Roswell.it - Fanfiction

STRANI SOGNI


Riassunto: Talvolta può capitare di fare dei sogni davvero strani...

Data di stesura: dall’11 al 12 gennaio 2002.

Valutazione: adatto a tutti.

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.

La mia e-mail è ellis@roswellit.zzn.com


- Max! Max, alzati, è tardi! -
- Sì, ora... - Max allungò un braccio come cercando qualcosa poi, sentendosi scuotere più forte sulla spalla, aprì gli occhi e batté le palpebre infastidito dalla luce del sole. - Mamma?!? -
- Dai, tesoro, sono le sette e mezza! -
- Come? -
- Max, sono le sette e mezza: in cucina c’è già la colazione pronta ma se non ti sbrighi non riuscirai a mangiare niente prima di uscire! Isabel sta già finendo di vestirsi e tu sei ancora a letto! Coraggio, fuori dalle coperte! - Così dicendo la donna afferrò un lembo del piumino e lo tirò via. - Avanti, ragazzo! -
Max si sollevò lentamente a sedere e si guardò intorno perplesso. “Ma cosa diavolo...?” Resosi conto di essere solo nel letto sentì un brivido corrergli lungo la schiena. “Allora... era solo un sogno...” Si passò una mano tra i capelli e obbedì alla madre, sempre più sconcertato. “Eppure sembrava così vero...”
Mancavano pochi minuti alle otto quando uscì di casa insieme alla sorella e Isabel affrettò il passo borbottando contro di lui. - Arriverò tardi proprio oggi che ho il compito d’inglese! Sei stato proprio gentile a dimenticarti di caricare la sveglia, ieri sera... -
- Senti, non l’ho fatto apposta, va bene? E adesso piantala, ci accompagna papà con la macchina. -
- Ah davvero? Ma se è uscito prima di noi! -
Senza aggiungere altro il ragazzo fece un cenno in direzione dell’auto che proprio in quel momento stava uscendo dal garage.
- Oh, fantastico! - Tornata di buonumore, Isabel corse avanti e aprì lo sportello sorridendo. - Grazie, papà, sei davvero un tesoro! -
Phillip Evans si volse a guardarla. - Grazie, piccola. Tua madre mi ha detto che hai un compito alla prima ora e non potevi fare tardi, così ho avvertito Max che vi avrei portato io a scuola... -
Isabel attese impaziente che il fratello salisse di dietro e si allacciò la cintura di sicurezza. - Bene, possiamo andare! -
L’uomo rise divertito e s’immise sulla strada. Sia Isabel che Max erano ottimi studenti, ma vedere l’entusiasmo con cui la figlia affrontava una giornata che sarebbe iniziata con un compito in classe era qualcosa di assolutamente incredibile...
Arrivati davanti al liceo i due ragazzi salutarono il padre e si avviarono di buon passo verso le rispettive aule.
All’uscita dal laboratorio di scienze Max venne affiancato da Michael, il suo amico più caro. O meglio, il suo unico amico.
- Ehi, Max, c’è qualcosa che vorresti dirmi? Sai, mi sono accorto che non riuscivi a staccare gli occhi da quella brunetta della seconda fila, quella Parker... -
- Lascia perdere, Michael -
Il suo tono secco non disturbò affatto il giovane, che tornò alla carica. - Beh, sai come vanno le cose, no? Si comincia con gli sguardi, poi si parla un po’, si esce insieme e... - Fece un gesto eloquente con la mano poi si volse afferrandolo per un braccio. - Ricordati che non dobbiamo attirare l’attenzione su di noi! Fare il filo a una ragazza può essere pericoloso, quindi ti consiglio di piantarla qui, ok? -
Max si arrestò in mezzo al corridoio e lo guardò dritto negli occhi. - Prima di tutto non sto facendo il filo a nessuno, poi stai attirando l’attenzione di tutti i nostri compagni di scuola! E adesso devo andare nell’aula di matematica. Ne riparleremo più tardi -
- Ecco, sì, ne riparleremo più tardi... - Michael gli lanciò un’occhiataccia e si avviò verso l’aula di storia.
Durante la pausa per il pranzo Isabel sedette con il fratello sulla panchina di legno di uno dei tavoli esterni. Era una bellissima giornata di fine settembre ed era piacevole mangiare all’aperto. Vide arrivare Michael e gli sorrise allegramente. - Ciao, come va? -
- Bene - Il ragazzo si sedette accanto a Max e lo fissò seccato. - Ti ho visto, prima, quando eravamo nell’aula di geografia. Hai continuato a guardarla per tutta l’ora! -
- Chi? - s’intromise stupita Isabel.
- Liz Parker. A quanto pare tuo fratello ha perso la testa per lei... -
- Liz Parker?!? Quella brunetta pelle e ossa che fa la cameriera al Crashdown? Max, mi stupisci! -
Max posò il panino sul tavolo e si chinò leggermente verso di lei. - Prima di tutto non è pelle e ossa, e poi non è vero che l’ho guardata per tutta l’ora! E comunque sia ben chiaro a tutti e due - e nel dire questo si volse con espressione gelida verso l’amico, - che sono affari miei! -
- Eh no, mio caro! - Michael gli afferrò un polso stringendolo forte. - Questi sono affari di tutti! Basta una sola mossa falsa e siamo perduti tutti e tre, quindi quello che fai tu coinvolge anche noi! -
- Spiegami cosa può succedere di male se ogni tanto guardo quella ragazza -
- Se davvero ti limitassi a guardala di tanto in tanto, niente. Non succederebbe niente. Ma tu la divori con gli occhi, e lei finirà con l’accorgersene. Tu sai che sta insieme a Valenti, il figlio dello sceriffo, vero? -
Max riprese a mangiare il panino senza dire più una parola, mentre Isabel lo fissava pensierosa.
Nei giorni seguenti Max si sforzò di non guardare troppo spesso nella direzione di Liz Parker, ma quando entrava nella stessa aula in cui si trovava lei sentiva il cuore battergli più forte e la gola secca.
Sabato mattina, mentre si pettinava, guardò con attenzione la propria immagine riflessa nello specchio. “Io... ho quindici anni... e frequento il liceo...” Si passò una mano sulla guancia, perfettamente liscia. “Sono... sono soltanto un ragazzino...” Sospirando ripose il pettine e uscì dal bagno.
- Caro, sei pronto? Stiamo aspettando solo te! -
- Si, mamma, arrivo... - Scese lentamente le scale, gli occhi fissi alla capiente cesta da pic-nic che sua madre aveva preparato per quell’escursione sulle rive del fiume Hondo. “Che cosa diavolo mi sta succedendo?”
La giornata fu molto piacevole. Il sole era ancora molto caldo e avevano potuto fare il bagno. Max ed Isabel non si erano accorti delle espressioni assorte dei loro genitori.
I coniugi Evans li avevano adottati all’età di cinque anni. Qualcuno li aveva trovati lungo la strada che attraversava il deserto e li aveva portati a Roswell. Erano rimasti affidati ad un’assistente sociale per poco più di una settimana, poi la domanda di adozione degli Evans era stata vagliata ed accettata e così Diane aveva finalmente avuto dei bambini di cui prendersi cura. Da allora erano trascorsi dieci anni, durante i quali li avevano visti crescere e diventare i due bellissimi ragazzi che erano adesso, intelligenti, affettuosi, riservati. Quando erano ancora piccoli il fatto che non avessero stretto amicizia con gli altri bambini dell’asilo aveva fatto egoisticamente piacere a Diane, la quale amava averli solo per sé, ma adesso che erano adolescenti si rendeva conto della loro solitudine. Sicuramente avevano degli amici tra i compagni di scuola, però studiavano sempre a casa e uscivano da soli o insieme. Ne aveva parlato con Phillip, che le aveva dovuto dare ragione, tuttavia non c’era niente che potesse fare per aiutarli ad uscire dal loro guscio. Avevano quindici anni, ormai, e non poteva più tenerli per mano. Ma erano in gamba, indipendenti e senza grilli per la testa. Tutto sommato lei e Phillip avevano fatto un buon lavoro e potevano ritenersi soddisfatti.
La domenica pomeriggio i due fratelli andarono con Michael al Crashdown Café. Era un locale simpatico, a tema, e il menù offriva un’ampia scelta di cose da mangiare e da bere dai nomi stravaganti ma di ottima qualità e prezzo contenuto. Michael, che viveva in una roulotte all’estrema periferia di Roswell insieme ad Hank Guerin, un uomo duro e dedito all’alcool, non poteva permettersi di andarci spesso ma di tanto in tanto accettava di essere ospite dei suoi amici.
Isabel non aveva mai compreso come avesse fatto Guerin ad ottenere l’affido di Michael, anche perché lui non amava parlarne, e cercava di aiutarlo come poteva. Per il suo ultimo compleanno, ad esempio, gli aveva regalato un maglione e un paio di jeans di marca ma avrebbe voluto fare molto di più. Michael era uno di loro.
Mentre mangiavano Isabel vide arrivare Kyle Valenti. Cercando di non farsi notare dal fratello tenne d’occhio i suoi movimenti. Il ragazzo andò dritto verso il bancone e si sporse in avanti per dare un veloce bacio sulle labbra di Liz, che aveva appena finito di versare del caffé ad un cliente. “Uhm, certo che Valenti non si può definire un bel fusto, ma non è poi così male... Lei, però... Carina, sì, ma insipida... La sua amica, invece, sembra una mangiatrice d’uomini...” Studiò la biondina accanto a lei fare il giro del bancone per andare ad un tavolo cui si erano appena seduti dei ragazzi e sbuffò tra sé. “Queste uniformi sono davvero ridicole...”
Come se le avesse letto nel pensiero Michael si tolse una briciola dal mento e ammiccò in direzione della ragazza. - Con quelle antenne sulla testa e il grembiule con gli occhi sono proprio buffe. Ma che gambe... -
- Cosa c’è, Michael, ti interessi alle bionde, adesso? - lo prese in giro Max con tono sarcastico.
- Alle loro gambe, prego. E non gli sbavo dietro -
- Neppure io, se è per questo! -
- Non ricominciate, va bene? Insomma, cos’è, un problema di ormoni? - Isabel scosse la testa disgustata e si portò la cannuccia alle labbra. “Ragazzi...” pensò con una smorfia.
Era quasi l’ora di chiusura quando infine si alzarono per tornare a casa. Come di consueto accompagnarono Michael fino alla scuola, da lì avrebbe proseguito poi da solo, e mentre si avviavano verso casa Max infilò una mano nella tasca dei pantaloni. - Accidenti, ho dimenticato il portafogli sul tavolo! -
- Santo cielo, Max, ma a cosa pensavi? -
- Scusami, devo tornare a prenderlo. Ti spiace continuare da sola? -
- No, vai pure... - Isabel lo guardò allontanarsi a passo svelto e si strinse nelle spalle.
Arrivato davanti al Crashdown il ragazzo emise un sospiro di sollievo. Le luci erano ancora accese e una cameriera stava pulendo i tavoli. Bussò alla porta e la ragazza andò ad aprirgli. Era Liz. Le sorrise un po’ imbarazzato. - Scusami, ho... ho lasciato il mio portafogli qui... Posso...? -
- Sì, certo, fa’ pure! -
Max si diresse verso il fondo della sala, dove si trovava il tavolo che aveva occupato poco prima, e vide subito il portafogli. Se lo infilò immediatamente in tasca prima di voltarsi per ringraziare Liz ma rimase di sasso nel vedere un uomo con la faccia coperta da un passamontagna e una pistola puntata sulla ragazza. Cercando di non fare il minimo rumore avanzò di qualche passo mentre il rapinatore gridava a Liz di dargli i soldi.
Liz quasi cadde nella fretta di girarsi per andare verso la cassa ed il movimento brusco fece innervosire il malvivente, che si spostò agitando la pistola. - Avanti, ragazzina, non farmi perdere tempo! -
Il giovane si avvicinò ulteriormente a Liz ma il rapinatore lo vide con la coda dell’occhio e urlò furibondo. - Fermo, tu! Sta’ fermo, ti ho detto! -
Max s’immobilizzò tendendo il braccio verso di lui. - Sì, ok, ok... -
L’uomo diede uno spintone a Liz. - Avanti, tu, muoviti! - Poi si voltò verso Max e gli fece segno di arretrare. - Togliti di lì! -
Temendo che potesse fare del male alla ragazza, Max rimase immobile limitandosi a fare un cenno di diniego e il malvivente, preoccupato per il tempo che stava passando inesorabile, premette il grilletto.
Con un grido di terrore Liz si appoggiò contro il bancone portandosi le mani alle orecchie e vide il ragazzo barcollare mentre sul suo braccio sinistro appariva una macchia di sangue.
L’uomo mosse la pistola prendendo di mira Liz e Max si tese in avanti aprendo di scatto la mano.
Un disco di luce verdognola apparve all’improvviso separando i due ragazzi dal rapinatore che, vedendo i proiettili ricadere a terra senza essere riusciti a colpire il bersaglio, tornò a puntare l’arma contro Max. - Che diavolo... - Sparò di nuovo, inutilmente, poi indietreggiò e fuggì via.
Max serrò allora le dita a pugno e il disco luminoso scomparve.
Tremando così forte da non riuscire quasi a stare in piedi Liz lo fissava pallidissima. - Cosa... cosa... -
Il giovane ricambiò lo sguardo senza dire una parola, sgomento, per una manciata di secondi prima di spostarsi verso la porta e dileguarsi nella notte.
La ragazza scivolò lentamente in ginocchio e così la trovarono i suoi genitori, precipitatisi giù dalle scale che collegavano il locale al loro appartamento privato.
- Liz! Liz, che cos’è successo? - esclamò sua madre nel vederla in lacrime.
- E’... è entrato un uomo... voleva... voleva i soldi... Ha sparato... -
- Sì, abbiamo sentito il rumore dei colpi. Oh, tesoro, mi dispiace tanto che sia capitato proprio a te... - La donna la strinse tra le braccia cercando di calmarla. - Ma tu stai bene? Ti ha ferita? -
- No... no... - Liz premette il viso contro la sua spalla.
- Ma qui ci sono macchie di sangue - obiettò il padre avvicinandosi.
La ragazza si raddrizzò un poco per guardare il punto indicato. - Non è mio... - disse, ricordando sconvolta la sparatoria.
- Chiama la polizia, Jeff! -
L’uomo aveva appena riattaccato il telefono quando la macchina dello sceriffo si fermò davanti all’ingresso del Crashdown.
- Buonasera. Ero da queste parti quando ho ricevuto la vostra segnalazione... Cos’è accaduto? - James Valenti varcò la soglia portandosi due dita al cappello in segno di saluto.
- Salve, sceriffo, c’è stato un tentativo di rapina, e mia figlia Liz ci si è trovata in mezzo. - Jeffrey Parker indicò la ragazza ancora accovacciata per terra contro la madre.
- Mi dispiace... - L’uomo si chinò su Liz e la guardò con espressione seria. - Te la senti di raccontarmi com’è andata? - chiese gentilmente.
Liz lo fissò passandosi una mano sulla guancia umida di pianto. - Sì, certo... - rispose sottovoce, poi, sostenuta dalla madre, si rialzò e sedette sulla panca più vicina.
- Allora? -
La ragazza si guardò le mani intrecciate con forza sul tavolo. - Io... stavo facendo le pulizie quando... quando è entrato quest’uomo e... mi ha minacciato con la pistola... -
- Eri da sola? Quello laggiù è il sangue del rapinatore? -
- No - Liz si morse le labbra e scosse la testa. - No, voglio dire sì. Ero... ero sola... -
- E come ha fatto a ferirsi, quell’uomo? - insisté lo sceriffo.
- Io... non lo so. Ero vicina alla cassa e... e non l’ho visto... Però poi qualcosa deve averlo spaventato perché... è fuggito... -
- E’ fuggito... -
- Sì - Liz non osò alzare lo sguardo su di lui e continuò a fissarsi le mani. - Io... non ho altro da dirle, mi dispiace... -
- Non preoccuparti, cara, capisco... - Valenti si alzò in piedi sospirando. - Beh, certo non ho molti elementi per le indagini, per cui... temo che sarà piuttosto improbabile riuscire ad acchiapparlo... -
- Certo, sceriffo, mi rendo conto delle difficoltà ma la prego di fare tutto il possibile: mia figlia ha rischiato la vita, stasera, e non voglio che la cosa si ripeta! -
- Sì, signor Parker, farò del mio meglio - L’uomo chinò la testa a mo’ di saluto e se ne andò. Stava per uscire quando si volse e indicò il pavimento. - Ah, non lo lavate. Mando qualcuno a prenderne un campione, caso mai il nostro amico dovesse presentarsi in ospedale per farsi curare... -
- D’accordo, sceriffo, e... grazie... - Rimasti soli, Jeff Parker mise una mano sulla spalla della figlia e le sorrise. - Vai in camera tua e cerca di dormire, tesoro, qui finiamo tua madre ed io... -
Liz annuì tirando su col naso e si avviò su per le scale.
Intanto Max, sempre correndo a perdifiato, era giunto davanti casa sua. Si piegò in avanti posando le mani sulle ginocchia e fece una smorfia. Aveva completamente dimenticato la ferita al braccio, così si raddrizzò e vi mise sopra la mano destra concentrandosi. Dalle sue dita si sprigionò un bagliore dorato ed il buco scomparve, allo stesso modo del proiettile rimasto dentro. Emise un profondo respiro per calmarsi poi suonò il campanello. Gli aprì la madre, che lo fissò stupita nel vederlo coperto di sudore e ancora un poco ansante. - Tesoro, tutto bene? -
- Sì, mamma. Scusa, devo finire di fare i compiti. Ci vediamo domani - Le sorrise e andò subito in camera sua.

- Max... Max, svegliati! -
Il ragazzo si voltò supino portandosi un braccio sul viso. - Sì, Liz, un attimo... - borbottò con voce impastata dal sonno.
- Max, è tardi! -
Il tono decisamente più forte lo fece trasalire. Spalancò gli occhi abbassando il braccio e vide la sorella torreggiare su di lui. - Isabel? -
- Chi credevi che fossi? Avanti, alzati! Ma insomma, che cosa ti succede? E’ la seconda volta che dimentichi di caricare la sveglia! Accidenti, stasera lo faccio io! - Tirò via il piumino e gli gettò addosso i pantaloni e una maglietta pulita. - Vai a farti la doccia e vèstiti. Oggi niente colazione: è tardi, e papà non può accompagnarci. Sbrigati, ti aspetto di sotto! -
Incapace di pensare in maniera coerente Max fece come suggerito e dieci minuti dopo camminava a passo veloce accanto alla sorella.
- Insomma, Max, che cos’hai? Ho dovuto praticamente urlare per farmi sentire! Che cosa stavi sognando di così interessante da non volerti svegliare? -
Il giovane si strinse nelle spalle. - Ero solo molto stanco... -
- Ah... - Isabel lo guardò perplessa ma non disse altro finché, quando ormai erano quasi arrivati a scuola, vennero raggiunti da Michael.
- Ciao -
- Ciao, Michael. Hai studiato biologia? -
- Credo di sì. -
- Come, credi di sì? Che vuoi dire? L’hai studiata o no? -
- Senti, Isabel, io studio sempre. Il fatto è che mi fanno domande diverse da quelle che mi aspetto e così non so rispondere! -
- Oh... capisco... domande... diverse... certo... - La ragazza scrollò il capo divertita e lo prese sottobraccio. - Michael, sei davvero incorreggibile! -
Mentre camminavano per il corridoio, diretti verso gli armadietti, incrociarono un gruppo di studenti tra cui Liz Parker. La ragazza si accorse di Max e per un attimo rallentò il passo, guardandolo con espressione turbata, quasi spaventata.
Max se ne rese conto e cercò di rimanere impassibile ma sentì un nodo alla gola e lo stomaco in subbuglio. “Liz...”
Mentre lo superava, tuttavia, Liz riprese a camminare veloce, al punto che la sua amica la rimproverò ridendo. - Liz, ma dove corri? -
- Scusa, Maria, non me n’ero resa conto... - Gettò un’ultima occhiata timorosa a Max prima di voltarsi verso di lei e riprendere il discorso interrotto.
L’incidente turbò molto il giovane, che si fermò e guardando dritto davanti a sé disse che si sentiva poco bene e che sarebbe tornato a casa.
Isabel, preoccupata, fece per parlare ma lui la bloccò con un gesto della mano. - Scusatemi... - Fece dietrofront e uscì dall’edificio.
Michael lo seguì sconcertato con lo sguardo. - Ma cosa gli è preso? -
- Non lo so. Stamattina, quando sono andato a svegliarlo, ha pronunciato il nome di Liz. Ne è davvero ossessionato... -
- Hai detto... Liz? Parker?!? -
- Conosci forse un’altra Liz? - borbottò Isabel aprendo lo sportello del proprio armadietto.
L’amico sbuffò e si diresse verso l’aula di biologia. - Augurami buona fortuna -
- Buona fortuna, Michael. - La ragazza sorrise e proseguì verso l’aula successiva.
Una volta in strada Max si avviò lentamente verso ovest. Camminò tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, finché si ritrovò in mezzo al deserto. Sentendosi sfinito si sedette per terra e rimase a guardare il sole abbassarsi sempre più all’orizzonte. “Che cosa ho fatto? Santo cielo, cosa ho fatto?” Poi chinò la fronte sulle braccia incrociate sopra le ginocchia, emotivamente a pezzi.
Quando Isabel tornò a casa scoprì che il fratello non c’era. Lo chiamò allora sul cellulare, un po’ preoccupata, ma si rese conto che doveva averlo spento. “Maledizione! Max, dove sei?” Andò allora nella sua stanza e cominciò a rovistare sulla scrivania e nei cassetti alla ricerca di qualcosa che potesse esserle d’aiuto senza tuttavia riuscire a trovare nulla d’interessante. Si lasciò cadere sul letto e guardò i poster che tappezzavano le pareti. - Max... -
Arrivò l’ora di cena e di Max ancora nessuna notizia. In preda all’angoscia, Diane Evans guardò il marito. - Chiamiamo lo sceriffo, ti prego... -
- No! Non farlo, papà! - Isabel si avvicinò all’uomo torcendosi le mani. - Non farlo... - ripeté con voce tremante. - Magari lui... lui vuole solo starsene un po’ per conto suo e... non credo sia il caso di avvertire la polizia... Mi sembra... eccessivo... -
- Isabel, se sai qualcosa, per favore diccelo! -
La ragazza lo guardò implorante. - Io... so solo che... che non si sentiva molto bene... E’ quello che ha detto quando siamo arrivati a scuola... Papà, per favore, non telefonare! -
- Tesoro, sono quasi le otto e non sappiamo che fine abbia fatto quel benedetto ragazzo! Cosa credi che dovrei fare? Andarmene a dormire e sperare che nel frattempo torni a casa? -
- No, ma... - Lo fissò speranzosa - potremmo cercarlo noi!... -
- Dove? Dimmi, come facciamo a cercarlo se non sappiamo neppure da dove cominciare? -
- Io... ho avuto un’idea! Aspetta, vado un attimo in camera mia! - Isabel sorrise rassicurante e corse al piano di sopra. Frugò tra i libri finché non ebbe trovato l’album fotografico della scuola. Si sdraiò sul letto tenendo una mano sull’immagine del fratello e si concentrò sforzandosi di sentire la sua mente. “Max, fammi entrare... Per favore...” A poco a poco avvertì il suo cedimento ed insisté. “Max, se non mi aiuti papà avvertirà la polizia... Ti prego!” Finalmente riuscì ad entrare in contatto con lui e lo vide in piedi davanti a un precipizio. “Max!”
“Io... non voglio vedere nessuno... non adesso... Ho... bisogno di riflettere...”
“Mi dispiace, Max, ma non è possibile! O noi o la polizia, e tu sai che non dobbiamo attirare l’attenzione di nessuno!”
A quelle parole il ragazzo chinò sconfitto la testa. “Seguite l’interstatale ovest per venti miglia”
“Ok” Isabel riaprì gli occhi e si massaggiò la fronte. - Cielo, che fatica... Forse dovrei allenarmi un po’ ogni giorno... - Scese dal letto, prese una giacca dall’armadio e tornò in soggiorno. - E’ andato verso il deserto - disse semplicemente guardando il padre.
- Come lo sai? -
- Mi... mi sono ricordata che lui ama molto il deserto... Credo sia il posto più logico da dove iniziare a cercarlo... -
- D’accordo, proviamoci. Ma se non lo troviamo io vado a denunciarne la scomparsa! - L’uomo prese le chiavi della macchina e diede un bacio veloce alla moglie. - Tu resta qui, caso mai dovesse tornare... -
- Va bene. Mi raccomando, avvertitemi subito se... -
- Sta’ tranquilla - la interruppe lui, poi uscì seguito da Isabel.
Data l’ora il traffico era pressoché inesistente e raggiunsero i confini della città in pochi minuti. Mentre il padre guidava la ragazza scrutò con attenzione i dintorni finché le sembrò di riconoscere le rocce della sua visione. - Fermati qui! - disse sganciandosi la cintura, poi aprì lo sportello e corse fuori. La luce del crepuscolo rendeva difficoltoso il suo cammino ma alla fine scorse una sagoma accovacciata ed affrettò il passo. - Max! -
Sentendo il suo nome Max girò lentamente la testa dopodiché tornò a guardare davanti a sé.
- Max, perché? - Isabel gli sedette accanto e lo prese con dolcezza per mano. - Papà e mamma si sono molto preoccupati non vedendoti tornare... -
- Io... te l’ho detto, avevo bisogno di stare da solo... -
La ragazza poggiò il capo contro la sua spalla. - Beh, adesso andiamo a casa, e poi parleremo un po’... - Si frugò in tasca alla ricerca del cellulare. - Avanti, telefona alla mamma: voleva essere avvertita non appena ti avessimo trovato! -
Con una certa esitazione Max prese l’apparecchio e compose il numero. Disse solo poche parole ma si sentì ferito nel profondo sentendo la voce emozionata della donna. “Perdonami...” pensò desolato restituendo il cellulare alla sorella.
- Ok, andiamo! - Lo aiutò a rialzarsi e poco dopo incontrarono il padre, che aveva cercato di seguire le impronte lasciate da Isabel.
- Max, tutto bene? -
- Sì. Scusa... -
L’uomo gli scompigliò i capelli e poi passò il braccio intorno alle sue spalle. - La prossima volta che intendi passare una giornata per conto tuo avvertici: siamo stati molto in pensiero... - Lo lasciò solo quando furono davanti alla macchina, allora gli aprì lo sportello e attese che salisse a bordo. Sospirando si guardò intorno. “Che cosa gli è successo per averlo spinto a venire fin quaggiù? Oh, Diane, forse non conosciamo i nostri figli bene come credevamo...”
Una volta a casa Max lasciò che la madre lo abbracciasse poi accennò un sorriso imbarazzato. - Mi dispiace che vi siate preoccupati... Io... - Scosse la testa e si strinse nelle spalle. - Vi chiedo scusa... - Diede un rapido sguardo ai genitori e alla sorella. - Buona notte... - Salì le scale, si chiuse nella sua stanza e si accovacciò sul letto nella stessa posizione in cui era stato tutto il giorno.
L’indomani mattina, quando la madre andò a chiamarlo perché, ancora una volta, non era sceso puntuale per la colazione, lo trovò in quel modo e gli sedette accanto. - Tesoro, non hai dormito? -
Lui chiuse un attimo gli occhi. - No. Mamma, io... vorrei non andare a scuola, oggi... -
Perplessa, la donna gli accarezzò affettuosamente un braccio. - Va bene, Max, resta pure a casa. E cerca di dormire, hai l’aria sfinita... -
Il ragazzo non rispose, lo sguardo di nuovo fisso nel vuoto.
Con un sospiro Diane se ne andò e avvertì la figlia che Max non sarebbe andato con lei.
Isabel si mordicchiò le labbra. - Ok, a stasera, allora... -
Una volta a scuola andò in cerca di Michael e gli raccontò quello che era successo.
- Ma insomma, sono due giorni che si comporta stranamente... Che diavolo ha? -
- Non lo so. - Isabel si avvicinò al suo armadietto. - Però sono preoccupata. Pensi che... che possa essere qualcosa dovuto al fatto che... sì, beh, insomma, hai capito... -
Michael incrociò le braccia davanti al petto. - Sì, ho capito. Chissà, potrebbe anche essere... Pure per gli umani questa è un’età critica... -
In quel momento passarono Liz Parker e Kyle Valenti. La ragazza vide Michael e lo fissò come se cercasse qualcosa accanto a lui, mentre continuava a parlare con l’amico.
Isabel, che non si era accorta di niente, prese i libri che le servivano per le prime tre ore e richiuse lo sportello. - Alla fine delle lezioni telefonerò a Max e gli dirò di venire in centro. Dobbiamo parlare, e il parco mi sembra il posto più adatto. Lì non ci sentirà nessuno... -
- D’accordo. Ci vediamo dopo, allora... -
- Ok - Con un sorriso Isabel lo salutò e andò nell’aula di fisica.
Durante l’intervallo fra la quarta e la quinta ora Maria prese in disparte Liz. - Senti, vuoi dirmi che cosa stai combinando? Ti ho vista, prima, a inglese e a matematica. Non hai fatto altro che guardare tutti i ragazzi in classe e poi fissare imbambolata quello spostato di Guerin! -
- Io non fissavo imbambolata Guerin! - protestò la ragazza con un sorriso disarmante.
- Ah no? -
- No. Perché so che piace a te... -
- Scherzi? A quello là vanno a genio i maschietti, non te n’eri accorta? -
- Come? -
- Ma sì, sta sempre insieme a quell’altro, anche lui carne sprecata... -
- Maria, di che cosa stai parlando? - Liz, sempre più sconcertata, fissò l’amica dimenticando il pacchetto di biscotti che aveva appena preso al distributore automatico.
- Evans, naturalmente! Non hai visto che fanno coppia fissa? -
- Vorresti forse dire che...? Dai, è impossibile! -
- Tu dici? Allora dimmi, li hai mai visti insieme ad una ragazza? A parte quella smorfiosa di Isabel, è naturale... -
- Intendi Isabel Evans? La sorella di Max Evans? -
- Certo. Dunque? Cosa rispondi? -
- Che stai farneticando! Scusa, il fatto che stiano sempre insieme vuol dire solo che sono molto amici, e magari non hanno ancora incontrato una ragazza che gli piaccia! Come puoi dire che siano... gay... soltanto perché li vedi spesso... -
- O sono insieme, o sono soli. Facci caso! - la interruppe Maria agitando un dito davanti a lei.
Ma Liz aveva ancora ben stampata in mente l’espressione decisa di Max Evans quando era intervenuto in sua difesa due sere prima, al Crashdown. - Io... non sono convinta... - mormorò sorridendo impacciata.
Quando le lezioni ebbero finalmente termine Liz si convinse che Max non era venuto a scuola e non seppe decidere se si sentisse più tranquilla o preoccupata.
Michael, invece, raggiunse Isabel davanti all’uscita e s’incamminò con lei. - Allora, l’hai chiamato? -
- Sì, sarà al parco tra mezz’ora. Vieni, abbiamo il tempo di mangiare qualcosa prima di andare... -
Trovarono Max seduto su una panchina, scuro in volto e assorto in chissà quali pensieri.
- Ciao, Max - Isabel sedette al suo fianco ed accavallò le gambe appoggiandosi comodamente contro lo schienale. - Allora? -
Il giovane teneva i gomiti sulle ginocchia e lo sguardo basso. Volse appena la testa in direzione della sorella. - Ho... usato i miei poteri in presenza di... qualcuno... - disse piano.
- Che cos’hai fatto?!? - esclamò Michael girandosi di scatto.
- Quando? - chiese invece Isabel.
- E’ successo l’altra sera... al Crashdown... -
- Quando sei tornato a prendere il portafogli - La ragazza annuì con un sospiro. - Già... -
Michael, invece, era arrabbiatissimo e faticò a tenere bassa la voce. - E quel qualcuno... immagino sia quella Liz! - Davanti al silenzio dell’amico si batté un pugno sulla coscia. - Bravo! Bravo davvero!
E sentiamo, cos’hai fatto di bello? Hai cambiato il colore della sua uniforme? Le hai guarito un taglietto sulla punta del mignolo? -
- Smettila, Michael! Eravate solo voi due? - domandò ancora Isabel.
- No. C’era anche un rapinatore -
- Beh, perlomeno possiamo stare tranquilli che lui non andrà alla polizia a raccontare quello che ha visto... -
- Senti, Michael, vedi di farla finita! Siamo qui per parlare, non per litigare! - La ragazza lo guardò seccata prima di tornare a rivolgersi al fratello. - E cos’hai fatto? Che cosa hanno visto? -
- Quando è entrato nel locale ha puntato una pistola contro di lei. Io ero vicino al tavolo su cui avevo lasciato il portafogli e non si è accorto subito di me... Poi si è spaventato e ha cominciato a sparare. Allora ho... ho creato un campo di forza che ha bloccato i proiettili. -
- Come, scusa? Hai creato...? -
- E come hai fatto? - s’intromise Michael fissandolo incredulo.
- Ho... aperto la mano e ne è scaturita dell’energia -
- Così? All’improvviso? Come facevi a sapere che cosa sarebbe accaduto? -
Max scosse appena la testa. - Io... lo sapevo, e basta... Ho agito d’istinto... -
Isabel e Michael si guardarono negli occhi, senza sapere cosa dire. Dopo un po’ la ragazza intrecciò le mani in grembo. - E adesso che si fa? Voglio dire, ormai il nostro segreto non è più al sicuro... -
- Credo che... sarà meglio che me ne vada via. Così, anche se dovesse dirlo alla polizia non potranno prendermi, e nessuno può risalire a Michael. Tu, però, Isabel, sei in pericolo... sei mia sorella... - La guardò con occhi stanchi e tristi. - Ho combinato davvero un bel guaio, mi dispiace... -
Lei gli accarezzò affettuosamente la schiena. - Beh, prima o poi qualcosa del genere doveva accadere... Ma io non voglio che lasci Roswell. Io... voglio che noi tre restiamo sempre insieme! -
- Isabel, non è possibile. Liz ha visto, e magari ne ha già parlato ai suoi genitori! -
- Se così fosse, non pensi che lo sceriffo sarebbe già venuto a casa nostra e tu, ora, non ti troveresti qui? -
Michael appoggiò il mento nell’incavo della mano e guardò pensieroso i due fratelli. - Forse hai ragione, ma fino a quando starà zitta? Non possiamo restarcene così, ad aspettare che arrivi la polizia! Dobbiamo fare qualcosa... -
- E cosa? Come pensi di convincere quella ragazza a tacere? -
- Spaventiamola a morte! Sì, possiamo minacciarla di... che so, di ucciderla, se dice a qualcuno quello che ha visto! -
A quelle parole Max si mise a ridere. - Michael, sei sempre il solito! -
- Beh, guarda che si tratta di un casino che hai combinato tu, bello mio! - insorse il giovane. - E tutto perché ti sei innamorato di quella là... -
Isabel fissò perplessa il fratello. - Ora che ci penso... Ieri mattina, quando sono venuta a chiamarti, hai pronunciato il suo nome. Sembrava quasi che... che ti aspettassi che lei fosse lì, accanto a te... Max, c’è qualcos’altro che devi dirci? -
- No, io... No, niente... - Max si passò una mano tra i capelli scostandoli dalla fronte. - Sono solo... sogni... -
- Che genere di sogni? - indagò Isabel.
- Sogni pazzeschi... In cui sto... con Liz... e... -
- ...e? Max, devo studiare per il compito in classe di geometria. Non vorrei passare tutto il pomeriggio qui, e per di più sembra che debba piovere da un momento all’altro! - Michael lo guardò risentito, e il giovane serrò le mascelle. - ...e basta... - finì in un soffio.
- Con Liz Parker? - Isabel spalancò gli occhi incredula. - Tu sei completamente fuori di testa, mio caro... -
- Lo so. Ma sembra tutto così reale... -
- Beh, non lo è. Secondo me il tuo problema è che hai bisogno di una ragazza. Forse è ora che cominci a guardarti un po’ intorno! Avanti, torniamo a casa: Michael ha ragione, sta per venire giù il diluvio... - La ragazza si alzò di scatto dalla panchina ma poi si girò di nuovo. - E non una parola con nessuno di quello che è successo al Crashdown. Con nessuno, Michael, sono stata chiara? Se ti vedo vicino a Parker te ne faccio pentire, è una promessa! -
- Ok, ho capito... Se però poi lo sceriffo arresta Max non venire a piangere da me. Liz Parker sta con suo figlio, non ve lo dimenticate! - Michael si alzò a sua volta. - A domani - disse seccamente voltando loro le spalle.
Isabel emise un sospiro e afferrò il fratello per un braccio. - Dai, muoviamoci... - borbottò.
Tornati a casa i due ragazzi si ritirarono nelle rispettive stanze per studiare e il giorno successivo Max scese in orario per fare colazione col resto della famiglia.
Sua madre si accorse subito che non aveva chiuso occhio neppure quella notte ma non gli disse nulla, limitandosi a porgergli una scatolina piatta. - Prendi una di queste, caso mai dovesse venirti mal di testa. Può succedere, quando si è molto stanchi... - Gli diede un bacio sulla guancia, poi baciò anche Isabel e li guardò allontanarsi lungo il marciapiedi.
Durante le lezioni che avevano in comune, Max non guardò mai verso Liz e non si accorse delle occhiate ansiose che lei gli lanciava di tanto in tanto, ma la cosa non sfuggì a Maria, che continuava a tenere l’amica sotto controllo.
Alla pausa per il pranzo la ragazza le fece una nuova ramanzina. - Senti, Liz, ieri Max Evans non è venuto a scuola e tu non hai fatto altro che cercarlo. Oggi è tornato ma non ti ha mai guardato. Io direi che è una situazione senza speranza: lascia perdere! Per di più Kyle deve aver notato qualcosa. Prima, quando l’abbiamo incrociato, ti ha fissata con un’espressione... Brr, mi vengono ancora i brividi se ci ripenso! -
- Kyle non ha nessun motivo di essere geloso -
- Se lo dici tu... - Maria addentò il suo panino e si chinò verso di lei attraverso il tavolo. - Comunque non voltarti, stanno arrivando i gemelli siamesi! -
- Chi? -
- Evans e Guerin, no? - Abbassò le ciglia per non farsi scoprire ma seguì l’avvicinarsi dei due amici come un radar umano. “Mm, però quel Guerin non è niente male davvero...” pensò convinta.
Quando furono passati oltre Liz fissò irrigidita la schiena di Max. - Maria, io... devo andare, scusa! - Si alzò e si precipitò fuori della mensa, lasciando la ragazza a bocca aperta per lo stupore.
Nei giorni seguenti il giovane sorprese più volte lo sguardo preoccupato di Liz su di sé e alla fine, non potendone più, l’attese all’uscita della palestra e s’incamminò accanto a lei. - Penso che dovremmo parlare, noi due... - le disse guardando dritto davanti a sé.
Spaventatissima, Liz scosse la testa. - No, non credo. Io... non ho niente da dirti... -
- Io invece sì -
In quel momento sopraggiunse Kyle con alcuni amici e la ragazza, sospirando di sollievo, corse verso di lui. - Kyle! Ciao! - Gli gettò un braccio al collo e gli diede un bacio sulle labbra.
Max, a disagio, proseguì facendo finta di niente, i lineamenti induriti per la collera.
L’indomani il giovane riuscì a bloccare Liz vicino ai bagni. Dopo essersi accertato che non ci fosse nessuno nei paraggi la trascinò con sé incurante dei suoi tentativi di liberarsi e la sospinse nella stanza dei cancellini.
- Che... che cosa vuoi farmi? - gli chiese con voce tremante di paura.
- Niente, a parte... questo. - Max l’afferrò saldamente per la nuca e la baciò. Dovette bloccarle le braccia intorno ai fianchi con la mano libera per poter continuare a baciarla, ma alla fine vinse la sua resistenza e s’impadronì della dolcezza della sua bocca.
Un caleidoscopio d’immagini fluì tra loro. Max vide se stesso nella mente di Liz, e fu consapevole del fatto che, in un modo o nell’altro, ne aveva attirato l’attenzione già da tempo. Liz, invece, vide loro due insieme, che si baciavano, che si amavano alla luce delle candele, e poi che si abbracciavano, e lei sapeva di essere stata ferita. Spalancò allora gli occhi e si staccò da lui ansimando. - Chi... chi sei? - disse con un filo di voce, poi si volse per aprire la porta e fuggire lontano da lui.
Max cercò di trattenerla ma Liz si tirò indietro. - Non toccarmi! Non toccarmi! - e corse via.
Sconvolto, il ragazzo chiuse gli occhi e non riuscì a trattenere le lacrime. Rimase a lungo immobile, cercando di calmarsi, e alla fine poté uscire a sua volta dalla piccola stanza. Andò in bagno per lavarsi il viso prima di tornare in classe, dove si sforzò inutilmente di seguire la lezione mentre i suoi pensieri schizzavano qua e là come meteore impazzite.
Uscendo da scuola Max si aspettava di trovare Kyle, deciso ad ammazzarlo di botte per quello che aveva fatto alla sua ragazza, invece vide Liz da sola, che lo guardò un istante negli occhi prima di allontanarsi con calma in mezzo alla folla di studenti.
Il giovane la seguì allora senza farsi notare finché lei si fermò ad aspettarlo. In quel momento non c’era nessuno e Liz lo fissò mentre si avvicinava. - Chi sei? - gli domandò di nuovo, stavolta più sicura.
- Tu lo sai - Max si accostò fino a sfiorarla, poi le spostò i capelli con una mano avvicinando il viso al suo e le diede un bacio lunghissimo ed appassionato.
La ragazza rispose subito stringendosi contro di lui e altre immagini si rincorsero nella sua mente. Non riusciva a capire a chi appartenessero, perché c’erano sempre loro due. Alla fine si scostò e sorrise quando Max le toccò la fronte con la propria. Sembrava un gesto abituale. Con un sospiro gli carezzò il volto. - Addio... - e se ne andò senza voltarsi mai.
Max rimase stordito dal violento senso di perdita che provò. - Liz! -
Liz non rispose, e lui la guardò finché scomparve, inghiottita dalla distanza.
La mattina seguente, nonostante il trillo vivace della sveglia, Max non si alzò e sua madre dovette nuovamente andare a chiamarlo.
Il giovane dormiva di un sonno profondo ma agitato, mormorando ogni tanto un nome che la donna non capì. Perplessa, scosse più forte la spalla del figlio e tutto quello che ottenne fu il piumino tirato fin sopra la testa. Andò allora a cercare Isabel perché provasse anche lei e la ragazza, cercando di nascondere l’ansia che provò nel vedere il fratello, si avvicinò al letto pregandola di uscire. Allora si sedette sul bordo del materasso e abbassò il piumino scoprendo il volto madido di sudore di Max. Gli mise una mano sulla tempia concentrandosi per entrare nella sua mente, e vide. Un tremito la scosse dalla testa ai piedi. Era sconvolta, incapace di trovare un senso a quello che aveva scoperto. Con un gemito si chinò su di lui e lo strinse forte tra le braccia.

- Oh, finalmente sta riaprendo gli occhi! Dottore, la prego, mi dica come sta! -
- Non si preoccupi, signora, ora va meglio... - L’uomo toccò la fronte ancora sudata e sorrise. - La febbre è andata via... - confermò soddisfatto.
In quel momento Liz riconobbe la madre e cercò di muovere la mano verso di lei.
- Stai tranquilla, cara, ormai il peggio è passato... Hai avuto una bruttissima influenza... - Le accarezzò i capelli scostandoglieli dolcemente dal viso.
A quel gesto lei trasalì, e la donna se ne accorse. - Ti sei agitata tanto, nel delirio... Che cosa sognavi? -
Liz chiuse per un attimo gli occhi e ricordò le folli immagini che si erano rincorse nella sua mente.
- Erano sogni, mamma... solo... sogni... -
- Bene... Ma adesso riposa, tesoro, così guarirai più in fretta e potrai andare a scuola. Vedrai, ti piacerà tantissimo... La maestra non vede l’ora di conoscerti!... -

Scritta da Elisa


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