Riassunto:
Una ragazza nuova arriva in città e comincia a conoscere Max, Isabel, Liz,
Maria, Michael e Alex. La sera di Capodanno però incontra un ragazzo che le fa
capire qualcosa dei suoi primi cinque anni di vita. Isabel comincia a
sospettare nel vederla così tesa e … continua…
Data
creazione: 8/1/2001
Valutazione
contenuto: per tutti.
Disclaimer:
tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB tranne Sabrina Jane Tucker,
Joshua Dale, il padre e la madre adottiva di lei, i compagni della vecchia
scuola di Sabrina e gli alieni che sono invenzione esclusiva dell’autrice.
Il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.
La
mia E-mail è acquachiara84@hotmail.com
Era
una notte buia e tempestosa mentre i lampi del temporale squarciavano il cielo
illuminando quasi a giorno le strade deserte di Roswell. Il vento muoveva gli
alberi tanto forte che sembravano aver preso vita e sbatacchiavano contro le
finestre di alcune case. La pioggia cadeva fittamente sulle macchine
abbandonate lungo il viale della strada principale mentre un taxi parcheggiò
proprio nella casa a fianco a quella di Liz Parker. Una figura fornita di un
ampio impermeabile scese dall’auto seguita dall’autista. Insieme
raggiunsero il retro dell’auto da dove estrassero tre bagagli e un grosso
sacchetto bianco. Velocemente si diressero lungo il viale del giardino e
arrivarono al riparo della veranda che stava davanti alla porta d’ingresso.
L’autista lasciò lì i bagagli e ricevette i soldi per il passaggio
dall’aeroporto e anche una piccola mancia, così corse fino a chiudere il
portabagagli e infine tornò in macchina partendo verso la città di
Albuquerque da dove era venuto.
Sabrina entrò in casa e si guardò attorno cercando le luci. Una volta che le
ebbe trovate tornò fuori e portò dentro i tre bagagli e il sacchetto, così
si barricò in casa terrorizzata. Ora era definitivamente sola senza nessuno
che badasse a lei. Era rimasta con la zia un mese dopo il processo avvenuto il
24 Novembre e nel frattempo aveva cercato una casa, un lavoro e una scuola.
Senza crederci lo aveva trovato a migliaia di chilometri
di distanza da dove si trovava e proprio nella cittadina dove il 3
Luglio del 1947 erano atterrati degli UFO. Gli altri posti non la
soddisfacevano abbastanza, se per il troppo costo o la troppa distanza da un
centro abitato o infine per la mancanza di un lavoro. A poco erano valse le
preghiere di sua zia nel dirle che sarebbe potuta rimanere lì fino a che
avesse finito gli studi.
- E adesso sono qui e già dovrò passare da sola un’intera notte
terrorizzata che qualcuno entri dalla mia finestra per uccidermi - pensò ad
alta voce dirigendosi in cucina e pregando che ci fosse qualcosa da mettere
sotto i denti. Non trovò nulla così tornò nella sala in cui aveva lasciato i
bagagli e da una tasca laterale prese una merendina. Si disse che l’indomani
avrebbe mangiato un po’ meglio ma per adesso si sarebbe dovuta accontentare.
Portò di sopra il bagaglio con le cose che avrebbe usato per dormire e si
diresse in camera sua letteralmente stanca per il viaggio.
Il
giorno dopo Sabrina decise di fare un giro d’ispezione e conoscere un poco
della città in cui avrebbe abitato. La scuola sarebbe iniziata solo all’8 di
Gennaio e aveva tutto il tempo che voleva per trovare magari qualcosa da fare
nel tempo libero o qualcuno con cui passare capodanno. Uscì da casa e cominciò
a dirigersi verso la sinistra della strada e per poco non si scontrò con una
ragazza che stava uscendo di corsa per inseguire un piccolo gattino. Lei quasi
non la vide tanto intenta a recuperarlo prima che finisse sotto a una macchina
e una volta raggiunto lo prese in braccio e lo strinse a sé. Così tornò
verso casa sua e finalmente si accorse di Sabrina che era rimasta lì a
fissarla per tutto il tempo incuriosita.
- Ciao - la salutò la ragazza - Sei nuova di queste parti oppure sei solo di
passaggio?
- Credo che tra un po’ sarò vecchia. Mi sono appena trasferita in quella
casa - e indicò con l’indice il piccolo villino a due piani.
- La vecchia casa dei Wilbur. Sono riusciti a venderla in fretta quelli
dell’agenzia, allora! Maria diceva che quella casa sarebbe stato un problema
venderla a causa della maledizione che incombe su di essa. Ma probabilmente tu
non sei superstiziosa - la ragazza la guardò e rimase sorpresa dello sguardo
terrorizzato di Sabrina - Forse non sapevi niente… Ops, mi sa che ho
combinato un bel guaio.
- Non preoccuparti. Forse non c’è nessuna ragione per aver paura - tentò di
sdrammatizzare Sabrina - Cosa vuoi che sia una maledizione per una dura come
me? - sorrise alla ragazza - Comunque sia andata io sono la tua nuova vicina.
Mi chiamo Sabrina Jane Tucker.
La ragazza sorrise - Io sono Liz Parker. Piacere di conoscerti - Liz le porse
la mano ma Sabrina rifiutò cortesemente sperando di non averla offesa.
Jane
si chinò verso il gattino e lo accarezzò sulla testa - Come si chiama?
-
Sweet. Me lo hanno regalato a Natale e già ci sono affezionatissima - a Liz
brillavano gli occhi mentre ne parlava - L’unico problema è che bisogna
controllare che non sporchi in giro e che non esca di casa come ha fatto
adesso, altrimenti finisce che non vivrà abbastanza.
- Adoro i gatti. Anch’io ne avevo uno prima che… - si interruppe
accorgendosi che stava andando troppo oltre. Non doveva far sapere a tutti
quello che le era successo e già al primo incontro si stava lasciando sfuggire
tutto.
Liz dovette capire perché non fece domande su questo ma invece la invitò a
entrare in casa sua a prendere qualcosa.
- No, grazie. Ho appena fatto colazione e volevo visitare un poco la città.
- Se vuoi ti accompagno. Tanto non ho nulla da fare! - fece Liz entusiasta -
Ovviamente ti farò vedere le attrazioni del posto compreso e soprattutto il
Crashdown.
- Cos’è? - chiese Sabrina divertita.
- Vedrai e dopo non potrai più farne a meno - disse Liz misteriosa - Lasciami
solo portare dentro questa peste e sarò subito da te. Se nel frattempo vuoi
accomodarti in casa…
Sabrina entrò in casa di Liz mentre lei sparì in una stanza portandosi via
Sweet. Si trovava in una specie di sottoscala e da una porta con un piccolo oblò
si poteva vedere un locale affollato. Probabilmente Liz viveva sopra a qualche
ristorante o bar.
Subito dopo si ritrovarono di nuovo davanti alla casa e si dirigevano lungo la
direzione che aveva preso Sabrina. Liz la portò in giro per l’intera
mattinata portandola prima al parco e così nel Ufo Center a qualche isolato da
lì. Rimasero insieme a guardare i documenti e i verbali di quei giorni e delle
testimonianze. In certe cose Sabrina rimase persino sorpresa della sua
ignoranza su queste cose.
Mentre stava guardando una intervista del 1979 di Jesse Marcel, un ufficiale
della RAAF (Roswell Army Air Force), sentì dietro di sé uno sguardo fisso.
Non diede a vedere niente e tentò di dimenticare la sua fissazione che poteva
essere del tutto ingiustificata. Alla fine non poté più far finta di nulla e
si voltò giusto per incontrare lo sguardo indagatore di un ragazzo dai capelli
castani e gli occhi verde smeraldo. Rimase a fissarlo il tempo di metterlo a
fuoco quando fu distratta dalla chiamata di Liz.
Sabrina si voltò.
- Guarda questo volantino. Dopodomani fanno una festa qui, per la notte di
Capodanno. Che ne dici se veniamo?
Sabrina si dimenticò del ragazzo - Dici davvero? Tu non hai niente da fare?
- Beh, volevamo festeggiarlo insieme io e i miei amici, ma potremmo benissimo
farlo qui tutti insieme. Ovviamente se a te va bene.
- Certo, perché no? - Sabrina guardò nuovamente dove fino a un attimo fa
c’era quello sconosciuto ma era sparito e di lui non c’era più traccia.
- Liz! Ciao! Cosa fai qui? - Sabrina guardò verso quella voce e si accorse di
un ragazzo dai capelli corti scuri e dagli occhi scuri.
- Max… - Liz gli si avvicinò per dargli un lieve baciò sulle labbra -
Abbiamo un nuovo acquisto e io la ho portata un po’ in giro per rendersi
conto di dove è finita.
Max la guardò scorgendo in lei una specie di strano magnetismo e lo stesso fu
per Sabrina. Rimasero a fissarsi a distanza fino a che Liz non si intromise -
Come mai rimanete a fissarvi al posto che salutarvi e presentarvi? - era
rimasta turbata dello sguardo che si erano rivolti.
Max si avvicinò a Sabrina - Ciao. Mi chiamo Max Evans e anch’io sono un
cittadino di questo sperduto paese.
Sabrina sorrise - Io invece sono Sabrina Jane Tucker e ormai anch’io faccio
parte della comunità - così aggiunse tra sé - O almeno spero. Tu lavori qui?
- Eh sì. Ma mi sono fatto dare la giornata libera per la festa di dopodomani -
come ricordandosi di Liz si rivolse ora a lei - A proposito della festa. Che ne
dici se veniamo qui tutti insieme a farla?
Liz sorrise - Ti ho preceduto. Stavo giusto dicendo a Sabrina che avremmo
potuto farla qui e ho invitato anche lei visto che non conosce nessuno.
Max le fece uno dei suoi soliti bellissimi sorrisi - Ora è meglio che vada
altrimenti ne sento delle belle per essermi messo a chiacchierare con due belle
ragazze al posto che lavorare. Liz, noi ci vediamo domani. Sabrina, se non ci
vediamo prima a domenica.
Sabrina sorrise e guardando Liz le chiese - Simpatico e carino. Scommetto che
è il tuo ragazzo.
- Sì, lo è - Liz rimase sul vago.
Uscirono
quasi subito dal Museo e Liz disse - Adesso ti porto al Crashdown.
- Sono curiosissima di sapere cosa sia - disse Sabrina quasi tra sé.
Rimasero in silenzio per tutta la passeggiata ognuna immersa nei propri
pensieri. Liz aveva notato lo sguardo che lei e Max si erano rivolti. Che fosse
gelosia? No, Max non conosceva neppure Sabrina. Probabilmente c’era qualcosa
di più che attrazione fisica. Forse si conoscevano attraverso dei ricordi, si
erano già visti… Che anche Sabrina fosse un’aliena? Liz la guardò di
sottecchi. Poteva essere visto che anche Max, Isabel e Michael non sembravano
altro che ragazzi comuni.
Sabrina dal canto suo pensava anche lei a Max e così al ragazzo dagli occhi
verdi e penetranti. Cominciava a chiedersi se era solo una coincidenza che
avesse deciso di arrivare proprio in quella città oppure era per scoprire
qualcosa che nemmeno lei sapeva. Chiuse gli occhi e mentalmente osservò alcuni
eventi strani avvenuti nella sua vita che nemmeno lei sapeva spiegarsi. Che ci
fosse lo zampino di un alieno? No! Lei sicuramente non lo era e nemmeno le
persone che la circondavano. Tutte coincidenze e nient’altro. Chi era allora
quel ragazzo che la fissava lì al Museo?
- Siamo arrivati - disse Liz riscotendola dai suoi pensieri.
Sabrina alzò la testa riconoscendo che si trovavano dall’altra parte di dove
abitavano - Siamo molto vicine a casa…
- Il Crashdown è praticamente sotto casa mia. E’ solo un locale che si
ispira agli alieni. Io lavoro qui, sai?
Sabrina guardò il locale e le venne voglia di entrare - A pensare che ci si
possa prendere qualcosa da mangiare mi viene fame.
- Hai ragione, è ora di pranzo. Che ne dici se lo facciamo per davvero? -
chiese Liz.
Entrarono e si sedettero a un tavolo. Liz le indicò il menù e le consigliò
un piatto illeggibile.
- Che cos’è? - chiese Sabrina diffidente.
- C’è dentro cibo normalissimo, ma è fatto in modo speciale. Carne di
pollo, ketchup, insalata, patate e carote. Pensa che lo ho inventato io…
Sabrina la fissò ridendo - Mi fido di te, ma se non mi piace lo mangi tu.
- Prometto sul mio onore - commentò Liz e per rafforzare la sua affermazione
si appoggiò una mano sul petto.
- Guarda un po’ chi si vede tra i clienti - una ragazza bionda vestita della
divisa verde e con in testa un cerchietto con le antenne era apparsa con il
blocchetto degli ordini in mano.
- Ciao Maria - disse Liz - Avevamo fa me siamo venute a sfruttarti un poco.
Questa è Sabrina Tucker - disse indicandola - Sabrina, questa è Maria DeLuca.
Maria chinò la testa in modo bizzarro e Sabrina fece altrettanto.
Liz esclamò vedendole - Spero non diventerà un’usanza del luogo.
- Liz, attenta a come parli oppure ti farò lavorare io oggi pomeriggio! - le
disse Maria fingendo di essere offesa.
- Sei il suo capo? - chiese Sabrina.
- Capo io? Naaaa - disse Maria - Collega simpatica e divertente? Sì.
Liz la guardò ridendo e sia lei che Sabrina esclamarono insieme - Modesta la
ragazza.
Il
giorno dopo Sabrina si svegliò tardi e scese le scale dirigendosi in cucina
per fare colazione. Aveva risistemato tutti i mobili arrivati nel pomeriggio in
casa ed era andata a comprarsi qualcosa da mangiare. Quel giorno aveva deciso
di andare a vedere il posto dove lavorava e la sua scuola.
Una volta che ebbe indossato un paio di Blue Jeans e un maglioncino e una
giacca a vento recuperò la cartina di Roswell e il suo zainetto e corse fuori
all’aria fresca. Stava ancora nevicando dalla notte trascorsa e fu costretta
a tornare in casa a prendere un ombrello. Finalmente partì dirigendosi dalla
parte opposta di dove era andata ieri.
Camminava silenziosamente lasciando impronte nella soffice neve. I suoi
pensieri tornarono un mese prima a Newcastle, un paese nel Wyoming, quando già
la prima neve cominciava a ghiacciarsi. Erano già passati quattro giorni
allora dal processo e ancora aveva paura a uscire dalla sua camera. Sua zia le
portava il pasto e la cena e inutilmente tentava di convincerla a raggiungere
la sala per mangiare con lei, suo zio e i suoi cugini. Sabrina rimaneva ore a
guardare fuori dalla finestra i bambini che giocavano a palle di neve e
costruivano i pupazzi di neve nei loro giardini, oppure studiava per tenersi al
passo con la scuola. Una settimana dopo tornò a scuola e subito dovette
recuperare i compiti che aveva perso in quelle due settimane e sopportare le
diverse interrogazioni. Quello che più le pesava però erano le occhiate che i
suoi compagni le lanciavano, penetranti. Sentiva pettegolezzi e storie montate
su di lei e alla fine fu costretta a fuggire sperando in una nuova vita
dimenticando la precedente anche se sarebbe stata dura.
Si riscosse dai suoi pensieri e guardò dove si trovava. Il nome della via le
balenò davanti agli occhi e controllò sulla cartina. Adesso avrebbe dovuto
girare a destra e così a sinistra e sarebbe arrivata davanti a una grossa
fabbrica. Lì aveva trovato lavoro durante il pomeriggio. Quello che sperava
era che riuscisse anche a studiare e dormire, ma su quello contava soprattutto
la sera dopo mangiato. Avrebbe guadagnato abbastanza di che vivere, ma se si
fosse trovata in un abisso finanziario avrebbe immediatamente lasciato la
scuola.
Mentre svoltava lungo l’ultima strada sentì dietro di sé dei passi, ma non
ci fece caso anche se il suo cuore cominciò a battere a mille. Strinse a sé
la cartina e abbassò lo sguardo sui suoi piedi fino a quando qualcuno non la
superò ed entrò in un casolare. Si accorse di aver tirato un sospiro di
sollievo.
Entrò nella fabbrica e cercò l’ufficio del datore di lavoro. Chiese a una
segretaria che la accompagnò in una sala d’attesa dove trovò anche un altro
ragazzo più o meno della sua stessa età che leggeva una rivista. Si sedette
proprio di fronte a lui e involontariamente si ritrovò a fissarlo ricordando
quello strano magnetismo provato anche con Max. Anche lui alzò il suo sguardo
su di lei e notò la stessa scintilla degli occhi di Max.
Lei sorrise imbarazzata - Sei anche tu qui per lavoro? - chiese per distogliere
l’attenzione.
- Indovinato. Anche tu? - chiese lui con la sorpresa dipinta sul viso.
Sabrina annuì - Purtroppo sì. Devo pur mantenermi in qualche modo…
- Vivi da sola? - chiese lui con un certo interesse.
- Sì, mi sono trasferita qui solo ieri ed è la prima volta che vivo da sola.
Non saprei se definirla una fortuna o una sfortuna.
- Dipende. Per me è stata una fortuna andare a vivere da solo lontano da mio
padre.
Sabrina alzò gli occhi e lo osservò - Credo che ci ritroviamo nella stessa
situazione. Anche se in effetti era il mio padre adottivo.
- Beccato - il ragazzo si alzò e le si avvicinò sedendole a fianco - Mi
chiamo Michael Guerin.
Sabrina sorrise - Michael… bel nome. Io sono Sabrina Jane Tucker.
- Il tuo è un nome strano. Lo dici sempre per intero? - le chiese divertito.
- Certo. C’è più scelta nel chiamarmi.
- Giusto.
La porta dell’ufficio si aprì e ne uscì un uomo grassoccio che li guardò -
A chi tocca?
- Tocca a questa ragazza - disse Michael prevenendola.
- Ma sei arrivato… - tentò di protestare lei.
- Prima le signore - disse Michael e non le lasciò ancora tempo per replicare
facendo un gesto di intesa.
Sabrina
entrò e si sedette su una bella sedia blu notte tentando di calmare il tremito
che avvertiva nel corpo. Si guardò attorno per assicurarsi che non ci fosse
nulla di pericoloso. L’ultima volta che era stata insieme a un uomo da sola
aveva rischiato la vita e adesso aveva paura. Ricacciò indietro il groppo alla
gola.
- Buongiorno signorina…?
- Tucker Sabrina - disse lei - Ho telefonato due settimane fa circa un posto e
lei mi ha assicurato che avrei potuto trovarlo qui.
L’uomo annuì - Sì, mi ricordo. Purtroppo c’è stato un imprevisto e già
abbiamo dovuto licenziare qualche persona. Abbiamo difficoltà finanziarie e
non possiamo permetterci di assumere altri dipendenti. Mi dispiace signorina
Tucker.
Sabrina annuì pensosa mentre malediceva la sua grande sfortuna. Si alzò ed
evitò come al solito di dare una mano per salutare, così uscì
dall’ufficio.
Fuori c’era ancora Michael - Come è andata?
Sabrina scosse la testa e senza salutare tornò a casa rifugiandosi nella sua
stanza saltando anche la cena. Rimase ad ascoltare la musica con le cuffie
guardandosi attorno senza pensare a nulla.
La
mattina dopo sentì bussare alla porta. Aprì gli occhi e guardò assonnata
l’orologio meravigliandosi che fossero già le undici e mezza della mattina.
- Sabrina, sei in casa? - la voce di Liz la raggiunse soffocata dalle pareti
della casa.
Sabrina si alzò e andò alla finestra della camera che dava sulla strada, la
aprì e guardò Liz davanti alla porta che tentava di guardare dentro.
- Liz, sono qui! - tentò di gridare ma l’effetto non fu molto rassicurante.
Liz alzò la testa per guardare e poi ridendo imbarazzata esclamò - Ti ho
svegliata? Mi dispiace.
- Niente. Mi hai fatto un favore. Dovrei decidermi a comperare una sveglia -
Sabrina la fissò per un poco - A proposito… come mai sei venuta a trovarmi?
- E’ solo una visita, ma già che c’era volevo vedere se avevi già un
vestito per la festa di questa sera.
Sabrina scosse la testa sorridendo rassegnata - Avrei dovuto comperarlo ieri
ma… è successo un imprevisto - non le sembrava il caso di fare la
piagnucolona facendo annoiare le persone che le stavano attorno con le sue
disgrazie.
- C’è un negozio ancora aperto fino a mezzogiorno e siccome anch’io avevo
bisogno di un vestito sono venuta a vedere se volevi accompagnarmi - le gridò
Liz.
- Hai fatto bene. Aspetta che arrivo.
Pochi minuti dopo si ritrovavano in strada ognuna che tentava di avviare una
conversazione senza trovare un argomento adatto. D’un tratto Liz decise di
essere indiscreta soprattutto per vedere se Sabrina conosceva Max - Come mai ti
sei trasferita qui e vivi da sola?
Sabrina fu sorpresa di quella domanda - Non credo…
- Scusa - si corresse Liz - Non sei obbligata a rispondermi. Mi chiedo persino
perché ti ho fatto una simile domanda.
- Credo che tu ne abbia tutte le ragioni. Quello di cui ho paura è se dopo
vorrai ancora essermi amica o se mi guarderai come se fossi un’aliena.
Liz sussultò a quella parola e sperò che Sabrina non se ne fosse accorta -
Non credo che mi comporterei così… Già… già qualcun altro aveva avuto lo
stesso problema.
Sabrina abbassò la voce - Ho dovuto scappare via dalla mia vita precedente -
stavano percorrendo una via abbastanza affollata - Preferirei tuttavia parlarne
in un posto tranquillo dove non ci sia qualcuno che ci possa sentire. A ogni
buon conto prima andiamo a prenderci i vestiti - disse riacquistando un po’
di buon umore.
- Certo - disse Liz.
Liz
la accompagnò a casa sua e andarono in camera dove Sabrina appoggiò a terra
il sacchetto. Mentre Liz deponeva nell’armadio Sabrina commentò quanto fosse
carino quel posto e guardando fuori dalla terrazza notò un cuore in vernice
rossa con delle iniziali. Sorrise immaginando di chi fosse.
Mentre Liz prendeva posto davanti a lei tentò di dire qualcosa - Non so da
dove cominciare… Sei sicura di volere sentire le mie avventure?
- Io sì. E tu di raccontarle?
Sabrina annuì e prese un profondo respiro.
- Un mese e mezzo fa c’è stata una festa a Newcastle… - si guardò un
momento in giro - Forse però è meglio che inizi così. Sono vissuta a
Newcastle da quando avevo 5 anni e non ricordo nulla di quello che mi è
successo prima. Ho vissuto con un padre e una madre adottiva e ho avuto momenti
di felicità sovrapposti ad alcuni di tristezza. Mio padre mi trattava male e
mia madre aveva paura di lui e raramente interveniva per paura di essere
picchiata quando lui doveva “darmi una regolata”. Mi picchiava se facevo
tardi alla sera, se mi dimenticavo di fare qualcosa in casa - la sua voce si
incrinò un poco.
- Sabrina. Forse è meglio che non mi dici niente se non te la senti - tentò
Liz anche se voleva sentire cosa aveva da dire.
Sabrina scosse il capo - Tutto successe una sera. Davano una festa a casa di
una mia amica e decisi di andarci, sapendo che mi sarei potuta divertire dopo
un intera giornata di studio. Dovevo tornare per le undici, ma la festa si
protrasse e decisi di rimanere ancora un po’, tanto almeno da vedere cosa
sarebbe successo dopo. Sapevo che mio padre mi avrebbe punita, ma pensavo che
ormai c’ero abituata a quello che mi diceva. Tornai a casa e decisi di
affrontarlo sottomettendomi per paura di non riceverne il doppio. Quella sera
però aveva bevuto ed era rimasto alzato apposta ad aspettarmi. Quando entrai
in casa mi fece un sorriso sghembo - le immagini di ciò che era successo le
scorrevano davanti agli occhi come se stesse rivivendo la scena - Mi chiese
perché non ero tornata prima. Gli risposi semplicemente scusa. Si avvicinò e
sentivo il suo odore bloccarmi la gola. “Dammi la tua mano” mi disse. Così
feci anche se riluttante. Me la strinse e mi sbatté per terra. Tirò fuori un
coltellino da una tasca e tentò di colpirmi in viso. Riuscii a scappare in
camera, ma lui fu capace di buttare giù la porta. Gli tirai addosso tutto
quello che avevo sottomano ma ero troppo terrorizzata per ragionare e alla fine
fui intrappolata in un angolo. Alzai le mani per ripararmi mettendomi a urlare
e dalle mie mani divampò una luce intensa. Mio padre si uccise con la sua
stessa mano.
Liz rimase sconvolta da quello che aveva sentito. Dalle sue mani si era
liberata una luce intensa come potevano fare Michael, Isabel e Max. Quindi
anche lei era un’aliena! Era l’unica spiegazione plausibile.
- La polizia mi fece domande e quando gli raccontai quello che ti ho detto a te
cominciarono a guardarmi come se fossi matta. Rimasi per un mese in un ospedale
psichiatrico e alla fine mi convinsero che ero stata io a colpirlo e
inconsciamente avevo creduto di aver sprigionato un qualcosa. Ci fu un processo
e fui scagionata per legittima difesa.
Liz annuì - E la tua madre adottiva?
- E’ scappata e nessuno sa più dov’è andata a finire.
- Mi dispiace che ti sia andata così… Tu cosa credi riguardo a quello che è
successo?
Sabrina annuì amaramente - Credo che non sia stata solo una visone perché
prima di allora sono successe altre cose strane, cose che cambiavano colore
quando le toccavo, ferite che sparivano… Sinceramente a volte ho pensato di
essere una strega.
- Non credo che tu lo sia… Non so che dirti - Liz decise che per ora doveva
finire lì e pensò bene di distrarre Sabrina per tutto il pomeriggio
convincendola anche a rimanere lì per cambiarsi e andare insieme alla festa.
Indossarono
due vestiti completamenti diversi. Liz aveva un vestito nero col collo ricamato
in argento come l’orlo delle maniche e della lunga pesante gonna, mentre i
capelli erano raccolti in una treccia legata in fondo da un nastro di seta
nero. Sabrina aveva invece un vestito azzurro anche lei con una lunga gonna
pesante e le maniche che da attillate si allargavano sui polsi e i capelli
erano legati in uno chignon con dei ciuffi ribelli che le sfuggivano.
Uscirono insieme sulla strada quasi correndo accorgendosi del ritardo e
Sabrina, appena fuori dalla casa di Liz sbatté addosso a un ragazzo e per non
cadere gli si aggrappò. Liz trattenne una risata mentre quello tentò di
tirare su Sabrina che stava ridendo a crepapelle.
- Scusami per non averti visto - disse così riprendendosi.
- Non preoccupatevi. Scommetto che state andando alla festa al Ufo Center -
disse lui tenendo ancora Sabrina per un braccio.
- Sì e siamo anche in ritardo - confermò Liz.
- Sto andando anch’io lì. Se volete ci andiamo insieme - fece lui.
- Certo… perché no? - esclamò Sabrina che tentava di vedere i suoi
lineamenti nella semioscurità fallendo.
- Allora conviene che ci incamminiamo subito e manteniamo un’andatura
sostenuta - disse Liz prendendo Sabrina per un braccio e guardandola in modo
significativo.
Liz intendeva con andatura sostenuta “correre”. Arrivati all’esterno del
Museo Liz fece segno a Sabrina che lei entrava a cercare Max e gli altri.
Sabrina volle rimanere lì ancora un momento guardando ormai alla luce il viso
del ragazzo. Si accorse che era qualcuno di familiare e la scena di due giorni
prima le tornò alla mente facendole battere il cuore.
- Tu sei… - tentò di dire. Gli scomparve sotto agli occhi e inutilmente
osservò tra la folla per vedere la sua immagine. Scosse la testa ed entrò
all’interno del Museo andando a cercare Liz. La trovò già in compagnia di
Max e si avvicinò a loro. In loro compagnia c’erano una ragazza bionda e un
ragazzo bruno.
Max li presentò e lei sorrise - Questa è mia sorella Isabel mentre lui è
Alex Whitman.
- Piacere di conoscervi - chinò solo leggermente la testa mentre Alex allungò
la mano. Ci fu una occhiata magnetica fra Isabel e Sabrina, la stessa che
c’era stata con Max e Michael.
- C’è qualcosa da mangiare? Ho una fame… - disse Sabrina ignorando il
povero Alex e guardandosi attorno con la speranza di vedere ancora quel ragazzo
per chiedergli spiegazioni.
Liz indicò invece con un dito dicendo - Arrivano Maria e Michael.
Sabrina si voltò e riconobbe il ragazzo che aveva trovato alla fabbrica e la
ragazza che lavorava al Crashdown. Fu sorpresa di scoprire che facesse parte
del gruppo e immaginò anche la relazione tra lui e Maria. Anche Michael fu
sorpreso di vederla.
- Sei qui anche tu? - esclamò salutandola con la mano.
- Vi conoscete?! - esclamarono in coro Liz e Maria.
- Da quando? - dissero invece Max e Isabel.
- Ci siamo incontrati ieri in fabbrica… Anche lui cercava lavoro - disse
Sabrina sorpresa per la loro reazione.
Maria fissò Michael e agitandogli un dito sotto il naso - Che diamine ci
facevi in fabbrica? Cercavi lavoro?
Michael alzò le spalle - Che male c’è! Magari era una situazione più
conveniente del cuoco al Crashdown.
- Ma…? - disse Max.
- Ma non c’era più posto per me - fece Michael chinando la testa. La alzò
verso Sabrina - Scommetto che è successo anche a te. Adesso cosa farai?
- Penso che venderò la casa e cercherò un altro posto assicurandomi che ci
sia un lavoro stabile - disse avvilita guardandosi attorno.
Liz le si avvicinò - Che ne dici di venire anche tu a lavorare al Crashdown.
Abbiamo bisogno di una cameriera e come se la cava Michael te la caverai tu.
- Grazie Liz. Proverò - Sabrina sorrise - Adesso però divertiamoci. Questa è
una festa e non una riunione per afflitti.
Per
un primo momento della sera passarono in rassegna ogni tipo di vivande mentre
Max raccontava le cose che succedevano durante i pomeriggi che passava a
lavorare lì. Disse anche che una volta ci fu un tipo che credeva di essere un
alieno e non c’è stato modo di fargli cambiare idea. Sabrina gli fece notare
che magari lo potesse essere davvero, ma Max scosse deciso la testa senza
spiegarne il perché. Una volta una ragazza di nome Tess Harding venne a
chiedere una cosa a Isabel portandola via con sé e lasciando da solo il povero
Alex. Sabrina gli si avvicinò tentando di distrarlo e di tirargli su il
morale. Il problema ci fu quando Maria, Michael, Max e Liz decisero di ballare.
Sabrina e Alex rimasero li a guardarli e non sapevano che cosa dirsi
annoiandosi a morte. Così lei decise di muoversi e prendendolo per un braccio
- Balliamo anche noi fino a che Isabel non decide di tornare. Spero non si
ingelosisca ma almeno abbiamo anche noi qualcosa per occupare il tempo.
- Non so ballare - disse Alex tentando di scorgere Isabel tra la folla e
vedendola con Tess e Kile.
- Allora andiamo d’accordo, nemmeno io! - esclamò allegra.
Così dopo ci fu una specie di concorso in cui si sarebbero dovuti eleggere il
principe e la principessa della serata. Isabel tornò giusto in tempo per fare
coppia con Alex mentre Sabrina tornò al banco delle vivande per spiluccare
ancora qualcosa di quello che era rimasto. Nel frattempo osservava chi avrebbe
potuto eleggere delle coppie che si stavano iscrivendo. Qualcuno la toccò
sulla spalla e voltandosi riconobbe immediatamente il ragazzo dagli occhi verde
smeraldo e i capelli castani che con quelle luci assumevano riflessi dorati.
Sabrina gli afferrò il braccio - Questa volta non mi scappi!
- Se davvero avessi voluto farlo non credo che ti avrei bussato sulla spalla -
esclamò lui ridendo della sua espressione.
Sabrina lo lasciò perplessa ma non lo mollò con gli occhi nemmeno un istante
per paura che si dileguasse lo stesso - Chi sei tu?
- Mi chiamo Joshua Dale e sono venuto per invitarti a ballare.
- Ma adesso c’è il concorso e solo le coppie iscritte ballano!
- Appunto - lui la tirò per un braccio verso la pista e rimasero ad aspettare
l’inizio della gara.
- Io non so ballare - tentò lei imbarazzata dal suo comportamento - Con tutte
quelle che ci sono proprio me dovevi beccare!
- Scherzi! Sei la migliore… Ti ho vista prima - disse lui guardando però
l’orchestra in modo strano che Sabrina non riuscì a comprendere.
Senza nemmeno accorgersi fu trascinata in mezzo e trascinata a ballare. Lui la
guidava e silenziosamente le dava consigli su come fare e le sembrava di saper
ballare da anni. Diversi balli passarono mentre lei lo osservava accorgendosi
che c’era qualcosa nei suoi occhi di tanto familiare che le sembrava strano
di conoscerlo da poco. I minuti passavano e a lei sembrarono attimi quando
finalmente tutto finì. Non si sentiva stanca e guardandosi attorno cercò con
gli occhi Max e Liz e così Michael e Maria. Entrambe le coppie erano
abbracciate quasi dimentiche di quello che succedeva loro intorno. Alex e
Isabel invece rimanevano l’uno distante dall’altra senza sfiorarsi nemmeno
con lo sguardo. Sabrina scosse la testa divertita e così si aggiustò il
numerino che si era dovuta appiccicare sul davanti.
- Quanto ci vorrà ancora? Io ho fame e sete dopo tutte le giravolte che mi hai
fatto fare - esclamò guardandosi attorno indifferente.
- Da come mangi dovresti essere il doppio di quello che sei - esclamò lui
ridendo e circondandole le spalle con un braccio.
- Ehi! Che confidenza - esclamò lei liberandosi - Non ti conosco nemmeno e già
ti prendi queste libertà?
- Certo che mi conosci… solo che non ti ricordi.
Sabrina gli si piazzò davanti e puntandogli un dito minaccioso contro il petto
- Sarà meglio per te che ti spieghi prima che ne prenda atto.
- Che caratterino! E dire che a cinque anni eri così docile…
Sabrina rimase immobile cercando di reprimere il tremito che si diffuse in
tutto il corpo - Da quanto sai di me?
- Ti ho vista nascere quando avevo appena 4 anni io. Con l’impatto
dell’atterraggio hai battuto la testa e hai perso i tuoi ricordi.
- Atterraggio?! Quale atterraggio?! - Sabrina tentò di leggere i suoi pensieri
attraverso gli occhi verdi fin nelle sue profondità. Rimase delusa quando
invece indicò che stavano dicendo i nomi dei vincitori del concorso. Sabrina
aveva già immaginato chi avesse vinto e guardò salire Max e Liz sul palco a
ricevere i sigilli. Sorrise loro e li salutò capendo che comunque non
l’avevano vista e stavano guardando un po’ Michael e Maria e un po’
Isabel e Alex.
Sabrina ignorò tutto questo e tornò al banco delle vivande dove erano rimaste
solo alcune tartine e una mezza bibita. Si accorse che Joshua le era di nuovo a
fianco ed esclamò seccata - Siccome hai intenzione di tacere quello che sai di
me e lasciarmi a morire di curiosità ti conviene sparire come hai fatto le
altre due volte e farmi restare nei miei pensieri.
- Sei arrabbiata? - dichiarò lui sorpreso.
- No, solamente irritata o se preferisci letteralmente furiosa. Adesso o parli
o ti levi di torno - disse affondando i denti nell’ultima tartina. Non
sentendo alcuna risposta si voltò e scoprì che in effetti se ne era andato
lasciandola lì da sola. Guardò l’orologio accorgendosi che erano quasi le
undici e mezza. Prima che giungesse mezzanotte aveva ancora il tempo di fare
una passeggiata fuori nel giardino e respirare un po’ d’aria pulita.
Finalmente aveva trovato qualcuno che sapesse di lei e questo non era disposto
a parlare. Aveva parlato di un atterraggio e riflettendo tentò di rimestare
qualcosa del genere nei suoi ricordi. Scosse la testa sfiduciata e continuò
lungo un sentiero pieno di luci. Non capiva nemmeno lei come potesse esserci un
posto così bello e idilliaco dietro al museo. Raggiunse un posto con una
fontana e si sedette immergendo le dita nell’acqua fresca. Un luccichio al
suo interno e aguzzando gli occhi tentò di percepirne la forma nell’oscurità.
Sembrava uno strano oggetto metallico con scritte strane simili a geroglifici
che brillavano di una strana luce gialla e azzurra. Allungò una mano per
afferrarlo e strane visioni la colsero di sorpresa. Quelle strane immagini le
offuscarono la mente e vide strane figure simili a quelle umane che la tenevano
in braccio mentre era ancora una neonata. La scena passò quando già aveva tre
anni e stava giocando con un ragazzino di sette in un posto d’argento pieno
di fontane e giardini dove i colori erano tutti rimescolati. Infine si vide a
cinque anni mentre stava rifugiandosi in una strana cassa all’interno di una
costruzione grigia ritrovandosi insieme a un giovane che era lo stesso con cui
aveva giocato a tre anni. Sentì muoversi tutto e trascorse del tempo prima che
qualcosa come uno scossone mandò a sbattere la cassa contro una delle pareti.
Le immagini le si annebbiarono e cominciarono a collegarsi con alcuni ricordi
che aveva. Il ragazzino che aveva all’incirca nove anni uscì dalla cassa e
l’aiutò a uscire a sua volta. Si allontanò e scomparve attraverso una
parete improvvisamente luminosa lasciandola lì. Lei scappò perplessa
attraverso un’apertura non capendo dove si trovava e arrancò attraverso una
brulla zona piena di sabbia all’esterno. Scorse in lontananza strane luci e
si avvicinò. Strane scatole percorrevano a grande velocità quella striscia
grigio fumo. Si fermò sul ciglio e una di quelle scatole si fermò e da lì ne
uscirono una donna e un uomo.
Riprese
il controllo della sua mente mentre teneva appoggiato sul grembo l’oggetto
metallico. Le iscrizione le balzarono alla testa e si fusero in una freccia che
indicò qualcosa. Alzò lo sguardo e di fronte a sé scorse il ragazzino.
Questi divenne più grande e con sorpresa osservò Joshua che le tendeva la
mano.
- Hai compreso?
- Poco. So solo che sei tu il ragazzo delle immagini, vero? - fissò quei due
occhi che sembrarono ipnotizzarla - Ma chi sei tu? Che cos’era quella
costruzione? E soprattutto… chi sono io?
- Non lo immagini nemmeno un po’? - chiese lui sorpreso.
- No. Tu però non mi dirai quella spiegazione tanto agognata, vero? Perché? -
chiese lei quasi in una supplica.
- Non mi crederesti se lo facessi io. Ora però è meglio che torni altrimenti
cosa crederanno quanto scopriranno che sei sparita?
- Ma io non lo sono - osservò la fontana. Improvvisamente le immagini si
mescolarono e si ritrovò in posto bianco di fronte a un lavandino dove
l’acqua scrosciava fresca sulle sue mani. Guardandosi attorno si accorse di
essere nei bagni. Si mosse un istante e una porta si aprì e ne uscì Isabel.
La ragazza si fermò a osservarla sorpresa - Non ti avevo sentito entrare
nessuno.
Sabrina sorrise amaramente mentre fingeva di lavarsi le mani - In effetti sono
brava a entrare di soppiatto in una stanza.
- C’è qualcosa che non va? - chiese Isabel. Stranamente voleva sapere perché
quella nuova ragazza le sembrava una rivelazione, qualcosa per cui valeva la
pena di rischiare. Tenne però la bocca serrata prima di dire qualcosa di
troppo.
- Hai presente quando finalmente trovi una traccia sul tuo passato e non la
puoi seguire perché un ostacolo ancora più grosso ti blocca la strada?
- Anche fin troppo bene - rispose Isabel.
Sabrina la fissò accigliata - Cosa intendi?
- Beh… niente - tentò di ripararsi Isabel - Cosa è successo Sabrina?
La ragazza volontariamente capì che le nascondeva qualcosa di simile e si
controllò - Niente - esclamò anche lei.
Isabel si maledisse per la sua lingua lunga e fece finta di nulla - Conviene
che andiamo fuori. E’ quasi mezzanotte e non vorrei perdermi la festa.
Fine
prima parte...
continua in "Il loro passato" (2)
Scritta
da Monny |