ALIAS Italia

ALIAS ITALIA

FANFICTION

Scritto da Jade
Riassunto: che sarebbe successo se Irina avesse portato via sua figlia Sydney, invece di lasciarla con suo padre? In che modo sarebbe cambiata la sua vita?

Data di composizione: dal 31 gennaio 2003 al 7 aprile 2003
Adatto a: tutti

DISCLAIMER
Si ricorda che tutti i diritti del racconto sono di proprietà del sito "Alias Italia – il dossier Sydney Bristow", e che tutti i personaggi della serie "ALIAS" utilizzati sono di proprietà ABC, Bad Robot – Touchstone Television e sono utilizzati senza il permesso degli autori e non a fini di lucro. I personaggi nuovi sono di proprietà dell'autrice

...alias Lara Derevko

Laura Bristow aspettò la mezzanotte prima di alzarsi e di scendere al piano di sotto. Doveva fare attenzione, non voleva svegliare Sydney né tantomeno suo marito.
Soprattutto Jack doveva continuare a dormire… la donna sorrise al pensiero dell’uomo che aveva sposato ormai dieci anni prima. Un venditore di ricambi per aerei… Che stupido. Lei sapeva benissimo cosa faceva e per chi lavorava in realtà. Era l’unico motivo per cui era lì, l’unico motivo per cui l’aveva sposato e forse l’unico motivo per cui lei, Irina, aveva avuto una figlia. Certo era stato più facile di quanto potesse immaginare: accecato com’era dai suoi sentimenti, Jack non si era mai accorto dei microfoni che portava addosso praticamente ogni giorno, o di come lei ascoltasse sistematicamente tutte le sue conversazioni telefoniche quando era in casa.
Una cosa non prevista era stata la sua gravidanza. Avrebbe potuto eliminare la bambina subito, o appena nata, come volevano i suoi superiori, ma non se l’era sentita. Sydney era sua. Sua. Aveva già parlato con il suo contatto riguardo a questo. Con una dozzina di agenti CIA morti e un lavoro di spionaggio pressoché perfetto riguardo al Progetto Natale mandato avanti dall’agente Jack Bristow, poteva permettersi di dettare qualche regola sul suo ritorno in Russia.
Come tutte le notti, entrò nello studio di suo marito, e aprì la ventiquattrore dove lui conservava i documenti. Era questione di un attimo, solo fotografare i files segreti su cui stava lavorando. Quelli erano gli ultimi. Tempo qualche giorno, e lei e sua figlia sarebbero scomparse nel nulla.
Era già tutto deciso: lei sarebbe stata inseguita dall’agente Caulder, alias l’agente Valenko del KGB, sarebbero finiti fuori strada, e avrebbero finto le loro morti. Tempo qualche giorno per organizzare il rientro, e lei e sua figlia sarebbero partite. Di sicuro Jack non avrebbe avuto la stabilità emotiva per occuparsi di Sydney, se lo conosceva bene avrebbe assunto qualcuno. Bastava aspettare che uscisse per andare alla sezione della CIA a Los Angeles. Nello stesso tempo, la tata sarebbe stata da sola con la bambina, e un agente avrebbe preso sua figlia portandola da lei.

***

Sydney piangeva, e non capiva che stava succedendo. Un minuto prima si trovava nella sua casa con la sua tata, e un minuto dopo Rose era priva di conoscenza a terra e un uomo l’aveva presa e portata via, incurante delle sue lacrime e delle sue proteste, per portarla in un enorme hangar, insieme a persone che non aveva mai visto. Non appena aveva scorto sua madre era corsa tra le sue braccia, e Irina l’aveva stretta forte.
“Lo sapevo che non eri morta, lo sapevo!”
L’uomo con cui sua madre stava parlando le si era rivolto in una lingua che Sydney non capiva, e la madre gli aveva risposto usando la stessa lingua. Poi aveva preso in braccio sua figlia, e l’aveva portata in un angolo tranquillo, per calmarla e darle qualche spiegazione sul perché si trovassero lì.
Gli altri agenti fissavano la donna con curiosità, non capivano che ci facesse lì una bambina, ma lo sguardo fulminante di Irina mentre cercava di calmarla bastò per renderli zitti e senza voglia di fare domande.
“Mamma, dov’è papà?” piagnucolò Sidney, ancora spaventata per tutto quello che era successo.
“Papà non può venire con noi, tesoro” disse Irina rimettendola a terra. “D’ora in avanti saremo solo io e te.”
“Non voglio andare via!”
“Ti farò vedere il paese da cui vengo, la Russia. Ti piacerà, vedrai…cominceremo una nuova vita, con due nuovi nomi. Il mio nome sarà Irina Derevko, e tu ti chiamerai…vediamo un po’…Lara. Lara Derevko, come la nonna.”
“Lara?” domandò Sydney, tirando su col naso.
“Lara. Ti piace questo nome?”
“A me piace di più Sydney…”
“Tesoro, non è possibile” rispose Irina, inginocchiandosi di fronte a sua figlia. “Ci sono delle persone che ci cercheranno, ora, persone cattive. Se continuassimo ad usare i nostri nomi ci troverebbero subito… se invece li cambiamo, per loro sarà più difficile.”
“E se ci trovano lo stesso?”
“Non succederà, Syd. Te lo prometto” sussurrò Irina, abbracciando la bambina “nessuno ci separerà mai…”
L’abbraccio di Sydney, così saldo all’inizio, iniziò piano a perdere forza. Sydney stava crollando dalla stanchezza, e Irina la prese in braccio cercando un posto per sedersi e lasciar riposare in pace la bambina.
“Agente Derevko, ho bisogno di parlarti” disse l’uomo che prima aveva parlato con lei.
“So già a che proposito, Khasinau” rispose Irina, con gli occhi che mandavano lampi “e la mia risposta è no. Lei viene con noi.”
“Offuscherà la tua capacità di giudizio. L’ha già fatto, a quanto vedo.”
“Non succederà mai. Prima di essere sua madre, sono un membro del KGB, non l’ho dimenticato.”
“Lo spero per te, Irina. Tu e gli altri agenti della tua squadra sarete rimpatriati questa notte. Ci vediamo a Mosca.”
Irina osservò il suo superiore, Alexander Khasinau, allontanarsi per parlare con i piloti che avrebbero pilotato il volo da Los Angeles fino alla base designata in Unione Sovietica. Sua figlia continuava a dormire, e trovato un posto dove sedersi Irina si rilassò aspettando l’ora di partire. Sua figlia si mosse leggermente nel suo abbraccio, e Irina con una mano le carezzò piano i capelli scuri, come i suoi.
Lara. Lara era sua, solo sua…la sua bambina. Ascoltando il suo respiro regolare mentre dormiva appoggiata a lei, capiva che se l’avesse lasciata a suo padre l’avrebbe rimpianto per tutta la vita. Non lo avrebbe fato a vedere, non avrebbe pianto, ma sapeva che lentamente il ricordo l’avrebbe logorata dentro. Facendo così, invece, questo destino sarebbe toccato a Jack.
Jack, che non avrebbe potuto far altro che rassegnarsi e dimenticarle.

20 anni dopo

Al poligono di tiro, Lara Derevko prese in mano la sua pistola e inserì il caricatore con un colpo secco. Prese la mira, strinse più forte l’arma e premette il grilletto. Continuò a sparare fino a quando non esaurì i proiettili, e poi richiamò il bersaglio. Fece un piccolo sorriso nel constatare il risultato: nessun colpo era andato sprecato, tutti avevano colpito nel segno. Anche se principalmente il suo era lavoro d’ufficio, non le dispiaceva essere abile anche con le armi da fuoco.
Sentì un rumore familiare di tacchi arrivare dietro di lei, e sorrise più ampiamente, voltandosi con ancora la pistola tra le mani.
“Ottimo lavoro” esclamò Irina, vestita con un impeccabile tailleur da lavoro blu notte, simile a quello che indossava anche sua figlia, di colore nero.
“Dev’essere una cosa di famiglia. Anche tu hai una mira niente male.”
Detto questo, Lara appoggiò la pistola e abbracciò sua madre, per salutarla a dovere.
“Finalmente. Sarà un mese che non ci vediamo.”
“Almeno due, credo. A Taipei le cose con quelle schegge impazzite dell’FTL hanno preso più tempo del previsto. Come va l’università?”
“Va” disse Lara, prendendo la madre sottobraccio e uscendo dalla stanza. “Considerato che sono in viaggio per l’agenzia almeno per tre quarti dell’anno è un po’ difficile avere una frequenza regolare.”
“Vuoi un po’ di tempo fuori dall’agenzia?”
“Lo sai che non resisto lontana dal lavoro…ho tentato di essere solo una brava studentessa, ma sapere cosa succede in realtà, cose che le persone comuni ignorano… mamma, non fa per me.”
“Una settimana per gli esami di metà semestre. È un’offerta non negoziabile.”
“E va bene. Com’è andata in Kenya?”
“Siamo arrivati tardi. L’SD-6 ci ha soffiato il disegno di Rambaldi che volevamo per noi.”
“Pagherei per vedere questo Arvin Sloane soffrire atrocemente, e con lui chiunque gli faccia le soffiate.”
“Se saremo fortunate, li vedremo.”
“Dovevi dirmi qualcosa?”
Sì, Irina doveva dirle qualcosa, e ad un primo sguardo, si disse Lara, non doveva essere una cosa piacevole.
“Lara, tu sai perché mi trovavo negli Stati Uniti, te l’ho raccontato appena sei stata abbastanza grande da capire. Ma il mio incarico non è stato portato a termine del tutto.”
“Sapevo che dovevi eliminare delle persone. Te n’è sfuggita qualcuna?”
“Sì…ma non fare quella faccia sorpresa, ragazzina. Non sono vivi per caso. Alcuni sono agenti giovani, che potrebbero diventare…come dire…una spina nel fianco. Per quanto riguarda gli altri, i miei superiori al KGB erano dell’opinione che sarebbero diventate pedine interessanti…ma ora vanno eliminati.”
“Avevo sentito delle voci.”
“Bene, allora non andrò in dettagli.”
“E hai pensato a me?”
“Vladimir dice che hai una mira incredibile, che sei molto abile con quel genere di arma e non sei tipo da sbagliare bersaglio.”
“Perché io e non Sark? Ha molta più esperienza di me. E non sono certo al suo livello!”
“Lara, tu e lui siete in due situazioni diverse.”
“Ecco il perché…C’è ancora qualcuno che mi guarda e si domanda cosa ci faccio qui, invece di vivere a Los Angeles con…come si chiama? Jack Bristow?”
“Non ti manderei se dipendesse da me, voglio che tu lo sappia.”
“È Khasinau, vero? Lui non si fida di me…ma perché? Ho dato l’impressione di voler tradire l’organizzazione?”
“Khasinau non si fiderebbe neanche di me, se non fosse stato il mio superiore quando eravamo al KGB.”
“E se tu non fossi stata la sua amante.”
“Esatto. Ad ogni modo, i suoi dubbi potrebbero far dubitare anche altri.”
“Non mi tiro indietro, mamma. Non l’ho fatto prima e non lo faccio ora. Figurarsi se gli do questa soddisfazione…”
Sua madre le porse una copia di Delitto e Castigo.
“Sulle ultime pagine bianche sono stampati i tuoi ordini. Sono invisibili, ma li potrai leggere mettendo una fonte di luce dietro la carta.”
“Mi ricorda qualcosa…”
“Un sistema che funziona non si lascia.”
“Quando devo partire?”
“Domani.”
“Tu e Khasinau avevate la certezza che sarei partita con così poco preavviso e senza fare domande?”
“Non noi. Sark.”

“Se ora mi dirai che di questa missione sapevi tutto e non mi hai detto niente, spero mi perdonerai se deciderò di ucciderti lentamente e dolorosamente!” esclamò Lara entrando come un uragano nell’ufficio di Sark. Ogni volta che ci veniva – sempre più spesso di quanto avrebbe mai ammesso con chiunque – si stupiva di quel posto, di come fosse…perfetto. Non aveva altri aggettivi per descriverlo. Ogni cosa era dove doveva essere, non c’era niente di superfluo, niente anche vagamente fuori posto. Il suo sembrava invece un unico cumulo di fogli, libri e post-it, in cui però si raccapezzava alla perfezione. Dicevano che gli accademici erano famosi per la mente e non per l’ordine… se era così, allora lei rispettava il profilo alla perfezione.
“Buongiorno anche a te, Derevko” rispose Sark senza distogliere l’attenzione dal computer a cui stava lavorando.
Il distacco di Sark di solito le andava bene, ma non quel giorno. Si avvicinò alla scrivania, e con un gesto secco staccò il cavo di alimentazione.
“Posso avere la tua attenzione, adesso?”
Sark le lanciò un occhiata eloquente, e si rilassò sulla sua poltrona, facendo segno a Lara di fare altrettanto.
“Anche se te lo avessi detto non sarebbe cambiato niente.”
“Mia madre mi ha detto perché devo andare io. Dimmi la verità, che cosa c’è sotto?”
“Forse stai parlando con la persona sbagliata.”
“Non credo proprio.”
“Lara, non è un mistero che Khasinau spera tu non faccia ritorno.”
“E tutto per via di un padre che a malapena ricordo?”
“Forse. O magari perché se ci fosse da scegliere con chi schierarsi tra tua madre, te, e lui, qui dentro si ritroverebbe in schiacciante minoranza.”
Era questo? Khasinau aveva tentato di tenerla lontana, screditarla, anche ucciderla, per evitare che un giorno lei potesse prendere in mano tutto questo? Se avesse avuto di fronte quell’uomo, si sarebbe fatta una bella risata. Lei da sette anni ormai aveva due soli scopi: radunare tutte le opere di Milo Rambaldi, e fare in modo che nessuno distruggesse quello che sua madre aveva costruito. L’ultima cosa di cui aveva bisogno, era pensare ad un modo per rovesciarlo e prendere il potere là dentro… anche se a pensarci bene, l’idea di Khasinau alla sua mercé la stava facendo sorridere.
“Interessante… e tu per chi ti schiereresti?”
“Il tuo aereo parte domani. Ti conviene passare al reparto tattico a farti dare le specifiche e le armi. Hai circa una settimana, anzi meno, di quiescenza, per prepararti a dovere, poi dovrai iniziare il lavoro.”
Qualcosa nel tono della sua voce le fece comprendere che la conversazione era finita, e Lara si diresse fuori dalla stanza, mentre Sark riaccendeva il computer e recuperava il lavoro da un file di backup.
Secondo i piani sarebbe dovuta partire il giorno seguente, ma alla vigilia di una missione così importante e pericolosa c’era solo un posto dove voleva andare. E finito il briefing tecnico, andò a parlare con sua madre.
“Avrei intenzione di partire stasera stessa.”
“Stasera?”
“Il piano non cambierà, solo che prenderò il mio alias quando riprenderò l’aereo domani sera…da Lugano.”
Irina non ebbe bisogno di chiedere o di dire niente. Sapeva perché Lara voleva passare per quella città, e non l’avrebbe fermata.
“Buona fortuna per la missione.”
“Grazie.”
Lara ritornò nel suo ufficio, e si lasciò cadere sulla sua poltrona con una mano sugli occhi. Amava la sua vita, ma certe volte era così complicata…
Qualcuno bussò alla sua porta, ma Lara decise che non aveva voglia di parlare con nessuno. Se la sbrigassero senza di lei, per una volta.
Quel qualcuno però insisteva.
“Lara, alzati e vieni ad aprire, tanto lo so che ci sei. Ti ho vista entrare!”
Mary.
Per Mary avrebbe fatto un’eccezione.
“Entra.”
Mary era più giovane di lei di circa quattro anni, e tutte le volte che la vedeva girare per i corridoi della loro base operativa si domandava che ci facesse lì… Un po’ come gli altri facevano con lei, a dire il vero. Poteva sembrare la creatura più dolce e fragile di questo mondo, e per certe cose lo era, ma la sua mente fredda e lucida anche in situazioni ad alto rischio era stata di grande aiuto nella pianificazione di molte missioni. A giudicare dall’altro membro della sua famiglia, suo fratello maggiore, dovevano essere caratteristiche iscritte nel loro codice genetico. Beh, non c’era da essere troppo sorpresi, se si considerava che quella persona era Sark.
“Ho visto che sei stata assegnata ad una missione a lungo termine a Los Angeles e dintorni. Come stai?”
“Non lo so ancora. So però che starò lontana per non so quanto tempo, e nel frattempo chi manderà avanti le mie ricerche?”
“Le tue ricerche sono già molto avanti. Hai dato lavoro a noi poveri strateghi ben un bel pezzo, credimi” rispose Mary, avvicinandosi e sedendosi sul bordo della scrivania. Giocherellò con un tagliacarte per qualche istante, poi squadrò di nuovo Lara.
“Sai, quell’espressione l’ho già vista.”
“Davvero?”
“Non su di te. Su Andrew.”
“Andrew?”
“Sark.”
“Scusami…tu sei l’unica a chiamarlo con il suo nome di battesimo. Tutti gli altri credo pensino che non ce l’abbia… sai, a furia di chiamarlo sempre Sark…”
“Certe volte lo devo chiamare così anch’io, se no non si volta!” rise Mary, insieme a Lara. Poi ritornò seria.
“Che tu ci creda o no, non è la fredda macchina che sembra, e all’inizio non è stato facile neanche per lui…ma sai come si dice, la vendetta comanda e uccide.”
Mary aveva ripreso a giocherellare distrattamente con il tagliacarte, ma Lara sapeva a che stava pensando, perché Mary stessa glielo aveva raccontato una sera di qualche anno fa, davanti al fuoco del camino della casa che dividevano. Ripensare al passato suo e di suo fratello non era una cosa piacevole, perché implicava ricordare l’orfanotrofio dov’erano cresciuti e le difficoltà dentro e fuori quel posto. Suo fratello Andrew si era costantemente occupato di lei dopo la morte dei genitori, e Mary lo aveva sempre adorato. Anche quando aveva deciso di diventare un sicario, per inseguire i suoi piani di vendetta e cercare l’assassino della loro famiglia, o quando era riuscito a trovarlo e lo aveva ucciso. Quando aveva ricevuto l’offerta da Derevko e Khasinau, aveva accettato solo se Mary sarebbe potuta venire con lui. Dopo essere stata assegnata agli archivi per l’equivalente di una vita, aveva guadagnato il suo status quasi per caso. Ascoltando il piano di uno dei tattici, e cogliendo una discrepanza tra le sue parole e il materiale d’archivio, aveva avvicinato una delle agenti e aveva dato a Lara un suggerimento su come condurre con successo la missione. Mary aveva avuto ragione, lo stratega incaricato torto, e Lara aveva fatto in modo che Mary potesse lavorare a tempo pieno al reparto tattico come meritava.
In breve le due ragazze erano diventate amiche e confidenti. Mary era l’unica con cui Lara si apriva, e in un certo senso lei ne era lusingata. Posando il tagliacarte, prese in mano una fotografia e la mostrò a Lara.
“Come vanno le cose con lei?”
“Bene.”
“Quando farai ritorno a Lugano?”
“Parto stasera. Sarò a Lugano domani mattina all’alba, e ripartirò verso sera per Los Angeles in pieno rispetto della tabella di marcia.”
“Ti dispiace salutarla anche da parte mia?”
“Tranquilla. Lo farò.”

***

“Abbiamo appena avuto conferma del suo arrivo” disse Sloane a Jack, unica persona seduta nella sala riunioni. Sullo schermo apparve l’immagine di una donna sui ventisei anni, ripresa nell’atto di uscire dall’aeroporto, e Jack non riuscì a nascondere la sorpresa. Nonostante fossero passati anni, era impossibile non riconoscere Sydney nella donna che aveva davanti agli occhi, nonostante i capelli fossero di un castano dorato e non scuri come li ricordava. Era l’immagine di sua madre, Laura…o come diavolo si chiamasse in realtà.
“Va tutto bene, Jack?” domandò Sloane.
“Sì, Arvin. Per un attimo ho creduto…mi era sembrato di riconoscerla.”
“Probabilmente perché, anche se lavora di solito nell’ombra, ci ha messo molte volte i bastoni tra le ruote. Si chiama Lara Derevko. Lavora per i russi, un gruppo ancora non identificato al cui vertice si trova colui che viene chiamato l’Uomo.”
“Lara Derevko…”
“Non so ancora cosa sia venuta a fare qui, ma è un rischio per l’agenzia. È stata vista molto spesso intorno ai luoghi dov’erano custoditi manufatti di Rambaldi. Dobbiamo scoprire i motivi del suo viaggio.”
Se Sloane aveva notato la somiglianza tra Lara e Laura, la sua defunta moglie, era stato bravo a non mostrare niente, ma quella era una notizia che non poteva restare dentro quelle quattro mura.

“Ho rivisto mia figlia, Vaughn” disse Jack al giovane agente che da poco aveva preso il posto del suo vecchio contatto, nel magazzino dove si incontravano per passare alla CIA le informazioni che Jack come doppiogiochista raccoglieva all’SD-6.
“Davvero? E come…?
“Mi sono sempre chiesto dove fosse finita… e ora l’ho saputo. Il suo nuovo nome è Lara Derevko. Lavora per l’Uomo.”
“Lara Derevko? La stessa Derevko interessata a Rambaldi? So per certo che molti agenti desidererebbero metterle le mani intorno al collo, per tutti i manufatti di Rambaldi che ci ha soffiato!”
“Sloane ignora i motivi del suo arrivo qui a Los Angeles.”
“Da quanto sappiamo su di lei, probabilmente le hanno dato una missione da svolgere. Probabilmente qualcosa di relativo a Rambaldi, anche se non abbiamo nessun riscontro di questo.”
“C’è dell’altro che dovrei sapere su di lei?”
Vaughn sospirò. Sì, c’era dell’altro. Lara non era certamente un angelo, e per raggiungere gli obiettivi prefissati non andava per il sottile. Nelle ultime missioni affiancava Sark, e questo aveva influenzato il suo modo d’agire.
“È preoccupante che un agente segreto straniero arrivi in questo paese, e senza nessun motivo apparente. Specialmente un’agente come Lara Derevko.”
“So cosa stai pensando, ma la mia risposta è no. Quelle erano direttive del KGB.”
“L’hanno vista in azione. Anch’io ho avuto a che fare con lei, e non è certo una fragile creatura indifesa...ha spedito in terapia intensiva tre dei nostri, l’ultima volta, e uno di loro probabilmente avrà bisogno di un bel po’ di interventi per riuscire a camminare di nuovo. Non ti piacerà sentirlo, Jack, ma quella donna non è la bambina che ricordi.”
“Non puoi averne la certezza.”
“Neanche tu. Ad ogni modo, con chiunque lavori e qualunque cosa sia venuta a fare, è molto interessata a Rambaldi…e la CIA vorrebbe sapere che cosa sa.”
“Cosa volete fare?”
“Catturarla. Interrogarla. E soprattutto farle capire che è meglio che collabori. Sai cosa rischia, e neanche tu potresti salvarla da…”
Vaughn non terminò la frase. Jack aveva negli occhi uno sguardo che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.
“Dannazione, Vaughn, stai parlando di mia figlia! Sai da quanto aspetto di sapere qualcosa di lei? Venti anni. Sua madre è morta, e nello stesso giorno lei è scomparsa. Non è passato giorno senza che mi domandassi se era viva, se era morta, con chi fosse, dove si trovasse. Se la catturerete, la prima cosa che farete sarà farla parlare con me. Non osare neppure menzionare la possibilità della pena di morte di fronte a me un’altra volta, signor Vaughn, potresti pentirtene amaramente.”

***

“Bene, signorina, ecco la chiave della sua stanza” disse la receptionist, dando a Lara la chiave della camera 307. Lara sorrise, e lasciò che un facchino portasse per lei i bagagli, ricompensandolo poi con una buona mancia.
Aspettò qualche istante, poi iniziò a disfare i bagagli, fino a svuotare la valigia. Sollevò la leggera lamina di piombo sul fondo della valigia, lega che rivestiva l’intero doppiofondo, e fece un respiro profondo, osservando il fucile di precisione con silenziatore che giaceva disassemblato. Per quanto avesse un insano amore per quel genere di arma - tutta colpa di Sark - le faceva un certo che sapere che avrebbe dovuto usarla non al poligono di tiro, ma per eliminare delle persone a sangue freddo. Finora le uniche persone che aveva ucciso o ferito erano stati agenti rivali, principalmente dell’SD-6 e del Direttorio K, talvolta della CIA, ma sempre durante delle missioni…
Il cellulare squillò, e Lara senza guardare il nome di chi la chiamava rispose.
“Dove e quando?”
“Santa Monica. Tra mezzora” e riattaccò.
Lara nascose la valigia e il libro, poi si cambiò d’abito e uscì, preparandosi all’incontro con il suo contatto. Vladimir Korolenko.

“Scusa per il ritardo” mormorò lei ad un uomo sulla cinquantina che le dava le spalle. Lara si appoggiò allo schienale della panchina dov’era seduto.
“Problemi?”
“Nessuno. Conto di iniziare subito…giusto per far rimangiare a quell’uomo le sue idee.”
“Lara, c’è un cambiamento di programma. Devi prendere contatto con Nottingham, alla fine del mese.”
“Ian Nottingham?”
“No. Suo fratello Nigel.”
“Che per inciso è anche la creatura più viscida che abbia il dispiacere di conoscere.”
“Lara, ricordati chi è. Nottingham è un ex MI5. Quel figlio di puttana vende informazioni al miglior offerente, come agente indipendente, ma non è uno stupido e non fornisce bolle di sapone. Chiunque siano i suoi contatti, sono ben introdotti. E di solito lui e loro si accaparrano in un anno cifre che io e te vedremmo nel giro di una vita.”
“Perché è ancora vivo?”
“Perché la sua posizione lo rende intoccabile. Chiunque lo elimini, avrà la rappresaglia di tutti gli altri.”
“Che devo fare?”
“Ci è giunta voce che sappia dove si trova un altro progetto di Rambaldi. Non lasciare l’incontro senza aver prima ottenuto le coordinate. Offri qualsiasi cosa ti sembra adeguata, non abbiamo certi problemi.”
“D’accordo.”
“Stai attenta. Non è certamente una persona con cui farei parlare volentieri mia figlia.”
Lara sorrise, e appoggiò una mano sulla spalla dell’uomo.
“Non ti preoccupare. Ormai ho imparato la lezione. E se prova a fare qualcosa si ritroverà con trentadue ossa e due monconi nel braccio.”
“Buona fortuna. Chi è il tuo primo bersaglio?”
“Uno che non conosco. Ci vediamo a missione ultimata.”

***

“Lara Derevko?” domandò Weiss addentando una ciambella, nell’ufficio di Vaughn.
“Derevko è un’agente russa, lavora per un gruppo ancora sconosciuto. Sua madre era un’agente del KGB sotto copertura, morta qui a Los Angeles durante un inseguimento con un agente federale, ma chiunque le abbia cresciuto la figlia in Russia l’ha addestrata ad essere una perfetta operativa…”
“Perché ci interessa?”
“Lavora per questa persona, l’Uomo, è la sua esperta in materia di Rambaldi ed è anche una degna allieva di Sark, se capisci quello che intendo.”
“Perché è qui? Per Rambaldi?”
“Non lo sappiamo. ”
“E non possiamo fare niente, a parte aspettare che faccia qualcosa o peggio uccida qualcuno? Cambiamo discorso. Te ne prego! Sentiamo…tu ed Alice come state?”
“Benissimo. Tant’è che io passerò le prossime vacanze di Natale qui e lei a Parigi con un altro.”
“Mike, mi dispiace tanto…”
“Lascia stare” disse lui sorridendo e scrollando leggermente le spalle. Ci aveva sofferto – dopotutto lui e Alice erano stati sul punto di sposarsi – ma meno di quanto avrebbe creduto. Alice era dolce, pronta ad ascoltarlo, e di sicuro sarebbe stata una buona moglie, ma aveva il pensiero fisso in testa che se fossero rimasti insieme sarebbe stato un grosso errore.
Quando ritornò a casa, a momenti inciampò nel suo cane, Donovan, che appena sentita scattare la serratura era corso a fare le feste al suo padrone.
“Ehi, Donovan!”
Il tono della voce era severo, ma i suoi occhi tradivano l’affetto per l’animale. Per quanto certe volte fosse un vero e proprio rompiscatole, era pur sempre l’unico essere vivente che lo aspettava a casa ogni sera e dopo ogni missione. Il cane non l’aveva mollato un secondo neanche quando era andato a cambiarsi nella sua stanza, segno inequivocabile che aveva fame, e si dimostrò molto felice quando vide il suo padrone riempirgli la ciotola.
Mentre Donovan mangiava, Vaughn si avvicinò al telefono e premendo un tasto ascoltò i messaggi nella segreteria. Sua madre, che aveva saputo che lui e Alice avevano rotto e voleva parlargli. Sospirò, ma non prese il telefono in mano per richiamarla. Quella sera non ne aveva proprio voglia.

Lara guardava le stelle. Dalla sua posizione, sul tetto di un palazzo, le vedeva benissimo. Si girò, quel tanto che bastava a scorgere la prima persona della sua lista nel suo appartamento, mentre prendeva una birra e si sedeva sul divano, completamente rilassato e ignaro di cosa stava per succedere.
Lara si ritrovò a domandarsi quand’era stata l’ultima volta che lei era stata così. Forse un centinaio di missioni e un matrimonio fa, si rispose, iniziando a preparare l’arma mentre con lo sguardo continuava a fissare l’agente.
Riguardò il fucile completo nelle sue mani, e si mise in posizione per sparare.
Anche la finestra aperta? Oh, Signore. Era fin troppo facile!
Era quasi sul punto di addormentarsi, il che voleva dire una posizione pressoché immobile. Non avrebbe sbagliato bersaglio, avrebbe preso il cuore al primo colpo.
“Dasvidanya.”
E premette il grilletto.

Dolore. Un dolore lancinante e improvviso fece spalancare gli occhi di Vaughn. Con la mano tremante, cercò il punto da cui proveniva il dolore e si rese conto che le dita erano macchiate di sangue. Poi un altro colpo lo raggiunse, poco più in basso. Cercò di alzarsi, ma cadde rovinosamente a terra, trascinando con sé anche il telefono. Lara non poteva vedere, ma Vaughn premette un tasto di composizione rapida, pregando che Weiss fosse ancora in ufficio.
“Eric Weiss?”
“E-Eric…Derevko…aiutami…” sussurrò Vaughn, pregando che Weiss capisse che era lui.
“Michael?! Michael, sei tu?”
Dal telefono provenivano le urla di Weiss, che continuavano a chiamare il nome di Vaughn, ma l’agente non era più in grado di sentirlo.
E sul pavimento stava iniziando ad allargarsi lenta una macchia rossa.

Lara smontò il fucile rapidamente e lo rimise nella borsa, preparandosi a sparire. Avrebbe preso i suoi bagagli e avrebbe lasciato l’albergo. Avrebbe preso una nuova identità non appena incontrato il suo contatto, che avrebbe tradotto in documenti concreti le istruzioni del suo libro, dopodiché avrebbe completato la missione.
Scese le scale velocemente, per poi rallentare verso la fine. Non doveva dare nell’occhio. Come professione, lei era fotografa, e come alibi stava fotografando le strade di Los Angeles di notte. La borsa aveva un doppiofondo dove nascondere l’arma, quindi non correva il rischio di essere scoperta.
Almeno così credeva.
“Ferma!” sentì urlare da un uomo apparso a pochi passi da lei, vicino all’uscita.
“C’è qualche problema, agente?” rispose Lara, sorridendo e cercando di avere un’aria sorpresa.
“Che cosa sta facendo qui? Questo è un palazzo pericolante, non ha visto i cartelli?”
“Cartelli? No, non ne avevo visti. Oh, mi dispiace agente, me ne vado subito…”
Si avvicinò come per uscire, e gli sferrò un potente pugno allo stomaco, completato da un colpo secco alla nuca che fece perdere i sensi all’uomo.
“Che impiccioni, questi americani” borbottò Lara, mentre si rimetteva la borsa in spalla e se ne andava a piedi.
Dopo un paio di isolati, si rese conto che qualcosa non quadrava. Aveva la netta impressione di essere seguita. Con la coda dell’occhio guardò la strada, e si accorse che una macchina nera stava procedendo a passo d’uomo dietro di lei. Sempre dalle sue spalle provenivano anche due voci, un uomo e una donna. La donna era a piedi e l’uomo stava cercando di convincerla a ritornare in macchina.
Coincidenza?
Ora lo scopriamo, si disse Lara tra sé e sé, e iniziò a correre.
All’interno, l’agente lanciò uno sguardo ad una foto di Lara e premette l’acceleratore. Se quella ragazza aveva ucciso Michael, cosa di cui Weiss era convinto, non avrebbe avuto scampo…né lui né gli altri agenti avrebbero permesso che la sua assassina fuggisse impunita.

Lara voltò un angolo e si ritrovò in un vicolo. Respirando affannosamente, si impose di riflettere su cosa fare. Per prima cosa, gettò la borsa in un cassonetto. Sarebbe scappata più velocemente. Poi salì sulla rete metallica, e passò dall’altra parte. Si ritrovò in una strada deserta, e ricominciò a correre, ma sentiva che quella macchina non era la sola. Quando si trovò sul punto di attraversare la strada, e una di quelle macchine le tagliò la strada, si disse che odiava avere ragione. Cercò di tornare indietro, ma un’altra macchina sopraggiunse, e la investì. Rotolando a terra, e tenendo con la mano il polso che le faceva un male terribile, Lara capì che era finita. Si alzò in piedi, tenendo le mani in alto. Due uomini scesero da quella macchina, le iniettarono un forte sedativo, e poi la portarono via.

***

Come c’erano riusciti?
Lara sedeva sul letto della sua cella, fissando il vuoto. Era sfuggita al Direttorio K, all’FTL, all’SD-6, e si era fatta prendere da una manciata di agenti CIA?
Com’era caduta in basso.
Non sapeva cosa avessero su di lei, ma ad ogni modo alla prima occasione avrebbe tagliato la corda. Vladimir, il suo contatto, l’avrebbe aiutata, anche se prima le avrebbe fatto una bella predica su quanto era stata imprudente…
Stranamente, quando l’avevano perquisita le avevano lasciato al dito l’anello d’oro che portava alla mano destra. La vera nuziale. Lara la riguardò, ripensando all’uomo che gliela aveva messa al dito anni prima. Gavrilo…che errore madornale.
Sentì dei passi avvicinarsi al vetro che la separava dal corridoio della struttura dov’era prigioniera, e alzò gli occhi.
Lara non aveva bisogno di chiarimenti per sapere chi aveva davanti. Ricordava bene quell’uomo sebbene lo avesse visto poco nella sua infanzia, prima di sparire con sua madre Irina, che lui conosceva come Laura.
“E lei chi diavolo è?”
“Non sai chi sono?”
“No.”
“Sono Jack Bristow.”
“Agente della CIA, vero?”
“Sì.”
“Perché sei qui?”
Lara sorrise ancora e non rispose. Rimase in silenzio ad ogni domanda che Jack Bristow le pose, fino a quando non si arrese.
“Lara. Io sono qui per aiutarti.”
“Come può un agente della CIA aiutarmi? Mi sfugge la motivazione.”
“Ho una motivazione molto semplice. Sono tuo padre.”
“Il tatto non è esattamente uno dei tuoi pregi, eh? Comunque, non mi dici niente che non sappia, Jack. So già di essere figlia per metà di una spia russa e per metà di una spia americana. Il nome però non mi è mai interessato.”
“Te lo ripeto un’altra volta. Perché sei qui?”
Lara sorrise, e gli voltò le spalle. Jack non poté fare altro che andarsene.


Vaughn si risvegliò in una stanza d’ospedale, senza sapere come c’era arrivato. Girò gli occhi, e vide che seduta in una poltrona vicino al suo letto, con addosso un pigiama azzurro da chirurgo, c’era Alice. Era addormentata, e probabilmente aveva passato la notte al suo capezzale.
Vaughn si mosse leggermente, e il rumore svegliò di colpo Alice che, rendendosi conto che il suo ex aveva ripreso conoscenza, sorrise.
“Ciao, Michael.”
“Alice…”
“Sta calmo, e non agitarti. Ti hanno sparato, e Weiss ha chiamato un’ambulanza e ti hanno portato qui. Mi è preso un colpo quando sono entrata e ti ho visto sul tavolo operatorio.”
“Mi hai operato tu?”
Alice annuì.
“Grazie.”
“Di niente. È il mio lavoro. Sei stato fortunato…la croce di tuo padre ha preso il proiettile diretto al cuore al posto tuo, ma l’altro aveva danneggiato seriamente l’aorta. Se Eric non capiva che eri tu…”
“Già” tagliò corto Michael. Non aveva voglia di sentire dalla bocca di Alice che sarebbe potuto morire dissanguato sul pavimento di casa sua, senza che nessuno lo scoprisse, fino a quando non sarebbe stato troppo tardi. “Come va qui in ospedale?”
“Sempre in trincea. Quando sono venuta a vedere come stavi avevo appena finito di operare un paziente con ferite da arma da fuoco come te. Lui però non è stato tanto fortunato.”
“Quanti anni aveva?”
“Dodici. Non credo che mi abituerò mai a vedere i ragazzini morire.”
Il cercapersone di Alice suonò, e lei si era alzata per uscire, dopo aver detto a Michael che se aveva bisogno di lei quel giorno sarebbe rimasta in ospedale fino a sera per colpa di un doppio turno.
“Alice, dimmi la verità.”
“Non sei ancora fuori pericolo, Michael. Devi rimanere il più possibile calmo, e il tuo cuore deve rimanere sotto i novanta battiti per le prossime ventiquattr’ore. Solo allora potrai dirti fuori pericolo. So che non è molto incoraggiante, ma…”
“Ti ringrazio.”
Alice sorrise brevemente, e uscì dalla porta.
Vaughn guardò il monitor dell’ECG. Settantanove. Ottanta. Respirò profondamente e cercò di calmarsi. Non riusciva però a smettere di domandarsi se l’uomo con cui la sua ex fidanzata sarebbe andata a fare il loro viaggio a Parigi, era un medico dell’ospedale dove ora era ricoverato.

***

Erano passate due settimane e Lara continuava a non parlare. Distesa sul pavimento della sua cella, fissava il soffitto e pensava ad un modo per andarsene da lì. Era duro e freddo, ma era meglio del letto… anzi, della rete su cui in teoria avrebbe dovuto dormire, considerato che non le avevano dato né un materasso, né una coperta, né un cuscino. Sembravano non avere fretta di sapere perché fosse lì. Neanche chi veniva a interrogarla tutti i giorni, mattina, pomeriggio e sera, prima e dopo i pasti frugali che le concedevano, sembrava averne. Tanto, dicevano, prima o poi crollerà.

Verso l’orario stabilito per l’interrogatorio serale, Lara stava facendo degli esercizi di ginnastica, per passare il tempo. Sentì bussare leggermente sul vetro che la separava dal mondo esterno, e girando gli occhi si rese conto che l’agente che doveva aver eliminato, ora stava davanti a lei. Aveva ancora l’aria un po’ sofferente, di sicuro doveva essere stato dimesso da poco. Anzi, probabilmente era uscito contro il parere medico solo per venire lì da lei. Lara si alzò, sostenendo il polso ancora dolorante con la mano, e lentamente camminò fino a trovarsi di fronte all’agente Vaughn.
“Sei fortunato. Di solito quelli a cui sparo non sopravvivono per raccontarlo. Come diavolo hai fatto, si può sapere?”
L’agente, senza interrompere il contatto visivo con lei, tirò fuori dalla tasca la croce d’argento. Al centro era ancora conficcato il proiettile. Lara cercò di mascherare la sorpresa. Quel gioiello le era familiare. Fissò la croce attentamente, domandandosi dove l’avesse già vista…ma proprio non ricordava.
“Allora Dio esiste” commentò asciutta. “Una cosa però devi dirmela. Come facevi a sapere che ero io e non un altro.”
“Sesto senso.” Ah, e il fatto che grazie ad una visita non autorizzata nell’archivio dei file Omega 17 ho scoperto che tua madre ha assassinato mio padre.
“Ma davvero…”
“Chi ti ha mandato?”
“Non ci credo. Ho spedito un agente all’ospedale, praticamente è un miracolato a essere vivo e dopo neanche due settimane lo spediscono qui a interrogarmi? Dimmi, alla CIA siete in pochi o semplicemente ti piace farti del male?”
“Hai due possibilità: collaborare, e parlare con me e tuo padre di quello che fai in Russia, per chi lavori e con chi, oppure essere processata per alto tradimento e sicuramente condannata alla pena capitale.”
“Credevo che sono i cittadini americani fossero processati per alto tradimento.”
“Ma tu lo sei. Ti chiami Sydney Bristow, sei nata a …”
“Io sono Lara Derevko!”
“Lara Derevko non esiste. L’ha inventata la persona che ti ha portato via venti anni fa.”
“Davvero? Secondo me è Sydney Bristow a non esistere, agente Vaughn!” esclamò Lara, appoggiando con forza le mani sul vetro. Nel sentire la fitta al polso, Lara soffocò un mugolio di dolore e con l’altra mano cercò di tenere ferma l’articolazione.
“Che hai al polso?”
“Tu che dici?” scattò lei, resa più irritabile dal dolore che non diminuiva. Vaughn sparì per qualche minuto, e ritornò con quattro US Marshal armati. Sotto i loro sguardi, aprì la cella.
“Ti scorteranno fino in infermeria. Non provare neanche a pensare di scappare, questi soldati hanno l’ordine di sparare anche se solo ti azzardi a fare un passo più lungo dell’altro.”
“Per il momento, l’unica cosa che mi interessa è sapere se mi daranno qualcosa per il dolore, agente Vaughn!”

Il medico della base le disse che il polso era solo contuso e non slogato come temeva Lara all’inizio. Quando il medico si voltò un attimo per prendere il necessario per terminare la medicazione, Lara, guardando sul tavolo dov’erano poggiati gli strumenti e i medicinali che il medico stava usando, fece scivolare all’interno della fasciatura tre pastiglie da un flacone vicino a lei, approfittando dell’unico momento in cui il soldato che la sorvegliava aveva distolto lo sguardo per ammirare una collega che stava passando.
Lara sorrise soddisfatta, mentre il medico finiva di sistemarle l’articolazione. Non sapeva dove aveva già visto l’agente Vaughn, ma ora sapeva qualcosa su di lui: era uno stupido. Poteva non ricordarsi niente della sua vita a Los Angeles, ma il nome, quel nome, non lo aveva mai dimenticato. Sydney Anne Bristow, nata a Charleston, West Virginia, e scomparsa nel nulla all’età di sei anni. Di lei era rimasto solo quello, perché ora c’era Lara Derevko al suo posto. Lara Derevko, che era nata a Mosca e cresciuta a Luganofino ai diciotto anni, età in cui aveva fatto ritorno in Russia per studiare all’università… e diventare una criminale. Sapeva che il polso aveva preso solo un brutto colpo quando era stata investita, ma perché soffrire ancora inutilmente quando poteva prendere un antidolorifico, farsi bloccare l’articolazione e soprattutto dare un’occhiata alle possibili vie di fuga?
Una volta nella sua cella, si diresse verso l’angolo dov’era situata la telecamera di sorveglianza. Mettendosi sotto di essa, nessuno l’avrebbe vista… E Lara, appoggiandosi all’incrocio dei due muri finalmente si rilassò. Sfilò dal nascondiglio le tre pastiglie che aveva preso. Se aveva letto giusto l’etichetta del farmaco, quel sedativo era lo stesso che da ragazzina le aveva provocato una violenta crisi respiratoria. Era stata così male…era proprio sicura di voler ripetere l’esperienza?
“Non c’è altro modo, Lara. Te ne devi andare da qui” sussurrò, e dopo aver fatto un respiro profondo ingoiò le pastiglie e si stese sul letto.
Durante la notte, la crisi arrivò, senza nessun preavviso. Lara spalancò gli occhi per la sorpresa, boccheggiando e portando le mani alla gola. Respirava affannosamente, ma era come se neanche una boccata d’aria riuscisse ad entrare nei polmoni. Cercò di alzarsi in piedi, ma cadde a terra, e non riuscì ad alzarsi. Non sapeva da quanto tempo stava su quel pavimento, ma cominciava a non farcela più… quando però sentì dei passi nel corridoio, un’esclamazione molto colorita e la serratura della cella scattare, anche se sapeva di stare giocando col fuoco non poté fare a meno di sentirsi soddisfatta della propria idea.

“Che è successo?” domandò Jack all’agente che l’aveva chiamato nel cuore della notte, arrivando di corsa alla struttura che ospitava Lara.
“Derevko è nell’ala medica. Ha avuto una crisi d’asma molto violenta, e senza nessun motivo apparente. Stanno cercando di capire che cosa l’ha provocata.”
“Mi porti da lei.”
L’agente obbedì senza fiatare, felice di andarsene subito dopo. L’agente Bristow non era esattamente una persona alla mano, e in special modo quando era teso per qualche motivo.
Senza entrare nella stanza, Jack rimase a guardare sua figlia dalla finestra della sua stanza che dava sul corridoio. Le persone che gli passavano accanto avrebbero dato un braccio per sapere cosa stesse pensando, dato che la sua aria indecifrabile non tradiva nessuna emozione.
“Salve, agente Bristow” disse il medico che aveva medicato Lara quella mattina, e ora si era occupato di lei.
“Come sta?” domandò Jack, senza staccare gli occhi da Lara, che dormiva nella sua stanza.
“In base ai risultati delle analisi, abbiamo trovato nel suo sangue tracce di torazina. Deve essersele procurate in infermeria mentre le medicavo il polso rotto, anche se non capisco come ha fatto…la crisi d’asma è stata una reazione allergica.”
“Lo aveva previsto.”
“Come?”
“Sapeva quel che sarebbe successo. Voglio due soldati di guardia alla sua porta. Che nessuno entri senza prima essere stato controllato. Di sicuro Derevko tenterà la fuga.”
“Tentare la fuga? Agente Bristow, la crisi è stata piuttosto violenta. È ancora piuttosto debole…credo farebbe fatica addirittura ad alzarsi dal letto, figurarsi scappare.”
“Faccia come le ho detto” disse Jack, e se ne andò.
Il medico guardò la donna in quel letto, e sospirò. A parer suo il suggerimento dell’agente Bristow non sarebbe servito, ma non sarebbe stato lui a contraddire quell’uomo.

Nella stanza, Lara ascoltò i passi dell’uomo allontanarsi…e sorrise. Per non averla mai vista negli ultimi vent’anni, suo padre sapeva piuttosto bene come prenderla.
Aprì lentamente gli occhi, e osservò velocemente la stanza dove si trovava. Nessuna finestra a parte quella sul corridoio, una telecamera che poggiava su un braccio meccanico che le permetteva di riprendere l’intera stanza, e sempre dal vetro di quella finestra, parzialmente coperto da delle tapparelle scorgeva le sagome di due soldati.
Accidenti, pensò Lara, chiudendo gli occhi e mordendosi leggermente il labbro inferiore.
Rimase sveglia tutta la notte a rimuginarci sopra, e al mattino crollò dalla stanchezza. Sapeva da quello che era riuscita a sentire che l’avrebbero rimandata in cella entro tre giorni, quattro al massimo. Doveva andarsene prima, ma come?
L’occasione si presentò durante quella notte. Mentre si costringeva a riflettere ancora su un possibile modo per andarsene, sentì i soldati parlare con una donna, che poi entrò nella stanza. Lara chiuse immediatamente gli occhi. L’infermiera, una ragazza bionda più o meno della sua età, controllò la flebo e le apparecchiature. La telecamera avrebbe girato l’obiettivo entro un paio di secondi, dopodiché ne avrebbe avuto dieci per realizzare l’idea che le era appena balenata in testa. Dieci secondi a partire da…ora.
Uno, due…
L’infermiera quasi non si rese conto di quando la donna che credeva addormentata aprì di scatto gli occhi e la colpì alla nuca, facendole perdere conoscenza.
…tre, quattro, cinque…
Si strappò di dosso il camice ospedaliero e infilò la divisa della donna, mettendola al posto suo.
…sei, sette, otto, nove…
Sistemò la donna nel letto, mettendole l’ago della flebo nel braccio, e le girò la faccia in modo che fosse nascosta dai capelli.
…dieci.
La telecamera voltò obiettivo, e riprese la scena di un’infermiera che stava sistemando ancora la flebo alla paziente, che nel sonno si era girata e aveva i capelli che le coprivano la faccia. Annotò due appunti nella cartella e si allontanò dal letto.
Lara prese un respiro profondo e strinse la maniglia della porta per uscire. Uno dei due soldati le diede solo un’occhiata distratta, e la lasciò passare.
Iniziò a camminare per il corridoio, cercando di non avere un’aria sospetta, e ascoltando il discorso di due infermiere che avevano finito il turno si aggregò al gruppo fino agli spogliatoi del personale, e da lì all’uscita. Rimaneva il problema del posto di controllo all’uscita della base…
Fu più o meno allora che sentì una pistola puntata alla schiena.
“Alza le mani, Derevko.”
Lara riconobbe la voce come quella del soldato che aveva visto prima, di guardia alla sua porta.
“Facciamo così. Io ti lascio il braccio intero, e tu mi lasci andare. Che ne dici?”
“Alza le mani!”
“D’accordo…” disse lei, alzando lentamente le braccia. Il soldato stava per avanzare e ammanettarla, quando Lara lo colpì con una gomitata allo stomaco, e afferratolo per un braccio e facendo leva sulla sua schiena lo scaraventò a terra, torcendogli il braccio fino a romperlo. Il soldato cercò di raggiungere la pistola con il braccio sano, ma Lara la stava già stringendo in mano.
“Dovevi accettare la mia proposta…” sussurrò, prima di colpirlo con il calcio dell’arma per fargli perdere conoscenza. Sentì rumore di passi, e chiacchiere di donne. E a Lara balenò in testa la sua seconda buona idea. Nascosto il corpo del soldato in un angolo, si sporse leggermente e vide le due donne di prima. Quando si separarono, Lara seguì quella dall’aria più indifesa, e appena arrivata alla sua macchina le puntò la pistola alla nuca.
“Ti dispiace darmi un passaggio?”

Con la minaccia di quell’arma puntata addosso, la giovane infermiera guidò fino al cancello, mostrò il documento d’identificazione e uscì dalla base.
“E-Ecco, siamo fuori…”
“Continua a guidare” disse Lara, salendo sul sedile anteriore e continuando a puntarle la pistola. Quando pensò di essere sufficientemente lontana dalla base, intimò alla donna di fermarsi. E di scendere dall’auto.
Ripartì subito a tutta velocità, tenendo il volante con una mano mentre con l’altra cercava nella borsa della donna il telefono cellulare. Doveva chiamare Vladimir, aveva bisogno di un nascondiglio e subito!
“Lara, che diavolo hai fatto?”
“Le prediche a dopo. Ho bisogno di nascondermi.”
“Dove sei?”
“Non lo so. Troviamoci a Santa Monica, aspettami lì domani mattina alle sei.”
“Sarai libera e viva, per quell’ora?”
Lara controllò l’orologio. Mancavano tre ore.
“Ci proverò. Le mie cose sono…”
“Le tue cose sono con me. Ho disdetto la stanza e ho prelevato i tuoi bagagli e il libro. A Santa Monica.”
Rimaneva il problema della macchina. Non appena quella donna fosse stata raggiunta da qualcuno, avrebbe detto loro che lei aveva la sua macchina. Doveva sbarazzarsene.
Guardando avanti a sé, vide per caso l’insegna che indicava l’uscita per l’aeroporto di Los Angeles.
L’aeroporto? Perfetto. Avrebbe lasciato la macchina là, nel parcheggio a tempo indeterminato, e poi sarebbe salita su una navetta di collegamento con la città. Di sicuro non avrebbero pensato a questo.

Quando vide la figura familiare di Vladimir Korolenko stagliarsi di fronte al mare, al molo di Santa Monica, Lara si sentì il cuore più leggero. Le avrebbe dato una bella strigliata ma questa volta se l’era meritata. Nel silenzio della sua cella aveva analizzato mille volte l’andamento della fuga, e ogni volta trovava un dettaglio che avrebbe potuto farla fuggire impunita…ma l’agente Vaughn sarebbe sopravissuto in ogni caso.
Vaughn…
Michael Vaughn…
Ormai era certa di questo. Lei e quell’agente si dovevano già essere incontrati. Ma dove?
“Ciao, Vladimir…” sussurrò Lara avvicinandosi all’uomo.
“Non ti ho insegnato niente, ragazzina? Perché se non ricordo male, sono stato io a metterti una pistola in mano per la prima volta, e ti ho insegnato a centrare il bersaglio da vicino come da lontano.”
“Non ho sbagliato bersaglio. Una croce che aveva al collo ha deviato il proiettile destinato al cuore…è venuto proprio lui in persona a mostrarmela, e ad ogni modo è fortunato ad essere vivo. Ma come lo sai?”
“E mi sembrava di averti addestrato anche a scomparire” continuò lui, senza rispondere alla domanda di Lara.
“È forse colpa mia se quel tipo ha amici troppo zelanti? Non ho fatto in tempo a fare un passo che già avevo metà della sezione di Los Angeles alle costole!”
“Ti sei trovata in situazioni peggiori.”
“E infatti ho un paio di denti in meno e un certo numero di ossa rotte che non hanno mai il tempo di saldarsi pienamente prima di essere rotte di nuovo.”
Solo allora l’uomo notò il polso bendato “E quello?”
“Incidente di percorso durante la fuga. Niente di grave.”
“Con che mano hai impugnato la pistola?”
Lara mosse quella con il polso bendato, la destra.
Vladimir afferrò saldamente il polso di Lara e lo strinse, facendole soffocare un urlo.
“Io invece direi che mi stai raccontando balle, e che la pistola l’hai impugnata con la sinistra. Non potrai impugnare come si deve una pistola per almeno un paio di settimane, figurarsi un fucile.”
“Dannazione!” disse Lara massaggiandosi il polso, cercando di moderare la voce. “Non vedo il problema. Scomparirò, bene questa volta. Guarirò e riprenderò la missione.”
“Lara, quale missione? Nessuno avrebbe dovuto sapere di te!”
“Una novità. Lo sapevano già di me. Non per dire, ma mi sono data parecchio da fare dopo essermi liberata di Gavrilo, e non solo con i lavori di chi sai tu!”
“Khasinau e Derevko ordinano che tu faccia ritorno immediato in Russia, dopo l’incontro con Nottingham alla fine di questa settimana. Non avrebbero dovuto affidare a te una missione così delicata.”
“Khasinau invece sarà felice come una pasqua. Il suo desiderio, quello che io mi rovini con le mie mani, è praticamente realizzato.”
“Tua madre farà l’impossibile per proteggerti, Lara.”
“Lo farà, ma prima di me verrà l’agenzia. È sempre stato così, e francamente mi stupirei del contrario…”
“Lara che succede? Non mi sembri molto concentrata.”
“Ho incontrato mio padre, Vladimir.”
Lara vide il viso di Vladimir contrarsi, per poi riprendere l’espressione seria “Davvero?”
“Si chiama Jack Bristow. Non mi ha detto niente che non sapessi già. Che ne dici se ce ne andiamo? Se proprio devo incontrarmi con Nottingham, devo prepararmi psicologicamente all’evento” disse Lara, cambiando espressione all’istante. Non voleva che qualcuno vedesse quanto il faccia a faccia con suo padre l’avesse turbata. Neanche Vladimir.
“L’asta avverrà tra una settimana. Saremo noi, e il Direttorio K.”
“Andiamo via, ora. Le specifiche me le darai una volta al sicuro.”

Il rifugio a cui erano diretti era una casa fuori Los Angeles. Una comune casa che in condizioni normali avrebbe ospitato una famigliola e un cane…ma quelle non erano condizioni normali, e loro due non erano persone comuni.
Lara, vedendo il divano, ci si era lasciata cadere addormentandosi di schianto un paio di minuti dopo. Vladimir invece si mise seduto al tavolo del soggiorno, e aprendo il libro che Irina aveva consegnato a Lara cercò un alias per la sua vecchia allieva.
Kate Jones. Avvocato inglese. Diritto societario. Considerando che l’incontro sarebbe avvenuto alla succursale di Los Angeles dello studio legale inglese che gestiva gli affari di Nottingham, era una copertura perfetta.
Si alzò per raggiungere gli attrezzi necessari alla realizzazione dei documenti falsi, giù nel sottoscala, ma dopo qualche passo si era fermato a guardare Lara, che ancora dormiva.
Gli sembrava fosse solo ieri che per la prima volta aveva incontrato quella confusa ragazzina sedicenne nei corridoi dove aveva sede la loro agenzia.
Sua madre le aveva appena detto la verità su quel che faceva, sul perché quel giorno di dieci anni prima se n’erano andate in modo così rocambolesco, e sul perché dopo solo un anno insieme l’avesse spedita in un collegio in Svizzera, un milione di anni luce dalla Russia, dall’agenzia e da chiunque potesse collegare lei a Irina, al KGB e al suo nuovo alias, L’Uomo.
Lo aveva colpito che Lara, terminati gli studi al collegio, si fosse rifiutata di tornarsene a Lugano per proseguire con gli studi universitari scegliendo di rimanere con la madre. E anche la sua richiesta, anni prima di essere reclutata, di insegnarle a sparare e le basi di quello che era l’addestramento di un agente operativo.
Sua madre lo sapeva, ma non le aveva impedito di farlo. Se poi era entrata nell’agenzia, lo aveva fatto per sua libera scelta…anche se lui e Irina, molto brava a non darlo a vedere, avevano sperato fino all’ultimo che non lo facesse. Sua madre l’aveva mandata tanto lontano per non precluderle una vita normale. Alla fine era risultato che era proprio Lara a non volerla, una vita normale.
In sette anni passati a addestrarla, consigliarla, a riprenderla severamente per i suoi insuccessi e a congratularsi moderatamente per i suoi successi, certe volte si sentiva il genitore che a Lara mancava, anche se non avrebbe mai dovuto mostrare di fronte a lei quel moto di nervosismo nel sentirla menzionare il suo vero padre.
Lara si mosse nel sonno, senza dubbio perché doveva aver percepito lo sguardo di Vladimir fisso su di lei, e dopo essersi stiracchiata aprì gli occhi “Quanto ho dormito?”
“Dieci minuti.”
“Ecco perché mi sento tanto riposata…” rispose lei alzandosi e andando vicino al suo ex istruttore. “Vuoi una mano?”
“Mi occupo io della tua nuova identità, Lara. Se vuoi renderti utile, nel portatile c’è un file che potresti analizzare. È la scansione di una pagina del diario di Rambaldi…l’ultima che hai sottratto alla CIA da sotto il naso.”
Lara si sedette dove prima era seduto Vladimir, e battendo qualche tasto richiamò l’immagine sullo schermo.
“Che devo fare?”
“Quello che fai di solito. Capire cosa Milo Rambaldi intendesse dire, a partire da che idioma ha usato, invece del caro vecchio codice binario.”
“Sbaglio o colgo una nota di sarcasmo?” domandò Lara mentre prendeva dalla sua valigia, ancora appoggiata su una sedia, la custodia che aveva dentro i suoi occhiali da lettura.
“Un misto tra Leonardo e Nostradamus? Lara, fammi il favore.”
“Sono i fatti a parlare per lui, caro il mio scettico” rispose lei, sedendosi di nuovo di fronte al computer e mettendosi ad esaminare l’immagine.

Vladimir, per creare i nuovi documenti per Lara, ci mise circa tre ore. Quando ritornò al piano di sopra, Lara era nella stessa posizione in cui lui l’aveva lasciata, eccetto che ora, ai suoi piedi, c’erano almeno una dozzina di fogli di carta appallottolati e la ragazza stava scribacchiando a matita qualcosa su un altro, salvo poi scuotere la testa e appallottolare anche quello.
“Giuro, stavolta non riesco a capire dove vuole andare a parare.”
“Hai un’idea di cosa vogliano dire quei segni?”
“Una forma di cuneiforme, a giudicare dai tratti. Vedi come le linee verticali che formano gli ideogrammi hanno la forma di un triangolo allungato?”
“Dottoressa, non incominciare…”
“Tu e la mamma avete voluto che studiassi all’università? Bene, pagatene le conseguenze.”
Vladimir sorrise, e tornò al suo lavoro lasciando Lara al suo. Lara, laureanda in Storia, dopo aver fatto la conoscenza per caso con Milo Rambaldi su un testo della biblioteca del suo Dipartimento, si era dedicata alla ricerca di materiale sulla sua vita e sul suo lavoro con una dedizione che rasentava l’ossessione. Per l’agenzia era stato veramente un bel colpo che lei avesse deciso di arruolarsi volontariamente: poteva non sapere molto di come funzionavano i vari traffici illeciti che portavano avanti Khasinau e sua madre, ma quando lei parlava di Rambaldi gli altri stavano zitti e ascoltavano.
“Non riesci a capire che dice?”
“No, ho capito il significato. Non capisco il senso, però! Sembra una lista di parole alla rinfusa…”
“Sono ore che ti stai lambiccando il cervello. Ora basta.”
“Ancora una mezzora…”
“No. Staccati da quel computer e vieni a mangiare qualcosa, visto che ormai sono le tre e l’ora di pranzo è passata abbondantemente. O ritieni di poter fare a meno di mangiare e bere?”
Lara sospirò, e mandò il computer in stand-by “D’accordo…”
Sedendosi al tavolo della cucina, l’uomo le passò un piatto con un panino e poi si sedette anche lui.
“Che cos’ha esattamente Nottingham che noi vogliamo, oltre alle informazioni vendute all’asta?”
“In una delle sue casseforti o delle sue cassette di sicurezza ha qualcosa relativo a Rambaldi, di cosa esattamente non abbiamo la conferma. Le informazioni hanno la priorità, se poi riesci ad ottenere informazioni anche sull’altro manufatto tanto meglio, ma non rischiare. Avido com’è, non passerà molto tempo prima che metta in vendita anche quello.”
“Il Direttorio K chi invierà?”
“Ana Espinosa.”
“Sarà interessante.”
“Lo studio legale si chiama Gilmore & Clark, è situato in centro a Los Angeles. Occupa un intero palazzo, ma probabilmente l’incontro avverrà ai piani alti. Mi raccomando, qualsiasi cosa Ana dica o faccia, non reagire.”
Non c’era bisogno di specificare l’argomento che avrebbe usato per punzecchiarla. Lara si sentì ribollire il sangue al pensiero di quanto era stata stupida e ingenua a credere alle parole di Gavrilo, o comunque si chiamasse in realtà quell’agente CIA che l’aveva ingannata e sposata, credendo di poter arrivare a Khasinau attraverso lei.
“Immagino che si saranno fatti delle belle risate alle mie spalle…se ci fosse stato qualche altro al mio posto, non escludo che avrei fatto la stessa cosa. Qual è la mia copertura?”
“Kate Jones. Sei un avvocato inglese, ti occupi di diritto societario. Di sicuro la CIA ti cercherà a Los Angeles, quindi cambia colore di capelli, mettiti un paio di lenti colorate e per l’amor del cielo non fare niente per attirare l’attenzione. Trovi tutto nella tua stanza al piano di sopra.”
“Ma che farei senza di te?” disse Lara, sorridendo.
Vladimir tentò di rimanere serio, ma l’ombra di un sorriso aleggiò per qualche istante sul suo viso.
“Ivan come se la cava?”
“Lui a differenza di te ha deciso di stare alla larga dai nostri traffici e da Rambaldi, ma come programmatore dice che si sta affermando, pertanto posso dire che se la cava bene.”
“E Olga?”
“Olga è sposata ad un membro anziano dei servizi segreti russi che ama il suo lavoro e talvolta coordina il lavoro sul campo di agenti giovani. Le manchi, credo che le farebbe piacere averti a cena al ritorno dalla missione.”
“Non le dirai mai la verità, vero?”
“Non credo la prenderebbe bene, la verità.”
“Io ci ho messo un bel po’ prima di riuscire a guardare mia madre come la guardavo prima, quando sono tornata in Russia in pianta stabile…grazie ancora a te e a Olga per avermi ospitato, quella volta e tutte le altre che sono seguite.”
Questo era veramente troppo per Vladimir. Un altro commento del genere da parte di Lara, e non sapeva come avrebbe reagito.
“Va a riprendere il tuo lavoro di analisi, ora. Non ho bisogno di dirtelo io quanto sia urgente rintracciare tutta la collezione.”
Lara annuì, ma una volta voltate le spalle a Vladimir sorrise. Poteva anche nasconderlo, ma sapeva che in fondo Vladimir non era l’uomo serio e apparentemente insensibile che sembrava. In una vita senza un padre presente, era stata la migliore delle scelte possibili.
Mise di nuovo gli occhiali, e riprese ad esaminare il documento nel suo computer. Rilesse il documento, tentando un’altra volta di interpretarlo, ma il numero dei fogli di carta appallottolati ai suoi piedi ricominciò a crescere.
“Vladimir” esclamò Lara dopo altre due ore di tentativi “tu e la mamma siete sicuri che il documento sia completo?”
“Non lo è?”
“Non ne ho la certezza. A questo punto è una possibilità che mi sento di prendere in considerazione…aspetta un minuto.”
Lara batté qualche tasto del computer, e Vladimir si avvicinò alla donna, osservando quel che stava facendo.
“Che succede, Lara?”
“Mi era sembrato di vedere una cosa, un disegno… dando più contrasto all’immagine dovrebbe risaltare il tratto.”
Modificando l’immagine però si resero conto che sul foglio non c’era un solo disegno. Aumentando il contrasto Lara notò che il foglio era ricoperto dello stesso motivo, ripetuto più volte, e disegnato con un tratto leggerissimo.
Era il simbolo dell’ordine di Rambaldi, iscritto verticalmente in un rettangolo dagli angoli tagliati. Lara si alzò subito in piedi, e corse di nuovo alla borsa, cercando qualcosa.
“Che stai cercando?”
“Qualcosa che spero sia qui, e non nella borsa di cui ho dovuto sbarazzarmi!” rispose, continuando a cercare all’interno della borsa e delle varie tasche. Quando ritrovò quel che stava cercando, tirò un sospiro di sollievo e tenendolo in mano lo portò a Vladimir per farglielo vedere.
“Guarda” disse Lara aprendo il pugno. All’interno c’era un medaglione, della stessa forma del modulo riprodotto sulla pagina rinvenuta, con inciso un uccello in stile orientalizzante.
“Ti ricorda niente? No? Beh, dalla mia prima missione su Rambaldi, oltre che con quel quadro sono tornata anche con questo medaglione di fattura spagnola. Sulle prime neanche io ero andata più in là del disegno. L’ho tenuto come portafortuna, per tutte le missioni…poi, quando un giorno sono andata a farlo pulire, mi hanno detto che sul retro, dietro una patina, c’era inciso un disegno strano…” continuò Lara, voltando il medaglione. Dietro portava inciso l’Occhio di Rambaldi, proprio come nella pagina.
“Se tua madre scopre che hai tenuto per te un manufatto di Rambaldi…”
“Se tu non glielo andrai a dire, non lo scoprirà. Ed evidentemente era destino che io ne entrassi in possesso, perché è chiaro come il sole che è legato a questa pagina e alle altre sue parti, ammesso che esistano.”
“Quindi non puoi decifrarlo, se non hai anche gli altri elementi.”
“Cerca di far capire a Khasinau che almeno questo non è colpa mia, quando ritorni in Russia.”
“Adesso concentrati su Nottingham. Ricordati, offri qualunque cosa. Dobbiamo vincere quella dannata asta.”
“È in programma tentare il furto, se cade nelle mani del Direttorio K?”
“C’è già una squadra allertata. Espinosa non farà neanche in tempo a mettere il piede in Russia.”
“Bene.”
“Quella è solo una misura estrema. Tutti noi gradiremmo evitare azioni di rappresaglia da parte di Kessar, tienilo a mente.”
“Ricevuto.”
“Di sicuro in caso di vincita concluderete a casa sua. Probabilmente entrambe le cose che vogliamo saranno nella sua cassaforte. Fa attenzione.”
“Sta tranquillo.”
Vladimir le mise in mano una pianta dettagliata della villa di Nottingham, dicendole di studiarla attentamente, e poi sparì al piano di sopra.

***

I giorni che mancavano all’incontro passarono fin troppo in fretta per i gusti di Lara, che si ritrovò alle porte dello studio legale Gilmore & Clark tesa come una corda di violino. I suoi occhi verdi scrutarono l’atrio del palazzo alla ricerca di volti noti, ma non vide nessuno. L’incontro evidentemente era rimasto segreto. Nottingham aveva dato appuntamento ai compratori interessati alla sede dello studio legale che curava i suoi affari.
Entro cinque minuti si sarebbe trovata di fronte Ana Espinosa. Passò una mano tra i capelli neri, strinse i pugni, e col tono più gentile che poté trovare, la salutò.
“Hola, Ana. Que tal?”
“Lara. Encantada de encontrarte de nuevo…”
“Viva, verdad?No es asì facìl matarme, Espinosa” mormorò Lara sorridendo, e godendosi la rabbia di Ana. Per come se l’era cavata da quel deposito imbottito di C-4, l’ultima volta che si erano trovate in missione, Lara era andata a mettere un cero nella chiesa vicino a casa sua. Ma non sarebbe di certo andata a dirlo a lei.
“No te preocupes, Derevko. Hasta otra vez.”
Prima che le maschere di cortesia cadessero e le due donne decidessero di affrontarsi fisicamente, un uomo in giacca e cravatta si avvicinò.
“Miss Kate Jones e miss Rosana Vargas? Prego, seguitemi.”
Fece strada fino ad uno degli ascensori, dopodiché una volta entrati premette il pulsante del cinquantesimo piano, l’ultimo dell’edificio. Durante il tragitto, non volò una mosca. Gli unici rumori vennero dall’ascensore che saliva, fino a quando non rallentò e si fermò.
L’uomo mosse un passo e uscì dalla cabina, tenendo la porta aperta per Ana e Lara, e poi le condusse lungo un corridoio fino alla sala conferenze dove sarebbe avvenuta l’asta, di cui aprì la porta.
“Il signor Nottingham vi sta aspettando all’interno.”
“Grazie” disse Lara, e dopo che si fu allontanato entrò seguita dalla sua rivale. La sala riunioni era piena di luce, che proveniva dalle enormi vetrate che occupavano una parete intera e da cui si poteva scorgere una vista splendida sulla città, e al centro si trovava un lungo tavolo di legno scuro, forse mogano, circondato da sedie rivestite di pelle nera. Il tutto poggiava su un pavimento di marmo lucidissimo, sicuramente di provenienza italiana. Soldi, soldi, soldi. Lara quasi vedeva gli occhi luccicanti degli avvocati che lavoravano in quell’edificio, pensando agli onorari che ricevevano in cambio delle loro prestazioni.
Nottingham era seduto all’estremità più lontana del tavolo, e si alzò sorridendo vedendole avanzare.
“Ma che piacere…credevo avrei avuto a che fare al solito con Sark e il compagno Valenko, non con due splendide donne come voi” sussurrò mentre accompagnava Ana e Lara ai loro posti. Un’ottima scusa, notò Lara, per sbirciare di nascosto le loro gambe e le scollature dei loro vestiti, di sicuro non generose come avrebbe sperato.
“Non per essere scortese, Nottingham, ma possiamo tagliare corto?” disse Ana. “Di sicuro anche lei” e con un gesto della mano indicò Lara “avrà altro da fare.”
“Subito al sodo? D’accordo, allora saltiamo i convenevoli. Attraverso i miei informatori dentro l’intelligence britannico sono venuto in possesso di un manufatto di Rambaldi...”
“Un momento” interruppe Lara “pensavo avremmo trattato informazioni.”
“Una semplice misura preventiva, miss Espinosa. Se aveste saputo dell’oggetto, probabilmente non saremmo qui a parlarne...perché una di voi due sicuramente lo avrebbe già rubato per la propria agenzia.”
Non aveva tutti i torti, si disse Lara. Era quello che avrebbe fatto, se lo avesse saputo.
“Benissimo, signore. Se non avete altre domande vi illustro la procedura” e premendo un tasto dell’interfono vicino a lui chiamò due uomini nella sala riunioni.
“Ora vi verranno consegnati un foglio, una busta e una penna. Usateli per scrivere la vostra offerta, e consegnateli ai due uomini che ora entreranno.”
“Prima vorrei sapere se rischiamo di perdere tempo” disse Lara. “Dicci di cosa si tratta. Un disegno? Una pagina di diario?”
“Si tratta di qualcos’altro, miss Derevko. Ad ogni modo, ogni cosa che sia anche solo lontanamente appartenuta a Rambaldi ora vale fior di milioni, ma che dico, sono senza prezzo… non ve lo devo dire certamente io. L’intero mondo dell’intelligence sta mettendo il globo a soqquadro, pur di riuscire a mettere insieme il suo progetto più grandioso. Ho dimenticato qualcosa?”
Purtroppo no, pensò Lara. Nottingham sapeva esattamente qual’era il valore di qualunque cosa volesse vendere loro. Avrebbe dovuto sul serio offrire qualsiasi cosa potesse fare di lei la vincitrice.
La porta della sala riunioni si aprì, e due uomini, probabilmente collaboratori dello studio legale, entrarono e posarono di fronte alle due donne la penna stilografica, un foglio e una busta, per poi mettersi in piedi alle loro spalle a qualche passo di distanza.
“Possiamo dare inizio all’asta.”
Ana senza esitare iniziò subito a scrivere la sua offerta.
Lara ripensò ancora alle parole di Vladimir. Offri qualunque cosa...
D’accordo. E afferrò la penna stilografica.

La mia offerta è di 150,000,000 dollari americani. Aggiungo anche il collier di filo d’oro e perle che dovresti conoscere e di cui dovresti conoscere il valore...

Lara dovette mordersi un labbro per rimanere seria. Non voleva credere che stava per scrivere proprio quello che stava per scrivere.

...e me. Una serata in reciproca compagnia.

Ana consegnò il foglio con l’offerta ad uno dei collaboratori dello studio, e Lara dopo poco fece altrettanto. Dall’espressione era sicura di vincere. Lara sapeva che cosa gli aveva offerto, con la piccola differenza che sarebbe andata fino in fondo…a differenza di lei.
Nigel osservò compiaciuto i due fogli “Complimenti, signore, siete state molto generose nelle vostre offerte. Comunicherò la mia decisione domani sera con una telefonata al vostro cellulare, di cui mi ora darete il numero.”
Lara e Ana scambiarono un’occhiata, e per la prima e unica volta nella loro vita pensarono la stessa cosa, ovvero che quel numero sarebbe cambiato una volta servito allo scopo.
Le due donne scrissero i numeri sul foglio di carta che i due assistenti porsero loro, e una volta terminato li riconsegnarono ai due, che provvidero a farli avere a Nottingham.
“Perfetto. Miss Derevko, Miss Espinosa, è stato un piacere. Vi prego, porgete i miei rispetti anche all’Uomo, al signor Sark e al compagno Kessar. Ah, condoglianze per il compagno Ivankov.”
Detto questo, Nigel si alzò e uscì dalla sala riunioni, seguito dai due uomini. Quando la porta si chiuse alle loro spalle, le due ragazze si rilassarono.
“Non mi piace la tua faccia, Espinosa. Cosa ti fa credere di essere la vincitrice?”
“E cosa lo fa credere a te? Sentiamo quanto gli hai offerto.”
“Nessuna di noi gli ha offerto solo denaro. Scommetto che anche tu hai ricevuto l’ordine di offrire qualunque cosa pur di vincere l’asta.”
“Quello che mi sorprende è che tu sia scesa al mio livello, principessina, insieme a tutti i tuoi principi.”
“Tu di me non sai niente.”
“So di come ti sei fatta fregare da quell’agente segreto. Avrei voluto esserci, davvero. La figlia di un’agente KGB usata a quel modo…”
Lara sorrise, ingoiando gli insulti con cui desiderava ricoprire la rivale. Dopo sei anni era ancora l’argomento principale di conversazione tra loro, una cosa che aveva dell’incredibile. “Sai, io invece gli sono grata. Mi ha fatto bene vivere con quel bastardo. Dovresti provare l’esperienza, ti cambia la vita.”
“Credo ne farò a meno, grazie Derevko.”
“Beh, l’unica cosa di cui farai a meno da adesso in poi sarà di Ivankov. Sark ci sa fare come assassino, non trovi anche tu?”
“Lara, attenta a te.”
Ana strinse i pugni, continuando a fissare la sua rivale.
“Altrimenti cosa? Mi uccidi? Sto morendo di paura, davvero.”
Ana la fulminò con gli occhi, e Lara prese la borsa e se ne andò dalla sala riunioni e dallo studio legale, diretta alla sua macchina.
Cinquanta, sessanta, settanta, ottanta. Non le sarebbe interessato se un poliziotto l’avesse fermata e multata per eccesso di velocità. L’unica cosa che amava fare quando era nervosa e non poteva sfogarsi con la kickboxing era correre. Se a piedi o in macchina non importava. Le bastava solo andare veloce, e avere l’illusione di lasciarsi alle spalle problemi e brutti pensieri.
Una volta entrata in casa, trovò Vladimir seduto in una poltrona che la stava aspettando.
“Com’è andata?”
“Non male” rispose lei sedendosi sul divano accanto a lui “Ma neanche troppo bene. Avevi ragione, Ana ha tentato di farmi perdere le staffe, ma ho mantenuto il controllo. Dio, quanto odio quella sua aura di superiorità che ha quando sono nei paraggi. Credo che andrò a prendere a pugni e calci il sacco in camera mia per una mezz’oretta e poi mi rimetterò al lavoro su Rambaldi.”
“Pensavo non fossi in grado di interpretarlo.”
“Dovresti conoscermi…non mi do pace fino a quando non ho risolto ogni enigma che mi trovo davanti, e Rambaldi non fa eccezione.”
Lara si era alzata, ma Vladimir no. Anche se gli dava le spalle, sentiva il suo sguardo puntato su di lei, e sapeva che cosa le stava per chiedere.
“Qual è stata la tua offerta, Lara?”
“150 milioni di dollari” disse Lara voltandosi. “A questo ho aggiunto la collana di filo d’oro e perle, quella che Mary e suo fratello mi hanno dato come regalo di nozze…la stima è di circa 30 milioni, e mi piange il cuore a separarmene, ma per Rambaldi…”
“E cos’altro?”
Lara fece un respiro profondo “E me. Per un’intera serata.”
“Sei forse impazzita?”
“Sapevo che l’avresti presa male. Sta tranquillo, non ho la minima intenzione di onorare quell’offerta, qualunque cosa Nigel si sia messo in testa.”
“Sono proprio curioso di sapere cosa farai per levarti d’impiccio.”
“Ho un paio d’idee…mezzucci collaudati negli ultimi anni, pienamente affidabili.”
“Sentiamo.”
Lara mostrò l’anello che portava al dito “Di sicuro tenterà di baciarmi, per questo metterò un paio di labbra di gomma. All’interno di questo anello, dietro l’ametista, c’è una droga sintetica sufficiente a stendere un uomo il doppio di Nottingham. E così, mentre lui sarà nelle braccia di Morfeo io andrò alla ricerca della cassaforte, sperando che quello che possiede di Rambaldi sia lì, e lo fotograferò. Decideremo in seguito se è il caso di aspettare un’asta o di rubarlo.”
“E se qualcosa andrà storto?”
“Niente andrà storto.”
“C’è sempre qualcosa che va storto.”
“Non stavolta, fidati.”
“L’ultima volta che mi hai detto queste parole, ti ricordi com’è andata a finire?”
Lara cercò di far finta di niente, ma si sentì arrossire.
“Per quanto tempo hai intenzione di continuare ad infierire?”
“Oggi, domani e per tutta l’eternità.”
“Michel non è stato una cosa andata storta. Lo definirei un imprevisto…”
“Certo. In fondo sei solo finita a letto con un terrorista francese tuo rivale alla vigilia del furto più importante per la tua agenzia.”
“Smettila, mi sembra di sentire Vanya. Dannazione, sono passati sei anni!”
“Non sarebbe dovuto succedere e lo sai.”
“Piantala di farmi la predica. Non sei mio padre.”
Lara desiderò mordersi la lingua per l’ultima affermazione.
“Lo so bene” rispose lui, senza lasciar trasparire nessuna emozione.
In quella frazione di secondo, a Lara venne in mente l’agente Bristow, il suo vero padre. Anche questa situazione aveva dell’incredibile, a pensarci bene: era cresciuta lontano da un padre che era un congelatore emotivo, e come sostituto aveva eletto un uomo che si comportava praticamente allo stesso modo.
“Vladimir, io… Non mi fraintendere, ora. Ci conosciamo da anni, praticamente Ivan ed io siamo cresciuti insieme a Lugano e conosco meglio Olga e la vostra casa di quanto non conosca mia madre e la casa che dividevamo. Non sei mio padre… per me, sei qualcosa di più. Ecco, ci tenevo a dirtelo da una vita e finalmente ci sono riuscita.”
Era la pura verità. Iceberg o meno, voleva bene a lui e alla sua famiglia come se fossero la sua. Vladimir tentò di mantenere il controllo, ma senza riuscirci pienamente. Anche per lui Lara era molto di più di una semplice allieva o di un’amica di famiglia.
“Smettiamola…Smettiamola con questi sentimentalismi. Sta attenta domani sera…io non potrò esserci a pararti le spalle, riparto per Mosca.”
“Andrà bene. Salutami la mamma, Ivan e Olga.”
“Irina e Khasinau non saranno contenti delle notizie che porterò.”
“Con loro me la sbrigo io. Buon viaggio.”

Prepararsi all’incontro con Nigel per Lara equivaleva a preparare un piano di battaglia. Bisognava prevedere ogni possibile reazione, ed escogitare un modo per neutralizzarla, oltre che a calcolare la percentuale di droga da fargli prendere. A parte non desiderare di avere Nottingham sulla coscienza, sapeva cosa sarebbe potuto succedere nel loro ambiente se si fosse collegato la morte dell’ex agente al suo nome. Ripassare la pianta della villa di Nottingham le portò via circa quattro ore, al termine delle quali non si sentì più tanto sicura del suo piano. Con tutta quella sorveglianza, e le guardie del corpo sempre intorno, agire da sola era un bel rischio. E l’asta. L’aveva vinta?
Speriamo di averla vinta. Tornare a casa con una missione fallita e niente in mano non è esattamente una cosa piacevole. No, deve andare in porto. Forse così Khasinau deciderà di non piantarmi un colpo in testa.
Che Khasinau non la poteva sopportare lo sapeva da una vita. Era stato lui a premere perché Irina la spedisse in Svizzera, una volta saputo che sua madre la voleva mettere in collegio per continuare il lavoro al KGB. Quando aveva scoperto la verità, era arrivato a offrirle denaro – una somma considerevole, tra l’altro – per convincerla a tornarsene là e a non rimettere piede in Russia.
L’aver rifiutato, e l’essere diventata l’esperta di Rambaldi dell’organizzazione, sembravano per Khasinau quasi un’offesa personale. Ogni missione era un’occasione per cercare di metterle i bastoni tra le ruote, e Lara odiava dargli anche un solo valido motivo per crocifiggerla. Non avrebbe mai apertamente tentato di levarla di mezzo, visto che sua madre dopotutto era il suo capo, ma le parole di Sark le avevano messo una pulce nell’orecchio, facendole notare che certe volte riusciva a tornare a casa per miracolo, e che non poteva essere un caso. Un tenente colonnello del KGB sapeva fin troppo bene come eliminare le persone scomode, e a chi chiederlo per non sporcarsi le mani.
Guardò l’orologio appeso al muro. Erano le quattro del pomeriggio. Con lei non aveva un abito adatto all’incontro di quella sera, meglio andare a comprarne uno. Si era alzata per andare a prepararsi, quando qualcuno aveva suonato alla porta. Senza battere ciglio aveva preso dalla borsa la pistola che Vladimir le aveva lasciato e la nascose dietro la schiena, mentre si avvicinava alla porta per vedere chi fosse.
“Buon pomeriggio. Lei è miss Kate Jones?”
“Sì…sono io” disse Lara, appoggiando la pistola su un mobile vicino all’entrata, nascosto alla vista dalla parete. Era solo un fattorino con un pacco in mano.
“Ho un pacco per lei. Può firmarmi la ricevuta, per favore?”
Lara firmò, ritirò il pacco e diede la mancia al ragazzo. Chiudendo la porta dietro di sé, riguardò il pacco e si domandò cosa ci fosse all’interno.
Dentro l’involucro di cartone, avvolto in parecchi strati di materiale antiurto, c’era un astuccio di gioielliere e un biglietto. Lara aprì l’astuccio e si trovò davanti la collana. Era una cosa unica, il regalo di due amici… ma niente era più importante dell’obiettivo finale. Se ci fosse stata Mary insieme a lei, le avrebbe detto le stesse cose.
Il biglietto che accompagnava il gioiello però non era di Mary, ma di Ivan. Evidentemente suo padre gli aveva telefonato prima di partire e gli aveva chiesto di andare a ritirare la collana dalla sua cassetta di sicurezza e di spedirgliela.
Il messaggio allegato era molto semplice: Buona fortuna -- Ivan
“Grazie, Vanya” mormorò Lara rileggendo le parole d’incoraggiamento dell’amico, e mettendo in borsa il biglietto uscì alla ricerca di un abito da sera.

Il cellulare squillò mentre stava uscendo per la quarta volta da un negozio d’abbigliamento, ancora a mani vuote.
“Sì?”
“Ciao, splendore. Ho qui sotto gli occhi la tua offerta. Spero tu abbia sottomano sia i soldi sia la collana.”
“I soldi sono nel mio conto cifrato in Svizzera, e la collana la indosserò stasera…sempre che sia io la vincitrice.”
“Ma lo sei, Lara, lo sei. Vieni questa sera alla mia villa, e ti consegnerò quello che hai vinto. Sarà una splendida serata, vedrai…”
“A stasera, allora.”
Lara chiuse la telefonata, e sentì la necessità impellente di vomitare. Nottingham avrebbe cercato di sedurla per tutta la sera, a partire dal secondo in cui sarebbe entrata nella sua casa. L’idea le faceva ribrezzo, ma se voleva portare a termine il suo piano non aveva alternative.
Sospirò, e alzò gli occhi per guardare una vetrina. Lì vide esposto un abito bianco, dalla scollatura drappeggiata e legata dietro al collo con una leggera catenella, e dalla gonna che si apriva in morbide pieghe. Era perfetto, sia per lei sia per il gioiello che avrebbe portato, quindi entrò subito e lo comprò. Per tutto il viaggio di ritorno a casa non fece altro che ripensare al suo piano, e prima di iniziare a prepararsi ripassò ancora velocemente la pianta della casa. Nella borsa che avrebbe portato con sé fece scivolare un congegno che avrebbe aperto la serratura della cassaforte, una macchina fotografica camuffata da rossetto, e uno scanner manuale travestito da cellulare, dove avrebbe potuto conservare i dati in caso si trattasse di un libro o di un progetto molto esteso e la macchina fotografica non funzionasse. Non si fidava per niente delle parole di Nottingham sul manufatto, quindi meglio essere preparati. Per ultima cosa, mise dentro anche il medaglione di Rambaldi. Aveva bisogno di tutta la fortuna disponibile quella sera.
Stava per uscire di casa, quando per la seconda volta in quel giorno qualcuno suonò al campanello. La pistola era ancora nel cassetto del mobile vicino alla porta, pronta ad essere usata, e la mano di Lara quando andò ad aprire era pronta ad afferrarla.
“Miss Derevko? Mi manda il signor Nottingham. Sono venuto a prenderla.”
Lara guardò l’uomo, sorpresa. Quello doveva essere l’autista di Nigel. La mano pronta ad afferrare la pistola si ritrasse all’istante e tolse la catena alla porta.
“Solo un momento. Devo prendere la borsa.”

Il viaggio in limousine sembrò durare un’eternità. Lara respirò profondamente cercando di riprendere il controllo. Tutto sarebbe andato come doveva andare, non c’era niente di cui preoccuparsi…quello di cui doveva preoccuparsi sarebbe stata l’accoglienza all’agenzia da parte di sua madre, Alexander Khasinau e Sark. La prima e l’ultimo probabilmente sarebbero stati indulgenti, ma dubitava sarebbero riusciti a influenzare anche il secondo.
La macchina si fermò, e subito l’autista scese ad aprirle lo sportello dell’auto. Lara rimase immobile a fissare la villa di Nottingham. E non riuscì a non pensare che la casa dove aveva vissuto con sua madre, per quanto grande, sarebbe potuta stare tranquillamente nell’ingresso.
“Mia cara, sei veramente uno splendore!” esclamò Nigel, apparso sulla soglia di casa, con un gran sorriso. Lara si costrinse a sorridere, e salì gli scalini fino a trovarsi di fronte a lui.
“Ti ringrazio.”
“È solo la pura verità. Come sta il polso? Stamattina ho visto la fasciatura.”
“Niente di grave. Un piccolo incidente durante una missione.”
“Faccio fatica a credere che tu sia un agente segreto” continuò Nigel, prendendola sottobraccio e conducendola nel soggiorno. “Non sembri il tipo.”
“Me lo dicono in molti.”
“Ti posso offrire qualcosa da bere?”
“Del vino bianco andrà benissimo, grazie.”
Quando Nigel ritornò con i due calici, subito nel porgere a Lara il suo le sfiorò con la punta delle dita la mano e il polso. Se c’erano dubbi su cosa si era messo in testa, ora Lara non ne aveva più. Meglio così, sarebbe stato difficile mettere in pratica il piano in caso contrario.
Lara sorrise, e si ritrasse leggermente “Quanta fretta…speravo almeno che si saremmo conosciuti meglio, prima.”
“E magari che ti mostrassi anche quello che hai vinto?”
“Prima il dovere, Nigel, e dopo il piacere.”
Nigel sorrise ampiamente, e sempre prendendo Lara sottobraccio la condusse nel suo studio.
“Niente di personale, mia cara, ma potresti voltarti?”
“Credevo che volessi mostrarmi quello che ho vinto.”
“Sicuramente. Ma non intendo mostrarti altro…sai com’è, siamo entrambi nell’ambiente.”
“D’accordo” rispose Lara, voltandosi e fingendo di guardare un quadro appeso sul caminetto di fronte a lei. Con la coda dell’occhio invece fissava il riflesso di Nigel sulla porta-finestra. La cassaforte era nascosta dietro un pannello, dentro al muro. Codice numerico. Sorrise e tornò a guardare il quadro. Sapeva quello che le interessava.
“Eccomi di nuovo da te…” disse Nigel. Lara si voltò, e vide che sulla scrivania di fronte a lei c’era un cofanetto di legno, con inciso il simbolo del Magnifico Ordine di Rambaldi.
“Che cosa contiene?”
“Aprilo e lo scoprirai.”
Dentro c’era una fiala. Questo voleva dire che c’era un’altra pagina bianca in giro per il mondo, e che quella fiala ne avrebbe svelato i contenuti. Fingendo di esaminarla più da vicino, sbirciò dentro la cassaforte. C’era un altro cofanetto con il simbolo di Rambaldi. A prima vista, sembrava un carillon realizzato con un unico pezzo di legno e ricoperto di disegni. Lara posò il cofanetto che teneva in mano sulla scrivania “Molto interessante. Vale il prezzo che ho pagato” disse mentre con le mani cercava il fermaglio della collana.
“Che stai facendo?”
“Ti do un anticipo di quel che abbiamo pattuito.”
Nigel si fece una bella risata, e dopo aver aggirato la scrivania avanzò di nuovo verso di lei “Per quanto sia bella, quella collana non vale questo manufatto. Neanche i milioni che mi hai offerto sarebbero sufficienti. Sai che mi ha offerto Ana? Lei e un miliardo di dollari…ma Ana non è il mio tipo.”
Stava per baciarla, quando Lara riuscì a mettere una mano tra di loro e ad allontanarlo.
“Ti ho promesso tutta la serata, se non ricordo male. Abbiamo tutto il tempo.”
“Sei una che si fa desiderare…mi piace. E ora, andiamo a cenare…il manufatto sarà qui ad aspettarti, domani mattina.”
Domani mattina starò già sorvolando l’Europa, si disse Lara, sorridendo al pensiero di trovarsi migliaia di miglia lontano da lui.
Nigel fece strada fino alla sala da pranzo, anche questa arredata con mobili di pregio e pezzi di antiquariato.

Nottingham è un ex MI5. Quel figlio di puttana vende informazioni al miglior offerente, come agente indipendente, ma non è uno stupido e non fornisce bolle di sapone. Chiunque siano i suoi contatti, sono ben introdotti. E di solito lui, e loro si accaparrano in un anno cifre che io e te vedremmo nel giro di una vita.

Vedendo come viveva, ora non faceva fatica a credere alle parole di Vladimir.
Appena entrati, subito il maggiordomo accorse ad accoglierli, e mostrò a Lara il suo posto scostandole la sedia. Nigel si sedette all’altro capo della tavola, senza smettere per neanche un secondo di fissarla.
“Desidera iniziare la cena, signore?”
“Sì. Ah, Lloyd, ci porti anche una bottiglia di Chateau Petreuse… ‘82.”
“Chateau Petreuse. Ho un amico che ha i tuoi stessi gusti.”
“Immagino tu stia parlando di Sark. Anche nel suo caso l’apparenza inganna…si direbbe quasi inoffensivo, chi mai potrebbe sospettare che razza di spietato killer sia in realtà.”
“Immagino ti riferisca alla morte di Quan Li.”
“A osservare il filmato delle videocamere di sicurezza si dovrebbe dire esecuzione…ma non parliamo di cose tanto spiacevoli proprio questa sera. Spero che la cena sia di tuo gradimento…in caso contrario mi farò perdonare più tardi, quando saremo soli.”
A Lara vennero i brividi lungo la schiena solo a pensare a quella possibilità, e con il pollice sinistro giocherellò con l’anello che portava a quella mano. Il nervosismo che sentiva per fortuna iniziò a scemare al secondo bicchiere di quell’ottimo vino, mentre Lloyd serviva loro la prima portata, delle crêpes salate agli asparagi che si rivelarono essere deliziose proprio come sembravano. Doveva proprio ammetterlo, nonostante tutto Nigel Nottingham era un ottimo anfitrione.
“Sai, Lara, ora che ti vedo, mi sono ricordato che qualcuno mi ha chiesto di te.”
Lara lo guardò sorpresa “Qualcuno ti ha chiesto di me?”
“Sì” rispose lui, bevendo un sorso di vino. “Un uomo, qualche anno fa. Mi ha chiesto se ti conoscevo. Non mi ha dato il tuo vero nome, beninteso, ma la descrizione che ha fatto era la tua senza dubbio.”
“Come fai ad esserne certo?”
“Nadja Liskova è un tuo alias?”
“Sì. Chi te l’ha detto? Quando?”
“Calma, calma…non ti preoccupare, di sicuro non sarà andato a spifferarlo in giro. A dire il vero aveva la faccia di uno che aveva avuto il cuore spezzato da parte di qualcuno qui presente…”
“E come si chiama?”
“Michel Delorme. Una delle tue vittime, mia splendida russa?”
Michel Delorme. Ecco il nome…l’alias che Michael Vaughn aveva usato.
Lara ora ricordava in che precisa occasione aveva visto quella croce d’argento, e dovette trattenere un sorrisetto divertito. Come aveva potuto dimenticarsene?
Aveva iniziato a lavorare da poco a pieno ritmo su Rambaldi per sua madre, e anche per lui doveva essere una delle prime esperienze sotto copertura. Era stato alla fine di una festa. Uno sguardo, due parole scambiate… e un bacio, che si era trasformato nella notte più infuocata della sua vita. All’epoca credeva ancora alle menzogne di suo marito, ma non si era sentita minimamente in colpa per averlo tradito. La sera seguente, il momento stabilito per attuare la missione, davanti alla porta del caveau si ritrovò a puntare una pistola carica proprio contro di lui. Lei e quell’uomo, Michel, dovevano entrambi rubare un quadro, ma era stata lei a vincere, riuscendo a scappare e lasciandolo ad affrontare le guardie, allertate da un allarme scattato per errore. Non lo aveva mai detto a nessuno, ma per un po’ di tempo dopo il loro incontro si era spesso domandata chi fosse in realtà. Non avrebbe mai creduto che fosse arrivato a chiedere a Nottingham di lei.
“E che gli hai detto?”
“Niente di compromettente, tesoro, sta tranquilla. È successo circa cinque anni fa, comunque. Il tipo in questione era venuto qui per un asta, ma l’ha persa. Non l’ho più visto…mi dispiace per lui, ma ci guadagno io.”
“Ci guadagni sempre tu, in un modo o nell’altro.”
“Certo. Se non mi piacesse questa vita probabilmente sarei ancora al servizio di Sua Maestà per combattere i terroristi, anziché favorirli in ogni modo possibile.”
“Tu un agente segreto. Una cosa che in molti si domandano è come hai fatto a cambiare ideali in modo così radicale.”
“Te lo chiedi anche tu?”
“Non ti ho fatto una domanda.”
“Ma io ti darò una risposta. Sai, arrivi a un punto in cui ti domandi dove finisci tu e dove inizia il tuo lavoro… e ti rendi conto che tutto quello che fai, o hai fatto, è per un Paese e un’Agenzia che a te non hanno dato niente e che disprezzi. È più interessante lavorare contro di loro e dimostrargli quanto sono incompetenti.”
“Interessante punto di vista” rispose Lara, bevendo l’ultimo sorso di vino nel suo bicchiere. Lloyd, il solerte maggiordomo, appena Lara posò il bicchiere si precipitò a riempirlo di nuovo.
“E tu? La leggenda dice che oltre a mettere i bastoni tra le ruote insieme a Sark a chiunque ostacoli l’Uomo, e a scarrozzare detonatori da una parte all’altra del mondo, tu sia anche una futura dottoressa in Storia.”
“La leggenda dice il vero. È per questo che io sono qui, e non Sark.”
“Rambaldi.”
“Esattamente. Diciamo che il mio indirizzo di studi non è scelto a caso.”
“Così se proverò a ingannarti mi ritroverò pieno di piombo nel giro di un secondo.”
“Se non fossi tu, probabilmente lo farei” disse Lara.
La frase poteva essere interpretata in due modi diversi, ma si poteva essere sicuri che non l’avrebbe interpretata come Lara… Infatti Nottingham prese un’espressione estremamente soddisfatta, e si alzò da tavola avvicinandosi al posto di Lara.
“Credo che ci siamo conosciuti abbastanza, mia cara, non trovi anche tu?” disse tendendole una mano. Lara la prese, e Nottingham la portò alle labbra.
“Sarà una notte fantastica…”
Lara si alzò lentamente in piedi, e seguì Nottingham su per le scale al piano di sopra. Approfittando del fatto che le dava le spalle, ruotò la gemma dell’anello e passò la polvere rossastra sulle labbra, facendola sparire tra i pigmenti del rossetto che portava.
La camera da letto dove l’aveva fatta entrare rispecchiava lo stile sfarzoso della casa. Era tutta nei toni dell’oro e dell’azzurro, sia nelle pareti che nel letto a baldacchino di fronte a lei.
Benissimo, era arrivato il momento di entrare in azione.
“Sai…Nigel…mi hai detto che ti piacciono le donne ritrose” sussurrò Lara, avvicinandosi all’uomo e passandogli le mani sul petto. “Che ne dici invece delle ritrose che diventano audaci?”
“Dico che mi piacciono…e molto” rispose sfiorandole la schiena nuda, arrivando fino alla chiusura del vestito. Lara sorrideva tentatrice, e Nigel non si fece pregare per baciarla. Non ci volle molto per sapere che la droga stava facendo effetto, infatti Nigel iniziava a fare fatica a stare in piedi. Lara gli strinse le braccia intorno al collo e continuò, fino a quando non lo sentì abbandonarsi completamente contro di lei. Dopodiché lo lasciò cadere sul letto.
“Bene, lui è sistemato. Ora sistemiamo quello per cui sono venuta.”
Aprì leggermente la porta, e si accorse dei due uomini della guardia personale di Nottingham fuori dalla porta, nel corridoio. Secondo quando le aveva detto Vladimir, i turni di guardia duravano tre ore ciascuno, con quindici, venti minuti di stacco tra l’uno e l’altro. Tra non molto sarebbero state le undici, e le due guardie lì fuori sarebbero uscite dalla casa mentre le altre sarebbero entrate e avrebbero preso posizione. I due uomini guardarono gli orologi, e iniziarono a scendere che non erano ancora le undici. Tanto, ridacchiarono e commentarono ad alta voce, che ci siamo o che non ci siamo a Nottingham di sicuro stanotte non interessa.
Lara ascoltò le loro voci e il rumore dei loro passi mentre scendevano le scale, e andavano ad aspettare gli altri colleghi, avvisati via radio.
Sincronizzò l’orologio da polso. Aveva quindici minuti esatti per prendere il manufatto, raccogliere il maggior numero di dati possibili sull’altro, e ritornare nella stanza senza farsi scoprire, a partire da quell’istante. Lara tolse le scarpe, e sollevata la gonna del vestito iniziò a scendere velocemente le scale, fino a trovarsi di nuovo nell’atrio. Girò a destra, ed entrò nello studio. Il cofanetto con la fiala era ancora dove l’aveva lasciato, e lo mise subito dentro la borsa. Andò dietro la scrivania, e cercò con le mani il posto da premere per far comparire la cassaforte. Un rumore proveniente dal giardino la fece voltare di scatto verso la porta finestra. Le guardie stavano facendo un giro del perimetro.
Subito Lara afferrò la borsa e si nascose sotto la scrivania, sperando che non decidessero di entrare dentro proprio dalla porta finestra. Rimase in perfetto silenzio, le orecchie tese a captare il minimo rumore sospetto. Nell’anello c’era ancora abbastanza droga anche per loro, ringraziando il cielo, ma fu felice di non doverla usare. I passi si fecero più forti in prossimità della porta finestra, si fermarono, e poi ripresero fino a non sentirsi più.
Tirando un sospiro di sollievo, Lara ritornò alla sua ricerca, finalmente trovando il punto esatto da premere per scoprire la cassaforte. Il congegno che appoggiò sullo sportello metallico della cassaforte la aprì nel giro di venti secondi, e subito tirò fuori la scatola intagliata. La fotografò da ogni lato, ma quando cercò di aprirla si sere conto che non poteva. Sembrava chiusa a chiave… solo che non si scorgeva nessuna serratura. Lara la tenne tra le mani, incerta sul da farsi, poi guardò l’orologio. Sette minuti. Posò la scatola a terra, e guardò le carte dentro la cassaforte.
Erano un elenco infinito di nomi, la maggior parte dei quali Lara non li aveva mai sentiti. Quelli che conosceva però erano agenti indipendenti, come Nottingham. Contrabbandieri di informazioni.
Quella era la rete di informatori di Nottingham, una cosa su cui chiunque avrebbe voluto mettere le mani. Mentre li scannerizzava, non riusciva a capire se Nigel per fare una cosa del genere fosse molto furbo o molto stupido. Scelse la seconda.
Quattro minuti. Doveva andarsene, ma prima voleva guardare meglio la scatola. Non accettava di tornare in Russia senza aver capito cosa fosse in realtà.
Osservò meglio il davanti della scatola, il fregio che procedeva intervallando il disegno di un uccello a quello che sembravano triglifi dell’arte greca. Al posto del disegno centrale c’era uno spazio vuoto, e leggermente incavato. Lara aveva voglia di ridere, mentre cercava nella borsa il suo medaglione. Lo confrontò con i disegni: erano identici.
Ecco la chiave del mistero. Letteralmente.
Messo al posto del disegno vacante, il medaglione funzionò come una chiave, aprendo la scatola. All’interno c’era un libro di pelle rossa, grande come una mano aperta, con i disegni che Lara aveva creduto fosse cuneiforme seguiti sotto da quella che doveva essere la traduzione in latino. Al momento non aveva il tempo di fermarsi a leggere cosa volesse dire, doveva ritornare nella stanza di Nigel prima che le guardie arrivassero.
Appena chiuse la porta dello studio dietro di sé, sentì dei rumori vicino alla porta di entrata. Guardò l’orologio. Un minuto. Fece di nuovo di corsa le scale fino al piano superiore, mentre ormai sentiva chiaramente i passi e le voci delle guardie avanzare. Lara riuscì ad infilarsi nella stanza giusto un attimo prima che i due uomini arrivassero in vista delle scale.
Nigel era ancora incosciente e riverso sul letto, proprio come lo aveva lasciato. Ora bisognava mettere in pratica l’altra parte del piano. Posò sullo scrittoio la borsa e il libro, e iniziò a creare lo scenario che avrebbe dovuto far credere a Nigel di aver realmente passato la notte con lei. Per prima cosa, i vestiti e le scarpe di Nigel, che sarebbero dovuti andare a sparpagliarsi sul pavimento. Poi il letto, che andava disfatto. E infine lei. Davanti allo specchio nella stanza, Lara si levò il trucco e sciolse i capelli, oltre che a togliere la collana e a posarla sul comodino dalla sua parte del letto. Sul cuscino aveva lasciato alcuni capelli e una forcina, giusto per essere più credibile.
Guardò l’ora. Ormai erano le undici e mezza… era ancora troppo presto per andarsene, avrebbe dovuto aspettare almeno un’altra ora. Per ingannare il tempo, iniziò a sfogliare il libro rosso che aveva appena rubato. Ad una prima vista, sembrava un prontuario. Ad ogni segno corrispondeva un numero, e non un significato letterale come aveva supposto lei all’inizio. In questo modo solo chi trovava il libro avrebbe capito veramente il significato della pagina.
Ripensò al medaglione, e benedisse il cielo di aver rubato anche quello durante la missione a Firenze. Già, Firenze…
Basta, bastabastabasta! Smettila di pensare a lui, e tornatene a Mosca il prima possibile!
Però a pensarci bene di tornare a casa senza aver avuto la possibilità di chiarirsi con Michael non aveva molta voglia. Voleva vederlo… e poi forse finalmente avrebbe smesso di averlo sempre in testa!
Mezzanotte. Bene, più che accettabile. Prese tutte le sue cose, e fece per dirigersi verso la porta, quando sentì Nigel chiamarla.
“Ma come…te ne vai…di già?” mormorò con voce mezza assonnata.
“Devo prendere un aereo” rispose lei avvicinandosi di nuovo. La droga stava perdendo effetto…meglio dargliene un altro po’.
“Ah, Nigel, un’ultima cosa. Ti sarei grata se la cosa rimanesse tra noi. Ho ancora una reputazione da difendere…”
“Sarò una tomba…”
Lara gli sorrise, e gli diede un bacio. Nigel ripiombò subito nel mondo dei sogni.
“Buonanotte, Nigel, e grazie di tutto…” mormorò Lara uscendo finalmente dalla stanza. All’esterno trovò le due guardie che per poco non l’avevano scoperta.
“Spero non lo abbia rovinato, signorina” ridacchiò uno dei due.
“Sopravvivrà” rispose lei scendendo con più calma possibile le scale. Fece finta di andare nell’ufficio a prendere quello che già era al sicuro nella sua borsa, e poi uscì da quella casa gettando le labbra di gomma nel bidone più vicino.
Il viaggio di ritorno in taxi le sembrò veloce come un fulmine, forse perché lo faceva a cuor più leggero. Tornata alla sua casa, per prima cosa si liberò dell’abito da sera e si fece una lunga e bollente doccia. Poi, una volta indossati degli abiti più comodi, cercò il telefono e si informò sul primo volo in partenza per Mosca. Il primo volo sarebbe partito alle otto, e Lara prenotò un posto usando sempre l’alias di Kate Jones.
A parte una borsa che sarebbe tranquillamente passata per bagaglio a mano, e dove avrebbe nascosto in un doppiofondo a prova di raggi X il libro e l’ampolla, il resto dei suoi bagagli probabilmente erano più vicini a Mosca di lei. Non era stata una brutta idea spedirli in anticipo e tenersi solo lo stretto indispensabile.
Per quello che aveva in mente di fare, era indispensabile non avere bagagli tra i piedi.

Vaughn stava guidando verso casa, sperando finalmente di riuscire a dormire. Da quando Derevko era riuscita a scappare, nessuno aveva avuto tregua. Tutta la sezione aveva accantonato i casi che stava seguendo e si erano lanciati al suo inseguimento con dei ritmi di lavoro spaventosi. Inseguimento che, finora, non aveva dato i minimi frutti. Quella ragazza era furba, e di sicuro aveva qualcuno che la stava aiutando, un supervisore o forse anche più d’uno.
Ripensò al briefing di quella mattina. Dopo aver scoperto che Lara lavorava per l’Uomo, Alexander Khasinau, il suo valore come prigioniera era aumentato di molto. Se solo fossero riusciti a prenderla e a farla parlare…
Arrivato a casa, si impose di lasciare i pensieri di lavoro fuori dalla porta d’ingresso. Per una sera, o per quello che ne rimaneva, voleva rilassarsi.
“Salut, Michel. Il a passé beaucoup de temps, n’est-ce pas?”

A Vaughn occorsero un paio di minuti per riprendersi dallo shock.
Lara Derevko, colei che tutta la CIA di stazza a Los Angeles cercava da giorni, era seduta nel divano del soggiorno di casa sua come se niente fosse, e stava grattando dietro le orecchie Donovan, che sembrava gradire moltissimo le attenzioni della sua nuova amica.
“Hai un bel cane. Donovan, giusto?”
Vaughn, una volta ripreso, afferrò la sua pistola e gliela puntò contro.
“Non ti muovere.”
“Dato che sono disarmata, ed è vero, ti dispiace mettere giù quella pistola? Mi innervosisce.”
Vaughn, che non ci pensava neanche lontanamente, strinse l’arma con più forza.
“Come ti pare, Michel.”
“Perché mi chiami così?”
“Sicuro di non saperlo?”
Cos’era quella domanda, pensò Vaughn, un trabocchetto? Dove voleva arrivare?
Lara si era alzata in piedi. Anche lui doveva essere di memoria corta per quanto riguardava certi nomi e facce.
“Tu hai già avuto a che fare con me.”
“Certo che la CIA ha già avuto a che fare con te, e ogni volta è una volta di troppo.”
“Non sto parlando della CIA. Sto parlando di te e di me. Sei anni fa. A Firenze.”
Vaughn aggrottò la fronte, come se fosse intento a riflettere intensamente, poi mormorò un nome. “Nadja Liskova.”
“Già. Ora ti ricordi di me?”
“Ricordo soprattutto il modo in cui mi hai lasciato a vedermela con le guardie.”
“Andiamo, non ce l’avrai con me per quello. Mi risulta di aver fatto di peggio. A proposito…non dovresti essere ancora in ospedale?”
“Un’assassina che si preoccupa della sua vittima. Cos’è, mi vuoi di nuovo insieme per poterci riprovare?”
“Come diavolo facevo a sapere che eri tu? E poi vacci piano con le parole. Io non sono un’assassina.”
“Ora come ora faccio fatica a crederti.”
“Te lo ripeto un’altra volta. Metti giù quella pistola.”
“Te lo ripeto anch’io. No.”
“Da morta a voi e alla combriccola del FBI capitanata da quella testa pelata di Kendall non servirò a niente.”
“Chi ha detto che ho intenzione di ucciderti? Come hai detto, alla CIA da morta non servirai a niente.”
Lara continuò ad avvicinarsi. Ormai il suo cuore era a pochi centimetri dalla canna della pistola.
“Ma c’è un piccolo dettaglio che entrambi sappiamo. Indietro in quel posto non mi riporterai viva.”
Con un movimento fulmineo colpì la mano di Vaughn che reggeva la pistola, facendola cadere a terra, e poi lo colpì al torace. Lara aveva fatto per calciare via l’arma, ma Vaughn l’aveva afferrata per un braccio e aveva cercato di torcerglielo dietro la schiena, spingendola contro il muro. Convinto che il combattimento avesse fine, Vaughn si rilassò per un paio di secondi. Lara da una tasca dei pantaloni tirò fuori un coltello, che piantò senza troppi problemi nella coscia dell’agente. Preso alla sprovvista, l’agente urlò di dolore e cadde a terra portando Lara con lui. La ragazza tentò di liberarsi, ma nella caduta la mano di Vaughn si era ritrovata vicina all’arma che aveva perso. L’afferrò e la puntò contro Lara, nello stesso momento in cui lei, sopra di lui, lo minacciava puntandogli la lama del coltello alla gola.

In quel momento, mentre si puntavano contro le rispettive armi, sia Lara che Michael realizzarono che nessuno dei due aveva realmente l’intenzione di fare del male all’altro. Ma nessuno dei due voleva essere il primo ad abbassare la guardia, o almeno quelle erano le loro intenzioni a livello razionale. L’attrazione che avevano sperimentato a Firenze si stava rifacendo viva, intatta nonostante gli anni passati dal loro ultimo incontro…

***

Perché ogni volta che io e Vaughn – Michael – ci incontriamo finisce sempre in questo modo?, si domandò Lara, con la testa appoggiata ad una mano, osservando Michael dormire accanto a lei. Come erano arrivati dal puntarsi un’arma in soggiorno fino nella sua stanza non ricordava esattamente, ma ricordava piuttosto bene cos’era successo dopo. Una cosa che non si sarebbe dovuta ripetere.
La sveglia sul comodino segnava le quattro e quaranta. Il volo sarebbe partito alle otto. Aveva ancora tempo, ma era meglio andarsene subito, prima che le venissero altre strane idee.
“Rimani.”
E Lara, seduta sul letto, d’un tratto sentì vacillare i suoi propositi. No, ricordati chi è, Lara. Un agente della CIA. CIA, che equivale ad una reclusione in quella struttura che già conosci, in quella cella claustrofobica che già conosci. Hai davvero voglia di tornarci, brutta stupida che non sei altro?
“Lo sai che non posso.” Anche se vorrei…
“Almeno dimmi perché sei venuta qui.”
“Ha importanza, ora?” O semplicemente hai voglia di sentire quello che di sicuro già sai?
“Ne ha per me.”
“Credi ti abbia usato? No. Non lo farei mai.” Nel senso che ce la farei con chiunque altro, ma con te non ci riuscirei mai.
“Chi sei realmente?”
Lara sorrise, e si voltò verso di lui “Domandamelo la prossima volta che ci incontreremo.”
Michael chiuse gli occhi.
Lara si era seduta su una sedia, guardandolo dormire, e illudendosi per qualche minuto di non essere una terrorista in fuga, di non essere una nemica dell’uomo che stava dormendo, di non essere Lara Derevko…
Incredibile. Per la prima volta da quand’era una bambina, rimpianse di non chiamarsi più Sydney Bristow. Chi lo sa, magari le cose sarebbero state diverse in quel caso. O forse no.
L’orologio ora segnava le cinque e mezza.
Ora dobbiamo proprio andare via…
Le scarpe erano rimaste in soggiorno, come il coltello e la pistola di Vaughn. Lara rimise il coltello in tasca, e mise la pistola sul tavolo della cucina. Donovan, svegliato dalla sua presenza, trotterellò scodinzolando fino ai suoi piedi reclamando la colazione. Lara gli diede una grattata dietro le orecchie e gli mise qualche croccantino nella ciotola. Poi raccolse la borsa che aveva portato con sé e si avviò alla porta. La mano era già sulla maniglia, quando sentì che non poteva andarsene così, non con lui. Vide vicino al telefono un blocco e una penna, e decise che sarebbero serviti allo scopo.

Quello che è successo tra di noi stanotte io non l’avevo previsto, esattamente come sei anni fa. Non avevo previsto neanche quanto io non voglia andarmene da qui ora… ma non vivrò da reclusa per tutta la mia vita in qualche prigione qui a Los Angeles ad aspettare che qualche senatore o giudice che sia, che non mi ha mai visto in faccia, decida se devo vivere o morire.
Non ti dirò addio, perché so bene che ci rivedremo, anche se dai lati opposti di una barricata. Chi lo sa, magari la prossima volta sarò anche in grado di rispondere alla domanda che mi hai fatto.

Quindi… arrivederci, Michael.

Piegò in due il biglietto, e lo appoggiò sul tavolo vicino alla pistola. Poi fece un respiro profondo, e uscì dalla sua casa.
La prossima volta che lei e Michael si sarebbero incontrati… quella volta avrebbero avuto di nuovo una pistola in mano, per difendere quello in cui credevano e l’agenzia per cui lavoravano. E, pensò Lara, mentre l’aereo decollava e si lasciava alle spalle la città degli angeli, quella volta solo uno di loro due ne sarebbe uscito vivo.

***

Appena scesa dall’aereo, e osservando le scritte in cirillico ovunque nell’aeroporto, Lara finalmente si sentì a casa. Anche se per la prima volta, non ne era del tutto felice. Colpa di Khasinau, e di un agente CIA che avrebbe fatto meglio a far ritornare nell’oblio dov’era rimasto per anni. Una volta passata la dogana, andò in una toilette e sostituì gli abiti da viaggio con uno dei suoi abituali tailleur neri e le scarpe da ginnastica con un paio delle sue altrettanto abituali decolleté, sempre nere. Dalla valigia levò anche il manoscritto e la fiala, per metterli nella borsa, e non potè fare a meno di fermarsi ad ammirarli per un momento.
Ecco quello che per lei era importante. Tutto il resto poteva aspettare. Scoprire quello che Rambaldi voleva attuare alla fine, il suo ultimo progetto, era la cosa a cui più teneva. La sua santa chiamata. Per quanto la detestasse, Khasinau non poteva eliminarla rischiando di privare l’organizzazione di un membro importante… Rambaldi in un certo senso era la sua assicurazione sulla vita.
Fu con questo pensiero in testa che si presentò subito al quartier generale per consegnare ampolla e libro.

Appena entrata comprese che c’era qualcosa che non andava. Vladimir e Sark non si trovavano lì, e neanche sua madre. Uno degli operativi le disse che erano partiti per Taipei, per organizzare il nuovo quartier generale.
“Khasinau desidera che faccia rapporto a lui, miss Derevko.”
“Prima devo passare nel mio ufficio.”
“Il tuo lavoro può aspettare, Lara, io no” disse Khasinau, arrivandole davanti.
“E io che pensavo che Rambaldi fosse una priorità.”
Khasinau non rispose alla sua provocazione, e le fece segno di seguirlo nell’ascensore. Sembrava volesse condurla nei sotterranei, dove si trovava il vero cuore dell’organizzazione, ma tutt’ad un tratto i dubbi che nutriva su di lui ritornarono più forti di prima. Vladimir non c’era. Sark non c’era. Sua madre non c’era. E lui voleva parlare a quattr’occhi con lei, cosa che avevano sempre accuratamente evitato di fare… Lara istintivamente sfiorò il metallo della pistola che teneva in borsa.
Una volta arrivati a destinazione, fece per seguirlo nel suo ufficio, ma Khasinau la fermò.
“All’armeria dicono che manca loro un’arma, assegnata a te. Credo che tu debba andare da loro.”
Mentre consegnava a Sergej, il responsabile dell’armeria, la sua pistola, Lara iniziò a pensare al peggio. Quando uscì dall’armeria e due uomini di Khasinau l’afferrarono, portandola senza troppi complimenti in un altro sottolivello dove venivano rinchiusi i prigionieri, capì che i suoi sospetti erano giusti. Lara guardò dietro di sé, ma gli uomini che l’avevano condotta in quella cella erano scomparsi, assieme alla borsa e ai manufatti, e la porta era chiusa. Non c’erano vie d’uscita.
Al loro posto comparve Khasinau, con un sorriso che non mancò di farla rabbrividire. In mano stringeva una pistola.

“Mi stupisce che tu abbia aspettato tanto.”
“Io lo dissi ad Irina, venti anni fa. Tu avresti offuscato la sua capacità di giudizio. Lei mi giurò di no, ma era chiaro il contrario. Il solo fatto di averti messa al mondo l’aveva cambiata, anche se in maniera leggera. L’Irina Derevko che era partita da Mosca non avrebbe avuto la minima esitazione ad abbandonarti senza voltarsi indietro. Ma dimmi, se avevi tanti sospetti perché non sei corsa da mammina a dirglielo?”
“Mia madre avrebbe liquidato i miei dubbi. Ora non potrà più farlo.”
Khasinau guardò Lara, ed esplose in una risata crudele. “Ma davvero credi che Irina scoprirà la verità? Tu sei morta sulla strada che dall’aeroporto porta qui, per mano del Direttorio K che voleva riprendersi il manufatto. E noi abbiamo mandato una squadra per rappresaglia, che in questo momento sta facendo piazza pulita del nostro nemico. Sei stata uccisa e onorevolmente vendicata, piccola. E nessuno qui sentirà la tua mancanza… morta un’esperta di Rambaldi, se ne trova un’altra.”
Alzò la pistola, mirando alla testa di Lara “Addio.”

Lara si trovò sul pavimento, in stato di shock. Sentiva lacrime scorrere sulle guance, ma non si rendeva neanche conto di stare piangendo. Non aveva voluto dare a Khasinau la soddisfazione di vederla pregare per la vita, ma il sollievo di essere ancora viva era grande.
Anche sua madre doveva pensare più o meno la stessa cosa. In mano aveva ancora la pistola con cui aveva ucciso Khasinau, che giaceva a terra morto, con la nuca sfondata.
“Sergej mi ha mandato qui non appena mi ha vista. Ho avuto paura di… di arrivare troppo tardi.”
Appoggiandosi al muro, Lara si alzò in piedi e barcollando arrivò vicino alla madre che l’abbracciò.
“Nessuno deve toccare mia figlia.”

Quando Irina si scostò da sua figlia, la madre preoccupata e sollevata lasciò il posto all’unico capo dell’organizzazione, che domandò a Lara spiegazioni sulla sua missione. Lara non omise niente, eccetto la notte con Vaughn.
“Anche se hai fallito, l’aver riportato ben due manufatti di Rambaldi e quella lista di nomi parlerà in tuo favore.”
“Che vuoi dire?”
“Lara…”
Lara alzò una mano, come per fermare la madre. D’improvviso tutto le fu chiaro. Khasinau era morto. Irina, sua madre lo aveva ucciso per salvare lei, Lara, che aveva fallito una missione importante. Se si fosse presentata il giorno dopo come se nulla fosse successo, con ancora tutti i privilegi del suo status di operativa di alto livello, quelle persone che appoggiavano Khasinau, quelli che aveva spinto a dubitare di lei, sarebbero potuti diventare senza dubbio delle spine nel fianco o peggio nemici. E sua madre sarebbe stata colpevole ai loro occhi quanto lei, per aver chiuso gli occhi di fronte alla figlia.
Per questo ora doveva pagare. E sapeva anche come.
“Quanto tempo durerà la mia reclusione?”
“Due mesi saranno sufficienti.”
“Potrò vedere qualcuno?”
“Cercherò di fare il possibile. Non me, comunque.”
“Ho capito.”
“Non vorrei arrivare a questo, ma…”
“Non mi devi spiegazioni. Devi mantenere l’assetto dell’agenzia, lo capisco. Io ho fallito una missione e un agente è morto, quindi questa è la mia punizione.”
Irina posò una mano sulla spalla della figlia, e poi lasciò la cella. Qualche minuto dopo, un agente venne a prenderla.
Prima di scortarla nella sua cella, le dissero che doveva togliere i gioielli che indossava e i suoi vestiti eleganti, e in cambio le diedero un paio di pantaloni e una maglietta, non troppo diversi da quelli che aveva indossato nella struttura di reclusione a Los Angeles.
Neanche la sua cella era tanto diversa: un tavolo, una sedia, una rete con sopra un materasso, un cuscino e una coperta. Beh, pensò, almeno non avrebbe dovuto dormire sul pavimento.
Distesa sul letto, pensò anche che aveva fatto tanta fatica per scappare da Los Angeles, dove suo padre la sorvegliava a vista, solo per ritrovarsi rinchiusa in una cella identica, a migliaia di miglia di distanza, per mano di sua madre.
Le venne spontaneo sorridere. Al destino non mancava proprio il senso dell’ironia.

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Alias Italia - Il dossier Sydney Bristow © 2003 Antonio Genna
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