Riassunto:
Le disavventure nell’area 51 hanno profondamente segnato Liz e Max. Solo i
poteri di Jason e Shiri riusciranno a guarirli, ma al loro amore si affianca
l’odio di Gabriel Ross nei confronti dell’ignoto.
Data di stesura:
dal 19 maggio al 22 luglio 2002.
Valutazione:
adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
Indirizzo e-mail:
ellis@roswellit.zzn.com
- Ehi, cosa vedono i miei occhi! Il
bel Romeo senza la sua Giulietta! -
Max raddrizzò di colpo la testa lasciando a mezz’aria il cucchiaino pieno di
torta. - Kyle?!? - Sorrise incredulo e tese la mano libera verso l’amico, che
si affrettò a stringerla ridendo divertito. Sorpreso di vedermi? -
- Sì, certo! Quando sei arrivato? -
- Ieri sera, giusto in tempo per il matrimonio della mia sorellina... Mio padre
mi ha detto che tu e Liz siete a Roswell da qualche giorno. Come mai? Avete già
finito gli studi? -
Il giovane scrollò le spalle e si mise a giocherellare con quel che rimaneva
del dolce nel piatto che aveva davanti. - No, non ancora. E tu? -
- Mi mancano due anni e poi potrò intraprendere una gloriosa carriera come
poliziotto!... - Kyle prese in mano il bicchiere pieno a metà di un liquido
scuro e lo annusò incuriosito, poi fece una smorfia. Non sei qui con Liz, vero?
- disse riposandolo sul tavolo. - Soltanto voialtri riuscite a bere degli
intrugli così schifosi! Che diavolo è? -
- Pepsi, succo d’arancia e una punta di latte - Michael, tornato in quel
momento, si accostò a Kyle.
- Ciao. Come sta lo sposino? -
Il ragazzo fissò con sguardo duro Valenti prima di scambiare una rapida
occhiata con Max. - Senti, mi fa piacere averti rivisto, un po’ meno sapere che
diventeremo... cognati..., ma adesso sloggia. Io e Max dobbiamo parlare, e tu
sei di troppo -
Kyle socchiuse gli occhi con l’aria di chi la sa lunga. - Oh, sì... L’invasione
è iniziata... - Tornò a guardare Max, un sorrisetto ironico sulle labbra
sottili. - Ho saputo che hai avuto un altro figlio - aggiunse come spiegazione.
Il lampo d’improvviso dolore sul volto dell’amico lo colse di sorpresa. Ehi, ci
sono problemi? - chiese a bassa voce.
- No - La risposta di Max giunse in fretta, quasi a voler impedirgli di
continuare. - Scusate, devo andare - Si alzò di scatto, mise alcune banconote
sul tavolo e uscì senza salutare.
Michael si sedette al posto lasciato vuoto e fissò Kyle con espressione
bellicosa. - Sei sempre il solito! -
- Senti, io ho solo fatto una battuta, non ho detto niente di sconvolgente, e
se lui se l’è presa a quel modo... beh, non so proprio cosa farci! -
L’alieno bevve una sorsata della sua bibita e per qualche minuto osservò
l’andirivieni dei camerieri e dei clienti, poi emise un profondo sospiro e
tornò a guardare il giovane. - Senti, Kyle, da quando sei andato all’Accademia
sono successe... tante cose. La maggior parte non belle, purtroppo. Piuttosto,
tuo padre ti ha detto che Amy non conosce il nostro segreto, vero? -
- Sì -
- Ok. Senti, le cose stanno in questo modo: Max e Liz ne hanno passate di tutti
i colori. Oddio, ad essere sinceri anche io e Maria abbiamo avuto la nostra
parte di guai, ma quei due... - Scosse la testa e si lasciò andare contro lo
schienale imbottito del divanetto. - Il loro è un amore totale. Sai... per
tutta la vita e oltre... cose di quel genere, insomma... -
Kyle annuì e appoggiò il mento nel cavo della mano. - Già, ricordo... l’unione
delle anime... roba da far venire la nausea... -
Michael lo guardò storto. - Ne riparleremo quando avrai incontrato una ragazza
per cui sarai disposto a dare la vita senza pensarci su nemmeno un istante -
Il ragazzo sbuffò. - Sì, va bene. Adesso vai avanti, per favore... -
- Beh, tieni presente che se non fosse stato per Max nessuno di noi ora sarebbe
qui. Vivo. Quindi ti consiglio di stare attento a quello che dici. E non
aspettarti neonati al mio matrimonio. Sabato alle undici, a casa Evans. Ci
vediamo, Kyle! - Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una generosa mancia e la
depose accanto al resto dei soldi poi se ne andò a sua volta, lasciando l’amico
perplesso e pensieroso.
Camminando a passo svelto Michael andò a prendere la sua jeep e si diresse
verso l’abitazione degli Evans, sicuro di trovare Max lungo la strada. Così fu,
infatti, e si affrettò ad accostare per permettergli di salire a bordo. - Tutto
bene? - chiese guardandolo un attimo prima di reimmettersi nel traffico.
- Sì, certo. - Max si allacciò la cintura di sicurezza poi chiuse gli occhi
sentendosi stremato.
- Liz sta meglio? -
Il giovane scosse lentamente la testa. - No. Continua ad avere incubi -
- E’ comprensibile. A volte anche Maria si sveglia gridando... Hanno bisogno di
tempo, Max... abbiamo tutti bisogno di tempo. Stavolta ce la siamo vista
davvero brutta... -
Max rimase in silenzio. Cosa poteva dire? Che anche lui si svegliava fradicio
di sudore, dopo aver rivissuto all’infinito l’orribile momento in cui
quell’infermiere sparava a sangue freddo contro Liz? Che come chiudeva gli
occhi rivedeva il sangue sgorgarle a fiotti dalla ferita nel petto e allora si
stringeva a lei, solo per scoprire le terrificanti immagini che si rincorrevano
nel suo inconscio? Quando la toccava Liz si ridestava sempre di scatto,
tremando per l’angoscia, e passavano il resto della notte facendo l’amore con
disperazione. Erano entrambi distrutti dalla stanchezza, dato che non
riuscivano a dormire da quando erano fuggiti dall’area 51, e non c’era niente
che potessero fare tranne cercare conforto l’una nell’altro. Ma Liz era ormai
giunta al limite della resistenza, e sentiva che tra poco anche lui avrebbe
ceduto.
A Michael quasi sfuggì l’insegna del gioielliere dove aveva ordinato le fedi, e
qualcuno suonò il clacson con foga mentre, inserita la freccia all’ultimo
momento, s’infilava in un provvidenziale spazio tra due auto parcheggiando
senza troppa cura. - Aspettami qui, torno fra un attimo! -
Max lo guardò allontanarsi e si passò entrambe le mani sul viso. “Accidenti,
dovevo aiutarlo e invece non mi sono neppure ricordato degli anelli...”
Pochi minuti più tardi Michael era di nuovo seduto accanto a lui. Gli porse una
scatolina di velluto verde scuro. - Tieni. E mi raccomando, vedi di non
dimenticartela! - Poi avviò il motore e ripartì. - La prossima tappa è al
supermercato. Devo ritirare il materiale per le decorazioni e portarlo da Amy.
Te la senti di venire? Oppure vuoi che ti riaccompagni a casa? Magari
preferiresti controllare Liz... -
- Io... Ti dispiace? - Max lo guardò con aria di scusa, ed il giovane fece una
spallucciata. - Non preoccuparti, posso farcela da solo! -
Quando furono davanti alla villetta degli Evans Michael si girò a fissarlo
negli occhi. - Ne hai parlato con Isabel? Forse lei potrebbe aiutarvi... -
Senza dire nulla Max ricambiò lo sguardo per un lungo istante prima di scendere
dalla jeep. - Grazie del passaggio - mormorò a capo chino.
Liz emise un debole lamento e volse il capo premendo contro il cuscino la mano
di Max, poi si svegliò di soprassalto. In silenzio si sollevò a sedere e lo
abbracciò.
Lui la strinse dolcemente contro di sé lasciando che quel contatto placasse
entrambi. Ma non potevano andare avanti a quel modo... Nessuno dei due aveva
mai chiuso occhio, quella notte, e solo poco prima che fosse l’ora di alzarsi
Liz era scivolata in un sonno irrequieto. Allora le aveva baciato la tempia
lasciando che sensazioni di calore e tenerezza l’avvolgessero per darle un po’
di tranquillità. Purtroppo l’effetto non era durato a lungo, a giudicare dal
pallore del suo viso. Doveva assolutamente fare qualcosa! Le accarezzò a lungo
i capelli poi le diede un bacio sulla fronte e chinò la guancia sulla sua
testa. - Forse dovremmo parlarne con Isabel... -
Liz capì subito a cosa si riferisse e si agitò tra le sue braccia. - No, ti
prego! E’... è troppo... personale... - Si aggrappò a lui scostando leggermente
il capo per poterlo guardare negli occhi. - Io... lo so che stai male anche tu,
ma... questa cosa riguarda solo noi... quello che abbiamo visto... quello che
abbiamo provato... Non me la sento di parlargliene... -
- Va bene. Non preoccuparti, troveremo un altro modo... - Si curvò un poco in
avanti per baciarla sulle labbra, un bacio profondo colmo di tutto l’amore che
nutriva per lei, poi la lasciò andare sorridendo. - Ti va di uscire? -
- D’accordo. Dove andiamo? -
Max prese il foglietto che aveva posato sul comodino prima di sedersi accanto a
lei e lo sventolò davanti al suo naso. - Mia madre ha portato i ragazzi al
centro commerciale per comprargli un vestito elegante. Li raggiungiamo? -
- Certo - La tensione era scomparsa dal volto della giovane, che fece per
tirare via il piumino ma poi, colta da un improvviso attacco di timidezza, si
immobilizzò. - Ti spiace lasciarmi sola? Faccio in un attimo, te lo prometto! -
- Ok -
Un’ora più tardi entrarono nel mall e cominciarono a cercare tra i vari negozi
di abbigliamento finché scorsero la torreggiante figura di Lou Krentz.
- Dove c’è Lou c’è Shiri. Vieni, andiamo a vedere... - Max strinse forte le
dita di Liz, intrecciate alle sue, e spinse la porta a doppio battente di
spesso cristallo della raffinata boutique.
- Tua madre dev’essere impazzita! - sussurrò la ragazza. - Questo posto ha dei
prezzi spaventosamente alti! -
- Sì, forse, ma guardala... -
Diane Evans era ferma al fianco dell’antariano e osservava sorridendo Shiri,
che indossava un bellissimo vestito color bronzo dal bustino aderente e la
gonna leggermente a svasare che le sottolineava le gambe dritte e slanciate. -
Oh, tesoro, sei... sei perfetta! - disse con voce commossa.
Shiri si morse le labbra dubbiosa poi guardò il fratello, che fece un cenno di
approvazione col capo. Stai molto bene, è vero... -
Fu un attimo, ed entrambi i ragazzi si voltarono verso l’ingresso prima di
correre incontro a Liz e Max.
Max abbracciò forte il figlio sollevandolo leggermente da terra. - La nonna vi
sta facendo disperare? - chiese ridendo.
- No. Si tratta di Lou. Non gli va che stiamo in un posto così affollato -
Jason cinse il collo del padre con un sospiro di gioia. Adorava stare così,
avrebbe voluto sentire sempre quel corpo forte e caldo contro di lui. Lo faceva
stare... bene. Girò la testa per guardare la sorella ferma davanti alla madre e
accennò un piccolo sorriso misterioso.
Le due si stavano scrutando con attenzione. Liz osservò l’abito, le delicate
forme che metteva in evidenza, e rabbrividì. Shiri aveva solo tre settimane di
vita ed il corpo di una undicenne. Era... sconvolgente... Studiò poi il viso.
Aveva gli occhi dello stesso colore del padre, le sopracciglia dritte, lo
stesso profilo, ma il sorriso, a detta di Max, era il suo. Lei non ne era del
tutto convinta, però sapeva che nell’insieme la bambina era davvero splendida.
E possedeva lo stesso magnetismo di Max.
Anche Shiri studiò sua madre. Era bella e dolce come sapeva dai ricordi di
Jason, ed emanava luce e amore. Ma era anche molto triste e stanca. Poteva
percepirlo, e avrebbe voluto aiutarla. Da quando l’aveva rivista per la prima
volta qualche giorno addietro aveva avvertito un groviglio di forti emozioni
provenire da lei, e in quel momento provò il desiderio di alleviare la sua
sofferenza. Avanzò di un passo con decisione e le mise una mano sulla tempia,
riversando nella sua mente tutto l’affetto che sentiva per lei.
Trattenendo il fiato Liz coprì con la propria la mano della figlia e gli occhi
le si colmarono di lacrime. Con un gemito soffocato se la strinse al petto. -
Oh, Shiri, sei il mio piccolo tesoro... Ti voglio bene, amore... - La tenne
abbracciata a lungo, poi tirando su col naso si staccò da lei e si portò alle
labbra la mano che era rimasta fino a quel momento sulla sua tempia. Sei molto
bella con questo vestito, sai? - disse sorridendo. Guardò poi Jason ed il
sorriso le si fece più ampio. - E tu sei come tuo padre. Siete sexy qualsiasi
cosa indossiate! -
Il ragazzino si guardò i jeans e la maglietta grigia che portava. - Cosa vuol
dire sexy? - chiese incerto.
- Che quando sarai più grande farai strage di cuori - Diane rise divertita e
scompigliò affettuosamente i capelli di Jason, che ricadevano con una lunga
frangia rada fin sopra i grandi occhi verde nocciola.
- Bene, abbiamo trovato il vestito per Shiri. E adesso tocca a te! - Mise una
mano sulla spalla del nipote. - Vieni, andiamo laggiù in fondo... - Con un
cenno del mento indicò l’estremità opposta del negozio, dove si trovava il
settore maschile.
Liz sospinse la figlia verso il camerino. - Vai a cambiarti, tesoro, così poi
andiamo a vedere cosa combinano gli altri! -
Shiri le ricambiò il sorriso contenta. Sapeva che adesso era più serena, ed era
felice di aver potuto fare qualcosa per lei. Si rimise in fretta i jeans a vita
bassa e la canottierina verde scuro poi scostò la tenda e fu di nuovo accanto
alla madre, che fece una piccola smorfia nel vedere le sue scarpe da
ginnastica. - Dovremo comperare delle scarpe adatte... -
Lou Krentz osservò in silenzio Jason in un completo blu scuro con la camicia
bianca, poi lo confrontò con il padre. I due si somigliavano in modo
impressionante. Non solo nell’aspetto fisico ma anche nella forza interiore,
nella profondità dello sguardo. Possedevano entrambi un grande carisma ed
emanavano quel qualcosa di indefinibile che aveva sempre caratterizzato i
maggiori sovrani di Antar. Con la coda dell’occhio seguì l’avvicinarsi di Liz e
di Shiri. Anche quest’ultima era dotata di un enorme potere personale, che la
rendeva estremamente affascinante e capace di ammaliare anche i sassi. Il
colonnello Anders aveva detto una volta che Liz sarebbe diventata una gran
donna, ma non poteva immaginare che miscela esplosiva sarebbe stata sua
figlia...
Quando tornarono a casa erano pieni di buste, soddisfatti per aver trovato
tutto quello che cercavano, compreso un nuovo abito per Liz. Dopo pranzo la
ragazza andò a salutare i figli, che si erano ritirati in camera con Max per
esplorare un po’ il mondo di Internet. - Maria mi sta aspettando per andare a
comperare l’abito da sposa. Ci vediamo più tardi... -
Stava per uscire di casa ma una mano si posò sulla maniglia aprendo la porta
per lei. Sospirando, Liz si voltò. - Colonnello, per favore, non ho bisogno che
venga con me! -
- Mi dispiace, Altezza, ma io preferisco accompagnarla. Lo consideri come un
favore personale, la prego... -
Con uno sbuffo Liz lasciò che le si affiancasse e s’incamminò verso la fermata
dell’autobus.
Vedendo l’amica seguita dalla guardia del corpo Maria alzò le braccia in segno
di protesta. - Ehi, non possiamo girare per negozi con lui! -
- Lo so, ma... forse è meglio così. Dai, andiamo, adesso -
Maria la studiò di sottecchi mentre camminavano lungo la Main Street. - Hai
ancora gli incubi? - le chiese a bassa voce.
Liz annuì lentamente. - Nemmeno Max riesce a dormire. Non vedo l’ora di andare
a El Paso: forse lì, in un ambiente nuovo, potremo stare meglio... -
- Ancora in fuga, Liz? -
Lei si strinse nelle spalle. - Stavolta non sarò sola. -
- No. Ma quello che è dentro di te ti seguirà ovunque andrai. Devi liberartene,
altrimenti non starai mai veramente bene!... -
- Tu come hai fatto? -
- Oh, sono solo stata più fortunata. Tu... tu ne hai sopportate talmente tante,
in questi ultimi tempi... - Le circondò le spalle con un braccio e le diede un
piccolo bacio sulla guancia. - Adesso non pensarci più! Jason e Shiri sono
tornati a casa, ed io sto per sposarmi con Michael. Che altro si può desiderare
dalla vita? - Rise con lei, poi le indicò una vetrina. - Cosa ne pensi di
questo? -
- Mm... No, troppi fiocchi. Però entriamo lo stesso, magari dentro hanno
qualcosa di più adatto... -
Il presentimento di Liz si rivelò esatto. Maria si guardò a lungo nello
specchio a figura intera ammirando il delicato tessuto di seta che le
sottolineava la linea armoniosa del corpo. Il vestito era molto semplice e le
stava d’incanto, rispecchiando l’animo limpido e privo di artifici della
ragazza.
Mentre la commessa riponeva l’abito nell’apposita custodia Liz guardò Thien
Anders, fermo sul marciapiede a lato dell’ingresso e sorrise suo malgrado. -
Stamattina Lou è andato con i ragazzi e Diane a fare acquisti, e oggi
pomeriggio è toccato a lui... Non ha l’aria di divertirsi molto... -
Maria si sporse per vedere e sorrise a sua volta. - Sì, hai ragione. Beh, credo
che sia letteralmente terrorizzato all’idea che possa succederti qualcosa!
Quell’uomo ha una vera e propria venerazione per te, dammi retta... - Presa la
grossa busta che le veniva porta passò il braccio sotto quello di Liz ed uscì
dal negozio con aria soddisfatta.
Le due amiche passarono poi a casa di Amy e Jim e trovarono Michael e Kyle
intenti a preparare le decorazioni seguendo le direttive della donna,
affaccendata ad infornare torte su torte.
- Ciao Liz, ciao Maria! - James Valenti le invitò ad accomodarsi e fece un
segno al militare alieno. Tutto a posto? -
L’uomo annuì in silenzio prima di controllare ancora una volta i paraggi,
dopodiché entrò e fece una rapida verifica di quanto si vedeva dalle finestre.
In cucina vide Michael e s’irrigidì impercettibilmente. Con tono sommesso fece
un brevissimo rapporto, al termine del quale il giovane lo invitò a sedersi e a
dare il suo contributo nella confezione degli addobbi che l’indomani avrebbero
dovuto cominciare a montare nell’atrio della casa degli Evans.
Liz, che aveva seguito la scena senza fiatare, serrò le labbra. La infastidiva
il fatto che Anders avesse riferito tutto quello che era successo quel
pomeriggio, anche se si rendeva conto di come l’uomo trovasse naturale parlare
con il braccio destro di Max. Le seccava l’assoluta mancanza di privacy e
avrebbe voluto gridare perché la lasciassero finalmente sola insieme alla sua
famiglia. Ma sapeva che sia Michael sia Max si sentivano più tranquilli se
Anders e Krentz seguivano Jason, Shiri, Maria e lei stessa, così dovette
limitarsi a stringere i pugni prima di incontrare lo sguardo divertito
dell’amica. - Dai, diamogli una mano, altrimenti dovranno continuare per tutta
la notte! -
Con un sospiro rassegnato si sedette accanto a Michael e cominciò a piegare con
cura i lunghi steli di fil di ferro dei bellissimi fiori di carta unendoli a
formare ghirlande multicolori.
Verso le sei e mezza si alzò, subito imitata dal colonnello Anders, salutò
tutti i presenti e tornò a casa, dove venne accolta con entusiasmo dai figli.
Li abbracciò affettuosamente prima di lasciarsi stringere dal marito, che le
carezzò il viso osservandola con attenzione. Sorrideva, ma si vedeva che era
molto stanca. - L’avete trovato, il vestito? -
Lei fece un piccolo cenno col capo poi premette la fronte contro la sua spalla.
- Sì. E’ molto bello... -
Max alzò lo sguardo sull’ufficiale, che si mise sull’attenti. - Niente di
sospetto. Vado a fare un giro di perlustrazione qui attorno poi verrò a
riferirle, Altezza. - Fece un passo indietro e se ne andò senza aggiungere
altro.
Phillip Evans, che aveva assistito non visto al breve colloquio, si avvicinò al
figlio e notò le linee di tensione sul suo volto. - Qualcosa non va? -
- No, no, è tutto a posto... Di’ alla mamma che adesso vengo ad apparecchiare,
per favore... -
L’uomo annuì e si allontanò con discrezione. Era consapevole dello sfinimento
dei due giovani e avrebbe voluto che prendessero almeno una volta dei sonniferi
per poter dormire una notte intera, ma loro non avevano accettato e non poteva
dargli torto. Lui vi aveva fatto ricorso in un paio di occasioni e dopo si era
sentito così debole che li aveva buttati via.
Era molto tardi quando Liz e Max si ritirarono nella loro stanza, sperando che
la stanchezza avesse finalmente la meglio sugli incubi. Invece la ragazza
cominciò subito ad agitarsi e Max l’abbracciò forte per cercare di calmarla.
Singhiozzando disperata Liz aprì gli occhi e si strinse a lui. - Non ce la
faccio più... Ti prego, aiutami... - balbettò.
Il giovane le accarezzò la schiena mentre le sfiorava la fronte con tanti
piccoli baci leggeri, desiderando con tutto se stesso di poter cancellare dalla
sua mente quei ricordi. Quando era intervenuto sulla memoria degli uomini
dell’FBI aveva agito con decisione, senza preoccuparsi di eventuali
conseguenze. Ma la verità era che non poteva rimettere a posto quella parte del
cervello dove aveva sede la memoria così come faceva con le cellule normali,
quando un ricordo spariva, spariva per sempre. E lui non poteva rischiare di
farle del male, non se lo sarebbe mai perdonato. Con un sospiro le sollevò il
volto e la baciò sulle labbra. Di lì a poco sentì svanire il tremito che la
scuoteva, ed il corpo di Liz divenne morbido contro di lui. Si sforzò di
restare sveglio per continuare a vigilare sul suo sonno ma ben presto si
addormentò e cominciò a sognare.
L’angoscia che emanava da entrambi ridestò sia Jason che Shiri. I due ragazzi
rimasero per un istante immobili nel buio, protesi verso quell’intensa
emozione, poi si alzarono e senza fare alcun rumore si intrufolarono nella
camera dei genitori. La nuvola che adombrava la luna si spostò e una fievole
luce argentata ne mostrò i corpi abbracciati e bagnati di sudore.
Senza bisogno di parlare si sedettero accanto a loro e con gentilezza gli
posarono una mano sulle tempie. Per un lunghissimo istante condivisero l’orrore
che li dilaniava, ma poi lentamente tutto svanì ed un profondo senso di pace
calò su entrambe le coppie. Scambiandosi un sorriso birichino i bambini si
accucciarono accanto al padre e alla madre e si addormentarono beati.
In fondo al corridoio, sdraiato sul sacco a pelo che usava come giaciglio, Lou
si era svegliato nel sentire l’impercettibile cigolìo della porta della stanza
dei principi e li aveva visti uscirne. Intuendo quali fossero le loro
intenzioni, dato che era perfettamente consapevole della loro sensibilità e
chiunque, in quella casa, si era reso conto del malessere dei reali, rimase
immobile ad ascoltare i rumori della notte dopodiché, tranquillizzato, chiuse
gli occhi e riprese a dormire. Al piano di sotto, dove stava facendo il suo
turno di sorveglianza, il colonnello Anders fu attirato da un sommesso rumore
esterno. Si avvicinò con cautela ad una finestra e vide un grande veicolo
avanzare a fari spenti. Attese fin quando si fu arrestato a pochi metri dal
vialetto d’ingresso poi uscì dalla porta sul retro e fece un rapido giro di
perlustrazione. A quanto sembrava non c’era niente altro, a parte quell’enorme
camion, da cui vennero scaricate una dopo l’altra tre vetture. Evidentemente
non era la prima volta che quel mezzo veniva usato per un lavoro del genere
perché ci fu solo un leggero brusio meccanico, e l’uomo che scese dalla cabina
di guida per controllare che fosse tutto in ordine si limitò a dare un’occhiata
alla strada, deserta a quell’ora. Non sapendo cosa pensare di quelle strane
manovre, l’alieno fece un’altra verifica intorno alla casa prima di rientrare.
Il primo ad arrivare in soggiorno, poco dopo l’alba, fu il signor Evans. Anders
lo invitò con un cenno della mano a seguirlo accanto alla finestra che dava
sulla strada e ne osservò incuriosito la reazione.
- Maledetti bastardi... - fu il commento dell’avvocato. - Quelle sono le nostre
macchine. Devono averle prese ad Albuquerque, e solo il cielo sa perché ce le
abbiano restituite... -
- Forse perché, almeno così sembra, godiamo della protezione presidenziale? -
- Ciao, Diane! Ti ho svegliata? -
- No, caro. Credo che soltanto Jason e Shiri riescano a dormire bene, in questi
giorni... - La donna raggiunse il marito e scostò decisa la tendina. - Era il
minimo che potessero fare, dopo quello che hanno combinato. Bene, vado a
preparare la colazione. E dopo, colonnello, le consiglio di andare a riposare
un po’! - Con un sorriso gentile Diane si strinse la cintura della vestaglia e
andò in cucina.
Liz si stiracchiò voluttuosamente contro il corpo muscoloso del marito ed emise
un sospiro di beatitudine. - Max... - Socchiudendo appena gli occhi gli cinse
il collo con le braccia prima di baciarlo, e rabbrividì di piacere nel sentire
la passione con cui lui la ricambiò. Fece per scivolargli sopra quando si rese
conto che non erano soli. - Jason?!? - mormorò vedendo la sagoma vestita con un
pigiama grigio scuro che era appartenuto a Max sdraiata talmente vicina al
bordo del letto da rischiare di cadere da un momento all’altro. Poi,
insospettita, si volse a guardare dietro di sé e vide Shiri. Stupefatta, si
raddrizzò tenendosi il lenzuolo stretto al seno. Contemporaneamente, anche Max
si era messo a sedere e stava guardando i figli ancora immersi nel sonno.
Un’espressione di tenerezza gli si dipinse sul volto mentre si piegava a
deporre un bacio sulla fronte di Jason. - Penso... che siano stati loro a
permetterci di dormire senza avere incubi, questa notte... - disse sottovoce
per non svegliarli.
Liz sfiorò con le dita i capelli di Shiri, sparsi come uno spesso tappeto bruno
intorno alla sua testa. La ragazzina indossava una camicia da notte della
nonna, che le arrivava quasi alle caviglie, e giaceva distesa sul fianco col
viso rivolto verso di lei. - Sì, lo credo anch’io. Ricordo di essermi
addormentata mentre eri con me, poi... poi sono ricominciati gli incubi... ma
ad un tratto sono spariti. Così, all’improvviso, e al loro posto ho sentito
tanta... pace... - Si girò verso Max sorridendo poi scese con attenzione dal
letto e prese la maglietta nera che il giovane aveva lasciato la sera prima
sulla sedia davanti alla piccola scrivania. Infilatala, si sdraiò di nuovo e
prese dolcemente Shiri tra le braccia mentre Jason, con un piccolo sbuffo,
rotolava contro il padre. Max tornò a distendersi e rimase a guardarlo dormire
finché giunse l’ora di alzarsi. Allora lo baciò sulla guancia e gli mandò
indietro la frangia. Buongiorno, coniglietto... -
Il ragazzino aprì gli occhi e lo guardò con aria insonnolita, poi sorrise. -
Buongiorno, papà - Si sollevò su un gomito e gli diede a sua volta un bacio
sulla guancia. - Hai dormito bene? -
- Come se non lo sapessi! - Max gli stuzzicò un fianco facendolo scoppiare a
ridere.
- No, ti prego! - Jason cercò di sottrarsi al solletico, poi si mise di colpo
in ginocchio e gli si strinse contro. - Non voglio che soffriate più, tu e la
mamma... - bisbigliò con voce tremante.
Il giovane emise un sospiro profondo. - Tesoro, purtroppo questa è una cosa che
va al di là dei nostri poteri... Anche io vorrei che la mamma non soffrisse
più... vorrei che tu e Shiri poteste tornare ad essere piccoli per crescere
come tutti i bambini... vorrei proteggervi sempre ma... ma non è possibile... -
Liz era rimasta ad ascoltarli senza dire nulla tuttavia, sentendo il sordo
dolore nelle parole di Max, si volse a guardarli seria. - Voi avete già fatto
moltissimo. E’ vero, siete persone speciali, ma avete comunque dei limiti e non
dovete sentirvi in colpa per questo. Hai capito, Jason? -
Lui fece un cenno di assenso senza alzare la testa dal torace del padre, poi
spalancò gli occhi e fissò con intensità la sorella.
Notando la direzione del suo sguardo Liz si rese conto che anche Shiri si era
svegliata, allora le diede sorridendo un buffetto sotto il mento. - Questo vale
anche per te, amore... -
La bambina annuì poi l’abbracciò dandole il bacio del buongiorno, dopodiché si
mise carponi per girarle intorno e fece la stessa cosa con Max prima di
prendere il fratello per una spalla. - Dai, Jason, andiamo giù: la nonna ci sta
aspettando. -
Mentre i due uscivano dalla camera il giovane si avvicinò a Liz e la baciò sul
collo. - Fra mezz’ora arrivano i Valenti al gran completo per cominciare a
montare le decorazioni. Odio doverlo dire, ma... -
- ...ma la nonna ci sta aspettando - La ragazza sorrise prima di gemere per
l’audace carezza di Max. - Smettila di toccarmi, altrimenti tua madre resterà
delusa! -
Lui le mise entrambe le mani intorno alla vita e si spinse contro i suoi
fianchi. - Lo so che adesso non c’è tempo per amarti, ma voglio che tu sappia
quanto vorrei tenerti fra le mie braccia e guardarti... Non ne ho mai
abbastanza... -
- Se è per questo, anche a me piacerebbe stare così per tutta la vita - Gli
toccò sensualmente la schiena con le unghie, poi lo sospinse sotto di sé e
scese dal letto. - Sbrigati, o dovrò fare la doccia da sola... -
- Isabel! Ma che sorpresa! - Diane Evans abbracciò la figlia sorridendo
contenta prima di salutare con lo stesso entusiasmo Morgan. - Come mai siete
venuti qui a quest’ora? Sono appena le otto... -
- Vogliamo aiutarti a preparare la casa. - fu la risposta di Isabel.
- Tesoro, io ti ringrazio ma... anche tu avrai molto da fare per organizzare il
tuo matrimonio... Dico bene? - aggiunse guardando il futuro genero con fare
interrogativo.
- Veramente proprio ieri è arrivata la segretaria privata di mio padre. E’
stato difficile convincerla che non intendiamo fare una cerimonia nello stile
dei Coltrane, ma alla fine ha ceduto e a noi non è rimasto che dirle quello che
vogliamo. Dopodiché abbiamo deciso che la cosa migliore era venire qui... -
- Oh, capisco! - La donna scosse il capo divertita e fece loro cenno di
entrare. - Stavamo facendo colazione. Volete unirvi a noi? -
- Certo. Come stanno i miei nipoti preferiti? -
- Zia Isabel! - Nell’udire la sua voce Jason si alzò rumorosamente da tavola e
corse dalla ragazza, che tese le braccia verso di lui con un sorriso pieno di
affetto.
- Ciao, sorellina. - Max, sopraggiunto in quel momento, le passò un braccio
intorno alle spalle e la baciò su una guancia. - Visto che bella carovana, qua
fuori? -
- Sì, l’ho notata - Isabel lo guardò ansiosa. - Sono stati... quelli dell’FBI?
-
- Penso di sì. Anders li ha sentiti arrivare e mi ha fatto un accurato
resoconto. A quanto sembra hanno recepito il messaggio e hanno deciso di
cominciare a mostrare la loro buona volontà -
- Hai ragione, Max. Non è esattamente nelle loro abitudini, ma direi che questo
sia un modo per chiedere scusa. Per quel che può valere... - Morgan fissò
accigliato Jason. Niente avrebbe potuto ripagarlo per quello che gli era
successo. E lo stesso valeva per tutti gli altri. Ancora una volta ringraziò
mentalmente il padre per l’aiuto che gli aveva dato e tese una mano verso Max,
che si affrettò a stringerla.
- Coraggio, sbrighiamoci a mangiare perché tra poco arriveranno anche Amy, Jim
e Kyle! - Diane li invitò a seguirla nel soggiorno e prese altri piatti dalla
credenza.
In effetti ebbero giusto il tempo di rigovernare quando il campanello suonò di
nuovo.
- Ho visto che è passato Babbo Natale! - esclamò James Valenti varcando a
fatica la soglia, un enorme scatolone tra le braccia.
- Infatti... - Max tolse una scatola altrettanto grande dalle mani di Amy e
sorrise a Kyle. - Vieni, voglio presentarti i miei ragazzi - Si girò verso la
cucina e chiamò i figli, che lo raggiunsero seguiti da Liz.
Max controllò che Amy fosse impegnata con Diane e poi fece le presentazioni. -
Shiri, Jason, questi è Kyle. Un vecchio compagno di scuola e figlio dello zio
James. Anche lui studia per diventare poliziotto... -
Nel vedere i nuovi arrivati Kyle lasciò cadere lo scatolone che stringeva
ancora al petto e rimase per qualche secondo a bocca aperta. - Oh no, non posso
crederci! Sono... sono... -
- Sono cresciuti molto in fretta. E amano la salsa Tabasco anche più di Max...
-
Il commento ironico di Liz colpì con forza il giovane, che ne comprese subito
il significato nascosto. Quei due ragazzi non erano umani. Quindi, tutto
sommato, quella che aveva fatto il giorno prima non era una battuta ma la
realtà. Era in corso una vera e propria invasione, e a quanto sembrava nessuno
se ne rendeva conto. Guardò Isabel che scherzava con la madre e con Morgan,
pensò a Maria che l’indomani avrebbe sposato Michael. E poi, lui stesso era
stato guarito da Max. Sapeva che qualcosa dentro di sé era cambiato, e con un
brivido si domandò come sarebbero stati i suoi figli. Deglutì cercando di
nascondere il disagio che provava prima di fare un cenno di saluto ai due
ragazzini. - Ciao... - mormorò impacciato.
- Ciao - Shiri lo fissò intenta, poi sorrise. - Non devi aver paura di noi:
mica mordiamo! - Con un movimento aggraziato si avvicinò al padre e cominciò a
tirare fuori le ghirlande di carta. - Come sono belle! -
Kyle, rimasto senza parole, incontrò lo sguardo significativo di Max e si sentì
arrossire. Per darsi un contegno si chinò sullo scatolone. - Dove sono i chiodi
e il nastro adesivo? -
- Vado a prenderli. Grazie per essere venuto, Kyle... - Il giovane poggiò la
scatola accanto all’altra e si allontanò seguito dal figlio.
Liz studiò l’amico con una strana espressione sul viso. - Va tutto bene? - gli
chiese gentilmente.
- Sì, sì, certo. Lasciami riprendere dalla sorpresa, però... - Kyle si morse le
labbra. - Mi spiace, non volevo essere maleducato -
- Non lo sei stato. - lo consolò lei. - Avanti, diamoci da fare... -
S’inginocchiò al fianco di Shiri e l’aiutò a disporre le decorazioni sul
pavimento.
Con un sospiro il giovane si mise a fare altrettanto col contenuto del secondo
scatolone.
Mentre gli invitati si avvicinavano al ricco buffet preparato da Amy, Max ed i
suoi amici si dileguarono con discrezione al piano di sopra e si chiusero nella
camera che il giovane divideva con Liz,
Michael e Maria si misero uno davanti all’altra, mentre Isabel, Max e Liz si
disponevano attorno a loro. Shiri, Jason e Morgan davano le spalle alla porta e
osservavano con attenzione.
Michael fissò Maria, bellissima nel suo abito bianco, e sorrise. - Io, Rath,
braccio destro del signore di Antar, dichiaro davanti ai miei testimoni -
inchinò il capo verso Isabel - e al mio sovrano - ripeté il cenno in direzione
di Max - che la mia vita è ora unita alla tua. La tua forza di donna
affiancherà la mia forza di uomo. Insieme saremo il sostegno del mio signore.
Perché la nostra anima appartiene ad Antar - Si portò la mano di Maria alla
tempia, e premette con delicatezza la destra contro la tempia di lei. - Questo
è il nostro destino... - Dalle dita si sprigionò un debole chiarore dorato,
perché questo è quello che voglio -
Max era in preda ad una forte emozione. Ricordava il momento in cui, con una
formula simile, aveva sposato Liz, ed il cuore gli batteva con violenza. Con
voce chiara e sommessa pronunciò le parole di rito. - Io testimonio ed approvo
questa unione -
Fu poi la volta di Maria che, tremando leggermente, disse: - Io, Maria DeLuca,
accetto questa unione, davanti ai nostri testimoni - Sentì una lacrima
scivolarle lungo la guancia ma non poté farci nulla. La celebrazione di quella
strana cerimonia era per lei molto più importante di quanto era accaduto poco
prima nell’ampio ingresso, perché sapeva cosa significasse per Michael la sua
eredità aliena, e la consapevolezza che lo aveva accettato e continuato ad
amare nonostante tutto. Avrebbe voluto avere il coraggio di Liz, che con Max
aveva dichiarato davanti a tutti i sentimenti che li univano a dispetto della
loro diversità, ma non se l’era sentita mentre sua madre la guardava commossa.
Però lì, in quella piccola stanza, era libera di dire quello che davvero
sentiva. - Sei il mio ragazzo dello spazio, Michael, e non ti lascerò mai - Poi
fece un passo verso di lui e chiuse gli occhi mentre riceveva un bacio
dolcissimo, che le arrivò dritto al cuore.
Quando infine si separarono, i due ragazzi si lasciarono abbracciare e baciare
più volte da Shiri e Jason finché non intervenne Liz. - Basta, adesso è il mio
turno! - esclamò perentoria, poi strinse Maria in un abbraccio stretto stretto.
- Sono così contenta per te... - le disse sottovoce.
- Anche io. Oh, Liz, sono... sono talmente felice! -
Le due amiche rimasero in quel modo per un minuto intero, finché Michael batté
sulla spalla di Liz costringendola ad allontanarsi. - Ti spiace...? - Senza
darle il tempo di rispondere si chinò a baciare Maria, poi la prese per mano e
aprì la porta. - Scendiamo di sotto prima che vengano a cercarci... -
Arrivare ad Albuquerque e scoprire che la casa in cui avevano vissuto fino a
poche settimane prima era occupata da un’altra famiglia lasciò sconvolta Liz,
che rimase a lungo a guardare fuori dal finestrino senza dire una parola. Anche
Max si scoprì a fissare teso la bambina che giocava con il suo cane nel
giardino sul fronte strada.
- E’ come se non fossimo mai stati qui... Che fine avranno fatto tutte le
nostre cose? E i vestitini di Jason, i suoi giocattoli... - mormorò ad un
tratto Liz con voce accorata. Non si aspettava una risposta, in realtà, ma il
giovane le coprì delicatamente una mano con la propria.
- Chiamerò Morgan. Forse lui potrà aiutarci -
Sentendo la cupa disperazione dei due ragazzi Shiri si sporse in avanti. -
Papà, cosa c’è? -
Max parlò senza guardarla. - Tu sei nata qui. Ma purtroppo questo posto non ci
appartiene più - Girò la chiave nel quadro e ingranò la marcia. - Dobbiamo
cercare un’altra casa. -
La bambina si riappoggiò allo schienale e si adombrò nel notare l’espressione
cupa sul bel volto del fratello.
Jason, comprendendo la sua perplessità, emise un impercettibile sospiro e le
spiegò a voce bassissima: - E’ stato qui che hanno fatto del male a papà e
mamma, agli zii e ai nonni. -
A quelle parole Anders serrò le mascelle. Lui non era dotato di poteri, eppure
aveva percepito il disagio di Zan e sua moglie, e adesso capiva il perché. Per
l’ennesima volta si ripromise di vegliare con la massima attenzione sui reali.
Fece un cenno d’intesa a Lou, seduto all’estremità opposta, e tornò a studiare
la strada.
Furono fortunati. La seconda agenzia cui si rivolsero aveva un appartamento
nelle vicinanze del campus che si era reso disponibile appena due giorni prima
dato che il precedente inquilino aveva dovuto trasferirsi per lavoro. Non era
molto grande, pur essendo suddiviso in tre stanze oltre ai servizi, ma era in
buone condizioni. Sapendo che avrebbero dovuto trascorrervi solo pochi mesi
prima di andare a El Paso, Max firmò il contratto senza neppure preoccuparsi di
vederlo.
La casa si rivelò accogliente e funzionale ed il giovane vi lasciò i figli con
i due militari prima di recarsi insieme a Liz all’università per controllare il
calendario degli esami.
Mentre varcavano l’ingresso del campus incrociarono Patricia, che li salutò
calorosamente.
- Ehi! Che fine avevate fatto? Non solo non siete più venuti alle lezioni, ma
avete anche cambiato casa senza dirmi niente! -
Liz abbracciò l’amica mormorando parole di scusa, cui la ragazza rispose con un
cenno scherzosamente minaccioso del dito indice. - Per poco non mi è venuto un
infarto sabato scorso, quando sono passata a trovarvi e un perfetto sconosciuto
mi ha aperto la porta! -
- Sì, capisco, ma vedi... noi... - Liz lanciò un’occhiata a Max cercando
l’ispirazione per una risposta plausibile, poi si schiarì la gola. - ...noi
siamo stati contattati dall’agenzia che ce l’aveva affittata perché ne aveva
bisogno per un cliente di riguardo, così ci è stato proposto un cambio ed
abbiamo accettato. Sai, è successo tutto così in fretta che non mi è stato
proprio possibile avvertirti... Ma ti prometto che tu e Tony sarete i nostri
primi ospiti! -
- Guarda che ci conto! - Rabbonita, Patricia guardò con curiosità la pancia, o
meglio l’assenza di pancia di Liz. - E nel frattempo hai anche partorito, a
quel che vedo... -
- Ehm... sì. Sì, ho avuto una bambina, questa volta. L’abbiamo chiamata Shiri.
-
- Mi piacerebbe tanto vederla! E’ bella come Jason? -
La ragazza annuì con orgoglio materno, poi tremò al pensiero della domanda
successiva, che non tardò a giungere.
- Quando posso passare a vederla? Qual è il vostro nuovo indirizzo? -
Fu Max a risponderle. - Abitiamo al 244 di Cherokee Street. Senti, Patty... -
Per un attimo abbassò lo sguardo, non sapendo come proseguire, poi emise un
profondo sospiro. Prima o poi avrebbero dovuto inventare qualcosa per spiegare
la situazione, e tanto valeva farlo subito. - Il fatto è che il mio DNA ha
degli... errori... e... e questo ha causato delle alterazioni anche nel DNA sia
di Jason che di Shiri. Loro... hanno subìto una crescita accelerata. -
Il volto di Patricia assunse un’espressione incredula. - Mi stai prendendo in
giro? Che razza di cose stai dicendo? Liz, che diamine gli ha preso? -
- E’ così, Patty. Jason e Shiri hanno l’aspetto di bambini di undici anni - Il
tono di Liz era sommesso ma fermo. Max aveva fatto bene ad imbastire quella
spiegazione perché non era possibile tenere i loro figli sempre chiusi in casa,
ed inevitabilmente Patricia e gli altri compagni di studi li avrebbero
incontrati. Si augurò che la ragazza credesse alle parole di Max, poi accennò
un sorriso. - Adesso dobbiamo proprio andare, scusaci. Che ne dici di venire a
cena venerdì prossimo? -
- Ok, affare fatto. Ma davvero non mi state prendendo in giro? -
Liz la fissò dritta negli occhi. - Davvero, Patty. Allora ti aspettiamo con
Tony, va bene? -
Patricia annuì, ancora vagamente perplessa, poi si allontanò lasciandoli soli.
Max passò un braccio intorno alle spalle della moglie. - Non mi piace mentire.
L’ho dovuto fare per troppo tempo, e vorrei non averne mai più bisogno... -
- Ti capisco. E’ una cosa che odio anch’io. Purtroppo a volte non se ne può
fare proprio a meno -
- Questo mi fa venire in mente che dobbiamo parlare con Jason e Shiri. -
- Sì, hai ragione, ormai non possiamo più rimandare... -
Fu così che quella sera, dopo una rapida cena a base di pizza, Max spiegò ai
due ragazzini la differenza tra la loro origine e quella di Liz. - ...e per
questo motivo non dovete mai, ripeto mai usare i vostri poteri quando ci sono
altre persone. Purtroppo la gente tende ad aver paura di quello che non conosce
e quindi potrebbe farvi del male. -
Non fu un discorso facile, e alla fine Shiri guardò interrogativamente il
padre. - I nonni sanno chi siamo e ci vogliono bene lo stesso. -
- Le persone non sono tutte uguali, tesoro... - intervenne Liz intrecciando con
fare nervoso le dita. Vedi, i genitori di Max, Maria, James Valenti, suo figlio
Kyle e Morgan sono riusciti a vedere oltre. Hanno saputo accettare la diversità
di Max, di Isabel e Michael, mentre la mia famiglia... - Si morse le labbra
sentendosi il cuore spezzato - Mio padre e mia madre non potranno mai capire.
Loro... loro reagirebbero molto male se sapessero la verità. -
- Perché? - chiese ancora Shiri.
- Perché non volevano che sposassi Liz - esclamò Max di getto. - In realtà il
motivo è questo. - Si volse a guardare la giovane. - Le cose stanno così, e tu
lo sai benissimo. Probabilmente adorerebbero Jason e Shiri, se non fossero
figli miei... -
- Ma lo sono. E io non intendo far correre loro dei rischi! -
Vedendola sconvolta Max se la strinse con dolcezza al petto e chiuse per un
attimo gli occhi, poi tornò a concentrarsi sui bambini. - E’ difficile vivere
avendo dei segreti, però a volte è necessario. Ricordate quindi di fare molta
attenzione a quello che dite quando siete in presenza di altre persone -
Jason annuì in silenzio, imitato dalla sorella.
Liz posò le mani sulle braccia forti del marito e fece un piccolo passo
indietro per poi girarsi verso i figli. - Mi dispiace per quello che vi è
successo. Se io non avessi detto a Jason di andare da Thien non avreste subìto
questa... questa modifica... Volevo solo che foste liberi... - Si toccò
nervosamente i capelli. - Io... io credo che saprete cavarvela molto bene, sia
qui sulla Terra, sia su Antar. - Si sforzò di sorridere. - Avete due mondi tra
cui scegliere, ma non abbiate fretta di crescere, vi prego... -
Shiri le sorrise in risposta. - Questo vuol dire che possiamo andare a giocare
con Daniel e Paul? -
La ragazza aggrottò la fronte. - Daniel...? -
- Abitano nella casa accanto. Mi sono sembrati a posto - spiegò Anders.
- Ah... Ehm, sì, allora... allora potete andare. Certo... - Liz incontrò lo
sguardo divertito di Max e si strinse nelle spalle.
- Veniamo anche noi - Il giovane la prese per mano e seguì i figli nel giardino
sul retro, dove Daniel e Paul stavano già facendo dei lanci nel canestro
saldamente infisso alla parete della loro villetta.
- Ehi, Jason! Ciao! - Paul fece un gran gesto di saluto verso di lui poi gli
tirò la palla e scoppiò a ridere quando Shiri, con un abile salto, impedì al
fratello di prenderla.
- Coraggio, puoi farcela! - gridò Daniel, e lei corse verso il canestro
centrandolo per un pelo.
- Wow! - Paul, di due anni più grande del fratello, recuperò la palla. -
Giocate anche voi? - chiese a Max, che rispose pure per Liz. - Certo! -
In piedi dietro la finestra Anders sorrise tra sé guardando il gruppetto
correre e saltare, poi si voltò verso il compagno. - Vado a dormire. Buona
notte -
- Buona notte, Thien. - Lou bevve un ultimo sorso di caffè prima di fare con
discrezione un giro di controllo all’esterno, e quando rientrò mise in ordine
la cucina. Di tanto in tanto si avvicinava ad una finestra oppure faceva un
breve sopralluogo fuori di casa, ma era tutto molto tranquillo e a volte
restava a guardare i reali giocare come ragazzi qualsiasi. Paul e Daniel
Sheffield sembravano avere più o meno l’apparente età di Jason e Shiri, ed
avevano accettato tranquillamente la presenza dei due adulti. Si augurò di
cuore che, almeno per un po’, i suoi signori potessero vivere in pace. Ne
avevano davvero bisogno...
Sfinito dalla stanchezza, le labbra riarse dal torrido sole del deserto, l’uomo
barcollò per l’ennesima volta ma con feroce determinazione fece ancora un
passo. Poi un altro. E quasi venne investito dall’auto che stava
sopraggiungendo.
James Valenti frenò bruscamente poi corse fuori della vettura e sostenne il
malcapitato per le spalle. - Santo cielo, è conciato proprio bene! Ha avuto un
incidente? Dov’è la sua macchina? -
L’uomo non rispose, limitandosi a guardarlo con espressione assente.
Con un sospiro lo sceriffo aprì lo sportello posteriore, aiutò il ferito a
salire, dopodiché si risedette al posto di guida e prese in mano la radio. Ma
alla centrale non avevano avuto alcuna segnalazione quindi decise di proseguire
verso la città senza perdere altro tempo. Diede un’occhiata allo specchietto
retrovisore e vide che il suo passeggero si era messo a sedere in posizione
eretta. Pensò allora che forse le sue condizioni non erano così gravi come gli
era sembrato in un primo momento, ma poi lo vide abbassare le palpebre e
crollare di schianto. “Accidenti!” Distava solo quindici miglia da Roswell, ma
se non si sbrigava quel poveretto poteva rimetterci la pelle. Pigiò allora il
piede sull’acceleratore serrando le labbra. Era molto stanco, aveva avuto una
giornata durissima, e per un attimo tremò al pensiero di quello che sarebbe
potuto accadere se non avesse avuto i riflessi pronti. C’era mancato davvero
poco che mettesse sotto l’uomo che adesso giaceva privo di sensi dietro di
lui... Fece un altro tentativo con la centrale poi, con un gesto dettato
dall’abitudine, guardò nello specchietto esterno e sgranò gli occhi. - Ehi,
vuole ammazzarsi?!? - Sterzò bruscamente per far sì che lo sportello si
riaccostasse ed imprecò a fior di labbra per non aver pensato di bloccare le
chiusure, ma non poteva certo immaginare che l’uomo avrebbe tentato di buttarsi
fuori dall’auto in corsa! Si accostò al bordo della strada e spense il motore
infilandosi la chiave in tasca prima di voltarsi a controllare. - Insomma, che
cosa le prende? Sto cercando di portarla in ospedale e lei... -
Tacque di colpo nel vederlo tirare un poco indietro la manica destra mostrando
un largo bracciale scuro e poi fare segno con la sinistra verso sud.
- Da quella parte c’è solo il deserto, mentre là - indicò ad est - c’è Roswell.
Lei ha bisogno di cure immediate, poi potrà andare dove le pare! Mi dia retta,
per qualche giorno se la prenda comoda... -
Fece per rimettere in moto ma l’uomo gli strinse l’avambraccio con forza
insospettata costringendolo a lasciar cadere la chiave e uscì dalla vettura.
Vedendolo incamminarsi lentamente nella direzione opposta lo rincorse e lo
prese con fermezza per una spalla. Senta, la prego, non faccia sciocchezze! Non
riuscirà a fare un miglio prima di... Ouch! - Si strofinò il polso dolorante
per la leggera scossa elettrica provata quando il suo recalcitrante passeggero
lo aveva afferrato con decisione liberandosi senza apparente difficoltà. Lo
guardò allora negli occhi, un’espressione indecifrabile sul volto. - Ok - disse
facendo un piccolo cenno affermativo col capo, poi indicò l’auto e l’uomo esitò
solo un istante prima di salire di nuovo a bordo.
Venti minuti più tardi lo sceriffo parcheggiò davanti ad un edificio a tre
piani dalle pareti interamente ricoperte di mattoncini rossi. Scese dalla
macchina ed aprì lo sportello posteriore, attese che lo sconosciuto, dopo
essersi guardato intorno, scendesse a sua volta poi si avviò verso una porta di
vetro antiproiettile. Sorrise soddisfatto quando, entrando nell’elegante
ufficio, vide Michael in piedi accanto allo schedario. - Ciao, speravo proprio
di trovarti ancora qui! Ho incontrato un tuo parente, credo. - Fece un passo di
lato e l’uomo dietro di lui avanzò lentamente. - Rath... -
Michael spalancò la bocca per la sorpresa. - Cosa...? - Fissò stupefatto il
volto sporco di polvere e sangue, circondato da lunghe ciocche dal colore
indefinibile, poi lo sguardo gli scivolò lungo gli strappi e le macchie scure
sul giubbetto e sui pantaloni. - Chi diavolo sei? - Ma il suo interlocutore si
accasciò e a lui non rimase che aiutare Valenti a sollevarlo e sistemarlo
sull’unico divano della stanza.
- L’ho incontrato lungo la statale, mentre tornavo da Alamogordo. Sulle prime
ho pensato che fosse rimasto vittima di un incidente, date le condizioni in cui
era, ma poi ha cercato di buttarsi giù dalla macchina perché voleva andare
verso sud -
- A sud? Verso il deserto?! -
- E’ quello che ho pensato anch’io. Però lui era convinto che quella fosse la
direzione giusta. - Così dicendo Jim si curvò sull’uomo privo di conoscenza e
gli alzò un poco il bordo della manica mostrando lo strano oggetto che portava
al polso.
Il ragazzo si morse le labbra con fare pensoso. - Sembra un tracciatore, come
quelli che avevamo... su Antar... - Delicatamente aprì le piccole fibbie del
giubbetto e ne scostò i lembi alla ricerca di qualche altra cosa che potesse
confermare i loro sospetti. - Santo cielo! - mormorò inorridito alla vista
delle profonde ferite che segnavano la pelle liscia del torace. In alcuni punti
si vedevano addirittura sporgere frammenti di ossa.
- Mi domando come abbia fatto a resistere così a lungo! Sembra passato
attraverso l’inferno... -
- Adesso ci vorrebbe Max, maledizione... - Michael richiuse il giubbetto e andò
ad appoggiarsi al bordo della scrivania, le braccia incrociate sul petto. - Hai
idea di dove venga? -
Valenti si tolse il cappello, con un fazzoletto ne asciugò la fascia interna,
poi se lo rimise in testa. - No davvero! - Diede un’occhiata allo straniero. -
Quando mi ha afferrato il polso per sottrarsi alla mia presa ho provato come
una scossa elettrica. E’ stato a quel punto che mi è venuto il dubbio che fosse
come... come voi, e ho deciso di condurlo da te. Spero solo di non averti messo
in pericolo: Maria non me lo perdonerebbe mai - Un sorriso gli stirò per un
attimo le labbra al pensiero della ragazza, poi scosse le spalle. - Beh, ormai
è fatta. Dove lo portiamo, adesso? -
- Hai detto che voleva andare a sud? -
Lo sceriffo tornò a guardare Michael. - Sì -
- Questa storia non mi piace, ma come hai detto tu ormai è fatta. Max mi
ammazzerà... - Con un sospiro si avvicinò al divano e prese l’uomo per le
spalle. - Aiutami a portarlo fuori. La jeep è parcheggiata subito dietro
l’angolo. -
Insieme, i due riuscirono nel loro intento poi Michael estrasse il cellulare
dalla tasca della camicia e chiamò Maria per avvertirla dell’imprevisto,
riuscendo a calmarla solo con la promessa che le avrebbe spiegato tutto al
ritorno.
- Vuoi che venga con te? - gli chiese allora Jim.
- No, è meglio di no. Se non avrai mie notizie entro domattina chiama Max e
avvertilo - Detto questo il giovane avviò il motore e partì.
All’uscita della città imboccò la statale 285 Sud. “Volevi andare in questa
direzione, giusto? Bene, amico, vediamo se indovino qual era la tua meta...”
Guidò tenendo d’occhio alternativamente la strada ed il suo passeggero tuttora
svenuto, finché giunse alla caverna al cui interno era celata l’astronave. -
Eccoci arrivati, ragazzo mio! - Fece un respiro profondo prima di incunearsi
contro la spalla il corpo inerte dell’uomo e si diresse verso la parete
rocciosa. Aperto il passaggio segreto, procedette faticosamente fino alla
camera delle incubatrici prima di deporre il suo fardello, poi si avvicinò ad
una nicchia e ne estrasse un sacchetto di pelle, da cui prese un granilite. -
Ok, e adesso a noi due... - Strinse una pietra color ambra nella mano sinistra
e guardò il granilite nella sua destra prima di serrare dolcemente le dita
cominciando a concentrarsi.
La tenue luminescenza che si sprigionò dai due oggetti alieni fece capire al
giovane che i suoi sforzi stavano avendo effetto. - Non sono in grado di
guarirti, amico, ma qualcosa per alleviare il dolore lo posso fare. Dopodiché
parleremo... -
Quando lo straniero aprì gli occhi Michael si scosse ed abbassò le braccia, che
aveva tenuto fino ad allora leggermente sollevate. - Chi sei? - chiese con voce
distaccata.
Serrando le mascelle l’uomo si sollevò a sedere. - Brentelwoodein Alehnikar di
Rènida. Non è stato facile trovarti, Rath. - Aveva parlato nella lingua madre
di Michael, che socchiuse gli occhi sconcertato. - Facciamo Brent, è più
semplice, eh? Allora, perché volevi trovarmi? -
- Perché sei il braccio destro di Zan. Voi due e la principessa Vilandra siete
riusciti a fare quello che nessuno, in tutto il sistema stellare, aveva potuto
realizzare in oltre vent’anni: fermare l’avanzata di Volnis di Zoltar. Tu sei
lo stratega dei reali di Antar, e io ho bisogno di te -
Michael si accovacciò davanti a lui e lo guardò dritto negli occhi. - Tu hai
bisogno di cure. Stai male e non ti rendi conto di quello che dici. Lo stratega
dei reali... - Scosse la testa con una smorfia divertita. - Questa è davvero
forte... - Tornò serio. - Che cosa ti è successo? -
- Avevo cominciato la manovra di avvicinamento quando sono stato colpito da
missili. Antiquati ma efficaci. I miei sensori non sono stati in grado di
distinguere le batterie da tutti i detriti che circondano il pianeta, ed il
risultato è stato che ho perso il controllo dell’astronave e sono precipitato.
Però ho avuto fortuna: sono riuscito ad atterrare abbastanza vicino
all’obiettivo -
A quelle parole Michael sentì un brivido corrergli lungo la schiena. - Sì,
questo mondo non è molto ospitale con gli stranieri... - Si rialzò in piedi. -
Senti... Brent... qui sei in un posto sicuro: non muoverti fino al mio ritorno.
Non ho niente da mangiare e da bere, purtroppo, ma vedrò di portarti qualcosa
non appena mi sarà possibile. Intanto riposati... - Fece un piccolo cenno di
saluto col braccio poi si volse e se ne andò.
Mentre guidava, i capelli scompigliati dal vento, continuava a ripensare alle
parole di Brent. “Rènida... E’ il pianeta più lontano da Antar... Ma che
diamine è venuto a fare quaggiù? E come ci ha rintracciati?”
Quando arrivò a casa trovò Maria che passeggiava nervosamente in soggiorno.
- Michael! Ma insomma! Siamo sposati da nove giorni e questa è già la terza
volta che mi dai buca! - lo aggredì lei non appena se lo trovò davanti.
Il giovane la fissò un attimo negli occhi prima di stringersi nelle spalle. -
Scusami. E’ che... ho dovuto dare asilo politico a un vicino di casa... -
- Che cosa... che cosa stai dicendo?! -
Presa una decisione improvvisa, Michael le si avvicinò e l’abbracciò baciandola
appassionatamente. - Hai ragione, ti sto trascurando. Devo tornare da lui, ma
stavolta vieni con me! - La prese per mano e la trascinò con sé in cucina. - Ho
bisogno di provviste. Cibo, acqua, vestiti puliti, asciugamani -
La ragazza sbuffò ma poi si diede da fare, e in breve venne radunato sul tavolo
tutto l’occorrente. - Ti prego, vuoi spiegarmi esattamente che cosa... -
- Adesso non ho tempo, Maria - la interruppe senza neppure guardarla mentre
cominciava a riempire una grande borsa da viaggio. - C’è un uomo, nella stanza
delle incubatrici. Un alieno. E’ ferito e ha bisogno di aiuto. Allora, vuoi
venire? -
- Certo! -
Ancora una volta la jeep si diresse verso il deserto, lungo la statale. Venere
aveva fatto capolino all’orizzonte e la ragazza inspirò con piacere l’aria
pulita e frizzante. - Hai detto di averlo lasciato nella caverna? - chiese ad
un tratto girandosi verso il marito, con tono preoccupato.
- Sì. Ma stai tranquilla, ho portato i graniliti con me... - Michael si batté
una mano contro la tasca dei pantaloni. - L’altro ce l’ho nella camicia -
aggiunse sorridendo davanti alla sua espressione scettica.
- Allora non ti fidi del tutto di lui? -
- No, non è questo, però... preferisco andare sul sicuro... -
- E lasciarlo da solo nella caverna dove è nascosta l’astronave lo consideri...
sicuro?!? -
La risposta fu un’alzata di spalle. - Dove avrei dovuto portarlo, secondo te?
In ospedale? -
Maria si appoggiò con il gomito al bordo del finestrino. - Naturalmente no....
- disse tornando a guardare la strada.
- E’ troppo malridotto per costituire un pericolo. Ed è uno di noi. Non posso
abbandonarlo nel deserto soltanto perché non so esattamente chi sia e cosa
voglia -
Al tono deciso di Michael la ragazza sospirò. Quella era ancora una ferita
aperta, per lui, e non avrebbe mai lasciato che qualcuno, sia pure un
potenziale nemico, si ritrovasse nelle stesse condizioni. Tutto sommato aveva
ragione: laggiù, lontano dalla città, era il posto migliore in cui poterlo
lasciare.
Arrivati davanti all’ingresso della caverna Maria si fermò esitante. Stava per
incontrare un altro alieno, e al solo pensiero sentì il cuore batterle con più
forza. Da quando aveva conosciuto la verità su Michael era stata costretta a
rivedere molte cose. Idee, sensazioni, sentimenti... Aveva vissuto più
avventure di quante capitavano alla stragrande maggioranza della gente, ne era
fermamente convinta, ma cominciava ad essere stufa. Voleva vivere tranquilla,
voleva cantare nei locali di Roswell e sapere che Michael era lì ad ascoltarla,
voleva passare la notte fra le sue braccia e non nel deserto accanto ad un
perfetto sconosciuto proveniente da chissà dove! Ma amava il suo ragazzo dello
spazio e sapeva, anche se non ne aveva mai parlato, che gli mancavano
moltissimo Max ed Isabel, le uniche due persone al mondo come lui. E
comprendeva il suo desiderio di aiutare qualcuno che, come lui stesso
quattordici anni prima, si trovava da solo in un mondo ignoto ed ostile. Si
voltò a guardarlo poi gli si accostò e, sollevandosi in punta di piedi, gli
diede un tenero bacio sulle labbra. Andiamo... - disse accennando un sorriso.
Il giovane fece un piccolo segno col capo poi sfiorò la roccia facendo scattare
il sistema di apertura.
Non appena si ritrovarono nella stanza delle incubatrici Michael depose in
terra il borsone e andò vicino al rialzo di roccia su cui giaceva l’alieno. -
Brent, è tutto ok? -
L’uomo riaprì gli occhi e si sollevò faticosamente sui gomiti. - Sì - Guardò
con curiosità Maria, che deglutì a disagio prima di inginocchiarsi al suo
fianco. Frugando nella grossa borsa da viaggio estrasse una catinella di
plastica, una bottiglia piena d’acqua e degli asciugamani puliti. - Sei davvero
conciato bene... - mormorò prima di inumidire il morbido panno e porgerglielo.
- Vuoi fare da te? - Visto che lui non si muoveva si strinse nelle spalle e
cominciò a pulirgli con delicatezza il viso. La pelle era spaccata, bruciata
dal sole, e le labbra macchiate di sangue rappreso.
Quando gliele sfiorò con l’asciugamano Brent sembrò protendersi verso le sue
dita, e Maria sentì un nodo in gola. - Michael... - disse con un filo di voce
girandosi a guardarlo, un’espressione supplichevole negli occhi.
Michael si morse le labbra. - Torno subito - borbottò prima di fare dietro
front e uscire dalla caverna.
Una volta all’aperto estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni
e compose un numero. Dopo un paio di squilli sentì una voce familiare, trasse
un profondo sospiro e parlò velocemente. Ciao, ho bisogno del tuo aiuto.
Adesso. Puoi venire qui a Roswell? -
“- Michael, ci vogliono quasi quattro ore di auto... -”
- Sono alla caverna -
Ci fu un attimo di silenzio, poi: “- Ok. Ho capito. A tra poco -”
- Max, cosa c’è? -
Max chiuse la linea e si appoggiò di spalle al tavolo. - Michael vuole che vada
da lui, alla caverna. -
- Perché? -
- Non lo so. Ma devo andare... - Il giovane sentì una stilettata al cuore
quando vide l’espressione del volto di Liz. - Non puoi venire con me. Devo...
devo fare in fretta... Userò i graniliti. -
- Max! - La ragazza mise giù il piatto, si asciugò in fretta le mani con lo
strofinaccio e gli si avvicinò tremante. Gli carezzò una guancia fissando gli
occhi nei suoi. - Sì, capisco. E’ Michael, e non puoi abbandonarlo. Ma torna
presto, ti prego... -
Non lo stupì il fatto che lei avesse compreso perfettamente quello che stava
provando. Era Liz, era l’altra parte della sua anima. Con un gemito soffocato
le cinse la vita stringendola contro di sé, baciandola a lungo, profondamente,
con passione. L’aveva nel sangue, nel cuore, e si sentiva morire dentro perché
sapeva che per lei era la stessa cosa.
Liz si abbandonò all’abbraccio, e flash di loro due insieme riempirono la sua
mente.
Quando il bacio ebbe termine Max la guardò sorridendo, il respiro un poco
affannoso. - Jason e Shiri hanno fatto davvero un ottimo lavoro... -
La ragazza annuì in risposta. Sì, le immagini del corpo di Max che si
accasciava vicino a lei, crivellato di proiettili e ricoperto di sangue, erano
ancora presenti ma talmente fuggevoli che le percepiva soltanto come una
sensazione di angoscia, subito soffocata dal calore del suo amore. Ancora una
volta doveva confrontarsi con la realtà: Max, e i suoi figli, erano legati a un
destino che non poteva essere cancellato. Erano alieni, e ci sarebbe sempre
stato qualcosa che, loro malgrado, li avrebbe costretti a ricorrere ai poteri
di cui erano dotati. Era inevitabile, e lo aveva sempre saputo, fin da quando i
profondi sentimenti che nutriva per lei avevano portato Max a rischiare tutto
pur di salvarla.
E lei lo amava così tanto da poter sentire quello che provava senza che lui
dicesse nulla, e comprendeva le sue esigenze. Di lealtà verso gli amici, di
dovere verso la sua gente, di protezione nei confronti suoi e dei ragazzi.
Doveva accettare tutto questo, e aiutarlo come poteva. Allo stesso modo in cui
lei per prima traeva forza e serenità dalla sua presenza. - Ti amo, Max -
mormorò cercando di restituirgli il sorriso.
- Lo so, tesoro. - Le circondò il volto con una mano, sfiorandole le labbra con
la punta del pollice. - Ti amo anch’io - Si staccò dolcemente da lei poi andò
nel saloncino, dove trovò Thien Anders seduto in terra accanto a Jason a
guardare la televisione.
Il ragazzo seguì il suo avanzare e corrugò la fronte.
- Thien, devo andare a Roswell. Starò via poco tempo e vorrei che tu e Lou
restaste con i ragazzi... -
- E’ proprio necessario che vada da solo, Altezza? -
- Sì. Ho fretta, e dovrò usare i graniliti. Chiamerò appena potrò -
Il colonnello non gradì la decisione di Max ma non poté fare altro che chinare
la testa. - Faccia attenzione. -
- Come sempre - Il giovane si chinò ad abbracciare Jason. - E tu non passare
tutta la notte davanti al computer, d’accordo? Ti ho sentito, ieri... -
Jason sorrise sbarazzino. - Va bene. Però dillo anche a Shiri: stasera è il suo
turno. -
A quelle parole Max scosse piano la testa arruffandogli i capelli. - Ok - Stava
per rialzarsi quando il figlio s’irrigidì e lo afferrò per un polso. - Lo zio
Michael è in pericolo! - disse concitato.
Nello stesso momento Shiri spalancò la porta del bagno. - Papà, lo zio Michael!
-
Il giovane si volse di scatto. - Accidenti! -
Liz, che aveva sentito tutto, li raggiunse e fece scorrere lentamente lo
sguardo dall’uno all’altro. “Perché? Perché deve esserci sempre qualcosa?
Perché non possiamo vivere in pace?” Il suo bel viso era serio, forse un po’
pallido, ma sembrava irradiare calma e serenità. - Shiri, vai tu con Max. Jason
potrà raggiungervi se avrete bisogno di lui. Max... -
Non dovette aggiungere altro. Il giovane le sorrise con tenerezza annuendo, poi
si concentrò finché nelle sue mani apparvero i graniliti. Allora ne diede uno
alla figlia e, circondatala per la vita, si dissolse nell’aria insieme a lei.
Thien osservò in silenzio la sua signora sedersi accanto a Jason, prendergli
dolcemente le mani fra le sue e guardarlo negli occhi.
Il giovane intrecciò le loro dita ed un tenue sorriso gli distese le labbra.
La loro immobilità preoccupò il colonnello, che andò a svegliare Lou. - Vai a
controllare i reali. Io voglio verificare il perimetro esterno -
Krentz fu subito in piedi. - Qualcosa di nuovo? -
- Sua Altezza è andato via insieme a Shiri, e la signora è con Jason. Non...
non so cosa stiano facendo ma non voglio lasciarli soli. -
- Vado subito -
- Michael! - Max si precipitò al fianco dell’amico e gli toccò la base del
collo. - E’ ancora vivo... -
Maria, in lacrime accanto a lui, tirò su col naso. - Sì, ma non si riprende -
Shiri l’abbracciò con affetto. - Adesso ci pensa papà, stai tranquilla! -
Il giovane posò una mano sul petto di Michael cercando di respirare lentamente.
Vedere la disperazione sul viso arrossato dal pianto di Maria ed il corpo
esanime di quello che per lui era come e più di un fratello lo aveva scosso nel
profondo, ma per poter usare i suoi poteri doveva avere il pieno controllo di
se stesso e quindi doveva riuscire a recuperare la lucidità. Trattenne per un
attimo il fiato, poi lasciò che l’energia affluisse nella sua mano e dopo pochi
istanti Michael riaprì gli occhi.
- Michael... - Maria si curvò a baciarlo sulla fronte sfiorandogli i capelli
con dita tremanti.
- Cos’è successo? -
Nell’udire il tono preoccupato di Max il ragazzo fece una smorfia. - Non lo so
con certezza... Dopo che ti ho telefonato sono... sono tornato dentro e... -
Con un piccolo cenno del capo indicò qualcosa alle sue spalle. - Sono andato a
controllare l’astronave, ma quando mi sono avvicinato al campo di forza sono
stato colpito da una scarica energetica... -
- Perché sei andato lì? -
- Chiamalo... presentimento... - Michael si raddrizzò con cautela, aiutato da
Maria, poi si alzò in piedi e condusse Max fino al punto in cui giaceva lo
straniero. - Si chiama Brent e viene da Rènida. Oddio, il suo nome completo è
pressoché impronunciabile, ma inizia con Brent... - Guardandolo inginocchiarsi
accanto a lui si passò una mano dietro la nuca. - Jim Valenti lo ha quasi messo
sotto sulla statale 70. Non ho capito bene cosa sia accaduto, fatto sta che ha
pensato fosse meglio portarlo da me piuttosto che in ospedale. E aveva
ragione... -
Max studiò il viso ustionato, poi aprì i lembi del giubbetto e trasalì davanti
al petto martoriato. Senza dire nulla pose entrambe le mani su di lui e si
concentrò. A poco a poco le ferite cominciarono a sanarsi ma il sudore che
presto intrise i capelli e la maglietta del giovane fece comprendere a Shiri
che era giunto il momento per lei di intervenire. Sedette al suo fianco e mise
una mano vicino alle sue.
Sul volto di Max apparve un’espressione di orrore e pena. Vide gli occhi di
Brent aprirsi e fissarsi dapprima su di lui e poi su Shiri, chiudersi per un
istante e di nuovo spalancarsi mentre il corpo si rilassava finalmente guarito.
Max si appoggiò sui talloni, esausto per lo sforzo e con il respiro ansimante.
Le mani, dapprima rilasciate lungo i fianchi, si contrassero in pugni convulsi
sotto lo sguardo attento di Shiri.
- Cosa c’è? - chiese ansioso Michael. Non gli andava a genio l’evidente
tensione dell’amico.
- E’ stato lui a bloccare l’accesso all’astronave. Ha coperto il nostro campo
di forza con un altro di polarità inversa, o qualcosa del genere, e ora non
possiamo più raggiungerla. -
- Perché? - Sorpreso, il giovane si chinò su Brent e lo sollevò afferrandolo
per il bavero. - Avevi detto di aver bisogno di me! -
- E’ così. E’ da quasi un anno che ti cerco, poi una squadra è passata nelle
vicinanze di questo sistema stellare ed ha registrato la risposta della vostra
nave. Sono venuto subito a controllare di persona, ma sono precipitato e così
dovrò usare quell’apparecchio per tornare a casa. So che avete altre navi,
quindi non dovrebbe essere un problema per voi lasciare a me questa... -
Distolse lo sguardo dal viso di Michael, indurito per la rabbia, e diede una
rapida occhiata a Shiri, poi tornò a fissare il ragazzo. - Rènida, il mio
mondo, è sull’orlo di una guerra. Tu devi aiutarci -
Michael lo lasciò andare con disprezzo. - Hai un bel coraggio, amico! - Si
voltò verso Max. - Cosa c’è? - mormorò corrugando la fronte.
Dopo una breve esitazione, che sembrò durare un’eternità, Max si alzò in piedi
aiutando contemporaneamente la figlia a fare altrettanto. - Ho sentito quello
che ha provato quando l’ha vista. Lui... - chiuse gli occhi per un istante, -
si è aperto a lei -
La ragazzina guardò dal padre a Brent e sentì un fremito scuoterla. - Ha
bisogno di noi... - disse piano.
Max fece segno di sì con la testa. - E’ vero. Ma tu sei molto giovane e non
voglio che ti faccia del male -
- Non succederà - Shiri sorrise. - Jason non glielo permetterà. -
A quelle parole il giovane socchiuse gli occhi e sembrò percepire qualcosa.
“Jason? Liz?” D’improvviso avvertì con chiarezza il legame mentale che univa
tutti loro. Sentì l’affettuosa preoccupazione di Liz, l’orgoglioso sostegno del
figlio, e sorrise di rimando alla ragazza. - No, credo proprio di no... -
- Insomma, qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo? - Michael sbuffò
seccato. - E’ chiaro che state comunicando tra di voi, però non dovresti
tenermi fuori, Max! -
Invece di rispondere il giovane si rivolse a Brent. - Spiegaci esattamente la
situazione -
- Rènida è sempre stato un mondo pacifico e la sua notevole distanza dal cuore
del sistema ha permesso che non venisse coinvolto nelle lotte di potere degli
altri pianeti. Ma negli ultimi tempi è stato preso di mira da Volnis di Zoltar.
Sta usando con noi gli stessi metodi che gli hanno permesso di conquistare
Antar. E ci sta riuscendo, a dispetto di tutti i nostri sforzi... Però voi lo
avete fermato, ed è per questo che sono venuto qui: per chiedere l’aiuto di
Rath. -
A Michael occorsero diversi secondi per riprendersi dallo stupore. - Beh, mi
spiace deluderti, ma il merito della sconfitta di Volnis è soltanto di Max. Di
Zan, voglio dire - si corresse subito dopo, notando l’espressione interdetta di
Brent. - Dopo un terribile spargimento di sangue durato più di vent’anni, fra
l’altro... -
L’alieno si oscurò in volto. - Questo significa che non possiamo contare su di
voi? -
- No, non è così - intervenne Max con tono brusco. - Non voglio che la tua
gente patisca gli orrori della guerra, ma fermare Volnis è più difficile di
quanto tu creda. Lui... capisce solo la forza bruta -
- Allora è vero quello che si racconta in giro... Hai usato i tuoi poteri per
costringerlo a ritirarsi. - Brent emise un sospiro desolato. - Quindi, per noi
non c’è speranza... -
Shiri, avvertendo la sua disperazione, si fece avanti e lo toccò gentilmente su
un braccio. - C’è dell’altro, vero? -
Lui serrò le mascelle irrigidendosi. - Devo tornare a casa, adesso. Ho bisogno
della tua nave, Zan -
Max rimase per un istante immobile, lacerato fra il desiderio di aiutarlo e
l’impossibilità di farlo, poi chinò la testa in segno affermativo. - Vai
pure... - mormorò.
- Grazie - Senza aggiungere altro volse le spalle al gruppo e si diresse verso
l’ampia caverna in cui era custodito il velivolo.
Poco dopo si udì un sordo rimbombo di motori seguito da un violento sibilo.
Brent era partito.
Fatto scattare di nuovo il meccanismo che bloccava l’accesso dall’alto, Max si
appoggiò contro la parete scabra e guardò tristemente l’amico.
- Non potevi fare nulla per lui... - cercò di consolarlo questi.
- Avrei dovuto almeno provarci -
- E come? Andando su Rènida? Santo cielo, l’unico modo per fermare Volnis è
minacciarlo di usare contro di lui l’energia dei graniliti: vuoi diventare il
suo giudice e il suo carnefice? - Michael usò un tono esasperato. - Anch’io
avrei voluto aiutarlo, credimi, ma non è possibile! Non senza diventare... il
difensore dell’intero sistema stellare! E non penso che tu lo voglia...
Significherebbe passare il resto della tua vita a lottare contro ogni farabutto
con manie di grandezza! - Davanti alla sua espressione chiusa ebbe uno scatto
di rabbia. - Smettila col tuo senso del dovere, una buona volta! Santo cielo,
non sei onnipotente, Max! Guarda quello che ti hanno fatto, che hanno fatto a
Liz, a Shiri e a Jason! Tu hai il diritto di vivere una vita il più normale
possibile, tutti noi lo abbiamo! -
- Veramente sei stato tu a cominciare... - Sforzandosi di tenere sotto
controllo la voce, il giovane si raddrizzò. - portando qui Brent! -
Michael lo fissò negli occhi, combattivo. - Sì, forse ho sbagliato. Ma non mi è
venuto in mente nessun altro posto dove nascondere un alieno ferito! Sai
benissimo cosa gli avrebbe fatto l’FBI, se lo avesse scoperto!... -
- Insomma, smettetela! - Maria, fino a quel momento tenutasi in disparte, si
avvicinò ai due ragazzi. Max, grazie per aver salvato la vita di Michael -
disse con voce rotta, - Michael, tu hai fatto del tuo meglio per aiutare Brent.
Ma adesso è tutto finito! Vi prego, andiamo via da questo posto... -
Notando la sua tensione Michael la prese per mano. - Sì, hai ragione - mormorò,
poi accennò un sorriso. - Grazie, Max. -
- Figurati... - Max volse la testa di lato nel sentire Shiri passargli un
braccio intorno alla vita. Automaticamente le circondò le spalle stringendola a
sé. - E’ davvero ora di tornare a casa... -
- Buona notte, zio Michael. Buona notte, zia Maria. -
- Buona notte, tesoro - Maria si protese a baciare la ragazzina su una guancia,
poi se ne andò con Michael.
Rimasti soli, i due Evans strinsero fra le dita i graniliti e si
teletrasportarono fino ad Albuquerque, dove Liz e Jason li stavano aspettando
con ansia.
Era tardissimo quando infine, dopo aver messo tutti al corrente di quanto era
accaduto, Max si ritirò con Liz nella loro stanza.
Sdraiato accanto alla ragazza rimase a guardarla a lungo negli occhi mentre con
la punta delle dita le sfiorava i capelli.
- Io... io sentivo, grazie a Jason, che tu e Shiri non eravate in pericolo... -
bisbigliò ad un tratto Liz posandogli una mano sul fianco. - ma avevo
ugualmente tanta paura... -
- Adesso sono qui con te, Liz. -
Lei annuì piano, poi sorrise. - Sì - sussurrò. Con un piccolo gemito cercò le
sue labbra e si perse nel calore di quel corpo saldo e forte.
Michael guidava in silenzio mentre Maria, rannicchiata sul sedile accanto a
lui, lo studiava con attenzione.
- Cosa c’è? - esclamò ad un certo punto il ragazzo, perplesso per quell’esame.
- Niente. E’ solo che mi piace guardarti -
- E’ notte. Non è che si veda molto... -
- Ah, ma a me va bene anche così. - Maria parlò con tono vivace - E’
sufficiente per dimenticare quando eri disteso a terra, laggiù nella caverna -
Gli sfiorò la coscia destra in una carezza gentile. Lo sai che quello che hai
detto a Max vale anche per te, vero? - E poiché lui non rispondeva aggiunse: -
Neanche tu sei onnipotente. Non sentirti in colpa per Brent -
- Piantala di darmi consigli -
- Sei un grande generale, Rath - lo prese allora in giro lei, - ma a volte hai
bisogno del buon senso di una donna. -
- E quella donna saresti tu? -
- Certo! Fra me e Liz non ci abbiamo messo molto a capire che voi alieni, con
tutti i vostri poteri, spesso non sapete cosa fare! -
- Ah, non sappiamo cosa fare? -
- No -
- Bene! - Senza curarsi di mettere la freccia Michael sterzò bruscamente sulla
destra finendo sul terreno pietroso che costeggiava la strada e spense il
motore. Senza dare il tempo a Maria di capire quali fossero le sue intenzioni,
la sospinse verso i sedili posteriori e si sdraiò su di lei. - Io ho sempre
saputo cosa fare con te, Maria, sempre. Solo che qualche volta non l’ho
ritenuto opportuno... -
- Ciao, Max. Ho sentito Morgan, poco fa. Mi ha chiesto di riferirti che ha
parlato con David e che spera di farti sapere qualcosa il più presto possibile.
- Isabel sorrise al fratello, poi salutò anche Liz. Verrà ad Albuquerque il
prossimo fine settimana. -
- Ottimo -
La ragazza fissò Max sconcertata. - Cosa ti prende, adesso? -
Dopo aver controllato che nessuno potesse sentirli, il giovane spiegò
brevemente quello che era successo durante la notte.
- Non posso crederci... - Isabel chiuse gli occhi per l’esasperazione. -
Rènida? -
- Già. Io... credo sia meglio non dire niente a Morgan, per il momento. Lo
abbiamo coinvolto fin troppo nei nostri guai... -
- D’accordo. Accidenti, ci voleva pure questo! - Stringendosi i libri al petto
Isabel scosse il capo. Come facciamo a concentrarci sugli esami quando...
quando succedono... -
- E’ la nostra vita - la interruppe Max con decisione. - Non è facile, certo,
ma l’unico modo per andare avanti è tenere separate le due realtà. Qui, adesso,
quello che conta sono gli esami, il tuo matrimonio, lo stage estivo. -
Lei tornò a guardarlo. - Non credo di riuscirci... - mormorò.
- Devi, Isabel! - Liz le prese affettuosamente una mano. - Puoi farcela. Lo
sai. -
Con un sospiro Isabel fissò le sue dita sottili. - Cercherò, mia signora -
disse in un sussurro, poi si allontanò a passo svelto in direzione
dell’edificio principale del campus.
- E’ sconvolta. - Max la seguì con lo sguardo. - E non posso darle torto... -
Nei giorni che seguirono la ragazza si tenne sempre un po’ in disparte, quasi
avesse bisogno di una lontananza anche fisica dal fratello per poter mantenere
un certo equilibrio.
Quando giunse il venerdì sera, tuttavia, andò a cena a casa sua insieme a
Patricia e Tony. Sapeva che, in quell’occasione, Max e Liz avrebbero avuto
bisogno di tutto l’aiuto possibile, e lei voleva essere al loro fianco.
In effetti fu probabilmente la sua serena presenza ad attenuare la reazione
degli ospiti nei confronti di Jason e Shiri.
In un primo momento, infatti, sia Patricia che Tony si erano sentiti
completamente spiazzati nel trovarsi davanti, anziché una neonata ed un
frugoletto che a malapena si reggeva in piedi, due ragazzini quasi adolescenti,
ma poi la spigliatezza con cui venivano trattati da tutti, compreso Thien
Anders, presentato come un amico della famiglia di Max, aveva finito col farli
sentire a loro agio.
Parlarono a lungo dei progetti per l’estate. Avevano saputo che, alla fine,
anche Liz era stata accettata al Centro di ricerche di El Paso, e si
congratularono con lei. Poi subissarono di domande Isabel sul suo ormai
prossimo matrimonio con l’affascinante Morgan Coltrane, e nell’insieme
trascorsero una piacevolissima serata.
Liz, che all’inizio era stata tesa come una corda di violino, era poi riuscita
a rilassarsi nel vedere come i suoi amici avessero accettato la situazione.
Mentre, con l’aiuto di Max ed Isabel, rimetteva in ordine si scoprì a sperare
che, finalmente, le cose sarebbero andate sempre bene.
Il suo desiderio sembrò avverarsi quando, pochi giorni dopo, un furgone anonimo
parcheggiò davanti casa per consegnare alcune casse, al cui interno erano
riposte le poche cose sopravvissute all’attacco dei federali. Certo non era un
granché, ma le parve un segno del destino.
Di lì a dieci giorni, poi, tornarono a Roswell per le nozze di Isabel.
Era stato organizzato tutto in modo davvero perfetto. Era una splendida mattina
di fine maggio e la casa degli Evans era gremita di ospiti.
Thomas Coltrane aveva portato con sé un discreto numero di guardie del corpo,
che si erano sparpagliate un po’ ovunque con l’incarico di controllare che
niente venisse a turbare quel momento così importante per il suo primogenito.
David, invece, si divertiva a tenere d’occhio il fratello per non perdere la
sua reazione ogni qualvolta si rendeva conto di trovarsi davanti uno degli
agenti della sicurezza del padre.
Isabel, incantevole in un raffinato abito dall’ampia scollatura rotonda,
sembrava non accorgersi di nulla se non del giovane che stava sempre al suo
fianco.
La cerimonia era stata molto semplice e Diane aveva pianto per tutto il tempo,
confortata a turno dal marito e dal neo suocero, poi era cominciata la festa e
David aveva invitato Shiri a ballare. La ragazzina, che sembrava ancora più
adulta con i capelli sollevati in un’artistica acconciatura ed un trucco
leggero a sottolineare i grandi occhi nocciola, si divertì moltissimo finché,
all’improvviso, s’immobilizzò e cercò il fratello con lo sguardo. - Scusami...
- mormorò all’indirizzo del suo cavaliere prima di dileguarsi tra la folla.
Senza esitare si diresse verso il giardino, dove Jason stava chiacchierando con
Jim Valenti, e gli prese una mano per attirare la sua attenzione. - Jason,
Brent è tornato! -
Jason serrò le labbra. - Dov’è? -
- Non lo so con esattezza. Qui vicino, però... -
- Di chi stai parlando? - domandò lo sceriffo.
- Dell’uomo che hai portato dallo zio Michael - Shiri lo fissò implorante. - Ti
prego, puoi accompagnarci con la macchina? Posso... posso indicarti la strada
mentre andiamo! -
- Tesoro, non credo proprio che questa sia una buona idea, sai? Forse dovresti
parlarne con tuo padre... -
La ragazzina scosse la testa. - No, non ora. Jason?... -
- Sì, vengo! A dopo, zio Jim. - Jason si allontanò tirandosi dietro la sorella,
si accertò che né Thien né Lou fossero nei paraggi, poi le mise una mano sulla
tempia e chiuse gli occhi concentrandosi.
Quando li riaprì erano entrambi nel deserto, a poche miglia di distanza dalla
caverna. - Non poteva atterrare all’interno: soltanto noi siamo in grado di
attivare il meccanismo di accesso... Vieni, andiamo a vedere! - Corse verso il
portello dell’astronave, ferma sotto il sole cocente, e lo aprì con un semplice
gesto della mano.
Trovarono Brent in una cabina passeggeri, disteso su una cuccetta e sorvegliato
a vista da una donna, che arretrò di scatto nel vederli.
Senza dire una parola Shiri lasciò andare la mano di Jason per precipitarsi al
fianco del giovane. - E’ svenuto! - esclamò preoccupata, poi fece scorrere lo
sguardo sulle bende macchiate di sangue che gli avvolgevano la fronte e il
braccio destro. - Chi sei? - chiese rivolgendosi bruscamente alla donna.
- Lhara. Sono sua sorella -
- Resta con loro, Shiri. Io mi occupo di portare dentro la nave. - Senza
aggiungere altro il ragazzino andò nella cabina di pilotaggio e, con poche
manovre precise, fece quanto aveva detto.
Nel frattempo Shiri si era presa cura di Brent, che adesso la stava guardando
con una strana espressione negli occhi. - Ti ringrazio... - Il giovane si
scosse e si mise a sedere. - E’ la seconda volta che mi aiuti, e non conosco
neppure il tuo nome... -
- Mi chiamo Shiri. Shiri Evans. -
- Sei parente di Zan, vero? Gli somigli molto... -
A quelle parole lei sorrise. - Certo, è mio padre! - Tornò seria. - Come mai
sei tornato? -
Brent lanciò un’occhiata a Lhara. - Volnis ha cercato di prendere mia sorella.
L’unico modo per proteggerla era portarla qui, dove lui non verrà mai a
cercarla. -
- Capisco... - Si voltò nel sentire i passi leggeri di Jason avvicinarsi. -
Pensi che papà si arrabbierà se portiamo Brent e Lhara con noi? -
- Sì, ma non vedo che altro possiamo fare. - Il ragazzino si strinse nelle
spalle con filosofia. - Credo che neppure la mamma sarà contenta. Pazienza... -
Tese la mano destra verso Shiri e la sinistra verso Lhara. - Brent, unisciti a
noi - disse semplicemente, prima di teletrasportare se stesso e tutti gli altri
nella stanza che usava con la sorella quando stavano dai nonni.
Attirato dal suono di voci, Lou spinse piano la porta della camera e sgranò gli
occhi. - Che diamine sta succedendo, qui dentro? - Notò le vesti imbrattate dei
due sconosciuti e corrugò la fronte. - Siete gli Alehnikar di Rènida, vero? -
Sospirò. - Vado ad avvertire Sua Altezza. Jason, non ti azzardare a mettere il
naso fuori di qui, capito? -
Il ragazzino annuì poi, una volta che l’uomo se ne fu andato, si rivolse a
Brent con un sorrisetto malizioso. - Vado a prendere qualcosa per cambiarvi -
Uscì prima ancora che avesse finito di parlare, e Shiri lo seguì grata con lo
sguardo.
- Jason! - Max sorprese il figlio mentre, con le braccia cariche di pantaloni e
magliette, attraversava il corridoio.
- Ciao, papà. Lou ti ha trovato in fretta, vedo... -
Il giovane lo fissò severamente, poi aprì la porta della sua stanza scostandosi
per farlo passare. Immagino che quelli siano per Brent - disse.
- Infatti. Ma spero ci sia anche qualcosa che vada bene a Lhara. Lei è alta più
o meno come la mamma... -
Vedendo Max Brent fremette. - Ci sono stati... incresciosi sviluppi su Rènida.
Sono dovuto tornare con mia sorella. Vorrei... vorrei che restasse qui, sotto
la tua protezione. -
A quelle parole la ragazza lo afferrò per un braccio. - Non andartene, Bren! Ti
uccideranno! - gli sussurrò concitata.
- Parleremo di questo più tardi. - Il giovane tornò a rivolgersi a Max. - Posso
lasciarla qui con te? -Max annuì. - Certo! Jason, Shiri, li affido a voi. E
ricordate che di sotto c’è un mucchio di gente che non deve sapere nulla di
loro, avete capito? -
I due annuirono solennemente, poi Shiri arrossì. - Zia Isabel... - mormorò
impacciata.
Isabel era apparsa proprio in quel momento sulla soglia, attirata al piano di
sopra dallo strano andirivieni di Krentz. Capì subito di cosa si trattava e
inspirò a fondo. - No, non potete farmi questo! Non il giorno del mio
matrimonio! - Entrò richiudendosi con forza la porta alle spalle.
- Zia, mi dispiace, mi dispiace tanto... - Shiri le andò incontro con
un’espressione desolata negli occhi. Non volevo farti arrabbiare... ma l’ho
sentito, e stava male... Io... non potevo lasciarlo laggiù... -
- Mi sembra di sentire Max, accidenti! Quando vi fissate con qualcuno non c’è
più verso di farvi ragionare! - Puntò un dito accusatore contro il fratello. -
Guai a te se qualcosa va storto! -
Con un sospiro il giovane distolse lo sguardo da lei e lo posò sui due alieni.
- Questa è la principessa Vilandra - disse semplicemente.
- Brentelwoodein Alehnikar -
- Lhara Alehnikar. E’ un onore incontrarti... - Lhara parlò con voce sommessa.
Era molto giovane, aveva soltanto sedici anni, e sembrava a disagio davanti
all’evidente irritazione di Isabel.
Recuperato il suo sangue freddo, quest’ultima accennò un leggero inchino con la
testa prima di tornare a rivolgersi alla nipote. - Con te faremo i conti più
tardi - bisbigliò in inglese.
- Isabel? Sei di sopra? -
- Sì, Morgan, arrivo! - Isabel scosse disgustata il capo e tornò alla festa.
Cercò di sorridere al marito, che tuttavia non si lasciò ingannare ma si limitò
a prenderla per mano e a condurla verso l’enorme torta che faceva bella mostra
di sé su un tavolo coperto da una bellissima tovaglia ricamata. - Avanti,
questo è il tuo giorno!... - le mormorò in un orecchio nel tentativo di
distrarla.
- Non più - fu l’enigmatica risposta, poi Isabel prese in mano il coltello da
dolce e lasciò che lui la guidasse nel taglio rituale della prima fetta mentre
suo padre scattava una foto dietro l’altra.
Michael, intento a portarsi alle labbra il cucchiaino pieno di panna sottratta
dal piatto di Maria, si accorse quasi subito del gruppetto che stava scendendo
le scale in quel momento. - Oh oh... -
- Che c’è? - Maria seguì il suo sguardo e quasi si strozzò. - O mio dio! -
Riconobbe all’istante l’alta figura di Brent, i cui folti capelli castani
striati di ciocche dorate erano accuratamente trattenuti dietro la nuca
lasciando libera la fronte e mostrando così l’avvenenza del suo viso energico,
illuminato dall’azzurro chiarissimo degli occhi. Al suo fianco c’era una
ragazza molto carina, slanciata, che sembrava indossare... sì, quella era
proprio la maglietta che aveva regalato a Liz per il suo compleanno! Rimase
senza fiato quando Brent venne a fermarsi davanti a loro e li salutò con
cortesia.
- Rath, signora... -
- Ehm, Maria, mia moglie - Michael quasi balbettò per la sorpresa, poi si
riprese. - Non pensavo di... di rivederti così presto... -
- Nemmeno io, a dire la verità. Ti presento Lhara, mia sorella. Lhara, lui è
Rath, il braccio destro di Zan di Antar. -
Avevano parlato tutti a voce molto bassa ma Lou, che si teneva discretamente
dietro i nuovi venuti, guardò Michael con intenzione. Il ragazzo, allora,
scrollò le spalle. - Scusate, ma questo non è il posto migliore per le
chiacchiere. Ci sono troppi curiosi... -
- Attenti, sta arrivando Kyle! - Maria si affrettò a posare il piatto che
teneva ancora in mano e prese l’amico sottobraccio trascinandolo via. - Oh,
Kyle, avevo proprio bisogno di te! Senti, pensi di restare qui a Roswell per
molto? Sai, a mia madre piacerebbe... -
- Ehi, chi era quell’essere fantastico? Hai visto che occhi? Erano... erano
d’argento! -
- Sono grigi, Kyle - disse con voce piatta, - ed è un’amica di Shiri. - inventò
lì per lì.
- Dai, torniamo indietro, voglio conoscerla! -
- Kyle? - Maria si fermò di colpo davanti a lui. - Non è di queste parti, se
capisci cosa intendo dire... E se vuoi un consiglio, lasciala perdere! -
Il ragazzo sentì il suo entusiasmo svanire come neve al sole. - Oh... E’ una...
di loro... - Girò un poco la testa per guardarla di nuovo. - Peccato... - Poi
si fece pensieroso. - Ciò non toglie che sia una creatura stupenda... Pensi
che...? -
- Un poliziotto e una principessa? - lo prese benevolmente in giro lei.
- Una principessa e un federale? - fu la pronta risposta di Kyle.
- Non è la stessa cosa - Maria si strinse nelle spalle. - Ma tu fa’ come vuoi.
Volevo solo aiutarti... -
- Grazie. Allora fai questo per me: presentamela! -
Sbuffando, la giovane tornò indietro. - Kyle, Lhara. Lhara, Kyle. Ah, lei parla
solo la sua lingua - e con questo prese Michael per mano e se ne andò piantando
tutti in asso.
- Non preoccuparti, Kyle - Shiri gli sorrise. - Potete sempre ballare... -
- Grazie del suggerimento, piccola! - Porse il braccio a Lhara, che lo fissò
esitante.
- Tranquilla, nemmeno io sono un grande ballerino! - Così dicendo Kyle la
trascinò via.
Shiri guardò allora Brent, che le prese la mano destra sfiorandola con un bacio
gentile. - Vuole danzare con me, Altezza? - la invitò cerimoniosamente.
- Con vero piacere. Però chiamami Shiri -
- E tu Bren. - Senza dire altro lui la condusse tra le coppie che ballavano e,
dopo aver dato una rapida occhiata intorno a sé, la cinse come facevano gli
altri conducendola al lento ritmo della musica.
Liz non si accorse subito di loro, presa com’era dalla conversazione con Amy e
Diane, poi si ammutolì e sentì il calore inondarle il volto.
- Cara, c’è qualcosa che non va? - le chiese Diane.
- No... -
- Sicura? - insisté Amy.
La ragazza annuì in silenzio. Oddio, Shiri stava guardando Brent con una tale
intensità... come se condividessero qualcosa di molto profondo... Ma Shiri era
soltanto una bambina!... Però... però aveva aiutato Max a guarirlo, aveva
stabilito una connessione con lui... Si rese conto dell’espressione sul volto
dell’uomo e sospirò. Non era possibile combattere il destino. E quello di Shiri
sembrava essere appena stato scritto. Sperò che Brent fosse meno complicato di
Max, che non facesse soffrire sua figlia come era successo a lei. -
Scusatemi... - mormorò allontanandosi per andare in cerca del marito.
Pochi minuti dopo erano tutti riuniti in un angolo del giardino, con Thien e
Lou attenti a che nessuno si avvicinasse a disturbarli.
Max osservò con attenzione Brent prima di invitarlo a spiegare cosa lo avesse
condotto di nuovo sulla Terra.
- Volnis è riuscito ad isolare la mia famiglia. Ha cercato di impossessarsi di
Lhara. Se ci riuscisse, niente gli impedirebbe di regnare su Rènida. Mio padre
è anziano, non ha la forza di continuare a combattere. Sono dovuto fuggire per
portare Lhara in salvo, ma ora devo andarmene. Lui ha bisogno di me -
- Non riuscirai a fermare Volnis da solo, Brent -
- Lo so. Per questo ti chiedo di prenderti cura di mia sorella. -
Shiri, che aveva ascoltato senza fiatare, strinse le mani a pugno. “Fai molta
attenzione, Bren...”
Lui la fissò come se avesse avvertito i suoi pensieri, poi sorrise. - Se
qualcuno apre il passaggio della caverna per me potrò ripartire subito -
- Aspetta domani. Un po’ di riposo non può che farti del bene... - lo pregò
Lhara.
Brent accettò con un semplice cenno del capo, e si strinse la sorella al
fianco.
A Max non sfuggì l’occhiata che l’uomo lanciò a Shiri. Aveva sentito le
emozioni della figlia, il suo trasporto verso Brent quando lo aveva aiutato a
guarirlo, ma non aveva capito subito che la cosa era stata reciproca.
Istintivamente prese la mano di Liz nella sua. Loro due avevano già
sperimentato l’ineluttabile forza di quel legame, e sapeva quanto dolore poteva
causare.
Michael scosse impercettibilmente la testa. Non avrebbe mai dovuto coinvolgere
Max in quella storia. Se solo avesse immaginato... Si augurò che nessuno di
loro avesse a soffrirne, ma il volto serio di Shiri gli fece temere che ormai
fosse troppo tardi, almeno per lei. Guardò poi Isabel, le cui labbra tirate
esprimevano tutto il disappunto che provava in quel momento, e sentì che Maria
gli stringeva con forza la mano.
Fu Jason a spezzare la tensione. Diede una leggera pacca sulla spalla della
sorella. - Vieni, Shiri, torniamo dentro! -
La ragazzina lo seguì in silenzio, senza rendersi subito conto che Lhara era
dietro di lei.
- Jason! Ma dove siete finiti tutti quanti? - Diane Evans andò incontro ai
nipoti con un gran sorriso sulle labbra.
- Nonna, questa è Lhara, una nostra amica. E’ rimasta un po’ di torta? Zia
Isabel ha detto che è molto buona... -
- Ah, birbante! - La donna gli accarezzò affettuosamente la testa poi sorrise a
Lhara. - E’ un piacere conoscerti, cara... E adesso andiamo a vedere se c’è
ancora del dolce! -
Max chiuse lo sportello del fuoristrada e s’infilò le chiavi in tasca. Erano
quasi le nove. Il decollo era avvenuto senza problemi e ormai Brent doveva aver
raggiunto lo spazio profondo. S’incamminò lungo il vialetto di accesso quando
due uomini vestiti di scuro lo affiancarono.
Liz, che nel sentire il motore della vettura si era precipitata ad aprire la
porta di casa, rimase a guardare sbigottita Max che veniva condotto via. - Dove
lo state portando? - gridò avanzando verso di loro.
Il ragazzo volse la testa nella sua direzione, fissandola angosciato.
- Max... - Si fermò per un attimo, incerta sul da farsi, poi, quando vide che
lo spingevano all’interno di una macchina blu arrivata in quel momento, si mise
a correre e batté disperata le mani contro lo sportello mentre l’auto prendeva
velocità. - Fermi! Fermatevi! -
Quasi cadde per terra quando non riuscì più a stare dietro alla vettura e
lanciò un grido di rabbia nel sentirsi afferrare per la vita. - Lasciami! -
Ma Thien Anders, che aveva assistito per caso alla scena da una delle finestre
del piano superiore e si era precipitato a dare manforte alla ragazza, la
sospinse con decisione verso l’ingresso. - Mi dispiace, signora, ormai è troppo
tardi... -
- Lo hanno portato via! Lo hanno portato via! - Liz era fuori di sé e cercò di
opporre resistenza ma il colonnello era più forte di lei e alla fine si ritrovò
al sicuro dentro casa.
- Sa chi fossero? - le chiese l’uomo con voce pressante, ansioso di avere la
maggior quantità di informazioni possibile per poter andare in soccorso del suo
sovrano.
- Erano dell’FBI, ne sono sicura... - Non più sostenuta dalle robuste braccia
dell’alieno, Liz fece qualche passo barcollando prima di appoggiarsi
pesantemente contro il bordo del tavolo. Cercò di riprendere il controllo per
poter pensare con chiarezza, poi si raddrizzò e sollevò lo sguardo in direzione
della sommità delle scale. - Jason! Per favore, vieni subito qui! - chiamò ad
alta voce il figlio.
Il ragazzino corse subito giù da lei, seguito a ruota dalla sorella e da Lhara.
- Jason, ho bisogno di te. Due uomini hanno prelevato Max mentre stava tornando
a casa, e tu devi entrare in contatto con lui per sapere dove stanno andando.
E’ importante, tesoro, è l’unico modo che abbiamo per aiutarlo... -
La notizia paralizzò Jason per un attimo. “Papà...” Si girò verso la sorella
quasi a cercarne il sostegno, dopodiché l’espressione del suo viso divenne
intensa e remota.
Bloccato tra i due agenti seduti accanto a lui, Max avvertì subito la presenza
mentale del ragazzo ed il cuore gli batté più forte.
“- Papà, dove sei? -”
“- Stiamo andando verso il centro. Ti prego, non fate niente di avventato, tu e
la mamma, hai capito? Io... io posso cavarmela da solo... -”
“- Con l’aiuto di Thien sarà più facile, no? -”
L’ineccepibile logica del figlio strappò un sorriso involontario al giovane,
che chinò il capo per sottrarsi agli sguardi attenti dei suoi catturatori. “-
Certo, però preferisco che resti lì a proteggere voi. ”
Jason riferì perplesso il messaggio a Liz, che scosse decisa la testa. - Non se
ne parla nemmeno! Non lo lascerò nelle loro mani!... - Serrò pensierosa le
labbra. - Perché vanno verso il centro? Pensavo che lo avrebbero portato in
un’altra città, ma... in centro? - Tentò di visualizzare la zona per cercare di
capire quale potesse essere la loro meta, tuttavia le venne in mente solo una
serie infinita di negozi ed uffici vari. - Continua ad insistere, per favore. -
- Ok - Jason tornò a proiettarsi nei pensieri del padre tuttavia, nel
percepirne la profonda preoccupazione, preferì restare in silenzio mentre,
accovacciato accanto a lui, teneva le mani sulle sue.
Max sedeva impassibile mentre la vettura correva per le strade semideserte di
Roswell, ma nella sua mente la vicinanza del figlio gli dava un tale calore che
non ebbe la forza di mandarlo via.
Quando infine l’auto si fermò il giovane faticò a non manifestare la sorpresa.
“L’ufficio dello sceriffo?!?”
“- Papà? -”
“- Perdonami, tesoro, adesso devi andare! Siamo arrivati a destinazione,
credo... -”
Sentendosi fisicamente escluso dal rapporto mentale, Jason gemette dentro di sé
e guardò sconcertato la madre. - Sono davanti all’ufficio dello sceriffo -
- Come?!? - Liz spalancò gli occhi sbalordita. Stava ancora cercando di
digerire la notizia quando squillò il telefono. Era Jim Valenti.
- Abbiamo bisogno del suo ufficio, sceriffo. La prego di lasciarci soli... -
Valenti fissò perplesso il distintivo che l’uomo gli aveva messo sotto il naso.
Un distintivo federale. - E potrei sapere a cosa vi serve? O almeno per quanto
tempo? Voglio dire... va bene che questa è una contea piuttosto tranquilla, ma
c’è sempre qualcosa da fare! -
- Me ne rendo conto, però devo chiederle lo stesso di andarsene. Adesso -
Jim si alzò lentamente, urtato dal suo tono di comando. - Senta, il fatto che
sia dell’FBI non le dà alcun diritto di requisire questo ufficio. Perché non se
ne va da qualche altra parte? -
- Per favore, non me lo faccia ripetere... -
Lo sceriffo prese con un gesto rabbioso il cappello dall’attaccapanni ed uscì
senza voltarsi indietro.
- L’avvertirò quando potrà tornare - lo avvertì il federale mentre la porta
sbatteva alle sue spalle.
Indispettito per il sopruso Jim attraversò la strada e prese la direzione del
Crashdown pensando che forse una fetta di torta al cocco avrebbe placato la sua
rabbia. Aveva fatto solo pochi passi, però, quando una specie di sesto senso lo
costrinse a rallentare gettando un’occhiata dietro di sé. - Ma quello è... Max?
- Osservò attento il familiare profilo del ragazzo e non ebbe dubbi. Era
proprio Max, e due uomini lo tenevano stretto per le braccia mentre entravano
nell’edificio. Riprese allora il proprio cammino e, una volta all’interno del
locale, andò a sedersi ad un tavolo un po’ appartato. Una cameriera andò subito
da lui per l’ordinazione poi, quando fu di nuovo solo, prese il cellulare dalla
tasca del giubbetto e compose il numero di casa Evans.
- Oh, Michael, finalmente sei arrivato! Liz è di sopra, nella stanza dei
ragazzi. - Diane Evans fece cenno al giovane di entrare e sorrise alla ragazza
che era con lui. - Ciao, Maria. -
- Buongiorno, signora. Come va? -
La donna si strinse nelle spalle, gli occhi velati di tristezza. - Perché
continuano a prendersela con mio figlio? -
- Perché hanno paura di noi - Michael strinse i pugni mentre avanzava nel
soggiorno. - Suo marito non c’è? -
- No. E’ uscito prima che... prima che succedesse... questo. -
- Beh, meglio così. Forse dovrebbe andare da lui: non mi sembra il caso di
rischiare di farci sorprendere un’altra volta tutti nella stessa casa -
Diane impallidì di colpo, poi sospirò. - Hai ragione. Vado a prepararmi... -
La camera di Jason e Shiri era decisamente affollata e Maria si affrettò ad
andare accanto all’amica per stringerla forte tra le braccia. - Riusciremo a
liberarlo, vedrai! - disse a fior di labbra.
Liz ricambiò l’abbraccio accennando l’ombra di un sorriso. - Sì, certo... -
- Ho detto alla madre di Max di andare dal marito, così sono due persone in
meno di cui preoccuparsi. - Michael si rivolse a Thien. - Krentz? -
- Sta verificando il perimetro esterno. Dovrebbe essere di ritorno a minuti -
- Bene. Liz, hai avuto altre notizie da Max? -
- No. Jason ha provato a contattarlo di nuovo ma è stato respinto.
Evidentemente ha bisogno di tutta la sua concentrazione per... per
difendersi... - Pronunciò le ultime parole in un soffio, tremando al solo
pensiero di quello che potevano significare.
- Hai avvertito Isabel? -
Liz scosse lentamente la testa. - Non ancora. Io... non vorrei rovinare il suo
viaggio di nozze... -
Michael fece una smorfia. - Se fossi in te la chiamerei subito. Sarà poi lei a
decidere cosa fare. -
La ragazza esitò, incerta, poi annuì. - Sì, hai ragione... - Prese il
ricevitore del telefono che stava sul comodino accanto al letto di Jason e
digitò svelta la sequenza di cifre prima di avere dei ripensamenti.
Isabel, che stava aspettando insieme al marito l’apertura del cancello
d’imbarco del suo aereo, rispose al primo squillo. Morgan la fissò incuriosito
per l’espressione corrucciata che le si dipinse sul volto, e s’irrigidì nel
sentirla affermare che sarebbero subito tornati a casa. - Isabel... -
Mentre riponeva il cellulare nella borsetta la ragazza si alzò costringendolo a
fare altrettanto. - E’ per via di Max. Mi spiace ma non posso partire finché
non avremo sistemato la faccenda. Si tratta solo di rinviare di qualche giorno,
almeno spero... -
- Senti, tesoro, lo sai che nutro molta stima per tuo fratello, però mi sembra
che tu te la prenda un po’ troppo per lui! -
- E’ nei guai, e io devo aiutarlo -
- D’accordo, va bene. Ma proprio ora? Mentre stiamo per partire? Insomma, ci
siamo appena sposati e già ci sono problemi!... -
Isabel continuò a camminare a passo veloce verso l’uscita. - Non posso farci
niente. Non ho scelto io il momento, ok? Se vuoi puoi andare avanti tu: io ti
raggiungerò appena mi sarà possibile -
L’uomo serrò le labbra frustrato. - Non ci penso nemmeno! Si può sapere cosa
gli è successo? -
Lei gli lanciò uno sguardo torvo. - L’FBI lo ha prelevato davanti casa dei miei
genitori. -
- Perché? -
- Non lo so, Liz non me lo ha detto. Probabilmente non lo sa neppure lei... -
- Vuoi che provi a sentire David? -
- Sì, è un’ottima idea -
Morgan stava ancora parlando col fratellastro quando si ritrovarono davanti
alla loro vettura, nel parcheggio custodito.
Senza dire nulla Isabel si mise alla guida, dividendo la propria attenzione fra
la strada e le parole del marito. - Allora? - chiese poi, quando l’uomo chiuse
l’apparecchio.
- Sa soltanto che, da quando il presidente vi ha lasciato liberi di andare, un
satellite è puntato stabilmente sul New Mexico, tutto qui -
- Tutto qui?!? - La ragazza scosse la testa irritata. - In questo modo tengono
d’occhio ogni mossa che facciamo! -
- E... avete fatto qualche mossa... azzardata, di recente? Qualcosa che possa
aver insospettito i federali? - Si girò a guardarla. - O forse hanno registrato
dei segnali insoliti e vogliono semplicemente verificare. Con questo non voglio
dire che sia un comportamento corretto, ma neppure mio padre può farci nulla -
Studiò con attenzione il suo volto. - In questo caso lo rilasceranno subito,
vedrai... -
Dopo un prolungato silenzio Isabel corrugò la fronte. - Max e Michael hanno
aiutato un amico in difficoltà -
- Un amico? - Morgan la fissò indagatore. - Un amico... alieno? -
- Mettiamola così: la Terra non è l’unico pianeta abitato! -
- Già... - Con un sospiro si accomodò meglio sul sedile. - Allora Max è in guai
seri. -
- Che vuoi dire? -
- Non gli faranno del male, non ti preoccupare! Sono stati dati ordini precisi,
in merito... Però non lo lasceranno andare finché non avrà risposto alle loro
domande. Spero che decida di collaborare: sarebbe la soluzione più semplice -
- Non per lui. Max non tradirebbe mai un amico, a costo di rimetterci la
vita... -
L’uomo non rispose. Cos’avrebbe potuto dire? Che il loro futuro dipendeva
dall’atteggiamento che il cognato avrebbe tenuto nei confronti degli agenti
dell’FBI? Oppure che Max rischiava di essere trattenuto per il resto della vita
come garanzia contro una ipotetica reazione da parte dei suoi amici? Queste
erano cose che Isabel sapeva benissimo, come lui sapeva che la sua lealtà nei
confronti del fratello l’avrebbe portata a correre qualsiasi rischio. Da
qualunque lato esaminasse la faccenda sentiva che c’era ben poco che potesse
fare per aiutarla se non restarle accanto.
Quando Isabel frenò bruscamente davanti alla casa dei genitori Morgan fece un
respiro profondo e si preparò ad affrontare l’ignoto.
Nel momento stesso in cui la coppia varcò la soglia tutti si alzarono per
andare a salutare, tranne Lhara. La giovane aveva fatto facilmente amicizia con
Jason e Shiri, e si stava abituando alla presenza di Liz. Ma la principessa
Vilandra era tutta un’altra cosa. Altera e distante, regale come lei non
sarebbe mai stata capace di essere. Abbassò la testa impacciata mentre Isabel
avanzava con espressione dura.
- Isabel, ti prego, cerca di calmarti, ok? Lhara non ha alcuna colpa di quello
che è successo... - tentò di placarla Michael.
- Calmarmi?!? - La ragazza s’immobilizzò e si volse a guardarlo negli occhi. -
Max è nelle mani dell’FBI, e tu mi dici di calmarmi? - Fissò poi Liz. - Come
fai ad essere così tranquilla quando lui potrebbe anche... non tornare più! -
A quelle parole Liz sbiancò. - Non devi neppure pensarlo... - Si passò la punta
della lingua sulle labbra, nervosamente.
- Beh, visti i precedenti mi riesce un po’ difficile - Isabel tornò a fissare
Lhara. - Perché tuo fratello ti ha portata sulla Terra? Voglio la verità,
stavolta... -
Il suo tono perentorio contrariò Michael, che fece per intervenire in difesa
della giovanetta ma venne preceduto da Liz. - Non essere così dura con lei,
Isabel! Brent ha già spiegato il motivo per cui l’ha affidata alla protezione
di Max... -
- Io credo che non ci abbia detto tutto. E dato che è stato il suo continuo via
vai ad attirare l’indesiderato interesse dell’FBI su Max, pretendo di sapere
cosa c’è davvero dietro questa faccenda!
Quando erano ancora nella stanza di Jason il ragazzino aveva usato i suoi
poteri su Lhara per metterla in grado di comprendere l’inglese, e ora lei aveva
potuto seguire l’acceso scambio di battute con crescente apprensione.
- Sto aspettando - sbottò Isabel spazientita.
Lhara la guardò con una profonda tristezza nei begli occhi di un grigio
chiarissimo da sembrare, come aveva detto Kyle, d’argento. - Io avevo una
sorella, Wirnit. Era più grande di me, aveva diciannove anni. E’ morta in
seguito alle ferite riportate durante l’attacco che gli uomini di Volnis hanno
sferrato alla capitale mentre Bren era in viaggio per venire qui. Mio padre
sperava che Rath potesse venire su Rènida, e magari sposare Wirnit. In questo
modo Volnis sarebbe stato costretto a rinunciare alle sue pretese. - Sentendo
lo sbuffo di Maria l’ombra di un sorriso le stirò le labbra ben disegnate, poi
scosse leggermente la testa. - In ogni caso era ormai troppo tardi per
salvarla... E per quanti sforzi mio fratello faccia, ormai Volnis si è talmente
insinuato nel tessuto economico dell’intero pianeta che buona parte della
popolazione preferisce sottomettersi al suo dominio piuttosto che rischiare di
perdere tutto quanto. Per questo mio padre ha insistito perché io venissi
condotta qui da voi: se quell’uomo orribile riuscisse a prendermi diventerebbe
automaticamente il signore incontrastato di Rènida. Gli Alehnikar non sono una
famiglia antica come i sovrani di Antar, ma hanno il loro orgoglio e non sono
disposti a cedere il loro sangue a gente di quel genere... -
- Cedere... il loro sangue? Che cosa... che cosa vuol dire? - domandò Liz
perplessa.
Di colpo Isabel s’irrigidì. - Ora ricordo! La vostra è una monarchia ereditaria
femminile! -
Michael corrugò la fronte. - Il loro sangue... le loro regine, giusto? -
La giovane aliena annuì. - Mia madre è morta quando io ero molto piccola, e da
allora mio padre ha regnato in qualità di reggente, in attesa che Wirnit
compisse vent’anni e potesse salire al trono. -
- Ma adesso sei rimasta solo tu, quindi tu sei... la futura regina di
Rènida!... - Il ragazzo si passò le mani tra i capelli con aria sconfortata. -
Questo vuol dire che, con te al sicuro qui sulla Terra, Brent e tuo padre
possono combattere più liberamente contro Volnis. Quindi Max si ritrova sulle
spalle non solo la responsabilità di Antar, ma anche quella di Rènida, per non
parlare poi dei guai che abbiamo da queste parti... Se solo lo avessi
immaginato, avrei detto a Jim di riportare tuo fratello nel deserto e lasciarlo
là dove lo aveva trovato! Isabel, mi uccidi tu o faccio da me? -
- Non dirlo due volte, o potrei davvero farci un pensierino - Isabel si voltò
di scatto, quasi non sopportasse più la vista della ragazza, e rivolse un
sorriso amaro a Morgan. - Temo che dovremo rinviare il nostro viaggio più a
lungo di quanto pensassi... -
Il giovane serrò per un attimo le mascelle poi andò a sedersi. “Sapevo che non
sarebbe stato semplice vivere accanto a te, ma non avrei mai immaginato che le
difficoltà sarebbero iniziate così presto...” Studiò attentamente l’espressione
stravolta di Liz, l’angoscia di Michael e Maria, la desolazione di Jason e
Shiri, la furia di Isabel, l’impenetrabilità degli sguardi dei due uomini
venuti da lontano per proteggere la famiglia del loro signore, e sospirò.
Sapeva che quello che più lo aveva attratto di Isabel, a parte l’incredibile
bellezza, era il senso di mistero che emanava da lei, e adesso doveva imparare
a convivere con le incertezze ed i pericoli legati all’inimmaginabile verità
celata dietro il fascino del suo sguardo di velluto. Incertezze e pericoli che
l’avrebbero sempre fatta accorrere al fianco del fratello e dei suoi amici
mettendo ogni altra cosa al secondo posto, perfino lui stesso.
- Isabel, Jim ci ha fatto sapere che Max è stato portato nel suo ufficio dai
federali - Liz si strofinò nervosamente le mani sui jeans. - Lui... lui non
permette a Jason di mantenere un contatto mentale. Non c’è modo di sapere cosa
gli stiano facendo... -
- Secondo Morgan, niente di male. Pare che ci siano degli ordini, in merito,
anche se io non mi fido assolutamente dell’FBI. Però... - La ragazza si voltò
verso il nipote. - Non riesci proprio a sentirlo? -
- No, mi tiene fuori. Ma forse provando insieme potremmo riuscirci! - Con un
sorriso speranzoso Jason le si avvicinò, la prese per mano e corse con lei su
per le scale, seguito da Liz e Shiri.
I due si sdraiarono sul letto del ragazzino e chiusero gli occhi scivolando
subito in un leggero stato di trance.
Trascorsero pochi minuti, poi Isabel scattò a sedere tremando. - C’eravamo, lo
abbiamo sentito! Poi è... scomparso. Così, all’improvviso... come... - Guardò
smarrita Liz, - ...come è successo nell’area 51... -
Shiri si raggomitolò accanto al fratello, rimasto sdraiato con lo sguardo fisso
davanti a sé. - Non puoi andare a prenderlo e riportarlo a casa? - gli chiese
sottovoce.
Lui scosse lentamente la testa mentre una lacrima gli scendeva lungo il viso. -
Ho bisogno di sentirlo... per poter stabilire una connessione che mi conduca
fino a lui... ma la sua mente adesso... è vuota -
- Cosa?!? - Liz balzò in avanti guardando dal figlio a Isabel.
- Devono avergli iniettato i neuroinibitori, è l’unica spiegazione
plausibile... Però è vivo, Liz, questo lo so... - rispose quest’ultima.
Shiri si girò a guardarla. - Mamma, perché non andiamo da lui? -
- Perché non si farebbero alcuno scrupolo a prendere anche te e Jason, e questo
io non lo permetterò mai - La voce della ragazza suonò ferma e decisa.
- E non è il caso di fornirgli un’arma con cui ricattarlo, quindi nessuno si
muoverà da questa casa, siamo intesi? - intervenne Michael, fermo sulla soglia
della stanza.
- Cosa facciamo, allora? - borbottò Isabel.
- Io avrei un’idea... - Shiri scese lentamente dal letto e fronteggiò il
giovane. - Potremmo andare dallo zio Jim e tenere d’occhio insieme a lui i
federali. Forse potrebbe presentarsi l’occasione per liberare papà... -
- Sì, si può fare! - Isabel si voltò verso il marito. - Tu che ne pensi? -
- Non mi sembra opportuno intervenire con la forza. L’FBI ha l’ordine di non
fare del male a nessuno di voi, ma soltanto di controllarvi. Controllare tutti
noi, in realtà... Non rendiamo le cose ancora più difficili di quanto già non
siano... -
- Chi ci garantisce che non stiano torturando mio fratello? - La ragazza
incrociò le braccia sul petto con aria bellicosa.
- Nessuno. Però potrei andare io, insieme al colonnello Anders. Liz? -
- D’accordo. -
- Mamma, posso andare con loro? - la pregò Jason.
- No - rispose Michael per Liz. - Io sono sicuro che Max tornerà presto a casa,
comunque non intendo assolutamente mettere in pericolo la vita del suo primo
erede. Non dopo tutto quello che ha dovuto patire per riportare la pace su
Antar... Tu non ti muovi di qui, e Lou sarà la tua ombra! -
- Non ti fidi? - lo sfidò il ragazzino.
- Appunto. Somigli davvero troppo a tuo padre, per i miei gusti, quindi l’unica
maniera per essere certi che non farai pazzie è affidarti a un baby sitter.
Lou! -
L’uomo arrivò subito, evidentemente era rimasto di guardia al piano superiore
della casa, e ascoltò con attenzione gli ordini di Michael.
Jason si strinse le ginocchia al petto. - Non hai paura che mi teletrasporti? -
- Vado io con loro, Jason. In questo modo potrò collegarmi con te nel caso ci
sia bisogno di aiuto - intervenne Shiri.
- Ci sono i cellulari, per questo. - borbottò Maria.
La ragazzina la fissò angosciata, il labbro inferiore percorso da un leggero
tremito, poi guardò la madre. - Ti prego... -
Liz chiuse per un attimo gli occhi. Aveva bisogno di riflettere, e di farlo in
fretta. Max era nei guai e lei doveva aiutarlo a venirne fuori il più presto
possibile! Se poi avesse avuto bisogno di cure immediate... Si portò le mani
alle tempie sospirando. - Ok. Ascoltatemi... Thien e Morgan... e Shiri... voi
andate da Jim. E’ ancora al Crashdown... Michael, Isabel, che cosa suggerite di
fare? -
- Vado anch’io - Un muscolo nella mascella di Michael vibrò visibilmente. - Non
permetterò che gli facciano del male. Qualsiasi ordine abbiano ricevuto,
Morgan, io non lo lascerò con loro un solo minuto di più. Sono stufo di tutta
questa storia! -
- Michael... -
- No, Morgan, adesso basta! Stavolta se la sono presa con la persona sbagliata:
Max non può essere considerato responsabile per ogni atomo che si muove nello
spazio! Se proprio vogliono sapere cos’è successo, che lo chiedano a Brent!
Sempre che siano in grado di raggiungerlo... - Detto questo, il giovane se ne
andò seguito a ruota da Shiri e Thien Anders.
Morgan sentì su di sé lo sguardo freddo di Isabel, serrò le labbra ed uscì
senza dire nulla.
Kyle fece un piccolo cenno col mento e suo padre si volse a guardare l’ingresso
del locale. - Hanno fatto presto... -
L’uomo socchiuse gli occhi. - Non si fidano dell’FBI, e neanch’io - Attese che
li raggiungessero al tavolo e ordinò alla cameriera di portare altro caffè.
- Salve, Jim. Novità? -
- Nessuna. Michael, non possiamo attaccare agenti federali, te ne rendi conto,
vero? -
Michael poggiò i gomiti sul tavolo e si sporse verso di lui. - Tu non vieni con
noi, o finirai nei guai. Devi solo aiutarci... Hai visto quanti sono? -
- Quattro. E sono tutti all’interno. -
Shiri sollevò il volto per osservare Thien. - Portalo fuori da lì, te ne
prego... -
- Sì, signora - L’alieno, seduto accanto a Valenti, cercò lo sguardo di
Michael. - Sono pronto, generale Rath -
- Bene - Il giovane si alzò e depose un bacio sulla fronte di Shiri. - Resta q
ui con Kyle. Passeremo a riprenderti il prima possibile. -
Lei annuì sorridendo fiduciosa, poi prese la bottiglia della salsa Tabasco e ne
versò una discreta dose nella tazza di caffè, cui aggiunse dello zucchero. Non
si voltò quando udì il tintinnìo che accompagnava sempre l’apertura della
porta.
- E’ tutto ok? - le chiese gentilmente Kyle.
La ragazzina continuò a mescolare con cura il contenuto della sua tazza senza
rispondere, poi sospirò.
- Io vado con loro. Kyle, se le cose dovessero mettersi male portala a casa...
-
- D’accordo -
L’uomo mise alcune banconote sul tavolo, infilò il cappello e se ne andò.
Kyle emise un profondo sospiro e si appoggiò allo schienale del divanetto. - Ti
va una fetta di torta? -
- No, grazie. Kyle, io... - Shiri si strofinò la guancia con la punta delle
dita. - ...io vorrei che mi raccontassi qualcosa... quello che vuoi... -
- Hai bisogno di distrarti, eh? - Il ragazzo si versò dell’altro caffè. -
Dunque... Sai che questo è il locale dei genitori di Liz, vero? - Davanti al
suo cenno d’assenso proseguì ridacchiando. - Tua madre e Maria hanno lavorato
qui per anni servendo ai tavoli, e Michael stava in cucina. E’ stato il periodo
più incredibile della mia vita... - Continuò a parlare per un bel pezzo finché
vide arrivare la signora Parker. - Oh oh... Vieni, andiamocene, o Liz mi farà a
fettine... - Senza lasciarle il tempo di fiatare la prese per un polso e si
avviò verso l’uscita ma venne fermato dal richiamo della donna. - Kyle! Kyle,
quando sei tornato in città?! -
Sbuffando impercettibilmente si fermò e fece un lento giro su se stesso. -
Salve, signora. Le chiedo scusa ma devo proprio andare: mio padre mi sta
aspettando... -
- Capisco. Ehm... senti... - Nancy si arrestò ad un passo da lui. - Hai... hai
visto per caso Liz? - Lo sguardo le andò sulla ragazza al suo fianco. Trattenne
per un attimo il fiato poi sorrise impacciata. E’ una tua amica? - chiese
incerta.
- Sì. Senta, si è fatto davvero tardi. Se vedo Liz le dico di chiamarla,
d’accordo? -
- Grazie, Kyle. Grazie di cuore... -
Mentre uscivano dal locale Shiri girò appena il capo e vide la donna continuare
a fissarla con espressione perplessa.
- Perché mi guarda così? -
Kyle si strinse nelle spalle. - Forse perché somigli moltissimo a tua madre -
Una volta in strada il giovane si diresse verso una moto parcheggiata poco
distante.
- Mi porti...? -
- No - Kyle sollevò il cavalletto e le fece segno di montare. - Si va a casa
mia. Coraggio, salta su! - Attese che si fosse ben sistemata dietro di lui poi
girò la chiavetta dell’accensione e s’immise nel traffico.
L’uomo s’irrigidì e fece per estrarre la pistola dalla fondina nascosta sotto
la giacca ma Morgan scosse leggermente il capo. - Non è necessario, amico, non
abbiamo alcuna intenzione di combinare guai... - Il suo sguardo andò alla porta
alle sue spalle. - Siamo qui per Max Evans. -
- Il capitano Ross lo sta ancora interrogando. Quando avrà finito lo
riporteremo a casa sua -
Michael contrasse i pugni fino a far sbiancare le nocche. - Questo è un
rapimento. Ve ne rendete conto, vero? -
L’agente gli gettò un’occhiata indifferente, e Morgan si affrettò ad
intervenire per calmare l’amico. - E’ possibile parlare con Ross? -
- Non ora -
- Beh, invece noi vogliamo parlarci in questo preciso momento, ok? - Michael
andò a fermarsi a pochi centimetri dall’uomo. - Chiamalo! -
In quell’istante la porta si aprì ed apparve il capitano. - Ehi, ragazzo, non
ti scaldare... -
Due paia di occhi corsero al nuovo arrivato, che fece un sorrisetto
indisponente. - Mi stavate cercando? -
- Certo, figlio di... -
- Michael! - Morgan lo zittì con tono brusco, poi si rivolse a Ross. - I patti
sono chiari: Guerin e i fratelli Evans non devono agire in alcun modo contro
gli Stati Uniti, pena le loro stesse vite. Non mi risulta che abbiano fatto
qualcosa del genere, quindi lei non ha alcun diritto di trattenere contro la
sua volontà quel ragazzo. Lo rilasci immediatamente, o sarò costretto a
chiedere l’intervento del generale Francis Howard -
- E’ stato proprio il Norad a segnalare l’arrivo dallo spazio di un oggetto non
identificato che si sarebbe abbattuto nei dintorni di Roswell, quindi non credo
che troverà molti appoggi da quella parte, Coltrane... -
- La verità è che vuoi vendicarti per quello che Max ti ha fatto l’ultima volta
che ci siamo incontrati, e se anche fosse il presidente in persona a
ordinartelo tu non lo lasceresti andare! Hai paura di noi, e per questo ci
tratti come mostri, ma il vero mostro sei tu! Tu, Pierce, e tutti quelli come
voi! - Michael distese le dita e fletté i polsi verso l’alto. - Liberalo, Ross.
Lui è innocente. Le tue indagini fattele da solo! -
Stavolta Morgan non lo interruppe. Sentiva anche lui che Gabriel Ross era un
uomo estremamente pericoloso, da cui dovevano guardarsi, e di sicuro non
potevano lasciare Max nelle sue mani.
- Non sei in grado di darmi ordini, ragazzo. E nemmeno lei, ex agente Coltrane
-
- Hai ragione, amico - La voce sprezzante di Michael risuonò forte e decisa. -
Ma dato che sei comunque intenzionato a violare gli accordi, tanto vale che te
ne dia un buon motivo, no? - Corrugò appena la fronte concentrandosi per
focalizzare l’energia necessaria a disintegrare l’uomo.
Per la prima volta Ross si accorse della discreta presenza del colonnello
Anders. Nonostante gli abiti sportivi non era possibile sbagliarsi: tutto, in
lui, tradiva un addestramento militare. Dunque, si erano portati dietro i
rinforzi... - Questa volta non la passerete liscia -
- Sto tremando per la paura! - Michael tese lentamente il braccio destro in
avanti, negli occhi una luce spietata.
Un campo di forza divise in due la stanza isolando i cinque uomini. Morgan
approfittò della momentanea distrazione di Ross per spalancare la porta dietro
di lui e corse all’interno dell’ufficio dello sceriffo.
- Max! - Si precipitò accanto al giovane, seduto sulla poltroncina posta
davanti alla scrivania con il mento reclinato sul petto. Gli sollevò
gentilmente la testa e vide il sudore che gli ricopriva la fronte e le labbra,
lo sguardo spento, avvertì la fatica con cui respirava e il completo abbandono
del suo corpo. - Maledizione... - Fece per chiamare aiuto quando si rese conto
che Anders era accanto a lui.
In silenzio i due sollevarono Max e uscirono.
Con un movimento brusco della mano Michael richiamò a sé tutta la sua energia
prima di seguire gli altri fuori dell’edificio.
Avevano fatto solo pochi passi quando Valenti si parò davanti a loro.
- Jim! - Michael corrugò la fronte sorpreso.
- Come sta? - Lo sceriffo si avvicinò preoccupato a Morgan e pose due dita sul
collo di Max.
- Dobbiamo portarlo subito a casa. Il tempo di passare al Crashdown e... -
- I ragazzi non stanno più lì. Kyle mi ha avvertito poco fa: sono appena
arrivati a casa mia. -
- Grazie per l’informazione. Ah, un consiglio! Non torni subito nel suo
ufficio... -
L’uomo annuì sorridendo. - Già, immagino sia meglio aspettare un po’. Buona
fortuna! -
Michael rispose con un cenno di saluto del capo e si diresse verso la jeep
parcheggiata poco lontano.
Quando udirono il campanello della porta d’ingresso Kyle intimò a Shiri di
nascondersi in cucina poi andò ad aprire. - Ehi! -
- Shiri è qui, vero? -
- Sì, certo. - Il ragazzo fece un passo indietro invitandolo ad entrare. -
Shiri, vieni, è Michael! -
A quel richiamo Shiri tornò correndo nel soggiorno e impallidì nel vedere Thien
dietro Michael. Papà! -
Il soldato depose delicatamente il corpo privo di sensi del giovane sul divano
prima di guardarla negli occhi. - La sua vita è nelle tue mani, principessa...
-
- Cosa... cosa vuol dire? - domandò lei spaventata fissando prima lui poi
Michael.
- E’ svenuto poco dopo aver lasciato l’ufficio di Jim e i battiti del cuore si
sono talmente rallentati che quasi non si avvertono più. Io credo che... che
sia ancora sotto l’effetto dei neuroinibitori. Tu sei la sola che possa
intervenire su di lui... -
In preda all’angoscia la ragazzina si curvò su Max e gli pose le mani sul
torace. Girò il volto contratto per la tensione verso quello innaturalmente
rilassato del padre sforzandosi di controllare il proprio respiro. A poco a
poco dalle sue dita si diffuse una intensa luminosità dorata. Strinse i denti,
sprofondando sempre di più nella connessione, fin quando un flusso di immagini
e sensazioni invase la sua mente. Percepì l’istantanea riparazione delle parti
interne danneggiate ed emise un sospiro di sollievo. Si sedette sul bordo del
letto prendendo tra le sue una mano del giovane, poi accennò un sorriso in
direzione di Michael. - Adesso il suo cuore funziona bene. -
Lui si avvicinò per studiare l’espressione vacua dell’amico, tornato in sé
proprio in quel momento. Mmm, l’hanno riempito di droga fino agli occhi... - Si
mordicchiò pensoso le labbra dopodiché disse a Morgan di telefonare ad Isabel
per avvertire che stavano tornando a casa.
- Porto Shiri in moto con me - disse di getto Kyle. - Con Max non ce la farete
mai a stare tutti nella jeep... - aggiunse come spiegazione.
- Ok - Non volendo perdere altro tempo Michael spalancò la porta ed attese che
Thien, con Max pesantemente appoggiato contro il fianco, passasse dopodiché si
affrettò verso la vettura e la mise in moto.
Un quarto d’ora più tardi erano tutti nella stanza che Max divideva con Liz.
- Come ti senti? - La ragazza si era seduta accanto al marito e gli carezzava
gentilmente la fronte.
- Stanco... - Il giovane deglutì con un certo sforzo cercando per un attimo il
suo sguardo, poi fissò Lhara. - Io non... non ho detto niente di te... o di
Brent... Loro... non hanno alcuna prova che altri... come noi... siano arrivati
qui a Roswell... -
- Cosa ti hanno fatto? - domandò Isabel preoccupata. - Jason non riusciva a
sentire la tua mente -
- Neuro... inibitori... - Max si guardò il braccio, dove non era rimasta alcuna
traccia delle decine di punture che gli avevano fatto. - Poi... il siero della
verità... e droghe... Hanno... hanno provato di tutto ma... - sorrise chiudendo
gli occhi, - è stato inutile... Sono riuscito a non rispondere alle loro
domande... -
- E ci stavi per rimettere la pelle, dannazione! - Michael si appoggiò alla
parete incrociando le braccia sul petto. - Con i tuoi poteri bloccati dai
neuroinibitori c’è mancato poco che tutta quella porcheria ti uccidesse! -
- Morgan, non è possibile denunciarli per quello che hanno fatto? - chiese
timidamente Maria.
L’uomo si strinse nelle spalle. - No, non servirebbe a niente. La sezione
speciale gode di una particolare autonomia, e neppure il direttore può fare
molto a parte scioglierla. Ma questo non credo sia possibile, non ora che il
presidente degli Stati Uniti sa della vostra esistenza... -
Isabel sbuffò. - Beh, e allora cosa facciamo? Non è giusto che possano
prenderci come e quando gli pare e torturarci per avere informazioni! -
Quelle parole penetrarono dentro Morgan come lame d’acciaio. L’idea di veder
soffrire Isabel lo faceva stare male, eppure dubitava che sarebbe riuscito a
proteggerla nel malaugurato caso l’FBI decidesse di rinchiudere una volta per
sempre lei e gli altri alieni.
Liz infilò le dita tra i morbidi capelli di Max. - Forse dovremmo incontrarci
con il capitano Ross, tutti quanti insieme, e parlargli. Magari riusciremmo a
fargli capire che non ha nulla da temere e ci lascerebbe in pace... -
- Lui smetterà di tormentarci soltanto quando ci avrà uccisi - Michael scrollò
le spalle. - E noi non possiamo fargli niente o avremo alle calcagna l’intera
Guardia nazionale. Direi che non c’è alcuna via d’uscita -
- Il mondo non è ancora pronto per la verità - intervenne Kyle. - Mi
dispiace... -
- Sapessi quanto spiace a noi... - Maria si guardò le mani strettamente
intrecciate in grembo. - Però penso che Liz abbia ragione. E’ un tentativo che
dovremmo fare. - Rialzò il capo e sorrise a Michael. Non abbiamo niente da
perdere, in fin dei conti -
Lhara si avvicinò al letto con un’espressione desolata sul bel viso. - Io... mi
rendo conto che il mio arrivo ti ha causato molti problemi, Zan... Forse...
forse dovrei tornare su Rènida e combattere accanto a Bren. Non è giusto che
lui, e tutti voi, dobbiate correre dei rischi per me. Io... sono solo la
seconda scelta... -
Max si mise lentamente a sedere e la fissò serio. - Non sei la seconda scelta,
Lhara... Il fatto che tua sorella sia morta lasciandoti in eredità il trono...
è qualcosa che nessuno poteva prevedere ma questo... non significa che in te
non ci siano le capacità per governare... se davvero lo vuoi -
Gli occhi della ragazza divennero lucidi di lacrime, e Shiri le si accostò
prendendole con affetto una mano. Lhara si volse a guardarla. - Sono sicura che
tu saresti una regina migliore di me. C’è tanta forza, nel tuo cuore... più di
quanta potrò mai averne io... -
- Puoi restare con noi tutto il tempo che desideri, Lhara. - Max coprì con le
proprie le dita di Liz, posate sulla sua gamba. - E così Brent -
- Bren - lo corresse lei. - A casa lo chiamiamo in questo modo... -
- D’accordo. Bren. - Il giovane annuì poi si riadagiò contro il cuscino.
Immaginando che l’amico avesse bisogno di tranquillità, Michael prese Maria per
la mano. - Allora noi ce ne andiamo. Prenditela con calma, Max, mi raccomando!
- Guardò Kyle. - Vieni via anche tu? -
Colto alla sprovvista Kyle si dondolò sui piedi. - Ecco, veramente... io... -
farfugliò imbarazzato. - Io stavo pensando che magari a Lhara piacerebbe andare
a fare un giro... -
Tutti si voltarono a fissare Lhara, la quale si strofinò le mani contro i
pantaloni. - Sì, volentieri, grazie... - Si sentiva così a disagio davanti
all’intera famiglia reale di Antar che desiderava con tutta se stessa
allontanarsene per qualche ora! Zan, Liz, i loro figli, e perfino Rath erano
persone incredibilmente gentili e disponibili ma non si rendevano conto
dell’aura di potere che li circondava e le rendeva stressante quel continuo
contatto. Kyle Valenti, invece, era... meravigliosamente normale... ed era
certa che con lui avrebbe ritrovato una parvenza di serenità. Senza più esitare
tese una mano, che il ragazzo si affrettò a prendere.
- Kyle, abbi cura di lei, mi raccomando -
- Stai tranquilla, Isabel, la riporterò indietro tutta intera! - Sorridendo
condusse via la ragazza. - Bene, adesso ti mostrerò le bellezze di questa
metropoli! La scortò fino alla moto e le spiegò come salire, dopodiché fece
rombare il motore e sparì lungo la strada.
Maria rimase per qualche secondo a guardarli interdetta dalla finestra. - E’
completamente uscito di testa... -
- No, è solo molto attratto da lei. - disse Shiri seria.
- Tesoro, è la stessa cosa - Maria si girò verso la ragazzina e fece una
smorfia. - Se non altro Kyle è diretto. Non contorto come qualcuno di mia
conoscenza... - Guardò dapprima Max poi Michael. - Ok, andiamo, adesso. E’
l’una passata e io sto morendo di fame -
Isabel diede una rapida occhiata al fratello. - Io vado a telefonare alla
mamma. Tu non muoverti finché non arriva, ok? -
Max fece un cenno affermativo col capo poi si girò verso Liz, le passò un
braccio intorno alla vita e si addormentò.
Senza quasi aspettare che la macchina fosse ferma Diane si precipitò in casa e
su fino alla stanza del figlio. - Max! Grazie al cielo... - Lo strinse forte a
sé, come se temesse di vederlo sparire da un momento all’altro.
Phillip Evans spense il motore e seguì con più calma la moglie. Ma si trattava
di una calma solo apparente perché dentro di sé tremava al pensiero di quello
che sarebbe potuto succedere al suo ragazzo. Si avvicinò a Diane e accarezzò
piano i capelli di Max prima di dargli un affettuoso bacio sulla testa, poi
tese un braccio verso Isabel, che si slanciò verso di lui con occhi lucidi di
lacrime. Rimasero a lungo così, bisognosi di quel reciproco conforto, dopodiché
Phillip salutò Morgan serrandogli forte la mano. - Mi dispiace per il vostro
viaggio. Cosa avete deciso di fare? Pensate di partire domani? - Sentì
l’improvviso irrigidirsi della figlia e la studiò perplesso. - Cara, che c’è? -
- Niente, niente... -
Anders, che era rimasto fuori a controllare, attese che Lou apparisse da dietro
l’angolo dell’edificio e si rilassò un poco nel vedere il piccolo segno
negativo che gli fece con la testa. Allora rientrò e salì al piano superiore,
da cui poteva tenere d’occhio un’area più ampia, e nel passare davanti alla
camera di Max si rasserenò vedendo che il giovane era di nuovo in piedi.
Diane, nel tentativo di ridare una parvenza di normalità a quella terribile
giornata, si diresse verso la cucina, seguita da Isabel e Liz, e si diede da
fare per organizzare il pranzo. - Stamattina avrei dovuto fare la spesa ma... -
Scosse il capo mordendosi le labbra, poi controllò il contenuto del
surgelatore.
- Non preoccuparti, mamma, tanto lo sappiamo che il tuo frigo non è mai vuoto!
- Isabel le si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia. - L’importante è che
siamo di nuovo tutti insieme. -
La donna si girò verso Liz, intenta a prendere piatti e posate. - Perché non
telefoni ai tuoi genitori e li inviti ad unirsi a noi? -
Liz spalancò gli occhi e si volse di scatto a guardarla. - Perché? - domandò,
leggermente impallidita.
- Credo che a loro farebbe piacere vederti. Domani tu e Max tornerete ad
Albuquerque, e quindi penso che questa sia l’occasione adatta per... -
- Per cosa? Per ricordare quello che hanno fatto? - la interruppe con voce
dura.
- Tesoro, non puoi continuare a odiarli per il resto della tua vita... -
- E infatti non li odio. Anzi, li ho perdonati. Ma ancora non me la sento di
vederli, di... di parlargli... A maggior ragione dopo quello che è successo
stamattina -
Isabel posò gentilmente una mano sul braccio della madre. - Non insistere,
mamma. Liz ha ragione. Io... io so quanto è difficile venire a patti con una
situazione del genere... Non dimenticare che Morgan ha lavorato per l’FBI... -
Diane sospirò. - D’accordo, non m’intrometterò più! Però prima o poi dovrai
fare qualcosa, Liz. La settimana scorsa ho incontrato Nancy al supermercato:
era davvero ansiosa di avere tue notizie... -
Senza dire nulla la ragazza sollevò il vassoio su cui aveva deposto tutto
l’occorrente per apparecchiare la tavola e uscì dalla cucina.
Il pranzo si svolse abbastanza tranquillamente ma Shiri, grazie alla sua
particolare sensibilità, poté percepire la tensione di Liz e di Isabel e
continuò a scambiare occhiate con il fratello.
Quando fu tutto rimesso a posto, Isabel e Morgan decisero di tornarsene a casa.
Diane disse allora che avrebbe accompagnato il marito al suo studio insieme ai
nipoti, e uscirono scortati da Lou Krentz.
Rimasti soli, Max si avvicinò a Liz e le prese il volto tra le mani. - Da
quando ho riaperto gli occhi, a casa di Kyle, ho desiderato fare... questo... -
Posò le labbra sulle sue, baciandola con passione, sempre più profondamente,
mentre lei gli si stringeva contro accarezzandogli la schiena. Il loro respiro
divenne presto affannoso e dovettero fermarsi per riprendere fiato, poi Max le
passò un braccio intorno alla vita e si diresse verso le scale. Una volta al
sicuro in camera da letto sollevò Liz tra le braccia e la depose sul materasso,
si sdraiò su di lei e ricominciò a baciarla.
La mano di Liz giaceva aperta sul cuore di Max, i cui forti battiti andavano in
sintonia con i suoi. I loro corpi erano ancora uniti e un leggero alone dorato
illuminava la pelle dei fianchi.
- Potrei rimanere così per l’eternità... - sussurrò la ragazza.
- Anch’io - Max le toccò la spalla con la punta delle dita.
Liz reclinò un poco la testa all’indietro per guardarlo negli occhi. - Hai
l’aria... sfinita... - Si morse leggermente le labbra. - Tu devi riposare, e
invece io... -
La mano di Max scivolò lungo il suo collo fino a posarsi sotto la nuca. - Mi
hai dato quello di cui più avevo bisogno - la interruppe fissandola, la voce
ridotta ad un sussurro. - Te stessa, il tuo amore. Il tuo calore. Adesso che
sono di nuovo con te io sto bene. Davvero. E vorrei che finalmente la nostra
vita fosse tranquilla... ma... -
- ...ma difficilmente lo sarà. Lo so - Liz accennò un piccolo sorriso mentre
gli poggiava una mano tra la spalla ed il collo. - E so pure che, in qualche
modo, riusciremo sempre a cavarcela. Devo crederlo, altrimenti... finirei con
l’impazzire... -
Lui le carezzò con il pollice le labbra tremanti. - Mi dispiace... per tutto
quello che sei costretta a passare per colpa mia... Tu... e i nostri figli... -
Liz scosse leggermente la testa. - Non hai colpa di nulla, Max... di nulla... -
Socchiuse gli occhi e gli sfiorò con un bacio leggerissimo il dito con cui le
toccava ancora la bocca. - Loro hanno paura di voi perché siete diversi...
perché sanno che potete fare cose che non capiscono... Perché non vogliono
vedere la verità... e cioè che siete più umani di loro... - Rialzò le palpebre,
piano, assaporando la vista del bel volto del giovane. Abbozzò un sorriso
incerto. - Forse... se sapessero... Io... io vorrei solo essere sicura che
almeno Jason e Shiri non corrano pericoli... -
- In fin dei conti questo è quello che vogliono tutti i genitori. Almeno loro
due sono in grado di difendersi... -
La ragazza tremò contro di lui. - Ma sono solo dei bambini, anche se hanno il
corpo di adolescenti! -
- Li aiuteremo noi. - Max la baciò delicatamente su una guancia. - Ascolta,
io... ho sentito quello che ha detto mia madre, prima... -
- Ah... - Liz si irrigidì e fece per allontanarsi ma il giovane le passò il
braccio intorno alla vita bloccandola. - Stasera potremmo passare al Crashdown
a salutarla. Che ne dici? -
- Che non mi va di vederla, non ancora... - Si inarcò un poco, e sentì la sua
immediata risposta. Emise un lamento soffocato. - Giochi... sporco... -
- No, mai. Mai, con te... - Max cercò di trattenersi, mentre con le dita le
sfiorava la pelle liscia della schiena.
- Comunque... hai ragione... - Liz si mosse contro di lui. Scivolò sul suo
corpo e si tenne leggermente sollevata facendo forza coi gomiti. - Jason e
Shiri hanno il diritto di conoscere i loro nonni. Spero solo che non restino
delusi... -
- Se hanno saputo allevare una persona splendida come te non devono essere poi
così male... -
Liz scoppiò a ridere e si lasciò ricadere su di lui. - No, è vero, non sono
male. Devo solo imparare a fidarmi di loro, e loro di me. Forse non potremo mai
dirgli che vieni da un altro pianeta, però... però potremmo inventarci
qualcosa... che so... Sì, tipo... come hai detto a Patty e Tony? Un errore nel
tuo DNA, giusto? Un errore, certo... sei troppo sexy!... -
Max rotolò su se stesso ed intrecciò le mani con le sue portandole poi verso
l’alto. - Nessun errore per te, invece... tu non potevi che essere
bellissima... - Cominciò a baciarla, e a poco a poco persero ogni contatto con
la realtà.
- Ciao, nonno! - Jason abbracciò con affetto Phillip Evans, poi fu la volta di
Shiri, ed infine Diane salutò il marito sorridendo divertita. - Adesso dobbiamo
andare, altrimenti non riuscirai a combinare niente! -
Lou si avvicinò con discrezione quando vide i tre uscire dal grazioso
portoncino di legno e li seguì continuando a scrutare i dintorni.
- Dove andiamo? - chiese Shiri guardando incuriosita le vetrine.
- Che ne dite di un salto al luna park? Scommetto che non ci siete mai stati,
vero? -
- No, infatti. Di cosa si tratta? -
- E’ un posto pieno di giochi. Max ed Isabel impazzivano di gioia quando ce li
portavamo... -
Jason si scostò i capelli dagli occhi. - Tu hai sempre saputo chi fossero? -
La donna gli rivolse un rapido sguardo poi scosse leggermente la testa. - No,
ce lo hanno rivelato solo due anni fa, quando... quando sono partiti per...
Antar. - Il nome alieno le uscì a fatica dalle labbra tirate. - Temevano di non
riuscire a tornare e così... ci hanno detto tutto. Non è stato facile
accettarlo... Noi... noi gli abbiamo sempre voluto molto bene, fin da quando li
abbiamo visti per la prima volta e... abbiamo continuato a volergliene anche
dopo aver saputo la verità... però la loro era una storia così incredibile... -
- E mamma? -
- Liz? - Il sorriso di Diane Evans si fece più aperto. - Lei e Max hanno
cominciato ad uscire insieme quando avevano sedici anni. Io... penso che fosse
al corrente delle sue origini... - Senza volerlo strinse più forte le mani dei
nipoti. - Poi, all’improvviso, si sono lasciati. Non ho mai saputo il perché,
ma un giorno... -
- Cosa? - la sollecitò Shiri.
- Ecco, hanno ripreso a frequentarsi e... Beh, non è andata sempre bene ma alla
fine... sei arrivato tu, Jason, e poi tu, tesoro... - Così dicendo scosse con
allegria il braccio di Shiri.
- Papà e mamma si amano molto. -
- Sì, è vero. - Diane sospirò. - Il loro è un legame fortissimo e... spero che
anche voi, un giorno, troviate qualcuno che vi ami allo stesso modo. -
- Come si fa a capirlo? -
- Cosa? -
Jason scosse le spalle. - Se l’altra persona è davvero innamorata -
- Lo capirai, credimi... Ma sei ancora troppo giovane, quindi non iniziare a
preoccupartene già da adesso, ok? -
- Ok - Il ragazzino le sorrise, poi ammiccò alla sorella, che gli rimandò
un’occhiata interrogativa.
Nel frattempo erano giunti alla fermata dell’autobus che li avrebbe portati
nella zona della città dove, ormai da un paio di settimane, erano state montate
le giostre.
Per più di due ore Jason e Shiri passarono da un’attrazione all’altra, con gran
divertimento di Diane Evans, mentre Lou Krentz stava sempre all’erta, poi
fecero ritorno in centro e Shiri insisté per andare a prendere un gelato al
Crashdown. - Kyle ha detto che lì sono buonissimi - disse a mo’ di spiegazione.
Pur incerta sull’opportunità di recarsi in quel locale, la donna non volle
deluderla e così di lì a poco si ritrovarono seduti intorno ad uno dei tavoli
del Café, intenti a sorbire un delizioso sundae al cioccolato.
Diane aveva sgranato gli occhi nel vedere i nipoti versare mezza bottiglia di
Tabasco sul dolce ma era rimasta in silenzio ricordando come, da quando si
trovavano a Roswell, avessero assottigliato la scorta di salsa che teneva in
casa. Quei due adoravano quell’infernale intruglio ancor più di Max ed
Isabel...
Non avevano ancora terminato di mangiare quando la porta si aprì ed apparvero
Liz e Max, che andarono a sedersi accanto a loro.
Imbarazzata, Diane Evans giocherellò con la cannuccia. - Ehm... come mai da
queste parti? -
- Siamo venuti per mangiare qualcosa. E salutare i miei genitori - Liz sfiorò
dolcemente i capelli setosi della figlia. - Avevi ragione tu, Diane. Se io non
riesco a parlare con loro, sarà difficile poterlo fare col capitano Ross... -
Tacquero mentre una ragazza, con indosso la familiare uniforme verde acqua
corredata da antenne argentate in testa, si avvicinava per prendere l’ordine
dei nuovi arrivati, poi Max si appoggiò stancamente allo schienale del sedile.
Liz gli sorrise e mise una mano sulla sua. - Un super space-burger e doppia
porzione di anelli di Saturno per lui e un disco di Venere per me, grazie -
disse sollevando il viso verso la cameriera.
Shiri osservò incuriosita le dita della madre carezzare teneramente il dorso
della mano di Max. Per un attimo si domandò cos’avrebbe provato a toccare allo
stesso modo la mano di Bren e si morse le labbra. - Papà... - mormorò alzando
gli occhi su di lui.
Il giovane corrugò la fronte. - Sì? -
- Pensi che... che Bren tornerà? -
Max la fissò sorpreso e Shiri si portò i capelli dietro le orecchie imitando
inconsapevolmente un gesto abituale di Liz.
- Spero di sì. - Si sporse verso di lei e le mise un dito sotto il mento
guardandola con dolcezza. Tesoro, tutti noi ci auguriamo che ce la faccia. Lo
so che sei molto affezionata a lui e a Lhara, quindi devi aver fiducia e
aspettare. Non è facile, ma a volte è l’unica cosa che possiamo fare... -
Shiri fece un piccolo cenno d’assenso poi tornò a dedicarsi al suo sundae.
Sapeva che, in realtà, Bren doveva ancora arrivare su Rènida, però non poteva
fare a meno di preoccuparsi per lui. Avrebbe voluto essere capace di entrare
nei sogni, così come faceva Jason, per poter controllare che stesse davvero
bene, poi scosse mentalmente le spalle. Lhara aveva un forte legame psichico
col fratello, e sarebbe stata lei stessa ad avvertirli se si fosse trovato in
pericolo. Dunque, per quanto l’idea non le piacesse, doveva solo pazientare...
Circa mezz’ora più tardi, mentre finiva di bere l’ultimo sorso di limonata, Liz
scorse la madre in fondo al locale e ripose bruscamente il bicchiere sul
tavolo. - Max... - chiamò sottovoce.
Lui comprese al volo e si alzò, subito imitato dai figli. - Veniamo anche noi -
disse Jason deciso.
La ragazza esitò solamente un secondo prima di avviarsi verso Nancy Parker,
seguita dagli altri.
Nel vedere il gruppetto avvicinarsi la signora Parker spalancò gli occhi
sbalordita. - Liz! - Corse ad abbracciarla, quasi non osando credere che fosse
lì, poi la prese per mano. - Venite, andiamo di sopra! - esclamò contenta.
- Mamma, per favore, lasciami andare! Giuro che non scappo! - protestò Liz, ma
le sue parole caddero nel vuoto. Si volse indignata a guardare Shiri, che stava
ridacchiando divertita, e la fulminò con lo sguardo.
Una volta saliti al piano superiore, dove si trovava l’appartamento privato,
Nancy chiamò il marito ad alta voce prima di decidersi a liberare la mano della
figlia. - Sono così felice di rivederti, mia cara... - disse con occhi lucidi
per l’emozione.
Liz sentì un nodo in gola e si mordicchiò impacciata le labbra poi fece un
passo verso di lei, un altro, e si ritrovò di nuovo tra le sue braccia.
- Mi sei mancata, tesoro... Continuavo a chiedere tue notizie a Diane ma
speravo sempre che mi telefonassi... -
La giovane non cercò di trattenere le lacrime che ad un tratto le rotolarono
lungo le guance, troppo commossa per riuscire a parlare.
Quando arrivò anche Jeffrey Parker Liz si staccò dalla madre e rimase immobile
a guardarlo. Scoprì di essere ancora arrabbiata con loro per quello che avevano
fatto, ma allo stesso tempo desiderava recuperare il rapporto di un tempo.
Sempre che fosse possibile... Dipendeva tutto da come avrebbero reagito alle
novità... Lentamente si avvicinò all’uomo e ricambiò l’abbraccio in cui la
strinse, dopodiché tornò accanto a Max, che se la premette gentilmente contro
il fianco. Si sforzò di sorridere mentre guardava Jason e Shiri fermi poco più
in là, poi prese un profondo respiro e fece le presentazioni.
- Jason?!? - Jeff fissò stupefatto il ragazzino. - Santo cielo, è vero che
somiglia in maniera impressionante a te, Max, ma non avrei mai immaginato
che... Non... non riesco a crederci... -
Nancy, invece, fissava sconvolta Shiri. - Com’è possibile che abbia solo... un
mese e mezzo? -
Liz si staccò dal marito con riluttanza tuttavia la forza con cui strinse le
spalle dei due giovanetti tradì il profondo amore che nutriva per loro. - Hanno
ereditato... l’errore genetico di Max. Quando... l’FBI ci ha catturati, ad
Albuquerque, sono riusciti a scappare ma lo sforzo che hanno fatto ha attivato
la mutazione del DNA e... questo è il risultato. -
- Tu eri qui stamattina con Kyle, vero? - domandò Nancy. Al cenno affermativo
di Shiri proseguì, - e... hai poteri di guaritrice anche tu? -
Shiri annuì di nuovo e la donna trattenne per un attimo il fiato. - E tu? -
chiese rivolgendosi a Jason.
Lui scosse piano la testa, ma prima che Nancy e Jeff potessero respirare
sollevati spiegò: - Io posso fare... altre cose. - Guardò con fare
interrogativo Liz poi ammutolì. Sapeva di aver detto fin troppo. Solo non
riusciva a capire come mai quei due reagissero in maniera così... strana... -
Adesso smetterete di voler bene alla mamma? -
- Cosa?!? Oh, no! No di certo! Perché dici che...? - Si chinò per prendergli le
mani tra le proprie. - Noi vogliamo bene alla tua mamma, e ne vogliamo anche a
te e a Shiri! Non devi pensare che... -
- Però non volete bene a papà. - obiettò lui.
- Chi te lo ha detto, figliolo? - domandò il signor Parker fissando Max con
sospetto.
- Nessuno. Lo... sento - Jason guardò serio entrambi i nonni. I suoi occhi
assunsero un’espressione intensa e profonda, e la tonalità verde prese il
sopravvento su quella nocciola. - Posso percepire le emozioni, e adesso state
cominciando a provare... paura. Di noi - Ridusse la voce a poco più di un
bisbiglio. - Non ne avete motivo. Anche se... siamo diversi. Siamo comunque...
umani... -
Nessuno tranne Max sembrò cogliere la sfumatura. Jason aveva detto “umani”, non
“esseri umani”. Ed era proprio così. Loro non erano esseri umani, però avevano
sentimenti umani ed erano capaci di amare e soffrire come chiunque altro. Ma
questo sembrava passare sempre in secondo piano davanti alla “diversità”.
Perché era così difficile per gli altri accettarli? Era in situazioni come
queste che non riusciva a capacitarsi della fortuna che aveva avuto
nell’incontrare una persona meravigliosa come Liz...
I coniugi Parker si guardarono impacciati, poi Nancy si avvicinò esitante a
Max. - Jason ha ragione. Avete un figlio molto in gamba... E’ vero, mi spaventa
un po’ il fatto che tu sia in grado di... fare cose insolite... Comunque... la
verità è che... non... non ho mai potuto perdonarti... - Si serrò le braccia al
petto, senza sapere come continuare.
Max rivide con gli occhi della mente la scena. Liz sdraiata su di lui, e la
madre che apriva la porta per svegliarla e li sorprendeva a letto insieme.
Ricordò l’aria sconvolta della donna, il suo furore, e sospirò. - Io... la
capisco... - mormorò.
Lei lo guardò negli occhi per alcuni interminabili secondi, poi annuì. - Sì,
credo che tu capisca davvero quello che voglio dire... Forse è sciocco, da
parte mia, avercela ancora con te. Ma... -
- Non si preoccupi, signora. Desidero solo che Liz senta che le vuole sempre
bene... Per lei è molto importante, anche se non lo dà a vedere. -
- Ehi, voi due, che cosa vi state dicendo? - esclamò Liz sospettosa.
Nancy non avrebbe voluto rivelare i suoi veri sentimenti, temendo la reazione
della ragazza, ma allo stesso tempo si rendeva conto che non poteva dirle una
bugia. Si voltò verso di lei abbassando per un attimo gli occhi a terra. -
Lui... ha fatto l’amore con te quando eri ancora una bambina, e... e ti ha
allontanata da me, da noi... - si corresse, guardando di sfuggita il marito.
A quelle parole Liz scosse esasperata la testa. - Ancora quella storia?!?
Mamma, avevamo entrambi diciassette anni, non eravamo due bambini! E comunque
ci avete punito abbastanza, dopo! Con delle conseguenze... terribili! Possibile
che non riusciate a mettere la parola fine a tutto questo? Insomma, io amo Max,
l’ho sposato, ho avuto dei figli da lui! Accettatelo! - La voce le si spezzò. -
Vi prego, non traditeci più... Non ne usciremmo vivi... nessuno di noi... -
Jeffrey Parker le si accostò stupito. - Liz, ma cosa dici? -
- E’ così - Agitò le mani con fare nervoso. - A causa delle sue... capacità...
Max è tenuto sotto costante controllo, e così io e... e loro... - indicò Jason
e Shiri. - Non si fidano e... ci elimineranno tutti quanti se si convinceranno
che siamo una minaccia per loro... -
- Ma non è... giusto... - concluse sua madre abbassando man mano la voce, come
realizzando qualcosa.
Liz fece un sorriso triste mentre annuiva. - No, non è giusto, è vero.
Purtroppo però le cose stanno così... Noi... potremmo andarcene in un posto
sicuro... dove non ci troverebbero mai... Solo che in questo modo non sarebbe
più possibile vedervi... vedere tutti i nostri amici... e... e questo è
qualcosa che vorremmo evitare... E non è giusto neppure che tu continui ad
essere risentita con Max perché mi ha fatto il dono più grande che potesse
darmi. Se stesso. Dovresti essere felice che abbia trovato qualcuno che mi ama
così tanto... e per il quale provo lo stesso amore... -
- Lo so. Scusami... - La donna l’abbracciò di nuovo, cullandola contro il
proprio petto come se fosse davvero ancora una bambina. La sua bambina. La sua
piccola Liz. Non la donna forte e appassionata che aveva detto quelle cose
terribili eppure vere... Era così difficile vedere i propri figli crescere e
allontanarsi, per quanto fosse nel corso naturale della vita... A poco a poco
si calmò e riuscì a recuperare sufficiente padronanza di sé da poterla di nuovo
guardare negli occhi. - Io e tuo padre ti vogliamo bene e saremo sempre pronti
ad aiutarti. - Si rivolse a Max con un timido sorriso. Mi auguro che quello che
c’è adesso tra voi duri per molto tempo ancora. “Per sempre” mi sembra un po’
eccessivo, ma... qualcosa di simile... -
- Grazie - Max tese la mano destra e Nancy gliela strinse con decisione. -
Tornate presto a trovarci, mi raccomando... -
- Certo, stai tranquilla! - Liz le diede un bacio sulla guancia, poi fece lo
stesso col padre mentre Jason e Shiri si lasciavano abbracciare forte dalla
nonna.
Quando tornarono nel locale pubblico Diane li stava aspettando circondata da
una miriade di frammenti di carta.
- Nervosa? - le chiese divertito Max prendendo in mano quel che restava
dell’ultimo tovagliolo.
- Sì, un po’ - rispose lei radunando in fretta i candidi quadratini in un
ordinato mucchietto. - Avevo finito i tovaglioli... -
- Vedo! - Il giovane scompigliò amorevolmente i folti capelli di Shiri. -
Forza, è ora di tornare a casa! -
- Buongiorno, amore... -
- Mmm... - Isabel socchiuse gli occhi e si stiracchiò con grazia felina, poi
sembrò ricordare qualcosa perché sul volto le apparve un’espressione
corrucciata.
- Ehi, cosa c’è? - le chiese Morgan accarezzandole piano una spalla.
Lei si scostò impercettibilmente per sottrarsi al suo tocco e si passò la mano
tra i capelli. - Sto ripensando a... Max... -
- Ancora!?! - non poté fare a meno di esclamare l’uomo, infastidito. - Insomma,
lo abbiamo riportato a casa, sta bene!... Che altro c’è? -
Isabel si volse di scatto a guardarlo. - Che altro c’è?!? - ripetè con voce
tesa. - Lo hanno imbottito di droga, pur sapendo che non sarebbe servito a
niente, e c’è mancato poco che morisse! Se non fosse stato per Shiri il suo
cuore non avrebbe avuto la forza di continuare a battere, te ne rendi conto? -
- Adesso, però, è tutto a posto. Potremmo anche telefonare in aeroporto per
cambiare i biglietti... - Morgan cercò di parlare con pacatezza. Non aveva
senso provare gelosia per Max, che tra l’altro stimava molto, però quello
doveva essere il loro viaggio di nozze e invece stavano a letto a parlare di
lui, accidenti! - Siamo sposati da pochissimi giorni e mi piacerebbe passare un
po’ di tempo da solo con te. Non mi sembra di chiedere troppo, no? -
Ma Isabel continuava a rivedere il fratello svenuto, il suo viso segnato dallo
sfinimento, l’angoscia di una bambina che si era trovata ad avere nelle mani la
vita del padre, e poi ricordò l’espressione crudele di Gabriel Ross quando li
aveva bloccati tra le montagne del Black Range. No, non poteva andarsene,
lasciare soli Max e Michael. Loro erano una parte fondamentale di lei, della
sua vita, e aveva bisogno di sapere che non correvano alcun pericolo. Aveva
bisogno di sentirsi legata alle sue vere origini. - C’è... un piccolo
dettaglio. Noi... non siamo davvero sposati... - disse con voce sommessa.
- Come?! - Morgan si sollevò bruscamente su un gomito poi si lasciò ricadere
all’indietro sul cuscino. - Oh, capisco! Ci hai ripensato! - Rimase per qualche
secondo in silenzio, odiando la sensazione di lontananza che percepiva da
Isabel. - Avevi detto che per te non era importante, che per te contava solo
questa... questa vita!... -
La ragazza s’irrigidì. - Beh, ho cambiato idea. Non posso cancellare il fatto
che provengo da un altro pianeta, né voglio rinnegare la mia gente. Per quanto
lontano tu voglia andare io resterò sempre quella che sono. -
- E cioè? Mia moglie, o la sorella di Max Evans? -
- Un’aliena braccata dall’FBI - C’era il pianto, nella voce di Isabel, mentre
si alzava e indossava in fretta un’elegante vestaglia di cotone bianco
ricamato.
Con il cuore gonfio di pena Morgan si alzò a sua volta e l’abbracciò da dietro
dandole un bacio gentile sul collo. - Io ti amo, Isabel. Su questo non devi
avere dubbi, mai! Lo so che sei in grado di difenderti meglio di quanto possa
fare io, però ti prego... lascia che mi prenda cura di te... -
- Portandomi via da Roswell? Beh, questo non cambia certo le cose! -
- No, però fa star meglio me... Sapere che per qualche giorno sarai al
sicuro... -
- Io non sarò mai al sicuro - La ragazza si girò tra le sue braccia e lo guardò
dritto negli occhi. - Come non lo sono Max, Michael, Liz, e tutti gli altri. E
anche tu. Perché hai scelto di vivere con me. Loro metteranno sempre in dubbio
la tua fedeltà solo per questo... -
- Non m’importa. - Le sfiorò il viso con la punta delle dita prima di chinarsi
a baciarla. - Mi basta sapere che mi ami, e che resterai sempre con me. -
Isabel rispose al suo bacio con tutta se stessa poi gli mise le braccia intorno
al collo e restò così, appoggiata contro il suo corpo, desiderando che il tempo
si fermasse.
- D’accordo, sposiamoci di nuovo. Io voglio tutto, di te, anche la tua parte
aliena... - Morgan la sentì tremare e sorrise. “Oh, Isabel, sei... sei così
tenera... Per questo mi hai sempre messo alla prova... Perché temevi che non ti
amassi abbastanza da accettare la verità... Beh, ti sbagliavi, piccola... Non
sai quanto...”
Il soggiorno non aveva più le decorazioni floreali ma sembrava ugualmente
bellissimo agli occhi di Isabel, che sorridendo guardava la luce dorata
sprigionarsi dalle sue dita premute piano contro la tempia di Morgan. Max aveva
appena terminato di pronunciare la formula di rito e tutti quanti erano ancora
in piedi attorno a loro. Diane, Phillip, Liz e Maria con i loro vestiti
migliori, Jason, Shiri, Lhara e Michael con gli austeri abiti dai colori delle
famiglie cui appartenevano, Lou Krentz e Thien Anders in uniforme. La cerimonia
era stata breve ma profondamente sentita perché tutte le persone presenti in
quella stanza erano consapevoli del pericoloso segreto che condividevano, e ne
portavano con gioia il fardello. Perché Max ed Isabel, come pure Michael,
nonostante certi aspetti spigolosi del suo carattere, meritavano l’amore e la
fiducia di cui erano circondati.
Lhara aveva le lacrime agli occhi, emozionata per quello cui aveva appena
assistito. Sapeva che Bren era profondamente legato a Shiri, e che un giorno i
loro destini si sarebbero uniti. Perché quello era il suo potere: percepire le
linee di energia delle persone a lei più vicine. Purtroppo non era in grado di
modificare gli eventi, e così non aveva potuto impedire la morte di Wirnit, né
tanto meno quella di suo padre, ormai prossima... Ma Bren, sia pure a caro
prezzo, sarebbe sopravvissuto per tornare da lei e da Shiri. Accennò un timido
sorriso a Jason, che si era voltato a guardarla incuriosito, poi tornò a
concentrarsi su Isabel e Morgan. Erano una splendida coppia, e avrebbero avuto
sicuramente dei bambini altrettanto splendidi. Sentì la mano del ragazzino
scivolare nella sua, e un brivido le corse lungo la schiena nell’avvertire
l’improvvisa esplosione di energia scatenata da quel semplice contatto. “Oh,
Jason, tu non sai... non sai quanto potere possiedi... quello che potrai
fare... Sei il perfetto erede di Zan, un uomo incredibilmente forte e... ignaro
di esserlo... Voi siete la salvezza dell’intero sistema stellare...” Strinse
forte quelle dita sottili e trattenne per un attimo il respiro, godendo appieno
dell’improvvisa sensazione di serenità scesa nel suo cuore.
Poche ore più tardi Max e Liz, Isabel e Morgan, Michael e Maria, e Jason e
Shiri, erano seduti nell’ufficio di Morgan davanti al capitano Ross dell’FBI e
al generale Howard del Norad.
Il caldo sole del primo pomeriggio filtrava dalle finestre illuminando l’ampia
stanza. Howard fissava preoccupato il figlio del suo amico Thomas Coltrane. Il
fatto che si fosse unito in matrimonio ad un’aliena lo aveva ormai messo
definitivamente nel gruppo da tenere sotto controllo e temeva quello che
sarebbe potuto accadergli il giorno in cui il presidente avesse deciso
l’eliminazione radicale degli alieni presenti sul suolo americano.
Fu Max Evans il primo a prendere la parola. Quel ragazzo non aveva ancora
compiuto ventun’anni eppure possedeva tutte le qualità di un leader. Ma lo era
solo di quel piccolo gruppo? Questo era il vero motivo per cui il presidente
degli Stati Uniti lo aveva incaricato di sorvegliare attentamente quello che
succedeva nel New Mexico. Perché se quella si fosse rivelata la testa di ponte
di un’invasione loro sarebbero dovuti intervenire prima che fosse troppo tardi.
Certo, fino a quel momento non era accaduto niente che potesse far sospettare
qualcosa del genere ma non era il caso di correre rischi... Purtroppo adesso
c’era anche Morgan Coltrane, figlio primogenito di uno degli uomini più ricchi
e politicamente influenti di tutto il paese, il che non rendeva le cose più
semplici.
- Il nostro arrivo su questo pianeta è stato del tutto accidentale - iniziò
Max. - L’astronave che nel 1947 si schiantò nel deserto vicino Roswell
conteneva dei... dei gusci... da cui siamo usciti dopo circa quarant’anni. Noi
non sapevamo neppure di essere... alieni... Lo abbiamo capito più tardi, quando
ci siamo resi conto che... eravamo diversi dagli altri... Da allora siamo stati
attenti a non farci scoprire. Finché un giorno l’agente federale Daniel Pierce
mi ha catturato e... e portato nel vecchio ospedale militare per avere la
conferma dei suoi sospetti. -
- Un modo elegante di dire che lo hanno torturato fisicamente e mentalmente -
precisò Isabel, cercando lo sguardo di Ross. - Come ha fatto anche lei un po’
di tempo fa. -
Max le toccò l’avambraccio inducendola al silenzio. - E’ inutile parlare di
quello che è successo. Il passato non si può cambiare... - Fissò Francis Howard
negli occhi. - Noi non abbiamo alcuna intenzione di attaccare questo mondo. E’
il nostro pianeta di adozione, e lo amiamo come lo amate voi. Non è giusto che
ci spiate continuamente con un satellite, ma capisco i vostri timori e so che
non posso fare nulla per impedirvelo. Però non abbiamo alcuna intenzione di
essere considerati il capro espiatorio per ogni anomalia che viene registrata
da queste parti. - Trasse un profondo sospiro. - Ci sono molte cose,
nell’universo, e non possiamo essere ritenuti responsabili di tutto quello che
succede. Qui ci sono persone che amiamo, che vogliamo proteggere, anche a costo
della nostra vita.
Noi vogliamo le stesse cose che volete voi: vivere in pace. Non dovrebbe essere
troppo difficile da capire, credo... -
- Fai lo spiritoso, adesso? - borbottò Ross serrando i pugni.
Max lo fissò senza replicare, e Howard intervenne per placare gli animi. -
Evans, capisco il tuo punto di vista, ma devi anche comprendere che noi abbiamo
la responsabilità di milioni di esseri umani. Se... -
- Non ci sono “se”. La questione è molto semplice: o vi fidate, o non vi
fidate. Noi non abbiamo mai attaccato per primi, ci siamo solo limitati a
difenderci. Ci avete perseguitato, ci avete rinchiuso, ci avete torturato.
Sapete che abbiamo il potere di distruggervi, eppure non lo abbiamo fatto.
Questo dovrebbe significare qualcosa, no? -
L’uomo studiò l’espressione intensa dello sguardo magnetico dell’alieno che
sedeva davanti a lui. Sì, infatti. Per questo è stato dato l’ordine di
sorvegliarvi, anziché di sterminarvi -
A quelle parole Liz emise un gemito soffocato e si strinse al marito. - Non è
giusto... - sussurrò.
- Non vogliamo la guerra. Non l’abbiamo mai voluta - disse piano Max.
- Neanch’io. Ma sono solo un portavoce. E l’FBI - accennò al capitano Ross, - è
il braccio. Il fatto è che i vertici del paese temono quello che potrebbe
accadere se... -
- ...se ci comportassimo come i mostri di un film di fantascienza di serie B! -
lo interruppe Michael sdegnato. - E noi cosa dovremmo dire? Non possiamo
neppure uscire di casa senza correre il rischio di essere rapiti! -
- Michael, smettila! - intervenne Max.
- Perché? Tu sei disposto a lasciare che ti ammazzino pur di non mettere in
pericolo la vita di Liz, dei tuoi figli, di tutti noi! Beh, io invece non
voglio che ti uccidano! Sei il mio migliore amico, e anch’io voglio fare
qualcosa per difendere la tua vita! Anche se sarà molto difficile far entrare
un po’ di sale in zucca a questa gente! -
Max sorrise suo malgrado per l’irruenza del giovane. - Ti ringrazio, Michael,
ma spero che riusciremo a raggiungere un accordo senza dover ricorrere alle
maniere forti... -
- E come? - protestò lui.
- No! - esclamò all’improvviso Shiri, protendendo una mano davanti a sé e
l’altra verso il polso del fratello.
Tutti si volsero di scatto a guardarla e lei concentrò l’attenzione su Gabriel
Ross. - Vuole prendere la mamma come ostaggio - disse con voce tremante.
Intorno alle sue dita l’aria stava cominciando a vibrare.
- Ferma, tesoro! - Max si alzò e le mise una mano sulla spalla. - Non gli
permetterò mai più di portare via nessuno di noi, stai tranquilla! - Guardò poi
duramente il federale. - Shiri non legge nel pensiero, ma è in grado di
avvertire le sensazioni. Sensazioni di odio, e di paura. Ross, finché non verrà
a patti col terrore che prova per noi non sarà possibile parlare di pace -
Howard fece scorrere lo sguardo su tutti i presenti. Negli occhi degli alieni e
dei loro compagni c’era determinazione, in quelli di Ross timore e sconcerto. E
lui? Cosa provava lui? Lentamente si mise in piedi. - Non sarà facile
coesistere, ma ci proveremo. Mi rendo conto che dopo quello che vi è stato
fatto non potremo mai avere la vostra piena collaborazione. Me ne dispiace, ma
capisco che sia inevitabile... Ripeto la promessa che il presidente vi ha già
fatto: sarete lasciati in pace finché avremo la certezza che non state
complottando contro di noi. - Davanti all’espressione indignata di Maria
sorrise e fece un piccolo gesto di scusa con la mano. - Sì, lo so che non avete
alcuna intenzione di attaccarci, ma come ho già detto io sono solo un
portavoce... Spero che tu, Morgan, vorrai fare da tramite tra voi e noi. -
- Non sarò la vostra spia - disse piano il giovane. - Quando ci sarà qualcosa
da dire lo farà Max, o lo faremo tutti insieme. E mio padre sa che farò tutto
il possibile per proteggere mia moglie. Anche sparire dalla faccia della terra,
se sarà necessario... -
Isabel gli prese la mano e la strinse convulsamente. Sentiva la sua sofferenza,
la tristezza di sapersi ormai dall’altra parte della barricata, e cercò di
trasmettergli forza e calore.
- Noi abbiamo fatto quello che potevamo per provarvi la nostra buona fede. Ora
sta a voi dimostrare la vostra. L’universo è immenso e questo non è l’unico
pianeta abitato. Dovete imparare ad accettarlo... -
- Le tue sono parole dure, ragazzo - obiettò Howard.
Max non rispose, limitandosi a guardarlo negli occhi. Allora l’uomo scrollò le
spalle, poi fece un cenno di saluto col capo e, seguito dal capitano Ross, se
ne andò.
Erano trascorsi solo pochi minuti quando dalle scale scesero giù Lhara, Krentz,
Jim e Kyle Valenti. Anders era invece rimasto di guardia al piano di sopra.
- Cercherò di tenerli d’occhio insieme a Michael. Immagino che tu e Isabel
partiate domani, vero? - disse Jim guardando interrogativamente Morgan.
L’uomo sorrise allo sceriffo e annuì. - Sì, ma abbiamo cambiato destinazione.
Andremo a Dallas, è più vicino e... Isabel preferisce così... -
- E voi? - chiese l’uomo rivolgendosi a Max e Liz.
- Ce ne andiamo stasera. Ci mancano soltanto due esami poi potremo trasferirci
a El Paso. -
- E... i vostri angeli custodi? -
Michael guardò la faccia scura di Lou e sghignazzò. - Secondo me Max non
riuscirà a liberarsi di lui. Magari di Anders sì, dato che ha la responsabilità
della sicurezza del palazzo del governo, ma Lou resterà qui ad ogni costo, ne
sono più che sicuro! -
Max gli diede un’occhiataccia, poi scosse la testa. - Sì, credo che tu abbia
ragione. Ok, Lou, puoi restare qui. Ma Anders ripartirà subito. Michael,
Isabel, ho bisogno del vostro aiuto. Jason, vieni anche tu. -
- Dove? - chiese perplessa Isabel.
- Nel deserto. Non voglio che il satellite registri il movimento
dell’astronave, o tutta questa maledetta storia ricomincerà daccapo. Useremo i
graniliti per trasferirla nello spazio profondo -
- Questa mi sembra un’ottima idea! - Michael estrasse dalla tasca dei pantaloni
le chiavi della jeep e si diresse verso la porta di casa mentre Lou andava a
chiamare il suo superiore.
Per quanto malvolentieri l’uomo dovette sottostare all’ordine di Max e lo seguì
senza protestare.
Anche Jim e Kyle Valenti se ne andarono, e Liz, Shiri e Lhara rimasero sole con
Morgan.
- Vuoi venire con noi ad Albuquerque o preferisci restare qui? - domandò Liz a
Lhara.
- Io... veramente non saprei... - La ragazza si avvicinò pensierosa alla
finestra e guardò la vettura allontanarsi fino a scomparire alla sua vista.
- Tuo fratello ti ha affidato a Max. Forse sarebbe meglio che restassi con noi,
non credi? -
- Sì, forse... -
- Guarda che Kyle non vive a Roswell ma sta frequentando l’accademia di polizia
a Santa Fe! - le sussurrò Shiri ammiccando.
Per la prima volta nella giornata Lhara sorrise apertamente. - Bene, mi hai
convinta: verrò con voi! -
Liz le guardò perplessa. Non aveva sentito quello che Shiri aveva bisbigliato
all’amica, però era evidentemente servito a farla decidere. Prese la figlia per
mano e la condusse con sé in cucina. - Su, andiamo ad aiutare Diane a preparare
la cena. Morgan, resti a mangiare qui? -
- Sì, certo... - L’uomo era un po’ giù di tono. L’incontro appena concluso non
era stato molto piacevole, e gli ci sarebbe voluto del tempo per smaltire la
rabbia sotterranea che lo aveva assalito nel rendersi conto della precarietà
della situazione. Ora comprendeva come mai Isabel fosse così ansiosa di
proteggere suo fratello e i suoi amici. Doveva essere inevitabile, quando
sapevi che tutto era contro di te... E sapere che lui non poteva fare nulla per
cambiare le cose lo faceva imbestialire. No, non era assolutamente giusto che
solo per il fatto di avere origini diverse quei tre ragazzi, e le persone in
qualche modo legate a loro, dovessero sentirsi sempre braccati!
Quando infine si ritrovarono tutti seduti a tavola, Diane e Phillip Evans,
Michael e Maria, Max e Liz coi loro figli, Lhara, Isabel e lui stesso, mentre
Lou Krentz vigilava come sempre dal piano superiore, Morgan notò i volti
segnati dalla fatica di coloro che avevano accompagnato Anders nel deserto.
Aveva capito solo vagamente quello che avevano intenzione di fare per evitare
che il Norad avesse sentore di quello che stava succedendo, ma doveva essersi
trattato di qualcosa di molto duro. Forse Isabel gliene avrebbe parlato, o
forse no. Non era importante, in realtà. A lui bastava saperla di nuovo lì,
accanto a sé. Quasi automaticamente la sua mano andò a coprire quella sottile
ed elegante di Isabel. Lei si volse a guardarlo negli occhi con un dolce
sorriso sulle labbra, e Morgan sentì per la prima volta che si appartenevano
davvero.
Shiri li fissò con un’espressione divertita sul bel visetto, poi si rivolse al
fratello. - Credo di aver capito quello che voleva dire la nonna, ieri... E’
una sensazione molto bella, vero? -
Jason annuì pensoso. - Sì -
Scritta da Elisa |