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SENTIMENTI D'AMORE, SENTIMENTI D'ODIO


Riassunto: Le disavventure nell’area 51 hanno profondamente segnato Liz e Max. Solo i poteri di Jason e Shiri riusciranno a guarirli, ma al loro amore si affianca l’odio di Gabriel Ross nei confronti dell’ignoto.

Data di stesura: dal 19 maggio al 22 luglio 2002.

Valutazione: adatto a tutti.

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.

Indirizzo e-mail: ellis@roswellit.zzn.com


- Ehi, cosa vedono i miei occhi! Il bel Romeo senza la sua Giulietta! -
Max raddrizzò di colpo la testa lasciando a mezz’aria il cucchiaino pieno di torta. - Kyle?!? - Sorrise incredulo e tese la mano libera verso l’amico, che si affrettò a stringerla ridendo divertito. Sorpreso di vedermi? -
- Sì, certo! Quando sei arrivato? -
- Ieri sera, giusto in tempo per il matrimonio della mia sorellina... Mio padre mi ha detto che tu e Liz siete a Roswell da qualche giorno. Come mai? Avete già finito gli studi? -
Il giovane scrollò le spalle e si mise a giocherellare con quel che rimaneva del dolce nel piatto che aveva davanti. - No, non ancora. E tu? -
- Mi mancano due anni e poi potrò intraprendere una gloriosa carriera come poliziotto!... - Kyle prese in mano il bicchiere pieno a metà di un liquido scuro e lo annusò incuriosito, poi fece una smorfia. Non sei qui con Liz, vero? - disse riposandolo sul tavolo. - Soltanto voialtri riuscite a bere degli intrugli così schifosi! Che diavolo è? -
- Pepsi, succo d’arancia e una punta di latte - Michael, tornato in quel momento, si accostò a Kyle.
- Ciao. Come sta lo sposino? -
Il ragazzo fissò con sguardo duro Valenti prima di scambiare una rapida occhiata con Max. - Senti, mi fa piacere averti rivisto, un po’ meno sapere che diventeremo... cognati..., ma adesso sloggia. Io e Max dobbiamo parlare, e tu sei di troppo -
Kyle socchiuse gli occhi con l’aria di chi la sa lunga. - Oh, sì... L’invasione è iniziata... - Tornò a guardare Max, un sorrisetto ironico sulle labbra sottili. - Ho saputo che hai avuto un altro figlio - aggiunse come spiegazione. Il lampo d’improvviso dolore sul volto dell’amico lo colse di sorpresa. Ehi, ci sono problemi? - chiese a bassa voce.
- No - La risposta di Max giunse in fretta, quasi a voler impedirgli di continuare. - Scusate, devo andare - Si alzò di scatto, mise alcune banconote sul tavolo e uscì senza salutare.
Michael si sedette al posto lasciato vuoto e fissò Kyle con espressione bellicosa. - Sei sempre il solito! -
- Senti, io ho solo fatto una battuta, non ho detto niente di sconvolgente, e se lui se l’è presa a quel modo... beh, non so proprio cosa farci! -
L’alieno bevve una sorsata della sua bibita e per qualche minuto osservò l’andirivieni dei camerieri e dei clienti, poi emise un profondo sospiro e tornò a guardare il giovane. - Senti, Kyle, da quando sei andato all’Accademia sono successe... tante cose. La maggior parte non belle, purtroppo. Piuttosto, tuo padre ti ha detto che Amy non conosce il nostro segreto, vero? -
- Sì -
- Ok. Senti, le cose stanno in questo modo: Max e Liz ne hanno passate di tutti i colori. Oddio, ad essere sinceri anche io e Maria abbiamo avuto la nostra parte di guai, ma quei due... - Scosse la testa e si lasciò andare contro lo schienale imbottito del divanetto. - Il loro è un amore totale. Sai... per tutta la vita e oltre... cose di quel genere, insomma... -
Kyle annuì e appoggiò il mento nel cavo della mano. - Già, ricordo... l’unione delle anime... roba da far venire la nausea... -
Michael lo guardò storto. - Ne riparleremo quando avrai incontrato una ragazza per cui sarai disposto a dare la vita senza pensarci su nemmeno un istante -
Il ragazzo sbuffò. - Sì, va bene. Adesso vai avanti, per favore... -
- Beh, tieni presente che se non fosse stato per Max nessuno di noi ora sarebbe qui. Vivo. Quindi ti consiglio di stare attento a quello che dici. E non aspettarti neonati al mio matrimonio. Sabato alle undici, a casa Evans. Ci vediamo, Kyle! - Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una generosa mancia e la depose accanto al resto dei soldi poi se ne andò a sua volta, lasciando l’amico perplesso e pensieroso.
Camminando a passo svelto Michael andò a prendere la sua jeep e si diresse verso l’abitazione degli Evans, sicuro di trovare Max lungo la strada. Così fu, infatti, e si affrettò ad accostare per permettergli di salire a bordo. - Tutto bene? - chiese guardandolo un attimo prima di reimmettersi nel traffico.
- Sì, certo. - Max si allacciò la cintura di sicurezza poi chiuse gli occhi sentendosi stremato.
- Liz sta meglio? -
Il giovane scosse lentamente la testa. - No. Continua ad avere incubi -
- E’ comprensibile. A volte anche Maria si sveglia gridando... Hanno bisogno di tempo, Max... abbiamo tutti bisogno di tempo. Stavolta ce la siamo vista davvero brutta... -
Max rimase in silenzio. Cosa poteva dire? Che anche lui si svegliava fradicio di sudore, dopo aver rivissuto all’infinito l’orribile momento in cui quell’infermiere sparava a sangue freddo contro Liz? Che come chiudeva gli occhi rivedeva il sangue sgorgarle a fiotti dalla ferita nel petto e allora si stringeva a lei, solo per scoprire le terrificanti immagini che si rincorrevano nel suo inconscio? Quando la toccava Liz si ridestava sempre di scatto, tremando per l’angoscia, e passavano il resto della notte facendo l’amore con disperazione. Erano entrambi distrutti dalla stanchezza, dato che non riuscivano a dormire da quando erano fuggiti dall’area 51, e non c’era niente che potessero fare tranne cercare conforto l’una nell’altro. Ma Liz era ormai giunta al limite della resistenza, e sentiva che tra poco anche lui avrebbe ceduto.
A Michael quasi sfuggì l’insegna del gioielliere dove aveva ordinato le fedi, e qualcuno suonò il clacson con foga mentre, inserita la freccia all’ultimo momento, s’infilava in un provvidenziale spazio tra due auto parcheggiando senza troppa cura. - Aspettami qui, torno fra un attimo! -
Max lo guardò allontanarsi e si passò entrambe le mani sul viso. “Accidenti, dovevo aiutarlo e invece non mi sono neppure ricordato degli anelli...”
Pochi minuti più tardi Michael era di nuovo seduto accanto a lui. Gli porse una scatolina di velluto verde scuro. - Tieni. E mi raccomando, vedi di non dimenticartela! - Poi avviò il motore e ripartì. - La prossima tappa è al supermercato. Devo ritirare il materiale per le decorazioni e portarlo da Amy. Te la senti di venire? Oppure vuoi che ti riaccompagni a casa? Magari preferiresti controllare Liz... -
- Io... Ti dispiace? - Max lo guardò con aria di scusa, ed il giovane fece una spallucciata. - Non preoccuparti, posso farcela da solo! -
Quando furono davanti alla villetta degli Evans Michael si girò a fissarlo negli occhi. - Ne hai parlato con Isabel? Forse lei potrebbe aiutarvi... -
Senza dire nulla Max ricambiò lo sguardo per un lungo istante prima di scendere dalla jeep. - Grazie del passaggio - mormorò a capo chino.

Liz emise un debole lamento e volse il capo premendo contro il cuscino la mano di Max, poi si svegliò di soprassalto. In silenzio si sollevò a sedere e lo abbracciò.
Lui la strinse dolcemente contro di sé lasciando che quel contatto placasse entrambi. Ma non potevano andare avanti a quel modo... Nessuno dei due aveva mai chiuso occhio, quella notte, e solo poco prima che fosse l’ora di alzarsi Liz era scivolata in un sonno irrequieto. Allora le aveva baciato la tempia lasciando che sensazioni di calore e tenerezza l’avvolgessero per darle un po’ di tranquillità. Purtroppo l’effetto non era durato a lungo, a giudicare dal pallore del suo viso. Doveva assolutamente fare qualcosa! Le accarezzò a lungo i capelli poi le diede un bacio sulla fronte e chinò la guancia sulla sua testa. - Forse dovremmo parlarne con Isabel... -
Liz capì subito a cosa si riferisse e si agitò tra le sue braccia. - No, ti prego! E’... è troppo... personale... - Si aggrappò a lui scostando leggermente il capo per poterlo guardare negli occhi. - Io... lo so che stai male anche tu, ma... questa cosa riguarda solo noi... quello che abbiamo visto... quello che abbiamo provato... Non me la sento di parlargliene... -
- Va bene. Non preoccuparti, troveremo un altro modo... - Si curvò un poco in avanti per baciarla sulle labbra, un bacio profondo colmo di tutto l’amore che nutriva per lei, poi la lasciò andare sorridendo. - Ti va di uscire? -
- D’accordo. Dove andiamo? -
Max prese il foglietto che aveva posato sul comodino prima di sedersi accanto a lei e lo sventolò davanti al suo naso. - Mia madre ha portato i ragazzi al centro commerciale per comprargli un vestito elegante. Li raggiungiamo? -
- Certo - La tensione era scomparsa dal volto della giovane, che fece per tirare via il piumino ma poi, colta da un improvviso attacco di timidezza, si immobilizzò. - Ti spiace lasciarmi sola? Faccio in un attimo, te lo prometto! -
- Ok -
Un’ora più tardi entrarono nel mall e cominciarono a cercare tra i vari negozi di abbigliamento finché scorsero la torreggiante figura di Lou Krentz.
- Dove c’è Lou c’è Shiri. Vieni, andiamo a vedere... - Max strinse forte le dita di Liz, intrecciate alle sue, e spinse la porta a doppio battente di spesso cristallo della raffinata boutique.
- Tua madre dev’essere impazzita! - sussurrò la ragazza. - Questo posto ha dei prezzi spaventosamente alti! -
- Sì, forse, ma guardala... -
Diane Evans era ferma al fianco dell’antariano e osservava sorridendo Shiri, che indossava un bellissimo vestito color bronzo dal bustino aderente e la gonna leggermente a svasare che le sottolineava le gambe dritte e slanciate. - Oh, tesoro, sei... sei perfetta! - disse con voce commossa.
Shiri si morse le labbra dubbiosa poi guardò il fratello, che fece un cenno di approvazione col capo. Stai molto bene, è vero... -
Fu un attimo, ed entrambi i ragazzi si voltarono verso l’ingresso prima di correre incontro a Liz e Max.
Max abbracciò forte il figlio sollevandolo leggermente da terra. - La nonna vi sta facendo disperare? - chiese ridendo.
- No. Si tratta di Lou. Non gli va che stiamo in un posto così affollato - Jason cinse il collo del padre con un sospiro di gioia. Adorava stare così, avrebbe voluto sentire sempre quel corpo forte e caldo contro di lui. Lo faceva stare... bene. Girò la testa per guardare la sorella ferma davanti alla madre e accennò un piccolo sorriso misterioso.
Le due si stavano scrutando con attenzione. Liz osservò l’abito, le delicate forme che metteva in evidenza, e rabbrividì. Shiri aveva solo tre settimane di vita ed il corpo di una undicenne. Era... sconvolgente... Studiò poi il viso. Aveva gli occhi dello stesso colore del padre, le sopracciglia dritte, lo stesso profilo, ma il sorriso, a detta di Max, era il suo. Lei non ne era del tutto convinta, però sapeva che nell’insieme la bambina era davvero splendida. E possedeva lo stesso magnetismo di Max.
Anche Shiri studiò sua madre. Era bella e dolce come sapeva dai ricordi di Jason, ed emanava luce e amore. Ma era anche molto triste e stanca. Poteva percepirlo, e avrebbe voluto aiutarla. Da quando l’aveva rivista per la prima volta qualche giorno addietro aveva avvertito un groviglio di forti emozioni provenire da lei, e in quel momento provò il desiderio di alleviare la sua sofferenza. Avanzò di un passo con decisione e le mise una mano sulla tempia, riversando nella sua mente tutto l’affetto che sentiva per lei.
Trattenendo il fiato Liz coprì con la propria la mano della figlia e gli occhi le si colmarono di lacrime. Con un gemito soffocato se la strinse al petto. - Oh, Shiri, sei il mio piccolo tesoro... Ti voglio bene, amore... - La tenne abbracciata a lungo, poi tirando su col naso si staccò da lei e si portò alle labbra la mano che era rimasta fino a quel momento sulla sua tempia. Sei molto bella con questo vestito, sai? - disse sorridendo. Guardò poi Jason ed il sorriso le si fece più ampio. - E tu sei come tuo padre. Siete sexy qualsiasi cosa indossiate! -
Il ragazzino si guardò i jeans e la maglietta grigia che portava. - Cosa vuol dire sexy? - chiese incerto.
- Che quando sarai più grande farai strage di cuori - Diane rise divertita e scompigliò affettuosamente i capelli di Jason, che ricadevano con una lunga frangia rada fin sopra i grandi occhi verde nocciola.
- Bene, abbiamo trovato il vestito per Shiri. E adesso tocca a te! - Mise una mano sulla spalla del nipote. - Vieni, andiamo laggiù in fondo... - Con un cenno del mento indicò l’estremità opposta del negozio, dove si trovava il settore maschile.
Liz sospinse la figlia verso il camerino. - Vai a cambiarti, tesoro, così poi andiamo a vedere cosa combinano gli altri! -
Shiri le ricambiò il sorriso contenta. Sapeva che adesso era più serena, ed era felice di aver potuto fare qualcosa per lei. Si rimise in fretta i jeans a vita bassa e la canottierina verde scuro poi scostò la tenda e fu di nuovo accanto alla madre, che fece una piccola smorfia nel vedere le sue scarpe da ginnastica. - Dovremo comperare delle scarpe adatte... -
Lou Krentz osservò in silenzio Jason in un completo blu scuro con la camicia bianca, poi lo confrontò con il padre. I due si somigliavano in modo impressionante. Non solo nell’aspetto fisico ma anche nella forza interiore, nella profondità dello sguardo. Possedevano entrambi un grande carisma ed emanavano quel qualcosa di indefinibile che aveva sempre caratterizzato i maggiori sovrani di Antar. Con la coda dell’occhio seguì l’avvicinarsi di Liz e di Shiri. Anche quest’ultima era dotata di un enorme potere personale, che la rendeva estremamente affascinante e capace di ammaliare anche i sassi. Il colonnello Anders aveva detto una volta che Liz sarebbe diventata una gran donna, ma non poteva immaginare che miscela esplosiva sarebbe stata sua figlia...
Quando tornarono a casa erano pieni di buste, soddisfatti per aver trovato tutto quello che cercavano, compreso un nuovo abito per Liz. Dopo pranzo la ragazza andò a salutare i figli, che si erano ritirati in camera con Max per esplorare un po’ il mondo di Internet. - Maria mi sta aspettando per andare a comperare l’abito da sposa. Ci vediamo più tardi... -
Stava per uscire di casa ma una mano si posò sulla maniglia aprendo la porta per lei. Sospirando, Liz si voltò. - Colonnello, per favore, non ho bisogno che venga con me! -
- Mi dispiace, Altezza, ma io preferisco accompagnarla. Lo consideri come un favore personale, la prego... -
Con uno sbuffo Liz lasciò che le si affiancasse e s’incamminò verso la fermata dell’autobus.
Vedendo l’amica seguita dalla guardia del corpo Maria alzò le braccia in segno di protesta. - Ehi, non possiamo girare per negozi con lui! -
- Lo so, ma... forse è meglio così. Dai, andiamo, adesso -
Maria la studiò di sottecchi mentre camminavano lungo la Main Street. - Hai ancora gli incubi? - le chiese a bassa voce.
Liz annuì lentamente. - Nemmeno Max riesce a dormire. Non vedo l’ora di andare a El Paso: forse lì, in un ambiente nuovo, potremo stare meglio... -
- Ancora in fuga, Liz? -
Lei si strinse nelle spalle. - Stavolta non sarò sola. -
- No. Ma quello che è dentro di te ti seguirà ovunque andrai. Devi liberartene, altrimenti non starai mai veramente bene!... -
- Tu come hai fatto? -
- Oh, sono solo stata più fortunata. Tu... tu ne hai sopportate talmente tante, in questi ultimi tempi... - Le circondò le spalle con un braccio e le diede un piccolo bacio sulla guancia. - Adesso non pensarci più! Jason e Shiri sono tornati a casa, ed io sto per sposarmi con Michael. Che altro si può desiderare dalla vita? - Rise con lei, poi le indicò una vetrina. - Cosa ne pensi di questo? -
- Mm... No, troppi fiocchi. Però entriamo lo stesso, magari dentro hanno qualcosa di più adatto... -
Il presentimento di Liz si rivelò esatto. Maria si guardò a lungo nello specchio a figura intera ammirando il delicato tessuto di seta che le sottolineava la linea armoniosa del corpo. Il vestito era molto semplice e le stava d’incanto, rispecchiando l’animo limpido e privo di artifici della ragazza.
Mentre la commessa riponeva l’abito nell’apposita custodia Liz guardò Thien Anders, fermo sul marciapiede a lato dell’ingresso e sorrise suo malgrado. - Stamattina Lou è andato con i ragazzi e Diane a fare acquisti, e oggi pomeriggio è toccato a lui... Non ha l’aria di divertirsi molto... -
Maria si sporse per vedere e sorrise a sua volta. - Sì, hai ragione. Beh, credo che sia letteralmente terrorizzato all’idea che possa succederti qualcosa! Quell’uomo ha una vera e propria venerazione per te, dammi retta... - Presa la grossa busta che le veniva porta passò il braccio sotto quello di Liz ed uscì dal negozio con aria soddisfatta.
Le due amiche passarono poi a casa di Amy e Jim e trovarono Michael e Kyle intenti a preparare le decorazioni seguendo le direttive della donna, affaccendata ad infornare torte su torte.
- Ciao Liz, ciao Maria! - James Valenti le invitò ad accomodarsi e fece un segno al militare alieno. Tutto a posto? -
L’uomo annuì in silenzio prima di controllare ancora una volta i paraggi, dopodiché entrò e fece una rapida verifica di quanto si vedeva dalle finestre.
In cucina vide Michael e s’irrigidì impercettibilmente. Con tono sommesso fece un brevissimo rapporto, al termine del quale il giovane lo invitò a sedersi e a dare il suo contributo nella confezione degli addobbi che l’indomani avrebbero dovuto cominciare a montare nell’atrio della casa degli Evans.
Liz, che aveva seguito la scena senza fiatare, serrò le labbra. La infastidiva il fatto che Anders avesse riferito tutto quello che era successo quel pomeriggio, anche se si rendeva conto di come l’uomo trovasse naturale parlare con il braccio destro di Max. Le seccava l’assoluta mancanza di privacy e avrebbe voluto gridare perché la lasciassero finalmente sola insieme alla sua famiglia. Ma sapeva che sia Michael sia Max si sentivano più tranquilli se Anders e Krentz seguivano Jason, Shiri, Maria e lei stessa, così dovette limitarsi a stringere i pugni prima di incontrare lo sguardo divertito dell’amica. - Dai, diamogli una mano, altrimenti dovranno continuare per tutta la notte! -
Con un sospiro rassegnato si sedette accanto a Michael e cominciò a piegare con cura i lunghi steli di fil di ferro dei bellissimi fiori di carta unendoli a formare ghirlande multicolori.
Verso le sei e mezza si alzò, subito imitata dal colonnello Anders, salutò tutti i presenti e tornò a casa, dove venne accolta con entusiasmo dai figli. Li abbracciò affettuosamente prima di lasciarsi stringere dal marito, che le carezzò il viso osservandola con attenzione. Sorrideva, ma si vedeva che era molto stanca. - L’avete trovato, il vestito? -
Lei fece un piccolo cenno col capo poi premette la fronte contro la sua spalla. - Sì. E’ molto bello... -
Max alzò lo sguardo sull’ufficiale, che si mise sull’attenti. - Niente di sospetto. Vado a fare un giro di perlustrazione qui attorno poi verrò a riferirle, Altezza. - Fece un passo indietro e se ne andò senza aggiungere altro.
Phillip Evans, che aveva assistito non visto al breve colloquio, si avvicinò al figlio e notò le linee di tensione sul suo volto. - Qualcosa non va? -
- No, no, è tutto a posto... Di’ alla mamma che adesso vengo ad apparecchiare, per favore... -
L’uomo annuì e si allontanò con discrezione. Era consapevole dello sfinimento dei due giovani e avrebbe voluto che prendessero almeno una volta dei sonniferi per poter dormire una notte intera, ma loro non avevano accettato e non poteva dargli torto. Lui vi aveva fatto ricorso in un paio di occasioni e dopo si era sentito così debole che li aveva buttati via.
Era molto tardi quando Liz e Max si ritirarono nella loro stanza, sperando che la stanchezza avesse finalmente la meglio sugli incubi. Invece la ragazza cominciò subito ad agitarsi e Max l’abbracciò forte per cercare di calmarla. Singhiozzando disperata Liz aprì gli occhi e si strinse a lui. - Non ce la faccio più... Ti prego, aiutami... - balbettò.
Il giovane le accarezzò la schiena mentre le sfiorava la fronte con tanti piccoli baci leggeri, desiderando con tutto se stesso di poter cancellare dalla sua mente quei ricordi. Quando era intervenuto sulla memoria degli uomini dell’FBI aveva agito con decisione, senza preoccuparsi di eventuali conseguenze. Ma la verità era che non poteva rimettere a posto quella parte del cervello dove aveva sede la memoria così come faceva con le cellule normali, quando un ricordo spariva, spariva per sempre. E lui non poteva rischiare di farle del male, non se lo sarebbe mai perdonato. Con un sospiro le sollevò il volto e la baciò sulle labbra. Di lì a poco sentì svanire il tremito che la scuoteva, ed il corpo di Liz divenne morbido contro di lui. Si sforzò di restare sveglio per continuare a vigilare sul suo sonno ma ben presto si addormentò e cominciò a sognare.
L’angoscia che emanava da entrambi ridestò sia Jason che Shiri. I due ragazzi rimasero per un istante immobili nel buio, protesi verso quell’intensa emozione, poi si alzarono e senza fare alcun rumore si intrufolarono nella camera dei genitori. La nuvola che adombrava la luna si spostò e una fievole luce argentata ne mostrò i corpi abbracciati e bagnati di sudore.
Senza bisogno di parlare si sedettero accanto a loro e con gentilezza gli posarono una mano sulle tempie. Per un lunghissimo istante condivisero l’orrore che li dilaniava, ma poi lentamente tutto svanì ed un profondo senso di pace calò su entrambe le coppie. Scambiandosi un sorriso birichino i bambini si accucciarono accanto al padre e alla madre e si addormentarono beati.
In fondo al corridoio, sdraiato sul sacco a pelo che usava come giaciglio, Lou si era svegliato nel sentire l’impercettibile cigolìo della porta della stanza dei principi e li aveva visti uscirne. Intuendo quali fossero le loro intenzioni, dato che era perfettamente consapevole della loro sensibilità e chiunque, in quella casa, si era reso conto del malessere dei reali, rimase immobile ad ascoltare i rumori della notte dopodiché, tranquillizzato, chiuse gli occhi e riprese a dormire. Al piano di sotto, dove stava facendo il suo turno di sorveglianza, il colonnello Anders fu attirato da un sommesso rumore esterno. Si avvicinò con cautela ad una finestra e vide un grande veicolo avanzare a fari spenti. Attese fin quando si fu arrestato a pochi metri dal vialetto d’ingresso poi uscì dalla porta sul retro e fece un rapido giro di perlustrazione. A quanto sembrava non c’era niente altro, a parte quell’enorme camion, da cui vennero scaricate una dopo l’altra tre vetture. Evidentemente non era la prima volta che quel mezzo veniva usato per un lavoro del genere perché ci fu solo un leggero brusio meccanico, e l’uomo che scese dalla cabina di guida per controllare che fosse tutto in ordine si limitò a dare un’occhiata alla strada, deserta a quell’ora. Non sapendo cosa pensare di quelle strane manovre, l’alieno fece un’altra verifica intorno alla casa prima di rientrare.
Il primo ad arrivare in soggiorno, poco dopo l’alba, fu il signor Evans. Anders lo invitò con un cenno della mano a seguirlo accanto alla finestra che dava sulla strada e ne osservò incuriosito la reazione.
- Maledetti bastardi... - fu il commento dell’avvocato. - Quelle sono le nostre macchine. Devono averle prese ad Albuquerque, e solo il cielo sa perché ce le abbiano restituite... -
- Forse perché, almeno così sembra, godiamo della protezione presidenziale? -
- Ciao, Diane! Ti ho svegliata? -
- No, caro. Credo che soltanto Jason e Shiri riescano a dormire bene, in questi giorni... - La donna raggiunse il marito e scostò decisa la tendina. - Era il minimo che potessero fare, dopo quello che hanno combinato. Bene, vado a preparare la colazione. E dopo, colonnello, le consiglio di andare a riposare un po’! - Con un sorriso gentile Diane si strinse la cintura della vestaglia e andò in cucina.

Liz si stiracchiò voluttuosamente contro il corpo muscoloso del marito ed emise un sospiro di beatitudine. - Max... - Socchiudendo appena gli occhi gli cinse il collo con le braccia prima di baciarlo, e rabbrividì di piacere nel sentire la passione con cui lui la ricambiò. Fece per scivolargli sopra quando si rese conto che non erano soli. - Jason?!? - mormorò vedendo la sagoma vestita con un pigiama grigio scuro che era appartenuto a Max sdraiata talmente vicina al bordo del letto da rischiare di cadere da un momento all’altro. Poi, insospettita, si volse a guardare dietro di sé e vide Shiri. Stupefatta, si raddrizzò tenendosi il lenzuolo stretto al seno. Contemporaneamente, anche Max si era messo a sedere e stava guardando i figli ancora immersi nel sonno. Un’espressione di tenerezza gli si dipinse sul volto mentre si piegava a deporre un bacio sulla fronte di Jason. - Penso... che siano stati loro a permetterci di dormire senza avere incubi, questa notte... - disse sottovoce per non svegliarli.
Liz sfiorò con le dita i capelli di Shiri, sparsi come uno spesso tappeto bruno intorno alla sua testa. La ragazzina indossava una camicia da notte della nonna, che le arrivava quasi alle caviglie, e giaceva distesa sul fianco col viso rivolto verso di lei. - Sì, lo credo anch’io. Ricordo di essermi addormentata mentre eri con me, poi... poi sono ricominciati gli incubi... ma ad un tratto sono spariti. Così, all’improvviso, e al loro posto ho sentito tanta... pace... - Si girò verso Max sorridendo poi scese con attenzione dal letto e prese la maglietta nera che il giovane aveva lasciato la sera prima sulla sedia davanti alla piccola scrivania. Infilatala, si sdraiò di nuovo e prese dolcemente Shiri tra le braccia mentre Jason, con un piccolo sbuffo, rotolava contro il padre. Max tornò a distendersi e rimase a guardarlo dormire finché giunse l’ora di alzarsi. Allora lo baciò sulla guancia e gli mandò indietro la frangia. Buongiorno, coniglietto... -
Il ragazzino aprì gli occhi e lo guardò con aria insonnolita, poi sorrise. - Buongiorno, papà - Si sollevò su un gomito e gli diede a sua volta un bacio sulla guancia. - Hai dormito bene? -
- Come se non lo sapessi! - Max gli stuzzicò un fianco facendolo scoppiare a ridere.
- No, ti prego! - Jason cercò di sottrarsi al solletico, poi si mise di colpo in ginocchio e gli si strinse contro. - Non voglio che soffriate più, tu e la mamma... - bisbigliò con voce tremante.
Il giovane emise un sospiro profondo. - Tesoro, purtroppo questa è una cosa che va al di là dei nostri poteri... Anche io vorrei che la mamma non soffrisse più... vorrei che tu e Shiri poteste tornare ad essere piccoli per crescere come tutti i bambini... vorrei proteggervi sempre ma... ma non è possibile... -
Liz era rimasta ad ascoltarli senza dire nulla tuttavia, sentendo il sordo dolore nelle parole di Max, si volse a guardarli seria. - Voi avete già fatto moltissimo. E’ vero, siete persone speciali, ma avete comunque dei limiti e non dovete sentirvi in colpa per questo. Hai capito, Jason? -
Lui fece un cenno di assenso senza alzare la testa dal torace del padre, poi spalancò gli occhi e fissò con intensità la sorella.
Notando la direzione del suo sguardo Liz si rese conto che anche Shiri si era svegliata, allora le diede sorridendo un buffetto sotto il mento. - Questo vale anche per te, amore... -
La bambina annuì poi l’abbracciò dandole il bacio del buongiorno, dopodiché si mise carponi per girarle intorno e fece la stessa cosa con Max prima di prendere il fratello per una spalla. - Dai, Jason, andiamo giù: la nonna ci sta aspettando. -
Mentre i due uscivano dalla camera il giovane si avvicinò a Liz e la baciò sul collo. - Fra mezz’ora arrivano i Valenti al gran completo per cominciare a montare le decorazioni. Odio doverlo dire, ma... -
- ...ma la nonna ci sta aspettando - La ragazza sorrise prima di gemere per l’audace carezza di Max. - Smettila di toccarmi, altrimenti tua madre resterà delusa! -
Lui le mise entrambe le mani intorno alla vita e si spinse contro i suoi fianchi. - Lo so che adesso non c’è tempo per amarti, ma voglio che tu sappia quanto vorrei tenerti fra le mie braccia e guardarti... Non ne ho mai abbastanza... -
- Se è per questo, anche a me piacerebbe stare così per tutta la vita - Gli toccò sensualmente la schiena con le unghie, poi lo sospinse sotto di sé e scese dal letto. - Sbrigati, o dovrò fare la doccia da sola... -

- Isabel! Ma che sorpresa! - Diane Evans abbracciò la figlia sorridendo contenta prima di salutare con lo stesso entusiasmo Morgan. - Come mai siete venuti qui a quest’ora? Sono appena le otto... -
- Vogliamo aiutarti a preparare la casa. - fu la risposta di Isabel.
- Tesoro, io ti ringrazio ma... anche tu avrai molto da fare per organizzare il tuo matrimonio... Dico bene? - aggiunse guardando il futuro genero con fare interrogativo.
- Veramente proprio ieri è arrivata la segretaria privata di mio padre. E’ stato difficile convincerla che non intendiamo fare una cerimonia nello stile dei Coltrane, ma alla fine ha ceduto e a noi non è rimasto che dirle quello che vogliamo. Dopodiché abbiamo deciso che la cosa migliore era venire qui... -
- Oh, capisco! - La donna scosse il capo divertita e fece loro cenno di entrare. - Stavamo facendo colazione. Volete unirvi a noi? -
- Certo. Come stanno i miei nipoti preferiti? -
- Zia Isabel! - Nell’udire la sua voce Jason si alzò rumorosamente da tavola e corse dalla ragazza, che tese le braccia verso di lui con un sorriso pieno di affetto.
- Ciao, sorellina. - Max, sopraggiunto in quel momento, le passò un braccio intorno alle spalle e la baciò su una guancia. - Visto che bella carovana, qua fuori? -
- Sì, l’ho notata - Isabel lo guardò ansiosa. - Sono stati... quelli dell’FBI? -
- Penso di sì. Anders li ha sentiti arrivare e mi ha fatto un accurato resoconto. A quanto sembra hanno recepito il messaggio e hanno deciso di cominciare a mostrare la loro buona volontà -
- Hai ragione, Max. Non è esattamente nelle loro abitudini, ma direi che questo sia un modo per chiedere scusa. Per quel che può valere... - Morgan fissò accigliato Jason. Niente avrebbe potuto ripagarlo per quello che gli era successo. E lo stesso valeva per tutti gli altri. Ancora una volta ringraziò mentalmente il padre per l’aiuto che gli aveva dato e tese una mano verso Max, che si affrettò a stringerla.
- Coraggio, sbrighiamoci a mangiare perché tra poco arriveranno anche Amy, Jim e Kyle! - Diane li invitò a seguirla nel soggiorno e prese altri piatti dalla credenza.
In effetti ebbero giusto il tempo di rigovernare quando il campanello suonò di nuovo.
- Ho visto che è passato Babbo Natale! - esclamò James Valenti varcando a fatica la soglia, un enorme scatolone tra le braccia.
- Infatti... - Max tolse una scatola altrettanto grande dalle mani di Amy e sorrise a Kyle. - Vieni, voglio presentarti i miei ragazzi - Si girò verso la cucina e chiamò i figli, che lo raggiunsero seguiti da Liz.
Max controllò che Amy fosse impegnata con Diane e poi fece le presentazioni. - Shiri, Jason, questi è Kyle. Un vecchio compagno di scuola e figlio dello zio James. Anche lui studia per diventare poliziotto... -
Nel vedere i nuovi arrivati Kyle lasciò cadere lo scatolone che stringeva ancora al petto e rimase per qualche secondo a bocca aperta. - Oh no, non posso crederci! Sono... sono... -
- Sono cresciuti molto in fretta. E amano la salsa Tabasco anche più di Max... -
Il commento ironico di Liz colpì con forza il giovane, che ne comprese subito il significato nascosto. Quei due ragazzi non erano umani. Quindi, tutto sommato, quella che aveva fatto il giorno prima non era una battuta ma la realtà. Era in corso una vera e propria invasione, e a quanto sembrava nessuno se ne rendeva conto. Guardò Isabel che scherzava con la madre e con Morgan, pensò a Maria che l’indomani avrebbe sposato Michael. E poi, lui stesso era stato guarito da Max. Sapeva che qualcosa dentro di sé era cambiato, e con un brivido si domandò come sarebbero stati i suoi figli. Deglutì cercando di nascondere il disagio che provava prima di fare un cenno di saluto ai due ragazzini. - Ciao... - mormorò impacciato.
- Ciao - Shiri lo fissò intenta, poi sorrise. - Non devi aver paura di noi: mica mordiamo! - Con un movimento aggraziato si avvicinò al padre e cominciò a tirare fuori le ghirlande di carta. - Come sono belle! -
Kyle, rimasto senza parole, incontrò lo sguardo significativo di Max e si sentì arrossire. Per darsi un contegno si chinò sullo scatolone. - Dove sono i chiodi e il nastro adesivo? -
- Vado a prenderli. Grazie per essere venuto, Kyle... - Il giovane poggiò la scatola accanto all’altra e si allontanò seguito dal figlio.
Liz studiò l’amico con una strana espressione sul viso. - Va tutto bene? - gli chiese gentilmente.
- Sì, sì, certo. Lasciami riprendere dalla sorpresa, però... - Kyle si morse le labbra. - Mi spiace, non volevo essere maleducato -
- Non lo sei stato. - lo consolò lei. - Avanti, diamoci da fare... - S’inginocchiò al fianco di Shiri e l’aiutò a disporre le decorazioni sul pavimento.
Con un sospiro il giovane si mise a fare altrettanto col contenuto del secondo scatolone.

Mentre gli invitati si avvicinavano al ricco buffet preparato da Amy, Max ed i suoi amici si dileguarono con discrezione al piano di sopra e si chiusero nella camera che il giovane divideva con Liz,
Michael e Maria si misero uno davanti all’altra, mentre Isabel, Max e Liz si disponevano attorno a loro. Shiri, Jason e Morgan davano le spalle alla porta e osservavano con attenzione.
Michael fissò Maria, bellissima nel suo abito bianco, e sorrise. - Io, Rath, braccio destro del signore di Antar, dichiaro davanti ai miei testimoni - inchinò il capo verso Isabel - e al mio sovrano - ripeté il cenno in direzione di Max - che la mia vita è ora unita alla tua. La tua forza di donna affiancherà la mia forza di uomo. Insieme saremo il sostegno del mio signore. Perché la nostra anima appartiene ad Antar - Si portò la mano di Maria alla tempia, e premette con delicatezza la destra contro la tempia di lei. - Questo è il nostro destino... - Dalle dita si sprigionò un debole chiarore dorato, perché questo è quello che voglio -
Max era in preda ad una forte emozione. Ricordava il momento in cui, con una formula simile, aveva sposato Liz, ed il cuore gli batteva con violenza. Con voce chiara e sommessa pronunciò le parole di rito. - Io testimonio ed approvo questa unione -
Fu poi la volta di Maria che, tremando leggermente, disse: - Io, Maria DeLuca, accetto questa unione, davanti ai nostri testimoni - Sentì una lacrima scivolarle lungo la guancia ma non poté farci nulla. La celebrazione di quella strana cerimonia era per lei molto più importante di quanto era accaduto poco prima nell’ampio ingresso, perché sapeva cosa significasse per Michael la sua eredità aliena, e la consapevolezza che lo aveva accettato e continuato ad amare nonostante tutto. Avrebbe voluto avere il coraggio di Liz, che con Max aveva dichiarato davanti a tutti i sentimenti che li univano a dispetto della loro diversità, ma non se l’era sentita mentre sua madre la guardava commossa. Però lì, in quella piccola stanza, era libera di dire quello che davvero sentiva. - Sei il mio ragazzo dello spazio, Michael, e non ti lascerò mai - Poi fece un passo verso di lui e chiuse gli occhi mentre riceveva un bacio dolcissimo, che le arrivò dritto al cuore.
Quando infine si separarono, i due ragazzi si lasciarono abbracciare e baciare più volte da Shiri e Jason finché non intervenne Liz. - Basta, adesso è il mio turno! - esclamò perentoria, poi strinse Maria in un abbraccio stretto stretto. - Sono così contenta per te... - le disse sottovoce.
- Anche io. Oh, Liz, sono... sono talmente felice! -
Le due amiche rimasero in quel modo per un minuto intero, finché Michael batté sulla spalla di Liz costringendola ad allontanarsi. - Ti spiace...? - Senza darle il tempo di rispondere si chinò a baciare Maria, poi la prese per mano e aprì la porta. - Scendiamo di sotto prima che vengano a cercarci... -

Arrivare ad Albuquerque e scoprire che la casa in cui avevano vissuto fino a poche settimane prima era occupata da un’altra famiglia lasciò sconvolta Liz, che rimase a lungo a guardare fuori dal finestrino senza dire una parola. Anche Max si scoprì a fissare teso la bambina che giocava con il suo cane nel giardino sul fronte strada.
- E’ come se non fossimo mai stati qui... Che fine avranno fatto tutte le nostre cose? E i vestitini di Jason, i suoi giocattoli... - mormorò ad un tratto Liz con voce accorata. Non si aspettava una risposta, in realtà, ma il giovane le coprì delicatamente una mano con la propria.
- Chiamerò Morgan. Forse lui potrà aiutarci -
Sentendo la cupa disperazione dei due ragazzi Shiri si sporse in avanti. - Papà, cosa c’è? -
Max parlò senza guardarla. - Tu sei nata qui. Ma purtroppo questo posto non ci appartiene più - Girò la chiave nel quadro e ingranò la marcia. - Dobbiamo cercare un’altra casa. -
La bambina si riappoggiò allo schienale e si adombrò nel notare l’espressione cupa sul bel volto del fratello.
Jason, comprendendo la sua perplessità, emise un impercettibile sospiro e le spiegò a voce bassissima: - E’ stato qui che hanno fatto del male a papà e mamma, agli zii e ai nonni. -
A quelle parole Anders serrò le mascelle. Lui non era dotato di poteri, eppure aveva percepito il disagio di Zan e sua moglie, e adesso capiva il perché. Per l’ennesima volta si ripromise di vegliare con la massima attenzione sui reali. Fece un cenno d’intesa a Lou, seduto all’estremità opposta, e tornò a studiare la strada.
Furono fortunati. La seconda agenzia cui si rivolsero aveva un appartamento nelle vicinanze del campus che si era reso disponibile appena due giorni prima dato che il precedente inquilino aveva dovuto trasferirsi per lavoro. Non era molto grande, pur essendo suddiviso in tre stanze oltre ai servizi, ma era in buone condizioni. Sapendo che avrebbero dovuto trascorrervi solo pochi mesi prima di andare a El Paso, Max firmò il contratto senza neppure preoccuparsi di vederlo.
La casa si rivelò accogliente e funzionale ed il giovane vi lasciò i figli con i due militari prima di recarsi insieme a Liz all’università per controllare il calendario degli esami.
Mentre varcavano l’ingresso del campus incrociarono Patricia, che li salutò calorosamente.
- Ehi! Che fine avevate fatto? Non solo non siete più venuti alle lezioni, ma avete anche cambiato casa senza dirmi niente! -
Liz abbracciò l’amica mormorando parole di scusa, cui la ragazza rispose con un cenno scherzosamente minaccioso del dito indice. - Per poco non mi è venuto un infarto sabato scorso, quando sono passata a trovarvi e un perfetto sconosciuto mi ha aperto la porta! -
- Sì, capisco, ma vedi... noi... - Liz lanciò un’occhiata a Max cercando l’ispirazione per una risposta plausibile, poi si schiarì la gola. - ...noi siamo stati contattati dall’agenzia che ce l’aveva affittata perché ne aveva bisogno per un cliente di riguardo, così ci è stato proposto un cambio ed abbiamo accettato. Sai, è successo tutto così in fretta che non mi è stato proprio possibile avvertirti... Ma ti prometto che tu e Tony sarete i nostri primi ospiti! -
- Guarda che ci conto! - Rabbonita, Patricia guardò con curiosità la pancia, o meglio l’assenza di pancia di Liz. - E nel frattempo hai anche partorito, a quel che vedo... -
- Ehm... sì. Sì, ho avuto una bambina, questa volta. L’abbiamo chiamata Shiri. -
- Mi piacerebbe tanto vederla! E’ bella come Jason? -
La ragazza annuì con orgoglio materno, poi tremò al pensiero della domanda successiva, che non tardò a giungere.
- Quando posso passare a vederla? Qual è il vostro nuovo indirizzo? -
Fu Max a risponderle. - Abitiamo al 244 di Cherokee Street. Senti, Patty... - Per un attimo abbassò lo sguardo, non sapendo come proseguire, poi emise un profondo sospiro. Prima o poi avrebbero dovuto inventare qualcosa per spiegare la situazione, e tanto valeva farlo subito. - Il fatto è che il mio DNA ha degli... errori... e... e questo ha causato delle alterazioni anche nel DNA sia di Jason che di Shiri. Loro... hanno subìto una crescita accelerata. -
Il volto di Patricia assunse un’espressione incredula. - Mi stai prendendo in giro? Che razza di cose stai dicendo? Liz, che diamine gli ha preso? -
- E’ così, Patty. Jason e Shiri hanno l’aspetto di bambini di undici anni - Il tono di Liz era sommesso ma fermo. Max aveva fatto bene ad imbastire quella spiegazione perché non era possibile tenere i loro figli sempre chiusi in casa, ed inevitabilmente Patricia e gli altri compagni di studi li avrebbero incontrati. Si augurò che la ragazza credesse alle parole di Max, poi accennò un sorriso. - Adesso dobbiamo proprio andare, scusaci. Che ne dici di venire a cena venerdì prossimo? -
- Ok, affare fatto. Ma davvero non mi state prendendo in giro? -
Liz la fissò dritta negli occhi. - Davvero, Patty. Allora ti aspettiamo con Tony, va bene? -
Patricia annuì, ancora vagamente perplessa, poi si allontanò lasciandoli soli.
Max passò un braccio intorno alle spalle della moglie. - Non mi piace mentire. L’ho dovuto fare per troppo tempo, e vorrei non averne mai più bisogno... -
- Ti capisco. E’ una cosa che odio anch’io. Purtroppo a volte non se ne può fare proprio a meno -
- Questo mi fa venire in mente che dobbiamo parlare con Jason e Shiri. -
- Sì, hai ragione, ormai non possiamo più rimandare... -
Fu così che quella sera, dopo una rapida cena a base di pizza, Max spiegò ai due ragazzini la differenza tra la loro origine e quella di Liz. - ...e per questo motivo non dovete mai, ripeto mai usare i vostri poteri quando ci sono altre persone. Purtroppo la gente tende ad aver paura di quello che non conosce e quindi potrebbe farvi del male. -
Non fu un discorso facile, e alla fine Shiri guardò interrogativamente il padre. - I nonni sanno chi siamo e ci vogliono bene lo stesso. -
- Le persone non sono tutte uguali, tesoro... - intervenne Liz intrecciando con fare nervoso le dita. Vedi, i genitori di Max, Maria, James Valenti, suo figlio Kyle e Morgan sono riusciti a vedere oltre. Hanno saputo accettare la diversità di Max, di Isabel e Michael, mentre la mia famiglia... - Si morse le labbra sentendosi il cuore spezzato - Mio padre e mia madre non potranno mai capire. Loro... loro reagirebbero molto male se sapessero la verità. -
- Perché? - chiese ancora Shiri.
- Perché non volevano che sposassi Liz - esclamò Max di getto. - In realtà il motivo è questo. - Si volse a guardare la giovane. - Le cose stanno così, e tu lo sai benissimo. Probabilmente adorerebbero Jason e Shiri, se non fossero figli miei... -
- Ma lo sono. E io non intendo far correre loro dei rischi! -
Vedendola sconvolta Max se la strinse con dolcezza al petto e chiuse per un attimo gli occhi, poi tornò a concentrarsi sui bambini. - E’ difficile vivere avendo dei segreti, però a volte è necessario. Ricordate quindi di fare molta attenzione a quello che dite quando siete in presenza di altre persone -
Jason annuì in silenzio, imitato dalla sorella.
Liz posò le mani sulle braccia forti del marito e fece un piccolo passo indietro per poi girarsi verso i figli. - Mi dispiace per quello che vi è successo. Se io non avessi detto a Jason di andare da Thien non avreste subìto questa... questa modifica... Volevo solo che foste liberi... - Si toccò nervosamente i capelli. - Io... io credo che saprete cavarvela molto bene, sia qui sulla Terra, sia su Antar. - Si sforzò di sorridere. - Avete due mondi tra cui scegliere, ma non abbiate fretta di crescere, vi prego... -
Shiri le sorrise in risposta. - Questo vuol dire che possiamo andare a giocare con Daniel e Paul? -
La ragazza aggrottò la fronte. - Daniel...? -
- Abitano nella casa accanto. Mi sono sembrati a posto - spiegò Anders.
- Ah... Ehm, sì, allora... allora potete andare. Certo... - Liz incontrò lo sguardo divertito di Max e si strinse nelle spalle.
- Veniamo anche noi - Il giovane la prese per mano e seguì i figli nel giardino sul retro, dove Daniel e Paul stavano già facendo dei lanci nel canestro saldamente infisso alla parete della loro villetta.
- Ehi, Jason! Ciao! - Paul fece un gran gesto di saluto verso di lui poi gli tirò la palla e scoppiò a ridere quando Shiri, con un abile salto, impedì al fratello di prenderla.
- Coraggio, puoi farcela! - gridò Daniel, e lei corse verso il canestro centrandolo per un pelo.
- Wow! - Paul, di due anni più grande del fratello, recuperò la palla. - Giocate anche voi? - chiese a Max, che rispose pure per Liz. - Certo! -
In piedi dietro la finestra Anders sorrise tra sé guardando il gruppetto correre e saltare, poi si voltò verso il compagno. - Vado a dormire. Buona notte -
- Buona notte, Thien. - Lou bevve un ultimo sorso di caffè prima di fare con discrezione un giro di controllo all’esterno, e quando rientrò mise in ordine la cucina. Di tanto in tanto si avvicinava ad una finestra oppure faceva un breve sopralluogo fuori di casa, ma era tutto molto tranquillo e a volte restava a guardare i reali giocare come ragazzi qualsiasi. Paul e Daniel Sheffield sembravano avere più o meno l’apparente età di Jason e Shiri, ed avevano accettato tranquillamente la presenza dei due adulti. Si augurò di cuore che, almeno per un po’, i suoi signori potessero vivere in pace. Ne avevano davvero bisogno...

Sfinito dalla stanchezza, le labbra riarse dal torrido sole del deserto, l’uomo barcollò per l’ennesima volta ma con feroce determinazione fece ancora un passo. Poi un altro. E quasi venne investito dall’auto che stava sopraggiungendo.
James Valenti frenò bruscamente poi corse fuori della vettura e sostenne il malcapitato per le spalle. - Santo cielo, è conciato proprio bene! Ha avuto un incidente? Dov’è la sua macchina? -
L’uomo non rispose, limitandosi a guardarlo con espressione assente.
Con un sospiro lo sceriffo aprì lo sportello posteriore, aiutò il ferito a salire, dopodiché si risedette al posto di guida e prese in mano la radio. Ma alla centrale non avevano avuto alcuna segnalazione quindi decise di proseguire verso la città senza perdere altro tempo. Diede un’occhiata allo specchietto retrovisore e vide che il suo passeggero si era messo a sedere in posizione eretta. Pensò allora che forse le sue condizioni non erano così gravi come gli era sembrato in un primo momento, ma poi lo vide abbassare le palpebre e crollare di schianto. “Accidenti!” Distava solo quindici miglia da Roswell, ma se non si sbrigava quel poveretto poteva rimetterci la pelle. Pigiò allora il piede sull’acceleratore serrando le labbra. Era molto stanco, aveva avuto una giornata durissima, e per un attimo tremò al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere se non avesse avuto i riflessi pronti. C’era mancato davvero poco che mettesse sotto l’uomo che adesso giaceva privo di sensi dietro di lui... Fece un altro tentativo con la centrale poi, con un gesto dettato dall’abitudine, guardò nello specchietto esterno e sgranò gli occhi. - Ehi, vuole ammazzarsi?!? - Sterzò bruscamente per far sì che lo sportello si riaccostasse ed imprecò a fior di labbra per non aver pensato di bloccare le chiusure, ma non poteva certo immaginare che l’uomo avrebbe tentato di buttarsi fuori dall’auto in corsa! Si accostò al bordo della strada e spense il motore infilandosi la chiave in tasca prima di voltarsi a controllare. - Insomma, che cosa le prende? Sto cercando di portarla in ospedale e lei... -
Tacque di colpo nel vederlo tirare un poco indietro la manica destra mostrando un largo bracciale scuro e poi fare segno con la sinistra verso sud.
- Da quella parte c’è solo il deserto, mentre là - indicò ad est - c’è Roswell. Lei ha bisogno di cure immediate, poi potrà andare dove le pare! Mi dia retta, per qualche giorno se la prenda comoda... -
Fece per rimettere in moto ma l’uomo gli strinse l’avambraccio con forza insospettata costringendolo a lasciar cadere la chiave e uscì dalla vettura.
Vedendolo incamminarsi lentamente nella direzione opposta lo rincorse e lo prese con fermezza per una spalla. Senta, la prego, non faccia sciocchezze! Non riuscirà a fare un miglio prima di... Ouch! - Si strofinò il polso dolorante per la leggera scossa elettrica provata quando il suo recalcitrante passeggero lo aveva afferrato con decisione liberandosi senza apparente difficoltà. Lo guardò allora negli occhi, un’espressione indecifrabile sul volto. - Ok - disse facendo un piccolo cenno affermativo col capo, poi indicò l’auto e l’uomo esitò solo un istante prima di salire di nuovo a bordo.
Venti minuti più tardi lo sceriffo parcheggiò davanti ad un edificio a tre piani dalle pareti interamente ricoperte di mattoncini rossi. Scese dalla macchina ed aprì lo sportello posteriore, attese che lo sconosciuto, dopo essersi guardato intorno, scendesse a sua volta poi si avviò verso una porta di vetro antiproiettile. Sorrise soddisfatto quando, entrando nell’elegante ufficio, vide Michael in piedi accanto allo schedario. - Ciao, speravo proprio di trovarti ancora qui! Ho incontrato un tuo parente, credo. - Fece un passo di lato e l’uomo dietro di lui avanzò lentamente. - Rath... -
Michael spalancò la bocca per la sorpresa. - Cosa...? - Fissò stupefatto il volto sporco di polvere e sangue, circondato da lunghe ciocche dal colore indefinibile, poi lo sguardo gli scivolò lungo gli strappi e le macchie scure sul giubbetto e sui pantaloni. - Chi diavolo sei? - Ma il suo interlocutore si accasciò e a lui non rimase che aiutare Valenti a sollevarlo e sistemarlo sull’unico divano della stanza.
- L’ho incontrato lungo la statale, mentre tornavo da Alamogordo. Sulle prime ho pensato che fosse rimasto vittima di un incidente, date le condizioni in cui era, ma poi ha cercato di buttarsi giù dalla macchina perché voleva andare verso sud -
- A sud? Verso il deserto?! -
- E’ quello che ho pensato anch’io. Però lui era convinto che quella fosse la direzione giusta. - Così dicendo Jim si curvò sull’uomo privo di conoscenza e gli alzò un poco il bordo della manica mostrando lo strano oggetto che portava al polso.
Il ragazzo si morse le labbra con fare pensoso. - Sembra un tracciatore, come quelli che avevamo... su Antar... - Delicatamente aprì le piccole fibbie del giubbetto e ne scostò i lembi alla ricerca di qualche altra cosa che potesse confermare i loro sospetti. - Santo cielo! - mormorò inorridito alla vista delle profonde ferite che segnavano la pelle liscia del torace. In alcuni punti si vedevano addirittura sporgere frammenti di ossa.
- Mi domando come abbia fatto a resistere così a lungo! Sembra passato attraverso l’inferno... -
- Adesso ci vorrebbe Max, maledizione... - Michael richiuse il giubbetto e andò ad appoggiarsi al bordo della scrivania, le braccia incrociate sul petto. - Hai idea di dove venga? -
Valenti si tolse il cappello, con un fazzoletto ne asciugò la fascia interna, poi se lo rimise in testa. - No davvero! - Diede un’occhiata allo straniero. - Quando mi ha afferrato il polso per sottrarsi alla mia presa ho provato come una scossa elettrica. E’ stato a quel punto che mi è venuto il dubbio che fosse come... come voi, e ho deciso di condurlo da te. Spero solo di non averti messo in pericolo: Maria non me lo perdonerebbe mai - Un sorriso gli stirò per un attimo le labbra al pensiero della ragazza, poi scosse le spalle. - Beh, ormai è fatta. Dove lo portiamo, adesso? -
- Hai detto che voleva andare a sud? -
Lo sceriffo tornò a guardare Michael. - Sì -
- Questa storia non mi piace, ma come hai detto tu ormai è fatta. Max mi ammazzerà... - Con un sospiro si avvicinò al divano e prese l’uomo per le spalle. - Aiutami a portarlo fuori. La jeep è parcheggiata subito dietro l’angolo. -
Insieme, i due riuscirono nel loro intento poi Michael estrasse il cellulare dalla tasca della camicia e chiamò Maria per avvertirla dell’imprevisto, riuscendo a calmarla solo con la promessa che le avrebbe spiegato tutto al ritorno.
- Vuoi che venga con te? - gli chiese allora Jim.
- No, è meglio di no. Se non avrai mie notizie entro domattina chiama Max e avvertilo - Detto questo il giovane avviò il motore e partì.
All’uscita della città imboccò la statale 285 Sud. “Volevi andare in questa direzione, giusto? Bene, amico, vediamo se indovino qual era la tua meta...” Guidò tenendo d’occhio alternativamente la strada ed il suo passeggero tuttora svenuto, finché giunse alla caverna al cui interno era celata l’astronave. - Eccoci arrivati, ragazzo mio! - Fece un respiro profondo prima di incunearsi contro la spalla il corpo inerte dell’uomo e si diresse verso la parete rocciosa. Aperto il passaggio segreto, procedette faticosamente fino alla camera delle incubatrici prima di deporre il suo fardello, poi si avvicinò ad una nicchia e ne estrasse un sacchetto di pelle, da cui prese un granilite. - Ok, e adesso a noi due... - Strinse una pietra color ambra nella mano sinistra e guardò il granilite nella sua destra prima di serrare dolcemente le dita cominciando a concentrarsi.
La tenue luminescenza che si sprigionò dai due oggetti alieni fece capire al giovane che i suoi sforzi stavano avendo effetto. - Non sono in grado di guarirti, amico, ma qualcosa per alleviare il dolore lo posso fare. Dopodiché parleremo... -
Quando lo straniero aprì gli occhi Michael si scosse ed abbassò le braccia, che aveva tenuto fino ad allora leggermente sollevate. - Chi sei? - chiese con voce distaccata.
Serrando le mascelle l’uomo si sollevò a sedere. - Brentelwoodein Alehnikar di Rènida. Non è stato facile trovarti, Rath. - Aveva parlato nella lingua madre di Michael, che socchiuse gli occhi sconcertato. - Facciamo Brent, è più semplice, eh? Allora, perché volevi trovarmi? -
- Perché sei il braccio destro di Zan. Voi due e la principessa Vilandra siete riusciti a fare quello che nessuno, in tutto il sistema stellare, aveva potuto realizzare in oltre vent’anni: fermare l’avanzata di Volnis di Zoltar. Tu sei lo stratega dei reali di Antar, e io ho bisogno di te -
Michael si accovacciò davanti a lui e lo guardò dritto negli occhi. - Tu hai bisogno di cure. Stai male e non ti rendi conto di quello che dici. Lo stratega dei reali... - Scosse la testa con una smorfia divertita. - Questa è davvero forte... - Tornò serio. - Che cosa ti è successo? -
- Avevo cominciato la manovra di avvicinamento quando sono stato colpito da missili. Antiquati ma efficaci. I miei sensori non sono stati in grado di distinguere le batterie da tutti i detriti che circondano il pianeta, ed il risultato è stato che ho perso il controllo dell’astronave e sono precipitato. Però ho avuto fortuna: sono riuscito ad atterrare abbastanza vicino all’obiettivo -
A quelle parole Michael sentì un brivido corrergli lungo la schiena. - Sì, questo mondo non è molto ospitale con gli stranieri... - Si rialzò in piedi. - Senti... Brent... qui sei in un posto sicuro: non muoverti fino al mio ritorno. Non ho niente da mangiare e da bere, purtroppo, ma vedrò di portarti qualcosa non appena mi sarà possibile. Intanto riposati... - Fece un piccolo cenno di saluto col braccio poi si volse e se ne andò.
Mentre guidava, i capelli scompigliati dal vento, continuava a ripensare alle parole di Brent. “Rènida... E’ il pianeta più lontano da Antar... Ma che diamine è venuto a fare quaggiù? E come ci ha rintracciati?”
Quando arrivò a casa trovò Maria che passeggiava nervosamente in soggiorno.
- Michael! Ma insomma! Siamo sposati da nove giorni e questa è già la terza volta che mi dai buca! - lo aggredì lei non appena se lo trovò davanti.
Il giovane la fissò un attimo negli occhi prima di stringersi nelle spalle. - Scusami. E’ che... ho dovuto dare asilo politico a un vicino di casa... -
- Che cosa... che cosa stai dicendo?! -
Presa una decisione improvvisa, Michael le si avvicinò e l’abbracciò baciandola appassionatamente. - Hai ragione, ti sto trascurando. Devo tornare da lui, ma stavolta vieni con me! - La prese per mano e la trascinò con sé in cucina. - Ho bisogno di provviste. Cibo, acqua, vestiti puliti, asciugamani -
La ragazza sbuffò ma poi si diede da fare, e in breve venne radunato sul tavolo tutto l’occorrente. - Ti prego, vuoi spiegarmi esattamente che cosa... -
- Adesso non ho tempo, Maria - la interruppe senza neppure guardarla mentre cominciava a riempire una grande borsa da viaggio. - C’è un uomo, nella stanza delle incubatrici. Un alieno. E’ ferito e ha bisogno di aiuto. Allora, vuoi venire? -
- Certo! -
Ancora una volta la jeep si diresse verso il deserto, lungo la statale. Venere aveva fatto capolino all’orizzonte e la ragazza inspirò con piacere l’aria pulita e frizzante. - Hai detto di averlo lasciato nella caverna? - chiese ad un tratto girandosi verso il marito, con tono preoccupato.
- Sì. Ma stai tranquilla, ho portato i graniliti con me... - Michael si batté una mano contro la tasca dei pantaloni. - L’altro ce l’ho nella camicia - aggiunse sorridendo davanti alla sua espressione scettica.
- Allora non ti fidi del tutto di lui? -
- No, non è questo, però... preferisco andare sul sicuro... -
- E lasciarlo da solo nella caverna dove è nascosta l’astronave lo consideri... sicuro?!? -
La risposta fu un’alzata di spalle. - Dove avrei dovuto portarlo, secondo te? In ospedale? -
Maria si appoggiò con il gomito al bordo del finestrino. - Naturalmente no.... - disse tornando a guardare la strada.
- E’ troppo malridotto per costituire un pericolo. Ed è uno di noi. Non posso abbandonarlo nel deserto soltanto perché non so esattamente chi sia e cosa voglia -
Al tono deciso di Michael la ragazza sospirò. Quella era ancora una ferita aperta, per lui, e non avrebbe mai lasciato che qualcuno, sia pure un potenziale nemico, si ritrovasse nelle stesse condizioni. Tutto sommato aveva ragione: laggiù, lontano dalla città, era il posto migliore in cui poterlo lasciare.
Arrivati davanti all’ingresso della caverna Maria si fermò esitante. Stava per incontrare un altro alieno, e al solo pensiero sentì il cuore batterle con più forza. Da quando aveva conosciuto la verità su Michael era stata costretta a rivedere molte cose. Idee, sensazioni, sentimenti... Aveva vissuto più avventure di quante capitavano alla stragrande maggioranza della gente, ne era fermamente convinta, ma cominciava ad essere stufa. Voleva vivere tranquilla, voleva cantare nei locali di Roswell e sapere che Michael era lì ad ascoltarla, voleva passare la notte fra le sue braccia e non nel deserto accanto ad un perfetto sconosciuto proveniente da chissà dove! Ma amava il suo ragazzo dello spazio e sapeva, anche se non ne aveva mai parlato, che gli mancavano moltissimo Max ed Isabel, le uniche due persone al mondo come lui. E comprendeva il suo desiderio di aiutare qualcuno che, come lui stesso quattordici anni prima, si trovava da solo in un mondo ignoto ed ostile. Si voltò a guardarlo poi gli si accostò e, sollevandosi in punta di piedi, gli diede un tenero bacio sulle labbra. Andiamo... - disse accennando un sorriso.
Il giovane fece un piccolo segno col capo poi sfiorò la roccia facendo scattare il sistema di apertura.
Non appena si ritrovarono nella stanza delle incubatrici Michael depose in terra il borsone e andò vicino al rialzo di roccia su cui giaceva l’alieno. - Brent, è tutto ok? -
L’uomo riaprì gli occhi e si sollevò faticosamente sui gomiti. - Sì - Guardò con curiosità Maria, che deglutì a disagio prima di inginocchiarsi al suo fianco. Frugando nella grossa borsa da viaggio estrasse una catinella di plastica, una bottiglia piena d’acqua e degli asciugamani puliti. - Sei davvero conciato bene... - mormorò prima di inumidire il morbido panno e porgerglielo. - Vuoi fare da te? - Visto che lui non si muoveva si strinse nelle spalle e cominciò a pulirgli con delicatezza il viso. La pelle era spaccata, bruciata dal sole, e le labbra macchiate di sangue rappreso.
Quando gliele sfiorò con l’asciugamano Brent sembrò protendersi verso le sue dita, e Maria sentì un nodo in gola. - Michael... - disse con un filo di voce girandosi a guardarlo, un’espressione supplichevole negli occhi.
Michael si morse le labbra. - Torno subito - borbottò prima di fare dietro front e uscire dalla caverna.
Una volta all’aperto estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni e compose un numero. Dopo un paio di squilli sentì una voce familiare, trasse un profondo sospiro e parlò velocemente. Ciao, ho bisogno del tuo aiuto. Adesso. Puoi venire qui a Roswell? -
“- Michael, ci vogliono quasi quattro ore di auto... -”
- Sono alla caverna -
Ci fu un attimo di silenzio, poi: “- Ok. Ho capito. A tra poco -”

- Max, cosa c’è? -
Max chiuse la linea e si appoggiò di spalle al tavolo. - Michael vuole che vada da lui, alla caverna. -
- Perché? -
- Non lo so. Ma devo andare... - Il giovane sentì una stilettata al cuore quando vide l’espressione del volto di Liz. - Non puoi venire con me. Devo... devo fare in fretta... Userò i graniliti. -
- Max! - La ragazza mise giù il piatto, si asciugò in fretta le mani con lo strofinaccio e gli si avvicinò tremante. Gli carezzò una guancia fissando gli occhi nei suoi. - Sì, capisco. E’ Michael, e non puoi abbandonarlo. Ma torna presto, ti prego... -
Non lo stupì il fatto che lei avesse compreso perfettamente quello che stava provando. Era Liz, era l’altra parte della sua anima. Con un gemito soffocato le cinse la vita stringendola contro di sé, baciandola a lungo, profondamente, con passione. L’aveva nel sangue, nel cuore, e si sentiva morire dentro perché sapeva che per lei era la stessa cosa.
Liz si abbandonò all’abbraccio, e flash di loro due insieme riempirono la sua mente.
Quando il bacio ebbe termine Max la guardò sorridendo, il respiro un poco affannoso. - Jason e Shiri hanno fatto davvero un ottimo lavoro... -
La ragazza annuì in risposta. Sì, le immagini del corpo di Max che si accasciava vicino a lei, crivellato di proiettili e ricoperto di sangue, erano ancora presenti ma talmente fuggevoli che le percepiva soltanto come una sensazione di angoscia, subito soffocata dal calore del suo amore. Ancora una volta doveva confrontarsi con la realtà: Max, e i suoi figli, erano legati a un destino che non poteva essere cancellato. Erano alieni, e ci sarebbe sempre stato qualcosa che, loro malgrado, li avrebbe costretti a ricorrere ai poteri di cui erano dotati. Era inevitabile, e lo aveva sempre saputo, fin da quando i profondi sentimenti che nutriva per lei avevano portato Max a rischiare tutto pur di salvarla.
E lei lo amava così tanto da poter sentire quello che provava senza che lui dicesse nulla, e comprendeva le sue esigenze. Di lealtà verso gli amici, di dovere verso la sua gente, di protezione nei confronti suoi e dei ragazzi. Doveva accettare tutto questo, e aiutarlo come poteva. Allo stesso modo in cui lei per prima traeva forza e serenità dalla sua presenza. - Ti amo, Max - mormorò cercando di restituirgli il sorriso.
- Lo so, tesoro. - Le circondò il volto con una mano, sfiorandole le labbra con la punta del pollice. - Ti amo anch’io - Si staccò dolcemente da lei poi andò nel saloncino, dove trovò Thien Anders seduto in terra accanto a Jason a guardare la televisione.
Il ragazzo seguì il suo avanzare e corrugò la fronte.
- Thien, devo andare a Roswell. Starò via poco tempo e vorrei che tu e Lou restaste con i ragazzi... -
- E’ proprio necessario che vada da solo, Altezza? -
- Sì. Ho fretta, e dovrò usare i graniliti. Chiamerò appena potrò -
Il colonnello non gradì la decisione di Max ma non poté fare altro che chinare la testa. - Faccia attenzione. -
- Come sempre - Il giovane si chinò ad abbracciare Jason. - E tu non passare tutta la notte davanti al computer, d’accordo? Ti ho sentito, ieri... -
Jason sorrise sbarazzino. - Va bene. Però dillo anche a Shiri: stasera è il suo turno. -
A quelle parole Max scosse piano la testa arruffandogli i capelli. - Ok - Stava per rialzarsi quando il figlio s’irrigidì e lo afferrò per un polso. - Lo zio Michael è in pericolo! - disse concitato.
Nello stesso momento Shiri spalancò la porta del bagno. - Papà, lo zio Michael! -
Il giovane si volse di scatto. - Accidenti! -
Liz, che aveva sentito tutto, li raggiunse e fece scorrere lentamente lo sguardo dall’uno all’altro. “Perché? Perché deve esserci sempre qualcosa? Perché non possiamo vivere in pace?” Il suo bel viso era serio, forse un po’ pallido, ma sembrava irradiare calma e serenità. - Shiri, vai tu con Max. Jason potrà raggiungervi se avrete bisogno di lui. Max... -
Non dovette aggiungere altro. Il giovane le sorrise con tenerezza annuendo, poi si concentrò finché nelle sue mani apparvero i graniliti. Allora ne diede uno alla figlia e, circondatala per la vita, si dissolse nell’aria insieme a lei.
Thien osservò in silenzio la sua signora sedersi accanto a Jason, prendergli dolcemente le mani fra le sue e guardarlo negli occhi.
Il giovane intrecciò le loro dita ed un tenue sorriso gli distese le labbra.
La loro immobilità preoccupò il colonnello, che andò a svegliare Lou. - Vai a controllare i reali. Io voglio verificare il perimetro esterno -
Krentz fu subito in piedi. - Qualcosa di nuovo? -
- Sua Altezza è andato via insieme a Shiri, e la signora è con Jason. Non... non so cosa stiano facendo ma non voglio lasciarli soli. -
- Vado subito -

- Michael! - Max si precipitò al fianco dell’amico e gli toccò la base del collo. - E’ ancora vivo... -
Maria, in lacrime accanto a lui, tirò su col naso. - Sì, ma non si riprende -
Shiri l’abbracciò con affetto. - Adesso ci pensa papà, stai tranquilla! -
Il giovane posò una mano sul petto di Michael cercando di respirare lentamente. Vedere la disperazione sul viso arrossato dal pianto di Maria ed il corpo esanime di quello che per lui era come e più di un fratello lo aveva scosso nel profondo, ma per poter usare i suoi poteri doveva avere il pieno controllo di se stesso e quindi doveva riuscire a recuperare la lucidità. Trattenne per un attimo il fiato, poi lasciò che l’energia affluisse nella sua mano e dopo pochi istanti Michael riaprì gli occhi.
- Michael... - Maria si curvò a baciarlo sulla fronte sfiorandogli i capelli con dita tremanti.
- Cos’è successo? -
Nell’udire il tono preoccupato di Max il ragazzo fece una smorfia. - Non lo so con certezza... Dopo che ti ho telefonato sono... sono tornato dentro e... - Con un piccolo cenno del capo indicò qualcosa alle sue spalle. - Sono andato a controllare l’astronave, ma quando mi sono avvicinato al campo di forza sono stato colpito da una scarica energetica... -
- Perché sei andato lì? -
- Chiamalo... presentimento... - Michael si raddrizzò con cautela, aiutato da Maria, poi si alzò in piedi e condusse Max fino al punto in cui giaceva lo straniero. - Si chiama Brent e viene da Rènida. Oddio, il suo nome completo è pressoché impronunciabile, ma inizia con Brent... - Guardandolo inginocchiarsi accanto a lui si passò una mano dietro la nuca. - Jim Valenti lo ha quasi messo sotto sulla statale 70. Non ho capito bene cosa sia accaduto, fatto sta che ha pensato fosse meglio portarlo da me piuttosto che in ospedale. E aveva ragione... -
Max studiò il viso ustionato, poi aprì i lembi del giubbetto e trasalì davanti al petto martoriato. Senza dire nulla pose entrambe le mani su di lui e si concentrò. A poco a poco le ferite cominciarono a sanarsi ma il sudore che presto intrise i capelli e la maglietta del giovane fece comprendere a Shiri che era giunto il momento per lei di intervenire. Sedette al suo fianco e mise una mano vicino alle sue.
Sul volto di Max apparve un’espressione di orrore e pena. Vide gli occhi di Brent aprirsi e fissarsi dapprima su di lui e poi su Shiri, chiudersi per un istante e di nuovo spalancarsi mentre il corpo si rilassava finalmente guarito.
Max si appoggiò sui talloni, esausto per lo sforzo e con il respiro ansimante. Le mani, dapprima rilasciate lungo i fianchi, si contrassero in pugni convulsi sotto lo sguardo attento di Shiri.
- Cosa c’è? - chiese ansioso Michael. Non gli andava a genio l’evidente tensione dell’amico.
- E’ stato lui a bloccare l’accesso all’astronave. Ha coperto il nostro campo di forza con un altro di polarità inversa, o qualcosa del genere, e ora non possiamo più raggiungerla. -
- Perché? - Sorpreso, il giovane si chinò su Brent e lo sollevò afferrandolo per il bavero. - Avevi detto di aver bisogno di me! -
- E’ così. E’ da quasi un anno che ti cerco, poi una squadra è passata nelle vicinanze di questo sistema stellare ed ha registrato la risposta della vostra nave. Sono venuto subito a controllare di persona, ma sono precipitato e così dovrò usare quell’apparecchio per tornare a casa. So che avete altre navi, quindi non dovrebbe essere un problema per voi lasciare a me questa... - Distolse lo sguardo dal viso di Michael, indurito per la rabbia, e diede una rapida occhiata a Shiri, poi tornò a fissare il ragazzo. - Rènida, il mio mondo, è sull’orlo di una guerra. Tu devi aiutarci -
Michael lo lasciò andare con disprezzo. - Hai un bel coraggio, amico! - Si voltò verso Max. - Cosa c’è? - mormorò corrugando la fronte.
Dopo una breve esitazione, che sembrò durare un’eternità, Max si alzò in piedi aiutando contemporaneamente la figlia a fare altrettanto. - Ho sentito quello che ha provato quando l’ha vista. Lui... - chiuse gli occhi per un istante, - si è aperto a lei -
La ragazzina guardò dal padre a Brent e sentì un fremito scuoterla. - Ha bisogno di noi... - disse piano.
Max fece segno di sì con la testa. - E’ vero. Ma tu sei molto giovane e non voglio che ti faccia del male -
- Non succederà - Shiri sorrise. - Jason non glielo permetterà. -
A quelle parole il giovane socchiuse gli occhi e sembrò percepire qualcosa. “Jason? Liz?” D’improvviso avvertì con chiarezza il legame mentale che univa tutti loro. Sentì l’affettuosa preoccupazione di Liz, l’orgoglioso sostegno del figlio, e sorrise di rimando alla ragazza. - No, credo proprio di no... -
- Insomma, qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo? - Michael sbuffò seccato. - E’ chiaro che state comunicando tra di voi, però non dovresti tenermi fuori, Max! -
Invece di rispondere il giovane si rivolse a Brent. - Spiegaci esattamente la situazione -
- Rènida è sempre stato un mondo pacifico e la sua notevole distanza dal cuore del sistema ha permesso che non venisse coinvolto nelle lotte di potere degli altri pianeti. Ma negli ultimi tempi è stato preso di mira da Volnis di Zoltar. Sta usando con noi gli stessi metodi che gli hanno permesso di conquistare Antar. E ci sta riuscendo, a dispetto di tutti i nostri sforzi... Però voi lo avete fermato, ed è per questo che sono venuto qui: per chiedere l’aiuto di Rath. -
A Michael occorsero diversi secondi per riprendersi dallo stupore. - Beh, mi spiace deluderti, ma il merito della sconfitta di Volnis è soltanto di Max. Di Zan, voglio dire - si corresse subito dopo, notando l’espressione interdetta di Brent. - Dopo un terribile spargimento di sangue durato più di vent’anni, fra l’altro... -
L’alieno si oscurò in volto. - Questo significa che non possiamo contare su di voi? -
- No, non è così - intervenne Max con tono brusco. - Non voglio che la tua gente patisca gli orrori della guerra, ma fermare Volnis è più difficile di quanto tu creda. Lui... capisce solo la forza bruta -
- Allora è vero quello che si racconta in giro... Hai usato i tuoi poteri per costringerlo a ritirarsi. - Brent emise un sospiro desolato. - Quindi, per noi non c’è speranza... -
Shiri, avvertendo la sua disperazione, si fece avanti e lo toccò gentilmente su un braccio. - C’è dell’altro, vero? -
Lui serrò le mascelle irrigidendosi. - Devo tornare a casa, adesso. Ho bisogno della tua nave, Zan -
Max rimase per un istante immobile, lacerato fra il desiderio di aiutarlo e l’impossibilità di farlo, poi chinò la testa in segno affermativo. - Vai pure... - mormorò.
- Grazie - Senza aggiungere altro volse le spalle al gruppo e si diresse verso l’ampia caverna in cui era custodito il velivolo.
Poco dopo si udì un sordo rimbombo di motori seguito da un violento sibilo. Brent era partito.
Fatto scattare di nuovo il meccanismo che bloccava l’accesso dall’alto, Max si appoggiò contro la parete scabra e guardò tristemente l’amico.
- Non potevi fare nulla per lui... - cercò di consolarlo questi.
- Avrei dovuto almeno provarci -
- E come? Andando su Rènida? Santo cielo, l’unico modo per fermare Volnis è minacciarlo di usare contro di lui l’energia dei graniliti: vuoi diventare il suo giudice e il suo carnefice? - Michael usò un tono esasperato. - Anch’io avrei voluto aiutarlo, credimi, ma non è possibile! Non senza diventare... il difensore dell’intero sistema stellare! E non penso che tu lo voglia... Significherebbe passare il resto della tua vita a lottare contro ogni farabutto con manie di grandezza! - Davanti alla sua espressione chiusa ebbe uno scatto di rabbia. - Smettila col tuo senso del dovere, una buona volta! Santo cielo, non sei onnipotente, Max! Guarda quello che ti hanno fatto, che hanno fatto a Liz, a Shiri e a Jason! Tu hai il diritto di vivere una vita il più normale possibile, tutti noi lo abbiamo! -
- Veramente sei stato tu a cominciare... - Sforzandosi di tenere sotto controllo la voce, il giovane si raddrizzò. - portando qui Brent! -
Michael lo fissò negli occhi, combattivo. - Sì, forse ho sbagliato. Ma non mi è venuto in mente nessun altro posto dove nascondere un alieno ferito! Sai benissimo cosa gli avrebbe fatto l’FBI, se lo avesse scoperto!... -
- Insomma, smettetela! - Maria, fino a quel momento tenutasi in disparte, si avvicinò ai due ragazzi. Max, grazie per aver salvato la vita di Michael - disse con voce rotta, - Michael, tu hai fatto del tuo meglio per aiutare Brent. Ma adesso è tutto finito! Vi prego, andiamo via da questo posto... -
Notando la sua tensione Michael la prese per mano. - Sì, hai ragione - mormorò, poi accennò un sorriso. - Grazie, Max. -
- Figurati... - Max volse la testa di lato nel sentire Shiri passargli un braccio intorno alla vita. Automaticamente le circondò le spalle stringendola a sé. - E’ davvero ora di tornare a casa... -
- Buona notte, zio Michael. Buona notte, zia Maria. -
- Buona notte, tesoro - Maria si protese a baciare la ragazzina su una guancia, poi se ne andò con Michael.
Rimasti soli, i due Evans strinsero fra le dita i graniliti e si teletrasportarono fino ad Albuquerque, dove Liz e Jason li stavano aspettando con ansia.
Era tardissimo quando infine, dopo aver messo tutti al corrente di quanto era accaduto, Max si ritirò con Liz nella loro stanza.
Sdraiato accanto alla ragazza rimase a guardarla a lungo negli occhi mentre con la punta delle dita le sfiorava i capelli.
- Io... io sentivo, grazie a Jason, che tu e Shiri non eravate in pericolo... - bisbigliò ad un tratto Liz posandogli una mano sul fianco. - ma avevo ugualmente tanta paura... -
- Adesso sono qui con te, Liz. -
Lei annuì piano, poi sorrise. - Sì - sussurrò. Con un piccolo gemito cercò le sue labbra e si perse nel calore di quel corpo saldo e forte.

Michael guidava in silenzio mentre Maria, rannicchiata sul sedile accanto a lui, lo studiava con attenzione.
- Cosa c’è? - esclamò ad un certo punto il ragazzo, perplesso per quell’esame.
- Niente. E’ solo che mi piace guardarti -
- E’ notte. Non è che si veda molto... -
- Ah, ma a me va bene anche così. - Maria parlò con tono vivace - E’ sufficiente per dimenticare quando eri disteso a terra, laggiù nella caverna - Gli sfiorò la coscia destra in una carezza gentile. Lo sai che quello che hai detto a Max vale anche per te, vero? - E poiché lui non rispondeva aggiunse: - Neanche tu sei onnipotente. Non sentirti in colpa per Brent -
- Piantala di darmi consigli -
- Sei un grande generale, Rath - lo prese allora in giro lei, - ma a volte hai bisogno del buon senso di una donna. -
- E quella donna saresti tu? -
- Certo! Fra me e Liz non ci abbiamo messo molto a capire che voi alieni, con tutti i vostri poteri, spesso non sapete cosa fare! -
- Ah, non sappiamo cosa fare? -
- No -
- Bene! - Senza curarsi di mettere la freccia Michael sterzò bruscamente sulla destra finendo sul terreno pietroso che costeggiava la strada e spense il motore. Senza dare il tempo a Maria di capire quali fossero le sue intenzioni, la sospinse verso i sedili posteriori e si sdraiò su di lei. - Io ho sempre saputo cosa fare con te, Maria, sempre. Solo che qualche volta non l’ho ritenuto opportuno... -

- Ciao, Max. Ho sentito Morgan, poco fa. Mi ha chiesto di riferirti che ha parlato con David e che spera di farti sapere qualcosa il più presto possibile. - Isabel sorrise al fratello, poi salutò anche Liz. Verrà ad Albuquerque il prossimo fine settimana. -
- Ottimo -
La ragazza fissò Max sconcertata. - Cosa ti prende, adesso? -
Dopo aver controllato che nessuno potesse sentirli, il giovane spiegò brevemente quello che era successo durante la notte.
- Non posso crederci... - Isabel chiuse gli occhi per l’esasperazione. - Rènida? -
- Già. Io... credo sia meglio non dire niente a Morgan, per il momento. Lo abbiamo coinvolto fin troppo nei nostri guai... -
- D’accordo. Accidenti, ci voleva pure questo! - Stringendosi i libri al petto Isabel scosse il capo. Come facciamo a concentrarci sugli esami quando... quando succedono... -
- E’ la nostra vita - la interruppe Max con decisione. - Non è facile, certo, ma l’unico modo per andare avanti è tenere separate le due realtà. Qui, adesso, quello che conta sono gli esami, il tuo matrimonio, lo stage estivo. -
Lei tornò a guardarlo. - Non credo di riuscirci... - mormorò.
- Devi, Isabel! - Liz le prese affettuosamente una mano. - Puoi farcela. Lo sai. -
Con un sospiro Isabel fissò le sue dita sottili. - Cercherò, mia signora - disse in un sussurro, poi si allontanò a passo svelto in direzione dell’edificio principale del campus.
- E’ sconvolta. - Max la seguì con lo sguardo. - E non posso darle torto... -
Nei giorni che seguirono la ragazza si tenne sempre un po’ in disparte, quasi avesse bisogno di una lontananza anche fisica dal fratello per poter mantenere un certo equilibrio.
Quando giunse il venerdì sera, tuttavia, andò a cena a casa sua insieme a Patricia e Tony. Sapeva che, in quell’occasione, Max e Liz avrebbero avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile, e lei voleva essere al loro fianco.
In effetti fu probabilmente la sua serena presenza ad attenuare la reazione degli ospiti nei confronti di Jason e Shiri.
In un primo momento, infatti, sia Patricia che Tony si erano sentiti completamente spiazzati nel trovarsi davanti, anziché una neonata ed un frugoletto che a malapena si reggeva in piedi, due ragazzini quasi adolescenti, ma poi la spigliatezza con cui venivano trattati da tutti, compreso Thien Anders, presentato come un amico della famiglia di Max, aveva finito col farli sentire a loro agio.
Parlarono a lungo dei progetti per l’estate. Avevano saputo che, alla fine, anche Liz era stata accettata al Centro di ricerche di El Paso, e si congratularono con lei. Poi subissarono di domande Isabel sul suo ormai prossimo matrimonio con l’affascinante Morgan Coltrane, e nell’insieme trascorsero una piacevolissima serata.
Liz, che all’inizio era stata tesa come una corda di violino, era poi riuscita a rilassarsi nel vedere come i suoi amici avessero accettato la situazione. Mentre, con l’aiuto di Max ed Isabel, rimetteva in ordine si scoprì a sperare che, finalmente, le cose sarebbero andate sempre bene.
Il suo desiderio sembrò avverarsi quando, pochi giorni dopo, un furgone anonimo parcheggiò davanti casa per consegnare alcune casse, al cui interno erano riposte le poche cose sopravvissute all’attacco dei federali. Certo non era un granché, ma le parve un segno del destino.
Di lì a dieci giorni, poi, tornarono a Roswell per le nozze di Isabel.
Era stato organizzato tutto in modo davvero perfetto. Era una splendida mattina di fine maggio e la casa degli Evans era gremita di ospiti.
Thomas Coltrane aveva portato con sé un discreto numero di guardie del corpo, che si erano sparpagliate un po’ ovunque con l’incarico di controllare che niente venisse a turbare quel momento così importante per il suo primogenito. David, invece, si divertiva a tenere d’occhio il fratello per non perdere la sua reazione ogni qualvolta si rendeva conto di trovarsi davanti uno degli agenti della sicurezza del padre.
Isabel, incantevole in un raffinato abito dall’ampia scollatura rotonda, sembrava non accorgersi di nulla se non del giovane che stava sempre al suo fianco.
La cerimonia era stata molto semplice e Diane aveva pianto per tutto il tempo, confortata a turno dal marito e dal neo suocero, poi era cominciata la festa e David aveva invitato Shiri a ballare. La ragazzina, che sembrava ancora più adulta con i capelli sollevati in un’artistica acconciatura ed un trucco leggero a sottolineare i grandi occhi nocciola, si divertì moltissimo finché, all’improvviso, s’immobilizzò e cercò il fratello con lo sguardo. - Scusami... - mormorò all’indirizzo del suo cavaliere prima di dileguarsi tra la folla. Senza esitare si diresse verso il giardino, dove Jason stava chiacchierando con Jim Valenti, e gli prese una mano per attirare la sua attenzione. - Jason, Brent è tornato! -
Jason serrò le labbra. - Dov’è? -
- Non lo so con esattezza. Qui vicino, però... -
- Di chi stai parlando? - domandò lo sceriffo.
- Dell’uomo che hai portato dallo zio Michael - Shiri lo fissò implorante. - Ti prego, puoi accompagnarci con la macchina? Posso... posso indicarti la strada mentre andiamo! -
- Tesoro, non credo proprio che questa sia una buona idea, sai? Forse dovresti parlarne con tuo padre... -
La ragazzina scosse la testa. - No, non ora. Jason?... -
- Sì, vengo! A dopo, zio Jim. - Jason si allontanò tirandosi dietro la sorella, si accertò che né Thien né Lou fossero nei paraggi, poi le mise una mano sulla tempia e chiuse gli occhi concentrandosi.
Quando li riaprì erano entrambi nel deserto, a poche miglia di distanza dalla caverna. - Non poteva atterrare all’interno: soltanto noi siamo in grado di attivare il meccanismo di accesso... Vieni, andiamo a vedere! - Corse verso il portello dell’astronave, ferma sotto il sole cocente, e lo aprì con un semplice gesto della mano.
Trovarono Brent in una cabina passeggeri, disteso su una cuccetta e sorvegliato a vista da una donna, che arretrò di scatto nel vederli.
Senza dire una parola Shiri lasciò andare la mano di Jason per precipitarsi al fianco del giovane. - E’ svenuto! - esclamò preoccupata, poi fece scorrere lo sguardo sulle bende macchiate di sangue che gli avvolgevano la fronte e il braccio destro. - Chi sei? - chiese rivolgendosi bruscamente alla donna.
- Lhara. Sono sua sorella -
- Resta con loro, Shiri. Io mi occupo di portare dentro la nave. - Senza aggiungere altro il ragazzino andò nella cabina di pilotaggio e, con poche manovre precise, fece quanto aveva detto.
Nel frattempo Shiri si era presa cura di Brent, che adesso la stava guardando con una strana espressione negli occhi. - Ti ringrazio... - Il giovane si scosse e si mise a sedere. - E’ la seconda volta che mi aiuti, e non conosco neppure il tuo nome... -
- Mi chiamo Shiri. Shiri Evans. -
- Sei parente di Zan, vero? Gli somigli molto... -
A quelle parole lei sorrise. - Certo, è mio padre! - Tornò seria. - Come mai sei tornato? -
Brent lanciò un’occhiata a Lhara. - Volnis ha cercato di prendere mia sorella. L’unico modo per proteggerla era portarla qui, dove lui non verrà mai a cercarla. -
- Capisco... - Si voltò nel sentire i passi leggeri di Jason avvicinarsi. - Pensi che papà si arrabbierà se portiamo Brent e Lhara con noi? -
- Sì, ma non vedo che altro possiamo fare. - Il ragazzino si strinse nelle spalle con filosofia. - Credo che neppure la mamma sarà contenta. Pazienza... - Tese la mano destra verso Shiri e la sinistra verso Lhara. - Brent, unisciti a noi - disse semplicemente, prima di teletrasportare se stesso e tutti gli altri nella stanza che usava con la sorella quando stavano dai nonni.
Attirato dal suono di voci, Lou spinse piano la porta della camera e sgranò gli occhi. - Che diamine sta succedendo, qui dentro? - Notò le vesti imbrattate dei due sconosciuti e corrugò la fronte. - Siete gli Alehnikar di Rènida, vero? - Sospirò. - Vado ad avvertire Sua Altezza. Jason, non ti azzardare a mettere il naso fuori di qui, capito? -
Il ragazzino annuì poi, una volta che l’uomo se ne fu andato, si rivolse a Brent con un sorrisetto malizioso. - Vado a prendere qualcosa per cambiarvi - Uscì prima ancora che avesse finito di parlare, e Shiri lo seguì grata con lo sguardo.

- Jason! - Max sorprese il figlio mentre, con le braccia cariche di pantaloni e magliette, attraversava il corridoio.
- Ciao, papà. Lou ti ha trovato in fretta, vedo... -
Il giovane lo fissò severamente, poi aprì la porta della sua stanza scostandosi per farlo passare. Immagino che quelli siano per Brent - disse.
- Infatti. Ma spero ci sia anche qualcosa che vada bene a Lhara. Lei è alta più o meno come la mamma... -
Vedendo Max Brent fremette. - Ci sono stati... incresciosi sviluppi su Rènida. Sono dovuto tornare con mia sorella. Vorrei... vorrei che restasse qui, sotto la tua protezione. -
A quelle parole la ragazza lo afferrò per un braccio. - Non andartene, Bren! Ti uccideranno! - gli sussurrò concitata.
- Parleremo di questo più tardi. - Il giovane tornò a rivolgersi a Max. - Posso lasciarla qui con te? -Max annuì. - Certo! Jason, Shiri, li affido a voi. E ricordate che di sotto c’è un mucchio di gente che non deve sapere nulla di loro, avete capito? -
I due annuirono solennemente, poi Shiri arrossì. - Zia Isabel... - mormorò impacciata.
Isabel era apparsa proprio in quel momento sulla soglia, attirata al piano di sopra dallo strano andirivieni di Krentz. Capì subito di cosa si trattava e inspirò a fondo. - No, non potete farmi questo! Non il giorno del mio matrimonio! - Entrò richiudendosi con forza la porta alle spalle.
- Zia, mi dispiace, mi dispiace tanto... - Shiri le andò incontro con un’espressione desolata negli occhi. Non volevo farti arrabbiare... ma l’ho sentito, e stava male... Io... non potevo lasciarlo laggiù... -
- Mi sembra di sentire Max, accidenti! Quando vi fissate con qualcuno non c’è più verso di farvi ragionare! - Puntò un dito accusatore contro il fratello. - Guai a te se qualcosa va storto! -
Con un sospiro il giovane distolse lo sguardo da lei e lo posò sui due alieni. - Questa è la principessa Vilandra - disse semplicemente.
- Brentelwoodein Alehnikar -
- Lhara Alehnikar. E’ un onore incontrarti... - Lhara parlò con voce sommessa. Era molto giovane, aveva soltanto sedici anni, e sembrava a disagio davanti all’evidente irritazione di Isabel.
Recuperato il suo sangue freddo, quest’ultima accennò un leggero inchino con la testa prima di tornare a rivolgersi alla nipote. - Con te faremo i conti più tardi - bisbigliò in inglese.
- Isabel? Sei di sopra? -
- Sì, Morgan, arrivo! - Isabel scosse disgustata il capo e tornò alla festa. Cercò di sorridere al marito, che tuttavia non si lasciò ingannare ma si limitò a prenderla per mano e a condurla verso l’enorme torta che faceva bella mostra di sé su un tavolo coperto da una bellissima tovaglia ricamata. - Avanti, questo è il tuo giorno!... - le mormorò in un orecchio nel tentativo di distrarla.
- Non più - fu l’enigmatica risposta, poi Isabel prese in mano il coltello da dolce e lasciò che lui la guidasse nel taglio rituale della prima fetta mentre suo padre scattava una foto dietro l’altra.
Michael, intento a portarsi alle labbra il cucchiaino pieno di panna sottratta dal piatto di Maria, si accorse quasi subito del gruppetto che stava scendendo le scale in quel momento. - Oh oh... -
- Che c’è? - Maria seguì il suo sguardo e quasi si strozzò. - O mio dio! - Riconobbe all’istante l’alta figura di Brent, i cui folti capelli castani striati di ciocche dorate erano accuratamente trattenuti dietro la nuca lasciando libera la fronte e mostrando così l’avvenenza del suo viso energico, illuminato dall’azzurro chiarissimo degli occhi. Al suo fianco c’era una ragazza molto carina, slanciata, che sembrava indossare... sì, quella era proprio la maglietta che aveva regalato a Liz per il suo compleanno! Rimase senza fiato quando Brent venne a fermarsi davanti a loro e li salutò con cortesia.
- Rath, signora... -
- Ehm, Maria, mia moglie - Michael quasi balbettò per la sorpresa, poi si riprese. - Non pensavo di... di rivederti così presto... -
- Nemmeno io, a dire la verità. Ti presento Lhara, mia sorella. Lhara, lui è Rath, il braccio destro di Zan di Antar. -
Avevano parlato tutti a voce molto bassa ma Lou, che si teneva discretamente dietro i nuovi venuti, guardò Michael con intenzione. Il ragazzo, allora, scrollò le spalle. - Scusate, ma questo non è il posto migliore per le chiacchiere. Ci sono troppi curiosi... -
- Attenti, sta arrivando Kyle! - Maria si affrettò a posare il piatto che teneva ancora in mano e prese l’amico sottobraccio trascinandolo via. - Oh, Kyle, avevo proprio bisogno di te! Senti, pensi di restare qui a Roswell per molto? Sai, a mia madre piacerebbe... -
- Ehi, chi era quell’essere fantastico? Hai visto che occhi? Erano... erano d’argento! -
- Sono grigi, Kyle - disse con voce piatta, - ed è un’amica di Shiri. - inventò lì per lì.
- Dai, torniamo indietro, voglio conoscerla! -
- Kyle? - Maria si fermò di colpo davanti a lui. - Non è di queste parti, se capisci cosa intendo dire... E se vuoi un consiglio, lasciala perdere! -
Il ragazzo sentì il suo entusiasmo svanire come neve al sole. - Oh... E’ una... di loro... - Girò un poco la testa per guardarla di nuovo. - Peccato... - Poi si fece pensieroso. - Ciò non toglie che sia una creatura stupenda... Pensi che...? -
- Un poliziotto e una principessa? - lo prese benevolmente in giro lei.
- Una principessa e un federale? - fu la pronta risposta di Kyle.
- Non è la stessa cosa - Maria si strinse nelle spalle. - Ma tu fa’ come vuoi. Volevo solo aiutarti... -
- Grazie. Allora fai questo per me: presentamela! -
Sbuffando, la giovane tornò indietro. - Kyle, Lhara. Lhara, Kyle. Ah, lei parla solo la sua lingua - e con questo prese Michael per mano e se ne andò piantando tutti in asso.
- Non preoccuparti, Kyle - Shiri gli sorrise. - Potete sempre ballare... -
- Grazie del suggerimento, piccola! - Porse il braccio a Lhara, che lo fissò esitante.
- Tranquilla, nemmeno io sono un grande ballerino! - Così dicendo Kyle la trascinò via.
Shiri guardò allora Brent, che le prese la mano destra sfiorandola con un bacio gentile. - Vuole danzare con me, Altezza? - la invitò cerimoniosamente.
- Con vero piacere. Però chiamami Shiri -
- E tu Bren. - Senza dire altro lui la condusse tra le coppie che ballavano e, dopo aver dato una rapida occhiata intorno a sé, la cinse come facevano gli altri conducendola al lento ritmo della musica.
Liz non si accorse subito di loro, presa com’era dalla conversazione con Amy e Diane, poi si ammutolì e sentì il calore inondarle il volto.
- Cara, c’è qualcosa che non va? - le chiese Diane.
- No... -
- Sicura? - insisté Amy.
La ragazza annuì in silenzio. Oddio, Shiri stava guardando Brent con una tale intensità... come se condividessero qualcosa di molto profondo... Ma Shiri era soltanto una bambina!... Però... però aveva aiutato Max a guarirlo, aveva stabilito una connessione con lui... Si rese conto dell’espressione sul volto dell’uomo e sospirò. Non era possibile combattere il destino. E quello di Shiri sembrava essere appena stato scritto. Sperò che Brent fosse meno complicato di Max, che non facesse soffrire sua figlia come era successo a lei. - Scusatemi... - mormorò allontanandosi per andare in cerca del marito.
Pochi minuti dopo erano tutti riuniti in un angolo del giardino, con Thien e Lou attenti a che nessuno si avvicinasse a disturbarli.
Max osservò con attenzione Brent prima di invitarlo a spiegare cosa lo avesse condotto di nuovo sulla Terra.
- Volnis è riuscito ad isolare la mia famiglia. Ha cercato di impossessarsi di Lhara. Se ci riuscisse, niente gli impedirebbe di regnare su Rènida. Mio padre è anziano, non ha la forza di continuare a combattere. Sono dovuto fuggire per portare Lhara in salvo, ma ora devo andarmene. Lui ha bisogno di me -
- Non riuscirai a fermare Volnis da solo, Brent -
- Lo so. Per questo ti chiedo di prenderti cura di mia sorella. -
Shiri, che aveva ascoltato senza fiatare, strinse le mani a pugno. “Fai molta attenzione, Bren...”
Lui la fissò come se avesse avvertito i suoi pensieri, poi sorrise. - Se qualcuno apre il passaggio della caverna per me potrò ripartire subito -
- Aspetta domani. Un po’ di riposo non può che farti del bene... - lo pregò Lhara.
Brent accettò con un semplice cenno del capo, e si strinse la sorella al fianco.
A Max non sfuggì l’occhiata che l’uomo lanciò a Shiri. Aveva sentito le emozioni della figlia, il suo trasporto verso Brent quando lo aveva aiutato a guarirlo, ma non aveva capito subito che la cosa era stata reciproca. Istintivamente prese la mano di Liz nella sua. Loro due avevano già sperimentato l’ineluttabile forza di quel legame, e sapeva quanto dolore poteva causare.
Michael scosse impercettibilmente la testa. Non avrebbe mai dovuto coinvolgere Max in quella storia. Se solo avesse immaginato... Si augurò che nessuno di loro avesse a soffrirne, ma il volto serio di Shiri gli fece temere che ormai fosse troppo tardi, almeno per lei. Guardò poi Isabel, le cui labbra tirate esprimevano tutto il disappunto che provava in quel momento, e sentì che Maria gli stringeva con forza la mano.
Fu Jason a spezzare la tensione. Diede una leggera pacca sulla spalla della sorella. - Vieni, Shiri, torniamo dentro! -
La ragazzina lo seguì in silenzio, senza rendersi subito conto che Lhara era dietro di lei.
- Jason! Ma dove siete finiti tutti quanti? - Diane Evans andò incontro ai nipoti con un gran sorriso sulle labbra.
- Nonna, questa è Lhara, una nostra amica. E’ rimasta un po’ di torta? Zia Isabel ha detto che è molto buona... -
- Ah, birbante! - La donna gli accarezzò affettuosamente la testa poi sorrise a Lhara. - E’ un piacere conoscerti, cara... E adesso andiamo a vedere se c’è ancora del dolce! -

Max chiuse lo sportello del fuoristrada e s’infilò le chiavi in tasca. Erano quasi le nove. Il decollo era avvenuto senza problemi e ormai Brent doveva aver raggiunto lo spazio profondo. S’incamminò lungo il vialetto di accesso quando due uomini vestiti di scuro lo affiancarono.
Liz, che nel sentire il motore della vettura si era precipitata ad aprire la porta di casa, rimase a guardare sbigottita Max che veniva condotto via. - Dove lo state portando? - gridò avanzando verso di loro.
Il ragazzo volse la testa nella sua direzione, fissandola angosciato.
- Max... - Si fermò per un attimo, incerta sul da farsi, poi, quando vide che lo spingevano all’interno di una macchina blu arrivata in quel momento, si mise a correre e batté disperata le mani contro lo sportello mentre l’auto prendeva velocità. - Fermi! Fermatevi! -
Quasi cadde per terra quando non riuscì più a stare dietro alla vettura e lanciò un grido di rabbia nel sentirsi afferrare per la vita. - Lasciami! -
Ma Thien Anders, che aveva assistito per caso alla scena da una delle finestre del piano superiore e si era precipitato a dare manforte alla ragazza, la sospinse con decisione verso l’ingresso. - Mi dispiace, signora, ormai è troppo tardi... -
- Lo hanno portato via! Lo hanno portato via! - Liz era fuori di sé e cercò di opporre resistenza ma il colonnello era più forte di lei e alla fine si ritrovò al sicuro dentro casa.
- Sa chi fossero? - le chiese l’uomo con voce pressante, ansioso di avere la maggior quantità di informazioni possibile per poter andare in soccorso del suo sovrano.
- Erano dell’FBI, ne sono sicura... - Non più sostenuta dalle robuste braccia dell’alieno, Liz fece qualche passo barcollando prima di appoggiarsi pesantemente contro il bordo del tavolo. Cercò di riprendere il controllo per poter pensare con chiarezza, poi si raddrizzò e sollevò lo sguardo in direzione della sommità delle scale. - Jason! Per favore, vieni subito qui! - chiamò ad alta voce il figlio.
Il ragazzino corse subito giù da lei, seguito a ruota dalla sorella e da Lhara.
- Jason, ho bisogno di te. Due uomini hanno prelevato Max mentre stava tornando a casa, e tu devi entrare in contatto con lui per sapere dove stanno andando. E’ importante, tesoro, è l’unico modo che abbiamo per aiutarlo... -
La notizia paralizzò Jason per un attimo. “Papà...” Si girò verso la sorella quasi a cercarne il sostegno, dopodiché l’espressione del suo viso divenne intensa e remota.

Bloccato tra i due agenti seduti accanto a lui, Max avvertì subito la presenza mentale del ragazzo ed il cuore gli batté più forte.
“- Papà, dove sei? -”
“- Stiamo andando verso il centro. Ti prego, non fate niente di avventato, tu e la mamma, hai capito? Io... io posso cavarmela da solo... -”
“- Con l’aiuto di Thien sarà più facile, no? -”
L’ineccepibile logica del figlio strappò un sorriso involontario al giovane, che chinò il capo per sottrarsi agli sguardi attenti dei suoi catturatori. “- Certo, però preferisco che resti lì a proteggere voi. ”
Jason riferì perplesso il messaggio a Liz, che scosse decisa la testa. - Non se ne parla nemmeno! Non lo lascerò nelle loro mani!... - Serrò pensierosa le labbra. - Perché vanno verso il centro? Pensavo che lo avrebbero portato in un’altra città, ma... in centro? - Tentò di visualizzare la zona per cercare di capire quale potesse essere la loro meta, tuttavia le venne in mente solo una serie infinita di negozi ed uffici vari. - Continua ad insistere, per favore. -
- Ok - Jason tornò a proiettarsi nei pensieri del padre tuttavia, nel percepirne la profonda preoccupazione, preferì restare in silenzio mentre, accovacciato accanto a lui, teneva le mani sulle sue.
Max sedeva impassibile mentre la vettura correva per le strade semideserte di Roswell, ma nella sua mente la vicinanza del figlio gli dava un tale calore che non ebbe la forza di mandarlo via.
Quando infine l’auto si fermò il giovane faticò a non manifestare la sorpresa. “L’ufficio dello sceriffo?!?”
“- Papà? -”
“- Perdonami, tesoro, adesso devi andare! Siamo arrivati a destinazione, credo... -”
Sentendosi fisicamente escluso dal rapporto mentale, Jason gemette dentro di sé e guardò sconcertato la madre. - Sono davanti all’ufficio dello sceriffo -
- Come?!? - Liz spalancò gli occhi sbalordita. Stava ancora cercando di digerire la notizia quando squillò il telefono. Era Jim Valenti.

- Abbiamo bisogno del suo ufficio, sceriffo. La prego di lasciarci soli... -
Valenti fissò perplesso il distintivo che l’uomo gli aveva messo sotto il naso. Un distintivo federale. - E potrei sapere a cosa vi serve? O almeno per quanto tempo? Voglio dire... va bene che questa è una contea piuttosto tranquilla, ma c’è sempre qualcosa da fare! -
- Me ne rendo conto, però devo chiederle lo stesso di andarsene. Adesso -
Jim si alzò lentamente, urtato dal suo tono di comando. - Senta, il fatto che sia dell’FBI non le dà alcun diritto di requisire questo ufficio. Perché non se ne va da qualche altra parte? -
- Per favore, non me lo faccia ripetere... -
Lo sceriffo prese con un gesto rabbioso il cappello dall’attaccapanni ed uscì senza voltarsi indietro.
- L’avvertirò quando potrà tornare - lo avvertì il federale mentre la porta sbatteva alle sue spalle.
Indispettito per il sopruso Jim attraversò la strada e prese la direzione del Crashdown pensando che forse una fetta di torta al cocco avrebbe placato la sua rabbia. Aveva fatto solo pochi passi, però, quando una specie di sesto senso lo costrinse a rallentare gettando un’occhiata dietro di sé. - Ma quello è... Max? - Osservò attento il familiare profilo del ragazzo e non ebbe dubbi. Era proprio Max, e due uomini lo tenevano stretto per le braccia mentre entravano nell’edificio. Riprese allora il proprio cammino e, una volta all’interno del locale, andò a sedersi ad un tavolo un po’ appartato. Una cameriera andò subito da lui per l’ordinazione poi, quando fu di nuovo solo, prese il cellulare dalla tasca del giubbetto e compose il numero di casa Evans.

- Oh, Michael, finalmente sei arrivato! Liz è di sopra, nella stanza dei ragazzi. - Diane Evans fece cenno al giovane di entrare e sorrise alla ragazza che era con lui. - Ciao, Maria. -
- Buongiorno, signora. Come va? -
La donna si strinse nelle spalle, gli occhi velati di tristezza. - Perché continuano a prendersela con mio figlio? -
- Perché hanno paura di noi - Michael strinse i pugni mentre avanzava nel soggiorno. - Suo marito non c’è? -
- No. E’ uscito prima che... prima che succedesse... questo. -
- Beh, meglio così. Forse dovrebbe andare da lui: non mi sembra il caso di rischiare di farci sorprendere un’altra volta tutti nella stessa casa -
Diane impallidì di colpo, poi sospirò. - Hai ragione. Vado a prepararmi... -
La camera di Jason e Shiri era decisamente affollata e Maria si affrettò ad andare accanto all’amica per stringerla forte tra le braccia. - Riusciremo a liberarlo, vedrai! - disse a fior di labbra.
Liz ricambiò l’abbraccio accennando l’ombra di un sorriso. - Sì, certo... -
- Ho detto alla madre di Max di andare dal marito, così sono due persone in meno di cui preoccuparsi. - Michael si rivolse a Thien. - Krentz? -
- Sta verificando il perimetro esterno. Dovrebbe essere di ritorno a minuti -
- Bene. Liz, hai avuto altre notizie da Max? -
- No. Jason ha provato a contattarlo di nuovo ma è stato respinto. Evidentemente ha bisogno di tutta la sua concentrazione per... per difendersi... - Pronunciò le ultime parole in un soffio, tremando al solo pensiero di quello che potevano significare.
- Hai avvertito Isabel? -
Liz scosse lentamente la testa. - Non ancora. Io... non vorrei rovinare il suo viaggio di nozze... -
Michael fece una smorfia. - Se fossi in te la chiamerei subito. Sarà poi lei a decidere cosa fare. -
La ragazza esitò, incerta, poi annuì. - Sì, hai ragione... - Prese il ricevitore del telefono che stava sul comodino accanto al letto di Jason e digitò svelta la sequenza di cifre prima di avere dei ripensamenti.
Isabel, che stava aspettando insieme al marito l’apertura del cancello d’imbarco del suo aereo, rispose al primo squillo. Morgan la fissò incuriosito per l’espressione corrucciata che le si dipinse sul volto, e s’irrigidì nel sentirla affermare che sarebbero subito tornati a casa. - Isabel... -
Mentre riponeva il cellulare nella borsetta la ragazza si alzò costringendolo a fare altrettanto. - E’ per via di Max. Mi spiace ma non posso partire finché non avremo sistemato la faccenda. Si tratta solo di rinviare di qualche giorno, almeno spero... -
- Senti, tesoro, lo sai che nutro molta stima per tuo fratello, però mi sembra che tu te la prenda un po’ troppo per lui! -
- E’ nei guai, e io devo aiutarlo -
- D’accordo, va bene. Ma proprio ora? Mentre stiamo per partire? Insomma, ci siamo appena sposati e già ci sono problemi!... -
Isabel continuò a camminare a passo veloce verso l’uscita. - Non posso farci niente. Non ho scelto io il momento, ok? Se vuoi puoi andare avanti tu: io ti raggiungerò appena mi sarà possibile -
L’uomo serrò le labbra frustrato. - Non ci penso nemmeno! Si può sapere cosa gli è successo? -
Lei gli lanciò uno sguardo torvo. - L’FBI lo ha prelevato davanti casa dei miei genitori. -
- Perché? -
- Non lo so, Liz non me lo ha detto. Probabilmente non lo sa neppure lei... -
- Vuoi che provi a sentire David? -
- Sì, è un’ottima idea -
Morgan stava ancora parlando col fratellastro quando si ritrovarono davanti alla loro vettura, nel parcheggio custodito.
Senza dire nulla Isabel si mise alla guida, dividendo la propria attenzione fra la strada e le parole del marito. - Allora? - chiese poi, quando l’uomo chiuse l’apparecchio.
- Sa soltanto che, da quando il presidente vi ha lasciato liberi di andare, un satellite è puntato stabilmente sul New Mexico, tutto qui -
- Tutto qui?!? - La ragazza scosse la testa irritata. - In questo modo tengono d’occhio ogni mossa che facciamo! -
- E... avete fatto qualche mossa... azzardata, di recente? Qualcosa che possa aver insospettito i federali? - Si girò a guardarla. - O forse hanno registrato dei segnali insoliti e vogliono semplicemente verificare. Con questo non voglio dire che sia un comportamento corretto, ma neppure mio padre può farci nulla - Studiò con attenzione il suo volto. - In questo caso lo rilasceranno subito, vedrai... -
Dopo un prolungato silenzio Isabel corrugò la fronte. - Max e Michael hanno aiutato un amico in difficoltà -
- Un amico? - Morgan la fissò indagatore. - Un amico... alieno? -
- Mettiamola così: la Terra non è l’unico pianeta abitato! -
- Già... - Con un sospiro si accomodò meglio sul sedile. - Allora Max è in guai seri. -
- Che vuoi dire? -
- Non gli faranno del male, non ti preoccupare! Sono stati dati ordini precisi, in merito... Però non lo lasceranno andare finché non avrà risposto alle loro domande. Spero che decida di collaborare: sarebbe la soluzione più semplice -
- Non per lui. Max non tradirebbe mai un amico, a costo di rimetterci la vita... -
L’uomo non rispose. Cos’avrebbe potuto dire? Che il loro futuro dipendeva dall’atteggiamento che il cognato avrebbe tenuto nei confronti degli agenti dell’FBI? Oppure che Max rischiava di essere trattenuto per il resto della vita come garanzia contro una ipotetica reazione da parte dei suoi amici? Queste erano cose che Isabel sapeva benissimo, come lui sapeva che la sua lealtà nei confronti del fratello l’avrebbe portata a correre qualsiasi rischio. Da qualunque lato esaminasse la faccenda sentiva che c’era ben poco che potesse fare per aiutarla se non restarle accanto.
Quando Isabel frenò bruscamente davanti alla casa dei genitori Morgan fece un respiro profondo e si preparò ad affrontare l’ignoto.
Nel momento stesso in cui la coppia varcò la soglia tutti si alzarono per andare a salutare, tranne Lhara. La giovane aveva fatto facilmente amicizia con Jason e Shiri, e si stava abituando alla presenza di Liz. Ma la principessa Vilandra era tutta un’altra cosa. Altera e distante, regale come lei non sarebbe mai stata capace di essere. Abbassò la testa impacciata mentre Isabel avanzava con espressione dura.
- Isabel, ti prego, cerca di calmarti, ok? Lhara non ha alcuna colpa di quello che è successo... - tentò di placarla Michael.
- Calmarmi?!? - La ragazza s’immobilizzò e si volse a guardarlo negli occhi. - Max è nelle mani dell’FBI, e tu mi dici di calmarmi? - Fissò poi Liz. - Come fai ad essere così tranquilla quando lui potrebbe anche... non tornare più! -
A quelle parole Liz sbiancò. - Non devi neppure pensarlo... - Si passò la punta della lingua sulle labbra, nervosamente.
- Beh, visti i precedenti mi riesce un po’ difficile - Isabel tornò a fissare Lhara. - Perché tuo fratello ti ha portata sulla Terra? Voglio la verità, stavolta... -
Il suo tono perentorio contrariò Michael, che fece per intervenire in difesa della giovanetta ma venne preceduto da Liz. - Non essere così dura con lei, Isabel! Brent ha già spiegato il motivo per cui l’ha affidata alla protezione di Max... -
- Io credo che non ci abbia detto tutto. E dato che è stato il suo continuo via vai ad attirare l’indesiderato interesse dell’FBI su Max, pretendo di sapere cosa c’è davvero dietro questa faccenda!
Quando erano ancora nella stanza di Jason il ragazzino aveva usato i suoi poteri su Lhara per metterla in grado di comprendere l’inglese, e ora lei aveva potuto seguire l’acceso scambio di battute con crescente apprensione.
- Sto aspettando - sbottò Isabel spazientita.
Lhara la guardò con una profonda tristezza nei begli occhi di un grigio chiarissimo da sembrare, come aveva detto Kyle, d’argento. - Io avevo una sorella, Wirnit. Era più grande di me, aveva diciannove anni. E’ morta in seguito alle ferite riportate durante l’attacco che gli uomini di Volnis hanno sferrato alla capitale mentre Bren era in viaggio per venire qui. Mio padre sperava che Rath potesse venire su Rènida, e magari sposare Wirnit. In questo modo Volnis sarebbe stato costretto a rinunciare alle sue pretese. - Sentendo lo sbuffo di Maria l’ombra di un sorriso le stirò le labbra ben disegnate, poi scosse leggermente la testa. - In ogni caso era ormai troppo tardi per salvarla... E per quanti sforzi mio fratello faccia, ormai Volnis si è talmente insinuato nel tessuto economico dell’intero pianeta che buona parte della popolazione preferisce sottomettersi al suo dominio piuttosto che rischiare di perdere tutto quanto. Per questo mio padre ha insistito perché io venissi condotta qui da voi: se quell’uomo orribile riuscisse a prendermi diventerebbe automaticamente il signore incontrastato di Rènida. Gli Alehnikar non sono una famiglia antica come i sovrani di Antar, ma hanno il loro orgoglio e non sono disposti a cedere il loro sangue a gente di quel genere... -
- Cedere... il loro sangue? Che cosa... che cosa vuol dire? - domandò Liz perplessa.
Di colpo Isabel s’irrigidì. - Ora ricordo! La vostra è una monarchia ereditaria femminile! -
Michael corrugò la fronte. - Il loro sangue... le loro regine, giusto? -
La giovane aliena annuì. - Mia madre è morta quando io ero molto piccola, e da allora mio padre ha regnato in qualità di reggente, in attesa che Wirnit compisse vent’anni e potesse salire al trono. -
- Ma adesso sei rimasta solo tu, quindi tu sei... la futura regina di Rènida!... - Il ragazzo si passò le mani tra i capelli con aria sconfortata. - Questo vuol dire che, con te al sicuro qui sulla Terra, Brent e tuo padre possono combattere più liberamente contro Volnis. Quindi Max si ritrova sulle spalle non solo la responsabilità di Antar, ma anche quella di Rènida, per non parlare poi dei guai che abbiamo da queste parti... Se solo lo avessi immaginato, avrei detto a Jim di riportare tuo fratello nel deserto e lasciarlo là dove lo aveva trovato! Isabel, mi uccidi tu o faccio da me? -
- Non dirlo due volte, o potrei davvero farci un pensierino - Isabel si voltò di scatto, quasi non sopportasse più la vista della ragazza, e rivolse un sorriso amaro a Morgan. - Temo che dovremo rinviare il nostro viaggio più a lungo di quanto pensassi... -
Il giovane serrò per un attimo le mascelle poi andò a sedersi. “Sapevo che non sarebbe stato semplice vivere accanto a te, ma non avrei mai immaginato che le difficoltà sarebbero iniziate così presto...” Studiò attentamente l’espressione stravolta di Liz, l’angoscia di Michael e Maria, la desolazione di Jason e Shiri, la furia di Isabel, l’impenetrabilità degli sguardi dei due uomini venuti da lontano per proteggere la famiglia del loro signore, e sospirò. Sapeva che quello che più lo aveva attratto di Isabel, a parte l’incredibile bellezza, era il senso di mistero che emanava da lei, e adesso doveva imparare a convivere con le incertezze ed i pericoli legati all’inimmaginabile verità celata dietro il fascino del suo sguardo di velluto. Incertezze e pericoli che l’avrebbero sempre fatta accorrere al fianco del fratello e dei suoi amici mettendo ogni altra cosa al secondo posto, perfino lui stesso.
- Isabel, Jim ci ha fatto sapere che Max è stato portato nel suo ufficio dai federali - Liz si strofinò nervosamente le mani sui jeans. - Lui... lui non permette a Jason di mantenere un contatto mentale. Non c’è modo di sapere cosa gli stiano facendo... -
- Secondo Morgan, niente di male. Pare che ci siano degli ordini, in merito, anche se io non mi fido assolutamente dell’FBI. Però... - La ragazza si voltò verso il nipote. - Non riesci proprio a sentirlo? -
- No, mi tiene fuori. Ma forse provando insieme potremmo riuscirci! - Con un sorriso speranzoso Jason le si avvicinò, la prese per mano e corse con lei su per le scale, seguito da Liz e Shiri.
I due si sdraiarono sul letto del ragazzino e chiusero gli occhi scivolando subito in un leggero stato di trance.
Trascorsero pochi minuti, poi Isabel scattò a sedere tremando. - C’eravamo, lo abbiamo sentito! Poi è... scomparso. Così, all’improvviso... come... - Guardò smarrita Liz, - ...come è successo nell’area 51... -
Shiri si raggomitolò accanto al fratello, rimasto sdraiato con lo sguardo fisso davanti a sé. - Non puoi andare a prenderlo e riportarlo a casa? - gli chiese sottovoce.
Lui scosse lentamente la testa mentre una lacrima gli scendeva lungo il viso. - Ho bisogno di sentirlo... per poter stabilire una connessione che mi conduca fino a lui... ma la sua mente adesso... è vuota -
- Cosa?!? - Liz balzò in avanti guardando dal figlio a Isabel.
- Devono avergli iniettato i neuroinibitori, è l’unica spiegazione plausibile... Però è vivo, Liz, questo lo so... - rispose quest’ultima.
Shiri si girò a guardarla. - Mamma, perché non andiamo da lui? -
- Perché non si farebbero alcuno scrupolo a prendere anche te e Jason, e questo io non lo permetterò mai - La voce della ragazza suonò ferma e decisa.
- E non è il caso di fornirgli un’arma con cui ricattarlo, quindi nessuno si muoverà da questa casa, siamo intesi? - intervenne Michael, fermo sulla soglia della stanza.
- Cosa facciamo, allora? - borbottò Isabel.
- Io avrei un’idea... - Shiri scese lentamente dal letto e fronteggiò il giovane. - Potremmo andare dallo zio Jim e tenere d’occhio insieme a lui i federali. Forse potrebbe presentarsi l’occasione per liberare papà... -
- Sì, si può fare! - Isabel si voltò verso il marito. - Tu che ne pensi? -
- Non mi sembra opportuno intervenire con la forza. L’FBI ha l’ordine di non fare del male a nessuno di voi, ma soltanto di controllarvi. Controllare tutti noi, in realtà... Non rendiamo le cose ancora più difficili di quanto già non siano... -
- Chi ci garantisce che non stiano torturando mio fratello? - La ragazza incrociò le braccia sul petto con aria bellicosa.
- Nessuno. Però potrei andare io, insieme al colonnello Anders. Liz? -
- D’accordo. -
- Mamma, posso andare con loro? - la pregò Jason.
- No - rispose Michael per Liz. - Io sono sicuro che Max tornerà presto a casa, comunque non intendo assolutamente mettere in pericolo la vita del suo primo erede. Non dopo tutto quello che ha dovuto patire per riportare la pace su Antar... Tu non ti muovi di qui, e Lou sarà la tua ombra! -
- Non ti fidi? - lo sfidò il ragazzino.
- Appunto. Somigli davvero troppo a tuo padre, per i miei gusti, quindi l’unica maniera per essere certi che non farai pazzie è affidarti a un baby sitter. Lou! -
L’uomo arrivò subito, evidentemente era rimasto di guardia al piano superiore della casa, e ascoltò con attenzione gli ordini di Michael.
Jason si strinse le ginocchia al petto. - Non hai paura che mi teletrasporti? -
- Vado io con loro, Jason. In questo modo potrò collegarmi con te nel caso ci sia bisogno di aiuto - intervenne Shiri.
- Ci sono i cellulari, per questo. - borbottò Maria.
La ragazzina la fissò angosciata, il labbro inferiore percorso da un leggero tremito, poi guardò la madre. - Ti prego... -
Liz chiuse per un attimo gli occhi. Aveva bisogno di riflettere, e di farlo in fretta. Max era nei guai e lei doveva aiutarlo a venirne fuori il più presto possibile! Se poi avesse avuto bisogno di cure immediate... Si portò le mani alle tempie sospirando. - Ok. Ascoltatemi... Thien e Morgan... e Shiri... voi andate da Jim. E’ ancora al Crashdown... Michael, Isabel, che cosa suggerite di fare? -
- Vado anch’io - Un muscolo nella mascella di Michael vibrò visibilmente. - Non permetterò che gli facciano del male. Qualsiasi ordine abbiano ricevuto, Morgan, io non lo lascerò con loro un solo minuto di più. Sono stufo di tutta questa storia! -
- Michael... -
- No, Morgan, adesso basta! Stavolta se la sono presa con la persona sbagliata: Max non può essere considerato responsabile per ogni atomo che si muove nello spazio! Se proprio vogliono sapere cos’è successo, che lo chiedano a Brent! Sempre che siano in grado di raggiungerlo... - Detto questo, il giovane se ne andò seguito a ruota da Shiri e Thien Anders.
Morgan sentì su di sé lo sguardo freddo di Isabel, serrò le labbra ed uscì senza dire nulla.

Kyle fece un piccolo cenno col mento e suo padre si volse a guardare l’ingresso del locale. - Hanno fatto presto... -
L’uomo socchiuse gli occhi. - Non si fidano dell’FBI, e neanch’io - Attese che li raggiungessero al tavolo e ordinò alla cameriera di portare altro caffè.
- Salve, Jim. Novità? -
- Nessuna. Michael, non possiamo attaccare agenti federali, te ne rendi conto, vero? -
Michael poggiò i gomiti sul tavolo e si sporse verso di lui. - Tu non vieni con noi, o finirai nei guai. Devi solo aiutarci... Hai visto quanti sono? -
- Quattro. E sono tutti all’interno. -
Shiri sollevò il volto per osservare Thien. - Portalo fuori da lì, te ne prego... -
- Sì, signora - L’alieno, seduto accanto a Valenti, cercò lo sguardo di Michael. - Sono pronto, generale Rath -
- Bene - Il giovane si alzò e depose un bacio sulla fronte di Shiri. - Resta q ui con Kyle. Passeremo a riprenderti il prima possibile. -
Lei annuì sorridendo fiduciosa, poi prese la bottiglia della salsa Tabasco e ne versò una discreta dose nella tazza di caffè, cui aggiunse dello zucchero. Non si voltò quando udì il tintinnìo che accompagnava sempre l’apertura della porta.
- E’ tutto ok? - le chiese gentilmente Kyle.
La ragazzina continuò a mescolare con cura il contenuto della sua tazza senza rispondere, poi sospirò.
- Io vado con loro. Kyle, se le cose dovessero mettersi male portala a casa... -
- D’accordo -
L’uomo mise alcune banconote sul tavolo, infilò il cappello e se ne andò.
Kyle emise un profondo sospiro e si appoggiò allo schienale del divanetto. - Ti va una fetta di torta? -
- No, grazie. Kyle, io... - Shiri si strofinò la guancia con la punta delle dita. - ...io vorrei che mi raccontassi qualcosa... quello che vuoi... -
- Hai bisogno di distrarti, eh? - Il ragazzo si versò dell’altro caffè. - Dunque... Sai che questo è il locale dei genitori di Liz, vero? - Davanti al suo cenno d’assenso proseguì ridacchiando. - Tua madre e Maria hanno lavorato qui per anni servendo ai tavoli, e Michael stava in cucina. E’ stato il periodo più incredibile della mia vita... - Continuò a parlare per un bel pezzo finché vide arrivare la signora Parker. - Oh oh... Vieni, andiamocene, o Liz mi farà a fettine... - Senza lasciarle il tempo di fiatare la prese per un polso e si avviò verso l’uscita ma venne fermato dal richiamo della donna. - Kyle! Kyle, quando sei tornato in città?! -
Sbuffando impercettibilmente si fermò e fece un lento giro su se stesso. - Salve, signora. Le chiedo scusa ma devo proprio andare: mio padre mi sta aspettando... -
- Capisco. Ehm... senti... - Nancy si arrestò ad un passo da lui. - Hai... hai visto per caso Liz? - Lo sguardo le andò sulla ragazza al suo fianco. Trattenne per un attimo il fiato poi sorrise impacciata. E’ una tua amica? - chiese incerta.
- Sì. Senta, si è fatto davvero tardi. Se vedo Liz le dico di chiamarla, d’accordo? -
- Grazie, Kyle. Grazie di cuore... -
Mentre uscivano dal locale Shiri girò appena il capo e vide la donna continuare a fissarla con espressione perplessa.
- Perché mi guarda così? -
Kyle si strinse nelle spalle. - Forse perché somigli moltissimo a tua madre -
Una volta in strada il giovane si diresse verso una moto parcheggiata poco distante.
- Mi porti...? -
- No - Kyle sollevò il cavalletto e le fece segno di montare. - Si va a casa mia. Coraggio, salta su! - Attese che si fosse ben sistemata dietro di lui poi girò la chiavetta dell’accensione e s’immise nel traffico.

L’uomo s’irrigidì e fece per estrarre la pistola dalla fondina nascosta sotto la giacca ma Morgan scosse leggermente il capo. - Non è necessario, amico, non abbiamo alcuna intenzione di combinare guai... - Il suo sguardo andò alla porta alle sue spalle. - Siamo qui per Max Evans. -
- Il capitano Ross lo sta ancora interrogando. Quando avrà finito lo riporteremo a casa sua -
Michael contrasse i pugni fino a far sbiancare le nocche. - Questo è un rapimento. Ve ne rendete conto, vero? -
L’agente gli gettò un’occhiata indifferente, e Morgan si affrettò ad intervenire per calmare l’amico. - E’ possibile parlare con Ross? -
- Non ora -
- Beh, invece noi vogliamo parlarci in questo preciso momento, ok? - Michael andò a fermarsi a pochi centimetri dall’uomo. - Chiamalo! -
In quell’istante la porta si aprì ed apparve il capitano. - Ehi, ragazzo, non ti scaldare... -
Due paia di occhi corsero al nuovo arrivato, che fece un sorrisetto indisponente. - Mi stavate cercando? -
- Certo, figlio di... -
- Michael! - Morgan lo zittì con tono brusco, poi si rivolse a Ross. - I patti sono chiari: Guerin e i fratelli Evans non devono agire in alcun modo contro gli Stati Uniti, pena le loro stesse vite. Non mi risulta che abbiano fatto qualcosa del genere, quindi lei non ha alcun diritto di trattenere contro la sua volontà quel ragazzo. Lo rilasci immediatamente, o sarò costretto a chiedere l’intervento del generale Francis Howard -
- E’ stato proprio il Norad a segnalare l’arrivo dallo spazio di un oggetto non identificato che si sarebbe abbattuto nei dintorni di Roswell, quindi non credo che troverà molti appoggi da quella parte, Coltrane... -
- La verità è che vuoi vendicarti per quello che Max ti ha fatto l’ultima volta che ci siamo incontrati, e se anche fosse il presidente in persona a ordinartelo tu non lo lasceresti andare! Hai paura di noi, e per questo ci tratti come mostri, ma il vero mostro sei tu! Tu, Pierce, e tutti quelli come voi! - Michael distese le dita e fletté i polsi verso l’alto. - Liberalo, Ross. Lui è innocente. Le tue indagini fattele da solo! -
Stavolta Morgan non lo interruppe. Sentiva anche lui che Gabriel Ross era un uomo estremamente pericoloso, da cui dovevano guardarsi, e di sicuro non potevano lasciare Max nelle sue mani.
- Non sei in grado di darmi ordini, ragazzo. E nemmeno lei, ex agente Coltrane -
- Hai ragione, amico - La voce sprezzante di Michael risuonò forte e decisa. - Ma dato che sei comunque intenzionato a violare gli accordi, tanto vale che te ne dia un buon motivo, no? - Corrugò appena la fronte concentrandosi per focalizzare l’energia necessaria a disintegrare l’uomo.
Per la prima volta Ross si accorse della discreta presenza del colonnello Anders. Nonostante gli abiti sportivi non era possibile sbagliarsi: tutto, in lui, tradiva un addestramento militare. Dunque, si erano portati dietro i rinforzi... - Questa volta non la passerete liscia -
- Sto tremando per la paura! - Michael tese lentamente il braccio destro in avanti, negli occhi una luce spietata.
Un campo di forza divise in due la stanza isolando i cinque uomini. Morgan approfittò della momentanea distrazione di Ross per spalancare la porta dietro di lui e corse all’interno dell’ufficio dello sceriffo.
- Max! - Si precipitò accanto al giovane, seduto sulla poltroncina posta davanti alla scrivania con il mento reclinato sul petto. Gli sollevò gentilmente la testa e vide il sudore che gli ricopriva la fronte e le labbra, lo sguardo spento, avvertì la fatica con cui respirava e il completo abbandono del suo corpo. - Maledizione... - Fece per chiamare aiuto quando si rese conto che Anders era accanto a lui.
In silenzio i due sollevarono Max e uscirono.
Con un movimento brusco della mano Michael richiamò a sé tutta la sua energia prima di seguire gli altri fuori dell’edificio.
Avevano fatto solo pochi passi quando Valenti si parò davanti a loro.
- Jim! - Michael corrugò la fronte sorpreso.
- Come sta? - Lo sceriffo si avvicinò preoccupato a Morgan e pose due dita sul collo di Max.
- Dobbiamo portarlo subito a casa. Il tempo di passare al Crashdown e... -
- I ragazzi non stanno più lì. Kyle mi ha avvertito poco fa: sono appena arrivati a casa mia. -
- Grazie per l’informazione. Ah, un consiglio! Non torni subito nel suo ufficio... -
L’uomo annuì sorridendo. - Già, immagino sia meglio aspettare un po’. Buona fortuna! -
Michael rispose con un cenno di saluto del capo e si diresse verso la jeep parcheggiata poco lontano.
Quando udirono il campanello della porta d’ingresso Kyle intimò a Shiri di nascondersi in cucina poi andò ad aprire. - Ehi! -
- Shiri è qui, vero? -
- Sì, certo. - Il ragazzo fece un passo indietro invitandolo ad entrare. - Shiri, vieni, è Michael! -
A quel richiamo Shiri tornò correndo nel soggiorno e impallidì nel vedere Thien dietro Michael. Papà! -
Il soldato depose delicatamente il corpo privo di sensi del giovane sul divano prima di guardarla negli occhi. - La sua vita è nelle tue mani, principessa... -
- Cosa... cosa vuol dire? - domandò lei spaventata fissando prima lui poi Michael.
- E’ svenuto poco dopo aver lasciato l’ufficio di Jim e i battiti del cuore si sono talmente rallentati che quasi non si avvertono più. Io credo che... che sia ancora sotto l’effetto dei neuroinibitori. Tu sei la sola che possa intervenire su di lui... -
In preda all’angoscia la ragazzina si curvò su Max e gli pose le mani sul torace. Girò il volto contratto per la tensione verso quello innaturalmente rilassato del padre sforzandosi di controllare il proprio respiro. A poco a poco dalle sue dita si diffuse una intensa luminosità dorata. Strinse i denti, sprofondando sempre di più nella connessione, fin quando un flusso di immagini e sensazioni invase la sua mente. Percepì l’istantanea riparazione delle parti interne danneggiate ed emise un sospiro di sollievo. Si sedette sul bordo del letto prendendo tra le sue una mano del giovane, poi accennò un sorriso in direzione di Michael. - Adesso il suo cuore funziona bene. -
Lui si avvicinò per studiare l’espressione vacua dell’amico, tornato in sé proprio in quel momento. Mmm, l’hanno riempito di droga fino agli occhi... - Si mordicchiò pensoso le labbra dopodiché disse a Morgan di telefonare ad Isabel per avvertire che stavano tornando a casa.
- Porto Shiri in moto con me - disse di getto Kyle. - Con Max non ce la farete mai a stare tutti nella jeep... - aggiunse come spiegazione.
- Ok - Non volendo perdere altro tempo Michael spalancò la porta ed attese che Thien, con Max pesantemente appoggiato contro il fianco, passasse dopodiché si affrettò verso la vettura e la mise in moto.
Un quarto d’ora più tardi erano tutti nella stanza che Max divideva con Liz.
- Come ti senti? - La ragazza si era seduta accanto al marito e gli carezzava gentilmente la fronte.
- Stanco... - Il giovane deglutì con un certo sforzo cercando per un attimo il suo sguardo, poi fissò Lhara. - Io non... non ho detto niente di te... o di Brent... Loro... non hanno alcuna prova che altri... come noi... siano arrivati qui a Roswell... -
- Cosa ti hanno fatto? - domandò Isabel preoccupata. - Jason non riusciva a sentire la tua mente -
- Neuro... inibitori... - Max si guardò il braccio, dove non era rimasta alcuna traccia delle decine di punture che gli avevano fatto. - Poi... il siero della verità... e droghe... Hanno... hanno provato di tutto ma... - sorrise chiudendo gli occhi, - è stato inutile... Sono riuscito a non rispondere alle loro domande... -
- E ci stavi per rimettere la pelle, dannazione! - Michael si appoggiò alla parete incrociando le braccia sul petto. - Con i tuoi poteri bloccati dai neuroinibitori c’è mancato poco che tutta quella porcheria ti uccidesse! -
- Morgan, non è possibile denunciarli per quello che hanno fatto? - chiese timidamente Maria.
L’uomo si strinse nelle spalle. - No, non servirebbe a niente. La sezione speciale gode di una particolare autonomia, e neppure il direttore può fare molto a parte scioglierla. Ma questo non credo sia possibile, non ora che il presidente degli Stati Uniti sa della vostra esistenza... -
Isabel sbuffò. - Beh, e allora cosa facciamo? Non è giusto che possano prenderci come e quando gli pare e torturarci per avere informazioni! -
Quelle parole penetrarono dentro Morgan come lame d’acciaio. L’idea di veder soffrire Isabel lo faceva stare male, eppure dubitava che sarebbe riuscito a proteggerla nel malaugurato caso l’FBI decidesse di rinchiudere una volta per sempre lei e gli altri alieni.
Liz infilò le dita tra i morbidi capelli di Max. - Forse dovremmo incontrarci con il capitano Ross, tutti quanti insieme, e parlargli. Magari riusciremmo a fargli capire che non ha nulla da temere e ci lascerebbe in pace... -
- Lui smetterà di tormentarci soltanto quando ci avrà uccisi - Michael scrollò le spalle. - E noi non possiamo fargli niente o avremo alle calcagna l’intera Guardia nazionale. Direi che non c’è alcuna via d’uscita -
- Il mondo non è ancora pronto per la verità - intervenne Kyle. - Mi dispiace... -
- Sapessi quanto spiace a noi... - Maria si guardò le mani strettamente intrecciate in grembo. - Però penso che Liz abbia ragione. E’ un tentativo che dovremmo fare. - Rialzò il capo e sorrise a Michael. Non abbiamo niente da perdere, in fin dei conti -
Lhara si avvicinò al letto con un’espressione desolata sul bel viso. - Io... mi rendo conto che il mio arrivo ti ha causato molti problemi, Zan... Forse... forse dovrei tornare su Rènida e combattere accanto a Bren. Non è giusto che lui, e tutti voi, dobbiate correre dei rischi per me. Io... sono solo la seconda scelta... -
Max si mise lentamente a sedere e la fissò serio. - Non sei la seconda scelta, Lhara... Il fatto che tua sorella sia morta lasciandoti in eredità il trono... è qualcosa che nessuno poteva prevedere ma questo... non significa che in te non ci siano le capacità per governare... se davvero lo vuoi -
Gli occhi della ragazza divennero lucidi di lacrime, e Shiri le si accostò prendendole con affetto una mano. Lhara si volse a guardarla. - Sono sicura che tu saresti una regina migliore di me. C’è tanta forza, nel tuo cuore... più di quanta potrò mai averne io... -
- Puoi restare con noi tutto il tempo che desideri, Lhara. - Max coprì con le proprie le dita di Liz, posate sulla sua gamba. - E così Brent -
- Bren - lo corresse lei. - A casa lo chiamiamo in questo modo... -
- D’accordo. Bren. - Il giovane annuì poi si riadagiò contro il cuscino.
Immaginando che l’amico avesse bisogno di tranquillità, Michael prese Maria per la mano. - Allora noi ce ne andiamo. Prenditela con calma, Max, mi raccomando! - Guardò Kyle. - Vieni via anche tu? -
Colto alla sprovvista Kyle si dondolò sui piedi. - Ecco, veramente... io... - farfugliò imbarazzato. - Io stavo pensando che magari a Lhara piacerebbe andare a fare un giro... -
Tutti si voltarono a fissare Lhara, la quale si strofinò le mani contro i pantaloni. - Sì, volentieri, grazie... - Si sentiva così a disagio davanti all’intera famiglia reale di Antar che desiderava con tutta se stessa allontanarsene per qualche ora! Zan, Liz, i loro figli, e perfino Rath erano persone incredibilmente gentili e disponibili ma non si rendevano conto dell’aura di potere che li circondava e le rendeva stressante quel continuo contatto. Kyle Valenti, invece, era... meravigliosamente normale... ed era certa che con lui avrebbe ritrovato una parvenza di serenità. Senza più esitare tese una mano, che il ragazzo si affrettò a prendere.
- Kyle, abbi cura di lei, mi raccomando -
- Stai tranquilla, Isabel, la riporterò indietro tutta intera! - Sorridendo condusse via la ragazza. - Bene, adesso ti mostrerò le bellezze di questa metropoli! La scortò fino alla moto e le spiegò come salire, dopodiché fece rombare il motore e sparì lungo la strada.
Maria rimase per qualche secondo a guardarli interdetta dalla finestra. - E’ completamente uscito di testa... -
- No, è solo molto attratto da lei. - disse Shiri seria.
- Tesoro, è la stessa cosa - Maria si girò verso la ragazzina e fece una smorfia. - Se non altro Kyle è diretto. Non contorto come qualcuno di mia conoscenza... - Guardò dapprima Max poi Michael. - Ok, andiamo, adesso. E’ l’una passata e io sto morendo di fame -
Isabel diede una rapida occhiata al fratello. - Io vado a telefonare alla mamma. Tu non muoverti finché non arriva, ok? -
Max fece un cenno affermativo col capo poi si girò verso Liz, le passò un braccio intorno alla vita e si addormentò.
Senza quasi aspettare che la macchina fosse ferma Diane si precipitò in casa e su fino alla stanza del figlio. - Max! Grazie al cielo... - Lo strinse forte a sé, come se temesse di vederlo sparire da un momento all’altro.
Phillip Evans spense il motore e seguì con più calma la moglie. Ma si trattava di una calma solo apparente perché dentro di sé tremava al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere al suo ragazzo. Si avvicinò a Diane e accarezzò piano i capelli di Max prima di dargli un affettuoso bacio sulla testa, poi tese un braccio verso Isabel, che si slanciò verso di lui con occhi lucidi di lacrime. Rimasero a lungo così, bisognosi di quel reciproco conforto, dopodiché Phillip salutò Morgan serrandogli forte la mano. - Mi dispiace per il vostro viaggio. Cosa avete deciso di fare? Pensate di partire domani? - Sentì l’improvviso irrigidirsi della figlia e la studiò perplesso. - Cara, che c’è? -
- Niente, niente... -
Anders, che era rimasto fuori a controllare, attese che Lou apparisse da dietro l’angolo dell’edificio e si rilassò un poco nel vedere il piccolo segno negativo che gli fece con la testa. Allora rientrò e salì al piano superiore, da cui poteva tenere d’occhio un’area più ampia, e nel passare davanti alla camera di Max si rasserenò vedendo che il giovane era di nuovo in piedi.
Diane, nel tentativo di ridare una parvenza di normalità a quella terribile giornata, si diresse verso la cucina, seguita da Isabel e Liz, e si diede da fare per organizzare il pranzo. - Stamattina avrei dovuto fare la spesa ma... - Scosse il capo mordendosi le labbra, poi controllò il contenuto del surgelatore.
- Non preoccuparti, mamma, tanto lo sappiamo che il tuo frigo non è mai vuoto! - Isabel le si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia. - L’importante è che siamo di nuovo tutti insieme. -
La donna si girò verso Liz, intenta a prendere piatti e posate. - Perché non telefoni ai tuoi genitori e li inviti ad unirsi a noi? -
Liz spalancò gli occhi e si volse di scatto a guardarla. - Perché? - domandò, leggermente impallidita.
- Credo che a loro farebbe piacere vederti. Domani tu e Max tornerete ad Albuquerque, e quindi penso che questa sia l’occasione adatta per... -
- Per cosa? Per ricordare quello che hanno fatto? - la interruppe con voce dura.
- Tesoro, non puoi continuare a odiarli per il resto della tua vita... -
- E infatti non li odio. Anzi, li ho perdonati. Ma ancora non me la sento di vederli, di... di parlargli... A maggior ragione dopo quello che è successo stamattina -
Isabel posò gentilmente una mano sul braccio della madre. - Non insistere, mamma. Liz ha ragione. Io... io so quanto è difficile venire a patti con una situazione del genere... Non dimenticare che Morgan ha lavorato per l’FBI... -
Diane sospirò. - D’accordo, non m’intrometterò più! Però prima o poi dovrai fare qualcosa, Liz. La settimana scorsa ho incontrato Nancy al supermercato: era davvero ansiosa di avere tue notizie... -
Senza dire nulla la ragazza sollevò il vassoio su cui aveva deposto tutto l’occorrente per apparecchiare la tavola e uscì dalla cucina.
Il pranzo si svolse abbastanza tranquillamente ma Shiri, grazie alla sua particolare sensibilità, poté percepire la tensione di Liz e di Isabel e continuò a scambiare occhiate con il fratello.
Quando fu tutto rimesso a posto, Isabel e Morgan decisero di tornarsene a casa. Diane disse allora che avrebbe accompagnato il marito al suo studio insieme ai nipoti, e uscirono scortati da Lou Krentz.
Rimasti soli, Max si avvicinò a Liz e le prese il volto tra le mani. - Da quando ho riaperto gli occhi, a casa di Kyle, ho desiderato fare... questo... - Posò le labbra sulle sue, baciandola con passione, sempre più profondamente, mentre lei gli si stringeva contro accarezzandogli la schiena. Il loro respiro divenne presto affannoso e dovettero fermarsi per riprendere fiato, poi Max le passò un braccio intorno alla vita e si diresse verso le scale. Una volta al sicuro in camera da letto sollevò Liz tra le braccia e la depose sul materasso, si sdraiò su di lei e ricominciò a baciarla.
La mano di Liz giaceva aperta sul cuore di Max, i cui forti battiti andavano in sintonia con i suoi. I loro corpi erano ancora uniti e un leggero alone dorato illuminava la pelle dei fianchi.
- Potrei rimanere così per l’eternità... - sussurrò la ragazza.
- Anch’io - Max le toccò la spalla con la punta delle dita.
Liz reclinò un poco la testa all’indietro per guardarlo negli occhi. - Hai l’aria... sfinita... - Si morse leggermente le labbra. - Tu devi riposare, e invece io... -
La mano di Max scivolò lungo il suo collo fino a posarsi sotto la nuca. - Mi hai dato quello di cui più avevo bisogno - la interruppe fissandola, la voce ridotta ad un sussurro. - Te stessa, il tuo amore. Il tuo calore. Adesso che sono di nuovo con te io sto bene. Davvero. E vorrei che finalmente la nostra vita fosse tranquilla... ma... -
- ...ma difficilmente lo sarà. Lo so - Liz accennò un piccolo sorriso mentre gli poggiava una mano tra la spalla ed il collo. - E so pure che, in qualche modo, riusciremo sempre a cavarcela. Devo crederlo, altrimenti... finirei con l’impazzire... -
Lui le carezzò con il pollice le labbra tremanti. - Mi dispiace... per tutto quello che sei costretta a passare per colpa mia... Tu... e i nostri figli... -
Liz scosse leggermente la testa. - Non hai colpa di nulla, Max... di nulla... - Socchiuse gli occhi e gli sfiorò con un bacio leggerissimo il dito con cui le toccava ancora la bocca. - Loro hanno paura di voi perché siete diversi... perché sanno che potete fare cose che non capiscono... Perché non vogliono vedere la verità... e cioè che siete più umani di loro... - Rialzò le palpebre, piano, assaporando la vista del bel volto del giovane. Abbozzò un sorriso incerto. - Forse... se sapessero... Io... io vorrei solo essere sicura che almeno Jason e Shiri non corrano pericoli... -
- In fin dei conti questo è quello che vogliono tutti i genitori. Almeno loro due sono in grado di difendersi... -
La ragazza tremò contro di lui. - Ma sono solo dei bambini, anche se hanno il corpo di adolescenti! -
- Li aiuteremo noi. - Max la baciò delicatamente su una guancia. - Ascolta, io... ho sentito quello che ha detto mia madre, prima... -
- Ah... - Liz si irrigidì e fece per allontanarsi ma il giovane le passò il braccio intorno alla vita bloccandola. - Stasera potremmo passare al Crashdown a salutarla. Che ne dici? -
- Che non mi va di vederla, non ancora... - Si inarcò un poco, e sentì la sua immediata risposta. Emise un lamento soffocato. - Giochi... sporco... -
- No, mai. Mai, con te... - Max cercò di trattenersi, mentre con le dita le sfiorava la pelle liscia della schiena.
- Comunque... hai ragione... - Liz si mosse contro di lui. Scivolò sul suo corpo e si tenne leggermente sollevata facendo forza coi gomiti. - Jason e Shiri hanno il diritto di conoscere i loro nonni. Spero solo che non restino delusi... -
- Se hanno saputo allevare una persona splendida come te non devono essere poi così male... -
Liz scoppiò a ridere e si lasciò ricadere su di lui. - No, è vero, non sono male. Devo solo imparare a fidarmi di loro, e loro di me. Forse non potremo mai dirgli che vieni da un altro pianeta, però... però potremmo inventarci qualcosa... che so... Sì, tipo... come hai detto a Patty e Tony? Un errore nel tuo DNA, giusto? Un errore, certo... sei troppo sexy!... -
Max rotolò su se stesso ed intrecciò le mani con le sue portandole poi verso l’alto. - Nessun errore per te, invece... tu non potevi che essere bellissima... - Cominciò a baciarla, e a poco a poco persero ogni contatto con la realtà.

- Ciao, nonno! - Jason abbracciò con affetto Phillip Evans, poi fu la volta di Shiri, ed infine Diane salutò il marito sorridendo divertita. - Adesso dobbiamo andare, altrimenti non riuscirai a combinare niente! -
Lou si avvicinò con discrezione quando vide i tre uscire dal grazioso portoncino di legno e li seguì continuando a scrutare i dintorni.
- Dove andiamo? - chiese Shiri guardando incuriosita le vetrine.
- Che ne dite di un salto al luna park? Scommetto che non ci siete mai stati, vero? -
- No, infatti. Di cosa si tratta? -
- E’ un posto pieno di giochi. Max ed Isabel impazzivano di gioia quando ce li portavamo... -
Jason si scostò i capelli dagli occhi. - Tu hai sempre saputo chi fossero? -
La donna gli rivolse un rapido sguardo poi scosse leggermente la testa. - No, ce lo hanno rivelato solo due anni fa, quando... quando sono partiti per... Antar. - Il nome alieno le uscì a fatica dalle labbra tirate. - Temevano di non riuscire a tornare e così... ci hanno detto tutto. Non è stato facile accettarlo... Noi... noi gli abbiamo sempre voluto molto bene, fin da quando li abbiamo visti per la prima volta e... abbiamo continuato a volergliene anche dopo aver saputo la verità... però la loro era una storia così incredibile... -
- E mamma? -
- Liz? - Il sorriso di Diane Evans si fece più aperto. - Lei e Max hanno cominciato ad uscire insieme quando avevano sedici anni. Io... penso che fosse al corrente delle sue origini... - Senza volerlo strinse più forte le mani dei nipoti. - Poi, all’improvviso, si sono lasciati. Non ho mai saputo il perché, ma un giorno... -
- Cosa? - la sollecitò Shiri.
- Ecco, hanno ripreso a frequentarsi e... Beh, non è andata sempre bene ma alla fine... sei arrivato tu, Jason, e poi tu, tesoro... - Così dicendo scosse con allegria il braccio di Shiri.
- Papà e mamma si amano molto. -
- Sì, è vero. - Diane sospirò. - Il loro è un legame fortissimo e... spero che anche voi, un giorno, troviate qualcuno che vi ami allo stesso modo. -
- Come si fa a capirlo? -
- Cosa? -
Jason scosse le spalle. - Se l’altra persona è davvero innamorata -
- Lo capirai, credimi... Ma sei ancora troppo giovane, quindi non iniziare a preoccupartene già da adesso, ok? -
- Ok - Il ragazzino le sorrise, poi ammiccò alla sorella, che gli rimandò un’occhiata interrogativa.
Nel frattempo erano giunti alla fermata dell’autobus che li avrebbe portati nella zona della città dove, ormai da un paio di settimane, erano state montate le giostre.
Per più di due ore Jason e Shiri passarono da un’attrazione all’altra, con gran divertimento di Diane Evans, mentre Lou Krentz stava sempre all’erta, poi fecero ritorno in centro e Shiri insisté per andare a prendere un gelato al Crashdown. - Kyle ha detto che lì sono buonissimi - disse a mo’ di spiegazione.
Pur incerta sull’opportunità di recarsi in quel locale, la donna non volle deluderla e così di lì a poco si ritrovarono seduti intorno ad uno dei tavoli del Café, intenti a sorbire un delizioso sundae al cioccolato.
Diane aveva sgranato gli occhi nel vedere i nipoti versare mezza bottiglia di Tabasco sul dolce ma era rimasta in silenzio ricordando come, da quando si trovavano a Roswell, avessero assottigliato la scorta di salsa che teneva in casa. Quei due adoravano quell’infernale intruglio ancor più di Max ed Isabel...
Non avevano ancora terminato di mangiare quando la porta si aprì ed apparvero Liz e Max, che andarono a sedersi accanto a loro.
Imbarazzata, Diane Evans giocherellò con la cannuccia. - Ehm... come mai da queste parti? -
- Siamo venuti per mangiare qualcosa. E salutare i miei genitori - Liz sfiorò dolcemente i capelli setosi della figlia. - Avevi ragione tu, Diane. Se io non riesco a parlare con loro, sarà difficile poterlo fare col capitano Ross... -
Tacquero mentre una ragazza, con indosso la familiare uniforme verde acqua corredata da antenne argentate in testa, si avvicinava per prendere l’ordine dei nuovi arrivati, poi Max si appoggiò stancamente allo schienale del sedile.
Liz gli sorrise e mise una mano sulla sua. - Un super space-burger e doppia porzione di anelli di Saturno per lui e un disco di Venere per me, grazie - disse sollevando il viso verso la cameriera.
Shiri osservò incuriosita le dita della madre carezzare teneramente il dorso della mano di Max. Per un attimo si domandò cos’avrebbe provato a toccare allo stesso modo la mano di Bren e si morse le labbra. - Papà... - mormorò alzando gli occhi su di lui.
Il giovane corrugò la fronte. - Sì? -
- Pensi che... che Bren tornerà? -
Max la fissò sorpreso e Shiri si portò i capelli dietro le orecchie imitando inconsapevolmente un gesto abituale di Liz.
- Spero di sì. - Si sporse verso di lei e le mise un dito sotto il mento guardandola con dolcezza. Tesoro, tutti noi ci auguriamo che ce la faccia. Lo so che sei molto affezionata a lui e a Lhara, quindi devi aver fiducia e aspettare. Non è facile, ma a volte è l’unica cosa che possiamo fare... -
Shiri fece un piccolo cenno d’assenso poi tornò a dedicarsi al suo sundae. Sapeva che, in realtà, Bren doveva ancora arrivare su Rènida, però non poteva fare a meno di preoccuparsi per lui. Avrebbe voluto essere capace di entrare nei sogni, così come faceva Jason, per poter controllare che stesse davvero bene, poi scosse mentalmente le spalle. Lhara aveva un forte legame psichico col fratello, e sarebbe stata lei stessa ad avvertirli se si fosse trovato in pericolo. Dunque, per quanto l’idea non le piacesse, doveva solo pazientare...
Circa mezz’ora più tardi, mentre finiva di bere l’ultimo sorso di limonata, Liz scorse la madre in fondo al locale e ripose bruscamente il bicchiere sul tavolo. - Max... - chiamò sottovoce.
Lui comprese al volo e si alzò, subito imitato dai figli. - Veniamo anche noi - disse Jason deciso.
La ragazza esitò solamente un secondo prima di avviarsi verso Nancy Parker, seguita dagli altri.
Nel vedere il gruppetto avvicinarsi la signora Parker spalancò gli occhi sbalordita. - Liz! - Corse ad abbracciarla, quasi non osando credere che fosse lì, poi la prese per mano. - Venite, andiamo di sopra! - esclamò contenta.
- Mamma, per favore, lasciami andare! Giuro che non scappo! - protestò Liz, ma le sue parole caddero nel vuoto. Si volse indignata a guardare Shiri, che stava ridacchiando divertita, e la fulminò con lo sguardo.
Una volta saliti al piano superiore, dove si trovava l’appartamento privato, Nancy chiamò il marito ad alta voce prima di decidersi a liberare la mano della figlia. - Sono così felice di rivederti, mia cara... - disse con occhi lucidi per l’emozione.
Liz sentì un nodo in gola e si mordicchiò impacciata le labbra poi fece un passo verso di lei, un altro, e si ritrovò di nuovo tra le sue braccia.
- Mi sei mancata, tesoro... Continuavo a chiedere tue notizie a Diane ma speravo sempre che mi telefonassi... -
La giovane non cercò di trattenere le lacrime che ad un tratto le rotolarono lungo le guance, troppo commossa per riuscire a parlare.
Quando arrivò anche Jeffrey Parker Liz si staccò dalla madre e rimase immobile a guardarlo. Scoprì di essere ancora arrabbiata con loro per quello che avevano fatto, ma allo stesso tempo desiderava recuperare il rapporto di un tempo. Sempre che fosse possibile... Dipendeva tutto da come avrebbero reagito alle novità... Lentamente si avvicinò all’uomo e ricambiò l’abbraccio in cui la strinse, dopodiché tornò accanto a Max, che se la premette gentilmente contro il fianco. Si sforzò di sorridere mentre guardava Jason e Shiri fermi poco più in là, poi prese un profondo respiro e fece le presentazioni.
- Jason?!? - Jeff fissò stupefatto il ragazzino. - Santo cielo, è vero che somiglia in maniera impressionante a te, Max, ma non avrei mai immaginato che... Non... non riesco a crederci... -
Nancy, invece, fissava sconvolta Shiri. - Com’è possibile che abbia solo... un mese e mezzo? -
Liz si staccò dal marito con riluttanza tuttavia la forza con cui strinse le spalle dei due giovanetti tradì il profondo amore che nutriva per loro. - Hanno ereditato... l’errore genetico di Max. Quando... l’FBI ci ha catturati, ad Albuquerque, sono riusciti a scappare ma lo sforzo che hanno fatto ha attivato la mutazione del DNA e... questo è il risultato. -
- Tu eri qui stamattina con Kyle, vero? - domandò Nancy. Al cenno affermativo di Shiri proseguì, - e... hai poteri di guaritrice anche tu? -
Shiri annuì di nuovo e la donna trattenne per un attimo il fiato. - E tu? - chiese rivolgendosi a Jason.
Lui scosse piano la testa, ma prima che Nancy e Jeff potessero respirare sollevati spiegò: - Io posso fare... altre cose. - Guardò con fare interrogativo Liz poi ammutolì. Sapeva di aver detto fin troppo. Solo non riusciva a capire come mai quei due reagissero in maniera così... strana... - Adesso smetterete di voler bene alla mamma? -
- Cosa?!? Oh, no! No di certo! Perché dici che...? - Si chinò per prendergli le mani tra le proprie. - Noi vogliamo bene alla tua mamma, e ne vogliamo anche a te e a Shiri! Non devi pensare che... -
- Però non volete bene a papà. - obiettò lui.
- Chi te lo ha detto, figliolo? - domandò il signor Parker fissando Max con sospetto.
- Nessuno. Lo... sento - Jason guardò serio entrambi i nonni. I suoi occhi assunsero un’espressione intensa e profonda, e la tonalità verde prese il sopravvento su quella nocciola. - Posso percepire le emozioni, e adesso state cominciando a provare... paura. Di noi - Ridusse la voce a poco più di un bisbiglio. - Non ne avete motivo. Anche se... siamo diversi. Siamo comunque... umani... -
Nessuno tranne Max sembrò cogliere la sfumatura. Jason aveva detto “umani”, non “esseri umani”. Ed era proprio così. Loro non erano esseri umani, però avevano sentimenti umani ed erano capaci di amare e soffrire come chiunque altro. Ma questo sembrava passare sempre in secondo piano davanti alla “diversità”. Perché era così difficile per gli altri accettarli? Era in situazioni come queste che non riusciva a capacitarsi della fortuna che aveva avuto nell’incontrare una persona meravigliosa come Liz...
I coniugi Parker si guardarono impacciati, poi Nancy si avvicinò esitante a Max. - Jason ha ragione. Avete un figlio molto in gamba... E’ vero, mi spaventa un po’ il fatto che tu sia in grado di... fare cose insolite... Comunque... la verità è che... non... non ho mai potuto perdonarti... - Si serrò le braccia al petto, senza sapere come continuare.
Max rivide con gli occhi della mente la scena. Liz sdraiata su di lui, e la madre che apriva la porta per svegliarla e li sorprendeva a letto insieme. Ricordò l’aria sconvolta della donna, il suo furore, e sospirò. - Io... la capisco... - mormorò.
Lei lo guardò negli occhi per alcuni interminabili secondi, poi annuì. - Sì, credo che tu capisca davvero quello che voglio dire... Forse è sciocco, da parte mia, avercela ancora con te. Ma... -
- Non si preoccupi, signora. Desidero solo che Liz senta che le vuole sempre bene... Per lei è molto importante, anche se non lo dà a vedere. -
- Ehi, voi due, che cosa vi state dicendo? - esclamò Liz sospettosa.
Nancy non avrebbe voluto rivelare i suoi veri sentimenti, temendo la reazione della ragazza, ma allo stesso tempo si rendeva conto che non poteva dirle una bugia. Si voltò verso di lei abbassando per un attimo gli occhi a terra. - Lui... ha fatto l’amore con te quando eri ancora una bambina, e... e ti ha allontanata da me, da noi... - si corresse, guardando di sfuggita il marito.
A quelle parole Liz scosse esasperata la testa. - Ancora quella storia?!? Mamma, avevamo entrambi diciassette anni, non eravamo due bambini! E comunque ci avete punito abbastanza, dopo! Con delle conseguenze... terribili! Possibile che non riusciate a mettere la parola fine a tutto questo? Insomma, io amo Max, l’ho sposato, ho avuto dei figli da lui! Accettatelo! - La voce le si spezzò. - Vi prego, non traditeci più... Non ne usciremmo vivi... nessuno di noi... -
Jeffrey Parker le si accostò stupito. - Liz, ma cosa dici? -
- E’ così - Agitò le mani con fare nervoso. - A causa delle sue... capacità... Max è tenuto sotto costante controllo, e così io e... e loro... - indicò Jason e Shiri. - Non si fidano e... ci elimineranno tutti quanti se si convinceranno che siamo una minaccia per loro... -
- Ma non è... giusto... - concluse sua madre abbassando man mano la voce, come realizzando qualcosa.
Liz fece un sorriso triste mentre annuiva. - No, non è giusto, è vero. Purtroppo però le cose stanno così... Noi... potremmo andarcene in un posto sicuro... dove non ci troverebbero mai... Solo che in questo modo non sarebbe più possibile vedervi... vedere tutti i nostri amici... e... e questo è qualcosa che vorremmo evitare... E non è giusto neppure che tu continui ad essere risentita con Max perché mi ha fatto il dono più grande che potesse darmi. Se stesso. Dovresti essere felice che abbia trovato qualcuno che mi ama così tanto... e per il quale provo lo stesso amore... -
- Lo so. Scusami... - La donna l’abbracciò di nuovo, cullandola contro il proprio petto come se fosse davvero ancora una bambina. La sua bambina. La sua piccola Liz. Non la donna forte e appassionata che aveva detto quelle cose terribili eppure vere... Era così difficile vedere i propri figli crescere e allontanarsi, per quanto fosse nel corso naturale della vita... A poco a poco si calmò e riuscì a recuperare sufficiente padronanza di sé da poterla di nuovo guardare negli occhi. - Io e tuo padre ti vogliamo bene e saremo sempre pronti ad aiutarti. - Si rivolse a Max con un timido sorriso. Mi auguro che quello che c’è adesso tra voi duri per molto tempo ancora. “Per sempre” mi sembra un po’ eccessivo, ma... qualcosa di simile... -
- Grazie - Max tese la mano destra e Nancy gliela strinse con decisione. - Tornate presto a trovarci, mi raccomando... -
- Certo, stai tranquilla! - Liz le diede un bacio sulla guancia, poi fece lo stesso col padre mentre Jason e Shiri si lasciavano abbracciare forte dalla nonna.
Quando tornarono nel locale pubblico Diane li stava aspettando circondata da una miriade di frammenti di carta.
- Nervosa? - le chiese divertito Max prendendo in mano quel che restava dell’ultimo tovagliolo.
- Sì, un po’ - rispose lei radunando in fretta i candidi quadratini in un ordinato mucchietto. - Avevo finito i tovaglioli... -
- Vedo! - Il giovane scompigliò amorevolmente i folti capelli di Shiri. - Forza, è ora di tornare a casa! -

- Buongiorno, amore... -
- Mmm... - Isabel socchiuse gli occhi e si stiracchiò con grazia felina, poi sembrò ricordare qualcosa perché sul volto le apparve un’espressione corrucciata.
- Ehi, cosa c’è? - le chiese Morgan accarezzandole piano una spalla.
Lei si scostò impercettibilmente per sottrarsi al suo tocco e si passò la mano tra i capelli. - Sto ripensando a... Max... -
- Ancora!?! - non poté fare a meno di esclamare l’uomo, infastidito. - Insomma, lo abbiamo riportato a casa, sta bene!... Che altro c’è? -
Isabel si volse di scatto a guardarlo. - Che altro c’è?!? - ripetè con voce tesa. - Lo hanno imbottito di droga, pur sapendo che non sarebbe servito a niente, e c’è mancato poco che morisse! Se non fosse stato per Shiri il suo cuore non avrebbe avuto la forza di continuare a battere, te ne rendi conto? -
- Adesso, però, è tutto a posto. Potremmo anche telefonare in aeroporto per cambiare i biglietti... - Morgan cercò di parlare con pacatezza. Non aveva senso provare gelosia per Max, che tra l’altro stimava molto, però quello doveva essere il loro viaggio di nozze e invece stavano a letto a parlare di lui, accidenti! - Siamo sposati da pochissimi giorni e mi piacerebbe passare un po’ di tempo da solo con te. Non mi sembra di chiedere troppo, no? -
Ma Isabel continuava a rivedere il fratello svenuto, il suo viso segnato dallo sfinimento, l’angoscia di una bambina che si era trovata ad avere nelle mani la vita del padre, e poi ricordò l’espressione crudele di Gabriel Ross quando li aveva bloccati tra le montagne del Black Range. No, non poteva andarsene, lasciare soli Max e Michael. Loro erano una parte fondamentale di lei, della sua vita, e aveva bisogno di sapere che non correvano alcun pericolo. Aveva bisogno di sentirsi legata alle sue vere origini. - C’è... un piccolo dettaglio. Noi... non siamo davvero sposati... - disse con voce sommessa.
- Come?! - Morgan si sollevò bruscamente su un gomito poi si lasciò ricadere all’indietro sul cuscino. - Oh, capisco! Ci hai ripensato! - Rimase per qualche secondo in silenzio, odiando la sensazione di lontananza che percepiva da Isabel. - Avevi detto che per te non era importante, che per te contava solo questa... questa vita!... -
La ragazza s’irrigidì. - Beh, ho cambiato idea. Non posso cancellare il fatto che provengo da un altro pianeta, né voglio rinnegare la mia gente. Per quanto lontano tu voglia andare io resterò sempre quella che sono. -
- E cioè? Mia moglie, o la sorella di Max Evans? -
- Un’aliena braccata dall’FBI - C’era il pianto, nella voce di Isabel, mentre si alzava e indossava in fretta un’elegante vestaglia di cotone bianco ricamato.
Con il cuore gonfio di pena Morgan si alzò a sua volta e l’abbracciò da dietro dandole un bacio gentile sul collo. - Io ti amo, Isabel. Su questo non devi avere dubbi, mai! Lo so che sei in grado di difenderti meglio di quanto possa fare io, però ti prego... lascia che mi prenda cura di te... -
- Portandomi via da Roswell? Beh, questo non cambia certo le cose! -
- No, però fa star meglio me... Sapere che per qualche giorno sarai al sicuro... -
- Io non sarò mai al sicuro - La ragazza si girò tra le sue braccia e lo guardò dritto negli occhi. - Come non lo sono Max, Michael, Liz, e tutti gli altri. E anche tu. Perché hai scelto di vivere con me. Loro metteranno sempre in dubbio la tua fedeltà solo per questo... -
- Non m’importa. - Le sfiorò il viso con la punta delle dita prima di chinarsi a baciarla. - Mi basta sapere che mi ami, e che resterai sempre con me. -
Isabel rispose al suo bacio con tutta se stessa poi gli mise le braccia intorno al collo e restò così, appoggiata contro il suo corpo, desiderando che il tempo si fermasse.
- D’accordo, sposiamoci di nuovo. Io voglio tutto, di te, anche la tua parte aliena... - Morgan la sentì tremare e sorrise. “Oh, Isabel, sei... sei così tenera... Per questo mi hai sempre messo alla prova... Perché temevi che non ti amassi abbastanza da accettare la verità... Beh, ti sbagliavi, piccola... Non sai quanto...”

Il soggiorno non aveva più le decorazioni floreali ma sembrava ugualmente bellissimo agli occhi di Isabel, che sorridendo guardava la luce dorata sprigionarsi dalle sue dita premute piano contro la tempia di Morgan. Max aveva appena terminato di pronunciare la formula di rito e tutti quanti erano ancora in piedi attorno a loro. Diane, Phillip, Liz e Maria con i loro vestiti migliori, Jason, Shiri, Lhara e Michael con gli austeri abiti dai colori delle famiglie cui appartenevano, Lou Krentz e Thien Anders in uniforme. La cerimonia era stata breve ma profondamente sentita perché tutte le persone presenti in quella stanza erano consapevoli del pericoloso segreto che condividevano, e ne portavano con gioia il fardello. Perché Max ed Isabel, come pure Michael, nonostante certi aspetti spigolosi del suo carattere, meritavano l’amore e la fiducia di cui erano circondati.
Lhara aveva le lacrime agli occhi, emozionata per quello cui aveva appena assistito. Sapeva che Bren era profondamente legato a Shiri, e che un giorno i loro destini si sarebbero uniti. Perché quello era il suo potere: percepire le linee di energia delle persone a lei più vicine. Purtroppo non era in grado di modificare gli eventi, e così non aveva potuto impedire la morte di Wirnit, né tanto meno quella di suo padre, ormai prossima... Ma Bren, sia pure a caro prezzo, sarebbe sopravvissuto per tornare da lei e da Shiri. Accennò un timido sorriso a Jason, che si era voltato a guardarla incuriosito, poi tornò a concentrarsi su Isabel e Morgan. Erano una splendida coppia, e avrebbero avuto sicuramente dei bambini altrettanto splendidi. Sentì la mano del ragazzino scivolare nella sua, e un brivido le corse lungo la schiena nell’avvertire l’improvvisa esplosione di energia scatenata da quel semplice contatto. “Oh, Jason, tu non sai... non sai quanto potere possiedi... quello che potrai fare... Sei il perfetto erede di Zan, un uomo incredibilmente forte e... ignaro di esserlo... Voi siete la salvezza dell’intero sistema stellare...” Strinse forte quelle dita sottili e trattenne per un attimo il respiro, godendo appieno dell’improvvisa sensazione di serenità scesa nel suo cuore.
Poche ore più tardi Max e Liz, Isabel e Morgan, Michael e Maria, e Jason e Shiri, erano seduti nell’ufficio di Morgan davanti al capitano Ross dell’FBI e al generale Howard del Norad.
Il caldo sole del primo pomeriggio filtrava dalle finestre illuminando l’ampia stanza. Howard fissava preoccupato il figlio del suo amico Thomas Coltrane. Il fatto che si fosse unito in matrimonio ad un’aliena lo aveva ormai messo definitivamente nel gruppo da tenere sotto controllo e temeva quello che sarebbe potuto accadergli il giorno in cui il presidente avesse deciso l’eliminazione radicale degli alieni presenti sul suolo americano.
Fu Max Evans il primo a prendere la parola. Quel ragazzo non aveva ancora compiuto ventun’anni eppure possedeva tutte le qualità di un leader. Ma lo era solo di quel piccolo gruppo? Questo era il vero motivo per cui il presidente degli Stati Uniti lo aveva incaricato di sorvegliare attentamente quello che succedeva nel New Mexico. Perché se quella si fosse rivelata la testa di ponte di un’invasione loro sarebbero dovuti intervenire prima che fosse troppo tardi. Certo, fino a quel momento non era accaduto niente che potesse far sospettare qualcosa del genere ma non era il caso di correre rischi... Purtroppo adesso c’era anche Morgan Coltrane, figlio primogenito di uno degli uomini più ricchi e politicamente influenti di tutto il paese, il che non rendeva le cose più semplici.
- Il nostro arrivo su questo pianeta è stato del tutto accidentale - iniziò Max. - L’astronave che nel 1947 si schiantò nel deserto vicino Roswell conteneva dei... dei gusci... da cui siamo usciti dopo circa quarant’anni. Noi non sapevamo neppure di essere... alieni... Lo abbiamo capito più tardi, quando ci siamo resi conto che... eravamo diversi dagli altri... Da allora siamo stati attenti a non farci scoprire. Finché un giorno l’agente federale Daniel Pierce mi ha catturato e... e portato nel vecchio ospedale militare per avere la conferma dei suoi sospetti. -
- Un modo elegante di dire che lo hanno torturato fisicamente e mentalmente - precisò Isabel, cercando lo sguardo di Ross. - Come ha fatto anche lei un po’ di tempo fa. -
Max le toccò l’avambraccio inducendola al silenzio. - E’ inutile parlare di quello che è successo. Il passato non si può cambiare... - Fissò Francis Howard negli occhi. - Noi non abbiamo alcuna intenzione di attaccare questo mondo. E’ il nostro pianeta di adozione, e lo amiamo come lo amate voi. Non è giusto che ci spiate continuamente con un satellite, ma capisco i vostri timori e so che non posso fare nulla per impedirvelo. Però non abbiamo alcuna intenzione di essere considerati il capro espiatorio per ogni anomalia che viene registrata da queste parti. - Trasse un profondo sospiro. - Ci sono molte cose, nell’universo, e non possiamo essere ritenuti responsabili di tutto quello che succede. Qui ci sono persone che amiamo, che vogliamo proteggere, anche a costo della nostra vita.
Noi vogliamo le stesse cose che volete voi: vivere in pace. Non dovrebbe essere troppo difficile da capire, credo... -
- Fai lo spiritoso, adesso? - borbottò Ross serrando i pugni.
Max lo fissò senza replicare, e Howard intervenne per placare gli animi. - Evans, capisco il tuo punto di vista, ma devi anche comprendere che noi abbiamo la responsabilità di milioni di esseri umani. Se... -
- Non ci sono “se”. La questione è molto semplice: o vi fidate, o non vi fidate. Noi non abbiamo mai attaccato per primi, ci siamo solo limitati a difenderci. Ci avete perseguitato, ci avete rinchiuso, ci avete torturato. Sapete che abbiamo il potere di distruggervi, eppure non lo abbiamo fatto. Questo dovrebbe significare qualcosa, no? -
L’uomo studiò l’espressione intensa dello sguardo magnetico dell’alieno che sedeva davanti a lui. Sì, infatti. Per questo è stato dato l’ordine di sorvegliarvi, anziché di sterminarvi -
A quelle parole Liz emise un gemito soffocato e si strinse al marito. - Non è giusto... - sussurrò.
- Non vogliamo la guerra. Non l’abbiamo mai voluta - disse piano Max.
- Neanch’io. Ma sono solo un portavoce. E l’FBI - accennò al capitano Ross, - è il braccio. Il fatto è che i vertici del paese temono quello che potrebbe accadere se... -
- ...se ci comportassimo come i mostri di un film di fantascienza di serie B! - lo interruppe Michael sdegnato. - E noi cosa dovremmo dire? Non possiamo neppure uscire di casa senza correre il rischio di essere rapiti! -
- Michael, smettila! - intervenne Max.
- Perché? Tu sei disposto a lasciare che ti ammazzino pur di non mettere in pericolo la vita di Liz, dei tuoi figli, di tutti noi! Beh, io invece non voglio che ti uccidano! Sei il mio migliore amico, e anch’io voglio fare qualcosa per difendere la tua vita! Anche se sarà molto difficile far entrare un po’ di sale in zucca a questa gente! -
Max sorrise suo malgrado per l’irruenza del giovane. - Ti ringrazio, Michael, ma spero che riusciremo a raggiungere un accordo senza dover ricorrere alle maniere forti... -
- E come? - protestò lui.
- No! - esclamò all’improvviso Shiri, protendendo una mano davanti a sé e l’altra verso il polso del fratello.
Tutti si volsero di scatto a guardarla e lei concentrò l’attenzione su Gabriel Ross. - Vuole prendere la mamma come ostaggio - disse con voce tremante. Intorno alle sue dita l’aria stava cominciando a vibrare.
- Ferma, tesoro! - Max si alzò e le mise una mano sulla spalla. - Non gli permetterò mai più di portare via nessuno di noi, stai tranquilla! - Guardò poi duramente il federale. - Shiri non legge nel pensiero, ma è in grado di avvertire le sensazioni. Sensazioni di odio, e di paura. Ross, finché non verrà a patti col terrore che prova per noi non sarà possibile parlare di pace -
Howard fece scorrere lo sguardo su tutti i presenti. Negli occhi degli alieni e dei loro compagni c’era determinazione, in quelli di Ross timore e sconcerto. E lui? Cosa provava lui? Lentamente si mise in piedi. - Non sarà facile coesistere, ma ci proveremo. Mi rendo conto che dopo quello che vi è stato fatto non potremo mai avere la vostra piena collaborazione. Me ne dispiace, ma capisco che sia inevitabile... Ripeto la promessa che il presidente vi ha già fatto: sarete lasciati in pace finché avremo la certezza che non state complottando contro di noi. - Davanti all’espressione indignata di Maria sorrise e fece un piccolo gesto di scusa con la mano. - Sì, lo so che non avete alcuna intenzione di attaccarci, ma come ho già detto io sono solo un portavoce... Spero che tu, Morgan, vorrai fare da tramite tra voi e noi. -
- Non sarò la vostra spia - disse piano il giovane. - Quando ci sarà qualcosa da dire lo farà Max, o lo faremo tutti insieme. E mio padre sa che farò tutto il possibile per proteggere mia moglie. Anche sparire dalla faccia della terra, se sarà necessario... -
Isabel gli prese la mano e la strinse convulsamente. Sentiva la sua sofferenza, la tristezza di sapersi ormai dall’altra parte della barricata, e cercò di trasmettergli forza e calore.
- Noi abbiamo fatto quello che potevamo per provarvi la nostra buona fede. Ora sta a voi dimostrare la vostra. L’universo è immenso e questo non è l’unico pianeta abitato. Dovete imparare ad accettarlo... -
- Le tue sono parole dure, ragazzo - obiettò Howard.
Max non rispose, limitandosi a guardarlo negli occhi. Allora l’uomo scrollò le spalle, poi fece un cenno di saluto col capo e, seguito dal capitano Ross, se ne andò.
Erano trascorsi solo pochi minuti quando dalle scale scesero giù Lhara, Krentz, Jim e Kyle Valenti. Anders era invece rimasto di guardia al piano di sopra.
- Cercherò di tenerli d’occhio insieme a Michael. Immagino che tu e Isabel partiate domani, vero? - disse Jim guardando interrogativamente Morgan.
L’uomo sorrise allo sceriffo e annuì. - Sì, ma abbiamo cambiato destinazione. Andremo a Dallas, è più vicino e... Isabel preferisce così... -
- E voi? - chiese l’uomo rivolgendosi a Max e Liz.
- Ce ne andiamo stasera. Ci mancano soltanto due esami poi potremo trasferirci a El Paso. -
- E... i vostri angeli custodi? -
Michael guardò la faccia scura di Lou e sghignazzò. - Secondo me Max non riuscirà a liberarsi di lui. Magari di Anders sì, dato che ha la responsabilità della sicurezza del palazzo del governo, ma Lou resterà qui ad ogni costo, ne sono più che sicuro! -
Max gli diede un’occhiataccia, poi scosse la testa. - Sì, credo che tu abbia ragione. Ok, Lou, puoi restare qui. Ma Anders ripartirà subito. Michael, Isabel, ho bisogno del vostro aiuto. Jason, vieni anche tu. -
- Dove? - chiese perplessa Isabel.
- Nel deserto. Non voglio che il satellite registri il movimento dell’astronave, o tutta questa maledetta storia ricomincerà daccapo. Useremo i graniliti per trasferirla nello spazio profondo -
- Questa mi sembra un’ottima idea! - Michael estrasse dalla tasca dei pantaloni le chiavi della jeep e si diresse verso la porta di casa mentre Lou andava a chiamare il suo superiore.
Per quanto malvolentieri l’uomo dovette sottostare all’ordine di Max e lo seguì senza protestare.
Anche Jim e Kyle Valenti se ne andarono, e Liz, Shiri e Lhara rimasero sole con Morgan.
- Vuoi venire con noi ad Albuquerque o preferisci restare qui? - domandò Liz a Lhara.
- Io... veramente non saprei... - La ragazza si avvicinò pensierosa alla finestra e guardò la vettura allontanarsi fino a scomparire alla sua vista.
- Tuo fratello ti ha affidato a Max. Forse sarebbe meglio che restassi con noi, non credi? -
- Sì, forse... -
- Guarda che Kyle non vive a Roswell ma sta frequentando l’accademia di polizia a Santa Fe! - le sussurrò Shiri ammiccando.
Per la prima volta nella giornata Lhara sorrise apertamente. - Bene, mi hai convinta: verrò con voi! -
Liz le guardò perplessa. Non aveva sentito quello che Shiri aveva bisbigliato all’amica, però era evidentemente servito a farla decidere. Prese la figlia per mano e la condusse con sé in cucina. - Su, andiamo ad aiutare Diane a preparare la cena. Morgan, resti a mangiare qui? -
- Sì, certo... - L’uomo era un po’ giù di tono. L’incontro appena concluso non era stato molto piacevole, e gli ci sarebbe voluto del tempo per smaltire la rabbia sotterranea che lo aveva assalito nel rendersi conto della precarietà della situazione. Ora comprendeva come mai Isabel fosse così ansiosa di proteggere suo fratello e i suoi amici. Doveva essere inevitabile, quando sapevi che tutto era contro di te... E sapere che lui non poteva fare nulla per cambiare le cose lo faceva imbestialire. No, non era assolutamente giusto che solo per il fatto di avere origini diverse quei tre ragazzi, e le persone in qualche modo legate a loro, dovessero sentirsi sempre braccati!
Quando infine si ritrovarono tutti seduti a tavola, Diane e Phillip Evans, Michael e Maria, Max e Liz coi loro figli, Lhara, Isabel e lui stesso, mentre Lou Krentz vigilava come sempre dal piano superiore, Morgan notò i volti segnati dalla fatica di coloro che avevano accompagnato Anders nel deserto. Aveva capito solo vagamente quello che avevano intenzione di fare per evitare che il Norad avesse sentore di quello che stava succedendo, ma doveva essersi trattato di qualcosa di molto duro. Forse Isabel gliene avrebbe parlato, o forse no. Non era importante, in realtà. A lui bastava saperla di nuovo lì, accanto a sé. Quasi automaticamente la sua mano andò a coprire quella sottile ed elegante di Isabel. Lei si volse a guardarlo negli occhi con un dolce sorriso sulle labbra, e Morgan sentì per la prima volta che si appartenevano davvero.
Shiri li fissò con un’espressione divertita sul bel visetto, poi si rivolse al fratello. - Credo di aver capito quello che voleva dire la nonna, ieri... E’ una sensazione molto bella, vero? -
Jason annuì pensoso. - Sì -
 

Scritta da Elisa


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