiglia del superalcolico. Lara vide che ne versava due bicchieri, e tornando verso di lei le porse il suo.
“Prosit.”
Lara ne bevve un sorso, Olena svuotò il bicchiere.
“Bene, e ora pensiamo agli affari.”
“Hai detto di avere delle grosse novità. Di che tipo?”
La donna andò verso il tavolo al centro della stanza, dove erano posati molti fogli, e fotografie.
“Ho analizzato e fatto pedinare tutti i tuoi operativi, tenendo per me quelli che ritenevo più importanti. Mi dispiace dirtelo, ma hai almeno un’altra talpa in casa.”
“Spiegati meglio.”
“Quando mi hai parlato dell’accento, mi sono concentrata su Sark, anche se eri restia. Poi mi è capitato in mano il dossier dell’agente Smirnoff. Per entrambi mi sono avvalsa dell’aiuto di Vassilj, credo tu sappia a chi mi riferisco… o no?”
“Sì, lo so. Vladimir mi ha sempre detto che se avesse mai dovuto indagare su qualcuno si sarebbe rivolto a te per il presente, e a Vassilj per il passato. Insieme siete quanto di meglio c’è sulla piazza. Continua, ti prego.”
“Ilir Smirnoff mi ha dato da pensare. Di lui non si sa praticamente niente. Non ha famiglia, né amanti, neanche un cane. Però, puntuale come un orologio, ogni venerdì sera esce e va ad un ristorante cinese dall’altra parte della città, ordina pollo alle mandorle e un tè al gelsomino, e cena in una saletta privata. Da uno dei camerieri ho saputo che non cena mai da solo, un uomo è sempre là dentro ad aspettarlo dieci minuti prima del suo arrivo e se ne va dall’uscita posteriore venti minuti dopo l’uscita di Smirnoff. Sulle prime pensavo che fosse ancora del Direttorio K, che in qualche modo Kessar o qualche altro pezzo grosso fosse sopravvissuto, e avesse ordinato l’omicidio di tua madre come vendetta per la loro rovina, ma quando ho avuto l’audio della conversazione ho capito che stavo sbagliando di grosso.”
“Per chi lavora quel bastardo?”
“CIA.”
“Cosa? Ne sei certa?”
“Assolutamente. Durante la conversazione l’uomo l’ha chiamato per nome. Ilir Smirnoff in realtà si chiama John Matheson.”
Lara si lasciò andare ad una risata, appoggiando schiena e testa alla poltrona dove si era seduta.
“Lo trovi così divertente?”
“Se sapessi come stanno le cose, lo troveresti divertente anche tu.”
Olena avrebbe voluto capire meglio che cosa intendesse Lara, ma la ragazza non disse niente. Le disse di continuare il suo lavoro, e che a Matheson avrebbe pensato lei.

“Dove sei stata?”
“Ciao, Andrew, buongiorno anche a te” rispose Lara, entrando in casa e accendendo le luci. Sark era lì, ad aspettarla, nel buio più completo. Il volo era partito in ritardo, invece che in serata era arrivata all’alba del giorno dopo, e discutere con Sark dopo un volo insonne era l’ultima cosa che aveva intenzione di fare. Sark non pareva dello stesso avviso.
“Rispondimi.”
“Ero a Mosca. È passato più di un anno da che mia madre è morta, e la nostra agenzia è stata presa d’assalto. O te lo sei dimenticato? Sono andata a portarle dei fiori, e a piangere un po’ sulla sua tomba, scusa se mi sono dimenticata di dirtelo, ma non credevo di dover rendere conto a te anche di questo!”
“Lara, hai voluto mantenere l’agenzia anche quando ti ho detto che era una follia, ma non puoi prendere e mollare tutto quando ti pare e senza lasciare detto dove vai. Potevi farlo quando eri un’analista, ma ora sei il capo, dannazione, ficcatelo in testa!”
“Volevi dirmi altro?”
“Ci vediamo tra qualche ora. Abbiamo un briefing con la squadra che dobbiamo inviare a Berlino.”
Si era alzato e se n’era andato senza un saluto, lasciando Lara in piedi, sulla soglia del soggiorno. Se avesse avuto qualcosa sottomano, l’avrebbe presa e l’avrebbe lanciata. Invece, trovò vicino a sei una poltrona, e si sedette tenendosi il viso tra le mano. Dopo qualche istante, iniziò a singhiozzare.

Il briefing di quella mattina riguardava delle testate nucleari russe rubate durante la messa in atto del piano di smantellamento dell’arsenale nucleare dell’ ex unione sovietica. Sark, dimostrando di essere ancora parecchio seccato, aveva lasciato l’intera presentazione a lei… ringraziando la sua buona stella, era uno dei fascicoli che aveva con sé quando era corsa fuori per prendere l’aereo per Mosca. Mentre illustrava il momento in cui la squadra sarebbe dovuta intervenire per rubare le testate, nascoste a Berlino, vide tra i presenti Ilir, anzi, John. Seguiva con estrema attenzione ogni sua parola, pronto a ripeterla al suo supervisore. Lara dovette trattenersi dal calare su di lui e fargli scontare subito il suo tradimento.
Quando la squadra se ne andò all’armeria, Lara chiamò Ilir nel suo ufficio.
“Che cosa posso fare per te, Lara?”
“Ilir, mi fido molto di te, questo lo sai. Ma a pensarci bene più che a Berlino mi sarai più utile a Tokyo, a sovrintendere alla nostra cellula di stazza lì. La Yakuza sta minacciando i nostri investimenti, ed è bene che capiscano che non abbiamo mollato. Credi di poter partire in tempi brevi?”
“Sarò a Tokyo lunedì.”
“Perfetto. Puoi andare.”
Lara riguardò il calendario. Era venerdì.

Il ristorante ‘Saeng’ era un tugurio piccolo e stretto, dall’aria impregnata dall’odore di fritto, e torbida di fumo. Ilir entrò nel locale, e subito uno dei camerieri lo riconobbe e lo accompagnò alla solita saletta dov’era solito cenare ogni venerdì sera.
Mentre stava per aprire la porta, si ritrovò a sorridere senza motivo. No, un motivo c’era. Per quindici minuti, poteva smettere di essere Ilir Smirnoff, e ritornava ad essere semplicemente John Matheson.
“Come va, Edward?” domandò al suo supervisore, dopo aver chiuso la porta dietro di sé.
“Ora molto bene… Ilir.”
A John corsero molteplici brividi lungo la schiena. Seduta al tavolo dove doveva trovarsi Edward, il supervisore della missione, c’era Lara. E sul tavolo era posata la sua pistola.
“O mio Dio.”
Aveva fatto per indietreggiare, ma Lara aveva impugnato la pistola, sempre restando seduta e gli aveva intimato di non provare nemmeno a scappare.
“Ho avuto un anno che mi ha portato sulla soglia dell’esaurimento nervoso, non mettere alla prova i miei nervi un’altra volta. E ora siediti.”
“Che cosa hai fatto al mio supervisore?”
“Diciamo che si è preso una piccola vacanza da sé stesso…”
Sinceramente, non pensava che metterlo al tappeto sarebbe stato tanto facile. Era arrivata con largo anticipo al ristorante, e si era nascosta nel retro, aspettando l’arrivo dell’agente. Olena le aveva procurato un distintivo contraffatto, e le aveva detto la procedura da fare per entrare, quindi a lei rimaneva solo che prendere di sorpresa l’uomo, drogarlo, e simulare una rapina. Edward si sarebbe risvegliato in un vicolo poco distante, senza ricordare niente a parte il fatto di aver mancato l’appuntamento con il suo agente infiltrato.
“È ancora vivo?”
“Morto non mi servirebbe a niente. Come te. Ora tu mi dirai tutto, e forse cambierò idea sul fatto di denunciarti a Sark.”
John guardò Lara, e si rese conto che non stava scherzando.
“Sono un operativo della CIA.”
“Lo sapevo già. Dimmi qualcosa che non so.”
“Mi era stato detto di infiltrarmi nel Direttorio K sotto il nome di Ilir Smirnoff, per cercare di carpire informazioni sulle varie missioni che portavano avanti, concentrandomi principalmente su Rambaldi. Quando il Direttorio è crollato, e mi è stato offerto di venire a lavorare per l’Uomo, ho accettato subito.”
“La CIA sa chi è l’Uomo?”
“Sa solo che è morto, e che era una donna. Non ero ad un livello abbastanza alto per saperlo, prima dell’incursione.”
“L’incursione… l’agente Vaughn è scappato grazie a te, vero?”
“Sì.”
“Lo sospettavo. E immagino che la sua resistenza al Penthotal sia stata anche questa opera tua.”
“Hai fatto domande sul referto dell’autopsia di mia madre?”
“Sì. Ma non ho saputo niente.”
“Sei stato sincero. D’accordo, per il momento basta così. Non mi interessa quello che hai detto alla tua agenzia.”
“E allora cosa vuoi da me?”
“Voglio che tu sappia che ora so chi sei, e che la tua vita è nelle mie mani. C’è un traditore nelle file della mia agenzia, e voglio che tu mi aiuti a trovarlo. Sarai i miei occhi e le mie orecchie tra i miei operativi, e non provare a fregarmi. La stessa persona che mi ha fatto arrivare qui, sarà anche l’ultima cosa che vedrai prima che ti uccida. Ah, goditi il the al gelsomino, è veramente ottimo.”
Lara detto questo si alzò, e lasciò la sala. John ricominciò a respirare.

C’era ancora un’altra cosa da sistemare, e ora che stava iniziando ad avere le risposte che voleva, sentiva che mancava veramente poco per ottenerla completamente.
Era arrivata di fronte al palazzo dove abitava Sark, e aveva notato le luci accese, cosa veramente insolita per lui il venerdì sera. Di sicuro era ancora risentito nei suoi riguardi, ma voleva perlomeno tentare di parlargli.
Un’altra cosa sicura, Lara se ne rese conto, fu che non si aspettava di vederla di fronte alla sua porta.
“Che fai qui?”
“Aspettavi qualcun altro?”
“No… entra.”
Lara mosse qualche passo dentro l’appartamento, e si levò la giacca che appoggiò sulla spalliera del divano. Notò che sul tavolino lì vicino c’era una bottiglia di vino, vuota per tre quarti, e un bicchiere.
“Perché sei venuta qui?”
“Non lo so. Forse ti volevo chiedere scusa… non sono stata pienamente in me durante quest’anno, e ho l’impressione di commettere errori uno dietro all’altro.”
Sark non disse una parola, e Lara continuò a parlare, sempre dandogli le spalle.
“Tu e mia madre avete sempre avuto ragione, io non posso resistere in questo mondo, anche se ci ho provato. Andrew, è ancora valida la tua proposta?”
Sark non voleva credere alle sue orecchie.
“Lara, davvero hai deciso di accettare la mia proposta?”
Lara si voltò, e annuì “Sì.”
Lentamente, raggiunse la chiusura della catenina dove un anno prima aveva messo l’anello di fidanzamento, la aprì, e porse l’anello a Sark.
“Complimenti, ci sei riuscito. Non proprio nei tempi che ti eri prefisso, ma ci sei riuscito.”
Sark sfilò dal dito di Lara la fede nuziale, e mise al suo posto l’anello che le aveva regalato. La fede Lara la infilò nella catenina che portava al collo, anche se lui non capiva perché volesse tenerla ancora, ma non le fece domande. Sapeva solo che finalmente era riuscito a convincerla, e che avrebbero lasciato quel mondo alle spalle.
“Ci vorrà un po’ di tempo. Dovremo organizzare le cose.”
“Abbiamo tutto il tempo del mondo.”
“E poi voglio che Katarina torni a vivere con te. Non trovo giusto che dobbiate vivere separate. Insomma, tu sei sua… Lara, che succede?”
Lara si era rattristata in viso nel sentir nominare il nome della bambina, e Sark le chiese che cosa le fosse accaduto.
“Non le è successo niente. Ho solo preso una decisione per il suo bene… quella che mia madre non ha avuto il coraggio di prendere per me.”
“Cosa hai fatto?”
“Kathy non vive più in Svizzera, anzi, dove viva esattamente non lo so. So solo che l’ho affidata a delle persone che le vorranno bene come gliene voglio io, e la faranno crescere lontano da tutto questo… lontano da me.”
“Perché, Lara? Tu adori quella bambina! Non le hai mai fatto del male.”
“Ah no? Ho dovuto mentirle sulla morte di Irina, le mentivo in continuazione su quello che faccio, su dove andavo, chi vedevo, sui lividi che a volte avevo addosso… Katarina è molto sveglia, può fare qualsiasi cosa, diventare qualunque cosa lei voglia, e non posso precluderle questo solo perché io ho commesso degli errori. Lei non pagherà per le colpe mie e di mia madre. Mai.”
Gli occhi di Lara erano pieni di lacrime, e Sark l’aveva abbracciata, lasciando che si sfogasse. Finalmente le sue distrazioni, gli scatti di umore, e tutte le altre cose avevano un senso.
“Quando…?”
“Appena dopo il furto di Vladimir. Non avrei mai immaginato che mi facesse tanto male non vederla più…”
“Quando avremo sistemato le cose qui, niente ci impedirà come ultima missione di andare alla sua ricerca. Nessun bambino dovrebbe crescere separato dalla sua famiglia. Vedrai, Galway è un posto splendido, e tu e Kathy l’adorerete, te lo prometto.”

***

“Io e Sark ci sposiamo.”
“Lo credi saggio?” domandò Olena dall’altro capo del filo. “Non ho ancora avuto una risposta da Vassilj su di lui.”
“Di Sark io mi sono sempre fidata.”
“Quando avete deciso di sposarvi?”
“Come minimo tra sei mesi, ma potrebbe volerci un po’ di più. Dobbiamo sistemare molte cose, tra l’agenzia, il matrimonio, la casa...”
“E il lavoro che mi hai assegnato, Lara?”
“Continualo. Spero tu arrivi ad una conclusione entro questo termine, perché dopo non vorrò più sentire parlare di niente anche lontanamente imparentato allo spionaggio.”
“Farò del mio meglio. Come hai risolto con Smirnoff?”
“Non ho risolto… non nel modo che intendi tu. Credo mi sarà utile. Tu indaghi dall’esterno, lui dall’interno. Se prova a fare qualche scherzo lo uccido.”
“Bene. Vassilj mi contatterà a giorni, ne sono certa. Così sarai più tranquilla.”
“D’accordo. Ciao, Olena.”

***

Il responso di Vassilj non arrivò.
Il ragazzo era scomparso dalla faccia della terra, ed erano ormai due mesi che era partito per il regno Unito e la Russia, alla ricerca di materiale. Era un comportamento che ci si poteva aspettare da lui, diceva Olena che lo conosceva bene, ma non durante una missione. Qualcuno doveva sapere di loro, e delle indagini che stavano svolgendo.
Il pensiero di Lara corse a Ilir, alias John Matheson, ma poi si ricordò che era solo un agente di un’agenzia governativa, e senza gli agganci necessari per entrare in contatto con gente che potesse conoscere Vassilj. Rimaneva solo la talpa, viva, e ansiosa di farle sapere che non aveva smesso di seguirla, anche se era rimasta silenziosa fino a quel momento.

Lara, entrando nel suo ufficio, ebbe per la prima volta il timore che ci fosse qualcuno che ascoltasse le sue conversazioni, telefoniche e non, e che la cosa potesse capitare anche a casa.
Alzò la cornetta, e disse a Sergej che sarebbe andata da lui.
“Ciao Lara, in che posso aiutarti, oggi?”
Sergej la conosceva da quando era entrata a far parte dell’organizzazione, come Vladimir, e non si sarebbe mai sognato di chiamarla ‘miss Derevko’ o ‘signora’ come facevano gli altri a parte Sark e Ilir. Per lui rimaneva sempre la stessa ragazzina di diciannove anni che era venuta a farsi spiegare come si caricava una pistola perché non ne aveva mai vista o tenuta una in mano prima di quel momento.
“Non sono qui per esercitarmi… non oggi, almeno. Ho bisogno che tu faccia una cosa per me. Tu rimani sempre per ultimo, qua dentro, e sei il primo ad arrivare, vero?”
“Sì. Perché?”
“Vorrei che controllassi il mio ufficio. Ho paura che dovrò ricorrere alla disinfestazione.”
“Disinfestazione… ho capito. Vuoi che ci pensi io all’eliminazione?”
“No, dimmi solo che hai trovato, e dove. Penserò io al resto.”
“Come desideri, capo.”
“Ah, Sergej… Senti, levami una curiosità. Quanti operativi usano una Six Towers, qua dentro?”
“Perché questa domanda?”
“Curiosità. È una splendida arma.”
“Se mi ricordo bene, Smirnoff, Patan, tu, e qualche altra decina. Non mi ricordo.”
“Non Sark? Mi sembrava di avergliene vista maneggiare una.”
“No, ne sono certo. La sua è una nove millimetri, la pistola più precisa sulla terra, come dice Eastwood in quel film. Ci sono forse problemi?
“Lascia stare. Ricordati della disinfestazione, Sergej, e fammi sapere.”

Era appena uscita dall’armeria, che si trovò di fronte Ilir. Le fece cenno di seguirlo, e la portò nel SL-29.
“Sentiamo, hai qualcosa da dirmi?”
“Se scoprono che sto facendo il triplo gioco…”
“Non ti ho mai chiesto di fare il triplo gioco. Quello che fa la CIA non mi interessa. Che hai da dirmi?”
“Mentre passavo vicino al suo ufficio, ho ascoltato una telefonata di Sark. Ha fatto imprigionare a Marsiglia qualcuno.”
“Chi?”
“Qualcuno che stava investigando sul suo conto, credo, la telefonata è stata molto corta.”
“C’è dell’altro.”
“Sì. Proprio qui in questo sottolivello. Uno degli archivisti ha notato delle cose strane, e ha detto a me. Io ora lo dico a te. In questo sottolivello sono stati uccisi degli uomini.”
“Cosa?”
“Sergej non è l’unico a passare molto tempo qui. L’archivista di cui parlo ha eletto questo posto come sua casa, e mi ha detto che una sera, mentre finiva il suo lavoro, ha visto degli uomini portare via delle sacche… sacche che contenevano corpi. Ne ha contate nove.”
“E dove?”
John indicò una stanza in fondo al corridoio.
“Mio fratello è alla scientifica, diciamo che so cosa guardare e come.”
Aprì la porta, e Lara ci guardò dentro. Niente, tutto era pulito, e non c’era assolutamente niente all’interno. Guardò John, e l’uomo accanto a lei raggiunse l’interruttore e spense le luci.
L’agente era rimasto fermo accanto a lei, senza mostrarsi troppo impressionato da quanto vedeva. Ma per lei era un’altra cosa. C’erano impronte insanguinate, schizzi di sangue, lungo tutto il pavimento e le pareti, e nel buio risplendevano di una luminescenza sinistra. Lara aveva una mano alla bocca, come se volesse evitare di urlare, ma la voce non usciva, gli occhi fissavano quelle strisce di luce sbarrati, increduli
“Chiunque sia stato non sapeva che il sangue non va via semplicemente lavandolo.”
Lara uscì dalla stanza barcollando, e cercando a tastoni una parete a cui appoggiarsi. Le mancava l’aria, e sentiva dentro di sé un peso, fatto di urla che non riusciva a sciogliersi.
“O mio Dio… o mio Dio…”
“Conficcato in un angolo ho trovato un proiettile. È di una nove millimetri.”
Lara neanche lo stava a sentire. Continuava a non riuscire a credere a quel che aveva visto.
“La CIA può offrirti la protezione testimoni, Derevko. Tu stai rischiando la vita qui, inutilmente, e puoi fare di meglio con quello che sai…”
“Non mi daranno mai la protezione testimoni, signor Matheson, o Smirnoff, o come diavolo vuoi essere chiamato. Sono nella lista dei ricercati dalla CIA, sono perfino evasa da una loro struttura di detenzione. Sai che mi faranno? Mi sbatteranno in una cella, e sarà questione di giorni, forse mesi se sono fortunata, prima che decidano di mandarmi a morire con un’iniezione letale o altro. Tanto vale che rimanga qui e faccia quello che posso per trovare quel figlio di puttana.”
“Morirai.”
“Certo. Ma a lui andrà anche peggio.”
Ormai sapeva che sarebbe morta comunque. Quella sua ricerca della verità non poteva avere altra fine.

***

Vassilj fissava la porta della sua cella.
Da cacciatore era diventato preda, e la cosa non gli garbava affatto.
Non capiva però a che pro ingabbiarlo in quel posto. Avrebbero potuto sparargli e buttare il corpo in mare, invece si ostinavano a tenerlo in vita… forse la sua testa valeva il rischio, lei e tutto il suo contenuto di informazioni. Allora perché non lo stavano torturando? Mistero.
In due mesi aveva pensato molto a chi avrebbe potuto giocargli quel tiro, ma la risposta era sempre quella: il suo ultimo e misterioso obbiettivo. Evidentemente al signore non piaceva che degli estranei andassero a frugare nella sua vita passata. Non era scappato fino ad allora perché voleva avere tempo di fermarsi un attimo, riordinare le idee. E voleva vedere come si sarebbero evolute le cose per lui. Ora però gli stava venendo a noia quella sistemazione forzata, e dalla suola della scarpa levò fuori quello che assomigliava ad un coltello a serramanico. Lo nascose dentro la manica della camicia che aveva addosso, e attese che venissero a servirgli il pranzo.
“Ehi, russo, non sei ancora morto avvelenato?”
Vassilj fece un appunto mentale sul modo di uccidere quell’uomo. Se possibile, doveva essere lungo e doloroso, tanto quanto era stato per lui il suo soggiorno con un carceriere del genere.
“Sto parlando con te!” disse l’uomo, un colosso algerino, sollevando da terra il giovane russo come fosse un fuscello. Vassilj lasciò scivolare giù dalla tasca il coltello fino a quando non sentì l’impugnatura in mano, e tagliò la gola dell’uomo. L’algerino spalancò gli occhi per la sorpresa, e incrociò i freddi occhi dorati del suo aggressore prima di cadere a terra. Continuando a guardare l’uomo morente, Vassilj prese la sua pistola e controllò i colpi nel caricatore. Era ancora pieno, e la cosa lo rallegrò.
Uscì dalla sua cella senza preoccuparsi di essere visto. Percorse solo qualche metro prima di sentirsi intimare di fermarsi nella sua lingua.
“No, non mi va. Ritenta, sarai più fortunato.”
Continuò a dirigersi verso la fine del corridoio, forte del fatto che l’uomo dietro di lui non avrebbe sparato. Il loro principale, quasi sicuramente, voleva avere lui l’onore.
Le guardie erano diventate quattro, una dietro di lui e tre davanti. Che seccatura, pensò Vassilj, alzando lentamente le mani. In un lampo, il coltello sporco di sangue, nuovamente nascosto nella manica, ritornò nella sua mano. Vassilj si voltò e lo lanciò, colpendo la guardia al cuore.
L’attimo di sorpresa delle altre guardie fu il loro grande errore. Vassilj prese la pistola che aveva rubato al primo agente morto, e fece fuoco.
Sperava non ci fosse nessun altro. Odiava lasciare tracce e testimoni dietro di sé.
Con passo veloce, uscì da quell’edificio abbandonato in mezzo al niente, e prese una delle auto dei suoi carcerieri. Doveva arrivare a Losanna e in fretta.
Olena Marinovskaja doveva essere furiosa con lui. Vassilj deglutì nervosamente pensando a com’era finito l’ultimo freelance che l’aveva tradita, ma aveva tutte le attenuanti del caso. E si sarebbe fatto perdonare con il contenuto della sua cassetta di sicurezza.

***

Sergej effettuò la disinfestazione, ma di cimici neanche l’ombra.
Lara se lo aspettava, in fondo. Se mai ci fossero state, ora erano state tolte, visto che lo scopo era stato raggiunto. Ringraziò l’armaiolo, e ritornò al sottolivello dove aveva il suo ufficio.
Rimaneva il mistero di quell’esecuzione nell’SL-29. Il proiettile era di una nove millimetri, ma non aveva bisogno di esaminare la rigatura del proiettile per sapere che proveniva senza dubbio dall’arma di Sark. E decise di andare a dirglielo.
“Per quanto credevi di tenermi nascosta la verità?”
“Di che parli, Lara?”
“Lo sai benissimo.”
“Sono sotto accusa?”
“Sì. Lo sei.”
“E cos’avrei fatto?”
“Dimmelo tu” disse Lara, posando sulla scrivania dell’ufficio di Sark una busta di plastica con all’interno il proiettile. “È stato trovato in una stanza dell’SL-29, conficcato in un angolo del muro. In quella stanza, tra l’altro, mura e pavimento erano completamente schizzati di sangue. Certe tracce non si cancellano con una semplice pulita.”
“Come lo hai saputo?” mormorò piano Sark.
“Non ha la minima importanza, Andrew.”
Per la prima volta da quando lo conosceva, Sark non le sembrò padrone della situazione.
“Lara… non avresti mai dovuto scoprirlo.”
“Voglio tutta la storia.”
“Quando l’agenzia fu ripristinata, dopo l’attacco, e mi resi conto che tu e il prigioniero eravate scomparsi, mi ricordai che per ogni evenienza tu avevi nascosto in quel braccialetto che hai sempre un dispositivo di localizzazione. L’ho seguito, e ti ho liberato. Mentre aspettavo all’ospedale però, ricevetti una telefonata. Avevano trovato tua madre. Dopo quello che Irina aveva fatto per me e mia sorella, mi sono sentito in dovere di vendicarla.”
“Quegli operativi avrebbero potuto dirci molte cose! Per chi lavoravano, per esempio, chi li aveva assoldati, da chi era partita l’idea.”
“Non avrebbero mai parlato. Ho preferito risparmiarti questa incombenza, amore. Eri sconvolta da tutto quello che ti era successo… l’attacco, il rapimento, l’incidente, eri stata anche quasi uccisa con quel colpo di pistola alla testa…”
“Insomma, ti dovrei ringraziare.”
“Non lo pretendo. Ho solo pensato di proteggerti, non volevo ingannarti. Credimi.”
E Lara gli credette. Desiderava credergli con tutto il cuore.
Ma quelle ultime parole le avrebbe ricordate a lungo.

Erano passati da casa sua perché doveva mettere in cassaforte dei documenti, ma quando arrivarono di fronte alla porta si resero conto che era aperta, e la serratura scassinata.
La casa era stata rivoltata e messa a soqquadro. I cassetti erano svuotati e il contenuto sparso sul pavimento, altri chiusi a chiave portavano i segni di un ferro da scasso. La cassaforte, dietro un quadro ora squarciato, era aperta e vuota. Gli altri locali non erano certo in migliori condizioni. Lara pensò che la calata dei barbari in Europa di sicuro aveva fatto meno danni. Sembrava un tentativo di rapina, a giudicare dalla scomparsa del denaro in cassaforte e degli oggetti di pregio che Sark collezionava, ma non riusciva a capire perché stesse letteralmente sbiancando. Sembrava in preda al panico, e neanche questo Lara immaginava di lui.
“Dobbiamo chiamare la polizia.”
“Se è una battuta non fa ridere.”
“Viviamo con un altro nome, ricordi? Non è Andrew Sark ad essere stato rapinato, ma Victor Ramsey.”
Sark sembrava averlo scordato, ma non voleva assolutamente coinvolgere la polizia di Taipei. Lara lo aiutò a mettere un po’ d’ordine in quel caos, una cosa che come minimo avrebbe preso tutta la sera.
“Non occorre che resti, Lara.”
“Hai bisogno di aiuto, e non dire di no.”
Il cellulare di Lara suonò. Olena.
“Pronto?”
“Lara, sono io. Vassilj è qui.”
“Michelle? Ciao! Mi dispiace che però non potremo più essere in affari insieme…”
“Non puoi parlare?”
“No. È una decisione irremovibile. L’agenzia non si può ancora permettere di riallacciare la branca europea.”
“Allora ascolta solo. Vassilj era stato rapito e tenuto imprigionato per mesi, ma è scappato e mi ha fatto avere le informazioni che ha raccolto in giro per l’Europa. So chi ha ucciso tua madre, e chi ha organizzato il commando.”
“Da-Davvero? Oh, ma è una notizia incredibile…”
Coprì il microfono con la mano e si rivolse a Sark, che la guardava con aria perplessa.
“È Michelle Dahlgren. Città del Capo.”
“Ah, capisco. E qual è questa notizia?”
“Si sposa.”
“Falle le mie congratulazioni, allora” disse, portando fuori di casa due sacchi pieni di roba da buttare.
“Parla, ma in fretta. Chi?”
“Lara, preferirei non dirtelo per telefono.”
“Chi?”
Olena fece un respiro profondo. Avrebbe preferito farla sedere e ubriacare di vodka, perché la notizia le avrebbe fatto molto, molto male.
“Lara, il mandante dell’omicidio di Irina e del commando che ha semidistrutto la tua agenzia è un’unica persona… e io credo che tu sappia a chi mi sto riferendo. È Sark.”

Lara aveva ringraziato Olena, aveva chiuso il cellulare, e lo aveva rimesso in borsa. Poi si era seduta sul divano, fissando il vuoto. Si sentiva come anestetizzata, o svuotata. Totalmente incapace di sentire qualcosa, o di percepire il mondo esterno. Nella sua testa risuonava la voce di Olena, che le ripeteva che l’uomo che lei aveva giurato di uccidere era l’uomo che avrebbe dovuto sposare tra qualche mese…
Poi si sentì scuotere per una spalla. Quando si riscosse, vide Sark davanti a lei.
“Che ti succede? Sembravi in trance.”
“Niente… Niente, davvero. Sto benissimo. Non si vede?”
Sark non le credeva, si vedeva chiaramente… poi lo vide sorridere.
“Non ti preoccupare. Ritroveremo Katarina. È per lei, vero?”
“Sì…” mentì Lara “Non avrei mai immaginato che mi potesse fare tanto male saperla lontana.”
“Non sarà ancora per molto.”
Lara disse che si sentiva molto stanca, e che sarebbe tornata a casa. Sark la lasciò andare, e Lara si precipitò fuori da quel palazzo. Guidò come una pazza fino al suo appartamento, e corse fino a quando non si trovò con le spalle appoggiate alla porta chiusa del suo appartamento, chiusa a doppia mandata. Solo allora sfogò tutto il dolore e la rabbia che aveva dentro.
E lui voleva trovare Katarina… povero illuso. Nessuno ci sarebbe riuscito.

***flashback***
Lara esce dall’albergo dove ha incontrato Olena. È nervosa, incerta sul da farsi, ma sa anche che è l’unica cosa da fare. Chiama un taxi, e gli dà un indirizzo scritto su un biglietto. L’uomo guida, attraverso il traffico, e la porta a destinazione: la meta di Lara è l’ambasciata americana.
Lara entra, si guarda intorno levandosi gli occhiali da sole, e poi si dirige verso una receptionist.
“Posso aiutarla?”
“Credo proprio di sì. Mi chiamo Lara Anja Derevko, e sono una terrorista scappata alla custodia del governo americano qualche anno fa. Crede sia possibile farmi parlare con l’agente Vaughn o l’agente Bristow? Voglio fare un accordo con la CIA.”
La donna balbetta un debole ‘attenda un attimo, prego’, e sparisce. Arrivano due soldati armati che si avvicinano a Lara e la scortano fino ad una sala riunioni, rimanendo di guardia all’interno.
La notizia rimbalza a Langley, e da Langley a Los Angeles. Nel giro di mezz’ora viene approntato un sistema di comunicazione satellitare, lei e gli agenti avrebbero parlato in videoconferenza.
“Ciao, papà. Quanto tempo.”
“Che cosa vuoi?”
“Che tu riesca ad ottenere dalla CIA immunità e protezione testimoni… ma non per me. Una famiglia è in pericolo, e li voglio fuori da Taiwan il prima possibile.”
“La CIA non tratta con i terroristi.”
“Neanche in cambio dei nomi e dei nomi in codice di tutta la rete di Nigel Nottingham e della mia rete europea?”
Lara sorride, può quasi immaginare le facce degli altri presenti nella sala con suo padre, quasi sicuramente Vaughn, Kendall, Devlin, e qualcun altro.
“Che c’è, sei senza parole?
“Perché fai questo?”
“Te l’ho già detto, voglio questa famiglia al sicuro e fuori da Taiwan il prima possibile, e se devo vendere informazioni al servizio segreto che mi da la caccia, va bene lo stesso.”
“E le loro vite valgono quella lista di contatti?”
“Dimmelo tu.”
“Potrebbero.”
“Decidi in fretta se il tempo va cambiato al presente o no, non rimarrò qui in eterno.”
“Credevo avessi bisogno di noi.”
“Non siete gli unici servizi segreti al mondo, e queste informazioni fanno gola a molti. Se voi non mi aiuterete, qualcun altro lo farà.”
“Siamo interessati” disse Devlin, apparendo alle spalle di suo padre.
“Bene. Consegnerò la lista non appena avrò visto l’accordo che garantisce l’immunità e la protezione testimoni ai miei amici, controfirmata da lei e dall’agente Bristow.”
“Ci servono i nomi.”
“Vladimir Korolenko, Olga Theotokys Korolenko, Ivan Korolenko… e Katarina Sophia Derevko.”
A Lara non sfuggì il moto di sorpresa di suo padre nel sentire il cognome dell’ultima componente della lista.
“Non disturbatevi a cercare precedenti, non ce ne sono. Vi do ventiquattro ore per decidere se volete accettare la mia proposta.”
Lara interrompe il collegamento, e si alza. I soldati vorrebbero fermarla, ma hanno ricevuto chiari ordini di non farle niente.
“Ci vediamo domani” dice alla donna ancora spaventata all’entrata, poi esce e sparisce nel traffico, diretta all’aeroporto.
La sua meta è Blonay. Di nascosto dalla signorina Lacroix entra e porta via Katarina, senza avere il tempo di fare i bagagli. Le dice solo che deve venire via con lei, e che quel posto non è più sicuro. Kathy non capisce, ma a Taipei è felice di rivedere Olga, Vladimir e Ivan. Lara lascia la bambina da loro, e una volta addormentata spiega alla famiglia quello che è successo, e cosa ha fatto.
“Ho chiesto alla CIA di farvi entrare nella Protezione Testimoni.”
“Che cosa? No, assolutamente!”
“Olga, ti prego…”
Olga è sconvolta, non vuole neanche sentirne parlare, mentre Ivan riflette sulla situazione. Per una volta nella vita, è d’accordo con suo padre, che come Lara ritiene la soluzione accettabile.
Anche Olga capisce che non c’è altra via, e il racconto delle ricerche di Lara, e della morte di quel medico, sembrano convincerla del tutto. Il suo sguardo però è quello di una donna che non dimentica, e Lara incontrandolo teme di non poter mai più essere sua amica. Le dice che comprenderà, se deciderà di odiarla, ma la prega di occuparsi di Katarina.
“Kathy ha bisogno di una famiglia e di una madre. Io e mia madre abbiamo fallito in entrambe le cose.”

Il giorno dopo, al suo ritorno, tutto si svolge come prima, ma nella sala riunione questa volta trova suo padre, già seduto che la sta aspettando.
“Devlin ha inviato me per farti vedere l’accordo.”
Lara lo legge. Non l’hanno ingannata. Firma sotto la firma di suo padre, e riconsegna il foglio. Dalla borsa tira fuori un CD-ROM, e lo porge a suo padre.
“Qui ci sono le liste. È una cosetta piuttosto lunga… come un romanzo di Tolstoj.”
“Fai venire gli interessati qui all’ambasciata. Partiranno stanotte per gli Stati Uniti.”
“Bene.”
La conversazione finisce, e piomba il silenzio. Nonostante il legame di sangue, sono due perfetti estranei.
I Korolenko e Katarina arrivano all’ambasciata, e viene loro spiegato che cosa capiterà quella notte, e nei giorni a seguire. Kathy, che non comprende ancora bene l’inglese, per lei solo l’ennesima lingua straniera che Irina voleva che apprendesse, si fa spiegare tutto in russo da Lara.
“Ma noi ci rivedremo, vero, Lara?”
“Ma certo, tesoro” disse lei, sentendosi come Giuda. Come poteva mentire a quella bambina? Con che coraggio? Dovette ripetersi che lo faceva solo per il suo bene, per darle una vita migliore, ma non ci credeva molto ugualmente.
“Perché non vieni?”
“Perché devo fare ancora molte cose qui. Ma ti raggiungerò, saprò trovarti, anche se avrai un nome diverso. Nel frattempo ubbidisci a Olga e Vladimir, mi raccomando.”
Katarina ubbidisce, e abbraccia forte la donna “Ti voglio bene.”
“Anch’io, piccola. Ma ora devi andare.”
“Aspetta” dice la bambina, levandosi una collanina d’argento con l’effigie di una santa. “Te la ricordi? Me l’ha data Irina. È santa Sofia. Se ti aiuterà a sbrigare le faccende che devi fare, ci metterai meno e verrai prima a cercarmi.”
Lara stringe la piccola icona, e si fa forza per non piangere. Osserva Kathy raggiungere Olga e gli altri, e in un lampo la sua unica famiglia è scomparsa nel nulla.
“La tregua con te durerà altre tre ore. Te ne puoi andare.”
“Addio, papà” mormora Lara, ed esce dall’ambasciata. Ora può piangere.

***flashback***

La rabbia che provava la faceva tremare. L’amore che aveva provato si era tramutato in odio, e l’unica cosa che voleva fare era regolare il conto, una volta per tutte
Prese la borsa, e uscì di nuovo a precipizio, recandosi da Sergej.
“Domani, non ti presentare al lavoro. Per nessuna ragione al mondo voglio vedere la tua faccia all’agenzia, né la tua né quella degli altri operativi. Nessuno deve esserci.”
Oltre a quelle parole, diede all’uomo gli estremi di uno dei suoi conti cifrati, che si trovava alle Cayman. Lara gli disse di considerarla una liquidazione per il servizio svolto per lei e la madre.
“L’agenzia domani chiuderà i battenti. Definitivamente. Se vuoi un consiglio, scappa, e non ti voltare indietro. Se vuoi avvisare qualcuno, fallo, ma solo tra quelli fedeli a me e a mia madre.”
Per contattarlo era andata all’agenzia di notte, ma trovandosi lì decise di fare anche un’altra cosa. Andò al server, e scaricò su quattro CD l’equivalente elettronico della Bibbia, prima di cancellarla definitivamente.

Una cosa che aveva preteso da Matheson, era che le dicesse esattamente dove abitava, così andò da lui. Nel vederla tanto sconvolta e arrabbiata, l’agente per un istante pensò che fosse venuto per ucciderlo, ma Lara si limitò a dirgli le tre frasi che aveva detto a Sergej e ad andarsene, dopo avergli consegnato la busta con i CD, dicendogli solo che la sua copertura poteva dirsi bruciata e di tornarsene al suo paese alla svelta.

Quella notte andò anche da Olena, al solito albergo dove alloggiava. Finalmente fece la conoscenza di Vassilj, che scomparve nel nulla qualche minuto dopo, e scoprì che la finta rapina all’appartamento di Sark era stata opera dell’uomo.
“Nella cassaforte Vassilj ha trovato il referto, e l’arma del delitto. Sark si era sempre ritenuto al di sopra di ogni sospetto, dev’essere l’unica ragione per cui non si è sbarazzato di tutto.”
“Ora capisco perché mi diceva sempre di lasciare perdere…”
“Lara, che farai?”
“Risolverò il problema. E questa volta lo risolverò proprio nel modo che intendi tu.”

***
Camminava nel sottolivello deserto, felice che Sergej ci fosse riuscito.
Non riusciva a crederci. Possibile che fosse tutto una menzogna? Era un agente segreto, sapeva fare bene il suo lavoro ed era rispettata nell’ambiente… perché allora era così facile ingannarla quando si veniva alla sua vita privata? Non aveva proprio imparato niente dalle esperienze passate?
“Lara…pensavo fossi ancora a casa.”
Lara alzò gli occhi e vide Sark di fronte a lei. Doveva trovare strano quel silenzio irreale, e l’assenza di tutti. Forse ora stava iniziando a sospettare che qualcosa non andava.
“Sono venuta prima. Avevo del lavoro in sospeso.”
“Che genere di lavoro?”
“Lo sai, che genere di lavoro.”
“Non ti porterà a niente di buono questa tua ossessione per chi ha ucciso Irina.”
“Assassinato, Andrew. Il termine giusto è ‘assassinato’. Non dimenticherò mai l’immagine di mia madre a terra nel suo studio, e nessuno m’impedirà di scoprire chi è stato, e di fargliela pagare.”
“So anch’io come ci si sente, Lara, non te lo dimenticare. Dannazione, ho pagato caro quello che ho ottenuto! La vita di mia sorella!”
“Mary è morta per una fatalità. Mia madre no.”
“Davvero ci hai creduto? Lara, mi deludi.”
“Che vuoi dire?”
“Che ho osservato i piani di missione. Non te lo devo dire io che mia sorella era estremamente scrupolosa quando doveva pianificarne uno. Quella volta però le fu ordinato di andare con la squadra, per essere pronta a modificarlo al complicarsi della situazione. Ad un primo esame non sembra ci sia niente di strano, ma…”
“Ma… cosa?”
“Osservando le registrazioni satellitari ho visto che un operativo non ha rispettato la sua posizione.”
“E dov’è questo operativo?”
“È morto durante la missione. Non prima di aver sparato a mia sorella! Mary non è morta per una fatalità. È morta perché qualcuno voleva che morisse. E vuoi sapere chi ha dato l’ordine? Sono stati Derevko e Khasinau a ordinare la sua esecuzione!”
Lara fissava Sark, ma non lo riconosceva più. Aveva conosciuto molti Sark – il gelido ed efficiente killer, il fratello maggiore che Mary idolatrava, il collega affidabile che aveva giurato di non tradire mai, l’uomo di cui si era innamorata – ma l’essere pieno di risentimento di fronte a lei non assomigliava a nessuno di loro…o forse era il più vero fra tutti.
“Sapevi che voleva lasciare l’organizzazione? Voleva tornare a casa, a Galway, aveva capito che non poteva continuare a vivere in quel modo, neanche per me… Ha commesso l’errore di non nascondere abbastanza bene i suoi progetti, però. A quel maledetto bastardo di Khasinau non è sembrato vero di poterla levare di mezzo, e colpire con un colpo solo me e te. E tua madre lo sapeva. Sapeva tutto, e non ha fatto niente.”
“Che cosa hai fatto, Andrew?”
“Ho fatto quello che dovevo fare” rispose gelidamente.
Aveva levato di mezzo Nottingham, facendo in modo che la colpa ricadesse sull’Uomo. E facendo il doppiogioco, aveva contattato le altre organizzazioni e aveva creato il gruppo che si era introdotto nell’edificio…lo stesso che aveva giustiziato nel SL-29 affinché non parlassero e lo indicassero come responsabile…
Lara sentiva le lacrime che stavano scorrendo sulle guance, lacrime che bruciavano come se fossero di fuoco. La rabbia che aveva provato nel scoprire la verità le riespose dentro, e tirò fuori la pistola che aveva portato con sé.
“Hai ucciso tu mia madre…”
“Doveva pagare.”
Lara non riusciva più a tenere a freno le lacrime, e la mano che brandiva la pistola aveva iniziato a tremare, anche se impercettibilmente.
“E io? Per cosa dovevo pagare io?”
L’espressione di Sark mutò ancora. Ora rivedeva lo stesso uomo che era di fronte alla porta della sua cella, il giorno della sua scarcerazione dalla cella d’isolamento, con quello sguardo che sembrava esprimere sincera preoccupazione per lei...
“Non avresti mai dovuto saperlo. Lara, io ti amo. Puoi non credermi, ma io te lo dirò ugualmente. Sono sempre stato attratto da te, fin dal giorno in cui ti ho incontrato qui la prima volta… Saremmo potuti essere felici insieme, io, te, e Katarina…”

Due spari.

Lara sbarrò gli occhi, incredula, fissando gli occhi azzurri di Sark. Sembrava sinceramente dispiaciuto…forse lo era sul serio. O forse no. Stringeva convulsamente la sua pistola, come se potesse sostenerla, ma Lara era già caduta a terra, con una mano sull’addome macchiata di sangue…
Com’era ironica, la vita. Era venuta lì per uccidere Sark, ma era stato lui ad uccidere lei.

Rumore di passi.
Lara chiuse gli occhi un istante, e l’istante dopo Sark era inginocchiato al suo fianco, chinato sopra di lei. Posò la pistola a terra, e con la mano le scostò i capelli dal viso, prendendole poi il viso tra le mani per asciugarle le lacrime.
“Perché non mi hai voluto ascoltare, quando ti ripetevo che questa tua ricerca non ti avrebbe portato a niente di buono? Non sarei mai voluto arrivare a questo…”

Nel corridoio riecheggiarono gli echi di altri due spari.

Sark sorrise per l’ultima volta a Lara, che chiuse gli occhi e perse conoscenza. La mano che stringeva la pistola finalmente aveva allentato la presa. Cercò di rialzarsi in piedi, ma sapeva che le gambe non lo avrebbero sostenuto. Fissò la macchia di sangue che si stava allargando sui suoi vestiti. Non avrebbe dovuto sottovalutare Lara. Imparava fin troppo in fretta… Ma, mentre cadeva a terra al suo fianco, non riuscì a non pensare che almeno ora niente e nessuno li avrebbe più divisi.

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Alias Italia - Il dossier Sydney Bristow © 2003 Antonio Genna
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