Riassunto: Una
partita a scacchi di dimensioni cosmiche è in corso di svolgimento. La posta in
gioco è alta, e le pedine sono i nostri amici.
Data di stesura:
dal 31 agosto al 30 settembre 2002.
Valutazione:
adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
La mia e-mail è
ellis@roswellit.zzn.com
Patricia si strinse le ginocchia al petto e vi poggiò sopra la guancia
guardando con un sorriso l’amica. - Mi mancherai, Liz. Però sono molto contenta
per te. Ho sentito dire che il centro di ricerche biochimiche di El Paso è il
più avanzato di tutto il Sud-Ovest... -
- Già. Penso che sarà piuttosto faticoso ma ne varrà di sicuro la pena - Liz
ricambiò il sorriso e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. - E tu
quando parti per Denver? -
- Fra due settimane. Ho ancora un esame venerdì, poi andrò qualche giorno con
Tony a Santa Fe prima che anche lui inizi a lavorare, e alla fine... - La
ragazza sospirò. - Non potremo vederci per due interi mesi... Ti invidio, sai,
Liz? Almeno tu e Max starete insieme, mentre noi... -
Liz lanciò un rapido sguardo tutto intorno a sé. Nonostante fossero sedute
all’ombra di un albero, nel parco che circondava il campus, faceva molto caldo.
C’erano parecchi studenti in giro, dato che quella era l’ora della pausa per il
pranzo, e le loro voci la facevano sentire... normale. Una normale ragazza di
vent’anni alle prese con i problemi comuni dei giovani della sua età. Esami,
stage, fidanzati... Scosse leggermente il capo. - Non ci saremmo andati se non
fossimo stati accettati tutti e due - disse con semplicità.
- Sai, a volte penso che non potrei vivere senza Tony, a volte, invece... Non
so, è come se... se temessi di annoiarmi... Voglio dire, tutta una vita con la
stessa persona... Può essere terribile, non credi? -
- No - Liz rispose senza esitare, raddrizzandosi e fissando l’amica dritta
negli occhi. - Oddio, forse dipende dalla persona. Io conosco Max fin da quando
andavo all’asilo, anche se ho cominciato a frequentarlo soltanto a sedici anni,
e so che... non potrei vivere senza di lui. Ma certo non tutte le storie sono
uguali. - Sorrise, e gli occhi le si illuminarono. - Diciamo che sento che
accanto a Max difficilmente mi annoierò -
Patricia la guardò con attenzione. - No, probabilmente no... Voi due siete
fatti per stare insieme, si vede... E poi Max mi sembra il tipo che resterà
affascinante anche a sessant’anni... - Ammiccò divertita. - Te lo immagini, con
i capelli bianchi, gli occhiali e la pancetta? -
- No! - Liz si sporse verso di lei ridendo e le diede una spinta all’indietro
facendola cadere a terra. - Max non avrà mai la pancetta, chiaro? -
Patty si tirò lentamente su continuando a ridacchiare. - Oh, vuoi dire che lo
farai morire di fame e di sete?
- Certo! Qualsiasi cosa pur di mantenerlo così com’è! -
- E tu, invece? -
- Oh, io... io sarò sempre bellissima, anche con le rughe e la cellulite... -
- Sì, come no? Ne riparleremo fra qualche anno! - Si voltò per prendere la
borsa abbandonata poco distante, alla ricerca di qualche tramezzino da mettere
sotto i denti, e non si rese conto dell’improvviso irrigidirsi dell’amica.
Liz non aveva sentito nessun rumore di passi, tuttavia aveva percepito la
presenza di qualcuno dietro di sé. Prima che potesse voltarsi una mano le si
posò sull’incavo del collo, e chiuse gli occhi reclinando la testa mentre
riceveva un bacio ardente dietro l’orecchio. - Max... - sussurrò abbandonandosi
alle piacevoli sensazioni risvegliate dalle sue labbra.
Patricia, finalmente accortasi dell’arrivo del giovane, sorrise dentro di sé.
Sì, Max Evans era davvero carino, e sarebbe rimasto un uomo molto attraente
anche in età avanzata, ne era più che sicura... Non che Tony fosse brutto, però
non possedeva quel certo non so che che rendeva invece Max così interessante.
- Ciao, Max, stavamo parlando proprio di te, sai? - disse con un po’ di
malizia.
- Ah sì? E... posso sapere di cosa si trattava? - Parlò senza scostarsi da Liz,
che rabbrividì nel sentire il calore del suo fiato sul collo. - No, o ti
monterai la testa - rispose lei precedendo l’amica.
- Come non detto... - Fece scivolare la mano sui suoi capelli fino a premerla
dolcemente sulla tempia e le diede un altro piccolo bacio. - Ho preso tutti i
documenti in segreteria. Se vuoi, possiamo tornare a casa anche subito... -
- Va bene - Liz sollevò un poco il braccio per accarezzargli la nuca, poi volse
lo sguardo su Patricia. - Ti va di venire stasera a cena da noi insieme a Tony?
-
La ragazza la guardò dubbiosa. - Non partite domani? -
- Sì, nel pomeriggio. Ma non preoccuparti, avremo comunque tempo a sufficienza
per prepararci... -
- In questo caso accetto volentieri! Allora ci vediamo più tardi -
- Bene. Ciao -
- Ciao - Patti guardò con affetto l’amica alzarsi in piedi, aiutata da Max, e
agitò un tramezzino in segno di saluto.
Una volta arrivati a casa i due ragazzi prepararono il pranzo per tutti poi,
dopo aver riordinato la cucina, seguirono i figli nel giardino sul retro per
giocare un po’ con loro e Paul e Daniel Sheffield mentre Lou Krentz li teneva
discretamente d’occhio.
Seduta tranquilla sull’erba, Lhara seguiva l’improvvisata partita di basket
dimentica del libro che teneva sulle gambe incrociate. Per un attimo provò il
forte impulso di unirsi ai suoi amici ma poi il senso di colpa la trattenne al
suo posto. Come poteva pensare di mettersi a giocare con Shiri e Jason quando
Bren, l’unico membro della sua famiglia rimasto in vita, stava lottando per
conservarle l’eredità trasmessale dalla madre? Si morse le labbra e lo sguardo
le s’incupì. Sentendosi a disagio si alzò e si allontanò di qualche metro
raggiungendo il marciapiede.
Una macchina che stava avanzando lentamente lungo la strada si arrestò dietro
di lei e ne scese un uomo sui trent’anni, lo sguardo lucido di chi ha bevuto
qualche bicchiere di troppo.
Lou aveva seguito con occhio attento i movimenti della giovane e nel sentire il
sopraggiungere di un’auto aveva deciso di andare a verificare la situazione.
L’uomo, che non si era accorto di lui, si avvicinò a Lhara. - Ehi, biondina, ti
va di venire a fare un giro con me? - Fece per prenderla per un braccio quando
si sentì strattonare con forza e il berretto che aveva in testa volò via.
- Lasciala stare -
La voce dura del tipo alto e massiccio comparso dal nulla sembrò far scattare
qualcosa nella mente dell’ubriaco, che cercò senza riuscirvi di divincolarsi
dalla presa che gli stava stritolando il braccio sinistro. In preda ad una
furia irrazionale infilò allora la mano destra nella tasca posteriore dei jeans
sdruciti che indossava e ne estrasse una piccola automatica. - Vattene, amico!
Questa è una faccenda tra me e lei! -
Prima ancora che Lou potesse fare una qualsiasi mossa per disarmarlo intervenne
Jason, sopraggiunto di soppiatto non appena resosi conto di quello che stava
succedendo. Si era voltato per recuperare il pallone finito sull’erba e aveva
visto la pistola nella mano dell’uomo. Non avrebbe mai dimenticato quello che
era successo tempo addietro, quando suo padre era caduto sotto i colpi sparati
da oggetti simili a quello che ora veniva puntato contro Lou, e senza esitare
si era messo a correre verso di loro. Il suo passo leggero e il velocissimo
colpo della mano sul polso dell’uomo avevano colto tutti di sorpresa ma il
militare fu il primo a riaversi e con un calcio allontanò la pistola mentre
sospingeva l’ubriaco all’interno della vettura. - Sparisci, e non tornare più
da queste parti! - Sbatté lo sportello così forte da far piegare lo specchietto
laterale e l’uomo, terrorizzato, si affrettò a riavviare il motore e partì
sgommando.
Rimasti soli, Lou Krentz si volse a fissare il ragazzino. - Il fatto che abbia
imparato a lottare non significa che debba mettere a repentaglio la tua vita.
Se avesse sparato tu, oppure Lhara, avreste potuto rimanere feriti, e questo
non deve succedere. -
- Ma avresti potuto essere ferito tu. E neanche questo deve succedere - Jason
lo guardò serio in volto, poi sorrise. Torniamo a giocare... - Si chinò a
recuperare il pallone abbandonato per terra e prese Lhara per mano.
La ragazza strinse forte le dita sottili di Jason, il cuore che le batteva
freneticamente nel petto. Non aveva capito bene cosa fosse successo ma sapeva
di aver corso un pericolo e che lui, e l’ufficiale che camminava al suo fianco,
l’avevano salvata. Il suo debito nei confronti della famiglia reale di Antar
aumentava sempre di più, e sapeva che non sarebbe mai riuscita a ripagarlo. Ma
Jason e Shiri erano speciali e... e molto importanti per lei e Bren. E per
l’intero sistema stellare di cui facevano parte Antar e Rènida.
Shiri scrutò incuriosita il fratello. Sentiva la sua tensione fisica, come se
fosse all’erta per qualcosa, eppure stava camminando con calma insieme a Lhara.
Ma anche lei sembrava sconvolta, e si rese conto dell’espressione severa di Lou.
- Mamma... -
Liz la sentì nonostante avesse parlato a voce bassissima, e le andò accanto
scompigliandole affettuosamente i capelli. - Cosa c’è, tesoro? -
La ragazzina la guardò di sfuggita. - E’ successo qualcosa. Qualcosa di...
strano... -
Liz si voltò allora verso Max, che mormorò una veloce risposta a Daniel prima
di raggiungerla.
Non ci fu bisogno di parole. Max diede una rapida occhiata alla moglie, poi a
Jason e Lou e serrò impercettibilmente le labbra.
- Non ho usato alcun potere, ma solo questa - Jason parlò piano, gli occhi
fissi in quelli del padre, la mano rivolta col palmo in alto.
- Un uomo stava dando fastidio alla principessa Lhara e ha estratto una pistola
- mormorò Lou.
- E tu sei intervenuto nonostante ci fosse già lui... - dedusse Max guardando
il figlio.
Il ragazzo annuì piano e accennò un piccolo sorriso di scusa. - E’ stato...
istintivo... -
Max lo guardò con intensità poi volse la testa di lato. - Sì, so cosa vuoi
dire... Ok, non parliamone più... - Jason lasciò andare la mano di Lhara e si
avvicinò al padre circondandogli la vita con entrambe le braccia. - Lui poteva
sparare... e fargli del male... come è successo con quegli uomini, a casa...
Io... io non volevo che venissero feriti... - bisbigliò premendo il viso contro
il suo petto.
Max lo abbracciò forte, sentendo un terribile nodo in gola. L’assalto
conclusosi con la loro reclusione nell’area 51 era stato un’esperienza
spaventosa che li aveva segnati in maniera indelebile, e per quanto fosse stato
un bimbetto piccolissimo Jason aveva compreso perfettamente quello che era
accaduto. E avrebbe fatto sempre tutto quello che poteva per evitare il
ripetersi di simili cose. Che a lui piacesse o meno... - Va bene - disse
piegandosi per baciarlo sulla testa.
Jason sospirò contento, godendo del calore di quell’abbraccio, poi riprese a
camminare tenendo una mano aggrappata al suo fianco.
Dietro di loro Lhara si girò a guardare imbarazzata Krentz. - Mi spiace aver
causato tanti problemi... -
- Non si preoccupi, Altezza. Prego... - Con un gesto del braccio la invitò a
seguire Max ed il figlio.
- Lei non viene? -
L’uomo scosse sorridendo la testa. - Vado a fare un giro di controllo. Nel caso
quella macchina fosse ancora nei paraggi... -
La ragazza arrossì leggermente prima di incamminarsi dietro Max, lottando per
riprendere il controllo di sé. “Bren, io... ho bisogno di te...” pensò con una
certa tristezza. Ma suo fratello era lontanissimo, irraggiungibile per lei, e
sospirando depose il libro su una grossa pietra piatta poco distante, decisa a
distrarsi.
- Allora hai deciso di giocare con noi? - le chiese Shiri gentilmente.
Lhara annuì in silenzio e la ragazzina sorrise contenta. - Dai, vieni! -
Nel cielo del crepuscolo cominciavano a brillare le prime stelle quando
Patricia e Tony fecero la loro comparsa, e rimasero sorpresi nel trovare anche
i due giovanissimi Sheffield.
- Sono gli unici amici di Jason e Shiri, e dato che domani partiamo... - Liz si
strinse nelle spalle mentre i ragazzini si passavano rumorosamente i piatti per
preparare la tavola.
- Già, capisco. Bene, posso aiutarti con i salatini? - si offrì Patty
accennando alle ciotole che l’amica teneva in bilico fra le braccia.
- Oh, sì, grazie! -
La serata si rivelò caotica, divertente e spensierata, e quando infine i loro
ospiti se ne andarono Liz si lasciò cadere su una sedia davanti al tavolo pieno
di stoviglie sporche. - Sono distrutta - disse convinta.
Max, in piedi dietro di lei, si curvò in avanti incrociando le braccia sul suo
petto e le diede un bacio sulla tempia. Però è stato piacevole. Ci voleva, un
po’ di distrazione... In queste ultime settimane abbiamo solo studiato,
studiato e studiato! -
- Ma abbiamo quasi finito gli esami - La ragazza carezzò le mani di Max. - E
Jason e Shiri sono pronti per entrare alla junior. Sono stati giorni molto
faticosi per tutti... -
- Vai a dormire. Io metto in ordine e ti raggiungo -
- No, resto con te. Così faremo prima. - Con un sospiro si alzò e gli passò le
mani dietro il collo sollevandosi in punta di piedi per baciarlo.
- Allora non sarebbe il caso che smetteste di baciarvi? - Shiri entrò in cucina
e si avvicinò al tavolo tendendo una mano verso una ciotola contenente ancora
dei popcorn. - Se volete vi aiuto anch’io -
Liz si staccò malvolentieri dalle labbra calde di Max e sospirò. - Ok. Diamoci
da fare... -
Il giovane le sorrise con una certa malinconia poi si avvicinò al tavolo e
prese ad impilare i piatti. - Tu prendi le posate e i bicchieri, Shiri. -
- Io comincio a lavare le pentole - Liz prese una spugnetta e vi versò sopra il
sapone liquido dedicandosi poi con energia al suo lavoro.
- Come va? -
Liz si voltò di scatto verso l’uomo sopraggiunto alle sue spalle. - Oh, bene,
grazie. Tutto bene... - Con un certo nervosismo tornò a concentrarsi sul
microscopio e poi scrisse alcuni appunti sul blocco accanto a lei.
- Ottimo. Comunque, se dovesse avere dei problemi può trovarmi in ufficio,
d’accordo? -
La ragazza annuì, sentendosi un po’ a disagio, prima di dedicarsi di nuovo al
suo lavoro. Il direttore della sezione cui era stata assegnata era una persona
estremamente gentile, forse perfino troppo, e il fatto di essere l’unica donna
del gruppo non le avrebbe dato alcun fastidio se non fosse stato per le sue
eccessive premure. Non che i colleghi sembrassero risentiti per quelle
particolari attenzioni, ma a volte avrebbe voluto che lui la smettesse di
girarle intorno. Clay Randburg era un uomo sui quarantacinque anni, di bell’aspetto
e molto competente, ma sembrava aver deciso che lei avesse bisogno di un tutore
e la cosa cominciava a darle sui nervi.
Mancavano solo pochi minuti alla fine del turno e Liz non vedeva l’ora di
uscire. Aveva bisogno di un po’ d’aria fresca, e di vedere Max. Quel giorno il
direttore era stato particolarmente insistente e lei voleva lasciarsi tutto
quanto alle spalle il prima possibile. Il lavoro le piaceva molto e aveva
un’ottima intesa coi colleghi, ma Randburg... Se avesse visto ancora una volta
la sua faccia sorridente sentiva che si sarebbe messa a gridare con tutte le
sue forze.
Finalmente poté lasciare la sua postazione, andò svelta verso gli spogliatoi e
ripose il camice bianco che indossava nell’armadietto assegnatole poi, mentre
si aggiustava sulla spalla la cinghia della borsa, si avviò verso il corridoio
principale.
- Ehi, Liz, stai bene? Hai una faccia... -
La ragazza si girò sorridendo e tese una mano verso Max. - Sì, è tutto a posto,
ora! - Gli si accostò e gli diede un rapido e intenso bacio sulle labbra.
- Di nuovo il capo? -
- Già - Con una buffa smorfia Liz spinse l’ampia porta a vetri che dava
sull’esterno e sollevò il volto al sole che splendeva ancora alto nel cielo. -
Questa città è solo un incrocio di strade, ma adoro il suo clima. Mi ricorda
quello di casa... -
- Intendi Roswell o Albuquerque? Oppure San Diego? -
- Roswell, naturalmente! Casa... è lì, no? -
- Roswell... Sì, certo... - Max le passò un braccio intorno alle spalle e la
strinse a sé. - Roswell... - ripeté assorto.
- Perché quel tono? - gli chiese lei incuriosita.
- Ti sembrerà incredibile ma... nonostante tutto non vedo l’ora di tornarci.
Quando sono lì io... mi sento davvero a casa. E’ dove sono cresciuto, ed ho
conosciuto te. Mi piacerebbe vivere laggiù, se tu sei d’accordo... -
Liz s’illuminò in un sorriso dolcissimo. - Sì, certo! E poi lì ci sono anche
Maria e Michael, e sarebbe fantastico vivere vicino a loro! -
- Bene, allora... è deciso? -
- Mm! - La ragazza mosse la testa annuendo contenta. - E’ un’ottima idea -
- Ok -
- Ok - Liz si aggrappò con forza alla cintura dei suoi pantaloni.
- Com’è andato il lavoro? -
- E’ molto interessante. Mi piace, davvero, però... però Randburg sa essere
così noioso!... Mi considera una bambina e mi tratta come tale. A volte non
riesco proprio a sopportarlo! -
- Veramente a me è sembrato che ti guardasse in ben altro modo - disse Max
guardando fisso davanti a sé.
- Max, tu sei del tutto pazzo! Randburg?!? -
- Sì, lui. Ma non ha alcuna possibilità, vero? -
- Max, sei impazzito - Liz agitò una mano davanti a sé. - Non c’è altra
spiegazione: sei impazzito -
Il giovane sorrise e le diede un bacio sui capelli. - No, non lo sono. Però ti
prego di fare attenzione. Cerca di non restare mai da sola con lui, va bene? -
- Credo che tu stia esagerando... -
- Tu promettimelo -
- D’accordo. Ma adesso sbrighiamoci: il turno in pizzeria inizia fra meno di
due ore e vorrei avere il tempo di mangiare prima qualcosa... -
Senza dire altro Max attese che il semaforo diventasse verde poi riprese a
camminare.
L’appartamento che avevano affittato distava solo due isolati dalla moderna
palazzina in cui si trovava il centro di ricerche, e faceva parte di un piccolo
condominio in cui abitavano diversi loro colleghi. Ne avevano trovato uno
adatto, con tre camere da letto e una cucina abbastanza grande per potervi
mangiare tutti insieme. C’erano poi un bagno ed un vasto disimpegno, dove era
stato sistemato il computer. In realtà lo spazio era appena sufficiente per
tutti loro ma i ragazzi trascorrevano molto tempo all’aperto, con grande
disappunto di Lou Krentz, e non sembravano risentirne in alcun modo. Lhara si
sentiva sempre più a suo agio in quel mondo così diverso da quello su cui era
nata, e insieme a Jason e Shiri stava imparando a muoversi tra la gente. Più di
una volta erano andati al parco a giocare a pallavolo oppure con il frisbee, e
spesso Liz e Max si erano uniti a loro. Tutti la consideravano ormai parte
della famiglia, e lei aspettava con pazienza il ritorno di Bren.
Come spesso succedeva non ebbero bisogno di suonare il campanello perché Krentz,
che teneva costantemente d’occhio le finestre, li aveva visti arrivare ed era
andato ad aprire. - E’ tutto in ordine, Altezza -
- Non ne dubitavo, Lou. Comunque grazie... - Max sorrise all’uomo e si scansò
per lasciarlo uscire. - Per favore non tornare troppo tardi. Qui non c’è nessun
nemico in agguato, te lo posso assicurare! -
Krentz scattò sull’attenti. - Certo, Altezza. Tornerò quanto prima -
Il giovane si strinse nelle spalle e guardò Liz. - E’ assolutamente impossibile
ragionare con lui... -
- Sì, so qualcosa della testardaggine maschile... - La ragazza gli diede
un’amichevole spinta sulla spalla poi si chinò ad abbracciare i figli, che si
erano precipitati verso di loro non appena il militare era uscito.
- Ti trovo molto bene, Max, davvero!... - Michael si appoggiò con la schiena
contro un albero e distolse lo sguardo dall’amico per posarlo su Liz e i
ragazzi, intenti a giocare a pallavolo insieme a Maria. - Avete tutti un’aria
così... serena... Perfino Lhara, nonostante non abbia alcuna notizia del
fratello da più di un mese... -
- Anche tu e Maria siete in gran forma. Allora, il matrimonio non è poi quel
terribile peso che temevi, no?
- Mi piace saperla sempre accanto a me. Vederla dormire al mio fianco la
notte... - Sorrise con aria assente - Ogni volta che posso vado a sentirla
cantare. Ha una voce davvero fantastica. -
- Quindi non ti pesa il fatto di esserti lasciato per sempre alle spalle il tuo
passato -
- No, affatto. - Il giovane rispose deciso, tornando a fissare Max negli occhi.
- E tu? -
Lui s’infilò le mani in tasca e si girò di lato sottraendosi all’attento esame
dell’amico. - Io... ogni tanto ci ripenso... Soprattutto quando guardo Lou...
Il fatto è che... so che su Antar le cose vanno bene... Il Consiglio, e Anders,
possono mettersi in contatto con me in qualsiasi momento, in caso di bisogno,
ma... ma a volte mi sembra di aver abbandonato quella gente... la nostra gente,
la mia... Michael, io... io sento di aver voltato le spalle al mio mondo
d’origine, di aver abbandonato ogni responsabilità... di averlo... tradito, in
qualche modo... -
- Adesso stai dicendo cose senza senso, Max! - Michael tornò al suo fianco e
s’incamminò con lui sotto il sole di quella splendida giornata di metà luglio.
- Forse è il sapere che Bren Alehnikar sta combattendo da solo sul suo pianeta
che ti fa venire queste strane idee in testa, ma ricordati che nessuno poteva
fare più di quel che hai fatto tu per Antar... Ora il tuo dovere è verso te
stesso e la tua famiglia. Guardali, Max... - Accennò un sorriso pieno di
affetto. - Jason e Shiri sono due ragazzini in gamba... E Liz ha saputo far
fronte a situazioni davvero terribili senza mai cedere. Lei è riuscita a venire
a patti con le sue paure, e tu? -
Dopo un lungo silenzio Max fece un impercettibile cenno col capo. - Io so che
non potrei vivere senza di lei... -
- Siete ancora molto giovani. Avete un’intera vita davanti. Tutti noi ce
l’abbiamo. Anche se c’è sempre qualcuno che cerca di portarcela via... -
- Da dove viene tutta questa saggezza? - lo prese gentilmente in giro l’altro.
Michael si portò le mani dietro la nuca inspirando a pieni polmoni l’aria
profumata. - Beh, il lavoro che faccio mi porta a studiare la mente umana più
di quanto mi piaccia. Il mondo è pieno di gente davvero contorta e pericolosa,
ma tutto questo ti aiuta a riflettere e ad apprezzare quello che hai. E noi
abbiamo moltissimo, Max, più di quanto potessimo aspettarci... -
- Già... - Il giovane ripensò ai lunghi anni di solitudine, di ombra, di paura
in cui loro due e Isabel avevano vissuto prima di quel lontano mese di
settembre e sospirò. - Liz ci ha spalancato le porte della vita -
- E tu non devi sprecarla rimuginando tristi pensieri insieme a me. Avanti, va’
da lei! - Gli diede una manata sulla schiena sospingendolo verso il gruppo che
continuava a schizzare di qua e di là rincorrendo la palla, incurante dell’aria
torrida.
- Sono diventato davvero così pesante? - chiese ad un tratto Max voltandosi a
guardarlo.
- Non hai mai smesso di esserlo - Michael scosse la testa con fare rassegnato.
- Sei sempre stato il più serio, il più responsabile, il più controllato...
Rilassati, amico, hai solo vent’anni! -
Il giovane sorrise debolmente. - Però ogni volta che ho abbassato la guardia ho
combinato dei veri e propri disastri... -
- Come rivelare la nostra vera identità, mettere incinta una minorenne, farti
uccidere, sposare una traditrice, portare la guerra su un pianeta di confine, e
cose di questo genere? Beh, sì, vedi, questo è quello che succede a chi non
impara a rilassarsi, di tanto in tanto... Quindi, se vuoi un consiglio, datti
da fare, o chissà che succederà la prossima volta! -
Scuotendo la testa Max raggiunse gli altri e cercò di concentrarsi solamente
sul gioco e la compagnia delle persone che amava.
Più tardi sedevano tutti insieme attorno ad uno dei tanti tavoli disseminati
nell’area dei pic-nic, intenti a divorare fette di pane abbrustolito,
pannocchie e hot dogs.
Maria stava accanto a Liz e osservava divertita gli altri litigarsi
letteralmente le bottiglie di salsa Tabasco. - Santo cielo, Liz, non posso
crederci! Anche Lhara adora bruciarsi la gola! -
- In compenso io ho tutta la maionese per me. Avessi visto che smorfia ha fatto
Jason quando l’ha assaggiata... Bene, che mi dici di te e di Michael? Come se
la cava nella parte del maritino premuroso? -
- Non prenderlo in giro! - la tacitò subito la ragazza quasi strozzandosi nel
tentativo di mandar giù in fretta un bel boccone di chicchi di mais. Bevve un
lungo sorso d’acqua e poi puntò il dito contro l’amica. Michael è davvero
cambiato! Beh, forse a te e agli altri può sfuggire, però ti assicuro che con
me è molto più aperto! -
- Vuoi dire che non devi più usare le tenaglie per tirargli fuori le parole di
bocca? -
- Qualcosa del genere, sì... -
Liz scoppiò a ridere. - Hai ragione, se non me lo avessi detto tu io non lo
avrei mai capito! -
- Comunque Morgan ha molta fiducia in lui, e Jim si rivolge spesso al loro
ufficio per delle consulenze. Mia madre è ancora sorpresa per tutto questo, ma
credo si sia tranquillizzata sulla capacità di Michael di prendersi cura di
me... Maria scosse la testa sbuffando. - Michael è davvero bravo, nel suo
lavoro, e mi ha aiutata a trovare un agente sicuro, però questo è tutto! Se
solo si azzardasse a dirmi quello che devo o non devo fare io... io credo che
potrei rompergli la testa e guardare cosa c’è dentro! -
- Vuoi dire che gli permetti di darti dei consigli ma non degli ordini, giusto?
-
- Giusto! Perché, cosa ho detto? -
- Oh, volevo solo essere sicura di aver capito bene, tutto qui... - Liz rise di
nuovo poi allungò una mano per prendere un’altra fetta di pane e un hot dog.
Maria la fissò insospettita. - Forse tu permetti a Max di dirti cosa fare? -
domandò brusca.
- Max ed io parliamo, Maria - rispose Liz sottolineando il verbo. - Nessuno di
noi dà ordini. Non è questo il modo migliore per vivere insieme... -
- Infatti. Quindi lui sa quando deve star zitto. E sa farmi capire molto bene
quando devo stare zitta io... - aggiunse dopo una brevissima esitazione.
Un’altra risata divertita di Liz attirò l’attenzione di Max su di lei. Il suo
sguardo intenso colse ogni minimo dettaglio di quel viso tanto amato e sentì il
cuore battergli più forte. Michael sbagliava quando diceva che lui era troppo
preso dal suo senso di responsabilità per apprezzare davvero quello che la vita
gli aveva destinato. La verità era che fin dal giorno in cui aveva visto quella
bambina dai lunghi capelli scuri nel parco giochi dell’asilo aveva fatto tesoro
della sua immagine, conservandola nel profondo dell’anima, cullandola e
traendone conforto come la cosa più preziosa che mai avrebbe posseduto.
Quasi avesse sentito di essere osservata, Liz si volse e incontrò gli occhi
luminosi di Max. Gli sorrise, un sorriso ricco di tenerezza, e per un attimo il
mondo sembrò fermarsi. Se quel giorno non fosse stata colpita a morte, se in
quel momento Max non fosse stato presente e non l’avesse salvata mettendo se
stesso nelle sue mani, lei non lo avrebbe mai conosciuto davvero, e magari
avrebbe finito con lo sposare Kyle, e sarebbe vissuta senza sapere cosa fosse
veramente l’amore. Dio era stato molto buono con lei, ponendo sul suo cammino
una persona splendida come Max... Lentamente, quasi a malincuore, distolse lo
sguardo e tornò a prestare attenzione a Maria, che sembrò aver capito quello
che era successo perché appoggiò il gomito sul tavolo, il mento nell’incavo
della mano, e la fissò con ironia. - Ricordo ancora quello che dicesti di lui
il giorno in cui quasi fosti uccisa, al Crashdown... “Max, con quella stupida
fossetta?” - le fece il verso.
- Beh, poi ho cambiato idea -
- Oh, sì, me ne sono accorta... - Maria spalmò altro burro sulla sua pannocchia
e l’addentò con gusto. - E’ questo il bello della vita: poter cambiare idea...
-
Quando, un paio d’ore più tardi, si ritrovarono davanti all’edificio in cui
abitavano i loro amici, Maria e Michael abbracciarono affettuosamente Jason e
Shiri prima di congedarsi.
- E’ stata una bellissima domenica, Liz. Spero di rivederti presto. - Maria
faticò non poco a trattenere la commozione. Conosceva Liz da sempre e sentiva
molto la sua mancanza. Avrebbe voluto che quel giorno non finisse mai...
- Anch’io. Comunque ci restano pochi esami e forse, con il nuovo anno... -
- Ottimo! Vuoi che cominci a cercare una casa per voi? -
- Guarda che non abbiamo praticamente più soldi! Con che cosa potremmo pagare
una casa tutta nostra? -
- Tu lascia fare a me. Vedrai che qualcosa ci inventeremo! - Maria prese
l’amica tra le braccia e le strofinò forte la schiena. - Abbi cura di te,
Liz... -
- Anche tu, Maria. E non trattare troppo male quel povero Michael, mi
raccomando... -
- Ok -
Rimasero fermi sul marciapiede a guardare la jeep di Michael allontanarsi
finché i fari non furono più visibili, poi Jason si avvicinò alla madre. -
Davvero torneremo a Roswell? -
- Sì. Ti piace l’idea? - gli chiese Liz accarezzandogli il viso.
Il ragazzino annuì. - Ci sono nonno Phillip e nonna Diane, là, e... e mi
mancano... e mi manca la zia Isabel... -
- Allora stai tranquillo: fra qualche mese saremo di nuovo tutti lì! -
A quelle parole Lhara trattenne il fiato ma nessuno se ne accorse.
Durante la notte la giovane si svegliò di soprassalto, il volto madido di
sudore, e senza esitare scese dal letto per chinarsi su Shiri, profondamente
addormentata. - Shiri! Shiri, per favore, svegliati! - La scosse piano finché
lei batté le palpebre e aprì gli occhi. - Lhara? -
- E’ Bren!... -
Ormai del tutto desta la ragazzina si raddrizzò, una luce d’improvvisa
comprensione. - Cosa gli è successo? -
- Non lo so con esattezza, ma la sua vita è in pericolo. Ha bisogno di te,
Shiri! Ti prego... -
- Sì, certo! - Shiri scostò le lenzuola e si mise i jeans e la maglietta che
giacevano ai piedi del letto, poi si intrufolò nella stanza dove dormiva il
fratello e lo toccò piano sulla spalla.
Il ragazzino si sollevò lentamente guardandola. Senza dire nulla si vestì e la
seguì sulla soglia della camera dei genitori.
Insieme rimasero a guardare a lungo i due, immersi in un sonno profondo, la
testa di Liz premuta contro il petto di Max e le braccia di lui incrociate
dietro la sua schiena.
Shiri prese la mano di Jason, mentre quella scena s’imprimeva dentro di lei.
“Vi voglio tanto bene... ma devo assolutamente andare...”
Tornata nella sua stanza la ragazzina sedette sul letto e fece segno al
fratello e a Lhara di raggiungerla. Ho bisogno che tu mi aiuti a recuperare i
graniliti, Jason, altrimenti non posso andare da Bren. Lhara, devi farmi
collegare a te, in modo che possa sentirlo meglio. -
- Non ti lascio sola, Shiri! - protestò Jason. - Io vengo con te. Potresti aver
bisogno di aiuto... -
Vedendo l’angoscia negli occhi dell’amica Shiri non perse tempo ad obiettare. -
D’accordo - Tese una mano a sfiorare la tempia di Lhara, percependo il forte
legame che la univa a Bren, poi l’abbassò a prendere la mano di Jason mentre
lui la stringeva dolcemente a sé. - Cercheremo di tornare il prima possibile -
Lhara annuì, incapace di pronunciare una sola parola, e poco dopo davanti ai
suoi occhi c’era il vuoto.
Bren Alehnikar giaceva semisvenuto contro la parete rocciosa, all’interno di
una caverna molto profonda. Shiri faticò non poco per rintracciarlo, pur
sapendo che si trovava lì, e con l’aiuto di Jason lo trasportò fino
all’imboccatura. Il suo corpo recava tracce di vecchie ferite superficiali e un
rapido controllo diede alla ragazzina la conferma che non vi era nient’altro.
Ma il cuore ed i polmoni funzionavano ad un ritmo estremamente rallentato ed
irregolare e lei guardò il fratello in cerca di risposte.
Jason diede una lunga occhiata al volto pallido e smagrito di Bren poi corrugò
la fronte concentrandosi e fu dentro la sua mente.
- Allora? - lo interrogò Shiri non appena vide il suo sguardo mettersi di nuovo
a fuoco.
- E’ tutto... grigio. Lui si è... chiuso... - Non aveva abbastanza esperienza
per poter interpretare quello che aveva visto. Non poteva capire che in realtà
si stava annullando, mentalmente e fisicamente. Tutto ciò che sapeva era che
Bren era diventato irraggiungibile. Lui poteva guardarlo, ma non entrarci in
contatto. Forse Shiri... - Provaci tu. Stabilisci una connessione e cerca di
farti sentire. Non so cos’altro potremmo fare... -
La ragazzina fece un cenno affermativo con la testa poi mise di nuovo le mani
sul petto di Bren e lo fissò intenta mentre nella sua mente si rincorrevano
immagini velocissime e confuse. - Bren, ti prego... ti prego, ascoltami...
parlami... -
Jason rimase ad osservare la sorella finché qualcosa, una sensazione più che
una vera e propria percezione, lo spinse ad uscire e a controllare la fitta
boscaglia che li circondava. Fece qualche passo in avanti sforzandosi di
comprendere di cosa potesse trattarsi poi spalancò gli occhi. “Persone. Molte
persone, e stanno venendo da questa parte... Per Bren...” Si volse di scatto e
tornò indietro. - Shiri, ci sei riuscita? -
- No - C’erano lacrime sulle guance di Shiri, mentre le sue dita premevano
disperate contro il tessuto ruvido del giubbetto dell’uomo. - Lui non... non mi
sente... -
- Continua a provare. Io cercherò di tenere lontane quelle persone, ma se... -
- Se hai bisogno del mio aiuto chiamami, ok? - lo interruppe Shiri con voce
tesa.
- Va bene - Il ragazzino recuperò la sua postazione e tenne d’occhio la lenta
avanzata del gruppo.
Dietro di lui Shiri si curvò su Bren fino a sfiorargli il volto con i capelli.
- Bren, rispondimi... - Per un attimo comprese l’angoscia che doveva aver
provato suo padre quando aveva cercato di guarire Liz, ferita a morte da un
proiettile. - Bren... - Lasciò che la forza delle sue emozioni fluisse
nell’uomo e grosse gocce di sudore le brillarono sulla fronte. - Bren! -
D’improvviso il renidano aprì gli occhi e incontrò lo sguardo supplichevole ma
deciso di Shiri. Qualcosa sembrò cedere in lui, e lo scambio di flash fluì per
la prima volta in entrambi i sensi.
La ragazzina accennò un timido sorriso. - Ciao... -
Senza dire nulla Bren le coprì le mani con le proprie poi volse la testa di
lato e perse conoscenza.
Shiri non poteva immaginare che l’uomo fosse sfinito dalle privazioni però
sapeva che l’unico modo per salvarlo era portarlo fuori da quella caverna. A
malincuore si alzò in piedi ma ancor prima di raggiungere Jason sentì il suo
richiamo. - Eccomi! - Corse al suo fianco, e rimase immobile a guardare i sette
uomini fermi a pochi metri da loro.
- Stiamo cercando Brentelwoodein Alehnikar -
- Perché? - chiese Jason con voce ferma.
- Spòstati, ragazzino -
Invece di obbedire lui scosse la testa.
- Spòstati - ripeté colui che sembrava essere il capo del piccolo gruppo, e
contemporaneamente fece cenno ai suoi uomini di avanzare.
- Perché lo cercate? -
- Non è qualcosa che possa interessarti, ragazzino -
- Invece mi interessa. Perché Brentelwoodein Alehnikar è mio amico -
- Gli Alehnikar non hanno amici. Non più. Non dopo che Jordivaan ha usurpato la
reggenza -
Jason si morse perplesso le labbra. Non capiva cosa volessero dire le parole di
quell’uomo, ma poteva percepire la sua rabbia, la sua violenza a stento
trattenuta. Purtroppo non aveva né il tempo né il modo di farsi spiegare il
significato di quell’affermazione e, sentendo che gli uomini stavano per
entrare in azione, tese la mano destra in avanti liberando sufficiente energia
da creare uno schermo protettivo.
- Dobbiamo tornare indietro, Jason, e portare Bren con noi. Qui non c’è niente
che possiamo fare per lui, e lasciarlo significherebbe condannarlo a morte.
Questi uomini vogliono distruggerlo - Shiri aveva parlato a voce bassa,
pressante, e Jason non poté fare altro che convenire con lei. - Portalo qui,
vicino a me. Poi mantieni il contatto fra di noi o non riuscirò a trasportarvi
tutti e due -
- Va bene, ho capito - Senza aggiungere altro tornò accanto a Bren, lo sollevò
faticosamente per le spalle e lo trascinò fino al punto in cui si trovava
Jason. Allora si inginocchiò accanto all’uomo mettendogli una mano sul petto e
circondando con l’altro braccio la vita del fratello.
- Chi diavolo siete? - domandò il capo del drappello, furioso per non essere
riuscito a raggiungere la sua preda.
Invece di rispondere Jason richiuse la mano a pugno facendo così scomparire lo
schermo di energia, e allo stesso tempo teletrasportò se stesso, Shiri e Bren
lasciando i sette uomini a fissare sbigottiti la caverna ormai deserta.
Non appena si furono materializzati nuovamente nella stanza di Shiri Jason
aiutò la sorella a deporre Bren sul suo letto poi si scostò per consentire a
Lhara di avvicinarsi.
- Bren! Come sta? Sta bene? - domandò la ragazza agitatissima, scostando i
lunghi capelli aggrovigliati dal viso pallido del giovane.
- Non ha ferite, ma è molto debole. Non so perché... - rispose piano Shiri
intrecciandosi nervosamente le mani.
- Degli uomini stavano per trovarlo. Volevano fargli del male, per questo lo
abbiamo portato qui. Io... non so se ho fatto bene, ma... non potevo fare
altro... -
- Ti ringrazio, Jason. Senza di te Bren sarebbe morto - Lhara sedette accanto
al fratello e gli prese una mano tra le sue poi si girò un attimo verso Shiri.
- Ti spiace se resta qui, per questa notte? Io... preferisco non lasciarlo
solo... -
- No, stai tranquilla. Anzi, se preferisci posso andare a dormire con Jason,
così puoi... -
- Non ce n’è bisogno! Voi due avete fatto già così tanto, per noi... Non potrò
mai ringraziarvi abbastanza... -
Shiri sorrise e cominciò stancamente a spogliarsi, nonostante le prime luci del
sole stessero entrando dalla finestra, e come si fu sdraiata cadde in un sonno
profondo.
Nel frattempo anche Jason era tornato nella camera che divideva con Lou, e
senza neppure togliersi i vestiti s’infilò sotto le lenzuola addormentandosi
immediatamente.
Un’ora più tardi, vedendo che nessuno veniva a fare colazione, Liz guardò
interrogativa Lou Krentz, in piedi dietro la stretta finestra a lato della
porta.
- Jason stava dormendo, quando l’ho lasciato. Vuole che lo svegli? -
- No, non importa. - Bevve in fretta un bicchiere di succo d’arancia mentre
aspettava che il tostapane rilasciasse le fette che vi aveva inserito poi prese
il barattolo della marmellata e mise il tutto sul tavolo.
In quel momento arrivò Max, che si mise a spalmare il pane intanto che Liz
toglieva il bollitore del caffè dal fuoco. - Siamo tutti in ritardo,
stamattina... - commentò guardandosi intorno.
- Già. - La ragazza versò il caffè in tre tazze e ne porse una a Lou. - Temo
che dovremo lasciarti il difficile compito di preparare la colazione per i
ragazzi... -
- Non c’è problema, signora -
Liz accennò un piccolo sorriso, poi tornò accanto al tavolo e prese una fetta
di pane addentandola con golosità. - Ci vediamo nel pomeriggio, allora. -
Krentz annuì in risposta e sospirò dentro di sé mentre guardava i suoi sovrani
uscire di casa. “Forse avrei dovuto dire che all’una e un quarto Jason se n’è
andato, ma...” Scosse lentamente la testa. Quando aveva sentito Shiri entrare
nella stanza lui si era appena addormentato dopo un giro di ricognizione, e tre
ore più tardi il ragazzino non era ancora tornato. Ma alle sei e mezza dormiva
placidamente nel suo letto. Aveva sentito i due fratelli parlare a bassa voce
con Lhara, e non aveva ritenuto di dover intervenire. Il suo compito era di
proteggere la famiglia reale, non di spiarla. Forse avrebbe cercato di farsi
dire qualcosa da Jason non appena si fosse svegliato, ma non avrebbe insistito.
In fin dei conti era l’erede al trono di Antar, e aveva tutto il diritto di
fare quello che voleva. Anche trascorrere la notte a chiacchierare con la
sorella nella sua camera...
- Evans, ti vogliono al telefono -
Max si volse di scatto e fissò con aria perplessa il giovane tecnico. -
Grazie... - Domandandosi chi mai potesse chiamarlo lì andò nell’ufficio
adiacente e prese il ricevitore. - Max Evans -
“- Signore, sono Lou. Credo... credo sia meglio che venga a casa. Si tratta dei
ragazzi -”
Il giovane serrò l’apparecchio con tale forza che le nocche sbiancarono. -
Arrivo immediatamente - Mise giù il ricevitore con gesto brusco poi si affacciò
nel laboratorio da cui era appena uscito. - Dottor Jansen, ho bisogno di un
permesso. Tornerò appena possibile... -
- Va bene, vada pure. Ci vediamo più tardi. -
- Certo. Grazie - Si diresse in fretta verso lo spogliatoio per riporre il
camice nell’armadietto personale e scese le scale a due a due. Raggiunto il
laboratorio dove lavorava il team di cui faceva parte Liz bussò aprendo
contemporaneamente la porta.
Tre facce sorprese si voltarono all’unisono tuttavia Max vide solo Liz, in
piedi davanti ad uno scaffale intenta a consultare un volume. Mormorando una
scusa andò dritto da lei e le mise una mano sulla spalla. - Liz, mi ha chiamato
Lou. E’ successo qualcosa ai ragazzi. Devo... devo andare subito a casa -
La ragazza impallidì di colpo. - Aspetta, vengo con te... - Parlò con voce tesa
e sommessa, poi si sfilò il camice e guardò il suo capo. - Mi spiace, si tratta
di un’emergenza. La prego di scusarmi... -
Il dottor Randburg la scrutò attentamente poi annuì piano. - D’accordo, vai
pure. Spero che non sia niente di grave.
- Lo spero anch’io... - Mordendosi le labbra mise il camice sullo schienale
della sedia e lasciò la stanza insieme a Max camminando sempre più in fretta
finché, arrivati in strada, si misero a correre.
Quando finalmente giunsero davanti alla porta di casa erano completamente senza
fiato. D’istinto Max posò la mano sulla serratura facendola scattare e si
precipitò fino alla stanza da letto più vicina, quella di Shiri.
Nel vederlo Lou si volse di scatto. Era inginocchiato accanto al letto su cui
giaceva Shiri e le teneva entrambe le mani strette nelle sue. Aveva il viso
molto teso. - Sta soffrendo. E anche Jason... Loro... - Tornò a guardare la
bambina. - Qualcosa di simile era già successa su Antar. Perché avevano usato
troppa energia e le loro cellule erano andate fuori controllo... -
- Sì, me lo ricordo. Jason aveva teletrasportato se stesso e Shiri, ed era
stato questo a scatenare... - Max s’interruppe di colpo notando solo allora la
presenza di Bren, seduto sull’altro letto accanto a Jason. Capisco - disse con
asprezza serrando i pugni.
- Mi dispiace, Altezza. Io... io non avevo idea... Non glielo avrei mai
chiesto, altrimenti... - Lhara alzò su Max uno sguardo implorante, poi gli
occhi le andarono al volto impietrito di Liz. - Mi dispiace... - ripeté
sottovoce.
In preda all’angoscia Liz osservò i figli, in preda a brividi violentissimi, e
Bren, la cui mano destra poggiava con delicatezza sulla testa di Jason mentre
lo sguardo era fisso su Shiri.
- Zan... - sussurrò l’uomo girandosi verso di lui.
Lou lasciò andare le mani di Shiri e si tirò indietro mentre il giovane si
curvava sul corpo della bambina.
Dopo alcuni interminabili secondi emise un profondo sospiro e chiuse gli occhi,
un po’ ansimante. Giratosi, ripeté l’operazione su Jason dopodiché scivolò a
sedere per terra, sudato e scosso. - Sono riuscito a rallentare il processo...
Ora... ora è tutto a posto... - Guardò i corpi dei due ragazzi, finalmente
rilassati, poi alzò il viso verso Liz, un profondo smarrimento nei caldi occhi
nocciola.
La ragazza si accovacciò al suo fianco e lo strinse a sé, troppo sconvolta per
poter parlare.
Di lì a poco Jason si svegliò e chiamò piano il padre, che si sciolse
dall’abbraccio di Liz per mettersi a sedere accanto a lui. - Ehi,
coniglietto... ciao... - sussurrò accarezzandogli con infinita tenerezza il
viso pallido.
- Ciao... - Il ragazzino abbozzò un sorriso prima di lanciare un’occhiata
ansiosa all’altro letto. - Shiri? -
- Sta bene. Sta bene, adesso... - Max sollevò un poco il figlio portandoselo al
petto e deglutì con un certo sforzo nel sentirlo accoccolarsi tra le sue
braccia. Non era stato facile bloccare la frenetica attività cellulare
scatenatasi dentro di loro, e sapeva di essere stato vicino a perderli. Infilò
le dita tremanti tra i folti capelli di Jason cullandolo dolcemente.
Sentendo la sua angoscia lui s’irrigidì un poco. - Non volevo che tu e la mamma
vi preoccupaste... ma Bren aveva bisogno di aiuto e io non volevo lasciare sola
Shiri... -
- D’accordo... adesso non pensarci più, è tutto finito... -
Nel frattempo Lou Krentz e gli Alehnikar erano usciti dalla stanza e Liz si era
sdraiata accanto alla figlia, che come il fratello indossava solo una t-shirt
di Max.
Memore di quanto accaduto su Antar, infatti, Lou aveva spogliato Jason per
farlo stare più comodo mentre Lhara aveva fatto la stessa cosa con Shiri, ed
ora la ragazzina giaceva immobile contro la madre, gli occhi chiusi ma
perfettamente consapevole delle sue carezze, dei piccoli baci che le dava su
tutto il viso. - Mamma... - disse ad un tratto con tono sommesso, - mi sento...
strana... -
Liz dovette mordersi le labbra prima di parlare, e con le dita le sfiorò una
guancia. - E’ perché sei cresciuta ancora, tesoro... Sei diventata una
bellissima ragazza... - Si sforzò di sorridere ma avrebbe voluto gridare la sua
rabbia per quel destino maledetto che aveva rubato ai suoi figli il
meraviglioso mondo dell’infanzia.
Sedevano tutti intorno al tavolo della cucina, mentre Lou Krentz stava in piedi
accanto alla finestra per tenere d’occhio la strada sottostante. Jason e Shiri,
dopo essersi infilati dei vecchi jeans del padre, avevano raggiunto gli altri e
adesso studiavano attenti i volti dei genitori.
- La situazione, su Rènida, è diventata insostenibile - Bren raddrizzò la
schiena mantenendo una maschera di perfetta impassibilità. - Lhara è ancora
troppo giovane per diventare la legittima sovrana, e anche se tornasse non
potrebbe governare per tre anni, durante i quali Volnis avrebbe infinite
possibilità di eliminarla. Per lei è più sicuro restare qui -
- E tu? Cosa conti di fare? - chiese Max con voce pacata.
- Io... non lo so - Bren si guardò le mani, abbandonate sul ripiano del tavolo.
- Questo vuol dire che hai rinunciato a lottare? -
Il giovane rialzò lentamente il capo, e Max poté vedere l’immensa tristezza nei
suoi occhi chiari.
- I miei poteri sono molto limitati. Posso concentrare l’energia in campi di
forza oppure in fasci ristretti, e questo non è sufficiente a riconquistare un
intero mondo -
- Non sei solo, c’è la tua gente... -
- No. Nessuno, su Rènida, farà mai nulla per aiutarmi. Non più. - E davanti
all’espressione interrogativa della sorella serrò impercettibilmente le labbra.
- I rappresentanti del popolo sono convinti che mio padre ed io abbiamo ucciso
Lhara per mantenere il potere -
- Scusa, ma perché non gli avete spiegato come stanno davvero le cose? -
intervenne Liz perplessa.
- Perché ho scoperto che... è la verità. -
Shiri tese una mano per coprire la sua. Fu un gesto istintivo di conforto al
quale Bren reagì immediatamente girando il palmo ed intrecciando le loro dita.
Sapeva che lei era in grado di percepire la sua angoscia, ed era consapevole
dello strano legame che li univa. Quel contatto gli diede un profondo senso di
pace e ne trasse la forza per proseguire. - Quando Wirnit morì Volnis decise
che il sistema più semplice per conquistare il potere fosse sposare Lhara. In
questo modo lei sarebbe diventata automaticamente regina, e niente gli avrebbe
potuto impedire poi di ucciderla e regnare quale suo legittimo successore. Dopo
due tentativi di rapimento da parte dei soldati di Zoltar mio padre mi convinse
a portarla in salvo in un posto sicuro, e io decisi di venire qui sulla Terra.
Finché riuscimmo a mantenere il segreto sulla sua partenza le cose andarono
bene, poi i rappresentanti del popolo dovettero cominciare a sospettare
qualcosa perché si misero a fare un’opposizione sistematica ad ogni iniziativa
politica e mio padre... mio padre li esautorò - Vide Lhara sbiancare e sorrise
con amarezza. Comprese, tuttavia, che Zan non poteva essere al corrente del
profondo significato che un tale gesto aveva su Rènida, e con un certo sforzo
si spiegò meglio. - Esautorare i rappresentanti del popolo equivale
all’affermazione del totale controllo da parte di chi pronuncia l’ordine. Così
facendo, mio padre ha ammesso implicitamente di essere l’unico legittimato a
regnare. A quel punto le forze armate si sono rivoltate ed hanno attaccato la
capitale distruggendo completamente il palazzo reale. Io ero in un altro
distretto, quando è successo, e da un momento all’altro mi sono trovato a
dovermi difendere dai soldati al mio comando senza neppure sapere il perché.
L’ho scoperto soltanto quando sono tornato a Lyri ed ho trovato il palazzo
distrutto e cartelli affissi ovunque con l’elenco delle accuse rivolte a mio
padre e a me, quale suo complice -
- Avresti dovuto venire a prendermi. I rappresentanti avrebbero visto che sono
ancora viva e avrebbero smesso di darti la caccia... - lo rimproverò con
affetto Lhara.
- Volnis ha il completo controllo dello spazio esterno. Non ci avrebbe mai
permesso di toccare la superficie del pianeta vivi - Bren aveva risposto
guardando la sorella negli occhi per la prima volta. - Ho fallito, Lhara, mi
dispiace... -
La ragazza era pallida e tesa, ma composta. - No, Bren, ha fallito Jordivaan,
non tu. -
Il fratello la fissò in silenzio per alcuni secondi poi reclinò la testa in un
piccolo inchino. - Grazie, mia regina - disse piano.
- Non lo sono ancora... - lo prese affettuosamente in giro lei.
- Lo sei per me -
- Bren - Lhara emise un piccolo sospiro esasperato, - ho solo diciassette anni,
non so assolutamente nulla di politica e di economia, e non m’interessa tornare
su Rènida! Comunque una cosa l’ho capita anch’io: la nostra gente non ha alcuna
intenzione di essere travolta da una guerra per liberarsi di un nemico che non
considera tale. In più mi crede morta, quindi non si aspetta il ritorno di
un’Alehnikar. Perciò... lascia che le cose restino come sono, ti prego... -
- Se è questo, che vuoi... - mormorò Bren per nulla convinto.
- Sì - insisté Lhara, cercando poi lo sguardo di Max. - Tu pensi che abbia
torto? -
Il giovane scosse lentamente la testa. - No. Soprattutto se Rènida ha accettato
l’ingerenza di Zoltar. Scatenare un conflitto adesso sarebbe un inutile
spargimento di sangue... -
Bren lasciò andare la mano di Shiri e si alzò in piedi. - La nostra gente non
mi ha dato modo di discolparmi. Non c’è stato tribunale né processo, ma solo
una condanna. Questo, però, non significa che dobbiamo lasciarla sotto il giogo
di Volnis. Forse adesso è soddisfatta di come vanno le cose, ma prima o poi
aprirà gli occhi e vedrà. Non posso permettere che Rènida subisca quello che ha
dovuto subire Antar... Io... mi dispiace, Lhara... - Posò uno sguardo dolente
su Shiri. - Non potrò mai ringraziarti abbastanza per avermi salvato, e ti
chiedo perdono per il prezzo che tu e Jason avete dovuto pagare... -
Lhara gli andò accanto e lo prese gentilmente per le braccia. - Bren, tu non
puoi pensare di tornare indietro e combattere per me! Ho già perso una sorella,
e la sete di potere ha distrutto nostro padre. Non voglio perdere anche te! E
succederà di sicuro se affronterai Volnis da solo! -
- Devo provarci. Puoi capirlo? - le chiese il fratello con dolcezza.
Lei annuì. - Sì. Non mi piace ma... lo capisco. Ti voglio bene, e non voglio
che ti succeda niente di male quindi... cerca di essere molto prudente, ti
prego... E’ un ordine - aggiunse poi, sorridendo.
Bren le prese il volto tra le mani e le diede un bacio sulla fronte. - Sì, mia
regina... - Si volse poi in direzione di Shiri e i suoi occhi le dissero più di
quanto avrebbero potuto le parole, dopodiché fece un piccolo inchino col capo
verso Liz e Max. - Ti prego - disse rivolto a quest’ultimo, - di consentirmi di
prendere una delle astronavi che si trovano tra i monti del secondo quadrante.
So che è importante che nessuno, qui sulla Terra, possa tracciare la
traiettoria di allontanamento dalla superficie, ma ti assicuro che sono in
grado di schermarla. Non ho le tue capacità mentali, però questo lo posso
fare... -
Max lo fissò attento per qualche secondo prima di rispondere. - D’accordo.
Quando sarai all’interno della caverna avrai bisogno dei codici di
disattivazione - Lo toccò sulla tempia per trasmettergli un rapido flusso di
informazioni e alla fine indietreggiò di un passo. - Buona fortuna, Bren -
- Grazie, Altezza. -
Il giovane chinò di nuovo la testa in segno di saluto e se ne andò.
Mentre Lhara tornava a sedersi, un’espressione triste sul bel viso, si udì lo
squillo di un cellulare. Max si mise una mano in tasca per prendere il piccolo
apparecchio e premette il pulsante. - Isabel -
La voce della ragazza risuonò bassa e concitata. “- Max, che cos’è successo a
Jason? L’ho sentito, un paio d’ore fa, e mi è sembrato... disorientato,
confuso... Avrei voluto chiamare subito ma ho dovuto aspettare la pausa per il
pranzo... Ti prego, dimmi! -”
- Non preoccuparti, adesso sta bene. Lui e Shiri sono... stati fuori, con un
loro amico. Ma ora sono tutti tornati a casa. - Sospirò stancamente - Sono...
sono cresciuti ancora, dall’ultima volta che li hai visti. Comunque ora non ci
sono più problemi. E tu? -
“- Ah, il solito, come puoi immaginare... Ho una montagna di cose da fare e il
tempo non basta mai! Venerdì sera viene Morgan, magari potremmo fare un salto
da voi. Siete liberi? -”
- Certo, Isabel. Allora... vi aspettiamo -
“- Bene! Ora ti devo lasciare perché mi sono rimasti soltanto dieci minuti per
mangiare un panino e tornare al lavoro! Dai un bacio ai ragazzi da parte mia,
e... ti voglio bene, Max. Mi manchi tanto... -”
- Anche tu. Ciao... -
“- Ciao -”
Max sentì chiaramente la sorella tirare su col naso e fece un piccolo sorriso
triste. Era inevitabile che di tanto in tanto le loro strade si allontanassero,
ma ciò non rendeva più facile la separazione. Avevano condiviso tante cose,
troppe forse, e mal sopportavano di stare distanti l’uno dall’altra. E lo
stesso succedeva con Michael. Ancora una volta si augurò di completare presto
gli studi per poter tornare a Roswell. Si volse a guardare i figli. - Jason,
Shiri, noi ora dobbiamo tornare al Centro però chiamateci subito se doveste
avvertire qualcosa di... di strano. - Mise una mano sulla spalla del ragazzo,
ormai alto quanto lui. - Non usate i vostri poteri per nessuna ragione, capito?
Nessuna! E’ importante... -
- Sì, ho capito. - Jason annuì serio prima di abbracciare il padre. - Grazie -
gli bisbigliò all’orecchio.
Max lo strinse a sé con forza, a lungo, poi sorrise a Shiri. - Non combinate
altri guai, mi raccomando! -
La ragazza si morse le labbra a disagio. - Volevamo che non doveste più
preoccuparvi per noi, invece... Mi dispiace molto... -
Liz le passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le sfiorò la guancia con
la punta delle dita. - Se si vuole bene a qualcuno ci si preoccupa sempre per
lui... E’ normale... quindi adesso non pensarci più, va bene? - Sorrise
divertita. Stasera, dopo cena, andiamo al centro commerciale a cercare qualche
vestito. Ne avete bisogno tutti e due... -
La ragazzina s’illuminò in volto. Adorava andare per negozi insieme alla madre,
divertendosi un mondo a guardare le centinaia di cose esposte nelle vetrine. -
Allora Jason ed io prepareremo qualcosa da mangiare così faremo prima! -
- Ok - Liz scosse la testa mentre un lampo di emozione le faceva brillare gli
occhi scuri. “Siete... siete così cari...” Si volse per serrare in un tenero
abbraccio il figlio poi seguì Max fuori di casa e di nuovo verso il centro di
ricerche.
Si fermarono al bar per mangiare un panino poi lui l’accompagnò fino al suo
ufficio.
Mentre camminavano affiancati il giovane le aveva fatto scivolare una mano
sotto la maglietta, nell’incavo della schiena. Quando si fermarono davanti alla
porta Liz si girò lentamente appoggiandosi contro il suo corpo. - Vorrei poter
andare da qualche parte e fare l’amore con te fino a non avere più la forza di
muovermi... fino a dimenticare ogni cosa che non sia tu... -
Max la fissò con intensità mentre ogni più piccola parte di lui era consapevole
del suo calore. - Stanotte. Stanotte ti darò tutto quello che vuoi... Ti amo,
Liz, con tutto me stesso... - Si chinò a baciarla, e una girandola di ricordi,
emozioni, colori passò tra di loro.
Erano compagni per la vita, il completamento l’uno dell’altro. E la cosa
meravigliosa era che lo sapevano entrambi...
Con un gemito Max si staccò da lei. - Vai, adesso, prima che qualcuno esca e ci
scopra qui, incollati come due ragazzini... -
A quelle parole Liz sorrise, il respiro ansante. - Non dimenticare la promessa:
tutto quello che voglio! -
Il giovane le diede un ultimo bacio. Veloce e leggero come le ali di una
farfalla. - Tutto - confermò, poi fece un passo indietro e le aprì la porta. -
Passo a prenderti più tardi -
Lei fece un cenno di assenso con il capo prima di sparire all’interno del
laboratorio.
- Credo... credo di essere morta... - Il sorriso di beatitudine di Liz si
trasformò in una smorfia di piacere e dolore insieme mentre inaspettatamente,
con rinnovata forza, Max ricominciava a muoversi. Era stata una notte
incredibile, piena di appassionata dolcezza, e davvero lui aveva fatto tutto
quello che gli aveva chiesto, donandole più di quanto avrebbe mai potuto
immaginare. E ancora continuava a darle sensazioni così intense che per un
momento temette di non riuscire a sopravvivere. Max era così sensuale, attento
ai suoi bisogni eppure sicuro e deciso, molto diverso dal ragazzo mosso dal
puro istinto con cui aveva fatto per la prima volta l’amore. Le faceva provare
sempre nuove emozioni, e sapeva che non si sarebbe mai stancata del tocco delle
sue mani, delle sue labbra. Travolta dalla sua irruenza gemette forte finché lo
sentì rallentare il ritmo. Allora lo sospinse gentilmente sotto di sé e fece
scivolare le dita lungo i suoi fianchi guardandolo negli occhi. - Adesso è il
mio turno... - sussurrò maliziosa.
Quando il sole fece capolino nella stanza Max giaceva con la testa sul petto di
Liz, intenta ad accarezzargli i capelli. Il giovane aveva gli occhi chiusi ma
non dormiva. Era invece concentrato sul delicato movimento della mano di lei.
Finalmente si sentiva bene, in pace col mondo. La sera prima avevano fatto un
bel po’ di acquisti ed era stato bello vedere Jason e Shiri gironzolare tra gli
stands come due adolescenti qualsiasi. Loro sembravano non rendersi conto
dell’anormalità di quello che gli era successo. Prendevano tutto con calma,
forse perché non avevano alcuna idea di quale fosse il naturale processo di
crescita, e si adattavano molto facilmente ad ogni nuova situazione in cui
venivano a trovarsi. Forse Lhara aveva ragione, erano davvero speciali, più di
quanto sia lui sia Liz potessero pensare... Sospirando si mosse un poco e
sollevò un braccio per toccare la pelle liscia della spalla della ragazza. Fra
cinque minuti dobbiamo alzarci... - disse piano. - Non ti ho fatto chiudere
occhio... -
Liz rise sommessa. - Già. Ma è stato... fantastico!... - Chinò la testa in
avanti per baciarlo sulla fronte. - E comunque non mi sento affatto stanca! -
- Neanche io - Max la strinse per un attimo forte a sé e le sfiorò il petto con
le labbra, poi emise un sospiro rassegnato. - Hai sentito anche tu? -
- Cosa? Rumore di piatti e posate? Sì - Liz chiuse gli occhi con rammarico. - A
quanto pare i ragazzi hanno fame... - mormorò prima di staccarsi dal giovane e
scendere dal letto. - Mi auguro solo che oggi sia una giornata terribilmente
noiosa!... -
Fecero colazione tutti insieme poi Max si girò verso il figlio. - Pensi che
riuscirete a restare lontani dai guai per un po’? -
- Ci proveremo. - Il ragazzo sorrise stringendosi nelle spalle, e Shiri sollevò
sul padre uno sguardo innocente. Comunque sembra essere una caratteristica di
famiglia, quella di ritrovarsi nei pasticci... -
- Non essere impertinente! - la sgridò Liz agitando un dito nella sua
direzione, poi fece un cenno di saluto a Lou e a Lhara ed uscì dietro Max.
Più tardi, mentre stava riordinando una serie di campioni che aveva appena
finito di esaminare, Liz sentì un rumore di passi dietro di sé e volse un poco
la testa scorgendo il dottor Randburg.
- Signorina Parker, ho bisogno di parlare con lei. Venga di là, nel mio
ufficio. -
- Sì, certo - Perplessa, la ragazza rimise sul tavolo il contenitore che teneva
in mano e seguì l’uomo nella stanza adiacente al laboratorio.
Una volta soli Randburg si sedette dietro la scrivania facendole cenno di
accomodarsi sulla sedia di fronte. - Ho riscontrato diversi errori nel lavoro
che ha fatto ieri pomeriggio - iniziò subito scrutandola con occhi attenti. -
Non cose gravi, no, ma in ogni caso ho dovuto riguardare tutto quello che aveva
fatto. E’ vero che non era mai successo prima, lei è molto intelligente e
scrupolosa, e quindi per stavolta mi limiterò a questa chiacchierata. Ma quello
che stiamo facendo è troppo importante perché possa rischiare che una serie di
distrazioni mandi all’aria un lavoro che ha richiesto sei mesi di
progettazione, capisce? - Prima che lei potesse dire una parola si appoggiò
allo schienale della poltrona e aggiunse: - Ieri è dovuta andare a casa per
un’emergenza. E’ per questo che poi non è riuscita a concentrarsi sul lavoro? -
Liz rimase per un attimo interdetta poi si schiarì la gola. - Io... sì, penso
di sì. Ma ora è tutto risolto, e... starò molto più attenta, glielo assicuro.
Mi dispiace, non mi ero resa conto di non essere lucida... -
L’uomo le sorrise comprensivo. - Di solito non ci si accorge di non esserlo...
In ogni caso, come le ho già detto, si è trattato di errori di poco conto,
anche se fastidiosi, e se lei pensa di poter essere in grado di continuare... -
- Sì, certo! - lo interruppe lei con vivacità. Le piaceva quello che faceva, e
soprattutto era una tappa fondamentale per i suoi studi. Non poteva permettersi
di essere mandata via. Sarebbe stato un vero disastro...
- Bene. Bene, allora... che ne dice di pranzare insieme, più tardi? Così potrà
dirmi cosa le è successo ieri, se lo desidera. A volte è molto utile parlare
dei propri problemi con qualcuno... Aiuta a ridimensionarli, non crede? -
- Già... - Liz sorrise di nuovo, ma era un sorriso impacciato. Avrebbe
preferito trascorrere la pausa pranzo con Max, averlo nuovamente vicino dopo la
dolcezza di quella notte, sentire il calore del suo sguardo su di sé, tuttavia
comprese che non poteva dire di no a quell’invito. - D’accordo, grazie -
rispose cercando di mostrare un po’ di entusiasmo.
Quando più tardi si ritrovarono seduti al tavolo di un piccolo ristorante nei
pressi del Centro Liz cominciò a temere di aver commesso un terribile errore.
Clay Randburg sedeva davanti a lei e le stava accarezzando il dorso della mano
sinistra mentre un giovane cameriere versava del vino nei loro bicchieri. Cercò
di sottrarsi al suo tocco ma lui le prese con decisione la mano sfiorandole la
fede con la punta del pollice. Non sei un po’ troppo giovane per essere già
sposata? - le chiese dandole del tu. Le sorrise con simpatia. Un matrimonio
riparatore, forse? -
- No - La risposta le uscì più aspra di quanto avesse voluto, ma non le
importò. Ruotò il polso con risolutezza liberando la mano. - Mio marito è Max
Evans. Sta facendo anche lui lo stage qui al Centro -
- Ah, sì, il giovanotto che è venuto a prenderla ieri in laboratorio... -
L’uomo aspettò che il cameriere se ne andasse poi bevve una lunga sorsata del
leggero vino bianco che aveva ordinato. - Di che emergenza si è trattato? -
domandò fissandola con curiosità.
Liz si morse le labbra seccata. Per un attimo il ricordo dell’espressione sul
viso di Max mentre passava davanti a lui quasi trascinata via da Randurg la
colpì come una stilettata. Aveva avuto una mattina di intenso lavoro dopodiché
il suo capo le aveva lasciato solo il tempo di togliersi il camice e posarlo
sulla sedia prima di prenderla sottobraccio ed uscire insieme, impedendole così
di avvertire Max che non avrebbe potuto pranzare con lui. Quando lo aveva
incrociato nel corridoio lo aveva guardato smarrita negli occhi mentre quasi
correva per stare dietro ai lunghi passi dell’uomo al suo fianco. Quello stesso
uomo che adesso la studiava come un gatto fa col topo. - Un problema coi nostri
figli. Ma si è risolto - disse con voce neutra.
- Figli? - mormorò Randburg sorpreso. - Santo cielo, sei così... così snella,
sembri una ragazzina... - Abbassò lo sguardo sul decolleté messo in risalto
dall’ampia scollatura della semplice maglietta di cotone che indossava. Questo
Max Evans è davvero fortunato - mormorò prima di tornare ad incontrare i suoi
occhi. - Sei innamorata di lui? -
Senza parlare Liz fece cenno di sì con la testa e a quel punto Randburg le fece
segno di cominciare a mangiare. Cosa fai stasera? -
- Lavoro in una pizzeria. Insieme a Max - precisò con durezza.
- E... qual è il tuo giorno di riposo? - insisté l’uomo.
- E’ stato ieri. Dottor Randburg, le sarei grata se mi dicesse chiaramente cosa
vuole - Liz decise che con quel tipo era necessaria la maniera diretta, e il
trovarsi in un ambiente frequentato avrebbe reso le cose più facili.
- Niente che tu non voglia darmi - Inaspettatamente Randburg sorrise. - E a
quanto pare non avrò nulla, giusto? Sei una ragazza molto in gamba, Liz Parker
Evans. Sono contento di averti nella mia squadra... -
Liz corrugò incerta la fronte. Possibile che fosse tutto così semplice? Era
bastato usare un tono brusco per farlo desistere? Davvero lui non avrebbe più
insistito per... per ottenere qualcosa che lei non gli avrebbe mai dato,
vivesse mille anni?
- Quest’insalata di gamberi è davvero squisita, non trovi? - domandò l’uomo
gentilmente.
- Ehm... sì... sì... - Sconcertata, a disagio, Liz si portò la forchetta alla
bocca poi la depose, incapace di continuare a mangiare. L’appetito le era del
tutto scomparso...
Mezz’ora più tardi uscirono dal locale. L’aria era torrida, il sole batteva
implacabile sulle loro teste, e camminarono in silenzio per alcuni minuti poi,
nel passare accanto ad una stretta strada fra due palazzine, Randburg cinse con
forza la vita di Liz e la strinse a sé sollevandola leggermente da terra. Le
mise una mano sulle labbra per impedirle di gridare. - Sarà un vero piacere
prendermi cura di te... - sussurrò al suo orecchio prima di premerle con forza
un punto preciso del collo.
L’improvvisa mancanza di ossigeno fece perdere i sensi a Liz, che si afflosciò
tra le sue braccia.
Clay Randburg aveva scelto con cura il posto dell’attacco, e poté allontanarsi
con la sua preziosa preda sicuro di non essere visto da nessuno.
Alcune ore più tardi stava in piedi davanti al corpo tuttora esanime di Liz.
Ogni volta che aveva accennato a riprendere i sensi le aveva toccato il collo
interrompendo l’afflusso di ossigeno, ma adesso aveva tutto il tempo di
dedicarsi a lei. Si accovacciò al suo fianco e le mise le mani sullo stomaco.
La maglietta che indossava era corta e la minigonna aveva la vita bassa, così
una discreta porzione di pelle risultava scoperta. Fece scorrere a lungo le
dita su di lei, dapprima con un certo distacco poi sempre più affascinato.
Infilò i pollici nel tessuto elastico della gonna e cominciò a tirare verso il
basso finché incontrò l’ostacolo dello slip. Sentì il cuore battergli con
violenza nel petto. Usò la punta dell’indice per sollevare un lembo del
leggerissimo tessuto e un sorriso perverso gli stirò le labbra. Guarda
guarda... -
Dei puntini luminosi brillavano sulla morbida pelle del basso ventre di Liz, e
l’uomo da tutti conosciuto come Clay Randburg vi appoggiò la mano con fare
possessivo.
“Ma dove diavolo è finita?” Max si guardò intorno con una punta d’ansia. Non
gli era piaciuto vederla uscire insieme a Randburg. Non che fosse morbosamente
geloso, del resto era sicuro dell’amore di Liz, però il modo di fare di
quell’uomo, la sua gentilezza fin troppo eccessiva, le attenzioni che aveva
sempre per lei, lo infastidivano. Si rendeva conto di esagerare, ma era più
forte di lui. Il bisogno di saperla al suo fianco in ogni momento, di sentire
il delicato profumo della sua pelle di seta, di vedere la dolcezza del sorriso
che le illuminava il volto, era qualcosa di vitale come il respiro. Da quando
le loro vite si erano incrociate, il 18 settembre di quattro anni prima, aveva
spesso rischiato di perderla. Quasi sempre per colpa sua, a dire il vero,
tuttavia ogni volta che non sapeva dove fosse si sentiva terribilmente a
disagio. E ora, mentre decine di persone gli passavano davanti dirette
all’uscita, cercava di convincersi che Liz era soltanto stata trattenuta nel
laboratorio. Quando nel corridoio non rimase più nessuno decise di andare a
controllare di persona ma trovò la stanza vuota. Perplesso, corse fino al
piazzale antistante il Centro e si guardò intorno. Nel vedere uno dei colleghi
di Liz si affrettò a raggiungerlo per chiedergli notizie e il giovane gli
spiegò che né lei né Randburg erano tornati dopo la pausa del pranzo.
In preda all’agitazione Max se ne andò borbottando un ringraziamento. “Se fosse
tornata a casa mi avrebbe avvertito, oppure sarebbe venuta a prendermi... O
forse quel maledetto Randburg...” Fece mezzo giro su se stesso e si precipitò
nell’ufficio amministrativo, dove riuscì a farsi dare l’indirizzo dell’uomo.
Fece la strada correndo e Shiri, che gli aprì la porta, lo fissò sorpresa. -
Papà? -
- Liz non è in casa, vero? - domandò col fiato corto.
- No. Ma cosa...? -
Senza aggiungere altro Max si precipitò in camera da letto, prese le chiavi
dell’auto e tornò indietro. Lou, stai molto attento, mi raccomando! Io devo...
devo ritrovare Liz -
- Le è successo qualcosa? - gli chiese lui irrigidendosi.
- Non lo so... Comunque, se dovesse venire qui dille di chiamarmi subito,
intesi? -
- Sì, Altezza. Ma forse sarebbe meglio se venissi con lei? -
- No. Voglio che tu resti qui, con i ragazzi. Lhara - Si girò di scatto verso
di lei - questo vale anche per te, capito? Non intendo passare il resto della
giornata inseguendo ognuno di voi... -
La ragazza annuì con un sorriso un po’ teso. - La ritroverà, vero? -
Max la fissò un attimo in silenzio prima di andarsene sbattendo la porta dietro
di sé.
Avviato il motore del fuoristrada si diresse verso il quartiere dove abitava
Randburg e bussò con forza all’elegante portoncino di legno intarsiato. Non
avendo ricevuto risposta controllò che nessuno potesse vederlo poi fece
scattare il meccanismo della serratura ed entrò. Perquisì l’appartamento in
fretta ma con cura senza trovare nulla e con un sospiro si lasciò cadere per
terra, la schiena premuta contro la parete e le ginocchia al petto. “Liz...”
Lasciò vagare lo sguardo sui mobili antichi che costituivano l’arredamento
dell’ampio salone in cui si trovava e trasalì quando squillò il cellulare.
Sperando che fosse la ragazza si affrettò a rispondere ma si trattava solo di
Michael.
“- Max, tutto bene da quelle parti? -”
- Michael, scusami ma non ho tempo, adesso. Ti richiamo appena possibile, ok? -
“- No, aspetta! Senti, due federali sono appena stati qui. Mi hanno fatto un
mucchio di domande, sembra che qualcosa di strano sia successo dalle parti
delle Guadalupe Mountains, ma sono riuscito a convincerli che noi non
c’entriamo. Volevo solo essere sicuro che state bene, tutto qui... -”
- Le Guadalupe? Distano soltanto duecento miglia... -
“- Infatti. Per questo ti ho chiamato. Allora? Posso stare tranquillo? -”
- Non riesco a trovare Liz -
“- Maledizione! Senti, vuoi che venga lì? -”
- No. Non ancora, perlomeno. Ora... ora devo solo riflettere... Magari il suo
capo l’ha portata a cena fuori... -
“- E non ti avrebbe avvertito?!? Max, non ci credi nemmeno tu! -”
Max chiuse gli occhi e poggiò la nuca contro la parete. - Non so cosa fare -
ammise.
“- Perché non chiedi a Jason di darti una mano? Lui può entrare nella sua mente
e... -”
- Preferirei non coinvolgerlo. In fin dei conti è soltanto un bambino... - lo
interruppe con voce turbata.
“- Allora chiama Isabel. E guarda che se non lo fai tu ci penso io! -”
Suo malgrado Max sorrise. Michael era di modi alquanto bruschi ma era un amico
fedele su cui sapeva di poter sempre contare. - Dammi due ore di tempo, poi ti
prometto che la chiamerò -
“- Va bene. Ma sappi che esattamente fra due ore e cinque minuti le telefonerò
anch’io! -”
- Stai tranquillo, Michael. Ci sentiamo più tardi, ok? -
“- Ok. Sta’ attento, mi raccomando -”
Con un sospiro Max interruppe la comunicazione e rimise il cellulare nella
tasca dei pantaloni. “Ci mancava soltanto l’FBI...” Stancamente si rialzò in
piedi. “Liz, dove sei?”
Decise di tornare al Centro, forse Randburg si era rifatto vivo...
Quando arrivò davanti all’edificio scoprì con disappunto che nel piazzale era
parcheggiata un’auto della polizia. Per un attimo pensò di andarsene ma poi
decise di entrare lo stesso.
Nel vederlo l’agente della sicurezza interna lo indicò ai due poliziotti con
cui stava parlando. - Eccolo, è lui. E’ stato molto insistente, e alla fine la
segretaria gli ha dato l’indirizzo di casa... -
Un agente gli andò incontro. - Max Evans? -
Maledicendosi per non aver seguito il proprio istinto il giovane annuì. Si
sforzò di rimanere tranquillo ma era molto preoccupato.
- Perché cercava il dottor Randburg? -
La domanda lo colse di sorpresa. - Mia moglie è andata a pranzo con lui, e da
allora non l’ho più vista - rispose con una certa esitazione. - Ho... pensato
che fossero andati a casa sua, per questo ho chiesto l’indirizzo. -
- Ed erano lì? -
- No. Ho bussato a lungo ma non mi ha aperto nessuno. Sto... sto ancora
cercandoli... -
- Lavora qui? -
- Sì, sto facendo uno stage. Come Liz, mia moglie. - Si passò una mano tra i
capelli. - Posso sapere il perché di tutte queste domande? -
- Poco fuori della città è stata rinvenuta l’auto del dottor Randburg. Dentro
c’era il suo cadavere -
- Come?!? - Max impallidì di colpo. Sapeva che Liz era ancora viva, lo sentiva
dentro di sé, ma quella notizia lo sconvolse ugualmente.
- Clay Randburg era morto da almeno due giorni -
- Non è possibile! - esclamò il giovane.
- La data esatta della morte potrà stabilirla soltanto il coroner, ma di sicuro
quell’uomo non poteva essere lo stesso che oggi ha pranzato con sua moglie. -
Turbato, Max serrò e rilasciò più volte i pugni. - Per quale motivo siete
venuti qui al Centro? - domandò esitante.
- Stiamo cercando di capire chi lo abbia visto per ultimo, e questa persona
potrebbe essere sua moglie, per quanto strano possa sembrare... -
Dopo un lungo silenzio, durante il quale cercò di afferrare le implicazioni di
quello che aveva appena sentito, Max guardò l’agente. - Posso... tornare a
casa? -
- Sì, certo. Senta, nel caso che... dovessimo trovare sua moglie, dove possiamo
rintracciarla? -
Il ragazzo diede il numero del cellulare con voce assente poi andò via.
Risalito sul fuoristrada si piegò sul volante, il volto premuto contro le mani.
Cercò di elaborare tutte le informazioni raccolte fino a quel momento ma non
riusciva a pensare con chiarezza. Vedeva ancora l’espressione desolata di Liz
mentre camminava svelta accanto a Randburg, che la teneva saldamente per un
braccio, e si sentì fremere. Avrebbe dovuto fermarli, avrebbe dovuto... Si
morse le labbra. Era inutile recriminare, adesso. Doveva invece riflettere,
senza lasciarsi distrarre dal terrore che pian piano lo stava avvolgendo nel
suo manto gelido, e si sforzò di concentrarsi. Alla luce di quanto gli aveva
detto quell’agente, le parole di Michael acquistarono un nuovo significato.
“Guadalupe Mountains...” Con risolutezza mise in moto e tornò a casa per
riferire quello che aveva saputo poi telefonò alla sorella e le chiese di
provare a mettersi in contatto con Liz.
Isabel rimase molto colpita dalla notizia e promise di richiamare il prima
possibile. - Se vuoi posso venire a El Paso si offrì, ma lui rifiutò non
volendo farle correre rischi inutili.
Nell’attesa Max studiò con attenzione una mappa della zona. C’era solo una
strada per le montagne, la Statale Nord 54, poi avrebbe dovuto inoltrarsi nel
deserto cercando di evitare di essere intercettato dai federali che sicuramente
setacciavano l’area.
- Papà? -
- Sì, tesoro? -
Shiri si accomodò sulla sedia accanto a lui e osservò la cartina. - Pensi che
sia laggiù? -
Il giovane volse la testa di lato per guardarla. Il corpo di Shiri si era
sviluppato molto armoniosamente, nonostante la subitaneità del processo, e la
somiglianza con la madre era aumentata in modo incredibile. Sentì una stretta
al cuore. - La ritroveremo, stai tranquilla... - mormorò.
- Ha paura, ma sta bene - La voce di Jason risuonò profonda e sommessa, facendo
trasalire Max. Il ragazzo accennò un piccolo sorriso teso. - Non ho cercato di
contattarla, però ho avvertito le sue emozioni -
In quel momento Lou tornò in cucina dopo aver fatto un giro di controllo. Il
suo viso era rigido mentre riferiva rapidamente l’esito del sopralluogo ma
tutto, in lui, denunciava la frustrazione.
Max se ne rese conto e si morse le labbra. - Non puoi essere in più posti
contemporaneamente - cercò di placarlo. Del resto Liz era con me, mentre i
ragazzi sarebbero rimasti soli. E preferisco che tu stia con loro, quando non
posso farlo io... -
In quel momento squillò il telefono e il giovane si affrettò a rispondere. Era
Isabel. Purtroppo non aveva scoperto molto. Liz vedeva se stessa rannicchiata
in una stanza quasi buia, con le mani legate dietro la schiena, e non sapeva
come ci fosse arrivata. L’unica cosa certa era che, ovunque si trovasse, vi era
stata portata da Clay Randburg, che l’aveva aggredita poco dopo essere usciti
dal ristorante.
Non era la prima volta che Isabel entrava nella mente di Liz in situazioni
critiche, e di nuovo era rimasta colpita dalla lucidità con cui, nonostante la
paura, cercava di riferirle tutto quello che poteva risultare utile. “- La
stanza era piccolissima, e fredda -” precisò la ragazza.
- Pensi che possa essere a bordo di un’astronave? -
“- Non so. Sì, forse.... C’è qualche motivo per cui...? -”
- No, è solo un’idea che mi è venuta. Michael ha parlato di attività insolite
nelle Guadalupe, e quel poliziotto ha detto che Randburg doveva essere morto
già da alcuni giorni... Le due cose potrebbero essere collegate. Grazie,
Isabel, sei stata molto gentile... -
“- Piantala, Max! Dimmi piuttosto se c’è qualcos’altro che posso fare -”
- Guardarti sempre alle spalle. Finché non avrò scoperto cosa è successo - Con
una smorfia Max chiuse la comunicazione poi andò a prendere il suo zaino in
camera da letto prima di tornare in cucina. Aprì con decisione una credenza e
ne estrasse delle bottiglie d’acqua e un pacco di biscotti, che infilò nello
zaino. Non fate quelle facce - borbottò mentre ripiegava la mappa. - Porto con
me Michael -
Dopo aver fatto il pieno di carburante si lasciò la città alle spalle e attese
di trovare il posto giusto per fermarsi e chiamare l’amico. Quando pochi
istanti dopo si materializzò all’interno del confortevole saloncino, con i
graniliti ancora stretti nelle mani, Maria gli corse incontro. - Ti prego,
riportala indietro sana e salva! - esclamò abbracciandolo stretto.
- Certo, Maria, puoi contarci... - Max le circondò con affetto le spalle poi
l’allontanò gentilmente. - Cerca di parlare con Jim il prima possibile, e se si
rifà vivo qualcuno dell’FBI avvertimi subito, d’accordo? -
- Sì - La ragazza si avvicinò a Michael e gli diede un rapido bacio sulle
labbra. - Fate attenzione, ok? Lo so che è chiedervi troppo, ma... provateci,
almeno... -
- Faremo del nostro meglio. Ciao, e sta’ attenta, mi raccomando! Non vorrei che
succedesse qualcosa anche a te... -
Maria si stropicciò nervosamente le mani, incapace di dire altro, e rimase
immobile finché i due giovani furono scomparsi.
Michael respirò a fondo un paio di volte prima di guardarsi intorno. Di sicuro
quel sistema era pratico e veloce ma non gli piaceva. Per niente.
- Tutto a posto? - Max sorrise all’amico e gli sfilò dalla mano contratta il
granilite.
- Sì, certo -
La risposta laconica non trasse in inganno Max, che avviò il motore e si
reimmise sulla statale. - Stai tranquillo, adesso ci aspettano diverse ore di
monotona vecchia guida... - Si girò un attimo per guardarlo. Spiegami meglio
cos’hanno visto quelli dell’FBI, e perché sono venuti da te -
- Ah, non è che mi abbiano detto molto... Hanno accennato a delle tracce
registrate da Hubble, provenienti dallo spazio esterno, e alla successiva
comparsa di radiazioni di natura sconosciuta nella zona delle Guadalupe. Dalle
ricognizioni fatte non è venuto fuori nulla così hanno deciso di rivolgersi a
me, visto che quelle montagne si trovano nel Nex Mexico... - Il ragazzo si
sistemò meglio contro il morbido schienale e sorrise. - Sai, non riesco ancora
a crederci... -
- A cosa? -
- Sono stati educati e gentili. Forse perché era presente anche Morgan, quando
si sono presentati in ufficio, resta il fatto che si sono limitati a fare
domande e ad ascoltare le risposte. Niente minacce, niente botte, niente
sparatorie. Avresti dovuto esserci: ti saresti divertito -
Max si strinse nelle spalle. - Ne dubito. -
La mezzanotte era passata da un pezzo quando abbandonarono il nastro d’asfalto
per dirigersi nel deserto, e arrivarono alle pendici delle Guadalupe al sorgere
del sole.
- E adesso che si fa? Ci arrampichiamo o facciamo il giro? -
- Facciamo il giro. Se ci fosse qualcosa visibile dall’alto non sarebbero
venuti ad interrogarti, quindi tanto vale rimanere quaggiù... -
- Ok - Michael, che in quel momento era alla guida, rimise in moto e procedette
lentamente.
Avevano percorso una ventina di miglia quando lo sguardo di Max fu attratto da
un riflesso metallico. Fermati qui! - disse d’impulso.
- Hai visto qualcosa? -
- Sì, credo di sì. Un riflesso -
- Max, il sole è ancora dietro le montagne. Come puoi...? - S’interruppe e
scosse il capo. - Ok - disse premendo il piede sul freno.
Scesero entrambi dalla vettura ma fu Max ad avanzare per primo.
Michael lo vide chinarsi di colpo per raccogliere qualcosa, poi girarsi verso
di lui. Il suo viso era mortalmente pallido. - E’ stato Volnis -
Michael lo fissò sconcertato. - Come puoi esserne sicuro? -
Le mascelle serrate, il giovane lasciò ricadere il braccio lungo il fianco
mentre tornava accanto a Michael. Senza parlare aprì la mano, e lui poté vedere
l’anello. Era la fede di Liz.
Poi Max strinse di nuovo le dita intorno al cerchietto d’oro e tese il braccio
sinistro, il palmo rivolto verso il basso. Sul terreno apparve un segno di luce
azzurra, un triangolo equilatero molto schiacciato, il simbolo di Zoltar. E’
stato lui - Nei suoi occhi apparve l’espressione remota che rivelava la
profonda consapevolezza di Zan di Antar, e Michael sentì un brivido gelido
corrergli lungo la schiena.
- Perché lo avrebbe fatto? - domandò incerto. - Dopo la distruzione del palazzo
del governo tu non hai più avuto niente a che fare con Volnis. Che motivo
avrebbe, adesso, di attaccarti in questo modo? -
Max lasciò che lo sguardo percorresse il simbolo luminoso, senza in realtà
vederlo. - Vuole il potere. Prima l’ho costretto ad abbandonare Antar, e ora
rischia di perdere Rènida perché Lhara è sotto la mia protezione. Ormai sono il
suo mortale nemico - Pronunciò l’ultima frase con sardonica ironia, poi si
scosse. - Bene, accetto la sfida - Tornò a passo svelto al fuoristrada, seguito
in silenzio da Michael, e ripercorse la pista appena accennata sul terreno
sabbioso.
Guidò ininterrottamente per quasi sette ore, e quando infine parcheggiò davanti
casa era esausto. Fu Jason ad aprire la porta d’ingresso. Sul suo viso c’era
un’espressione di attesa, che si trasformò in perplessità nell’avvertire la
furia sotterranea del padre. - Cos’avete scoperto? - chiese guardando da lui a
Michael.
- E’ stato Volnis di Zoltar - rispose quest’ultimo secco.
Sia Lou che Lhara si irrigidirono, poi si fecero da parte mentre Max andava
nella sua camera da letto e prendeva due borsoni. - Jason, Shiri, raccogliete
le vostre cose. Lhara, anche tu, per favore. Vi porto a Roswell -
Jason avrebbe voluto protestare ma poi obbedì, imitato dalla sorella.
- Cosa intende fare? - domandò Lou.
- Andare su Zoltar. Volnis deve essere fermato una volta per tutte - Max andò
nella stanza di Jason e mise via gli indumenti che man mano gli venivano
passati. - Lou, per favore, prendi i tuoi vestiti. -
L’uomo rimase alcuni secondi immobile, ancora una volta lacerato dal desiderio
di poter essere in più posti contemporaneamente, infine fece come gli era stato
detto.
Dopo aver chiuso i bagagli Max telefonò alla sorella.
“- Max! Allora? -”
- Liz è stata rapita da Volnis - Il giovane si toccò inconsciamente la tasca
della camicia, dove aveva riposto la fede della ragazza. - Ha lasciato un segno
che soltanto noi potevamo trovare, e ora non ci resta che rispondere -
“- Ma come ha fatto? -” volle sapere lei.
- Dev’essere stato un mutaforma. Si è sostituito a Randburg e ha attirato Liz
in una trappola. Maledizione!... - Batté un pugno contro la parete poi chiuse
gli occhi. - Non c’è tempo da perdere. Devo andare subito su Zoltar -
“- Vengo con voi. No, Max -” aggiunse subito dopo, intuendo quello che lui
stava per dirle, “- tu e Michael avrete bisogno di tutto l’aiuto possibile,
quindi io non resterò qui a rodermi il fegato nell’attesa di vostre notizie! -”
- D’accordo, hai ragione. Allora... passeremo a prenderti fra un’ora -
“- Perfetto. A più tardi -” Come ebbe riattaccato Isabel chiamò Morgan e gli
spiegò che doveva partire con il fratello e Michael e non sapeva con esattezza
quando sarebbe tornata.
“- Già un’altra volta mi hai detto qualcosa del genere. E sei sparita per più
di un mese. -”
- Sì, lo so, ma è importante... -
“- Ah, non ne dubito! Soltanto vorrei che... che tu fossi sempre con me... -”
Si udì un profondo sospiro, poi: “- Va bene. Aspetterò il tuo ritorno. Ti
prego, fai attenzione -”
- Puoi starne certo. Non ho alcuna intenzione di renderti vedovo lasciandoti
alla mercè di tutte le donne libere, e non, di Roswell! - Isabel aveva assunto
un tono allegro ma dentro di sé era sconvolta. Combattere di nuovo, uccidere
per non essere uccisa... Non era questo che avrebbe voluto fare nella sua vita,
ma il destino sembrava aver deciso altrimenti...
“- Ti amo, Isabel -”
- Anch’io. A presto - Dopo aver riagganciato si guardò intorno. L’appartamento
in cui viveva era molto piccolo e non vi aveva portato nulla di suo, tranne i
vestiti, e le sarebbero bastati pochi minuti per preparare una piccola valigia.
Con una smorfia aprì l’armadio e iniziò a tirarne fuori le cose che riteneva
più indispensabili.
Come promesso, un’ora più tardi Max era davanti alla sua porta. - Sei pronta? -
le chiese dopo averla abbracciata e stretta per alcuni lunghissimi istanti.
- Sì - Con un sorriso impacciato sollevò il suo bagaglio e bloccò la serratura
con un semplice gesto della mano.
- Dobbiamo prima passare a Roswell. Ho già parlato con papà. Lui e la mamma si
prenderanno cura dei ragazzi
- E Lou? -
- Resta con loro. Anche Lhara. Non voglio fornire a Volnis un’altra arma... -
- Già, capisco. Ok, andiamo -
Max le sorrise. Un sorriso tenero e triste allo stesso tempo che le fece male.
Suo fratello era visibilmente stanco eppure c’era il gelo, nei suoi occhi. Il
gelo e una determinazione feroce. Sapeva che non si sarebbe fermato davanti a
nulla pur di riprendersi Liz, e tremò al pensiero di quello che avrebbero
potuto trovare, una volta arrivati sul pianeta.
Consapevole dello sfinimento di Max e di Michael, Isabel si era seduta al posto
di guida senza dire nulla e nessuno aveva protestato. Il viaggio era stato
tranquillo e si era svolto in silenzio fino al momento in cui i fari avevano
illuminato il cartello che segnalava l’ormai prossimo arrivo a Roswell.
Poi Isabel aveva improvvisamente realizzato quello che Max le aveva detto prima
di partire e si era girata di scatto verso di lui, la fronte corrugata. - Dove
dovremmo andare, dopo aver lasciato i ragazzi? - chiese confusa.
La sua voce fece trasalire Shiri, che si era quasi appisolata contro la spalla
del fratello.
- Nel Black Range. Dobbiamo trovare la navicella con cui arrivò Doryann.
Useremo quella per andare su Rènida...
- Non sarebbe più semplice prendere l’astronave rimasta nella caverna? -
obiettò Michael, che non era al corrente di quella parte del piano dell’amico.
- Voglio lasciarla per Lou. Non si sa mai, potrebbe averne bisogno... -
Il giovane annuì lentamente. - Giusto. Non ci avevo pensato -
- Non sarà facile. Non sappiamo con precisione dove stia, solo che... - Isabel
si concentrò nel tentativo di ricordare, poi spalancò gli occhi sorridendo
soddisfatta. - Il radar aveva intercettato il suo arrivo! Max, ti ricordi? Se
controlliamo la registrazione potremo limitare moltissimo l’area in cui
cercare! -
- Hai ragione! Principessa, i miei complimenti! - l’adulò Michael con tono
scherzoso.
- Stupido... - Ma Isabel era davvero contenta. Troppe volte si era sentita
inutile, più un peso che altro, nel complicato gioco di equilibri costruito dal
fratello, e alla fine era riuscita a dare il suo contributo! Avendo recuperato,
così, un po’ di fiducia in se stessa alzò lo sguardo allo specchietto
retrovisore e fece l’occhiolino a Jason, che aveva seguito tutta la scena con
grande attenzione. - Stai bene? - gli chiese gentilmente. Il ragazzo annuì in
silenzio, e lei colse il suo cenno con la coda dell’occhio. Sospirando fra sé
mise la freccia e svoltò a destra. Ancora un incrocio e finalmente sarebbero
arrivati a casa. Per un attimo si domandò se i suoi genitori avessero mai
capito come, in realtà, lei non fosse poi tanto forte, determinata e sicura di
se stessa. Che si trattava soltanto di una maschera per proteggersi dal terrore
di essere scoperta dagli agenti del governo e portata via, lontana da loro, da
Max, da tutto ciò che conosceva e amava... Forse le sarebbe sempre mancato il
coraggio di liberarsi di quell’apparenza, di mostrare cosa sentiva davvero,
permettendo solo a pochissime persone di conoscerla nel profondo, ma le andava
bene anche così. Perché quelle persone erano le uniche per amore delle quali
avrebbe rischiato la vita, e che sapeva avrebbero fatto lo stesso per lei. Il
resto del mondo non aveva importanza.
Sentendosi meglio, più pronta ad affrontare le difficoltà che presto si
sarebbero trovati davanti, imboccò la stradina privata e spense il motore. -
Eccoci arrivati! - disse con tono energico slacciandosi la cintura di
sicurezza.
Badando a non far troppo rumore il gruppo scese dalla vettura, prese i bagagli
e si avvicinò alla porta d’ingresso, che si spalancò lasciando intravedere
Diane Evans.
La donna rimase a fissare allibita i nipoti finché Max non le andò vicino e le
diede un bacio sulla guancia. - E’ per questo che ho dovuto portarli qui -
bisbigliò al suo orecchio. - Non posso fidarmi a lasciarli soli: vedi cosa
riescono a combinare? -
- Che... che vuoi dire? - La donna si volse a guardarlo, perplessa.
- Hanno saputo che un loro amico stava male e sono andati ad aiutarlo, pur
sapendo di correre un grave pericolo. Bren, il fratello di Lhara. Te lo
rammenti? -
- Mi pare di sì... Un bel ragazzo alto, coi capelli piuttosto lunghi, al
matrimonio di Isabel, credo... -
- Infatti. E mi raccomando, non permettergli di uscire se Lou non è con loro!
E’ molto importante... -
- Va bene. Ma adesso venite dentro, coraggio! - La donna si scansò per
lasciarli entrare poi abbracciò con affetto i due ragazzi e Isabel.
In salotto li aspettava Phillip. Anche lui restò sconcertato nel notare
l’elevata statura raggiunta sia da Jason che da Shiri, ma la forza con cui se
li strinse al petto confermò ancora una volta a Max come i suoi genitori
provassero amore sincero per tutti loro pur sapendo la verità.
Dopo aver portato i borsoni nelle stanze da letto già pronte per gli ospiti,
Diane guardò implorante i figli. Dovete proprio ripartire subito? -
- Sì, mamma, mi dispiace - Max si infilò nervosamente le mani in tasca. - Il
fatto è che... - Aveva riflettuto a lungo prima di decidere che era più
opportuno rivelare il motivo di quella partenza improvvisa, ma adesso non
trovava le parole per dirlo. Perché non ce n’erano di gentili, indolori. Cercò
per un attimo gli occhi mesti di Shiri, poi fece una spallucciata. - Liz è
scomparsa. Crediamo di sapere dove l’hanno portata, e dobbiamo andare a
riprenderla. Non so quanti giorni staremo via. E poi... tieni, questo è il mio
cellulare - Le porse il telefonino e accennò un sorriso. Potrebbe chiamarti la
polizia di El Paso: la stanno cercando anche là, per quanto dubito che riescano
a trovare qualcosa, e siccome ho lasciato quello come recapito - indicò col
mento l’apparecchio che Diane stringeva tra le dita, - adesso è meglio che lo
teniate voi. -
- Oh, tesoro, sono così dispiaciuta... Non sapevo... -
Incapace di dire altro, Max si avvicinò dapprima a Jason poi a Shiri,
serrandoli tra le braccia come se temesse di vederli sparire da un istante
all’altro, infine diede un bacio sulla fronte a Lhara e strinse la mano di Lou.
L’uomo si irrigidì sull’attenti. - Veglierò su tutta la sua famiglia, Altezza.
Le auguro di ritrovare presto la signora -
Con il cuore pesante il giovane si volse per abbracciare i signori Evans. -
Abbiate cura di voi... - mormorò.
- Anche tu - Sua madre lo accarezzò teneramente sui capelli. Max non era più il
timido e riservato adolescente di una volta, ma non aveva ancora compiuto
ventun anni e sulle sue spalle gravavano così tante responsabilità... Perfino
Isabel sembrava più adulta, più... saggia... Provò un profondo dolore al
pensiero di quanto dovevano aver sofferto a causa di quello che erano, e li amò
ancora di più per essere rimasti dei ragazzi dall’animo buono e generoso quando
facilmente avrebbero potuto trasformarsi in ribelli capaci solo di distruggere
e autodistruggersi.
Isabel nel frattempo aveva salutato il padre, poi si aggrappò con forza a lei e
rimase a lungo immobile, cercando di immagazzinare il maggior numero di
sensazioni. Il suo calore, il profumo dolce della sua pelle, il suo tenero
abbraccio... Odiava quegli addii, il non sapere se l’avrebbe più rivista, la
sofferenza che le leggeva negli occhi... Con un sospiro le diede un ultimo
bacio sulla guancia. - Torneremo presto, mamma - promise sforzandosi di
sorridere.
La donna si portò la punta delle dita alla bocca per nascondere il tremito
delle labbra. - Ci conto, cara. - sussurrò, e rimase a guardarla mentre,
preceduta da Max e Michael, usciva di casa.
Fu un attimo, poi corse fuori ed abbracciò Michael. - Sii prudente! -
Il gesto lasciò di stucco il giovane che, commosso, ricambiò la stretta. -
Grazie, signora Evans... - disse piano.
Prima di procedere in direzione delle montagne Isabel si diresse verso il
villino dove abitavano Michael e Maria.
La ragazza non sembrò sorpresa quando, aprendo la porta di casa, si trovò
davanti Michael. Lo strinse forte a sé, senza dire nulla, traendo forza da lui,
e allo stesso tempo donandogliela.
- Non potevo andarmene senza salutarti... - le sussurrò lui.
- Lo so - Con dolcezza Maria gli sfiorò con la punta delle dita una guancia e
le labbra. - Buona fortuna -
Il giovane annuì e, a malincuore, la lasciò andare.
In piedi accanto alla macchina, Max ed Isabel le fecero un semplice cenno di
saluto col braccio, e dovette faticare per trattenere le lacrime. Poi rimase
ferma sulla soglia a guardare l’auto sparire nella notte.
L’ultima tappa fu da Morgan. Isabel si sentiva molto a disagio mentre aspettava
che lui le aprisse, ed entrò in casa tenendo la testa bassa.
L’uomo la guardò a lungo, senza muoversi. Sentiva che lei aveva bisogno di
mettere ordine nei suoi pensieri, così attese tranquillo e alla fine Isabel
fece i pochi passi che li separavano e lo abbracciò. - Sono così stanca,
Morgan... - disse piano, desolata. - Vorrei tanto vivere in pace, e invece...
invece succede sempre qualcosa... Dobbiamo partire per un altro pianeta...
affrontare gente che ci odia... cercare di liberare una persona la cui sola
colpa è di amare mio fratello... Perché tutto questo? Perché non posso essere
semplicemente Isabel Coltrane? -
Morgan le mise una mano sui morbidi capelli biondi e sospirò. - Perché sei
Isabel. Isabel e basta. Una ragazza stupenda e generosa che non si volta
dall’altra parte quando qualcuno ha bisogno di lei... Il fatto che tu sia in
parte aliena comporta di sicuro problemi più grandi di quelli che affliggono la
gente normale, ma... sono certo che ti saresti cacciata in un sacco di guai
anche se fossi stata una semplice creatura del pianeta Terra... Vorrei
aiutarti, darti tutto il sostegno possibile, però credo che ti sarei solo
d’impaccio, vero? -
La risposta fu un accenno di sorriso, poi Isabel si raddrizzò scostandosi
leggermente da lui. - C’è qualcosa che puoi fare, comunque... I ragazzi sono
con Lhara e Lou a casa dei miei genitori, e Maria è sola. I federali hanno
parlato con Michael per sapere qualcosa sui movimenti nelle Guadalupe ma si
sono convinti che stavolta noi non c’entriamo, però... se potessi tenerla
d’occhio... Non vorrei che tornassero e, non trovando Michael, si
insospettissero e se la prendessero con lei... - Si morse nervosamente le
labbra. E cerca di fare attenzione anche tu. Ormai sei sulla loro lista nera,
ricordi? -
- Amore, sono in grado di badare a me stesso, e posso benissimo vigilare su
Maria e i ragazzi. Per quanto ritengo che Jason e Shiri siano capaci di
difendersi meglio di quel potrei mai fare io... In ogni caso non preoccuparti
di noi: concentrati solo su quello che devi fare, d’accordo? -
Isabel annuì, poi gli diede un ultimo bacio e se ne andò.
Nel frattempo Michael si era sistemato al posto di guida, e con una scrollata
di spalle si sedette accanto a lui.
- Tutto bene? - le domandò gentilmente prima di avviare il motore.
- Sì, certo. Possiamo andare -
Non parlarono molto, durante il lungo viaggio verso le montagne, dandosi il
cambio per non essere costretti a fermarsi a dormire, e giunsero alla caverna
segreta nel Black Range alle prime luci dell’aurora.
Ancora una volta fu Michael a sbloccarne l’accesso, e insieme a Max studiò con
attenzione la memoria del sistema radar di bordo fino ad individuare il punto
esatto da cui cominciare le ricerche.
- E se l’astronave fosse nascosta dentro una caverna come questa? - chiese ad
un tratto Isabel, che fino a quel momento era rimasta a fissare assorta i due
amici curvi sugli strumenti.
- Il rilevatore di massa-energia indica la presenza di qualcosa che dovrebbe
essere quel che stiamo cercando qui, - spiegò Michael toccando col dito un
puntino lampeggiante sul monitor davanti a lui - per cui a noi non resta che
passare in rassegna le pareti rocciose fino a trovare quella che nasconde il
tesoro...
Isabel fece una smorfia. Arrampicarsi per sentieri di montagna non era la sua
passione, poi si avvicinò allo schermo per studiare la mappa. - Non mi sembra
ci siano molti posti adatti - osservò perplessa.
- Per l’appunto. Ci sono dirupi ovunque, tranne qui, qui... e qui! -
Michael sembrava molto soddisfatto, e a ragione. Grazie ai dati in loro
possesso l’area da controllare era più ristretta di quanto avrebbero potuto
aspettarsi e di sicuro sarebbero potuti partire non più tardi del pomeriggio.
Max si grattò distrattamente la fronte. - Se siete pronti possiamo muoverci
anche subito... -
- D’accordo, allora andiamo - Michael fece strada fino all’uscita e, dopo aver
controllato che fuori della caverna non ci fosse nessuno, si diresse verso la
vettura. - Sarà meglio metterla dentro. Non vorrei che venisse fotografata da
qualche satellite troppo curioso... - borbottò.
Per quasi quattro ore percorsero sentieri frequentati solo da qualche animale
selvatico ma alla fine riuscirono a raggiungere un piccolo pianoro circondato
da profondi burroni.
- Figurati se non doveva essere l’ultimo tentativo... - bofonchiò Michael
mentre Max, dopo aver percorso circa un terzo del perimetro sfiorando la roccia
con la mano, si fermava con espressione soddisfatta.
- Senti, l’importante è che ci siamo riusciti, ok? - lo zittì Isabel
incamminandosi poi verso il fratello.
L’apertura era piuttosto ampia, sufficiente a far passare una navicella di
piccole dimensioni, e i tre ragazzi dovettero fare soltanto pochi passi
all’interno della caverna prima di trovarsi davanti il velivolo alieno.
- Non è molto grande... - osservò Isabel perplessa.
- E’ un ricognitore. Ed è molto più veloce della nostra nave - Max avanzò fino
al portello d’ingresso e fece scattare il meccanismo.
L’interno dell’apparecchio era letteralmente tappezzato di apparecchiature e lo
spazio abitabile ridotto al minimo.
Con una smorfia la giovane seguì il fratello e Michael si affrettò dietro di
lei.
- Vado a vedere se c’è qualcosa che assomigli a una doccia. Ne ho assoluto
bisogno! -
- Puoi aspettare dopo il decollo? Si tratta solo di mezz’ora... - la prese in
giro l’amico, prima di incastrarsi nel sedile del copilota.
- Cerca piuttosto la cabina e assicùrati a qualcosa. Dovrò dare subito la
massima accelerazione per cercare di evitare di essere intercettati - disse Max
senza neppure voltarsi, mentre le sue dita correvano veloci sui pannelli di
comando davanti a lui.
- Ok - Isabel prese la propria borsa da viaggio e lo zaino del fratello poi
fece un rapido giro di perlustrazione. Trovato! - gridò poco dopo entrando in
una microscopica stanza con due brande ripiegate contro la parete ed una mezza
colonna di materiale opaco. Fece scorrere il pannello della mezza colonna,
pensando si trattasse di un ripostiglio, e scosse depressa la testa. “Questo
non è un bagno, è una punizione...” pensò lasciandovi cadere all’interno i
bagagli prima di richiudere e andare a sdraiarsi su una branda. Ebbe appena il
tempo di allacciarsi le cinghie di blocco quando si sentì schiacciare verso il
basso.
Cercando di fare respiri lenti e profondi chiuse gli occhi. “Torneremo.
Dobbiamo tornare”
- Ciao, zia! - Shiri gettò le braccia intorno al collo di una stupefatta Maria,
che ebbe bisogno di qualche secondo per riprendere fiato. - Ehi, tesoro, sei
davvero cresciuta! - balbettò dando dei leggeri colpetti sulla schiena della
ragazzina.
- Ehm... sì, infatti... - Con un sorriso imbarazzato Shiri si scostò da lei per
lasciarla entrare in casa.
- Maria! Hai fatto presto! - l’accolse Diane Evans avvicinandosi a sua volta e
stringendola con affetto.
- Beh, il tempo di vestirmi e sono venuta subito... Dovete ancora fare
colazione? - La ragazza sembrò costernata. Aveva telefonato a casa Evans come
prima cosa dopo essersi svegliata e si era precipitata lì senza realizzare che
erano soltanto le otto.
- Non preoccuparti, mia cara. Vieni, Jason sta preparando la tavola... -
In quel momento si udì lo squillo di un cellulare e la donna, improvvisamente
impallidita, si infilò la mano in tasca. - Sì, pronto? - Trattenne per un
attimo il fiato, poi si toccò a disagio il collo. - No, sono sua madre. In
questo momento mio figlio è... è occupato. La prego, mi dica... avete trovato
qualcosa? - Ascoltò con attenzione e alla fine emise un piccolo sospiro. -
Capisco... Sì, saremo lì nel pomeriggio. Ah, no, mi spiace, non ci troviamo a
El Paso... Bene, grazie. Buongiorno - Interruppe la comunicazione e si girò per
chiamare il marito, che si affacciò sulla soglia della cucina guardandola
interrogativamente. Nel vedere Maria andò verso di lei sorridendo poi sembrò
rendersi conto dello stato di tensione della moglie.
- Era la polizia di El Paso. Hanno ritrovato la borsa di Liz. Era in un vicolo,
vicino ad un ristorante. Hanno fatto vedere la foto sulla sua patente e una
cameriera l’ha riconosciuta, e adesso vogliono che Max vada lì per parlare
ancora con loro -
Scrollando il capo l’uomo si avvicinò al tavolino dell’ingresso e sollevò il
ricevitore. - Chiamo lo studio per avvertire che oggi non vado, poi parto
subito per El Paso. Tu resterai qui coi ragazzi -
La donna annuì senza parlare e fece cenno a Shiri di precederla in cucina.
Maria, preoccupata, le seguì in silenzio.
Jason sollevò appena la testa per guardarle mentre continuava ad apparecchiare.
Sentiva l’apprensione della sorella e avrebbe voluto parlare con lei per
confortarla, ed esserne confortato.
In quel momento arrivò anche Lhara, che guardò incuriosita Maria. -
Buongiorno... - disse piano.
- Ciao, Lhara. - La ragazza si avvicinò a Jason e gli tolse dalle mani la
caraffa con l’aranciata. - Sentite, qualcuno di voi ha parlato con i Parker?
Voglio dire, sanno di Liz? -
- No, non gli abbiamo detto niente. Però, forse, potremmo andare al Crashdown,
dopo la colazione... -
- Ottima idea. E poi vorrei passare da Jim per avvertirlo di quello che è
successo. -
- Allora siamo d’accordo - Diane Evans aprì il frigorifero e ne estrasse la
scatola delle uova. - Jason, ti spiace andare a chiamare Lou? Quel benedetto
ragazzo è rimasto sveglio tutta la notte e vorrei che almeno mangiasse
qualcosa! -
Poco più tardi Phillip Evans salì sulla sua auto, diretto a sud, mentre Diane e
tutti gli altri si sistemavano sulla jeep di Maria.
- State un po’ strettini, eh? - disse la ragazza dando un’occhiata nello
specchietto retrovisore. Lou, seduto accanto a lei, si girò per osservare con
attenzione i tre alieni a lui affidati.
Shiri si protese in avanti toccandolo gentilmente su una spalla. - Stai
tranquillo, non c’è nessuno, qui, che voglia farci del male... Cerca di
rilassarti un poco, ok? Ci pensiamo Jason ed io a monitorare la zona, e
prometto che ti avvertiremo subito se sentiremo qualcosa di strano, va bene? -
Il militare fece per protestare ma si rese conto di aver bisogno di un breve
riposo. Allora annuì, poi tornò a sedere diritto e chiuse gli occhi scivolando
in un sonno leggero.
Quando Maria parcheggiò davanti all’ufficio dello sceriffo Lou Krentz si
svegliò di scatto sentendosi riposato e all’erta. Scese per primo dalla jeep e
si guardò attentamente intorno, dopodiché si appoggiò con la schiena alla
parete dell’edificio e attese che i tre principi, la signora Evans e Maria
fossero al sicuro all’interno. Poi entrò a sua volta e rimase in disparte
mentre Jason raccontava a James Valenti quanto era accaduto a Liz.
Al termine del racconto l’uomo lo scrutò con attenzione. - Quindi siete sicuri
che siano stati... alieni? Che non si tratti di un semplice rapimento? -
- Sì. Papà ritiene che un mutaforma si sia sostituito al dottor Randburg e
abbia preso la mamma - La voce di Jason era bassa, ma lo sceriffo poté
avvertire il profondo dolore che la permeava. - Max sa il fatto suo. Vedrai che
la troverà e la riporterà indietro - disse serio.
Il ragazzo strinse le mascelle in un modo che fece sorridere Valenti. - Sei
proprio come lui, sai? Comunque, da quel che vedo, direi che tuo padre ha fatto
bene a lasciarti qui insieme a Shiri. Immagino che... - con la testa indicò la
sua elevata statura, - quella sia stata causata da un eccessivo uso dei vostri
poteri... -
Dopo una breve esitazione, il volto leggermente imporporato, Jason annuì.
Comprendendo il suo stato d’animo l’uomo si alzò in piedi e fece il giro della
scrivania fermandosi proprio davanti a lui. - Voi due state crescendo molto in
fretta, e siete costretti ad imparare nella maniera più dura cosa significa
davvero vivere... Vostro padre è una persona molto speciale, come Isabel e
Michael, e cerca di proteggervi come meglio può. Anche se, qualche volta, la
cosa non vi fa piacere... -
- Avremmo potuto aiutarlo - obiettò lui ostinato.
- Si sarebbe preoccupato per voi, quando invece deve concentrarsi soltanto su
Liz. Riesci a capirlo? -
Jason guardò la sorella, poi di nuovo Valenti. - Sì - mormorò.
- Bene. Sentite, che ne dite di venire a cena da noi, stasera? Posso avvertire
subito Amy: sarà contenta di vedervi... -
Maria si avvicinò ai due ragazzi e passò loro un braccio intorno alla vita. -
Ci penso io, così magari vado con lei a fare la spesa. Ho il frigorifero
vuoto!... -
Poco dopo erano di nuovo tutti a bordo della jeep. Nel passare davanti al
Crashdown Diane emise un gemito involontario. - Oddio, non so proprio come fare
a dirglielo... -
- Ci pensiamo noi - Con tono deciso Shiri scese dalla vettura insieme al
fratello ed entrò nel locale, con Lou alle calcagna.
L’interno del Crashdown cominciava a riempirsi di avventori, soprattutto
ragazzi desiderosi di gustare qualcosa di fresco per combattere l’aria torrida,
ma riuscirono a raggiungere il bancone senza troppi problemi. Fu Jason a
rivolgersi a Julie, una graziosa cameriera dai lunghi capelli neri, che li
indirizzò sul retro. - Il signor Parker è appena rientrato. Lo puoi trovare nel
suo ufficio. -
- Grazie - Jason si diresse verso la porta contrassegnata da un cartello con su
scritto “Private” ed aprì con decisione dopo aver bussato leggermente.
Jeff Parker stava sistemando dei documenti in un classificatore e si volse di
scatto. - Cosa c’è? Oh, siete... voi... - L’ultima parola la bisbigliò
sgomento. - Cosa... cosa diavolo è successo? Santo cielo, siete diventati più
alti di me! -
- E’ stato un incidente. Ma da ora in poi staremo più attenti. - Il ragazzo
accennò un sorriso di scusa. - Siamo venuti per dirti una cosa. Forse sarebbe
meglio se ci fosse anche... la nonna... -
All’uomo non piacque la sua aria guardinga. Con un certo nervosismo fece strada
verso l’appartamento privato e chiamò la moglie. Poco dopo sedevano tutti nel
salottino.
- Papà ci ha portato a Roswell ieri sera, poi è andato via con zia Isabel e zio
Michael. Noi resteremo qui finché non tornerà a prenderci. -
Parker tamburellò con la punta delle dita sul bracciolo della poltrona su cui
si era sistemato. - E dove sono andati, si può sapere? -
- Veramente non ne siamo sicuri - Shiri si mordicchiò le labbra e sorrise
pensosa. - Comunque staranno via solo il tempo necessario e poi riandremo a El
Paso. -
- Ragazzi, non potete presentarvi così, come se niente fosse, con l’aspetto
di... di quattordicenni e un’assurda storia! Cosa state cercando di dirci? -
insisté l’uomo.
- La mamma è dovuta partire all’improvviso, e adesso papà e gli zii la devono
raggiungere. Papà non voleva lasciarci da soli, così ci ha accompagnati da
nonna Diane e nonno Phillip. Probabilmente saranno di ritorno fra pochi
giorni... - cercò di spiegare Jason, consapevole di non poter dire loro la
verità.
- Hanno forse litigato? - volle sapere Nancy.
- Chi? - chiese stupita Shiri.
- Max e Liz. Per questo lei se n’è andata? -
Davanti al tono inquisitorio della donna Shiri scosse piano la testa. - La
mamma non voleva partire, ma è stata costretta. E ora papà sta andando a
riprenderla. Poi torneranno qui e ce ne riandremo insieme. Tutti quanti... -
- Shiri, vuoi spiegarti meglio? - domandò Nancy Parker con calma.
La ragazza la fissò a lungo, poi guardò Jeffrey e poi di nuovo lei. - La mamma
tornerà a casa appena sarà possibile, e noi l’aspetteremo qui, a Roswell. Sono
certa che... che verrà a salutarvi prima di ripartire... -
- E lei non ha niente da dire? - Jeff interpellò seccato Lou, che fino a quel
momento era rimasto in silenzio.
- No. Jason e Shiri hanno spiegato il motivo per cui si trovano qui senza i
loro genitori, e non c’è altro da aggiungere - rispose Krentz pacatamente.
Intuiva lo sconcerto della coppia, tuttavia non avrebbe mai contraddetto quanto
riferito dai reali, né aggiunta una sola parola.
- Possiamo... possiamo venire a trovarvi, qualche volta? - chiese Shiri.
- Certo, cara. - Nancy si alzò per abbracciarla con affetto. Sapeva di essere
stata dura con loro, i suoi nipoti, i figli della sua piccola Liz, e per un
attimo desiderò di poter tornare indietro, di poter cancellare le parole
cattive che aveva rivolto sia a Liz sia a Max, ma non era possibile. Però
poteva sempre cercare di stabilire un rapporto amichevole con quei due ragazzi
così simili ai genitori, e allo stesso tempo così diversi... sereni e...
saggi... Chiuse gli occhi nel sentire la stretta con cui venne ricambiata e
dovette deglutire più volte prima di poter parlare di nuovo. - Potete venire
quando volete. -
Anche Jeff Parker li salutò con molto affetto, e un pizzico di riserbo. Sentiva
che non gli avevano detto tutto ma non riusciva a capire di cosa potesse
trattarsi. Finché un lampo gli attraversò la mente. - Jason, c’entra forse
l’FBI? - domandò preoccupato.
- No, no! - Il ragazzino si allontanò di qualche centimetro da lui e lo guardò
dritto in volto. - La mamma sta bene. E tornerà presto - Poi abbassò le braccia
abbozzando un sorriso. - Ciao... - e uscì insieme alla sorella e a Lou.
- Maledizione, apra! Dottor Randburg, apra questa dannatissima porta! Mi faccia
uscire! - Liz continuò a battere le mani strette a pugno contro l’uscio finché
il dolore la costrinse a smettere. Allora si lasciò scivolare a terra, la
tempia premuta alla parete. “Accidenti, ma perché? Che cosa vuole da me?” Lo
sguardo si posò assente sulla sua cella. Una stanza di pochi metri quadrati
completamente dipinta di un orribile color cenere la cui porta, tinteggiata di
un marrone scurissimo, si apriva solo di rado per far passare il suo carceriere
con una ciotola piena di un liquido denso e bianco, l’unico cibo che toccava da
un tempo che le sembrava infinito. Alcuni colpetti di tosse le scossero il
petto: aveva gridato a lungo nel disperato tentativo di attirare l’attenzione,
senza peraltro ottenere nulla a parte una fastidiosa raucedine. Sospirando
reclinò la fronte sulle braccia incrociate sopra le ginocchia, e in quel
preciso momento prese la decisione di non fare più nulla. Avrebbe aspettato con
pazienza che Randburg si degnasse di darle delle spiegazioni ma non avrebbe più
implorato, non si sarebbe più umiliata comportandosi come una bambina folle di
paura. Anche se in effetti si sentiva proprio così... Quando sentì che le
stavano per venire i crampi si sdraiò supina, gli occhi fissi al soffitto ma
tutta l’attenzione concentrata sulle sensazioni che percepiva. Come... delle
vibrazioni. “Vorrei proprio capire dove mi ha portata...” Intrecciò le mani e
se le portò dietro la nuca. “Max sarà preoccupatissimo, come pure i ragazzi. E
Lou. Chissà cosa staranno facendo, in questo momento... Oh, Max, mi dispiace...
Avevi ragione a diffidare di lui...” La mente riandò ai ricordi più piacevoli
della sua vita, poi le sembrò di udire qualcosa. “E’ tornato! Maledetto, è
dietro la porta!” Con una mossa fluida si alzò in piedi e si appiattì accanto
allo stipite nella speranza di poterlo cogliere di sorpresa e riuscire a
scappare. Sentì l’adrenalina scorrerle furiosamente nelle vene mentre la porta
si apriva, poi diede un colpo al braccio dell’uomo con tutte le sue forze ma
Randburg sembrò non accorgersene. Si limitò ad afferrarle il polso e con la
mano libera le premette il collo fino a farle perdere i sensi.
Quando rinvenne Liz scoprì di trovarsi in un altro posto. Stavolta la stanza
era perfettamente quadrata, con le pareti viola scuro ed una macchia dalla
sfumatura appena meno intensa che doveva essere la porta. Anche qui nessun
pezzo di arredamento, non un telo, non un cuscino. Niente su cui sedersi, o
sdraiarsi, e le venne il pensiero che fosse una mossa calcolata. “Chissà cosa
sperano di ottenere...” si domandò oziosamente. Dopo aver fatto avanti e
indietro un numero imprecisato di volte si tolse i sandali col tacco alto che
indossava e mosse con piacere le dita. “Se potessi anche cambiarmi sarebbe
davvero fantastico!” pensò guardandosi la gonna spiegazzata e sporca. Con un
gesto automatico se la sistemò meglio sui fianchi. “Ok, Clay Randburg. Mi hai
rinchiuso nella tua gabbia, mi hai fatto mangiare un intruglio insipido il cui
solo pensiero mi dà la nausea, e... Che succede, adesso?” Si volse di scatto
mentre la porta si apriva ed emise un ringhio sordo nel vedere l’ormai odiosa
faccia dell’uomo che una volta era stato il suo direttore. Si slanciò contro di
lui e gridò per la frustrazione nel venire bloccata con facilità. - Perché?
Perché, maledetto? - Il respiro ansante, lottò con tutte le sue forze senza
riuscire a liberarsi. Scalciò disperatamente, e urlò di dolore quando venne
sbattuta senza complimenti contro la parete.
L’uomo l’afferrò per i capelli immobilizzandole la testa e si curvò su di lei
fino ad alitarle sul viso. - Fallo di nuovo e te ne farò pentire, mi hai
capito? - Le fece picchiare forte la nuca due volte prima di ripetere con tono
gelido la domanda. - Hai capito, piccola sgualdrina? -
- Io non sono una sgualdrina - Lo sguardo incupito per la rabbia, Liz sollevò
il ginocchio e lo colpì tra le gambe.
- Stupida! - Randburg le diede un terribile manrovescio che la fece cadere per
terra, poi la prese di nuovo per i capelli e la tirò in piedi sospingendola
brutalmente verso la porta. - Andiamo, adesso! Mi hai fatto perdere un sacco di
tempo... -
Senza darle modo di capire cosa stesse per accadere le diede un colpo secco
sulla tempia, facendola svenire. Poi le serrò entrambe le mani dietro la
schiena legandogliele con un laccio sottile ma molto resistente, e lo stesso
fece con le caviglie. Se la caricò allora su una spalla e s’incamminò a passo
di marcia per i tortuosi corridoi dei sotterranei di quello che era stato un
tempo il palazzo di giustizia della capitale di Zoltar.
Quando riaprì gli occhi Liz dovette battere più volte le palpebre per riuscire
a mettere a fuoco. Sentiva tutto il corpo dolerle per i colpi ricevuti
ciononostante cercò di mettersi a sedere e solo allora comprese di avere mani e
piedi legati. Furibonda e spaventatissima, si sforzò di mantenere un’apparente
impassibilità e fissò con disprezzo i due uomini torreggianti su di lei.
- E’ un vero piacere fare la sua conoscenza, signora di Antar... - disse il più
alto con tono mellifluo. - Io sono Volnis di Zoltar, e lei è mia gradita ospite
-
La ragazza diede una rapida occhiata al suo compagno. Clay Randburg. Ma
forse... Volse la testa di scatto per sottrarsi all’improvviso lampo di luce
bianchissima che si sprigionò da lui e quando tornò a guardarlo scoprì di
trovarsi davanti una persona completamente diversa. “Un mutaforma... come
Nasedo...” pensò sgomenta. Comprese allora di trovarsi davvero nei guai.
- Mi spiace doverla lasciare legata ma non vorrei che si facesse male nel
tentativo di fuggire. Korwid mi ha detto che è piuttosto combattiva, però deve
pensare al benessere del nuovo erede di Antar... - E poiché lei lo fissava
senza capire si chinò e le fece scivolare la gonna lungo i fianchi con un
sorriso che sembrava più un ghigno diabolico. Posò la mano sul suo ventre
premendo leggermente. - Questa volta vincerò io - disse convinto, poi si
raddrizzò e se ne andò insieme al mutaforma.
Allibita, Liz continuò a fissare la lieve luminosità che spiccava sulla pelle
lasciata scoperta dal tessuto elastico. “No... no, no, no...” pensò disperata.
Lo strano cibo fornitole durante la prigionia non aveva richiesto al suo
organismo l’eliminazione delle impurità e lei non si era mai accorta di quei
punti dorati che avevano appena cominciato a diffondersi sullo stomaco. Doveva
essere incinta solo di pochi giorni, e il pensiero che quegli uomini orribili
lo sapessero la faceva star male. “Mi terranno qui finché non avrò partorito e
poi mi porteranno via il bambino? Oppure lo faranno sapere a Max, così da
costringerlo a fare quello che vogliono loro? Oddio, non è possibile... No, non
è possibile...” Sentì le lacrime scorrerle lungo le guance. Riusciva ad
immaginare la disperazione di Max, la sua paura di perdere lei ed il loro
bambino, e sapeva che avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di salvarli. Ma lei
non poteva permetterlo, perché non poteva vivere senza di lui né tanto meno
essere la causa della sua morte. Con improvvisa risolutezza si girò sul fianco,
fletté il più possibile le gambe fino a far scivolare le caviglie tra i polsi
poi si arcuò leggermente spingendo verso il basso e alla fine si ritrovò le
mani davanti. Soddisfatta, fece un lungo respiro poi si mise a sedere. Per un
attimo tutto sembrò ruotare impazzito intorno a lei ma a poco a poco il mondo
si stabilizzò. Sentiva la testa pulsarle dolorosamente ma non aveva tempo di
pensarci. Sollevò le ginocchia al petto per poter sciogliere il laccio che le
bloccava le caviglie e si diede da fare con accanimento finché riuscì a
liberarsi. Sapendo di non aver nulla da perdere si avvicinò alla porta e provò
a muoverne la piccola maniglia. Con sua grande sorpresa scoprì che non era
bloccata, allora la ruotò fino a sentire lo scatto della serratura e spinse in
fuori quel tanto da permetterle di controllare che non ci fosse nessuno nelle
immediate vicinanze poi sgattaiolò via. Per un attimo rimpianse di non avere
più i sandali: non le era mai piaciuto camminare scalza, tuttavia in quel
momento il silenzio era la sua unica possibilità di salvezza così serrò i denti
e avanzò senza far rumore sfruttando ogni rientranza per non essere vista, e
quasi non credette ai suoi occhi quando si ritrovò all’aria aperta.
Evidentemente, ad un certo punto della sua fuga, doveva aver imboccato un
percorso di servizio che l’aveva portata ad un’uscita secondaria che, grazie al
cielo, non era controllata. Non appena fu fuori, tuttavia, qualcuno la notò, e
con un lamento di frustrazione si mise a correre all’impazzata cercando rifugio
fra le stradine che sembravano la caratteristica di quella zona della città.
Senza perdere tempo a voltarsi per controllare se la seguivano ancora infilò un
viottolo dopo l’altro fino a ritrovarsi davanti ad un dedalo di viuzze ancora
più strette di quelle che si era lasciate alle spalle. Incerta, si slanciò in
quella dove c’era più gente sperando di far perdere le proprie tracce poi, nel
passare davanti a un negozietto di articoli di ferramenta, si fermò ansimante.
Esitando entrò. Il locale era molto piccolo e c’erano solo un paio di clienti.
Avanzò verso la donna dietro il banco di vendita e tese le mani mostrando la
corda sottile con cui erano legate. - Per favore... - mormorò implorante nella
lingua madre di Max.
Sorpresa, la proprietaria del negozio fissò prima il legaccio poi il volto
pallido e stravolto di Liz, i suoi strani abiti e i piedi nudi. Senza dire
nulla prese da sotto il tavolo un paio di forbici robuste e con pochi gesti
precisi la liberò, poi le prese un polso prima che potesse allontanarsi e la
costrinse gentilmente a seguirla nel retro. - Da chiunque tu stia scappando ti
riconoscerà, se rimani vestita così... Tieni... - Da dietro una tenda colorata,
dove erano sistemati in pile ordinate alcuni abiti puliti, tirò fuori una
tunica e una gonna lunga e gliele porse, poi frugò in un angolo alla ricerca di
un paio di scarpe adatte. - Ho molti nipoti, e lasciano sempre qualcosa in
giro... - disse sorridendo nel mostrare quello che aveva trovato. - Ecco,
adesso puoi smettere di correre... -
Commossa, Liz prese le scarpe, dei semplici mocassini chiari, e si affrettò ad
infilarli.
- Lì dietro c’è un’altra uscita - disse ancora la donna mostrandole un’altra
tenda.
- Grazie. Grazie infinite... - Rimasta sola, Liz indossò la tunica e la gonna
sopra i suoi vestiti, trovò un nastro nel mucchio delle scarpe e lo usò per
legarsi i capelli in una coda bassa, come quella che aveva la sua inaspettata
benefattrice, poi fece come le era stato detto e fu di nuovo tra la folla.
Stavolta si sentiva un po’ più tranquilla, per quanto non avesse alcuna idea di
dove andare. Era libera, e prima o poi avrebbe trovato una soluzione.
L’importante era muoversi, allontanarsi il più possibile dal luogo dove
l’avevano tenuta prigioniera, e alla fine sarebbe riuscita a tornare a casa.
Doveva soltanto continuare a crederci, altrimenti la disperazione l’avrebbe
indotta ad arrendersi e quella era una cosa che non voleva assolutamente fare!
Adesso capiva anche perché non avesse più avuto alcun contatto con Isabel, dopo
quella prima e unica volta in cui le aveva parlato di Randburg. Era su un altro
pianeta, troppo lontana perché lei riuscisse a raggiungerla... Continuò a
camminare finché il crepuscolo lasciò il posto alla notte e alla fine si
rifugiò in un androne dalle pareti macchiate di umido e scrostate. Era sfinita
e affamata ma soddisfatta perché era riuscita a non farsi prendere, e il rumore
della pioggia che aveva cominciato a cadere fitta la cullò mentre scivolava in
un sonno profondo.
Quasi subito nei suoi sogni s’insinuò la figura elegante di Isabel. Sembrava
felice e sorpresa, e le fece molte domande cui rispose in modo vago ma
sufficiente a fornirle le informazioni che cercava perché la ragazza le strinse
forte le mani assicurandole che sarebbe arrivata presto da lei.
Quando la mattina dopo si svegliò, intorpidita e con i muscoli rattrappiti per
la posizione in cui aveva dormito, rimase a lungo a guardare fuori dal portone
che qualcuno aveva lasciato aperto. C’era di nuovo il sole anche se la
temperatura si era notevolmente abbassata, e l’aria aveva un profumo
particolare, molto gradevole. Con gesti lenti si alzò in piedi aspettando
qualche secondo prima di uscire in strada. Le gambe le tremavano un po’
tuttavia si sentiva piena di energia. Sapeva che quel giorno sarebbe successo
qualcosa, o forse l’indomani. Isabel era entrata in contatto con lei, e presto
l’avrebbe trovata. Doveva soltanto rimanere libera... Per un attimo pensò che
fosse più sicuro rimanere nascosta lì, dove aveva trascorso la notte, ma niente
le assicurava che quel posto l’avrebbe protetta dalla caccia degli uomini di
Volnis così, con una scrollata di spalle, si rimise in cammino. Tutto quello
che vedeva la incuriosiva moltissimo. Quella città era talmente diversa dalla
capitale di Antar, più arretrata, più... tranquilla. Forse perché non era mai
stata rasa al suolo e quindi ricostruita secondo criteri moderni e funzionali
sconosciuti millenni prima... La città più importante di Antar, che portava lo
stesso nome del pianeta, era come un operoso alveare il cui cuore pulsava forte
e orgoglioso. Da quando il giogo di Volnis era stato spezzato le attività
avevano ripreso a pieno ritmo mentre lì, su Zoltar, il tempo sembrava fermo, a
dispetto delle astronavi che ogni tanto solcavano il cielo di un insolito
colore verdognolo...
Si fermò a guardare una nave che volava più bassa delle altre, sorpresa per il
profondo tremito che la percorse improvviso, e non si rese conto dell’arrivo di
due soldati. Il violento dolore ad una gamba la fece cadere a terra ancora
prima di capire cosa fosse successo. Quando venne afferrata per le braccia e
costretta a rialzarsi fissò inorridita i suoi catturatori. No, non poteva
essere stata così stupida, così... così sfortunata da essere presa proprio
quando era tanto vicina alla salvezza... No!... Cercò di divincolarsi ma si
sentiva debole. Stava perdendo sangue dalla ferita alla coscia e non riusciva a
poggiarvi il peso senza avvertire delle fitte lancinanti. Serrando le labbra
per non gridare lasciò che la trascinassero via.
- Vuoi dell’altra salsa Tabasco? - chiese divertita Amy porgendo a Shiri una
bottiglia ancora sigillata.
- Oh, sì, grazie! - La ragazzina prese la bottiglia e si servì con abbondanza.
- Mamma dice che esagero un po’, ma è così buona... -
- Forse Liz ha ragione, non trovi? - la prese in giro Maria. Mentre a sua volta
porgeva a Jim il vassoio con le zucchine gratinate sorrise ad Alex. - Ehi, sei
ancora sotto choc? - lo prese in giro.
Alex Whitman sembrò scuotersi da un sonno profondo. Era arrivato a Roswell
nella tarda mattinata e Maria lo aveva incontrato mentre usciva dal
supermercato insieme alla madre. Naturalmente gli aveva intimato di andare a
cena da loro, quella sera, avvertendolo che ci sarebbero stati anche i figli di
Liz e Max con due loro amici. Non gli aveva detto altro, data la presenza di
Amy, poi, ad un certo punto del pomeriggio, aveva trovato il modo di
telefonargli e spiegargli per sommi capi la situazione ma era chiaro che la
realtà aveva superato ogni cosa il giovane avesse potuto immaginare, e
l’espressione tuttora sbigottita del suo viso era quasi comica.
- Beh, devo ammettere che non ti avevo creduto quando mi hai detto che... -
Scosse la testa, sconsolato. Ma perché mi stupisco ancora? Quando ci sono di
mezzo loro... - Trasalì nel sentire il forte calcio che lei gli diede allo
stinco, e si riprese. - Ah, sì, certo! Il DNA... E’... è tutto lì... Certo...
Ehm... sì... E quindi alla fine di agosto andrete... al liceo... -
Jason abbozzò un sorriso. - Sì, alla junior high di El Paso. Ma probabilmente
il secondo semestre lo faremo qui a Roswell -
- Vuoi dire che dopo la laurea di Liz e Max vi stabilirete qui in città? -
domandò Alex stupito.
- Sì. Papà vuole stare vicino alla zia Isabel e a zio Michael, e anche noi. -
Il ragazzo parlò con voce sommessa, poi si portò una mano alla tempia e si
massaggiò piano. - Scusate, non... non mi sento molto bene... - Si alzò in
piedi e andò a rifugiarsi nella stanza da letto degli ospiti, subito seguito da
Shiri.
Lou fece per alzarsi da tavola ma Maria fu svelta a posargli una mano sul
polso. - No, lascia stare, vado io! - disse.
Poco dopo era inginocchiata davanti al ragazzo, seduto sul bordo del letto con
Shiri al fianco che gli teneva una mano tra le sue.
- Hai sentito qualcosa? - gli chiese dolcemente, sforzandosi di non far
trapelare la paura che provava.
Jason annuì. - Niente di preciso, - bisbigliò - solo... incertezza...
preoccupazione... ma sempre più lontano... più... debole... e ora non sento
nulla... Nulla... - Si morse le labbra mentre una lacrima gli brillava tra le
ciglia, e Maria gli accarezzò la guancia. - Vuoi dire che...? - domandò con
voce tremante, gli occhi sgranati.
- No, non è morta. E’ soltanto... svanita... Forse è la distanza... -
- Non potrebbe essere priva di sensi? -
Il ragazzo cercò il suo sguardo. - No. E’ diverso. Lei... non è più
raggiungibile. Se mi concentrassi, magari, potrei provare... -
Maria comprese immediatamente cosa volesse dire e gli prese il volto con
entrambe le mani. - Non pensarci neppure, mi hai capito? Jason, né tu né Shiri
dovete usare i vostri poteri! Potreste... potreste rimanere uccisi, oppure
diventare come due vecchi, e io non voglio che questo accada! Max e gli altri
arriveranno presto su Zoltar e la troveranno, vedrai! E poi torneranno, e Liz
non mi parlerebbe più se scoprisse che vi ho permesso di fare questa pazzia!
Quindi, imparate ad avere pazienza! E’ una cosa da adulti, e voi lo siete,
vero? -
I due fratelli si guardarono per un lunghissimo istante, poi Jason fece cenno
di sì.
- Ottimo! Adesso... ve la sentite di venire di là? -
In silenzio sia Jason sia Shiri si alzarono dal letto e la seguirono. Non che
ne avessero molta voglia, ma non volevano far stare in pensiero Lou e Lhara,
così tornarono ai loro posti e si sforzarono di partecipare alla conversazione.
L’indomani i quattro trascorsero l’intera giornata in compagnia di Maria ed
Alex, che raccontò una quantità incredibile di aneddoti sulla sua vita
universitaria, e poi a loro si unì Kyle. Il giovane aveva saputo per caso dal
padre della presenza a Roswell dei figli di Liz con la loro amica, così in
quattro e quattr’otto aveva deciso di passare le vacanze a casa ed era salito
sul primo pullman diretto in città.
Quel giorno erano andati a fare un picnic sulle rive del lago Arthur. La
distesa azzurra era un balsamo per i nervi tesi di Jason e Shiri, e i due
ragazzi si affrettarono a spogliarsi e a tuffarsi in acqua.
Kyle si scoprì a fissare con desiderio Lhara. Gli sarebbe molto piaciuto
vederla in costume da bagno, ma a quanto pareva non era intenzionata ad imitare
i giovani Evans così si rassegnò a contemplare in adorazione quello che il top
di cotone e i calzoncini jeans lasciavano scoperto, che era già di per sé uno
spettacolo fantastico...
Maria e Alex, anche loro in costume, sedettero sulla riva lasciando che l’acqua
gli lambisse le gambe. La ragazza confidò all’amico molte delle difficoltà che
avevano dovuto superare negli ultimi tre anni, e alla fine indicò con un cenno
del mento l’alta figura di Lou Krentz. - E così è rimasto lui a fare loro da
guardia del corpo... Decisamente non avrei mai potuto immaginare quanto sarebbe
stato pericoloso condividere il segreto di Max, Isabel e Michael... A volte
penso che io non avrei avuto la loro stessa forza... Capisci, doversi
nascondere... temere le cose più folli... e poi... e poi vedere tutte le tue
paure prendere corpo... E sapere che i tuoi figli dovranno sopportare tutto
questo... Ti confesso che ci sono dei giorni in cui sono felice di non avere un
bambino... -
- Davvero, Maria? - Alex le passò un braccio intorno alle spalle stringendosela
contro. - Davvero non ti piacerebbe avere un piccolo Michael che gioca insieme
a te? -
La ragazza reclinò il capo verso di lui. - No, hai ragione... Sarebbe
bellissimo... -
Un improvviso annaspare nell’acqua attirò la sua attenzione. - Oddio, Alex!
Guarda! - Scattò in piedi indicando col braccio teso il punto in cui la testa
di Jason era quasi completamente sommersa mentre Shiri nuotava con fatica verso
di lui.
Si tuffarono tutti per aiutare i due ragazzi in difficoltà, e quando li ebbero
tratti in salvo sulla spiaggia si affrettarono ad avvolgerli nei teli di spugna
per asciugarli e dare loro un po’ di conforto.
Fu Lhara la prima a sospettare che stava succedendo qualcosa di molto strano.
Sia Jason sia Shiri avevano gli occhi chiusi eppure le loro mani si posarono
d’istinto sulle tempie l’uno dell’altro, i volti tesi ed il respiro quasi
rantolante.
- Cosa...? -
La ragazza fece un gesto brusco per tacitare l’accenno di domanda di Alex, poi
si scostò un poco all’indietro per lasciare più spazio intorno ai due fratelli.
- Credo che... abbiano percepito qualcosa... - disse pianissimo.
A quelle parole Lou si rabbuiò. L’evidente angoscia dei suoi protetti non
indicava nulla di buono. Serrò i pugni e rimase immobile a scrutare i loro
corpi tremanti, indifferente al fastidio degli abiti intrisi d’acqua che
indossava e che il sole cocente stava già cominciando ad asciugare. Quando però
si rese conto della profondità della loro concentrazione si inginocchiò e li
toccò gentilmente sulle spalle scuotendoli piano. No, Altezze, non dovete
farlo! disse con voce spezzata. Continuò a scuoterli finché riaprirono gli
occhi. - Non dovete intervenire, mi avete sentito? Potete... potete
controllare, ma non fate niente, vi prego! - li implorò, ricordando una scena
molto simile avvenuta qualche tempo prima. Allora Jason era con sua madre, ma
stavolta la presenza di Shiri gli avrebbe sicuramente fornito l’energia per
fare qualcosa di troppo rischioso per il loro benessere! Vedendo lo sguardo
limpido del ragazzo fisso su di sé emise un impercettibile sospiro di sollievo.
- Altezza? - domandò a disagio.
Ma Jason tornò a guardare la sorella e senza dire nulla la strinse a sé, mentre
lei gli passava a sua volta le braccia intorno alla schiena.
- Jason! - esclamò Maria terrorizzata. Perché facevano così? Cos’avevano visto?
Cos’era successo di così spaventoso da farli quasi annegare? Avrebbe voluto
scuoterli, costringerli a risponderle, poi Alex l’aiutò ad alzarsi e
l’abbracciò sospingendola con dolcezza lontano dagli altri. - Shh... Stai
tranquilla... Vedrai... non è niente di grave... Su, calma... -
Maria si aggrappò disperatamente a lui. - No, è successo qualcosa! Li hai visti
anche tu! -
Sentendosi impotente, Alex continuò a stringerla a sé nel tentativo di placarla
tuttavia il dubbio stava cominciando a torturarlo. In effetti i ragazzi erano
sconvolti...
Max e gli altri si fermarono di colpo. La figura inerte che i due soldati
tenevano fra di loro, quasi sollevata da terra, aveva qualcosa di dolorosamente
familiare.
- Liz... - Il giovane fece un passo avanti, subito imitato dalla sorella mentre
Michael si spostava di lato, ed in quel momento Volnis apparve sulla soglia del
palazzo di giustizia, che aveva sostituito quello del governo distrutto a suo
tempo proprio da Max. Dietro di lui c’era una piccola rappresentanza del
Consiglio del pianeta.
Ad un suo gesto i soldati si voltarono mostrando il loro prigioniero.
Pienamente consapevole della sua posizione di forza, Volnis si avvicinò al
corpo semisvenuto di Liz e le strappò via la tunica e la gonna sporca di
sangue, poi fece scivolare le dita sotto la cintura della minigonna
abbassandola quel tanto da permettere di vedere il bagliore dorato della pelle.
- Non solo ho la signora di Antar, ma anche il tuo nuovo erede. Sei nelle mie
mani, Zan! -
In quel momento Liz sembrò riprendersi e cercò di liberarsi tuttavia il soldato
alla sua sinistra le diede un violento colpo sulla gamba ferita con l’arma che
teneva nella mano libera e la ragazza non riuscì a trattenere un grido di
dolore.
- Liz! -
L’urlo di Max la fece trasalire. Piena di speranza, Liz lottò ancora,
disperatamente, e Michael intervenne in suo aiuto lanciando sfere di energia
che uccisero un discreto numero dei soldati presenti a protezione del loro
signore, finché Volnis diede un pugno sul suo ventre con tale forza da farla
afflosciare e solo la presa ferrea dei due militari le impedirono di cadere a
terra. - Dico sul serio, Zan di Antar. Arrenditi, o non riavrai né tua moglie
né tuo figlio -
Isabel poteva sentire l’odio feroce del fratello, l’energia che vibrava dentro
di lui, e con un sussulto si accorse di avere nella mano sinistra un granilite.
Senza neppure voltarsi tese la destra per afferrargli il polso permettendogli
così di disporre anche della sua energia.
Max creò una barriera tutt’intorno a loro impedendo così che altri soldati
potessero intervenire, poi fece disintegrare quelli che trattenevano Liz e creò
un altro scudo difensivo intorno al suo corpo esanime sottraendolo per sempre a
Volnis. - Ora non hai alcuna arma da usare contro di me - disse con tono
gelido, quasi inespressivo. - Ed io non avrò più pietà per te e quelli che ti
hanno aiutato a portare la guerra su altri mondi - Gocce di sudore gli
imperlarono la fronte, e l’imponente costruzione davanti a lui e tutto quanto
in essa contenuto si dissolse nel nulla. Non troverai scampo su Rènida, perché
Brentelwoodein Alehnikar e sua sorella Lhara sono ancora vivi. Non c’è posto
per un uomo come te, Volnis di Zoltar. Hai gettato al vento la tua occasione, e
non te ne sarà concessa un’altra - Una goccia gli scivolò lungo la tempia, e
anche Volnis scomparve come se non fosse mai esistito.
Il silenzio che li circondava sembrava quasi solido. Nessuno si mosse mentre,
annullati la cupola e lo scudo di energia, Max si avvicinava a Liz, la prendeva
in braccio e tornava indietro, con Isabel e Michael a vigilare in retroguardia.
Ad un tratto quest’ultimo fece un segno alla ragazza e si dileguò tra la folla
di curiosi che si era andata pian piano ammassando là dove una volta era sorto
il palazzo di giustizia.
Ci vollero solo pochi minuti per arrivare nel piazzale dove erano atterrati col
ricognitore, e Max si affrettò a salire a bordo per adagiare Liz su una branda.
Le carezzò teneramente il viso pallido poi le diede un bacio sulla fronte prima
di raddrizzarsi e posarle la mano sulla gamba ferita. Continuò a fissarla con
angoscia mentre sentiva le cellule ricomporsi, e sentì una fitta al cuore
quando i flash corsero tra le loro menti rivelando per l’ennesima volta la
forza del sentimento che li univa. Poi Liz aprì gli occhi e gli sorrise. -
Ciao... - mormorò sfiorandogli con dolcezza le dita che lui le teneva sul
collo. - Sei arrivato... -
Max la guardò con intensità. - Io verrò sempre per te, amore... Sempre... - Con
la punta del pollice le toccò la linea della mascella. - Dovunque tu sarai... -
Tolse la mano dalla sua coscia e la fece scorrere fino al basso ventre. Tornò a
concentrarsi poi chinò un poco la testa in avanti. - E’ tutto a posto. Stanno
bene, tutti e due... -
Liz cominciò a sorridere in risposta quando sembrò rendersi conto di quello che
aveva appena sentito. Come, scusa? Stanno...?!? -
- Sì, amore mio. Sono gemelli, due microscopici esserini che hanno cominciato a
crescere dentro di te... -
- Gemelli... - Gli occhi sgranati per la sorpresa, la ragazza sollevò le
braccia verso di lui e lo strinse forte. Ti amo, Max, ti amo tantissimo... -
- Anch’io, Liz... - Il giovane la cullò a lungo, assorbendo il calore del suo
corpo, aspirando il profumo dei suoi capelli. Liz era lì, con lui, di nuovo...
e di nuovo lui respirava, sentiva, viveva. Non riusciva a staccarsene, non
poteva lasciarla andare. Non voleva allontanarsi da lei. Continuò a tenerla
contro il suo petto finché Isabel si affacciò sulla soglia della piccola
stanza. - E’ tutto pronto per il decollo. Michael è rimasto laggiù. Credo che
stia cercando il mutaforma... -
Max serrò le labbra e poggiò il mento sulla testa di Liz. Cosa doveva fare,
adesso? Il suo migliore amico era andato da solo a caccia di un uomo in grado
di assumere qualsiasi aspetto, e tuttavia non se la sentiva di lasciare Liz.
Non in quel momento, quando l’aveva appena ritrovata... Con un sospiro le diede
un piccolo bacio sui capelli. Il destino non sarebbe mai stato generoso, con
nessuno di loro... Chiuse un attimo gli occhi, poi aiutò Liz a riadagiarsi. -
Non muoverti tesoro, va bene? Resta qui e riposati: ne hai bisogno... - Le
prese il volto fra le mani e sorrise nel leggerle lo sguardo. - Sì, farò molta
attenzione. A più tardi, amore. - Si portò alle labbra il palmo della sua mano
dopodiché si alzò e uscì insieme alla sorella.
Con un gemito sommesso Liz si incrociò le mani sullo stomaco. “Due bambini...
Avremo altri due figli... Max... Finora hai sempre mantenuto le tue promesse...
mantieni anche questa, ti prego... Torna presto da me...”
Poco dopo Isabel tornò da lei. - Max è andato a cercare Michael, e appena
torneranno andremo su Rènida. - Le sedette accanto e le fece una leggera
carezza sul braccio. - Il piccolo sta bene? -
Il volto di Liz s’illuminò. - Sì, ma sono due. Me lo ha detto Max... -
Isabel sorrise incredula. - Davvero? Ma è stupendo! Max sarà pazzo di gioia...
- Le scostò gentilmente i capelli dal viso. - E tu? Devi aver passato dei
momenti molto brutti... - La vide annuire piano, e fece una piccola smorfia. -
Mi spiace non essere riuscita a tenermi in contatto con te. Ero troppo lontana
e... - Scosse la testa - Mi spiace... - ripeté. Poi un’ombra le oscurò i begli
occhi vellutati. - Tu sei di nuovo incinta, mentre io... Forse è la giusta
punizione per aver ucciso il mio bambino... -
A quelle parole Liz le afferrò una mano e la strinse forte. - Non devi dirlo,
Isabel! Non devi neppure pensarlo, hai capito? Tu... tu avevi fatto l’unica
scelta possibile, in quel momento! Non puoi accusarti all’infinito... Avrai un
altro bambino, vedrai!... -
La ragazza fissò la sua mano senza in realtà vederla. - Perché non riesco a
crederti? - mormorò.
- Perché sei testarda esattamente come Max! - Liz rafforzò per un attimo la
presa poi la lasciò andare, sentendosi tutt’ad un tratto molto stanca. - Devi
solo avere pazienza, credimi, e succederà quando meno te lo aspetti... -
Isabel si alzò in piedi. - Scusami, devi riposare e invece io sto qui ad
angustiarti... Comunque... l’ho sempre saputo che sei una donna forte, più di
quanto tu possa credere... - aggiunse nel vederla iniziare a scuotere la testa.
- Lo sei, Liz, davvero - disse convinta, prima di uscire.
- Mi sembra che si stiano riprendendo... - Lhara vide i lineamenti di Shiri
rilassarsi poco a poco e si piegò su di lei con un telo asciutto.
La ragazzina sembrò percepire la sua presenza perché si staccò dal fratello e
prese un lembo dell’asciugamano con dita tremanti. Lhara le passò un braccio
sotto la spalla aiutandola a raddrizzarsi e rimase inginocchiata dietro di lei
per sostenerla mentre l’avvolgeva nel telo. - Va meglio? - le chiese.
Shiri non rispose ma guardò Maria sollevare Jason e coprirlo a sua volta con
qualcosa di caldo.
- Allora? - la sollecitò Alex, mentre Lou si curvava a controllare il
giovanetto. - Ha superato lo choc - affermò dopo aver premuto due dita sul suo
collo e sentito che i battiti erano rallentati. - Altezza, mi sente? Cosa è
successo? - domandò con voce sommessa.
Jason alzò su di lui i grandi occhi verde nocciola. - Dolore... tanto dolore...
e paura... e poi rabbia... - Parlava a fatica, ancora sconvolto dalla violenza
delle emozioni che aveva percepito. - Prima la mamma, e dopo anche papà...
insieme... troppo... - Sentì le braccia di Maria serrarlo più forte e volse
appena la testa per guardarla. - Ora... ora è tutto finito... - disse
accennando un sorriso. - Stanno bene tutti e due... -
- Grazie al cielo! - Kyle si lasciò ricadere all’indietro sui talloni. -
Sentite, io direi di tornarcene a casa. Credo che una bella doccia bollente sia
il rimedio migliore per tutti quanti, quindi... che ne dite? -
- Ottima idea - Alex si diede da fare per radunare le loro cose con l’aiuto di
Lou, e Kyle cominciò a caricare la familiare prestatagli dal padre.
Poco dopo Maria e Lhara arrivarono insieme a Jason e Shiri e li sospinsero
gentilmente all’interno della vettura prima di tornare verso la jeep insieme ad
Alex. Lou sedette accanto a Kyle e infine le due auto si avviarono lungo la
strada sterrata che conduceva alla statale.
Una volta giunti a Roswell passarono prima di tutto a casa Evans. Mentre Lhara
scendeva dalla jeep per raggiungere gli altri Maria si voltò a guardare Alex. -
Alex, io resto con loro: non mi fido di quelle giovani pesti! Ti va di andare
con Kyle? -
- No, assolutamente. Ci vediamo più tardi al Crashdown? -
La ragazza scosse sorridendo la testa. - Stasera devo cantare alla vecchia
fabbrica di sapone -
- Ma non c’è un concerto rock? - domandò perplesso lui.
- Infatti. Mi esibisco anch’io... -
- Wow! Complimenti! -
- Allora? Verrai a sentirmi? -
- Certo! Ah, è un vero peccato che a Boston non abbia trovato nessuno con cui
suonare... - Alex fece una smorfia poi la strinse in un veloce abbraccio. - A
dopo, allora! -
- Ok. Ciao -
Scesero entrambi dalla macchina e Kyle guardò incuriosito l’amico. - Cosa c’è?
-
- Maria rimane qui. Ti spiace darmi un passaggio? -
- No, figurati. Anzi, ho un’idea migliore! Perché non vieni da me? Mio padre
sarà ancora in ufficio, a quest’ora, e abbiamo tutta la casa per noi... -
- D’accordo - Alex aprì lo sportello e s’infilò nella vettura. - Sapevi che
stasera Maria canterà al concerto alla fabbrica di sapone? -
- No, non me l’ha detto! Stai scherzando? -
- Assolutamente no -
- Beh, questa è davvero incredibile! Maria che riesce a tenere un segreto! -
I due amici continuarono a ridacchiare finché si ritrovarono davanti al villino
dove abitavano Jim ed Amy Valenti.
Kyle andò subito a cercare nell’armadio della biancheria un accappatoio pulito
per Alex e lo invitò a fare la doccia per primo. - Io vado a vedere cosa c’è da
bere nel frigo! - gridò dirigendosi in cucina.
Venti minuti più tardi sedevano entrambi sul letto di Kyle, i capelli ancora
bagnati e una bottiglia di birra in mano.
- Perché non sei mai tornato in città, fino ad ora? -
Alex bevve un lungo sorso della bevanda piacevolmente fresca. - Ho dovuto
studiare come un pazzo. Non è che l’MIT sia proprio una passeggiata, sai? E
adesso mi mancano solo tre esami e ho finito -
- Mm... congratulazioni! - Kyle sollevò la propria bottiglia in un irriverente
brindisi poi se la portò alle labbra. - E... Isabel? -
- Isabel, cosa? -
- Beh, eri innamorato di lei, no? - Il ragazzo si appoggiò con la schiena
contro la parete.
Alex sbuffò. - Conosci bene Morgan? -
- So che è un uomo di cui ci si può fidare. Non è stato molto facile, per lui,
accettare la verità ma alla fine ha scelto di restarle accanto. Mio padre lo
stima, e anche Max. Credo che piaccia anche a Michael...
- Ah, allora... - Alex bevve ancora poi fece ruotare lentamente la bottiglia
fra le mani. - Era un agente federale, mi è sembrato di capire? -
- Sì, infatti. Ha un fratello che lavora ancora nell’FBI, ma lui ne è fuori da
un bel po’. Comunque, pare che ormai non ci sia più da preoccuparsi di loro.
Sembra che abbiano fatto una specie di... di tregua, direi... Ma prima gliene
hanno combinate di tutti i colori, a sentire mio padre! - Kyle bevve l’ultimo
goccio di birra. - E adesso ci sono anche Jason e Shiri. Una vera e propria
colonia aliena, e nessuno lo sa. Te lo immagini? Gli alieni esistono, e vivono
nel New Mexico. Studiano, lavorano, proprio dei bravi ragazzi americani!... -
- E fanno fuori montagne di Tabasco -
- Esatto. Hai mai visto quando lo mettono nel gelato? - Kyle fece una smorfia
d’orrore. - Una volta ho provato ad assaggiarlo, ma... Brr... -
Alex si mise a ridere comprensivo. - Sì, hanno dei gusti davvero strani... - Si
lasciò andare all’indietro, sul fianco, un braccio piegato a sostenere la
testa. - Pensi che abbiano ritrovato Liz? -
Kyle si strinse nelle spalle. - Se lo ha detto Jason... Quel ragazzo ha dei
poteri incredibili. Li ha anche Shiri, ma lui... Hai visto prima, al lago. E’
riuscito a percepire le emozioni di Max e Liz a distanze... incommensurabili...
Ti rendi conto? Neppure Max può fare tanto... -
- E Maria? L’ho trovata molto bene. -
- Già. Michael si è... come dire... ammorbidito un bel po’, almeno con lei...
Io lo trovo ancora piuttosto rude, a volte, ma è decisamente in gamba. Mio
padre dice che se la cava molto bene nel suo lavoro... Pare che sia a causa
della sua paranoia, secondo Maria. - Emise un sospiro e sollevò gli occhi al
soffitto. - Cosa ne pensi di Lhara? -
Alex sollevò stupito le sopracciglia. - Lhara?!? Vuoi dire che...? -
Kyle spostò lo sguardo su di lui. - Cos’è quella faccia? Ti ho solo chiesto
cosa... -
- Sì, ho sentito - lo interruppe l’amico sorridendo. - Ti piace, ammettilo! -
- Certo, che mi piace! E’... è splendida! E’ assolutamente fantastica! Ha un
viso d’angelo e un corpo capace di far resuscitare i morti! E non ha strani
poteri, quindi è perfetta! -
- Scusa, non ricordo bene: dove è nata? -
Il giovane sbuffò per il suo tono impertinente. - A Lyri, capitale di Rènida,
un pianeta dello stesso sistema stellare da cui provengono Max e gli altri. Ed
è una principessa -
- Scusa tanto... E... cosa pensi di fare? Un viaggio fra le stelle, di tanto in
tanto? -
- No, non ce n’è bisogno. Lei vuole restare qui, sulla Terra -
- Con te? -
- Perché no? Max ha rinunciato al trono per Liz. Perché Lhara non potrebbe fare
la stessa cosa? -
- Forse perché quello che c’è fra Max e Liz è un po’ più profondo di quello che
c’è fra voi due? - lo prese amichevolmente in giro Alex.
- Dammi tempo, ok? -
- Tutto quello che vuoi, amico mio! E... auguri! - Alex sorrise prima di finire
il contenuto della sua bottiglia poi si volse di scatto. - Ehi, hai sentito? -
- No, cosa? -
- Un rumore... C’è qualcuno!... - bisbigliò alzandosi piano e andando vicino
alla porta.
- Maledizione... E se fosse... Amy? -
Preoccupato, Alex aprì con gesto brusco l’uscio e fece un salto all’indietro.
Immobile nel piccolo corridoio c’era Amy, e ai suoi piedi giaceva la borsa che
le era scivolata dalle spalle.
- Ehm... Ciao, Amy... Sei... sei tornata da molto? - le chiese Kyle sforzandosi
di apparire naturale.
La donna lo fissò a lungo, bianca come un cencio. - Cosa.... cosa stavate
dicendo? Parlavate di... alieni... pianeti... un trono... - Posò lo sguardo su
Alex. - Max e Liz... Cosa c’entrano, loro? Che diamine sta succedendo? Siete
forse impazziti tutti quanti? -
- Amy, calmati, non c’è niente di cui preoccuparsi, ok? - cercò di
tranquillizzarla Kyle.
- Non trattarmi come una stupida, per favore! - La donna si avvicinò con fare
minaccioso ai due ragazzi. Io esigo che mi spieghiate di che cosa stavate
parlando. Vi ho sentito fare il nome di Maria, quindi guai a voi se non mi dite
la verità! Adesso, subito! -
Kyle ed Alex si scambiarono uno sguardo preoccupato, poi quest’ultimo accennò
un sorriso imbarazzato. - Forse sarebbe meglio che ne parlasse con Maria... -
- No, io voglio parlare con voi. Ora! - ribadì lei.
- Amy, credimi, parlane con Maria - tentò di convincerla Kyle.
- Lei sarebbe capace di dire una montagna di bugie pur di coprire Michael. A
me, a sua madre! E invece io voglio la verità, quindi vi conviene cominciare a
parlare, avete capito? -
In quel momento si udì la voce dello sceriffo, seguita dal rumore della porta
d’ingresso che si richiudeva. Kyle? -
- Jim, vieni subito qui! - lo chiamò Amy.
Colpito dal tono quasi isterico della moglie, l’uomo si precipitò da lei. -
Amy, cosa...? Kyle, Alex... -
- Jim, tuo figlio, e Alex, stavano parlando di alieni. Li ho sentiti benissimo,
la porta era socchiusa e io ero proprio qui dietro... - La donna fece un gesto
con la mano poi si serrò le braccia al petto. - Hanno detto qualcosa a
proposito di Max, di Lhara, e... e di Michael. La mia bambina lo ha sposato...
Ha sposato... un marziano? -
- Calmati, tesoro, è tutto a posto... - James Valenti fece per abbracciarla ma
Amy indietreggiò di un passo, una luce di comprensione negli occhi. - Tu... lo
sapevi, vero? Lo sapevi, e non mi hai mai detto niente! - gridò infuriata e
spaventata.
- Cara, ti prego, io... -
- No, stai lontano da me! - Gli puntò un dito contro. - Avanti, dimmi tutto! Se
a Maria dovesse succedere qualcosa non riuscirai a... -
- Amy! - Esasperato, l’uomo le afferrò il polso e poi, quando lei si sottrasse
alla presa, lasciò scivolare giù le braccia. - Amy, Maria non corre nessun
pericolo, credimi... Michael le vuole bene e la proteggerà sempre, anche a
costo della sua vita... -
- Michael è un alieno? Avanti, smettetela e ditemi come stanno le cose! Michael
è un alieno? - ripeté alzando la voce.
Fu Kyle, a risponderle. E lo fece con tono sommesso, guardando a volte lei a
volte il padre. - Sì, Michael è un alieno. Come Max, Isabel, Lhara e Lou.
Max... mi salvò la vita quando papà, senza volerlo, mi sparò ferendomi al
petto... Sono alieni, è vero, ma sono anche degli amici fedeli... -
- Perché nessuno di voi ha mai ritenuto opportuno dirmelo? Perché Maria non si
è fidata di me? - domandò Amy senza riuscire davvero a credere a quelle parole.
- E’ un segreto pericoloso - Jim scrollò il capo e si passò una mano tra i
capelli. - Forse sarebbe stato meglio per te continuare ad ignorarlo, ma...
Ormai è andata così... -
- Jim, pensi davvero che io possa credere che... mia figlia ha sposato un
alieno?!? Ti rendi conto dell’assurdità di quello che state dicendo? -
- Lo so che può sembrare pazzesco. Io la capisco benissimo... Quando Liz mi
disse la verità sulle origini di Max, e degli altri..., beh, ho avuto
esattamente la sua reazione. - Alex si dondolò sui piedi, a disagio. Ma è vero.
Loro vengono da un altro pianeta. Sono cresciuti qui, con noi, come ragazzi
qualsiasi, però... non sono persone qualsiasi, glielo posso assicurare... -
La donna rimase come impietrita per alcuni istanti, poi girò su se stessa e
andò a chiudersi nella sua camera da letto.
Valenti guardò il figlio e Alex con espressione rassegnata. - Va bene, lo
sapevamo che prima o poi sarebbe successo. Perché non uscite per un po’, eh? E
magari passate da Maria e l’avvertite... -
- Sì, certo. Ciao, papà... - Kyle si girò per prendere il portafogli e se ne
andò con l’amico.
Max camminava svelto per le strade affollate, sforzandosi di concentrarsi sul
monitoraggio dell’area tutto intorno a sé. Quando avvertì la presenza di
Michael cambiò bruscamente direzione e si mise a correre finché lo ebbe
raggiunto. - Michael! -
Il giovane si girò verso di lui. - Mi è sfuggito. Per un po’ sono riuscito a
seguirlo, ma ora... -
- Evidentemente ha cambiato aspetto. Potrebbe essere chiunque - Fece un respiro
profondo, cercando di riprendere fiato. - Lascia perdere, è un’impresa
disperata... -
- Al diavolo! - Michael serrò i pugni con stizza. - Non avrei mai immaginato
che Volnis avesse dei mutaforma al suo servizio! -
- Non ce ne sono tanti, e la maggioranza fa parte del corpo di guardia del
Consiglio di Antar, ma a quanto pare ci sono anche degli spiriti liberi... -
Sbuffando, il giovane diede un’ultima occhiata davanti a sé poi scosse la
testa. - D’accordo, torniamo indietro... -
Quando furono nei pressi dell’astronave udirono un grido di terrore e si
precipitarono all’interno. Isabel era davanti alla cabina dove si trovava Liz,
sconvolta e in preda a un tremito violento. Il cuore stretto dalla paura, Max
le si precipitò accanto. Liz giaceva distesa sulla schiena, le mani strette a
pugno premute sulla bocca, gli occhi spalancati e vitrei, il petto sollevato da
ansiti spezzati. Sul suo corpo e sulla branda una polvere grigiastra.
- Liz... -
Sentendosi chiamare, la ragazza mosse piano la testa e una lacrima le scivolò
lungo la guancia. In silenzio tese le braccia e lasciò che Max la stringesse a
sé.
- Lui... lui è venuto qui... Aveva assunto il tuo aspetto... - Isabel parlava
con voce colma di pianto. - Io ero seduta davanti ai comandi... L’ho sentito
entrare... L’ho seguito perché volevo chiedergli di Michael, e l’ho trovato
chino su Liz... Le teneva una mano premuta sulla bocca e una sul petto... Lei
cercava di lottare ma lui la teneva ferma... Allora gli ho lanciato contro
delle sfere di energia... Si è girato e mi ha guardato, poi il suo corpo è...
si è dissolto in polvere... - Si portò le mani alle tempie, continuando a
tremare. - E’ stato come uccidere te... mio fratello... E’ stato orribile! -
Michael la prese gentilmente per le spalle e lei crollò in un pianto dirotto. -
Eri tu... e io ti ho ucciso... - balbettò.
- Shh... E’ passata... - Il giovane le carezzò i capelli per calmarla, poi le
diede un bacio sulla fronte scostandola un poco da sé. - Sarà meglio partire,
adesso... - “E al diavolo Zoltar! Che quel che resta del Consiglio se la cavi
per conto suo!”
Intanto Max si era seduto per terra con Liz rannicchiata in grembo.
- Sorrideva... mi stava soffocando e... sorrideva... - Parlava con il volto
premuto sul suo petto tuttavia Max capiva quello che stava dicendo. E
rabbrividiva al pensiero di quello che doveva aver provato.
- Ho capito subito che non eri tu, ma vedere il tuo viso e sentire che stavo
svenendo... E’ stato terrificante... -
Il giovane la tenne racchiusa nel cerchio protettivo delle sue braccia finché
sentì che non tremava più, allora le infilò una mano tra i capelli e le sollevò
il mento per baciarla. - Resterò qui con te per tutto il viaggio, d’accordo? -
mormorò poi.
Liz annuì e gli passò un braccio intorno al collo. - Grazie... - disse con un
filo di voce, sentendo che finalmente la paura l’aveva abbandonata.
Max la baciò di nuovo, poi chinò la guancia sulla sua testa e chiuse gli occhi
rallentando il respiro fino ad adeguarlo a quello di lei.
Quando Michael andò a controllare come stessero sorrise nel vederli
profondamente addormentati. Fece un piccolo gesto con la mano e le luci si
spensero. “Buonanotte, ragazzi...”
Isabel lo guardò interrogativa mentre sedeva di nuovo al posto di pilotaggio.
- Dormono. Non chiedermi come facciano, con tutto quello che è successo, ma
credo che in questo momento non li sveglierebbe neppure una cannonata! -
Sospirando lei tornò a concentrarsi sui comandi. - Forse sarebbe stato meglio
se non avessimo mai mandato quel messaggio... -
- Dopo aver sentito le parole di vostra madre?!? - Michael si mise a ridere suo
malgrado. - Non era proprio possibile, credimi!... -
- Ma da allora non abbiamo fatto altro che rischiare la vita e quella delle
persone che ci vogliono bene... - obiettò Isabel.
- Questo è vero. Ed è altrettanto vero che in quel momento avremmo venduto
l’anima al diavolo pur di scoprire la verità sulle nostre origini, ammettilo!
Quindi... lascia perdere, ok? Ormai è andata... - Michael le diede un colpetto
affettuoso sulla mano. - Forse le nostre vite sarebbero state più semplici,
anzi, sicuramente! Ma anche così noiose...
La ragazza cercò di rilassarsi contro la poltroncina. - E sarebbe stato tanto
terribile? - domandò.
- No, sapendo quel che sappiamo adesso. Però le cose non funzionano in questo
modo... -
- Già. Non si può tornare indietro, ma... sarebbe bello. -
- Rimpianti? -
Isabel ci pensò un po’ su poi scosse sorpresa la testa. - Non lo so. Davvero,
Michael, non lo so. Ho perso molte cose, ma allo stesso tempo ne ho trovate
tante altre, e... e l’importante è che tu e Max siate sempre con me. -
- Su questo puoi contarci, Isabel, credimi!... - Michael le sorrise con
affetto. - Perché non vai a dormire pure tu? Hai l’aria distrutta... -
- No, preferisco restare qui -
- Come non detto. -
Atterrarono nei pressi della capitale di Rènida in piena notte, durante una
violenta tempesta di neve.
La loro nave venne subito circondata da una squadra di soldati in assetto di
guerra, nonostante il tempo proibitivo, e Michael scambiò un’occhiata eloquente
con l’amico.
Con un sospiro esasperato Max uscì dall’abitacolo e andò nella cabina dove
Isabel dormiva esausta sulla branda accanto a Liz.
Le due ragazze si svegliarono contemporaneamente e Isabel sembrò capire al
volo. - Altri guai... Santo cielo, ma non è possibile! -
- Cosa c’è? - chiese invece Liz.
- Siamo circondati dai soldati, ed è in corso la peggiore bufera di neve che
abbia mai visto! -
- Facile, non ne abbiamo mai vista una, finora... - Così dicendo Isabel
raggiunse Michael e guardò il monitor collegato con l’esterno. - Accidenti! E’
proprio una bufera! -
- Bello spettacolo, eh? -
- E questi? - mormorò picchiettando il dito contro le sagome scure che si
intravedevano fra i turbini di neve.
- In effetti rovinano il paesaggio, non trovi? -
- Già - La ragazza si volse a guardare il fratello, che nel frattempo l’aveva
seguita. - Intendi parlarci? Adesso?!? -
Davanti alla sua espressione oltraggiata lui si infilò le mani in tasca. - Vedi
un’altra soluzione? Non intendo restare prigioniero di questo ricognitore, e
dobbiamo trovare Bren. -
- Almeno rinviamo a domattina! Magari, nel frattempo smette anche di
nevicare... -
- E se decidessero di attaccarci? -
- Perché sei così... così ragionevolmente pessimista? - protestò Isabel
allargando le braccia sconsolata.
Michael scoppiò a ridere. - Ragionevolmente...? Ah, è inutile stare qui a
perder tempo! Andiamo? -
- Vengo anch’io -
Max si volse a guardare la moglie. - Liz! Ti prego, torna a dormire... -
- No, voglio venire con voi. Ed è inutile che tu insista! - Liz si mise le mani
sui fianchi e lo fissò caparbia, finché lui reclinò la testa cedendo alla sua
richiesta. - Ok, ma non allontanarti mai da me -
- Mai! - promise lei seria.
Senza dire altro Max aprì il portello e uscì, seguito dagli altri. Il vento
gelido li investì subito e la neve gli sferzò le guance facendo lacrimare gli
occhi. Senza pensarci tese il braccio in avanti e creò uno scudo di energia per
proteggersi.
A quella vista i soldati arretrarono assumendo una formazione difensiva mentre
il loro comandante avanzò di qualche passo, seguito da una piccola scorta.
- Bene, iniziano le danze... - bisbigliò Michael flettendo e distendendo le
dita.
- I reali di Antar, se non sbaglio -
Max corrugò la fronte. - Chi siete? -
- La guardia della casa reale. Brentelwoodein Alehnikar ci aveva avvertiti del
vostro arrivo. Vi sta aspettando, seguitemi! - Senza attendere risposta
l’ufficiale fece dietrofront e s’incamminò diretto apparentemente verso il
nulla.
La piccola costruzione apparve d’improvviso davanti a loro e Liz ansimò per la
gioia. Per poter seguire i soldati Max aveva dovuto annullare lo scudo
protettivo e, nonostante le circondasse forte le spalle trasmettendole tutto il
calore necessario, sentiva che non sarebbe riuscita a cammminare ancora per
molto.
All’interno, oltre il giovane principe, c’erano due militari che si
allontanarono con discrezione per lasciar entrare i nuovi venuti pur senza
perdere di vista il loro signore.
- Zan! Finalmente siete arrivati! Temevo che non riusciste ad atterrare! Avete
scelto davvero un brutto momento... -
- Ce ne siamo accorti - Isabel batté i piedi per liberare le scarpe dalla neve,
poi si guardò i vestiti bagnati e con una smorfia si passò una mano lungo il
corpo asciugandoli all’istante.
Mentre Max faceva la stessa cosa con Liz e poi con se stesso, imitato da
Michael, Bren fece segno a uno dei soldati di andare a prendere sedie
sufficienti per tutti.
- Sono riuscito a trovare degli uomini che mi hanno creduto - iniziò a
raccontare, gli occhi brillanti di soddisfazione. - Con il loro aiuto ho
conquistato un paio di punti nevralgici della difesa, e così ho scoperto che un
ricognitore non identificato stava arrivando da Zoltar. Ho immaginato subito
che potessi essere tu, Zan, anche se non so perché sia venuto fin quaggiù, e ho
fatto in modo di incontrarti per primo. Non potevo certo permettere che cadessi
in mani sbagliate... -
Liz guardò il marito con una punta d’ansia. - Cosa... cosa vuoi dire? - chiese
spostando di nuovo l’attenzione su Bren.
- La gente di qui è convinta che lo abbiamo aiutato ad eliminare Lhara,
ricordi? - rispose Michael al posto suo.
- Ma non è vero! -
- Questo lo so io, e lo sanno gli uomini a me fedeli - Bren indicò con un
movimento della mano i soldati rimasti di guardia all’interno del rifugio. - Il
resto della popolazione non è interessata alla verità. Vuole solo vivere in
pace... -
- Volnis è morto. -
Le parole inattese di Max fecero sussultare il giovane, che si piegò verso di
lui. - Ne sei certo? - chiese incredulo.
- Sì -
- Allora questo significa che May Hornem è rimasto solo... - rifletté Bren
raddrizzandosi. - E’ lui che rappresenta Zoltar su questo pianeta - aggiunse
come spiegazione.
Max lo fissò intensamente negli occhi. - Adesso sta a te riconquistare il tuo
mondo. -
Lo sguardo del giovane s’illuminò di fiera determinazione. - Senza Volnis,
l’anima nera di Zoltar, ce la farò! - Tese la mano per stringere quella di Max.
- Grazie, Zan, mi hai portato una notizia davvero importante! Te ne sono molto
grato... E... Lhara? Sta bene? - aggiunse poi, mentre un’espressione di
nostalgia appariva sul suo bel viso.
- Sì. Passa molto tempo in compagnia di Jason e Shiri ma sente la tua mancanza,
per quanto credo che le piaccia vivere nel New Mexico... -
Le labbra di Bren si tesero in un piccolo sorriso triste. - Era legatissima a
Wirnit e dopo la sua morte, quando si è resa conto che avrebbe dovuto prendere
il suo posto sul trono, ha cominciato a vedere Rènida con altri occhi. Prima
era soltanto un posto dove vivere, poi è divenuto il luogo che l’avrebbe
divorata viva. Lhara è sempre stata molto indipendente, e credo che
difficilmente accetterà di tornare qui... -
- E cosa succederà al vostro mondo? - domandò perplessa Isabel.
- Se Lhara formalizzerà la sua rinuncia al trono, la donna che io sposerò
diventerà la nuova regina. -
Liz si irrigidì e tese una mano per stringere quella di Max. - Tu... - Non
riuscì a dire altro tuttavia lo sguardo profondo che Bren posò su di lei fu più
chiaro di qualsiasi risposta. Si morse nervosamente le labbra mentre le dita
del marito serravano forte le sue.
- Quando deciderai di tornare sulla Terra ricorda di metterti in contatto con
noi non appena sarai alla distanza minima di sicurezza dal pianeta -
- Certo, Zan. E... grazie. Per tutto -
Max chinò leggermente la testa in segno di saluto poi aiutò Liz ad alzarsi e,
seguito da Isabel e Michael, uscì.
La tormenta era divenuta una fitta nevicata e l’assenza di vento fu accolta
come una benedizione da tutti. Il decollo del ricognitore avvenne infatti senza
alcun problema e Max affidò i comandi a Michael per potersi prendere cura di
Liz.
La ragazza, infatti, era stata protetta dal freddo intenso grazie all’energia
che lui le aveva trasmesso tenendole il braccio intorno alle spalle, ma era
evidentemente provata da quello che le era capitato e quella doppia gravidanza
sembrava assorbire molta della sua forza vitale.
Con tenerezza la condusse allora nella minuscola cabina e la fece distendere
poi, dopo un istante di esitazione, si adagiò al suo fianco e lei gli passò
subito un braccio intorno alla vita. - Stringimi, Max, stringimi forte... - lo
pregò con voce tremante.
Il giovane la premette allora contro di sé e le diede un bacio sulla fronte ma
la dolce morbidezza del suo corpo suscitò in lui un immediato desiderio e
reclinò la testa per raggiungerle le labbra mentre le insinuava una mano sotto
la gonna.
Gemendo di piacere Liz si affrettò a slacciargli i pantaloni, dimentica di ogni
cosa che non fosse il calore e la forza dell’amore del suo adorato Max.
- Perché non glielo hai detto? - domandò polemico Kyle.
Alex diede un’occhiata truce all’amico. - Poche ore prima del concerto? Non era
proprio possibile! Glielo dirò dopo, tanto non cambia niente. -
- Se lo dici tu... -
Si trovavano seduti ad uno dei tanti tavolini sparpagliati intorno al palco e,
nonostante la musica, potevano parlare mantenendo un tono di voce normale. In
quel momento si stava esibendo un gruppo e Maria avrebbe cantato subito dopo.
Ad un certo punto Kyle notò Lhara che, insieme a Jason e Shiri, ballava
nell’ampia striscia che fronteggiava la pedana del palco. I tre ragazzi
riuscivano a seguire il ritmo senza alcuna difficoltà e i loro movimenti non
sembravano troppo diversi da quelli degli altri ballerini. Kyle lo fece notare
ad Alex, che si strinse nelle spalle. - Se non avessero saputo adattarsi non
credo che sarebbero qui. Voglio dire... Max e gli altri avrebbero fatto una
gran brutta fine ben prima di raggiungere l’età adulta, non credi? -
- Già, hai ragione. - Con un sospiro fece per alzarsi. - Vado a prendere
un’altra birra. La vuoi anche tu? -
- No, grazie, sto a posto così... -
Un forte applauso segnò la fine dell’esibizione del gruppo e l’arrivo di Maria.
La ragazza intonò una melodia molto romantica e Kyle si alzò per andare a
raggiungere Lhara. - Vuoi ballare? - le chiese un po’ intimidito.
Lei annuì e gli porse una mano sorridendo.
Senza starci troppo a pensare Shiri cinse con un braccio il collo di Jason e
iniziò a muoversi con grazia insieme a lui. - Ti senti meglio? - gli chiese
cercando il suo sguardo.
Jason fece segno di sì con la testa. - E’ stato solo un attimo, poi è passato -
- Devono essersi trovati di nuovo in pericolo... - Shiri si oscurò in volto. -
Vorrei tanto essere con loro... -
- Credo che Jim abbia ragione: saremmo stati solo d’impiccio -
Lei scrollò le spalle, e ridendo il fratello se la strinse al petto. - Ah,
Shiri, sei davvero impossibile! -
Continuarono a ballare finché la canzone ebbe termine, poi tornarono al tavolo
dove Alex era rimasto da solo.
- Ricordatemi di raccontarvi quando Isabel mi trascinò ad una festa rave
proprio qui e poi finii in prigione insieme a Liz... Allora, questo posto era
molto diverso... -
- Davvero?!? - Shiri gli sedette accanto e lo pregò di dirglielo subito ma lui
rifiutò. - Credimi, non è il caso che ne parliamo qui, in mezzo a tutta questa
gente - le disse con uno strano sorriso sulle labbra.
Il concerto andò avanti per buona parte della notte, poi i ragazzi si divisero
tra la macchina di Kyle e la jeep di Maria e si ritrovarono davanti
all’abitazione di quest’ultima.
- Maria, devo... devo dirti una cosa... - Alex la seguì fino alla porta di casa
e la fissò imbarazzato. - Ah, scusami! Prima di tutto congratulazioni: sei
stata bravissima... - disse scuotendo la testa come era solito fare.
- Grazie. Beh, allora? - lo sollecitò lei, vedendo che continuava a guardarla
in silenzio.
- Ecco... io... Sì, insomma, oggi, a casa di Kyle... - Il giovane si studiò i
piedi poi disse tutto d’un fiato: Tua madre sa che Michael e gli altri sono
alieni -
Maria spalancò gli occhi. - Cooosa? E come l’ha saputo? -
- Ci ha sentiti parlare. Maria, credimi, non l’abbiamo fatto apposta! Ma... non
l’ha presa molto bene, credo... -
- Alex! Alex, santo cielo! - La ragazza si portò le mani ai capelli. - Ti rendi
conto di quello che avete combinato? E adesso cosa faccio, eh? - Davanti al
mutismo dell’amico roteò gli occhi esasperata. - Ok, messaggio ricevuto. Buona
notte -
- Ehm... Buona notte. - Le mani in tasca, Alex tornò mestamente verso l’auto di
Kyle. Erano rimasti solo loro due, dato che prima erano passati dagli Evans, e
mentre si allacciava la cintura di sicurezza Alex emise un profondo sospiro. -
Che ne dici di venire a casa mia? Ho bisogno di bere qualcosa... Qualcosa di
forte - precisò.
Nei giorni che seguirono Maria cercò di evitare il più possibile la madre. La
cosa fu abbastanza semplice, dato che al Crashdown c’era molto lavoro dato che
una delle cameriere si era ammalata, e andava a casa soltanto per dormire. Jim
aveva tentato di fare da tramite fra loro due ma Amy, stranamente, non aveva
insistito più di tanto per riuscire a parlare con la figlia.
Era il tardo pomeriggio del mercoledì quando Maria, uscendo dal Crashdown, notò
il sopraggiungere del fuoristrada di Max. Faceva ancora molto caldo così decise
di restare all’ombra del locale mentre l’auto parcheggiava lungo il marciapiede
opposto, un sorriso smagliante sul volto circondato dai lunghi capelli biondo
miele. Si accorse della presenza della madre soltanto quando lei, vedendo
Michael attraversare la strada, lanciò un grido di avvertimento. Fermati! -
Maria si volse di scatto verso il punto da cui aveva sentito provenire il
richiamo e raggelò. Amy era ferma all’angolo di un incrocio a una dozzina di
metri di distanza e teneva le braccia tese davanti a sé, una pistola stretta
fra le mani.
- Fermati, Michael! Guai a te se fai ancora un passo verso la mia bambina! -
gridò ancora.
Il giovane s’immobilizzò sorpreso, e Liz ed Isabel, che lo seguivano,
rallentarono il passo fino a fermarsi a loro volta. Max, invece, rimasto un po’
indietro, cambiò direzione per fare un semicerchio che lo portasse alle spalle
della donna.
Pallida per la paura Maria non sapeva che fare. L’istinto le suggeriva di
correre da Michael, ma temeva che così facendo avrebbe indotto la madre a
sparare. Guardò terrorizzata il marito poi, quasi senza rendersene conto,
accennò a muoversi verso di lui.
- No! - In preda ad una furia cieca Amy sparò una serie di colpi prima che Max
riuscisse a bloccarla da dietro.
Come al rallentatore Maria vide Michael crollare al suolo, poi Isabel correre
verso di lui e Liz slanciarsi contro Amy.
Lhara, che stava uscendo in quel momento dal locale, vide tutto e sentì il
cuore mancarle un battito. Ancora una volta quello che aveva avvertito come una
vaga premonizione si era trasformato in dolorosa realtà. Davanti ai suoi occhi
colmi di orrore Liz sembrò inciampare in qualcosa e poi cadere sulle ginocchia.
Non si volse quando qualcuno la urtò da dietro. Era Lou che, uscito subito dopo
di lei, si rese immediatamente conto di quello che stava succedendo e rientrò
nel Crashdown per mettere al sicuro Shiri, la quale tuttavia lottò con forza
per sottrarsi alla sua presa, consapevole che qualcosa di terribile era appena
accaduto.
Strappata l’arma dalle dita contratte della donna Max si precipitò accanto a
Liz, che si aggrappò a lui tossendo e premendosi una mano sullo stomaco.
- Liz! - Guardò disperato il sangue spandersi sul tessuto della minigonna e
mise la propria mano vicino alla sua cercando di stabilire quel contatto
profondo che l’avrebbe guarita.
- Michael... - mormorò lei in una debole protesta.
- Dopo. Liz... Liz, guardami! Guardami! -
Faticosamente la ragazza alzò gli occhi per fissarli nei suoi. Un filo di
sangue le colava dalla bocca lungo il mento.
Con un’imprecazione Max l’adagiò sull’asfalto rovente e si concentrò finché,
ancora una volta, i suoi poteri operarono il miracolo della vita.
- Max! -
Il richiamo di Isabel lo costrinse suo malgrado a lasciare Liz, e corse al
fianco dell’amico. La pallottola lo aveva colpito pochi centimetri sotto il
cuore, e serrando le labbra lasciò che l’energia confluisse di nuovo nelle sue
dita.
Accanto a Lhara, Shiri aveva seguito inorridita il rapidissimo susseguirsi
degli eventi poi, quando Max si alzò per andare da Michael, si precipitò dalla
madre, seguita da presso da Krentz. - Mamma, stai bene? Parlami, ti prego! -
Accennando un pallido sorriso Liz si sollevò a sedere e la strinse con affetto
a sé. - Sì, tesoro, sto bene... - Col suo aiuto si rimise in piedi. - Non avevo
immaginato così il nostro ritorno... Santo cielo, ha sparato a Michael! - Si
volse di scatto e vide Max curvo su di lui. - Vieni, andiamo da loro! -
Ora che il pericolo sembrava cessato una piccola folla si stava radunando e
Maria, dando volutamente le spalle alla madre, si affrettò a raggiungere
Michael. Sorrise sollevata nel vederlo seduto e gli gettò le braccia al collo.
Bentornato, uomo dello spazio! - sussurrò prima di baciarlo con passione.
- Maria... -
Nel sentire la voce della madre la giovane si bloccò. - Vattene - disse con
voce gelida.
- Maria, mi dispiace... -
Il volto inondato di lacrime improvvise, Maria si girò a guardarla. - Cosa
pensavi di fare? -
- Io... volevo proteggerti! Lui... lui è... -
- Cosa, mamma? Cosa credi che sia, eh? E’ mio marito, accidenti! E’ l’uomo che
amo! -
L’aria stravolta, Amy intrecciò convulsamente le mani. Fissò come inebetita la
figlia stringere Michael con fare protettivo, e la tenerezza con cui lui le
sfiorava i capelli per placarla. - Io avevo paura che potesse farti del male...
- disse piano.
- Michael?!? - esclamò la ragazza infuriata.
- Amy - intervenne il giovane con tono sommesso, - è vero, io ho fatto del male
a Maria. Un tempo l’ho tenuta lontana da me perché non volevo che soffrisse,
senza capire che proprio in quel modo la ferivo profondamente... Ma poi è
cambiato tutto... Ho rischiato di perderla per sempre, e così... - Sfiorò la
guancia di Maria con una carezza leggera come il tocco di una piuma, - così ho
deciso che era più facile proteggerla stando insieme piuttosto che separati...
-
- Michael - Maria si scostò un poco da lui per poterlo guardare in viso, - mia
madre sa la verità. Per questo ha cercato di ucciderti -
- Cosa?!? - Liz sgranò gli occhi stupefatta. - No... Amy, io... io ero convinta
che tu avresti capito... Io... credevo che avresti saputo vedere quello che i
miei genitori si ostinano a negare... -
Consapevole della terribile delusione della ragazza Max le cinse le spalle con
affetto.
Il suo gesto attirò l’attenzione di Amy, che strinse le labbra fino a
sbiancarle. - Allora vuoi dire che... ho sbagliato tutto? - chiese smarrita
guardando prima Liz poi Maria.
Maria sentì la pena nella sua voce e fece un cenno affermativo col capo. - Sì,
mamma, hai sbagliato tutto. Michael, e Max e Isabel, sono delle persone
meravigliose. Meritano di essere amati, non usati come bersaglio! -
La donna soffocò un singhiozzo e fece per andarsene quando Maria l’afferrò per
un polso. - Cerca di aver fiducia in me, in noi... -
Amy guardò la sua mano poi annuì. - Va bene. Perdonami... Anche tu, Michael...
ti chiedo... ti chiedo scusa... -
Il giovane accennò un sorriso di comprensione. - Scuse accettate - disse
staccandosi dolcemente da Maria per potersi rialzare. - Bene, gente, lo
spettacolo è finito! - esclamò all’indirizzo dei curiosi che bighellonavano
intorno a loro, e con l’aiuto di Lou riuscì ad allontanarli.
Cercando di non dare nell’occhio Isabel si abbassò a sfiorare con la mano la
macchia di sangue rimasta sul terreno, facendola svanire.
A poco a poco la strada tornò tranquilla e Maria vide James Valenti, il volto
contratto per la preoccupazione. - Oh oh, arriva la legge... - mormorò.
La madre seguì il suo sguardo e sentì le gambe tremarle. Nel folle desiderio di
liberare Maria dalla pericolosa presenza di Michael non si era soffermata a
pensare a quali sarebbero state le conseguenze del suo gesto ma vedere il
marito dirigersi verso di loro le fece improvvisamente capire che rischiava di
dover trascorrere un bel po’ di anni in prigione.
- Che diamine è successo? Cosa ci fate, fermi qui in mezzo alla strada? -
- Credo che sia meglio parlarne nel tuo ufficio - borbottò Maria.
- Va bene. Bentornati, ragazzi. Liz, sono felice di vedere che stai bene... -
Liz impallidì e si portò una mano al ventre quasi a voler difendere le vite che
racchiudeva. - Grazie -
Confuso per quella strana reazione l’uomo li invitò con un cenno del capo a
seguirli ma, fatti pochi passi, lo sguardo gli cadde su un oggetto metallico
seminascosto dietro la ruota di una macchina parcheggiata. Si chinò per
prenderlo e trattenne il respiro. - Ma questa... è la mia pistola! - esclamò
stupefatto.
- L’ho presa nel tuo cassetto - confermò Amy con un filo di voce.
Un dubbio atroce attraversò la mente dello sceriffo, che si girò a scrutare
Michael. - Cosa è successo, esattamente? -
- Niente di irreparabile, per fortuna. Ma, davvero, non è il caso di parlarne
qui... -
Il tono discorsivo del giovane insospettì ulteriormente Jim, che si aggiustò il
cappello sulla testa. - Già, lo immagino... - brontolò.
Di lì a poco si ritrovarono tutti insieme nell’ufficio di Valenti, che risultò
così piuttosto sovraffollato.
- Allora, Amy, cosa diavolo hai combinato? - chiese l’uomo giocherellando con
l’arma trovata in strada.
La donna si avvicinò lentamente ad uno degli schedari di metallo e vi si
appoggiò con aria stanca. - Ho sparato a Michael. E credo di aver ferito anche
Liz. Ma non volevo, cara, mi dispiace... - disse guardando la ragazza ferma
davanti a Max, che la teneva stretta a sé con le braccia incrociate sulle sue.
Jim scosse lentamente la testa. - Ti rendi conto di quello che hai fatto? -
- Sì. E so che finirò in galera per questo -
Quelle parole fecero trasalire Maria, che guardò implorante lo sceriffo.
- Michael? -
Michael lo fissò, e il suo volto era assolutamente impenetrabile. - Per me non
ci sono problemi. Amy è la madre di Maria, e io non ho nessun desiderio di
vederla dietro le sbarre -
- Max? -
- Non c’era molta gente quando ha sparato, e nella confusione che è seguita
subito dopo credo che pochi abbiano capito cos’è davvero accaduto. Ma forse
Isabel ha visto qualcosa di più? - Si girò a guardare la sorella, che si passò
le dita sulla fronte sforzandosi di ricordare. - Tu hai subito guarito Liz,
mentre io ero con Michael, e no, penso che nessuno si sia avvicinato abbastanza
da vedere le loro ferite. Ho fatto sparire il sangue di Michael, ma quello di
Liz... -
Max serrò maggiormente le braccia intorno al corpo di Liz, ricordando con un
brivido interiore la ragazza che cadeva davanti a lui. - E’ rimasto
sull’asfalto - terminò al posto suo. - Non ci ho pensato... -
Shiri, in piedi al suo fianco, si sporse a dargli un bacio sulla guancia. -
L’ho fatto io. - disse piano.
Amy si portò una mano alla bocca, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Col suo gesto inconsulto aveva provocato molto dolore, quando in effetti
nessuno di quei ragazzi le aveva mai fatto nulla. - Potete perdonarmi? -
sussurrò con voce soffocata.
Michael fu il primo a tenderle la mano, poi Maria, dopo una breve esitazione,
si avvicinò alla madre e l’abbracciò. Certo, mamma... - disse, stringendola
forte.
Fu poi la volta di Liz, che fece un passo verso di lei. Negli occhi aveva
un’espressione di serenità venata di tristezza. - Lo so che non è facile
accettare qualcosa di così... così incredibile... Avevo sempre pensato che tu
avresti capito. Invece hai colpito degli innocenti... -
- Liz, ti prego, credimi, non volevo farti del male!... - La donna avanzò nella
sua direzione, le mani tese per prendere le sue, ma lei fece un cenno di
diniego. - Non parlavo di me. Io... sono incinta, e se non fosse stato per Max
i miei bambini sarebbero morti ancor prima di nascere... - disse con
semplicità. - Potrò perdonarti solo se mi prometti che non farai mai più niente
contro di loro, né contro Michael, Max o Isabel. E neppure contro Jason e
Shiri. O i figli che un giorno Maria e Michael avranno. Non è giusto incolpare
qualcuno per le sue origini... -
Amy era divenuta terribilmente pallida. Liz era la migliore amica di sua
figlia, e lei l’aveva ferita in modo crudele. Mi spiace, - disse guardandola
negli occhi - e sì, te lo prometto... - Tirando su col naso la strinse in un
abbraccio gentile.
Liz chiuse gli occhi, in preda alla commozione, poi tornò da Max e prese Shiri
per mano. - Io... vorrei tornare a casa, adesso. Voglio... voglio salutare
Jason... - mormorò.
- Jim, cosa succederà ora a mia madre? - volle sapere Maria.
- Se nessuno di voi sporge denuncia, e se la notizia non finirà sui giornali,
non accadrà niente. Dobbiamo soltanto aspettare... -
- Capisco... - La ragazza annuì mesta, poi si girò verso Michael e gli cinse la
vita con un braccio. - Allora ce ne andiamo anche noi. Ciao. -
- Ciao, tesoro. Potremmo... potremmo cenare insieme, domani sera? Vi va? - le
chiese Jim scrutando di sottecchi sia lei sia Michael. Sperava davvero che
accettassero. Amy amava molto sua figlia, e non voleva che la maniera brutale
con cui era venuta a sapere la verità su Michael l’allontanasse per sempre da
lei.
Maria si mordicchiò con fare nervoso le labbra poi guardò il marito e fece una
spallucciata. - Ok -
- Bene, allora passeremo a prendervi alle sette e mezza. Che ne dite del nuovo
ristorante messicano che hanno aperto in fondo alla Main? -
- D’accordo. Allora... a domani. -
Amy abbozzò un sorriso di saluto, e quando i due ragazzi furono usciti si
lasciò cadere sulla poltroncina davanti alla scrivania. - Mi sono comportata
come una pazza - disse guardandosi la punta delle scarpe.
- Già - Jim scosse la testa. - Michael ama sinceramente Maria -
Con un sospiro la donna cercò il suo sguardo. - Credi che mi abbia perdonato?
Perdonato davvero? - domandò accorata.
- Io credo di sì. Maria è una ragazza molto intelligente, e ha capito che tu
volevi soltanto difenderla. Certo hai esagerato un bel po’... Ti rendi conto
che li avevi colpiti a morte? Diavolo, ma dove hai imparato a sparare? -
Lei nascose il volto fra le mani. - Non avevo mai preso una pistola in mano,
fino ad oggi... - confessò.
- Ah, la fortuna dei principianti - commentò seccamente Valenti. Con uno scatto
si alzò in piedi. - Dio, non posso pensarci... Sei andata in mezzo alla strada
con la mia arma di riserva, e hai fatto fuoco su due ragazzi! Ma cosa diamine
ti è passato per la mente? -
- Io... Michael è un alieno! Insomma, Jim, avrebbe potuto farle... farle chissà
cosa! -
- Amy, da quanti anni lo conosci? Cinque, sei? E ti era mai sembrato
pericoloso? - Davanti alla sua espressione smarrita proseguì con tono deciso.
Doveva farle capire che non era cambiato niente, altrimenti la vita sarebbe
diventata un inferno. Per lei, per Maria, per Michael e per lui stesso. - Se
non avessi sentito per caso la conversazione fra Kyle ed Alex non avresti mai
saputo la verità, a meno che Michael non avesse deciso di rivelartela, quindi,
come vedi, non c’è alcun motivo di temerlo! E pensa a Max! A Isabel! I loro
genitori conoscono questo segreto da molto tempo, eppure continuano ad amarli
come hanno sempre fatto, e amano Jason e Shiri! Pensa a quei due ragazzi!
Cos’avrà provato Shiri vedendo la madre a terra, coperta di sangue? Eppure ti
ha detto qualcosa? Ti ha accusata di aver sparato a Liz? - Parlava con voce
bassa, non volendo che qualcuno, passando nel corridoio antistante il suo
ufficio, potesse sentire ma le sue parole dure colpirono profondamente Amy, che
si alzò a sua volta, tremando per l’angoscia. - Se volevi farmi sentire un
verme, beh, ci sei riuscito! D’accordo, ho sbagliato nel giudicare Michael!
E... e non ho pensato agli altri! Volevo togliere di torno soltanto lui! Sono
stata una stupida, lo so! -
- Amy, se Max non avesse avuto il potere di guarire la gente, Michael e Liz
sarebbero morti. Io voglio solo che tu capisca questo... - Jim le andò accanto
e la prese teneramente fra le braccia. - Sono persone diverse da noi, è vero,
ma dentro hanno un cuore e un’anima, proprio come te, e me. Non vederli come
dei mostri, perché non lo sono... -
La donna annuì debolmente, ormai del tutto consapevole del terribile errore
commesso. - Forse... forse Maria aveva ragione a non fidarsi di me... Quando ho
saputo di Michael io... ho perso la testa... -
- E’ uno sbaglio che commettono molti genitori... Il fatto è che tendiamo a
vedere i nostri figli sempre come bambini, anche quando sono diventati adulti,
e non ci fidiamo della loro capacità di giudizio. Ma Kyle e Maria sono grandi,
ormai, e sanno camminare con le loro gambe. Dobbiamo solo credere in loro, ed
essere disponibili ogni volta che hanno bisogno di noi. Non è facile, lo so, ma
questo è il ruolo di un genitore, che ci piaccia o meno... -
Con un sospiro Amy lo abbracciò forte. - Sei una persona speciale, Jim
Valenti... - sussurrò.
- Anche tu, Amy DeLuca -
Diane Evans quasi soffocò Liz nella stretta affettuosa delle sue braccia. -
Liz, tesoro, bentornata! Stai bene? I ragazzi erano molto preoccupati per te...
-
Liz ricambiò sorridendo l’abbraccio. - Beh, ho passato momenti migliori... -
La donna la scostò un poco da sé per guardarla meglio. - Sì, sei un po’
pallida. Ma adesso vado a preparare il mio famoso polpettone e vedrai che dopo
ti sentirai rinata! - Abbracciò poi Max ed Isabel e indicò la scala alle sue
spalle. - Jason è di sopra -
- Mamma! Papà! -
Il ragazzino, quasi a voler smentire le parole di Diane, si precipitò giù dalle
scale facendo i gradini due alla volta e per la foga li fece quasi cadere.
- Ehi, giovanotto, ti rendi conto di quanto sei cresciuto? Non puoi più saltare
addosso alle persone come facevi prima! - lo riprese affettuosamente Phillip.
- No, lascialo fare, papà... - mormorò Max abbracciando il figlio.
Fu poi la volta di Liz, che lo strinse a sé con forza. - Spero che non abbiate
fatto disperare i nonni... - disse con un sorriso.
Jason scosse la testa semiserio. - Loro no, ma la zia Maria e Lou sì. -
La ragazza gli scompigliò con dolcezza i capelli. - Siete stati bene, qui a
Roswell? -
- Sì. E’ un posto simpatico, e la zia e nonna Diane ci hanno fatto vedere tante
cose. É molto diverso da El Paso, però mi piace. -
- Ne sono contenta... -
- Ah, Max, il tuo cellulare! - Diane s’infilò la mano nella tasca della gonna e
gli porse l’apparecchio. - La polizia ha chiamato solo una volta, per dire che
non c’erano novità. Forse sarà il caso che passi da loro, appena tornerai a
casa. -
- Certo - Il giovane abbozzò un sorriso. - Siete stati molto gentili a
prendervi cura di Jason e Shiri... -
- Non è stato affatto un problema. Anzi, mi è piaciuto averli intorno! - La
donna si rivolse ad Isabel. Cara, perché non telefoni a Morgan e gli dici di
venire a cena da noi? Liz, puoi dirlo anche ai tuoi genitori, se lo desideri...
-
- Volentieri, grazie - Sorrise grata. Dopo essere usciti dall’ufficio dello
sceriffo avevano ritenuto più opportuno non rimanere nei paraggi così erano
risaliti tutti sul fuoristrada di Max, diretti verso casa Evans, senza
lasciarle il tempo di avvertirli del suo ritorno. Mordicchiandosi le labbra si
avvicinò al tavolino dell’ingresso e sollevò il ricevitore.
Mentre Diane andava in cucina insieme a Lhara, Phillip fece segno a Max di
seguirlo nel salotto, e Jason e Shiri andarono con loro.
- Hai l’aria molto stanca - osservò l’uomo nel notare i lineamenti tirati del
figlio.
Max si grattò pensosamente una tempia. - Sì, in effetti mi sento un po’
fiacco... -
- Beh, creare e mantenere lo schermo di energia per nascondere l’astronave non
è stato uno scherzo. - disse Isabel raggiungendoli dopo aver parlato col
marito.
- E poi, in strada... -
- Shiri! -
Il tono sommesso ma imperioso di Max sortì il suo effetto e la ragazzina tacque
imbarazzata.
Jason la guardò attento. Sentiva che c’era qualcosa di strano, e decise che più
tardi avrebbe fatto una bella chiacchierata con lei.
- Morgan arriverà tra poco. E credo anche i Parker. Vero, Liz? - domandò Isabel
alla cognata, che proprio in quel momento stava entrando nel saloncino.
- Sì, infatti. Vado a dare una mano a Diane... -
- Ci penso io, mamma, tu resta pure qui! - Shiri scattò in piedi e corse in
cucina.
Max tese una mano verso di lei e Liz, con un sospiro, andò a sedersi al suo
fianco.
Notando l’espressione tesa di Isabel Phillip Evans si massaggiò pensoso una
guancia. - Com’è andata, davvero? -
Il giovane infilò una mano tra i capelli di Liz costringendola gentilmente a
reclinare la testa nell’incavo della sua spalla. Non è stato facile, ma ci
siamo riusciti. E questo è l’importante, giusto? -
- Giusto! - Liz gli sorrise con dolcezza.
- Isabel ha parlato di un’astronave. Questo significa dunque che si è trattato
di qualcosa che ha a che fare con... con il vostro pianeta d’origine? -
- Sì, è così. - Fu Isabel stessa a rispondere. Dondolò graziosamente la gamba
accavallata. - E almeno per un po’ non dovrebbero esserci più problemi -
- Lo spero di tutto cuore... - mormorò Liz guardando le proprie dita
intrecciate a quelle di Max, cullata dal suo lento respiro.
- Farò in modo che sia così - disse piano il giovane sollevando le loro mani
unite e deponendo un tenero bacio sulla sua.
- Santo cielo, Max, non puoi pensare di tenere a bada l’imprevedibile! -
scherzò lei. - Nessuno può sapere cosa accadrà domani, quindi è inutile
preoccuparsene in anticipo, non trovi? La cosa fondamentale è che siamo di
nuovo insieme... -
- Già -
- Ehi, io ho voglia di rilassarmi un po’, quindi che ne dite di passare a
qualche argomento più leggero? Jason, perché non ci racconti cos’avete fatto in
questi giorni? - domandò Isabel fissando con intenzione il nipote, che con una
simpatica smorfia sul bel viso iniziò a descrivere il suo tragicomico impatto
con la vita della popolazione adolescenziale di Roswell.
- Alex e Kyle hanno cercato di aiutarci, ma è tutto così... incomprensibile!
Perfino Lhara era disorientata... -
- Caro, per quanto abbia diciassette anni Lhara non è cresciuta qui, e quindi
non conosce le abitudini della gente più di quanto le conosciate voi! - gli
fece osservare divertita Liz.
- Il mondo reale è un po’ diverso da quello visto attraverso Internet - rincarò
la dose Max.
- Sì, ce ne siamo accorti... - Il ragazzino si accoccolò contro la madre. - Ci
siete mancati molto - disse con voce sommessa. - C’erano tante cose che
volevamo raccontarvi, cose che vedevamo, che sentivamo... Ed eravate così
lontani che non riuscivo neppure ad entrare nei vostri sogni... -
- Mi dispiace, tesoro... - Liz si staccò da Max per abbracciare con dolcezza il
figlio. - Anche io ho sentito la vostra mancanza... -
- Immagino ripartirete domattina per El Paso? - chiese Phillip.
- Sì, abbiamo tutti bisogno di riposo - rispose Isabel scostandosi i capelli
dal viso. - E’ stato un viaggio decisamente stressante, per non parlare del
ritorno... - Si alzò dalla poltrona su cui era seduta e accennò un sorriso. -
Vado a dare una mano anch’io. Ho una fame da lupi! -
In quel mentre suonarono alla porta e gli occhi le si accesero di gioia. -
Dev’essere Morgan! - Corse ad aprire e con un’esclamazione soffocata si gettò
tra le braccia del marito.
Dietro di lui c’erano i coniugi Parker, arrivati proprio in quel momento, e nel
sentire le loro voci Liz si affrettò a raggiungerli. - Ciao! -
- Liz! - Sua madre aggirò con cautela Morgan ed Isabel e se la strinse forte al
petto. - Oh, santo cielo, Liz, eravamo così preoccupati! - Le sollevò poi il
viso con entrambe le mani e la studiò attentamente. - E’ tutto a posto? -
La ragazza annuì decisa.
Non del tutto convinta Nancy corrugò la fronte. - Sai, quando Shiri ci ha detto
che eri dovuta partire, che eri stata costretta ad andare via, ho pensato che
fosse a causa di Max, perché avevate litigato... Anche se lei ci ha assicurato
che non era per quello io... io non le ho creduto... -
Liz ricambiò il suo sguardo con fermezza. - Mamma, ti assicuro che Max ed io
non abbiamo litigato, e quello che vi ha detto Shiri è la verità. Non me ne
sono andata di mia volontà, credimi! E Max, Isabel e Michael sono riusciti a
trovarmi e a riportarmi indietro. Io... scusatemi, - volse leggermente la testa
in direzione del padre - non posso dirvi di più. Comunque ora sono qui, e
stiamo tutti bene... -
Jeff le si avvicinò per abbracciarla. - Di nuovo misteri? - disse un po’
divertito, un po’ seccato.
- Ti prego, papà, non insistere. Non è stata un’esperienza piacevole, e
preferisco davvero non parlarne... -
- D’accordo, piccola, come vuoi tu! - La serrò brevemente, con forza, poi la
lasciò andare. - I tuoi figli sono cresciuti moltissimo... - disse scrutandola
con fare interrogativo.
- Sì, dev’essere perché... perché hanno ereditato il DNA di Max... - improvvisò
lei, cercando di suonare convincente, poi fece loro cenno di precederla. -
Venite, ormai la cena è quasi pronta... - Si girò con un sorriso verso Morgan
ed Isabel, ancora allacciati. - Ciao, Morgan! - lo salutò prima di seguire i
genitori.
Nancy, che si era fermata per aspettarla, notò qualcosa che attirò la sua
attenzione. - Liz, che cos’hai lì? Sembri sporca di... vernice... - Tornò
indietro e, prima che la ragazza potesse reagire, le sollevò il bordo della
maglietta e cercò di sfregare via l’alone argentato dalla pelle.
Con un movimento più brusco di quanto intendesse Liz le scansò la mano e si
ricoprì alla bell’e meglio. Non preoccuparti, ci penserò io domani -
- Sei sicura di riuscirci? Se vuoi, a casa ho del solvente: potresti passare da
noi prima di partire e... -
- Mamma, ti ho detto di non preoccuparti, ok? Per favore, lascia perdere e
vieni di là. I ragazzi stanno preparando la tavola e avranno sicuramente
bisogno di aiuto... -
A malincuore la donna non disse altro ma dentro di sé era molto dispiaciuta
perché sentiva che Liz le nascondeva qualcosa, qualcosa che evidentemente
riteneva più sicuro non rivelarle.
Le due ore che seguirono furono molto gradevoli nonostante Morgan morisse dalla
curiosità di sapere da Isabel come avessero fatto a ritrovare Liz. Si era anche
accorto che Max, pur mangiando, teneva sempre una mano intrecciata a quella
della moglie, come se temesse di perdere il contatto con lei. E sembrava che
Liz apprezzasse quella particolare attenzione. Aveva perso il conto delle volte
in cui la ragazza si era girata a guardarlo, a sorridergli... Vero che quei due
erano legatissimi, ma aveva la sensazione che si trattasse di qualche cosa
di... differente. E ogni tanto aveva sorpreso Isabel che lanciava occhiate di
sfuggita al fratello mordicchiandosi nervosa le labbra. Che diamine era
successo, in realtà?
Giunse infine il momento dei commiati e i signori Parker abbracciarono i nipoti
e poi di nuovo Liz. Nancy accarezzò con tenerezza i suoi lunghi capelli
castani. - Io... desidero tu sappia che ti vogliamo davvero bene, tesoro, e
ogni volta che avrai bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarti... noi saremo
sempre disponibili. In passato ti abbiamo forse dato l’impressione di averti
rifiutata, perché non accettavamo le scelte che avevi fatto, ma... ciò non
toglie che tu sia comunque nostra figlia e non smetteremo mai di volerti bene.
Avevi ragione, Max è un bravo ragazzo e ti ama molto, e si vede che sei felice
insieme a lui... E Jason e Shiri... sono davvero incredibili! - Disse le ultime
parole scuotendo la testa, gli occhi colmi di divertito stupore, poi se la
strinse rapidamente al petto.
- Anch’io ti voglio bene, mamma - Liz le diede un bacio sulla guancia prima di
sciogliersi delicatamente dal suo abbraccio e salutare il padre, infine si
avvicinò ad Isabel e abbracciò anche lei. - Ti ringrazio per tutto quello che
hai fatto per me! - le sussurrò all’orecchio.
Con un sorriso impacciato la ragazza ricambiò la stretta poi se ne andò insieme
a Morgan.
Max, fermo accanto ai figli, rimase in silenzio a guardare i Parker e la
sorella col marito allontanarsi verso le loro auto, mentre dal piano superiore
Lou vigilava come sempre.
- Posso restare ancora qualche giorno qui a Roswell? - domandò esitante Lhara,
rimasta un po’ in disparte.
Il giovane si volse a guardarla, le labbra distese in un accenno di sorriso. -
Perché no? Se mia madre non ha problemi ad ospitarti puoi fermarti quanto vuoi.
Ormai non corri più nessun pericolo, e sei libera di fare come preferisci... -
- Ti ringrazio, Zan. Scusa, Max... - si corresse subito.
Diane si avvicinò alla ragazza sorridendo. - Mi fa piacere sapere che resterai
ancora un po’. La casa mi sembrerà terribilmente vuota senza i miei nipoti... -
- Lei è davvero gentile, signora Evans. -
- Per favore, cara, chiamami per nome! - Le diede un amichevole buffetto sul
braccio prima di dirigersi in cucina, dove l’aspettava una cospicua pila di
piatti da lavare.
Sentendosi decisamente meglio Liz la seguì e, nonostante le sue proteste,
l’aiutò a mettere tutto in ordine. Fecero molto in fretta, dato che anche Shiri
e Jason vollero dare il loro contributo, e mezz’ora più tardi si ritrovarono
seduti di nuovo nel salotto.
- Che ne dite se io e Diane cominciassimo a guardare qualche casa? - suggerì
Phillip.
Max attirò Shiri sulle proprie ginocchia e lei gli si accoccolò contro come un
gattino, scivolando nel sonno senza neppure accorgersene. - Credo che si sia
già offerta Maria, comunque potete farlo anche voi. Ma ci serve piuttosto
grande: fra tre mesi ci saranno altri due bambini... -
- Altri due...? Liz, sei incinta?!? - Diane spalancò gli occhi estasiata, ma
poi si volse sospettosa verso il figlio. - Tre mesi? - ripeté, temendo di non
aver capito bene.
- Esatto. Ho solo tre mesi per abituarmi all’idea - confermò la ragazza,
stretta fra Max e Jason. Con un sospiro si abbandonò contro lo schienale del
divano. - Sono molto stanca... Vi spiace se vado a dormire? Non ce la faccio
proprio più... -
Phillip controllò l’orologio d’acciaio che portava al polso. - Beh, si è fatto
davvero tardi! Sono quasi le undici e mezza! -
Facendo attenzione a non svegliare Shiri Max le passò le braccia intorno alle
spalle e sotto le ginocchia e si alzò in piedi. - Allora sarà meglio andarcene
tutti a letto. Domattina dobbiamo partire presto... -
Jason si affrettò a precederlo. - La nonna ha spostato le nostre cose nella
stanza di zia Isabel, mentre Lhara userà quella degli ospiti - spiegò a bassa
voce per non disturbare la sorella.
- Ok - Max depose la figlia sull’ampio letto di quella che una volta era stata
la camera di Isabel, poi diede un bacio sulla fronte di Jason augurandogli la
buona notte prima di ritirarsi a sua volta con Liz.
Come la porta si fu chiusa alle loro spalle la ragazza iniziò a spogliarsi e
quasi cadde a sedere sul morbido materasso. - Sono davvero distrutta! - mormorò
lasciandosi scivolare all’indietro.
Max mise i propri abiti sulla sedia, accanto a quelli di lei, poi la raggiunse
e con un sorriso le sollevò le gambe spostandole sul letto. Le sue dita
toccarono delicatamente le gocce di luce dorata che le brillavano sul ventre e
l’impronta argentea poco più in alto. - La tua pelle è così liscia...
morbida... - La sfiorò con le labbra, poi si raddrizzò e si distese vicino a
lei. Le prese la mano sinistra e con delicatezza le infilò all’anulare la fede,
rimasta fino a quel momento nel taschino della sua camicia. - Questa ti
appartiene... - disse piano, dopo avervi deposto un bacio leggero.
Lei trattenne per un attimo il respiro poi si guardò la mano. - Credevo di
averla persa. -
- Non proprio. Ti era stata tolta perché io la trovassi... - Poi, consapevole
del suo disagio, la fissò con attenzione. Come ti senti? -
- Sono... terrorizzata - Liz si passò l’altra mano sulla pancia, ancora
perfettamente piatta. - Succede tutto così in fretta... Le nostre vite sono...
accelerate... In pochissimi anni ci sono capitate così tante cose che... credo
di aver perso il senso del tempo... - Scosse piano la testa. - Io non ho alcun
rimpianto, Max. Sono felice di averti sposato, di vivere con te, di aver avuto
dei figli da te... ma a volte vorrei che il mondo rallentasse... - Cercò il suo
sguardo, ansiosa di riuscire a spiegarsi. - Vorrei poter crescere con calma
insieme a te... vorrei che potessimo restare per un po’ così, come adesso,
mentre tutto procede senza di noi... - Abbozzò un sorriso triste. - Lo so,
chiedo l’impossibile... Ma la vita è fatta anche di sogni impossibili, non
credi? -
Max annuì con espressione solenne. - Sì, certo. E talvolta i sogni impossibili
si realizzano, sai? - rispose sorridendole tenero.
A quelle parole il volto della ragazza si rischiarò. - Hai ragione - Gli
accarezzò una guancia, poi lasciò scivolare le dita fin sul suo petto e
sospirando si sollevò su un gomito e gli si sdraiò sopra. - Ho incontrato te...
l’amore della mia vita. Quando ero convinta che al mondo non esistesse nessuno
capace di farmi sentire... speciale... amata... - Gli passò le braccia intorno
al collo chiudendo gli occhi, cullata dal lento battito del suo cuore. - E
infatti vieni da un altro pianeta... - bisbigliò, già semiaddormentata.
Lui la strinse con dolcezza contro di sé. “Invece io... non avrei mai osato
sperare che tu ti accorgessi di me...”
- Adesso mi sento decisamente meglio! - Isabel si strofinò piano i capelli con
un telo di spugna mentre tornava in camera da letto.
- Bene, perché ho voglia di te. Mi sei mancata moltissimo, sai? - Morgan tese
le braccia verso di lei, le tolse dalle mani il telo e poi le sfilò
l’accappatoio. - Vieni qui, amore... -
Molto più tardi, mentre giacevano sdraiati uno contro l’altro, l’uomo le
accarezzò gentilmente la schiena. - Vuoi parlarne? -
Isabel emise un profondo sospiro e nascose il volto nel cuscino. - No. Ma temo
che se non lo farò finirò con l’impazzire... - Lentamente, faticosamente,
raccontò tutto quello che era successo fin da quando Max le aveva detto della
scomparsa di Liz. Poi, con voce spezzata dall’angoscia, parlò del mutaforma che
aveva dovuto uccidere. Aveva assunto le sembianze di Max... Stava chino su Liz,
e lei cercava di liberarsi... Vedendola lottare ho colpito, senza... senza
fermarmi a riflettere... Ho pensato solo che Liz era in pericolo... e ho
annientato qualcuno che aveva l’aspetto di mio fratello... - Gli occhi le si
colmarono di lacrime. - E’ stato come uccidere lui... Dentro di me sapevo che
non poteva essere Max, che lui non avrebbe mai fatto del male a Liz, ma quello
era il suo viso... Io... continuo a rivedere quella scena... e mi sento
morire... Io... io lo avevo già tradito una volta... tanto tempo fa... in
un’altra vita... e adesso questo... -
Senza dire nulla Morgan si limitò ad abbracciarla con forza ed Isabel scoppiò
in un pianto dirotto.
Quando si fu infine un po’ calmata, la ragazza si rannicchiò contro di lui. -
E’ così difficile... Fare cose... cose normali... ed essere sempre pronti ad
usare poteri più grandi di noi... Quando siamo arrivati in città, oggi
pomeriggio, la madre di Maria ci ha sparato contro ferendo Michael e Liz... e
Max è dovuto intervenire per salvargli la vita... Io... sono certa che lo
avrebbe fatto anche se la strada fosse stata piena di gente... Lui... è
disposto a fare qualsiasi cosa per Liz... e Michael è il suo più caro amico...
Ma se qualcuno avesse capito cos’era davvero successo, per noi sarebbe stata la
fine... Sono... sono terribilmente stanca di tutto questo... Ho bisogno di
pace... ho bisogno... di te... Tu mi fai sentire... sicura... -
A quelle parole Morgan le baciò gentilmente la fronte. - Vorrei che tu non
fossi coinvolta in tutto questo... ma so che è inevitabile... E’ l’essere
quello che sei che ti costringe a dover combattere per sopravvivere, e io non
posso fare niente per aiutarti... Questa è una cosa che mi fa impazzire, lo
sai? - Le scostò i capelli dal viso e le diede un bacio sul collo. - Ma sono
felice di sapere che, in qualche modo, ti sono comunque utile... -
- Non essere stupido... - Isabel gli posò una mano sul fianco. - E’ molto
importante, per me, sapere che ci sei, che mi ami... nonostante quello che
sono... Max ha sempre avuto fiducia in Liz, mentre io... io non ero sicura di
potermi fidare... La verità è che avevo paura... -
- Di fidarti, e di scoprire di esserti sbagliata? - mormorò Morgan.
Lei annuì, poi distolse lo sguardo da lui, imbarazzata. - Adesso, invece, sono
solo... stanca... stanca di mostrarmi forte davanti a tutti quando invece...
vorrei solo rintanarmi in un cantuccio e dormire... per poi svegliarmi e
scoprire che è stato solo un sogno - Si premette contro di lui, cercando il suo
calore. - Ma non è così. La realtà è l’FBI che ci spia per eliminarci al primo
passo falso che faremo, è gente assetata di potere che complotta per
conquistare altro potere, è un pianeta senza la sua regina... -
- Lhara? - domandò sorpreso lui.
- Sì. E suo fratello sta lottando per riconquistare un regno che lei non vuole.
Maledizione, questa storia l’ho già sentita... - Con uno scatto Isabel gettò
indietro la testa e lo fissò negli occhi, un mesto sorriso sulle belle labbra.
- La realtà sei anche tu. Mio marito. L’uomo con cui ho scelto di dividere la
mia vita. Ti amo, Morgan, più di quanto credevo fosse possibile per me amare
qualcuno... -
Morgan la sospinse teneramente sotto di sé. - Non te ne pentirai, amore. Mai...
- sussurrò disseminando una scia di piccoli baci sul suo viso.
Dopo una dolcissima notte d’amore Michael e Maria si erano infine addormentati,
poi, alle prime luci dell’alba, la ragazza aveva aperto gli occhi ed il suo
sguardo era subito andato al volto di lui. Era rilassato, disteso, ben diverso
da come lo aveva visto il giorno precedente, con i lineamenti contorti negli
spasmi dell’agonia. Attenta a non svegliarlo abbassò piano piano il lenzuolo e
pose le dita sull’impronta argentata che brillava sul suo torace. “Grazie, Max,
per avermelo restituito...” pensò, tremando al ricordo della terribile immagine
di Michael morente sulla strada. “Il mio uomo dello spazio... Oh, Michael, cosa
farei senza di te?” Con un sospiro di beatitudine appoggiò la testa contro la
sua spalla e scivolò di nuovo nel sonno.
Seduta sul letto, le braccia strette intorno alle ginocchia flesse, Lhara
guardava assorta la finestra. Non poteva vedere nulla perché la tenda era
tirata ma la cosa sembrava non avere per lei alcuna importanza. Invece della
morbida oscurità che avvolgeva la piccola stanza, infatti, i suoi occhi
vedevano i reali di Antar fronteggiare con incredibile coraggio i loro nemici,
e vincere. Rivedeva la testa bruna di Max china su Liz, poi su Michael, e la
sua solitaria battaglia per sottrarli alla morte. Aveva anche notato Shiri che
passava la mano sul sangue di sua madre perché non restassero tracce che
potessero tradirli. Una volta Jason le aveva spiegato il motivo per cui la vera
identità di tutti loro doveva restare un segreto ben custodito, e nonostante
fossero una famiglia antica e potente vivevano come persone comuni, su un
pianeta lontano anni-luce dal sistema stellare da cui provenivano. Ma la Terra
era un mondo così... affascinante... Pieno di contraddizioni, forte e debole
allo stesso tempo, eppure meraviglioso... Era un posto in cui le sarebbe
piaciuto vivere per sempre, lontana dai mille obblighi che l’attendevano in
patria... Bren stava rischiando la propria vita per difendere il suo trono, ma
lei non voleva tornare su Rènida. Non voleva lasciare quel paese arido che
tanto l’attirava... Eppure... suo fratello stava combattendo una battaglia per
lei... Si morse pensosa le labbra, il cuore gonfio di amarezza. “Perfino i
reali di Antar sono rimasti coinvolti in questa guerra... Tutti lottano per me,
mentre io... In realtà sono una codarda...” Con un sospiro si alzò, accese
l’abat-jour sul comodino e cercò della carta e una penna. Scrisse poche righe
con la sua calligrafia elegante, poi ripiegò il foglio e vi segnò sopra il nome
di Max prima di deporlo sul letto. Lentamente si spostò al centro della stanza,
chiuse gli occhi e focalizzò tutti i suoi pensieri su un unico punto luminoso.
Un eterno istante più tardi si ritrovò davanti al fratello, che la fissò
sbalordito. - Lhara! -
- Avresti dovuto nascere donna, Bren. Saresti stato una grande regina... -
Sorrise, e gli toccò una guancia col palmo della mano. - Hai combattuto per
difendere il nostro mondo, e meriti di governarlo. Ti aiuterò a riconquistare
la pace per la gente di Rènida, perché so che, nonostante tutto, la ami. La ami
più di quanto meriti, a dire il vero... - Il sorriso divenne più ampio. - Ho
dovuto sovraccaricare i canali di energia e non potrò più usare i miei poteri,
ma, ad essere sincera, avere una vaga conoscenza del futuro non è qualcosa che
si possa rimpiangere... Adesso, però, dobbiamo andare. Prima metteremo le cose
a posto qui, prima potrò tornare sulla Terra -
- Da Kyle? - la prese gentilmente in giro il fratello.
- Sì - Lhara infilò la mano nella sua ed insieme si volsero a fronteggiare il
gruppo di soldati che, tra mille difficoltà, continuavano a combattere al
fianco di Bren.
Scritta da Elisa |