Roswell.it - Fanfiction

QUANDO I NODI VENGONO AL PETTINE


Riassunto: All’osservatorio astronomico di Roswell viene fatta una strana richiesta. Allo stesso tempo, si apre una vera e propria caccia al mutaforma che ha lasciato l’impronta sul corpo di un giovane umano.

Data di stesura: dal 26 ottobre 2003 al 4 aprile 2004.

Valutazione: adatto a tutti. Insomma, in certi momenti è meglio che i più piccoli vadano a giocare da qualche parte...

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it. Batman appartiene alla Marvel Comics e Spock ai creatori della serie "Star Trek".

Indirizzo e-mail: ellis@roswellit.zzn.com

Note: Questa storia è dedicata a Monica, che con le sue acute osservazioni riesce a dare sempre nuovo vigore alla mia vena creativa. Anche se poi mettere il tutto per iscritto è una faticaccia! E con questa ultima revisione pongo definitivamente la parola BASTA! Non voglio più metterci mano!!!


- Ti prego! -
Sorda alla nota implorante nella voce di Maria, Liz incrociò le caviglie e continuò a guardare Jason, Shiri, Max e Michael che giocavano a basket nonostante la pioggia sottile che aveva cominciato a cadere ormai da alcuni minuti.
- Per favore! - ripeté la ragazza chinandosi un poco verso di lei.
Senza neppure voltarsi Liz infilò ostentatamente le mani nelle tasche del giaccone. - Dillo ancora una volta e la nostra amicizia finisce qui -
A quelle parole Maria spalancò gli occhi sbigottita. - Oh, beh... se la metti in questo modo... - disse, e si concentrò sul rettangolino di carta che stringeva fra le dita iniziando a sminuzzarlo con esagerata precisione.
Solo allora Liz si girò e sorrise dolcemente alla ragazza. - Maria, sono stata io ad insistere perché tu e Michael veniste con noi in Florida... Consideralo il mio regalo per Capodanno!... -
- Non si fanno regali per Capodanno - obiettò la giovane imbronciata, - e me ne avevi già fatto uno stupendo per Natale. - Così dicendo si sfiorò il bavero del cappotto, un originale modello molto elegante nella sua estrosità, di un bel color prugna, che Maria aveva notato nella vetrina di Claire’s ma non aveva osato comperare per via del prezzo.
- Non fare la stupida, Maria! - la riprese l’amica. - Lo sai benissimo che i soldi non sono un problema, per me, e poi volevo davvero che ci foste anche voi! E se questo può farti star meglio, sappi che abbiamo offerto la vacanza anche agli altri... -
Maria socchiuse gli occhi sospettosa. - Anche a Isabel e Morgan? -
Liz si strinse nelle spalle. - Ci ho provato, ma non l’ho spuntata - ammise.
La sua confessione risollevò lo spirito di Maria. - Allora c’è una giustizia, a questo mondo... -
L’amica alzò lo sguardo al cielo esasperata. - Se questo ti fa star meglio... - borbottò.
- Oh sì, molto meglio! - rispose Maria ridendo. - Ok, adesso sarà bene che torni dentro. Ormai è quasi ora della poppata... -
Proprio in quel momento la porta di casa si aprì ed apparve lo sceriffo. - Maria, ti spiace venire un attimo? Mathias sta cominciando ad agitarsi, e tua madre più di lui!... -
A quelle parole la ragazza fece una buffa smorfia. - Che ti avevo detto? - mormorò lanciando una rapida occhiata a Liz prima di seguire l’uomo.
Rimasta sola Liz si mise le mani fra le ginocchia per riscaldarle un poco poi vide Claudia avvicinarsi carponi e tese le braccia per prenderla. - Vieni, amore, vieni dalla mamma! -
La bimba si accoccolò contro di lei, la testolina reclinata sulla sua spalla, e chiuse gli occhi scivolando subito nel sonno.
Liz se la strinse affettuosamente al petto. Quanto amava il profumo dolce e infantile della sua pelle soffice... Diede uno sguardo ad Ethan, intento a giocare con la macchinina che gli aveva regalato Michael per Natale e che era la perfetta riproduzione in scala di una Ferrari da corsa. “I miei bambini... I figli che ho avuto da Max...” Si volse poi ad osservare il gruppo che ancora correva e saltava sotto la pioggia. “Max... mio marito... Non avrei mai osato sperare che ci saremmo sposati, un giorno... Che mi avresti amato così tanto...”
Quasi avesse sentito i suoi pensieri il giovane afferrò la palla senza rilanciarla. - Ragazzi, ora piove decisamente forte! Su, rincasiamo! - E senza attendere risposta si diresse verso Liz, che lo stava guardando con un accenno di sorriso sulle labbra. - Ciao - Si chinò a baciarla, un bacio breve ma profondo ed intenso che fece rabbrividire entrambi. - Sta dormendo? - chiese accennando a Claudia.
- E’ venuta da me pochi minuti fa. Si vede che era stanca e aveva voglia di fare un pisolino... -
Liz aveva parlato sommessamente per non svegliare la piccola, e Max non poté fare a meno di pensare a quanto anche lui amasse dormire fra le sue braccia. C’erano delle notti in cui si svegliava di colpo, temendo di aver solo sognato di stringere contro di sé il suo corpo tiepido, e allora restava a guardarla finché il sonno lo vinceva di nuovo. Altre volte, invece, erano gli incubi a ridestarlo, incubi che lo lasciavano coperto di sudore gelido e con gli occhi ancora pieni delle immagini di lei priva di vita. In quei casi non poteva fare a meno di serrarla forte e concentrarsi sul suo lento respiro, rimanendo sveglio fino a quando giungeva l’ora di alzarsi. Solamente vedendola sollevare le palpebre e sorridergli riusciva a convincersi che stava bene, che era tutto a posto, quindi premeva la fronte nell’incavo del suo collo e aspirava grato la fragranza di quei capelli di seta. Non sapeva che Liz riusciva a percepire la sua disperazione e, lottando per ricacciare indietro le lacrime, ricambiava l’abbraccio con altrettanta forza nel tentativo di placarlo, mentre lui assorbiva il calore del suo tocco con dolorosa bramosia.
Ed erano momenti come quelli, quando poteva riempirsi gli occhi ed il cuore della tenera vista di sua moglie coi bambini, che gli davano la forza di continuare a vivere giorno dopo giorno, lasciandosi dietro le spalle la paura, il dolore e la sofferenza, che sembravano essere diventati i suoi fidi compagni. Erano momenti come quelli che, nonostante tutto, davano un senso alla stranezza di un destino che lo aveva condotto fin lì da distanze troppo grandi per essere calcolate...
Con un nodo in gola passò le dita tra i morbidi riccioli di Claudia poi si avvicinò ad Ethan, che gli sorrise contento e alzò le manine verso di lui. - Su! Su! - ciangottò, e lanciò un gridolino entusiasta quando si sentì sollevare in aria. Poi Max se lo mise a cavalcioni sulle spalle e precedette Liz in casa, seguita a ruota da Michael e i ragazzi, ancora intenti a discutere di tattiche di gioco.
Il fatto che Max avesse permesso a Jason di entrare nella squadra di basket della scuola, per non parlare del nutrito giro di amicizie che frequentavano lui e la sorella, non aveva troppo convinto Michael, che con un certo sarcasmo si domandò cosa sarebbe successo ad aprile, quando sicuramente sarebbe stata organizzata la festa di compleanno per Shiri. Quante candeline avrebbero messo sulla sua torta: una o quindici?!? Tuttavia comprendeva il bisogno dei suoi amici di una parvenza di normalità nella loro vita. Del resto non era quello che faceva anche lui quando si recava ogni giorno in ufficio e con Morgan controllava il lavoro da svolgere? Non era ciò che desiderava offrire a Maria, in un inconfessato desiderio di farle dimenticare la particolarità delle sue origini, pur avendo smesso già da molto tempo di pensare ad Antar come alla casa cui agognava tornare? Anzi, ad essere sinceri, ormai lo vedeva solo come una grande rottura di scatole da cui venivano esclusivamente rogne e nemici! Non che Roswell fosse molto meglio, in realtà, perfino Maria aveva sognato di fuggire dalle sue limitazioni... Ma lì c’era l’astronave, l’unico legame con il passato, e soprattutto gli altri avevano scelto di rimanervi, così lui si era sentito costretto ad adeguarsi. Certo, gli faceva piacere stare vicino a Max e ad Isabel, però a volte aveva l’impressione di sentirsi in gabbia, con l’FBI e gli avversari di Zan sempre pronti a balzargli addosso non appena gliene avesse fornito la possibilità... E poi, forse... non esisteva un luogo dove potersi dire al sicuro, e tutto sommato la scelta dei suoi amici fermarsi e costruire qualcosa - era la più giusta. Quando guardava Maria allattare il loro bambino poteva sentire l’incredulità sommergerlo. Non era possibile che lui, proprio lui, l’alieno, il duro, il guerriero, avesse sposato quella ragazzetta insopportabile e appassionata e ne avesse avuto un figlio!... Al contrario di Max, che aveva sempre spasimato dietro Liz sperando prima o poi di riuscire ad agganciarla, lui era convinto che il loro dovere fosse di tenersi alla larga dagli umani e cercare di scoprire la verità nascosta dietro gli straordinari poteri di cui erano dotati. E invece, quando Maria lo aveva fissato con quegli occhioni verdi pieni di paura, si era sentito punto sul vivo. Non gli era piaciuto essere guardato come un mostro, soprattutto non da quello scricciolo biondo, e da allora era stato un continuo susseguirsi di sentimenti contrastanti. Se qualcuno gli avesse detto che avrebbe finito col legare la propria esistenza alla sua sarebbe scoppiato a ridere, e invece adesso si ritrovava marito e padre di famiglia. Il destino sapeva essere davvero strano...
Ora riusciva a capire l’iperprotettività di Max: quello che avevano trovato era troppo grande, troppo importante, per permettere a qualcuno di distruggerlo, ed era inevitabile che fossero disposti a tutto pur di difenderlo! Persino a cercare di condurre una banalissima vita in una città altrettanto banale... Ma... era saggio mescolarsi in quel modo con gli altri? Sapeva, comunque, che parlarne non sarebbe servito a niente e che tutto ciò che poteva fare era osservare e sperare. In effetti Jason e Shiri non avevano mai creato problemi, però quella breve vacanza in Florida sembrava aver lasciato in loro segni profondi. Apparentemente erano allegri e sereni come al solito, disposti a fare una partita di basket sotto la pioggia, eppure poteva percepire il senso di inquietudine, di allarme sotterraneo che li animava. In fin dei conti erano soltanto dei bambini, anche se avevano l’aspetto di adolescenti, e l’ultimo incidente capitato a Max e Liz non poteva non averli segnati. Sarebbero riusciti a mantenere il loro equilibrio? Oppure la loro apparente spensieratezza si sarebbe infranta causando danni che nessuno poteva immaginare? O forse si trattava semplicemente della sua solita paranoia che gli faceva vedere cose che non c’erano?... Bah, facile che fosse così!
Si guardò attorno con curiosità. - Dov’è Maria? -
- In camera da letto con Mathias. - Liz lo guardò indulgente. - Vai su a farle compagnia: io devo occuparmi della cena per Claudia ed Ethan... -
Mentre Michael si avviava verso le scale dopo essersi passato una mano sul torace per asciugarsi i vestiti Max depose sul divano Ethan e si avvicinò alla moglie per prendere la bimba. - Vuoi che ti aiuti? - le chiese osservandola attento. Liz sembrava molto stanca.
- Mi basta che ti occupi di loro. Mia madre ci ha lasciato nel frigo un sacco di roba da mangiare e devo solo scaldarla nel microonde, però vorrei prima mettere i gemelli a letto: sono sfiniti... -
- Anche tu - obiettò lui.
La ragazza accennò un sorriso. - Il viaggio è stato un po’ faticoso - ammise.
- Liz, Jim ed io torniamo a casa. Siamo tutti piuttosto stanchi, e ci sono le valigie da disfare. Non è il caso che restiamo qui a darti altro disturbo... - Amy le si avvicinò e le carezzò con affetto una spalla. - Di’ a Maria che ai loro bagagli ci pensiamo noi, d’accordo? -
- No, Amy, non c’è bisogno che ve ne andiate! Davvero, devo solo far mangiare i bambini e metterli a dormire. -
- Liz, credimi, hai già fatto molto! Max ha ragione, sei stravolta e devi riposarti, e noi siamo decisamente di troppo! - La donna la strinse in un rapido abbraccio, subito imitata da James Valenti, poi se ne andò lasciandola confusa. - Perché mi trattate tutti come se fossi di vetro? -
- Forse perché dal momento in cui siamo tornati in albergo dopo la fuga dalla base non hai chiuso occhio, neppure durante il volo di ritorno... Hai l’aria disfatta, amore mio, e non voglio vederti crollare. Per cui adesso preparerai qualcosa per i gemelli e poi ti siederai su quel divano. Al resto ci penso io. -
- Ma anche tu non hai dormito, la notte scorsa! - protestò lei.
- Liz, per favore, limitati alla cena dei bambini, ok? - Si chinò a darle un bacio sulla fronte prima di tornare da Ethan. - Su, giovanotto, vieni qui: dobbiamo andare a fare il bagnetto! - Prese il bimbo col braccio libero dopodiché salì al piano di sopra e con rapida efficienza lavò e cambiò i figlioletti.
Quando fu di ritorno in cucina trovò la tavola apparecchiata e una serie di vassoi e ciotole fumanti. Michael era seduto accanto a Maria e teneva in grembo il piccolo Mathias placidamente addormentato. Liz, accomodatasi vicino all’amica, sembrava ascoltare con attenzione quello che stava dicendo Michael.
- Ehi, è già tutto pronto?! Fantastico, in effetti ho una gran fame! - Sfiorò la nuca di Liz con una carezza gentile poi sedette al suo fianco e le mise un po’ di spezzatino e di piselli nel piatto. - Cerca di mangiare qualcosa e vai a letto, o domani non avrai la forza di andare in ospedale... -
La ragazza si strinse nelle spalle e iniziò a mangiare senza molta convinzione. Max aveva ragione, si sentiva a pezzi e voleva solo andare a dormire ma sapeva che senza di lui non sarebbe riuscita a chiudere occhio. Se non lo avesse tenuto stretto contro di sé non ce l’avrebbe fatta a prendere sonno, ne era più che certa.
- Se vuoi il mio umile parere, giovanotto, farai bene a seguire il tuo stesso consiglio! - lo prese amichevolmente in giro Maria. - Ti sei visto allo specchio, di recente? - Agitò davanti a lui la forchetta. Siete tutti e due stanchi morti, e quindi vi dirò io cosa dovete fare: finite di mangiare e poi andate a ninna. Ci pensiamo Michael ed io a rimettere a posto, e guai a voi se osate protestare! -
Sia Max che Liz tentarono di parlare ma lei agitò ancora di più la posata. - Alt, ho detto zitti! E siccome voglio portare Mathias a casa prima delle nove, cercate di darvi una mossa, per piacere! -
Max guardò da lei a Michael, che si strinse nelle spalle, poi scosse la testa e versò altro Tabasco sui suoi piselli mentre Liz, sconcertata per l’esplosione dell’amica, fece per aprire la bocca ma ci ripensò e continuò a mangiare.
- Ottimo! Ah, Liz, fai i complimenti a tua madre: questo spezzatino è davvero squisito!... -
A quel punto Michael non si trattenne più e scoppiò in una fragorosa risata che fece svegliare Mathias. Il bimbo spalancò gli occhi chiari e mosse piano i piccoli pugni prima di voltare il visetto contro la felpa del padre e riaddormentarsi.
- Michael, ti prego, evita di svegliarlo di nuovo, se ci riesci! - lo redarguì Maria.
Un sorriso divertito illuminò il volto di Liz. “Oh, Maria, sei davvero incredibile! Grazie! Grazie per essere la mia meravigliosa amica!”
Dieci minuti dopo era in bagno a lavarsi i denti. Max, accanto a lei, aspettava il proprio turno e nel frattempo la guardava. Sembrava così fragile, così indifesa... e invece era dotata di una insospettabile forza d’animo e fisica. Santo cielo, solo il giorno prima gli aveva salvato la vita, pur avendo due costole rotte, una incrinata, e una montagna di lividi, tagli e graffi. Eppure era riuscita a sottrarlo alla presa mortale del mutaforma e, veicolando la sua energia, lo aveva distrutto. Liz continuava a sorprenderlo, e l’amore, il rispetto e l’ammirazione che provava per lei non facevano che aumentare.
Poco più tardi erano entrambi sotto le coperte, strettamente abbracciati, e sospirando di sollievo la ragazza si sistemò con la testa nell’incavo della spalla di Max. - Non lasciarmi, amore mio, non lasciarmi mai... - bisbigliò con voce insonnolita.
- No, tesoro, sarò sempre con te - Il giovane la baciò sui capelli poi le posò una mano sulla nuca e si addormentò a sua volta.

- Ciao, tutto bene? -
- Sì, grazie. - Così dicendo Isabel fece una piccola smorfia. - Per l’esattezza il mio problema è Morgan. Quando ha saputo come sono andate esattamente le cose la notte di Capodanno si è... agitato, a dir poco... -
Max si allacciò la cintura di sicurezza e la guardò mentre sterzava per reimmettersi nella strada principale. - E tu perché gliel’hai detto? -
- Era convinto che tu e Liz ve ne foste andati a fare baldoria chissà dove, e non mi piacevano i suoi commenti. Lui... è un po’ geloso di te - confessò la ragazza.
Il giovane osservò per alcuni secondi la strada scorrere davanti a sé, poi si volse di nuovo verso di lei. Non devi difendermi, Isabel. Non è necessario. Non m’importa cosa pensa Morgan di me, m’importa che non ti faccia soffrire... -
- Tu sei mio fratello, e non voglio che lui ti creda un irresponsabile o un farabutto. Perché non lo sei, tutt’altro! E quando fa delle insinuazioni nei tuoi confronti io ci sto male. Mi dispiace ma non posso farci niente! -
Sentendo il suo turbamento Max le sfiorò le dita strette intorno al volante. - Grazie per la tua lealtà, però ricorda che lui è tuo marito e ti ama. E’ naturale che a volte possa pesargli il legame che ci unisce, quindi cerca di essere paziente... Vedrai che col tempo gli passerà. - Un pensiero improvviso gli fece corrugare la fronte. - Cosa gli hai raccontato per farlo... agitare...? -
Isabel si morse le labbra, imbarazzata. - Quando... quando mi hai controllata prima che tornassimo a casa nostra ho avuto dei flash attraverso Natalie. E... immagino di averli trasmessi a Morgan mentre... beh, insomma... -
- Sì, capisco - Max tolse la mano un po’ a disagio. Non aveva idea che Natalie fosse in grado di percepire visioni mentre verificava che stesse bene, ma a quanto pareva stava diventando abbastanza grande e sensibile da assorbirle. Quello poteva essere un guaio, considerando l’insofferenza di Morgan nei confronti del suo ruolo di supervisore della salute di Isabel e della bambina...
- Max, tu sei e rimarrai la persona più importante della mia vita, subito dopo mio marito. E mia figlia - aggiunse. Fece una spallucciata. - Questa cosa non cambierà mai, noi siamo uniti in un modo speciale. Quello che condividiamo coi nostri compagni è diverso e mi sembra... stupido... fare dei paragoni. Liz non è mai stata gelosa di me, semmai è vero il contrario... - concluse sorridendo.
- Liz è... -
- Perfetta, lo so - lo interruppe lei. - Santo cielo, Max, a volte mi sembra impossibile tutto quello che avete dovuto sopportare... che siamo costretti a sopportare... Perché non possiamo vivere normalmente? -
- Perché siamo diversi dagli altri. Ma abbiamo trovato delle persone stupende, che hanno scelto di rimanere al nostro fianco nonostante questa diversità, e per loro, per proteggerle, siamo disposti a fare qualsiasi cosa. Parla con Morgan, fagli capire che non deve temere l’affetto che ci unisce, e soprattutto che non ho alcuna intenzione di portargli via Natalie. -
Isabel si girò di scatto a fissarlo. - Perché dici questo? -
- Hai notato come mi guarda ogni volta che ti controllo? -
Lei scosse un poco la testa. - Ha solo paura che possa succederci qualcosa. -
- Appunto. Non si fida di me -
- No, non è vero. E’ preoccupato per il fatto che non posso partorire in ospedale, ma per il resto si fida di te. Ha messo la vita di David nelle tue mani. Mi sembra che questo significhi qualcosa, no? -
- Morgan è un uomo orgoglioso. Ti ama, e ama sua figlia, e non gradisce intromissioni da parte mia. Vuole essere lui ad occuparsi di voi, e lo capisco. E’ normale che non gli vada giù il fatto di sentirsi impotente in certi casi... -
- Ad esempio se si trovasse davanti un mutaforma deciso a cuocermi? -
- Qualcosa del genere... -
- Beh, tutto questo è stupido. Neppure tu sei onnipotente! -
- No, però lui non la vede così. E questa è un po’ anche colpa tua. -
- Che vuoi dire? -
- Smettila di fare dei confronti fra di noi -
- Non ne faccio!
- Davvero? - Lui le diede un’occhiata penetrante. - Ne sei sicura? -
Isabel distolse lo sguardo senza replicare.
- Isabel, ti rendi conto che così gli fai del male? -
La ragazza rimase in silenzio e Max si abbandonò contro lo schienale chiudendo gli occhi. - Accosta. Devo scendere un attimo... -
- Perché? -
Max non rispose, e senza dire altro Isabel fece come le era stato chiesto.
Non appena la vettura si fermò il giovane scese e, dopo aver fatto alcuni profondi respiri, crollò in ginocchio. Ebbe appena il tempo di chinarsi in avanti sostenendosi con le mani prima di dare violentemente di stomaco.
- Accidenti, Max, che diavolo ti succede?! - La sorella si affrettò a raggiungerlo, spaventatissima.
- Ho... bisogno di un fazzoletto di carta... - riuscì soltanto a mormorare lui.
Isabel tornò al posto di guida e frugò nella sua borsetta alla ricerca dei fazzoletti umidificati. - Ecco, tieni! disse porgendogli il pacchetto.
Mentre lui si puliva la bocca e si rinfrescava il viso la ragazza lo prese con dolce fermezza per una spalla. Ti riporto a casa. Non mi sembra opportuno che venga all’osservatorio in queste condizioni... -
- No, non preoccuparti. Io... sto meglio, davvero... - Ma proprio in quel momento venne colto da un’altra serie di conati.
- Max! -
Quando anche quell’attacco ebbe termine il giovane si raddrizzò appoggiandosi sui talloni e si pulì di nuovo.
- Vieni, torniamo indietro - insisté allora Isabel passandogli un braccio dietro la schiena.
- No, ormai siamo quasi arrivati. Andiamo avanti, per favore. -
- Ma tu... -
- Ti prego! -
- Sei un vero testardo! -
Lui le fece uno dei suoi teneri sorrisi che gli illuminavano gli occhi, e lei capitolò. - Ok, vada per l’osservatorio. Comunque, se ti senti male un’altra volta si fa come dico io! -
Max lasciò che l’aiutasse ad alzarsi e a rimontare in auto poi abbassò il finestrino ed inspirò lentamente e con avidità l’aria frizzante.
- Va meglio? -
- Mm -
- Allora? -
- Cosa? -
- Perché ti sei sentito male? -
- Isabel, non ne ho idea. Non lo so, e non ho la forza di controllarmi, in questo momento... -
- Sei forse in dolce attesa? - lo prese in giro lei nel tentativo di alleggerire la tensione.
A quelle parole Max rise piano. - A dire la verità... sì -
La ragazza gli diede un affettuoso buffetto sulla guancia. - Sciocco! Però... mi hai messo una paura del diavolo. Finora avevi vomitato solamente una volta, a otto anni, dopo aver mangiato sei mele candite una dietro l’altra insieme ad un’intera bottiglia di Tabasco... -
Al ricordo Max fece una smorfia. - E’ stato altrettanto sgradevole, credimi. -
- Oh, sì, posso immaginarlo -
Percorsero le ultime due miglia senza altri inconvenienti e quando varcarono la soglia dell’edificio Max aveva riacquistato un po’ di colore.
- Chiamami se hai bisogno di aiuto, d’accordo? -
- Certo. Grazie, Isabel... -
Lei lo strinse in un rapido abbraccio. - Figurati! -
Quando entrò nella stanza laboratorio in cui lavorava Max venne accolto dal caloroso saluto dei suoi colleghi. - Incredibile! Max Evans in ritardo! -
Il giovane sorrise e diede un’occhiata al grande orologio appeso alla parete. - Di otto minuti, hai ragione - riconobbe.
- Come sono andate le vacanze? -
- Bene, grazie. E tu? -
- Non mi lamento. Però adesso dovrò sudare sette camicie per eliminare i chili di troppo!... -
La porta si aprì ed apparve Linda Hathaway, una delle coordinatrici del progetto cui il gruppo stava lavorando. - Invece c’è qualcuno, qui, che non ne ha alcun bisogno... - disse lanciando un’occhiata di apprezzamento al corpo asciutto e muscoloso di Max. Sapeva che lui era sposato e con figli, però non si poteva mai dire. A volte anche i matrimoni all’apparenza saldi potevano incrinarsi, e a lei non sarebbe dispiaciuto raccogliere i pezzi del suo. Con un sospiro andò a sedersi davanti ad un monitor e verificò i dati con quanto riportato sul blocco che aveva in mano. - Dannazione, che caspita è successo? Questi valori sono completamente sballati! Ernie, passami le registrazioni della notte del trenta dicembre! -
Quella richiesta incuriosì l’alieno. - Cosa stai verificando? - chiese con fare noncurante.
- Il capo vuole un controllo accurato dei dati degli ultimi quattro giorni. E lo vuole subito. Quindi, per favore, tu ed Ernie datevi da fare con i valori dell’attività cosmica di quel periodo -
- Dobbiamo cercare qualcosa di particolare? - indagò Ernie.
- Qualsiasi cosa. Tutto quello che è stato registrato dal telescopio -
- Ai tuoi ordini. Max, prego, accòmodati pure accanto a me! -
La donna guardò Max dirigersi verso la postazione di lavoro del collega e corrugò la fronte. - Mi serve entro stasera - precisò.
- Ok - rispose Ernie dando un’occhiata divertita al giovane, che ricambiò con un sorriso distratto.
Esteriormente tranquillo, Max era in realtà in preda ad una vaga inquietudine. Non solo avrebbe dovuto lasciare indietro le cose di cui si occupava di norma e un paio di ricerche urgenti che aveva trovato nel suo raccoglitore, ma l’incarico di Linda aveva fatto scattare nella sua testa un campanello d’allarme. Quella richiesta era certamente da ricollegarsi all’incidente in Florida, per cui era più che sicuro che non avrebbero trovato alcuna anomalia. Però gli dava da pensare il fatto che il direttore volesse quelle informazioni. Chi gliele aveva chieste? La Nasa no di certo, loro avevano mezzi molto più potenti del piccolo osservatorio di Roswell, e i militari avrebbero fatto riferimento alla Nasa. L’FBI? No, non aveva senso. Anche loro si sarebbero rivolti alla Nasa... Chissà, forse si trattava solo di una coincidenza... Però non poteva rischiare: doveva scoprire chi aveva fatto pressione su Burton.
Mentre cominciava a richiamare i files che gli occorrevano sentì il leggero tocco della mente di Jason. D’istinto si concentrò per percepire meglio quella sensazione tuttavia non avvertì niente altro. Perplesso e vagamente preoccupato fece ruotare un poco la sedia. - Devo fare una telefonata ma torno subito - avvertì Ernie prima di alzarsi ed uscire dalla stanza.
Una volta in corridoio tirò fuori il cellulare e compose il numero di casa. Dovette aspettare nove squilli prima che qualcuno rispondesse. Era Jason, che lo salutò con tono forzato.
- Jason, ti ho sentito. Cosa c’è? -
“- Niente, papà. Volevo solo sapere come stavi... -”
Max si strofinò la fronte. - Sicuro che sia tutto qui? -
“- Sì. Sì, certo. -”
- Jason... -
Davanti all’insistenza del padre il ragazzino esitò e alla fine cedette. “- Shiri si è sentita poco bene. Ha... ha vomitato un paio di volte. Ma ora sta meglio, davvero. Io... mi ero spaventato e così... -” disse piano.
- Sai perché è stata male? -
“- No, almeno... non ne sono sicuro. -”
- Che vuoi dire? Lo sai o non lo sai? -
“- Beh, ecco... credo che sia entrata nei sogni di... di qualcuno -”
- Bren? -
“- Io... forse -”
- Jason, vuoi dire che tua sorella si è concentrata da sola per raggiungere la mente di un uomo che si trova dall’altra parte dell’universo?!? -
“- Non me ne sono reso conto finché non mi ha chiamato. Era allo stremo delle forze... -”
- Maledizione! - Ora sapeva il motivo del suo malessere. In qualche modo Shiri doveva aver capito di essere nei guai e aveva aperto la propria mente in cerca di aiuto. Il che aveva portato Jason ad accorgersi delle sue difficoltà e lui a provare le stesse sensazioni di debolezza che l’avevano sommersa. - Sei certo che stia meglio? -
“- Sì. Sta facendo colazione. -”
- Dille di tornare a letto, quando ha finito, e guai a lei se si azzarda a fare altre cose del genere. Può essere pericoloso, soprattutto ora che è stanca. Dirò a Michael di passare a dare un’occhiata appena possibile. Shiri... Santo cielo, si rende conto dei rischi che ha corso?! -
“- Credo di sì, papà. Solo che... tiene davvero molto a Bren, e... le manca... -”
- Siete ancora troppo giovani per queste cose. Bren ha dei doveri da rispettare, ma quando sarà il momento giusto sono certo che si farà vivo. Shiri deve imparare ad avere pazienza... -
“- Già, hai ragione. -” Jason ridacchiò e Max sorrise di rimando, sentendosi un poco sollevato.
“- Papà? -”
- Sì? -
“- Non mandare lo zio Michael. Non ce n’è bisogno, davvero... -”
Dopo un breve silenzio il giovane emise un sospiro. - D’accordo. Ma guarda che non combini altri scherzi del genere! -
“- Va bene. Grazie, papà. -”
- Di niente, coniglietto. Prendetevela con calma, ok? -
“- Ok -”
Scuotendo leggermente la testa Max interruppe la comunicazione e prima di tornare al lavoro si diresse verso il laboratorio dove si trovava Isabel. Voleva tranquillizzarla, spiegarle la vera causa dei suoi disturbi, ma soprattutto voleva riprendere il controllo delle proprie emozioni. Sapeva che Shiri non era nuova a quel tipo di esperienze, ma fino a quel momento c’era sempre stato Jason con lei. Il fatto che avesse deciso di raggiungere Bren da sola era semplicemente pazzesco. Non capiva che sforzi del genere potevano costarle la vita?!?
Nel sentire il conciso resoconto di Max Isabel sbuffò e distolse lo sguardo da lui. - No, non ci posso credere! Quella ragazzina è... è peggio di te! - commentò incredula. Tornò a studiare il suo volto teso. Probabilmente non si è nemmeno accorta di essersi connessa con te. Certo che deve essersi sentita davvero male per averti fatto dare di stomaco a quel modo... -
- Non mi ci far pensare, ti prego! - Il giovane si passò una mano fra i capelli con fare nervoso. - Vorrei tanto fare una scappata a casa e vedere come stanno veramente le cose... -
- Chiedi un permesso, no? -
- Non posso, Linda ci ha appena affidato un lavoro alquanto pesante. E ad essere sinceri anche quello mi preoccupa un bel po’... -
- Perché? -
- Vuole che raccogliamo tutti i dati degli ultimi quattro giorni e ne facciamo un’analisi comparata entro stasera. Sono sicuro che non è stata un’idea del direttore... -
Isabel lo osservò con ansia. - Credi che possa essere a causa di quello che...? -
Lui scrollò le spalle. - Non vedo altro motivo. Non dobbiamo cercare qualcosa di specifico, vuole tutto. Tutto. -
La ragazza serrò le mani a pugno, spazientita. - E cosa pensa di scoprire? Il segnale di Batman? -
Suo malgrado Max sorrise. - Chi lo sa? In fin dei conti, io non avevo alcuna idea che esistesse un meccanismo di trasporto come quello che hanno usato per prelevarci... -
- Vorrei tanto sapere perché nessuno ci ha mai parlato di quella maledetta base! -
- Piacerebbe saperlo anche a me. E questo è un altro motivo per cui dovrò andare a... casa... quanto prima. - Le accarezzò una guancia col dorso della mano. - Ma solo dopo la nascita di Natalie. Non voglio mancare l’arrivo di mia nipote... -
Lei ricambiò il sorriso, grata, poi il suo sguardo si spostò oltre le spalle del fratello. - La virago ti sta cercando. Ci vediamo più tardi a pranzo -
- Certo. Virago? - chiese un attimo dopo, senza capire.
- Linda Hathaway. Ti divora con gli occhi, non te n’eri accorto? - Con un sorrisetto malizioso agitò la mano in segno di saluto e rientrò nel locale che condivideva insieme ad altri due ricercatori.
L’assistente osservò Max varcare la soglia del laboratorio e lo seguì chiudendosi la porta alle spalle. - Non abbiamo molto tempo per questo lavoro, quindi spero che tu abbia finito con le telefonate personali - Calcò sull’ultima parola ed il giovane le diede un rapido sguardo.
- Scusa, ho i nervi a fior di pelle... - Linda Hathaway scosse leggermente la testa. - C’è stato un guasto ai rilevatori della Nasa, qualche giorno fa, e adesso hanno bisogno delle registrazioni di tutti gli osservatori radioastronomici del paese per poter ricostruire i dati mancanti di quel periodo. E naturalmente abbiamo soltanto poche ore a disposizione per mettere insieme ogni cosa e consegnarla a quelli di Washington... -
Nell’udire le sue ultime parole Ernie si girò di scatto verso di lei. - Vuoi dire che vengono a prenderle di persona?!? E da quando in qua usano i fattorini? Se hanno tanta fretta di ricevere quei dati perché non possiamo metterli in rete? Santo cielo, hanno un sistema di protezione uguale a quello della Casa Bianca!!! -
La donna si strinse nelle spalle. - Non so che dirti, a parte il fatto che da qualche tempo le misure di sicurezza sembrano non essere mai sufficienti... -
- Sì, l’avevo notato - fu la secca risposta di lui.
Max assistette in silenzio al rapido scambio di frasi, cercando di digerire le informazioni appena fornitegli. A quanto sembrava la distruzione della base aliena sottomarina aveva avuto delle conseguenze inaspettate, e probabilmente la cosa aveva messo in allarme la ristretta cerchia di persone che conoscevano la verità. Poteva ritenersi fortunato per il fatto che nessuno fosse venuto a prelevarlo...
Da quel momento né lui né gli altri ebbero un attimo di respiro. Il lavoro era lungo e richiedeva molta attenzione, e l’unica pausa che riuscirono a concedersi fu mezz’ora per il pranzo a turni alternati.
Isabel ascoltò attenta la succinta spiegazione di Max mentre, come di consuetudine, sedevano nel loro angoletto preferito mangiando i tramezzini presi al distributore automatico. Avevano trovato per caso quella panchina mezza sgangherata ad un centinaio di metri dall’ingresso dell’osservatorio, un po’ nascosta dietro alcuni cespugli, e ci andavano sempre, a meno che non piovesse a dirotto. Era l’unico luogo in cui si sentissero sicuri di poter parlare senza il timore di venire ascoltati, e inoltre nessuno avrebbe notato l’incredibile quantità di tabasco consumata da Isabel. Da quando era rimasta incinta, infatti, la ragazza aveva aumentato notevolmente l’uso di salsa piccante e più di una volta si era resa conto di essere oggetto di strane occhiate da parte di chi la vedeva mangiare...
- Mi dispiace ma devo rientrare. Abbiamo davvero pochissimo tempo per finire quel lavoro... - disse Max togliendo dalle mani della sorella il cellophane che aveva avvolto il suo tramezzino e buttandolo nel bicchiere di carta ormai vuoto.
Isabel seguì distrattamente i suoi gesti. - Pensi davvero che la causa di tutto sia stata l’esplosione nella base? - chiese con voce sommessa.
- Mi sembra abbastanza probabile. Io non so quanto fosse grande né cosa sia accaduto con esattezza, ma di sicuro deve essere stata liberata un’enorme quantità di energia... Dio, non posso pensare a quante persone siano morte... -
- Non sei stato tu ad ucciderle... - cercò di consolarlo lei.
- Ma sono morte perché io ero lì! -
- Max, smettila! - Isabel gli prese le mani e le strinse forte tra le proprie. - Sono stati loro a catturarti, a prendere te e Liz! Volevano uccidervi, lo hai dimenticato? E se quell’uomo ha deciso di salvarvi e, allo stesso tempo, distruggere tutto quanto, cos’avresti potuto fare per fermarlo? E poi, ammettilo: per impedire la morte di Liz l’avresti distrutta tu stesso, quella base, e senza il minimo rimorso! Quindi adesso vedi di farla finita, ok? -
Il giovane chinò il capo e rimase a lungo a fissare le loro mani intrecciate. Poi rialzò la testa ed incontrò i suoi occhi. - Sono davvero così spietato? - chiese sottovoce. Prima che lei potesse rispondergli abbassò le palpebre e una lacrima brillò tra le sue ciglia. - Sì, hai ragione, lo avrei fatto... - ammise con tono di sconfitta.
- E ne avresti sofferto, e il senso di colpa ti avrebbe perseguitato per il resto della vita. E’ per questo che sei un grande re, Max. Perché non ti tiri indietro quando si tratta di prendere decisioni difficili, e sei disposto a pagare il prezzo delle tue scelte. -
- Questo non cambia il fatto che molta gente sia morta a causa mia... - bisbigliò lui.
- E altra ancora ne morirà, stanne certo! Ma è inevitabile. Perché tu rappresenti il potere, e per questo ci sarà sempre qualcuno che cercherà di eliminarti. In tutti i modi possibili, senza preoccuparsi di fare vittime innocenti... La tua, la nostra, è una lotta senza quartiere che non avrà mai fine. Su Antar, e perfino qui! E’ triste, certo, ma noi abbiamo il diritto di sopravvivere, e di difendere le persone che ci sono care... -
Max serrò le labbra in una linea sottile e annuì lentamente. Sì, Isabel aveva ragione. Il loro era un destino di morte, comunque e in ogni caso, e tutto quello che poteva fare era cercare di agire nel migliore dei modi, proteggendo la sua gente e la sua famiglia con ogni mezzo possibile.
La ragazza si piegò in avanti e gli diede un bacio sulla guancia. - Te la stai cavando benissimo, credimi... - disse piano, poi lasciò andare le sue mani e radunò i resti del loro pranzo. - Avanti, si torna al lavoro! -
Poco prima delle quattro e mezza Linda Hathaway consegnò al direttore dell’osservatorio una piccola pila di cd. - Ecco, qui sono raccolte tutte le registrazioni e le analisi dei dati che ci hanno chiesto. E’ stata dura ma ce l’abbiamo fatta: Langdon ed Evans sono una grande squadra... -
- Sì, lo so. Ah, questo deve essere il fattorino! - Così dicendo Burton ammiccò alla sua assistente. Anche lui era rimasto sconcertato alla notizia che avrebbe dovuto consegnare i dischi ad una persona venuta appositamente da Washington, e la definizione che ne aveva fatto Ernie gli era sembrata molto appropriata... Controllò l’orologio a parete. Sì, esattamente l’ora indicata. Quelli di Washington dovevano essere davvero impazienti... Premette il pulsante dell’interfono e la segretaria gli confermò i suoi sospetti. “- Dottor Burton, è arrivato il signor Roich -”
- Bene, Donna, lo faccia accomodare, grazie. -
Quando la porta si aprì apparvero tre uomini molto alti e ben piazzati, che lasciarono perplesso il direttore.
- Roich - si presentò il più anziano del gruppetto, che tuttavia non doveva superare la quarantina.
- Salve. Sono Andrew Burton, e lei è la mia assistente, Linda Hathaway -
Per tutta risposta Roich fece un piccolo cenno del capo e fissò i dischi che Burton teneva ancora in mano.
Accortosi della direzione del suo sguardo l’uomo si affrettò a porgerglieli. - Ecco, qui c’è tutto quello che i nostri strumenti hanno registrato dal 30 dicembre al 2 gennaio e un’analisi comparata dei dati. Abbiamo fatto del nostro meglio col poco tempo che ci avete messo a disposizione... -
- Ne sono certo. Adesso, per favore, faccia venire qui Max e Isabel Evans -
La richiesta lo lasciò di stucco. - Scusi? -
Accanto a lui Linda sentì il cuore mancarle un battito. Come facevano a sapere di loro? E perché volevano vederli? -
- Lei si limiti a chiamarli -
Un po’ risentito per il tono di comando usato da Roich, Burton attivò di nuovo l’interfono e avvertì la segretaria.
Pochi minuti dopo i due fratelli fecero il loro ingresso ma, nel vedere gli uomini in piedi davanti alla scrivania del direttore, Max si spostò di lato in modo da coprire Isabel. - Dottor Burton... - disse fingendo una calma che non provava.
- Max, questi signori hanno chiesto di voi. Prego, accomodatevi... - li invitò ad avanzare, tuttavia Max rimase immobile davanti alla sorella.
- Abbiamo avuto l’incarico di portarvi con noi - disse Roich senza accennare a presentarsi.
- Davvero? - mormorò Max con tono sarcastico.
- Occorre qualcuno che interpreti i dati -
- Allora non c’è bisogno che venga anche mia sorella, dal momento che non ha lavorato a questa ricerca... - obiettò prontamente lui.
- Dovete venire tutti e due -
- Ho detto di no. Isabel, vai via - Si rivolse a lei senza distogliere lo sguardo dall’uomo che era evidentemente al comando, un’espressione di gelida sfida negli occhi.
Roich s’irrigidì. Aveva ricevuto l’ordine di prelevare i fratelli Evans, ed era stato avvertito di usare grande cautela perché potevano essere molto pericolosi. L’apparente aspetto innocuo di Max Evans non lo trasse in inganno, né gli sfuggì la durezza nei suoi occhi. Quel ragazzo era un lottatore, e se avesse deciso di reagire avrebbe di sicuro dato un bel po’ di filo da torcere. In casi come quello aveva imparato che era meglio accontentarsi piuttosto che rischiare di perdere tutto, così fece cenno ai suoi compagni di lasciar andare la donna, che si dileguò all’istante. - Dottor Burton, è stato un piacere - Girò sui tacchi e s’incamminò dietro il giovane Evans e la sua scorta.
Ammutoliti dallo stupore il direttore e Linda Hathaway rimasero a guardare la porta che Roich aveva lasciato aperta.
- Che diavolo significa tutto questo? -
- Non ne ho idea. Guarda se Isabel Evans se n’è già andata - Burton si grattò pensoso una tempia. - Non posso credere che si siano portati via uno dei miei collaboratori! E’ inaudito! -
La donna fu di ritorno dopo pochi minuti. - La sua auto non c’è più. Vuole che la segua? -
- No, non importa. Passerò io da lei tornando a casa... Vattene anche tu, Linda, è stata una giornata faticosa per tutti... -
- Grazie, dottore. Ci vediamo domani, allora. -
Lui la salutò con un sorriso stanco poi si mise a riordinare le carte sulla scrivania e un’ora più tardi spense il computer e le luci e se ne andò dopo aver salutato Nicole Bentley, di turno quella notte. Lavorava all’osservatorio di Roswell da dodici anni e mai, prima di allora, era capitato qualcosa del genere... Non riusciva a capire perché quell’uomo avesse voluto portare con sé Max Evans. Per quanto avesse dimostrato ben presto di essere molto in gamba, si trovava lì soltanto da poche settimane e quindi avrebbe avuto più senso che fosse Ernie Langdon, ad andare a Washington... Ma Roich aveva subito chiesto dei due Evans. Perché? Non vedeva l’ora di arrivare a casa di Isabel per saperne qualcosa di più.
Quando giunse davanti all’elegante villetta in cui viveva la giovane donna scoprì che non c’era nessuno. Si guardò intorno indeciso poi risalì in macchina. “Bene, a quanto pare non mi rimane altra scelta che parlare con sua moglie. Accidenti, questa storia non mi va proprio giù!”
Una decina di minuti più tardi veniva fatto accomodare in casa da una bella brunetta dall’aria seria e risoluta. - Signora Evans? - la salutò incerto. Vero che Max era molto giovane, ma quella ragazza sembrava poco più che adolescente...
- Sì, sono io. Lei è il dottor Burton, se non erro? -
- Infatti - rispose l’uomo, vagamente sorpreso.
- Mia cognata mi ha spiegato cos’è successo, e immaginavo che sarebbe venuto qui... - Lo invitò a seguirla nel soggiorno, dove si trovavano anche Morgan ed Isabel, e dopo aver fatto le dovute presentazioni sedette sul divano e fissò i suoi grandi occhi scuri sul nuovo arrivato. - Mi può dire con esattezza che tipo di ricerca aveva affidato a Max e al suo collega? - chiese, la voce ferma e le mani serrate in grembo. Era pallida, tesa, ma niente altro tradiva l’enorme angoscia che le attanagliava il cuore.
- I rilevatori della Nasa sono rimasti accecati da una tempesta elettromagnetica di grandissima potenza, la notte di capodanno, e tutti gli osservatori radioastronomici sul territorio statunitense che hanno continuato a funzionare devono far pervenire copia di ogni dato a Washington. Quello di Roswell non è uno degli impianti più grandi del paese, certo, ma un evento di tale portata richiede necessariamente l’ausilio di ogni risorsa disponibile e così anche noi abbiamo fatto la nostra parte. -
- Anche negli altri casi è stato uno dei ricercatori a portare personalmente le informazioni a Washington? Non sarebbe stato più semplice mettere tutto in rete? -
- Certo, e anche più rapido, ma a quanto pare hanno preferito fare in questo modo, penso per ragioni di sicurezza. E presumo che abbiano seguito la stessa procedura ovunque. L’unico fatto strano è che abbiano chiesto proprio di suo marito e di Isabel. In fin dei conti era Ernie Langdon il responsabile della ricerca... -
- Sapevano i nostri nomi. Sapevano che lavoriamo lì - precisò Isabel, strofinandosi nervosamente i palmi delle mani sulle cosce avvolte in un morbido tessuto di lana grigio scuro.
- Com’è possibile? - domandò Liz guardando Burton dritto negli occhi.
- Non ne ho idea, davvero. Comunque, ho avuto la netta impressione che non abbiano gradito il rifiuto di Max a far andare anche la sorella, con loro. -
- Posso immaginarlo... - borbottò la ragazza passandosi le dita fra i capelli. - Se le cose stanno come credo, posso proprio immaginarlo... - Si alzò di scatto, costringendo l’uomo a fare altrettanto. - Grazie, dottor Burton, per essere venuto. E’ stato davvero molto gentile. Buona sera. -
- Buona sera, signora Evans. Isabel, signor Coltrane... -
Non appena ebbe richiuso la porta alle sue spalle Liz si volse a guardare la coppia. - Dietro tutta questa storia c’è l’FBI, ne sono sicura. Non può essere altrimenti -
Isabel si morse nervosa il labbro inferiore. - Sono dei veri bastardi. Per quel che ne sanno, può essersi trattato di un fenomeno naturale eppure la prima cosa che hanno fatto è stata prelevare Max! Alla faccia della democrazia! -
- Nessuno di noi verrà mai trattato con giustizia, e tu lo sai perfettamente. Ma non gli permetterò di prendersela con lui come e quando gli pare! Max non ha fatto niente e loro devono lasciarlo andare. Subito, adesso! - Liz si diresse in cucina e sorrise suo malgrado nel vedere Jason pulire col bavaglino il mento di Ethan sporco di crema di verdure. - Ragazzi, venite di là. Voglio che ci siate anche voi mentre decidiamo cosa fare... -
Shiri, con Claudia saldamente tenuta sul fianco, stava riempiendo d’acqua un biberon e nell’udire la voce della madre si volse di scatto. - Allora... papà è nei guai? - chiese preoccupata.
- Spero di no, ma saperlo a Washington non mi piace per niente -
- Lo zio Michael è arrivato? -
- Dovrebbe essere qui a momenti... -
Si erano appena messi tutti a sedere quando udirono la porta aprirsi. Era Maria, con Mathias che gorgogliava allegro nel suo passeggino mentre scalciava la coperta in cui era avvolto. - Ciao, Liz. - Diede una rapida occhiata oltre le sue spalle. - Michael non c’è? -
Liz l’aiutò a togliersi il cappotto. - Lo stiamo aspettando da un momento all’altro: mezz’ora fa ha chiamato avvertendo Morgan che si era fermato ad Elkins per fare benzina. -
- E tu come stai? -
La ragazza scosse leggermente la testa. - Sono furibonda, ma a parte questo sto bene. E’ venuto il capo di Max e ci ha spiegato come sono andate le cose, confermando i nostri sospetti. Adesso dobbiamo decidere in che modo riportarlo a Roswell... - Riepilogò rapidamente quanto avevano detto Isabel ed Andrew Burton, e quando ebbe terminato il resoconto Maria la fissò perplessa.
- Senti, tutto sommato potrebbe anche essere vero. Voglio dire, magari non vogliono altro da Max che essere a loro disposizione per qualsiasi chiarimento su quei dati... -
- Maria, Max lavora all’osservatorio da poco più di un mese, Ernie da nove anni! Se davvero avessero avuto bisogno di qualcuno avrebbero preso lui, non credi? -
A quell’osservazione Maria non seppe cosa obiettare e con un sospiro rassegnato sospinse il passeggino verso il divano, dove si lasciò cadere stancamente. - Che intendete fare? -
- Non lo sappiamo, ancora. Ma una cosa è certa: bisogna andare a Washington e fargli sapere che non possono prelevare uno di noi in questo modo e pensare di passarla liscia! - fu la pronta risposta di Isabel.
- Washington è una città piuttosto grande. Come pensi di riuscire a trovare Max e quelli che lo tengono prigioniero? -
- Per questo abbiamo bisogno di Michael. Lui può sentirlo e individuare il punto esatto in cui si trova... -
- E poi? Fa saltare in aria il palazzo e tutto quello che c’è dentro, compreso Max? - commentò sarcastica Maria.
Isabel la guardò come se fosse stupida. - Una volta ho detto a mio fratello che non poteva pensare di risolvere ogni problema distruggendo fisicamente i responsabili, quindi non oserei mai suggerire una cosa del genere! -
- E allora cosa dovrebbe fare Michael? Entrare e dire: Ehi, liberatelo e prendete me al suo posto?!? -
Stavolta fu Liz a fissarla incredula. - Maria! No! Nessuno di noi lo vorrebbe! E se anche lui decidesse di farlo glielo impediremmo! - Le prese una mano e la strinse ansiosa. - Maria, credimi, non potrei mai permettere un simile scambio... -
Due grosse lacrime rotolarono lungo le guance della ragazza, che tirò su col naso senza neppure rendersene conto. - E allora perché Michael mi ha telefonato per dirmi di prenotargli un biglietto aereo di sola andata per Washington? - chiese con voce spezzata.
Quella domanda lasciò Liz interdetta. - Io... non ne ho idea... - mormorò, poi un lampo le attraversò le iridi vellutate. - Forse ritiene che, una volta lasciato andare Max, quella gente potrebbe bloccarli di nuovo all’aeroporto, e quindi pensa di tornare a Roswell usando... usando i graniliti! In questo modo nessuno potrebbe impedire la loro fuga! - Man mano che parlava il suo volto andò illuminandosi. - Sì, certo! Se riesce a rintracciare Max e ad allontanarsi dai federali insieme a lui, possono teletrasportarsi a casa! E dubito fortemente che l’FBI oserebbe presentarsi qui per protestare!... -
- Giusto! - Jason la guardò eccitato, dopodiché si grattò pensoso il mento. Ma se io andassi con lo zio Michael faremmo ancora prima... Per arrivare a Washington ci vorranno almeno tre ore di volo, mentre io... -
- No, Jason, non pensarci neppure. - lo ammonì la madre. - Non ho alcuna intenzione di dovermi preoccupare anche per te! Sono sicura che Michael sarà capacissimo di cavarsela da solo! -
- Puoi sempre tenerti in contatto mentale con lui ed intervenire soltanto in caso di necessità ... - suggerì Shiri.
- E io mi collegherò a Max! Sì, mi sembra un’ottima idea! - esclamò Isabel soddisfatta.
Morgan le diede un’occhiata di sbieco. A lui non sembrava un’ottima idea, invece, tutt’altro... Aveva cominciato a capire come l’uso dei poteri mentali di cui quei ragazzi erano dotati non fosse poi così semplice e non voleva che Isabel, nelle particolari condizioni in cui si trovava, potesse risentirne. Per quanto sicuramente non le facesse bene neanche lo stato di stress in cui l’aveva gettata quella faccenda!
- Maria, stai tranquilla, spiegheremo ogni cosa a Michael e lo convinceremo a non fare nulla di impulsivo. Finché si tratterà di cercare Max non correrà alcun pericolo, e quando poi lo avrà trovato sarà lui stesso ad impedirgli di commettere sciocchezze!... - Liz cercò di calmare l’amica.
- Michael si sente terribilmente responsabile della sicurezza di Max. Tutta questa storia dell’essere il suo braccio destro, il suo generale... è come se avesse infine scoperto il motivo della sua esistenza, il perché è stato mandato qui, sulla Terra, insieme a lui e ad Isabel - “e a Tess” aggiunse dentro di sé con disgusto. Anche se non lo dà a vedere, si sente investito della protezione di tutti quanti noi esattamente come fa Max, e io so che sarebbe disposto a qualsiasi cosa pur di salvarlo... -
Le sue parole accorate fecero fremere Isabel, che abbassò gli occhi sulle proprie mani ora intrecciate in grembo. - Maria ha ragione - ammise. - Quando... quando io e Michael ci rifiutammo di seguire Max su Antar, e lui venne catturato da Volnis e poi finì con lo sposare Tess, noi... ecco... ci sentimmo in colpa per quello che era successo e... E’ vero, per impedire che a Max venga fatto del male faremmo di tutto... anche... anche scambiare la nostra vita per la sua... -
- Tu sei pazza! - escalmò Morgan inorridito. - No, tu non puoi davvero pensare di poter fare una cosa simile! Soprattutto adesso che sei incinta! Non puoi sacrificare anche nostra figlia! -
La giovane donna si raddrizzò bruscamente e gli pose una mano sul braccio. - Non permetterò che accada mai niente a Natalie! - disse affranta. - Ma non posso neppure starmene ferma a guardar soffrire le persone che amo! Incluso te... - Accennò un debole sorriso. - Io posso connettermi a Max senza alcun pericolo, credimi, e Shiri controllerà sia me che Jason. E ti prometto che non appena sentirò che qualcosa non va per il verso giusto tornerò indietro... -
L’uomo la fissò a lungo negli occhi, consapevole della lotta interiore che la stava dilaniando. Per lei il fratello era sempre stato molto importante, il punto di riferimento della sua vita, e non poteva sopportare che stesse male. E al contempo voleva proteggere Natalie e... lui. Non era facile amare una ragazza come Isabel, ma gli era impossibile farne a meno. - D’accordo - cedette.
- Grazie. - Si protese a baciarlo, teneramente ma con passione, sentendo come propri i suoi timori, le sue incertezze. E ancora una volta provò un’enorme riconoscenza per il destino che l’aveva condotta da lui.

Aveva quasi smesso di nevicare quando l’aereo rullò sulla pista di atterraggio. Non appena i segnalatori delle cinture di sicurezza si spensero tutti i passeggeri si alzarono e cominciarono a radunare i loro bagagli. A dire il vero non c’era molta gente, ma alcuni avevano così tante buste piene di cianfrusaglie che Michael dovette aspettare quasi un quarto d’ora prima di poter scendere dal velivolo. Nonostante le condizioni del tempo il viaggio si era svolto senza problemi e lui ne aveva approfittato per riflettere su quello che avrebbe dovuto fare. In realtà, finché non avesse scoperto in quale palazzo fosse stato condotto Max, c’era ben poco da pianificare, però aveva pensato ad alcune interessanti soluzioni e ora smaniava dal desiderio di passare all’azione. Il fatto di non avere alcuna valigia con sé gli permise di lasciare l’aeroporto in pochissimo tempo e riuscì a prendere l’ultima navetta per la capitale risparmiando così un bel po’ di soldi, dato che il taxi gli sarebbe costato di sicuro una discreta cifra.
Decise di scendere al capolinea, la stazione dei pullman, e di cominciare a monitorare la zona da lì. Non conosceva affatto la città quindi un posto valeva l’altro, in ogni caso la stazione si trovava in centro e dunque era un ottimo punto da cui avviare la ricerca.
Camminò lentamente, badando a non dare nell’occhio, la mente concentrata al massimo per avvertire la pur minima emissione di energia, che lo avrebbe avvertito della vicinanza del suo amico. Quando si ritrovò a passare davanti alla Casa Bianca gli venne quasi da ridere. La maggioranza della gente credeva davvero che il presidente degli Stati Uniti fosse il capo del mondo libero, e non sapeva che - al contrario - i reali detentori del potere erano i componenti del suo staff, persone che se ne infischiavano delle sue direttive e continuavano a tessere i loro meschini intrighi... Oh, sì, le cose andavano nello stesso modo un po’ ovunque, era successo perfino su Antar!, ma ciononostante non poteva non disprezzare l’incapacità, spesso mescolata all’indifferenza, con la quale uomini posti ai massimi vertici si occupavano della vita di milioni di esseri. Insomma, possibile che l’unica leva in grado di muovere anche il più piccolo ingranaggio fosse il potere personale?!? Ma in fin dei conti, se ci pensava bene, cos’avevano ricavato tutti quelli che avevano messo da parte i propri interessi per aiutare gli altri? Solo dolore e morte. Bisognava essere davvero santi, o idioti, per lottare per qualcuno sapendo di ricevere questo in cambio! Bisognava essere come Max, o come lui... Sogghignò amaramente dentro di sé. Ma loro due non erano né santi né idioti: erano ibridi, metà alieni e metà umani, e la Terra doveva ancora capire con chi aveva a che fare!
L’inconfondibile formicolìo mentale che percepì nel passare nei pressi di un tozzo edificio quasi del tutto immerso nel buio, al contrario degli slanciati grattacieli che lo affiancavano, lo fece fermare di colpo. “Max!” Si affrettò a ritrarsi sul marciapiedi opposto, volendo capire bene quale fosse la mossa migliore da fare, quando vide una porta laterale aprirsi ed una persona uscire. “Max?!?” Incredulo, fece un giro su se stesso temendo un agguato ma poi, visto che non c’era nessun altro, attraversò di nuovo la strada e raggiunse l’uomo. - Max? - chiamò sottovoce.
Nell’udire il proprio nome il giovane s’irrigidì. - Michael! Che diamine ci fai, qui? -
- Non lo immagini? Rappresento i rinforzi!... - Si guardò di nuovo intorno, sconcertato. - Ti hanno lasciato andare così? Come se niente fosse? - chiese sospettoso.
- Già. Senti, sono molto stanco, ti spiace se andiamo da qualche parte? Ho bisogno di almeno un litro di caffè... -
- Figurati. Ho percorso non so quante centinaia di miglia per raggiungerti e salvarti, quindi il minimo che possa fare è cercare con te un bar e tenerti compagnia finché potremo tornare a casa! -
Il tono acre di Michael fu come una frustata per Max, che spinse più a fondo le mani nelle tasche del giaccone che indossava. - Scusami, sono davvero stanco ma non appena saremo lontani da qui ti racconterò tutto... -
- Sì, sarà meglio che tu lo faccia. Vieni, c’è un bar proprio laggiù, dietro l’angolo. Ci sono passato davanti meno di dieci minuti fa -
Poco dopo sedevano uno di fronte all’altro ad uno dei tanti tavolini di un bar aperto ventiquattr’ore su ventiquattro. Niente di elegante, ma era confortevole e offriva un ottimo riparo dall’aria gelida che c’era fuori. Era presente solo un altro avventore, e una radio trasmetteva musica a basso volume. Con un sospiro di sollievo Max si portò alle labbra la tazza colma fino all’orlo di caffè bollente e ne bevve un lungo sorso.
- Tieni, prova questi - Michael spinse verso di lui il piatto con sopra dei muffins ai mirtilli e la bottiglia di salsa piccante. - Sembri sfinito... - disse vagamente sorpreso. Non riusciva a capire cosa potesse essergli accaduto. Non aveva l’aria di essere stato sottoposto a torture, né fisiche né psichiche, eppure poteva sentire la sua intima stanchezza. Che diavolo gli avevano fatto?
Grato, Max mangiò piano i dolcetti e quando ebbe finito la sua tazza di caffè la riempì di nuovo e bevve con avidità.
- Allora? Isabel era sconvolta per la tua partenza, e Liz... beh, puoi immaginare benissimo come stesse... -
- Ce l’hai... ce l’hai il cellulare? Così la chiamo... -
- Non preoccuparti, sanno già che ti ho trovato. Io sono in contatto con Jason, e Isabel con te. Che cosa ti hanno fatto? - domandò pressante.
- Domande. Una quantità allucinante di domande - fu la laconica risposta.
- Tutto qui?!? - fu la prima reazione di Michael, prima di mordersi la lingua. Non dovevano essere state domande semplici, visto come lo avevano ridotto... Ma accidenti, tutti loro avevano temuto chissà quali orribili sevizie e invece... Domande. Nient’altro che domande. Avrebbe voluto fargliene un po’ anche lui, a dire il vero, però forse era il caso di rinviare a dopo. - Ehm... senti, Max, noi... noi avevamo pensato che fosse più sicuro andarcene... ecco, andarcene da soli... io e te... Sai, nel caso avessero bloccato tutte le vie di fuga... Ma se non te la senti possiamo anche tornare in aeroporto e vedere quando c’è il primo volo per il New Mexico... -
- No, non ce n’è bisogno. Anch’io voglio andare a casa il prima possibile... Fammi soltanto finire il caffè, ok? -
- Ok - Michael lo guardò da sotto le ciglia. Forse anche Max aveva avuto paura di venire maltrattato, e il fatto che si fossero limitati a fargli delle domande poteva averlo esaurito per la tensione... Dio, avrebbe dato non sapeva cosa pur di scoprire la verità! Ma se Max aveva deciso di non dirgli niente, almeno per il momento, beh, non c’era nulla che potesse fargli cambiare idea e lo sapeva benissimo! Attese quindi che finisse di sorseggiare la bevanda dopodiché mise alcuni dollari sul tavolo e si alzò.
Max lo seguì in silenzio poi, quando furono al sicuro in una pozza di buio, lo abbracciò forte. - Grazie per essere venuto a cercarmi, Michael. Non puoi capire cos’abbia provato nel trovarti accanto a me... Sei un vero amico... -
Sorpreso e commosso il giovane lo strinse a sua volta. Poteva sentire il suo corpo tremare debolmente e avrebbe tanto voluto fare qualcosa per aiutarlo a riprendersi. Ma sì, c’era una cosa che poteva fare! Riportarlo indietro, da Liz. Era Liz la migliore medicina per lui... Lo trattenne ancora per qualche secondo contro di sé poi fece un passo indietro. - Ce la fai a richiamare i graniliti? Si torna a casa, Spock! -
Il ragazzo sorrise a quella battuta, poi chiuse gli occhi e si concentrò finché sotto le sue dita poté avvertire la presenza dei lisci ovali pieni di una quantità incalcolabile di energia.

Nel momento stesso in cui apparvero al centro del soggiorno Liz emise un gemito e si slanciò verso di loro. - Max! - Gli prese il volto fra le mani e lo baciò con tutta l’anima, senza neppure lasciargli il tempo di far scomparire i graniliti.
Ancora seduta accanto a Morgan Isabel si abbandonò contro la sua spalla, sentendosi come svuotata per il sollievo. - Signore, ti ringrazio... - mormorò con un filo di voce mentre il marito le accarezzava piano la nuca.
- Michael? - Maria si avvicinò trepidante al ragazzo. Apparentemente sembrava tutto a posto. - Michael, stai bene? - chiese.
- Sì. Sì, sto bene. Non ho dovuto fare niente, in realtà... - ammise prima di prenderla fra le braccia.
- Niente... - ripeté lei, tra il riso e il pianto. - Santo cielo, Michael, mi è bastato saperti a Washington per farmi stare male! - bisbigliò stringendolo.
Quando Max e Liz si separarono per respirare Isabel si schiarì la gola con intenzione. - Max, perché non vieni a sederti qui e ci racconti come sono andate le cose? Roich e gli altri erano agenti dell’FBI, vero? -
- Già - Niente affatto sorpreso per il fatto che la sorella avesse intuito la reale identità degli uomini che si erano presentati all’osservatorio, il giovane si accomodò sulla poltrona e passò le braccia intorno alla vita di Liz, accovacciatasi sulle sue ginocchia. - Volevano sapere se fossi in qualche modo coinvolto in quello che era successo. La tempesta elettromagnetica che ha oscurato i rilevatori di Cape Canaveral e di Houston è stata così forte da disturbare perfino i segnali dai satelliti, e volevano accertarsi che non stessimo combinando qualcosa. Volevano essere sicuri che non si trattasse di qualche... qualche trucco alieno per nascondere chissà che. Ma si sono limitati alle domande. Davvero, non mi hanno fatto niente. Sono... solo stanco, tutto qui. Mi hanno interrogato ininterrottamente per più di cinque ore, poi è arrivata una telefonata. E a quel punto è finita. Sono stato accompagnato fino ad una porta di servizio, mi è stato tolto il cartellino da visitatore, e poi... fuori. Così, senza alcuna spiegazione né tanto meno delle scuse. Però... questo è servito a ricordarmi che ci tengono sempre sotto controllo. Sanno dove lavoriamo, cosa facciamo... Non conoscono la reale portata dei nostri poteri, ma sono intenzionati a non perderci di vista. Mai. Sono in pochissimi a sapere di noi, eppure non si lasciano sfuggire niente. Sanno che eravamo in Florida. -
- E allora? C’erano migliaia di turisti, oltre a noi! - protestò Isabel.
Max sorrise davanti alla reazione della sorella. - A loro è sembrata una strana coincidenza, tutto qui. -
- Tutto qui. Sì, certo, come al solito. Alla fine tutto riconduce a noi... Forse dovrei cominciare a sentirmi importante -
- Isabel, non c’è niente che possiamo fare se non continuare ad andare avanti e vivere la nostra vita, per quanto grande sia il loro desiderio di rinchiuderci da qualche parte e buttare via la chiave... Solo così potremo vincere... -
La voce pacata di Liz fece sospirare rumorosamente la ragazza. - E’ inutile discutere con voi. Vi basta essere di nuovo insieme e riuscite a perdonare qualsiasi torto vi abbiano fatto! -
- Non è così - la rimproverò l’amica con dolcezza. - Anche io vorrei che ci lasciassero in pace, ma siccome so che non lo faranno mai non intendo sprecare la mia esistenza odiandoli... Preferisco dedicare le mie energie a Max e ai nostri figli. Credo che sia molto più costruttivo. Non trovi? -
Isabel si toccò delicatamente il ventre arrotondato dalla gravidanza. - Non sopporto l’idea che possano fare quello che vogliono senza che nessuno glielo impedisca! Qualcosa mi dice che non hanno chiesto alcuna autorizzazione prima di prelevarti, Max... -
- Lo penso anch’io. E posso soltanto ringraziare il cielo che mi abbiano rilasciato. Vivo. Non ero certo che lo avrebbero fatto, e temevo che venissero a prenderti per confrontare le tue risposte con le mie. Solo quando ho visto Michael ho capito che ero libero, che era davvero finita. Che sarei tornato a casa - Strinse maggiormente i fianchi di Liz, la cui testa poggiava contro il suo petto. - Ma ogni volta è più difficile - aggiunse con un filo di voce, - temo di non farcela... -
- E’ normale avere paura, Max - intervenne Morgan guardandolo con compassione. - Avete dovuto affrontare così tanto orrore, tanta violenza, che mi sorprende sempre vedervi ancora capaci di scherzare, di amare... Di sperare... Siete dei ragazzi incredibili, e sono sicuro che continuerete a lottare comunque e in ogni caso. Perché avete... abbiamo... molto da perdere. Potete contare su di me, per qualsiasi cosa, lo sapete, vero? -
Max annuì lentamente, subito imitato da Liz e Maria. Michael si strinse nelle spalle con fare indifferente, e Isabel sorrise suo malgrado. Lavorare fianco a fianco aveva portato i due a conoscersi e a rispettarsi, lo sapeva benissimo. Come sapeva che quello che aveva fatto per Max Michael lo avrebbe fatto anche per Morgan. Non lo avrebbe mai ammesso, ne era più che certa, ma ormai lo considerava parte della famiglia e quindi lo avrebbe protetto allo stesso modo in cui cercava di proteggere tutti loro. Certo che fra lui e Max c’era di che sentirsi soffocare! Eppure i pericoli che li circondavano erano tali e tanti che era impossibile prendersela con quei due... Avevano ragione a preoccuparsi, e a cercare di difendere le persone che amavano. Erano così pochi quelli di cui potevano fidarsi...
Alla fine fu Shiri a spezzare il pesante silenzio venutosi a creare. Accennò a Ethan e Claudia, addormentatisi sulla trapunta in mezzo ai loro giocattoli. - Forse dovremmo andare tutti a dormire, adesso. E’ molto tardi, e almeno io ho bisogno di riposare un poco... -
Isabel la guardò, la fronte corrugata. - Sì, hai ragione. Ma... vedi di seguire il tuo stesso consiglio, tesoro. Stamattina Max si è sentito male per te. E non credo che gli serva qualche altro choc. Limitati a sognare, stavolta, ok? -
Shiri impallidì. Non sapeva che il suo malessere si fosse riflesso sul padre, evidentemente il trauma per la fatica era stato maggiore di quanto avesse immaginato... E Jason non le aveva detto nulla, il disgraziato! Si girò verso la madre, preoccupata, e difatti Liz la stava fissando con espressione sconvolta. - Shiri! -
- Io... io dormirò, questa notte. Ve lo prometto! Non... cercherò di raggiungerlo da sola, mai più. Io non voglio causare guai a nessuno... - Due lacrimoni le scivolarono lungo le guance, e Max protese una mano verso di lei. - Lo so, amore. Ma cerca di dormire, questa volta, e lascia che anche Bren riposi. Il suo non è un compito facile, e ha bisogno di tutte le proprie forze per portarlo avanti. Sa che tu ci sei, e questo è sufficiente. Credimi, Shiri, quando sarà il momento starete insieme, e niente potrà separarvi... -
- Come tu e la mamma? - bisbigliò lei con le labbra tremanti.
Max le accarezzò il viso asciugandole le lacrime con la punta delle dita. - Se è quello che vorrete, sì. -
Tirando su col naso la ragazzina annuì poi si alzò in piedi per dargli il bacio della buona notte prima di fare la stessa cosa con la madre. - Scusami... - sussurrò. Senza darle il tempo di rispondere passò a salutare anche gli altri e, dopo aver lanciato un’occhiata di sfuggita al fratello, se ne andò in camera sua.
- Cos’è successo, stamattina? - chiese Liz guardando dal marito al figlio maggiore.
- Shiri è entrata nei sogni di Bren senza l’aiuto di Jason, e lo sforzo è stato più grande di quanto potesse sopportare. In qualche modo ha cercato di attirare l’attenzione di qualcuno perché l’aiutasse, col risultato che Jason l’ha sentita e le ha dato una mano a tornare indietro mentre Max ha dato di stomaco nello stesso momento in cui lo ha fatto anche lei. Ma adesso spero abbia imparato la lezione. L’uso intensivo dei nostri poteri può esserci fatale, Jason, e tu lo sai benissimo -
Davanti al tono sommesso di Isabel il ragazzo chinò la testa, imbarazzato. - Lei voleva solamente stare con Bren. Pensava di essere in grado di farcela da sola... -
- D’accordo, allora è stato un errore di giudizio. Cercate di essere più prudenti, la prossima volta, d’accordo? -
Jason fece cenno di sì dopodiché mormorò un saluto e si ritirò nella propria stanza.
Liz si tirò un poco indietro per guardare il marito. - Perché non mi avete detto niente? Se lo avessi saputo non le avrei permesso di tenere sotto controllo Jason ed Isabel... -
- Lo avrebbe fatto ugualmente - le rispose Michael stesso. - Quella ragazzina sa essere testarda come voi due messi insieme. Quindi, se avete qualcosa da rimproverarle, mettetevi davanti allo specchio e pensateci su -
Maria lo fissò sbalordita. Il suo uomo dello spazio stava diventando davvero intuitivo! Incredibile!
- E sono curioso di scoprire cosa farà Max dopo la nascita di Natalie. - Si rivolse all’amico. - Prenderai i tuoi graniliti e scomparirai come al solito oppure lascerai che venga con te per guardarti le spalle? -
- Ci penserò quando sarà il momento - fu la secca risposta del giovane.
- Tipico... - borbottò Michael, poi si curvò sul passeggino e controllò Mathias. - Dorme ancora. Andiamo, Maria, prima che decida di svegliarsi per mangiare... -
- Anche noi ce ne torniamo a casa. Buona notte, Max, Liz... - Isabel strinse con affetto una spalla del fratello e sorrise alla cognata. - Ciao. -
- Ciao - Liz ricambiò il sorriso incerta. L’accenno ad Antar le aveva rovinato il piacere di riavere avuto Max. Era consapevole del fatto che in quell’occasione lui non le avrebbe permesso di seguirla, e odiava il pensiero di dover stare separati. Ma non quella notte, no. Per il momento, Max era tutto suo...
Dopo aver portato i gemelli nei loro lettini i due ragazzi si ritrovarono infine sotto le coperte. Max giaceva semisdraiato su Liz, con la testa poggiata sul suo cuore. Le aveva passato le braccia sotto la schiena e si teneva stretto a lei quasi temesse che qualcuno venisse a dividerli. I suoi occhi erano offuscati per la pena ed il respiro estremamente rallentato.
Liz aveva infilato una mano tra i suoi folti capelli e con l’altra gli accarezzava la pelle liscia e calda del dorso. Soffriva per lui, per le nuove ferite che quell’esperienza gli aveva inferto, e avrebbe voluto poter cancellare tutti i ricordi tristi dalla sua mente. Ma sapeva che non c’era altro che potesse fare se non fargli sentire il suo amore, la profonda tenerezza che provava per lui, e aspettare.
Non seppe dire quanto tempo fosse trascorso quando qualcosa le fece capire che Max stava per rivelarle la causa del suo turbamento. Forse un’impercettibile variazione nel suo respiro, oppure il modo in cui le sue dita le strinsero le spalle. Comunque fosse, concentrò tutta se stessa su di lui e ascoltò le parole appena sussurrate.
- Non c’era odio, in loro... né timore... Soltanto... indifferenza... Mi vedevano come... un oggetto... Non un essere umano, ma... una cosa... Da usare, e scartare quando non serve più... Era come se... se non esistessi realmente, ai loro occhi... Dovevo solo rispondere alle domande... sapendo che se non lo avessi fatto sarebbero venuti a prendere Isabel... - Emise un sospiro soffocato, quasi un singhiozzo. Rispondere sempre, senza mai contraddirmi... senza dire la verità ma sembrando sincero... Non ce la facevo più... Quando hanno smesso sono quasi svenuto per il sollievo... -
La ragazza abbassò le palpebre per trattenere le lacrime. Perché continuavano a fargli del male? Perché si rifiutavano di tener conto dei suoi sentimenti, delle sue emozioni? Max aveva i suoi difetti, certo, ma possedeva un’anima gentile e generosa, e non meritava tutta quella sofferenza...
- Stringimi, Liz... Ho bisogno di sentirti... -
- Certo, amore mio... Io sono qui per te... - Piegò un poco la testa verso di lui facendo scivolare al contempo le dita dalla sua nuca alla mascella costringendolo dolcemente a sollevare il viso e gli sorrise. Sono qui con te... - disse piano prima di baciarlo.
Le labbra di Max si schiusero e accolsero con avidità il suo bacio.
Un turbine di immagini fluì fra i due giovani, e molto più tardi, quando si addormentarono, le loro posizioni si erano invertite: stavolta era Liz a giacere sul corpo di Max, le cui braccia l’avvolgevano come un cerchio protettivo, e nei punti di contatto la loro pelle brillava di luminosità dorata rischiarando il buio della stanza.
Nel suo letto, Shiri spalancò gli occhi e rimase a fissare a lungo l’oscurità oltre la finestra. Poteva avvertire la sensazione di languido abbandono che avvolgeva le menti dei suoi genitori, la quieta rilassatezza di Jason, la cui capacità di assorbire senza apparenti conseguenze ogni avversità continuava a sorprenderla, il placido riposo di Claudia ed Ethan, beati nella loro innocenza. E poi il ricordo del suo sonno, leggero e raramente tranquillo, lo scintillìo dei suoi occhi quando si incontravano nel mondo dei sogni, e sentì un terribile vuoto nel cuore. - Bren... - Affondò il viso nel cuscino mentre rivedeva con la mente ogni minimo particolare di quei tratti forti e virili. Avrebbe voluto avere il coraggio di chiedere a Jason di accompagnarla da lui, di aiutarla a superare le infinite distanze che li separavano ma stranamente, da un po’ di tempo, la sua discreta presenza aveva cominciato a farla sentire a disagio. Per questo la notte prima aveva provato a raggiungerlo da sola. Aveva bisogno di lui, di sentirlo accanto a sé, di ascoltare il battito del suo cuore, il tepore delle sue mani sulla schiena... Cominciava a capire che i sentimenti che la spingevano verso Bren erano gli stessi che univano i suoi genitori ma non ne era spaventata, tutt’altro. Però c’erano delle volte in cui si sentiva sola e triste perché lui era così lontano, e forse avrebbe finito col dimenticarla oppure avrebbe incontrato qualcun’altra, o peggio ancora poteva succedergli qualcosa di brutto e lei non sarebbe stata al suo fianco per aiutarlo, per guarirlo... Non ce la faceva, no, non ce la faceva proprio a riaddormentarsi... Attenta a non far rumore si alzò, prese un pezzo di carta e una penna e scrisse poche parole prima di rivestirsi e uscire in punta di piedi.
L’aria gelida della notte fece condensare il suo fiato e pizzicare piacevolmente le guance. Camminò a passo svelto finché ebbe raggiunto la casa dei nonni e, dopo aver guardato con una smorfia l’orologio, si avvicinò alla porta d’ingresso e pose la mano sulla serratura. Quando fu all’interno si diresse senza esitare verso la camera da letto dove dormivano Diane e Phillip e si accovacciò accanto alla donna fissandola intensamente. Nonna... - la chiamò piano, per non spaventarla.
Diane Evans si mosse un poco nel sonno, quasi l’avesse sentita, ma non aprì gli occhi finché lei non la chiamò di nuovo. - Shiri! - Tese una mano per toccarla, quasi ad accertarsi che fosse davvero lì. - Tesoro, cosa ci fai qui, in piena notte?! -
- Io... avevo bisogno di parlare con te. Comunque... sono le tre e mezza del mattino. Mi dispiace averti svegliata ma... ho proprio bisogno di parlarti... -
- Certo, cara. Ecco, prendo la vestaglia e ce ne andiamo giù in cucina, così Phillip non si sveglia e noi ci possiamo preparare una bella tazza di tè. Che ne dici? -
La ragazzina mosse la testa in un rapido cenno affermativo prima di scostarsi per lasciarla scendere dal letto, poi la precedette giù per le scale e andò ad accendere la piccola luce sopra i fornelli anziché il lampadario centrale.
- Oh, grazie, Shiri, sei stata molto gentile a pensarci... Vieni, siediti e raccontami. Intanto metto su l’acqua, che ne dici? -
- Mm - Shiri si tolse il giaccone e fece come le era stato detto poi, quando la nonna si fu accomodata davanti a lei, abbozzò un sorriso di scusa. - Mi rendo conto che venire qui a quest’ora possa sembrarti una cosa un po’... folle... però... -
- Non preoccuparti, cara. Tuo padre e Isabel ne hanno fatte di molto più strane... - Le batté affettuosamente sulla mano. - Avanti, dimmi tutto... -
- Nonna, io... credo di essere innamorata. -
Quella confessione fatta con tono serio, come se si trattasse di chissà quale tragedia, fece sorridere dentro di sé la donna. - Ah, è una cosa bellissima... E... chi è? Un compagno di classe? -
Shiri la osservò con occhi colmi di tristezza. - No. Si tratta di Bren. Lui... è così... speciale... Sento la sua mancanza e... ho tanta paura di perderlo... -
Ci vollero diversi secondi perché Diane ricordasse il bel giovane dai lunghi capelli castani, e una ruga le segnò la fronte. Non era un po’ troppo grande per Shiri? E poi, un momento... - Non è di Roswell, vero? - chiese, già prevedendo la risposta.
La ragazzina scosse il capo e i lucidi capelli scuri le ondeggiarono morbidamente sulle spalle.
- Santo cielo... - Diane poggiò il mento nel cavo della mano. - Tesoro, sei sicura che si tratti di amore? Sei molto giovane e non hai esperienza di queste cose. Magari si tratta semplicemente di affetto... -
Shiri la guardò dubbiosa. - Ho sentito le mie amiche parlare dei ragazzi, di quello che pensano di loro, che provano per loro. A Tanya piace Glen perché gioca bene a basket, e Sabrina si è comprata le lenti a contatto colorate perché ha sentito Mark dire che preferisce gli occhi chiari. Io... so che Bren vuole molto bene a sua sorella e che ha sofferto terribilmente per il tradimento del padre. So che è contento quando ci incontriamo nei sogni e gli dispiace vedermi andare via, e sa cosa provo io ogni volta che ci separiamo... - Si mordicchiò il labbro inferiore in una inconsapevole imitazione della madre. - Alexandra, invece, non parla mai di nessuno in particolare. Non lo so, nonna... Io... vorrei tanto che Bren fosse qui... vorrei andare al cinema con lui, vorrei fargli assaggiare il gelato con il tabasco, o semplicemente parlargli... Forse hai ragione tu, forse non è amore, ma... comunque sia, vorrei che non fosse così lontano... -
Davanti alla sua espressione mesta la donna si intenerì. Quella bambina era talmente dolce... - Shiri, non è facile definire l’amore, e non è facile riconoscerlo. A volte lo si confonde con l’affetto, o con un’amicizia molto profonda. Per questo ti consiglio di prendere tempo, di crescere ancora un poco, così da capire meglio cosa provi per lui... -
- Anche mamma e papà mi hanno detto di aspettare... di fare un passo alla volta, finché sarò in grado di stargli accanto. Però... questo significa un sacco di tempo e invece... - S’interruppe, imbarazzata.
- E invece tu vorresti farlo adesso, subito - Diane terminò per lei. - Non è mai saggio forzare le cose, credimi. Tu... sembri così grande e invece sei solo una bimba. Dai retta ai tuoi genitori, non correre... Se davvero Bren è destinato ad essere il tuo compagno... beh, lo sarà, vedrai! -
- Ma potrebbe conoscere qualcun’altra... Potrebbe... potrebbe cambiare idea... -
- Tesoro, possono succedere molte cose. Ad esempio, potresti essere tu quella che cambia idea! Io spero vivamente che i tuoi desideri si avverino, ma soprattutto che tu sia felice. Accanto a Bren o ad un’altra persona, non ha importanza, purché ti renda felice... -
Shiri si guardò le mani con esagerata attenzione. - Io non voglio perderlo - mormorò.
- Se i sentimenti che provate l’uno per l’altro sono davvero forti non vi perderete. Ricorda quello che hanno dovuto patire i tuoi genitori, eppure niente è riuscito a separarli... -
Dopo un lungo silenzio la ragazzina emise un sospiro. - Loro sono... speciali. -
- Sì, come te e Jason. Siete tutti molto speciali, e meritate di essere amati sinceramente e profondamente. Non avere fretta, Shiri, e usa questi anni per diventare una giovane donna. Non lo rimpiangerai... -
Consapevole della verità contenuta in quelle parole Shiri annuì poi si alzò e andò a sedersi sulle sue ginocchia. - Ti voglio bene, nonna... - bisbigliò.
- Anch’io, piccola. - La donna se la strinse al petto e le diede un bacio sulla fronte, lo sguardo perduto sulle due tazze dimenticate, il tè ormai freddo.
Rimasero così finché Diane sentì che le si erano intorpidite le gambe, allora strofinò forte una mano sulla schiena della nipote e le sorrise. - Che ne dici di andare a dormire un po’, adesso? Puoi usare la stanza di Isabel, se vuoi... -
- Preferirei... andare in quella di papà. Posso? -
- Certo, tesoro. Vieni, andiamo di sopra. - Mentre la accompagnava su per le scale si premurò di farsi dire se Max e Liz sapessero dov’era, dopodiché le fece segno di entrare nella piccola camera ancora piena delle cose appartenute al giovane.
- E’ stato difficile, per papà, essere... essere come tutti gli altri? -
Prima di rispondere Diane ci pensò un poco. - Sì, suppongo di sì. Vedi, lui non aveva amici, o perlomeno non parlava mai di loro. In realtà, credo che passasse tutto il suo tempo libero soltanto in compagnia di Michael. Isabel, invece, aveva il suo giro di amicizie. Ma... anche lei, alla fine, si ritrovò ad uscire solamente con Max e Michael. Poi arrivarono Liz, Maria ed Alex. Venivano molto di rado a casa nostra, però Max ed Isabel restavano spesso a mangiare fuori e... immagino andassero al Crashdown, dove Liz lavorava. - Sorrise divertita al ricordo - Anzi, ne sono certa. Non è che Max ci avesse detto qualcosa, ma bastava vedere come gli si illuminavano gli occhi ogni volta che pronunciava il suo nome... -
Shiri le sorrise di rimando. - Gli si illuminano ancora. E devi vedere l’espressione della mamma quando lo guarda... -
La donna dovette battere forte le palpebre per trattenere la commozione. Sapeva quanto quei due ragazzi si amassero, e sapeva come quell’amore li avesse aiutati a sopravvivere nei momenti più duri, quando chiunque altro si sarebbe arreso. E sapeva anche che un legame come quello richiedeva il suo prezzo. Ciononostante, non poteva che essere felice per Max, per la gioia che Liz gli dava, e si augurò che Shiri avesse la stessa fortuna.
Verso le otto, quando scese in cucina per preparare la colazione, Diane trovò la nipote intenta ad apparecchiare la tavola. - Tesoro, sei già in piedi?! -
Shiri si volse a guardarla sorridendo un poco imbarazzata. - Ecco, io... volevo chiederti se puoi accompagnarmi alla stazione dei pullman... -
- E dove vorresti andare? -
- A Santa Fe. - Davanti alla sua espressione sbigottita si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio per darsi un contegno. - Mi piacerebbe vedere Kyle, parlare con lui - disse in fretta, temendo di ricevere un no come risposta.
Invece la donna la sorprese annuendo affettuosamente. - D’accordo, ma solo dopo che avrai ottenuto il permesso dei tuoi genitori. -
La ragazzina si schiarì la gola. - Va bene. Allora... vado a telefonargli... - mormorò.
- Brava. Ah, quando hai finito passami Max, per favore, voglio salutarlo. -
- Certo - Le guance di Shiri si colorarono leggermente di rosa. Avrebbe preferito non dire nulla a suo padre perché non era sicura di come avrebbe reagito, ma allo stesso tempo non voleva che stesse in pensiero per lei. Sperò con tutte le sue forze che capisse e la lasciasse partire: in fin dei conti si trattava solo di poche ore...

Le prime luci dell’alba stavano cominciando a rischiarare la stanza quando Liz si svegliò e rimase a guardare il bel volto del marito, ancora immerso nel sonno. Con fare sognante gli sfiorò la fronte e le guance con la punta delle dita. Dio, quanto lo amava... quanto amava sentire il suo calore... Non riuscì a trattenersi dal baciarlo leggermente sulle labbra, e sorridendo osservò le sue ciglia palpitare. Poi le palpebre si sollevarono rivelando il caldo color nocciola spruzzato di verde degli occhi e per un attimo il tempo si fermò.
- Va meglio? - chiese la ragazza sommessa.
Lui annuì appena mentre sollevava una mano per scostarle i capelli dal viso. - Sì. Dormire accanto a te mi rilassa sempre... -
- Però oggi dovresti rimanere a casa. Burton capirà, ne sono sicura -
Max le toccò le labbra morbide. - Penso che lo farò. Ho voglia di stare un po’ con i bambini. -
- Bene. Allora li lascio qui con te... -
- Perché non rimani anche tu? -
- Devo finire una ricerca, ma farò di tutto per rientrare prima del solito. - Gli passò le braccia intorno al collo e lo baciò sul mento. - Claudia si è svegliata - disse con rammarico.
- Il che vuol dire che fra un attimo comincerà a reclamare la sua pappa. Sai, quella bambina sta diventando una vera peste... -
Liz scoppiò a ridere poi, nell’udire le grida imperiose della piccola, roteò gli occhi. - Concordo in pieno! -
Quando si ritrovarono tutti in cucina per la colazione la ragazza guardò incuriosita Jason. - Shiri non è ancora pronta? -
Lui si strinse nelle spalle senza sapere cosa rispondere, ed in preda ad uno strano presentimento Liz corse al piano superiore. - Shiri? - Spalancò la porta della sua stanza e trasalì nel vedere il letto vuoto. Gli occhi le corsero al foglio di carta sul cuscino e si affrettò a prenderlo. Incredula, lesse attenta le poche parole vergate con una grafia elegante e svelta. “Oh, Shiri, piccola...” In silenzio tornò di sotto e porse il biglietto a Max, che serrò brevemente le labbra. - Vado a riprenderla - disse soltanto.
- No, aspetta! Forse è meglio lasciarla dai tuoi, così potrà stare un po’ tranquilla. Stanno succedendo troppe cose, e troppo in fretta, e lei è comprensibilmente preoccupata per quello che potrebbe capitare a Bren. Credo che tua madre sia la compagnia più adatta a lei, in questo momento... Diane è una persona... normale... e vive in un mondo... normale... - terminò con voce bassa e malinconica.
- Anche noi siamo persone normali! - protestò veemente Jason.
- Certo, tesoro, ma a volte si ha bisogno di... maggiore normalità. E io non posso fare niente per aiutarla - Liz si avvicinò ai fornelli e prese il bricco del caffè cominciando a versare il liquido scuro e profumato nelle tazze già preparate sulla tavola.
- Forse la verità è che di certe cose non è facile parlare coi propri genitori. - cercò di consolarla Max - Io non l’ho mai fatto con i miei, finché non ci sono stato costretto... -
- Tu avevi molti segreti da proteggere, Shiri no. Io... credevo che si fidasse di me... di noi... -
- Non è questione di fiducia, Liz. Qui si tratta di quello che Shiri teme possa capitare a Bren perché vede quello che succede a noi, e ha bisogno di sfogarsi con qualcuno. Lei... cerca soltanto di proteggerci... -
Jason guardò il padre con un certo disagio. Era vero, Shiri voleva proteggere la sua famiglia, e decidere di rivolgersi alla nonna era stata di sicuro la mossa migliore. Però, anche lui era rimasto ferito per non essere stato scelto come confidente e quindi poteva capire lo stato d’animo di Liz e Max. Provò l’improvviso desiderio di uscire, di vedere i suoi amici, di distogliere la mente da tutta quella situazione. - Io... credo che andrò al Crashdown, più tardi. Probabilmente resterò fuori per pranzo... -
A quelle parole Liz fece un cenno impercettibile col capo. - Va bene. Max, sei sicuro di voler restare da solo a casa coi gemelli? -
- Sì, amore. E non preoccuparti: dubito che ci annoieremo. Vero, piccoli birbanti? - diede un buffetto sulla guancia tonda di Ethan, che emise un gorgoglìo soddisfatto.
- Bene, allora... allora ci vediamo dopo... - Incerta, la ragazza finì di bere il proprio caffè poi, incapace di mandare giù altro, andò a prendere il cappotto e la borsa ed uscì dopo aver dato un rapido bacio sulle labbra a Max.
Con una smorfia Jason versò una generosa dose di salsa tabasco sui cereali che aveva appena messo nella ciotola davanti a sé. - Penso... penso che Shiri non desideri più avermi nei paraggi, quando sta con Bren... mormorò.
- E’ comprensibile. Neanche tu la vorresti accanto se fossi insieme alla tua ragazza... -
- Io non ho una ragazza - obiettò lui. Tuttavia, mentre pronunciava quelle parole, il pensiero gli corse ad Alexandra, ai suoi occhi verdissimi e alle incredibili treccine che le incorniciavano il volto.
- Ma succederà, e credimi: in quel momento non vorrai avere vicino nessuno della tua famiglia! -
- Se lo dici tu... -
Max sorrise divertito suo malgrado. - Jason, è così - ripeté.
In quel momento si udì lo squillo del cellulare di Max, che scattò in piedi e si precipitò in salotto, dove lo aveva lasciato la sera prima. - Pronto?! -
Poco dopo era di nuovo in cucina. - Era Shiri. Mi ha chiesto di poter andare a Santa Fe. -
- Kyle - dedusse subito Jason.
- Già. Per via di Lhara, immagino... - Continuò a giocherellare con l’omelette che aveva nel piatto, lo stomaco ormai chiuso.
L’adolescente terminò in silenzio di fare colazione, non sapendo cosa dire per distogliere il padre dai suoi mesti pensieri, dopodiché si alzò e gli diede un rapido abbraccio. - A più tardi... - mormorò, sentendosi un po’ in colpa per il fatto di lasciarlo da solo.
- Ciao, coniglietto. - Max ricambiò la stretta poi, con un sospiro, riordinò la cucina e prese in braccio i gemelli. Sentendo le loro piccole mani toccargli curiose i capelli e le spalle non poté impedirsi di sorridere. Avrebbe voluto poter fare di più per Shiri, per aiutarla a venire a patti con i suoi sentimenti, ma sapeva che non era possibile. Lei doveva trovare in se stessa la forza per affrontare la situazione nel migliore dei modi, e lui e Liz potevano soltanto starle accanto e darle amore e sostegno. Solo, avrebbe preferito che quel genere di sofferenza non fosse arrivato così presto... La sua piccola Shiri era cresciuta troppo in fretta, e questo a causa sua, per via di quello che era... Con un sospiro si sforzò di concentrarsi sui figli più giovani. Anche loro avevano bisogno del suo amore e delle sue attenzioni... Una volta in salotto si sistemò sulla trapunta e si appoggiò con la schiena al divano. - Bene, che cosa ne dite di una bella favola, per cominciare? -
Claudia lo guardò con gli occhioni scuri spalancati e sorrise prima di divincolarsi dalla sua presa e scivolare a terra per andare ad aggrapparglisi saldamente alla gamba che teneva flessa. Ethan, invece, si accovacciò felice sul suo torace ed emise una serie di borbottìi.
- Ok, dunque... C’era una volta un principe... e questo principe aveva un anello magico... - Così dicendo Max sollevò una mano e creò un piccolo cerchio di energia. Entrambi i bambini lo fissarono incantati. L’anello poteva diventare piccolissimo... - Il cerchio si restrinse - oppure grandissimo... - Le dimensioni cambiarono ancora. - Il mago che aveva regalato l’anello al principe aveva predetto che un giorno lui avrebbe incontrato una principessa, e se ne sarebbe innamorato. E più i due si fossero amati, più l’anello sarebbe diventato grande... Passò del tempo, e la profezia si avverò. Il principe conobbe la sua principessa e... l’anello cominciò a crescere... a crescere... - Davanti agli sguardi affascinati dei figli Max fece allargare il cerchio di energia fino a raggiungere un considerevole diametro. - Poi la principessa mise al mondo un bimbo e ci fu così tanto amore che l’anello, non potendo più crescere, si riempì formando un cuscino. Un cuscino magico, caldo e confortevole come l’amore di cui era fatto... - Trasformò il cerchio di energia in un piccolo scudo, che Ethan riconobbe con un gridolino di gioia e vi si arrampicò sopra cominciando a dondolarsi piano.
Incuriosita, Claudia lasciò andare il tessuto jeans dei pantaloni del padre e imitò il fratello.
Ben presto i due piccoli iniziarono ad esplorare la consistenza dello scudo e le loro dita si accesero di riflessi verdastri.
Max li osservò sorridendo e, senza darlo a vedere, iniziò ad insegnargli il controllo dell’energia.
Quando divenne evidente che l’interesse per quel nuovo gioco stava scemando il giovane abbassò il campo di forze fino a sfiorare il pavimento prima di annullarlo e lasciò che i figli si sistemassero di nuovo su di lui. - Ehi, mi avete scambiato per una montagna? -
Ethan rise contento e cominciò a battere le manine sul suo braccio.
Intenerito Max si piegò un poco in avanti per baciarlo sulla fronte, completamente aperto alle sensazioni che il bimbo stava provando. Affetto, gioia, sicurezza, e d’istinto mosse la mano ad incontrare il suo minuscolo palmo. Un debole chiarore dorato brillò dove la loro pelle era a contatto, rivelando la profondità dell’interazione fra i due. Quasi sentendosi esclusa, Claudia si mise carponi al fianco del padre cominciando a tirargli la camicia. Con una risata Max l’afferrò per la vita e se la piazzò sul petto, accanto ad Ethan. - Siete entrambi i miei angioletti, piccola peste... - Le diede un bacio sulla punta del nasino facendola rimanere come imbambolata a guardarlo prima di emettere un allegro ciangottìo. Le mise allora la propria grande mano davanti e lei la prese con forza. La bimba era evidentemente soddisfatta e Max non si stupì nel vedere l’alone luminoso sotto le loro dita. Ma all’improvviso s’irrigidì ed il bagliore scomparve come d’incanto. “Maledizione!” Chiuse per un istante gli occhi ed emise un potente richiamo mentale. Poi, cercando di tenere a bada l’ansia che lo agitava, riprese a giocare coi figli. Continuava però a lanciare frequenti occhiate verso la porta di casa, e quando infine Michael arrivò emise un profondo sospiro di sollievo.
- Che cos’è successo? - chiese il ragazzo raggiungendolo e fissandolo preoccupato.
- Michael, l’impronta argentata! I medici che si sono occupati di me e di Liz devono averla sicuramente vista! -
- Vuoi dire all’ospedale di Miami?! -
- Sì. Michael, devi andare a controllare! Non possiamo permetterci che anche laggiù comincino a indagare su di noi... -
- Ci manca solo questo! Ok, avverto Maria e Morgan e parto subito. Sai il loro nome? -
Max scosse la testa.
- D’accordo, cercherò di scoprire qualcosa. Allora vado! - Si piegò a dare un bacetto sulle gote paffute dei gemelli. - Ciao, principini. Abbiate cura di vostro padre, non fa altro che cacciarsi nei guai! -

**********

- Non avrei mai pensato che saremmo incappati in una cosa simile... -
- E lo dici a me! Santo cielo, mi è quasi venuto un infarto quando ho visto quel segno! Dopo tutto questo tempo... -
- Sì, anch’io non riesco ancora a crederci! -
Laura Baker si massaggiò il collo con una smorfia. - Il guaio è che sono spariti tutti e due, e non ho assolutamente idea di come fare a rintracciarli. Non avevano documenti, e probabilmente erano qui a Miami in vacanza quindi possono essere andati ovunque... Anche fuori degli Stati Uniti, per quel che ne so... -
- Comunque, l’importante è rintracciare il mutaforma che li ha attaccati. E’ lui che ci serve, è lui che ci permetterà di ritrovare il signore di Antar, non quel povero ragazzo, che probabilmente non ha nessuna idea di cosa gli sia successo! -
- Certo, hai ragione, ma mi spieghi come faremo a scoprire che fine ha fatto un essere capace di assumere qualsiasi aspetto? -
- Che ne dici di cominciare a cercare in città e nei dintorni? Quel tipo di contatto può uccidere un essere umano in pochi secondi, quindi il mutaforma deve essere per forza qui vicino - L’uomo la fissò pensieroso. - Senti, capisco il tuo desiderio di ritrovare Zan e proteggerlo, è il motivo per cui siamo stati mandati su questo pianeta, ma finora non abbiamo ricevuto alcun ordine. Magari perché lui è morto e la nostra missione è stata annullata, solo che non sono riusciti a comunicarcelo... -
- E gli altri? Dimentichi che c’erano anche sua sorella, sua moglie e il suo secondo. Non possono essere morti tutti quanti! -
- No, certo, ma noi dobbiamo aspettare il segnale prima di entrare in azione, e... -
- E se non lo ricevessimo mai? - lo interruppe lei stancamente. - Se su Antar pensano che la nostra nave sia andata distrutta nell’impatto con l’atmosfera terrestre? Che poi è quello che è successo... - Ricordò come fosse il giorno prima il momento in cui il velivolo, assunta un’inclinazione di orbita sbagliata, si era incendiato come una torcia mentre precipitava al suolo. Loro due si erano salvati perché si trovavano nella cabina di pilotaggio, il cuore dell’astronave, il punto più sicuro dell’intera struttura, ma gli altri non ce l’avevano fatta, e quasi tutta l’attrezzatura era andata distrutta. Con i pochi strumenti ancora funzionanti a loro disposizione erano riusciti a stabilire il punto approssimativo in cui doveva essere atterrata la navicella contenente i bozzoli e la squadra di protezione. Soltanto la regina e il comandante della squadra sapevano della seconda spedizione, e il fatto che per tutti quegli anni nessuno avesse cercato di contattarli era un pessimo segno. Che fine avevano fatto i reali e i loro custodi?
- Allora cosa vorresti fare? -
- Non lo so. Ti giuro, non ne ho alcuna idea... Il guaio è che con la nave abbiamo perduto la copia del codice di riconoscimento e quindi non siamo in grado di individuarli, per quanto... -
- Per quanto? - la sollecitò incuriosito il suo compagno.
- Zan ha il simbolo reale impresso dentro di sé. Potremmo modificare le impostazioni del rilevatore e controllare con discrezione tutte le persone con cui entriamo in contatto, anche se mi rendo conto che sia come cercare un ago in un pagliaio... -
- A dir poco! Laura, il tuo è un piano disperato! Senti, dammi retta, lascia perdere! Siamo sulla Terra da quasi cinquant’anni e nessuno si è ancora fatto vivo con noi. Secondo me, non succederà mai. Rassegnati, ragazza, ci hanno dimenticati quaggiù e ci resteremo per il resto dei nostri giorni! -
- Lo so, altrimenti perché credi che mi sarei costruita un’identità del genere? Ma ora che abbiamo la conferma che c’è ancora qualcuno dei nostri, da qualche parte, beh, non voglio continuare a restarmene con le mani in mano ad aspettare chissà cosa! -
- Veramente abbiamo fatto quello che ci era stato detto. Il nostro compito era di intervenire su chiamata del comandante della nave che aveva a bordo le incubatrici, per cui si potrebbe anche dedurre che non abbia avuto bisogno di noi... - Dal suo tono quasi monocorde si capiva che si trattava di un argomento affrontato centinaia di volte.
- Però tre anni fa abbiamo percepito qualcosa, e ancora mi domando perché mi sia lasciata convincere a non rispondere! - obiettò la donna.
- Non era il segnale giusto, quindi poteva trattarsi di una trappola. Ne abbiamo discusso per una settimana intera, se ben ricordi, prima di decidere... Laura, finora ce la siamo cavata perfettamente, mescolandoci agli umani senza dare nell’occhio, e tutto sommato credo che l’unica cosa da farsi sia continuare in questo modo. A quest’ora il destino di Antar si è compiuto, nel bene o nel male - Davanti all’espressione assorta di lei corrugò la fronte. - Cosa c’è? -
- Non so. E’... qualcosa che mi ha detto Monroe a proposito di quel ragazzo. Il fatto che sia riuscito ad alzarsi e andarsene, addirittura portando via con sé la sua compagna... Era stato colpito da un mutaforma, era... era quasi moribondo! Eppure... - Scosse la testa incredula. - Non riesco a capire. E’ tutto così strano... Da qualche tempo a questa parte stanno succedendo davvero troppe cose strane. -
- E il tuo addestramento ti spinge ad indagare... -
Laura si avvicinò all’uomo e gli carezzò affettuosamente un braccio. Karòlyan non era uscito del tutto indenne dal violentissimo impatto col suolo terrestre e aveva dovuto far ricorso a notevoli quantità di energia per mantenere il controllo dei corpi di cui aveva assunto di volta in volta le sembianze. Adesso, a distanza di tanto tempo, le sue forze si erano quasi esaurite ed entrambi erano consapevoli della fine ormai prossima. Questo era stato il motivo principale per cui aveva accettato di ignorare quell’insolita percezione, ma il fatto che proprio ora che lui stava morendo le fosse capitato di vedere l’impronta argentea lasciata da un mutaforma le sembrava un segno del destino.
E così dovette apparire anche a Karòlyan, i cui occhi ebbero uno strano scintillio. - Pazienta ancora un poco, mia cara, e poi sarai libera di fare come credi... - disse con un sorrisetto malizioso.
- Mi mancherai... - mormorò Laura.
- Parli come un umano. Ma non lo sei, non dimenticarlo mai! -
Lei annuì con una scrollata di spalle. Sapeva che la sua decisione di lavorare in un ospedale, a contatto con la gente, lo aveva sempre infastidito, però dopo tutti quegli anni aveva finito con l’apprezzare la vivace diversità delle varie razze che popolavano il continente nordamericano e così aveva scelto di rinunciare al discreto isolamento in cui erano sempre vissuti.
- Spero che riuscirai a trovare quel che cerchi, e se un giorno tornerai su Antar saluta il suo sole per me... -
- Stai diventando melodrammatico, te ne rendi conto? Non ti si addice! - lo prese in giro Laura.
- Scusa, mi ero distratto. Bene, allora vedi di darti da fare: hai una missione da compiere! Ah, e il tuo collega? Sospetta di nulla? -
- No, sono riuscita a convincerlo che si trattava di un semplice tatuaggio. Non preoccuparti, il nostro segreto è al sicuro. -
- Ottimo. Mi seccherebbe davvero lasciarti da sola nei guai... -
Laura sorrise divertita. Aveva conosciuto Karòlyan durante il suo ultimo anno in accademia, e si era subito resa conto delle sue notevoli doti. Le aveva fatto piacere incontrarlo di nuovo e lavorare al suo fianco, soprattutto quando, come lei, era stato scelto dalla regina per quell’ultimo, fatale incarico. Guarda che sono perfettamente in grado di cavarmela, sai? Comunque ti ringrazio del pensiero -
Lui la guardò impassibile. - Sì, sai cavartela. Però hai fatto tuoi molti tratti umani e non sono sicuro che questo sia del tutto positivo... -
- Sta’ tranquillo: non ho dimenticato chi sono davvero e a chi devo la mia lealtà. Se Zan di Antar è vivo lo troverò. -
- Bene - L’uomo fece un piccolo cenno col capo poi chiuse gli occhi e si rilassò. La forma che aveva assunto si dissolse quasi istantaneamente lasciando il posto ad una sagoma umanoide luminosissima, prima di trasformarsi in una manciata di polvere biancastra.
Laura Baker emise un profondo sospiro e rimase a fissare a lungo gli impalpabili resti dell’amico. Nonostante sapesse che il momento stava arrivando, la morte di Karòlyan la colpì come una pugnalata. Lui era stato il suo unico legame col mondo cui appartenevano, il solo essere vivente che conoscesse la sua vera natura. E adesso era rimasta sola. Un’altra fase della sua vita si era conclusa e ora non le restava che riprendere la discreta ricerca della famiglia reale di Antar. Fino a quel momento si era limitata alla consultazione dell’enorme banca dati rappresentata dalla biblioteca comunale di Miami prima e dall’inesauribile fonte di Internet poi, e sapeva già da dove iniziare. Non ne aveva mai parlato con Karòlyan perché non lo aveva ritenuto necessario, dato che non spettava a loro fare la prima mossa, però adesso le cose erano cambiate. Adesso aveva la prova certa che almeno un mutaforma era ancora vivo, e forse anche uno o tutti i reali. E lei doveva ritrovarli.

- Baker non era di turno stamattina? - chiese Jackson Monroe all’infermiera dietro il bancone.
- Ha fatto un cambio con Reese - fu la stanca risposta della donna. Era stata una giornata a dir poco infernale e tutto quello che desiderava era tornarsene a casa e fare un bel bagno caldo.
- Grazie. - Mordendosi pensieroso il labbro inferiore Monroe andò negli spogliatoi e si tolse il camice. Il pensiero del ragazzo fuggito dall’ospedale il giorno prima non lo aveva lasciato un attimo. Se n’era andato nonostante la febbre altissima portandosi via quella ragazzina dal corpo martoriato, riuscendo ad eludere il nutrito gruppo di agenti che aveva cercato di fermarlo, e, per quanto la breve inchiesta cui sia lui che Laura Baker erano stati sottoposti li avesse visti entrambi liberati da ogni responsabilità, non poteva impedirsi di provare un senso di colpa. Era quasi certo che quel povero ragazzo avesse perso la testa a causa della febbre e non riusciva a darsi pace per aver sottovalutato i suoi sintomi. Se solo lo avesse immobilizzato al letto con delle cinghie di contenzione sicuramente sarebbe riuscito a curarlo, o se non altro gli avrebbe impedito di fare del male alla sua compagna che, con le ferite che aveva, doveva aver sofferto moltissimo mentre veniva sballottata come una bambola di pezza... Anche se, a dire la verità, gli era sembrato che lui la stringesse con grande attenzione, quasi fosse consapevole del suo stato. No, aveva assoluto bisogno di parlare con Laura. Se non altro perché sapeva che non sarebbe riuscito a dormire neppure quella notte...
Arrivò davanti casa sua mentre stava salendo in macchina. Frenò di colpo e spalancò lo sportello della propria vettura chiamandola a gran voce. - Laura, aspetta! -
Lei si volse stupita. - Jack? Cosa c’è? -
- Si tratta di ieri, io... io devo capire che è successo davvero ieri, con quei due ragazzi... Laura, lui non avrebbe dovuto avere la forza di stare in piedi, figuriamoci di correre per tutti quei corridoi tenendo in braccio qualcuno! Sei l’unica con cui possa parlarne... -
La donna si scostò una ciocca di capelli castano dorati dal viso e richiuse dietro di sé lo sportello sapendo che il collega non l’avrebbe lasciata andare finché non gli avesse dato retta. - Jackson, cosa vuoi che ti dica? La ragazza aveva una bella collezione di fratture ma non era in pericolo di vita, e per quel che riguarda lui... beh, ne sai sicuramente più tu di me! -
- Laura, io sono convinto che quel segno argentato sul suo petto non fosse un semplice tatuaggio... Quando l’ho toccato... scottava, e sembrava che sotto la pelle pulsasse... -
- Forse era stato fatto di recente e aveva provocato un’infezione. A volte succede, sai, quando non vengono usati strumenti adeguatamente sterilizzati! -
L’uomo fece una smorfia. - Ok, vedo che non la pensiamo allo stesso modo. Però devi convenire con me che quei due ragazzi stavano molto male quando se ne sono andati, e io mi sento in dovere di rintracciarli e curarli... -
- Che ne dici di darti al volontariato? Magari potresti lavorare con Medici senza frontiere, sono sicura che ti accoglierebbero a braccia aperte! E adesso scusami ma devo proprio andare: si sta facendo tardi - Con un sorriso luminoso Laura gli volse le spalle e montò in macchina.
Rimasto solo Monroe socchiuse gli occhi. Aveva la netta sensazione che gli fosse sfuggito qualcosa. Laura Baker era sempre stata una persona tranquilla e discreta, sapeva gestire i momenti di stress con grande abilità e a detta di tutti era un ottimo medico. Però, in quel caso, gli era sembrata eccessivamente distaccata. Anzi, no, si corresse. Quando aveva scoperto la fuga dei due giovani pazienti l’aveva vista molto turbata, anche se quell’espressione era durata solo pochi istanti... Perplesso e confuso, decise d’impulso di andare a cenare in un ristorante poco lontano da lì perché era troppo stanco per mettersi a cucinare e soprattutto non aveva alcuna voglia di stare da solo in quel momento.
L’indomani mattina fece in modo di arrivare in ospedale molto presto sperando di incrociare Laura prima che se ne andasse e fu con suo grande stupore che scoprì che nessuno l’aveva vista. Quella notizia lo lasciò molto scosso e per tutta la giornata si mosse come un automa. Alla fine decise che aveva bisogno di distrarsi o avrebbe finito col commettere qualche errore irreparabile. Era da parecchio che non si prendeva un periodo di ferie e non ebbe alcuna difficoltà ad ottenerlo, così preparò una valigia con poche cose essenziali e l’indomani mattina prese il primo aereo per Santa Fe. Uno dei suoi più cari amici, un ex compagno di studi, viveva lì e ogni volta che sentiva il bisogno di allontanarsi dal frenetico caos della metropoli andava a trovarlo.
Il New Mexico era infatti molto diverso dalla Florida, e Jackson sentiva la necessità di un drastico cambiamento per cui accolse con sollievo il delicato tepore del pallido sole invernale. Doveva smetterla di arrovellarsi su Laura e quella storia strampalata, così raddrizzò le spalle e scese la scaletta aspirando la frizzante aria profumata di pini. Amava il sud-ovest, forse lo preferiva addirittura alla Florida, ma temeva che se ci si fosse trasferito tutta quella magia sarebbe scomparsa. Le cose belle non dovevano diventare un’abitudine... Senza perdere tempo andò a noleggiare una vettura solida e robusta e con un sorriso soddisfatto prese la strada per la capitale, i finestrini abbassati e la radio sintonizzata su un canale di musica country.
Quando arrivò al grazioso cottage poco fuori città Trent lo accolse con una pacca cordiale sulla schiena ed un grande sorriso. - Non si direbbe proprio che vivi a Miami! Sei pallido da far paura! -
- Forse è perché passo le giornate dentro un ospedale e non a rosolarmi sulla spiaggia, come invece qualcuno si ostina a credere... -
- Dai, vieni dentro! Ho appena preparato il caffè, poi potrai rinfrescarti e raccontarmi come ti vanno le cose. Mi sembri piuttosto teso, sai? -
- Non sarei venuto qui, altrimenti. - ammise lui prima di voltarsi a recuperare la valigia. - In realtà ho soltanto bisogno di un po’ di riposo. -
- Allora anziché sederci davanti al fuoco ce ne andremo a fare un giro in città. Che ne pensi? -
- Fantastico -
- Mm, che entusiasmo! - Trent scosse ridendo la testa. - Ok, cominciamo dal caffè... - E lo precedette dentro casa.
Alla fine optarono per una lunga passeggiata lungo la riva del ruscello che scorreva poco distante da lì, durante la quale si aggiornarono su quello che avevano fatto dall’ultima volta che si erano visti.
Jackson Monroe era una persona abitualmente socievole, portata al dialogo, e sapeva ascoltare, e per questo i due erano rimasti in ottimi rapporti anche dopo che le loro strade si erano divise. Si limitò quindi a spiegare in breve quello che lo crucciava, commentando che i periodi festivi erano i più duri da affrontare, dopodiché investì l’amico con una valanga di domande. Non voleva continuare a rimuginare sullo strano comportamento di Laura e sui due ragazzi ricoverati all’alba del nuovo anno, e si lasciò avvolgere dall’atmosfera di pace che regnava in quei luoghi.
L’indomani, come promesso, Trent lo portò a Santa Fe e fecero una veloce ma accurata ricognizione di tutti i negozi di artigianato del centro. Jackson comperò una stampa che rappresentava un gruppo di cowboys attorno ad un falò ed una piccola ciotola di terracotta dipinta con motivi geometrici in tipico stile indiano.
Poi si fermarono a mangiare in un simpatico locale western e l’uomo si guardò intorno con curiosità. Come mai tutta questa gente? -
- E’ per l’accademia. Ci sono un sacco di amici e parenti venuti a trovare gli allievi per le feste di Natale. Aspetta ancora un paio di giorni e vedrai come tutto sarà più tranquillo... -
Stavano tornando verso il furgoncino di Trent quando vennero quasi travolti da un giovane in uniforme che stava discutendo animatamente con una ragazza.
- Vuoi dire che sei salita su quel maledetto pullman da sola?!? -
- Ho avuto il permesso di papà, e la nonna mi ha accompagnato alla stazione! -
- Scommetto che lui non lo sa che intendevi viaggiare da sola, vero? Sei completamente matta! -
- Kyle, avevo bisogno di vederti! Tu sei l’unica persona che possa capire quello che... -
- No, e sai perché? Perché io sono un uomo e tu una bambina. E viziata, per giunta! - la rimproverò lui con asprezza.
Il vivace scambio di battute fra i due, che si erano addirittura fermati e si stavano fronteggiando come se fossero avversari, attirò la loro attenzione. Trent sorrise divertito. Non era certo la prima volta che gli capitava di assistere ad una scena del genere, e di sicuro non sarebbe stata l’ultima...
La ragazza respirava affannosamente e sembrava sull’orlo delle lacrime, poi il suo compagno tacque all’improvviso e spalancò le braccia. - Su, vieni qui! Mi spiace averti aggredita in questo modo... -
Lei non si fece pregare e si slanciò in avanti stringendoglisi al collo.
Il movimento dei suoi lucenti capelli scuri, lunghi e morbidi come una piccola cascata di seta, attirò lo sguardo di Monroe. L’uomo era rimasto a fissare la ragazza incerto, cercando di capire perché gli sembrasse così familiare. Poi i capelli fluttuanti sulla spalla del giovane fecero scattare qualcosa nella sua mente. - Santo cielo, ma è lei! - Senza riflettere fece un passo verso di loro. - Scusa, mi sembra di averti già visto... A Miami, qualche giorno fa... -
Shiri si volse di scatto sgranando i bellissimi occhi nocciola, e Jackson trasalì. Sì, poteva essere davvero lei! In ogni caso, le somigliava in maniera incredibile... E se lei era lì, apparentemente in ottima salute, forse anche il suo compagno stava bene! Doveva saperlo, doveva potersi guardare di nuovo nello specchio senza provare disprezzo per se stesso...
- Cosa vuole? - gli chiese Kyle cingendo con fare protettivo la schiena della ragazza.
- Ho bisogno di sapere se eri tu, all’ospedale di Miami Beach, il primo dell’anno... C’era anche tuo marito... - Quell’ultima parola risuonò assurda alle sue stesse orecchie. Come faceva una ragazzina così giovane ad essere sposata? - Volevo sapere se sta bene, tutto qui... -
- Io... Mi spiace, mi ha scambiata per qualcun’altra... Non sono mai stata a Miami... -
- Ah... Allora... vi chiedo scusa. - Jackson Monroe tornò accanto a Trent e con lui riprese a camminare verso il parcheggio ma di tanto in tanto si volse a guardare la coppia allontanarsi nella direzione opposta.
- Jack, è tutto a posto? Devo ammettere che ti sei comportato in modo alquanto strano... -
L’uomo scrollò le spalle con fare stanco. - Non lo so... Non sono più sicuro di niente... Eppure sembrava proprio lei... -
- Quella portata via dall’ospedale? -
- Sì. Oddio, Trent, credo di essere vicino all’esaurimento nervoso... -
- Non esagerare, adesso! Sei solo un po’ sotto pressione, ma se impari a prendertela con più calma vedrai che andrà meglio. Su, adesso torniamo a casa. Ho nel congelatore un paio di bistecche alte tre centimetri: le facciamo alla brace e ti giuro che leccherai il piatto! -

Nel frattempo Kyle e Shiri avevano girato l’angolo, e la ragazzina tirò un sospiro di sollievo.
- Posso sapere cosa sta succedendo? -
- E’ pazzesco, semplicemente pazzesco... - mormorò lei. - Capisci? Quello deve essere uno dei dottori che ha curato papà e mamma, quando siamo stati in vacanza, e di tutti i posti che ci sono doveva capitare proprio qui, adesso! Secondo te sono stata convincente? -
Il giovane si grattò una tempia. - Perlomeno lo hai confuso. Non lo so... Sì, penso di sì. Questo fa parte del tuo problema, se ho capito bene... -
- Già. - Shiri affondò le mani nelle tasche del giaccone. - I miei genitori rischiano di continuo la vita eppure restano qui, sulla Terra. Bren e Lhara, invece, sono su Rènida, un mondo ancora sconvolto dalla guerra civile, in mezzo a pericoli che non conosciamo... Io vorrei essere certa che stiano bene, che siano al sicuro... Ma Bren ritiene che ci vorrà ancora molto tempo prima che la sua gente accetti la partenza di Lhara senza interpretarla come un tentativo di sostituirsi a lei, e io so che si sentono soli, travolti da un’infinità di cose da fare... -
- E quale sarebbe il tuo piano? Rubare una delle navicelle nascoste nelle caverne del New Mexico? -
- Perché dovrei rubarla? -
- Non credo che tua madre, o tuo padre, se è per questo, ti permetterebbero di andartene a zonzo per lo spazio... -
Shiri arricciò il naso. - No, ma neanche lo farei. Io... avevo pensato di chiedere a Jason di venire con me. -
- Spero che abbia abbastanza buonsenso da rifiutare! Insomma, ti rendi conto dell’assurdità di quello che stai dicendo? -
La ragazza lo guardò ferita. - Credevo che almeno tu saresti stato dalla mia parte, che mi avresti capito perché provi la stessa cosa... -
Il giovane si fermò in mezzo al marciapiedi e le mise le mani sulle spalle. - Shiri, lo so cosa provi. E’ vero, Lhara mi manca e vorrei che fosse qui con me, però adesso non è possibile. Sono sicuro che i tuoi genitori e Jason stesso, per non parlare di tutti gli altri, te lo avranno detto e ripetuto fino alla nausea, ed hanno perfettamente ragione. C’è un momento per sognare, e c’è un momento per aspettare -
- E ora io devo aspettare... -
- Infatti. - Kyle le sfiorò una guancia con la punta del pollice. - Shiri, c’è stato un tempo in cui la mia più grande aspirazione era portare Liz al cinema. Poi arrivò Max e da quel momento le mie speranze di una storia con lei si ridussero a zero. Capisco che quello che temi, in realtà, è che Bren incontri un’altra ragazza e se ne innamori, ma questa è la vita. Se siete destinati a stare insieme, allora è fatta! Nessuno potrà mai mettersi tra di voi! -
- Nonna Diane mi ha detto più o meno la stessa cosa. -
- A ragion veduta, direi. Max e Liz sono l’esempio vivente di cosa significhi incontrare l’anima gemella... Dammi retta, Shiri, se loro sono davvero l’altra parte di noi... ecco, possiamo aspettare tutto il tempo necessario. Altrimenti è inutile agitarsi tanto... -
- Mi sembra una cosa molto triste -
Il giovane fece una spallucciata. - Certo. Però è quello che ho visto succedere attorno a me. Prendi Alex, per esempio. Lui ha sempre cercato di attirare l’attenzione di Isabel, ne era innamorato alla follia, e per un periodo sono anche stati insieme. Solo che alla fine lei lo ha lasciato e poi si è sposata con Morgan. Mentre Michael ha fatto di tutto per stare lontano da Maria, e adesso hanno un bambino! Dammi retta, piccola, quei due sono nostri. Non hanno alcuna possibilità di sfuggirci... -
Alle sue inattese parole Shiri scoppiò a ridere sollevata. - Kyle, sei grande! - Lo abbracciò forte e gli diede un bacio sulla guancia.
- Ok, ok, piccola, adesso basta. Ti porto a mangiare qualcosa e poi ti riaccompagno alla stazione degli autobus. Voglio che torni a Roswell prima che faccia buio -
- D’accordo. - convenne subito lei.
Kyle sollevò gli occhi al cielo esasperato. “Oh, Shiri, questo pianeta non sarà mai in grado di sopportare un’intera tribù di alieni!”
- Kyle? -
- Sì? -
- Quando tornerai a casa? -
Lui la guardò con affetto e le scompigliò i capelli. - Il corso è quasi finito e dovremmo avere l’assegnazione definitiva entro metà febbraio. E siccome naturalmente non sono in molti quelli che vogliono venire a Roswell, penso di avere buone possibilità di farcela... Che ne dici? Mi ci vedi a girare con l’auto di pattuglia e la divisa da aiutante sceriffo? -
Shiri lo studiò per un attimo poi sorrise. - Sì, e credo che ti verranno dietro un sacco di ragazze!... -
- Ma non Lhara - si lasciò sfuggire il giovane.
La ragazza si morse le labbra tornando seria. - No, lei... no... - Con un sospiro gli passò un braccio intorno alla vita e ripresero a camminare.

Nello stesso momento, a bordo di un’aereo diretto verso la Florida, Michael tamburellava nervosamente con le dita sul proprio ginocchio. Ogni tanto lanciava uno sguardo accigliato alla persona seduta accanto a lui, che sembrava assorta nello studio delle nuvole sopra cui stavano viaggiando.
Sentendosi osservato, l’altro passeggero sospirò e si volse. - Allora? Cosa c’è? -
- Cosa c’è? E me lo chiedi?!? - Il giovane tornò a guardare fisso davanti a sé. - Dovevi rimanere a casa - brontolò scuro in volto.
Maria fece un sorrisetto sarcastico. - E lasciarti andare da solo a Miami? In mezzo a tutte quelle ragazze seminude, con la pelle lucida di olio solare, che fanno su e giù lungo la spiaggia per farsi notare?!? -
- Devo andare a controllare in ospedale, non in riva all’oceano -
- Non fa differenza -
- Non ti fidi di me, insomma... -
La ragazza fece una smorfia. - Non è che non mi fidi di te. Non mi fido di loro! -
- Di loro... chi? - indagò lui, non riuscendo a seguirla.
- Di quelle bambole siliconate - confessò alla fine lei.
Michael rimase per un attimo interdetto, poi comprese. E si mise a ridere. - Hai paura che decidano di assalirmi? Me?!? Dico, ma mi hai visto bene? Cosa vuoi che possa attirarle? Guarda, ancora non ho capito perché “tu” abbia deciso di metterti con me! -
A quelle parole Maria cercò i suoi occhi, quegli occhi così espressivi, e accennò un sorriso. - Perché quando metti da parte l’atteggiamento da duro che non ha bisogno di nessuno sei il ragazzo più dolce del mondo... - Si protese per baciarlo sulle labbra, e rimase piacevolmente sorpresa per l’appassionata risposta.
Poi Michael si tirò indietro e cercò di ricomporsi. - Forse è meglio che ci siate anche tu e Mathias. In questo modo nessuno si insospettirà vedendoci. Penseranno che siamo andati a trovare qualcuno... -
Per nascondere il sorriso che le incurvava la bella bocca Maria si concentrò sul bimbo addormentato che stringeva fra le braccia. Era stata una vera impresa riuscire a convincerlo a portarli con sé, ma alla fine aveva vinto. Anche se aveva continuato a tenerle il broncio fino a quel momento... Però davvero non avrebbe mai sopportato di restare ad aspettarlo a Roswell temendo che potesse capitargli chissà che cosa! Lì non si stava parlando di semplici ladri e assassini, ma di alieni. Alieni ostili e molto cattivi che non avevano alcuna intenzione di lasciarli in pace. E lei doveva vegliare su Mathias e Michael, gli uomini più importanti della sua vita...
Arrivarono a Miami nel primo pomeriggio e si recarono subito all’ospedale di Miami Beach dove erano stati ricoverati Liz e Max.
Mentre Maria distraeva l’infermiere di turno all’accettazione Michael, modificato l’aspetto dei propri abiti, si avvicinò con disinvoltura al registro e diede una rapida occhiata ai turni del pronto soccorso, poi fece un cenno d’intesa alla ragazza e se ne andò.
- Oh, beh, allora se proprio non può aiutarmi vado a cercare qualcun altro. E’ stato davvero gentile - Le ultime parole furono pronunciate con ironia. Aveva sfoderato tutto il suo fascino ma quell’uomo si era rivelato un vero mastino! Fortuna che Michael era riuscito lo stesso a passare inosservato... Bene, a quel punto non le restava che raggiungerlo e proseguire insieme le loro indagini.
Trovò il giovane che gironzolava nei pressi del reparto del pronto soccorso. - Allora? - gli chiese subito.
- Jackson Monroe si è preso un periodo di ferie, e Laura Baker non si è presentata al lavoro. Devo trovare le cartelle cliniche e farle sparire. Tu aspettami qui -
- Non ci penso nemmeno! Ho un’idea migliore: cerco di scoprire il loro indirizzo! - Senza lasciargli il tempo di ribattere sollevò una manina di Mathias e l’agitò piano. - Fai ciao a papà, tesoro... - Poi fece un sorriso smagliante. - Ci vediamo davanti all’ingresso. Il primo che arriva aspetta. - E si allontanò mormorando dolci paroline senza senso al bimbo, che l’ascoltava rapito.
La mascella serrata per la furia, Michael scosse la testa e si diresse con decisione verso il reparto del pronto soccorso. Ancora una volta il suo travestimento gli permise di intrufolarsi senza troppi problemi tra il personale medico, e cominciò a controllare l’archivio.
Circa venti minuti più tardi era fuori dell’ospedale.
- Ci hai messo un bel po’! Cos’è successo? - lo interrogò Maria apprensiva.
- Sai, non è che ci fosse un cartellino rosso con su scritto i loro nomi... - rispose lui laconico.
- Ma le hai trovate? -
- Naturale. Non c’era alcun riferimento all’impronta sul petto di Max, ma giusto per non correre rischi le ho distrutte lo stesso. -
- Ottimo! - Maria gli sorrise fiera e gli scoccò un bacio sulla guancia. - Avanti, adesso andiamo a cercare i nostri dottorini! -
Jackson Monroe abitava in un piccolo appartamento all’interno di un elegante condominio vicino alla spiaggia. I due ragazzi esaminarono con cura ogni stanza, ogni angolo, non sapendo neppure loro cosa stessero cercando poi, nello sfogliare uno dei tanti libri di medicina ordinatamente disposti su uno scaffale del soggiorno, Michael trovò una foto di gruppo. - Chissà se fra tutte queste persone c’è anche il nostro amico... -
- Fa’ vedere!? - Maria, che si stava slacciando la camicetta per allattare Mathias, si avvicinò incuriosita ed esaminò la fotografia. Rappresentava cinque fra uomini e donne in camice e, riconoscendo le stampe appese alla parete dietro di loro, giudicò che fosse stata scattata all’interno dell’ospedale in cui erano appena stati. Sì, è molto probabile. Mm, e magari una di queste due è Laura Baker... Comunque... è strano che uno tanto ordinato come lui tenga le foto infilate nei libri... - Alzò lo sguardo sugli altri volumi. - Controllali tutti: forse siamo fortunati... -
Con un sospiro Michael le fece cenno di andare a sedersi, gli occhi irresistibilmente attratti dal candore della pelle del seno che le dita impazienti di Mathias stavano scoprendo.
Notando la direzione del suo sguardo lei sorrise maliziosa. - Prima il dovere e poi il piacere - lo stuzzicò.
- Strega -
- Uomo dello spazio -
- Strega - ripeté Michael, avvicinandosi con fare minaccioso e una luce decisa nelle iridi scure.
- Fermo lì! -
- Non ci penso neppure - Ormai vicinissimo, le infilò una mano fra i capelli serrandole la nuca con dolce fermezza e le prese le labbra in un bacio affamato che le tolse il respiro.
Presa fra la sensazione della bocca del figlio che succhiava vorace e quella di Michael che sembrava volerla divorare, Maria sentì le ginocchia piegarsi e sollevò il braccio libero per aggrapparsi al giubbetto del marito.
Quando si staccò da lei per respirare il giovane la guardò intensamente negli occhi. - Strega... - disse di nuovo, pianissimo, prima di baciarla ancora una volta. Con maggior tenerezza ma identica passione. Poi la sospinse gentilmente verso il letto perché stesse più comoda mentre allattava il loro bambino dopodiché riprese a scartabellare tra i libri.
Ancora scombussolata per l’inattesa reazione di Michael, Maria si appoggiò alla testiera e rimase a fissare in silenzio il figlioletto che, ignaro di tutto, continuava tranquillamente a mangiare.
La minuziosa ricerca portò i suoi frutti. Il giovane trovò altre due fotografie, in una c’erano un uomo e una donna, l’altra raffigurava solamente la donna. Era sempre la stessa, quella coi capelli castani che le sfioravano le spalle, e Michael riuscì a distinguere l’iniziale del suo nome sulla targhetta attaccata al camice. “E’ lei. E’ Laura Baker. Però, maledizione, chi diavolo sarà, fra tutti questi, Monroe?” Continuò a confrontare le foto, imprimendosi nella memoria ogni singolo volto, poi emise un profondo sospiro e se le infilò in tasca. Adesso avrebbe riconosciuto tutti loro anche se gli fosse capitato di incontrarli di lì a un anno, e per il momento non restava altro da fare che andare a frugare in casa della Baker.
Tornò in camera da letto e sorrise nel vedere Maria cullare piano Mathias.
- Hai trovato qualcosa? - gli chiese la ragazza guardandolo incuriosita.
- Al nostro uomo piace la Baker. Eccola, è questa - Porse a Maria la fotografia in cui si vedeva un bel primo piano della dottoressa.
- Però è stato Monroe ad esaminare Max. E’ lui che dobbiamo rintracciare. - obiettò la ragazza continuando a studiare i lineamenti di Laura Baker.
- Erano insieme, e sono certo che le ha mostrato l’impronta. -
- Ok. Allora andiamo a vedere se c’è qualcosa di interessante a casa sua... - Maria si spostò sul bordo del letto e si alzò in piedi poi si volse e fece per tendere le coperte ma venne preceduta da Michael. - Grazie - gli disse sorridendo.
- Di niente - Serio in volto il giovane le mise una mano dietro la schiena e la sospinse con gentilezza verso la porta.
- Michael? -
- Sì? -
- Stai attento. Anche se il mutaforma che ha quasi ucciso Max è morto, non è detto che non ce ne siano altri in giro. O pensi che fossero tutti in quella base? -
- Sarebbe troppo bello ma... credo che tu abbia ragione. Mi piacerebbe tanto sapere come abbiano fatto ad arrivare sulla Terra senza che nessuno se ne accorgesse: né gli agenti del governo né gli uomini del Consiglio di Antar... Insomma, pare che tutti tengano gli occhi puntati solo su di noi! -
- Beh, in fin dei conti stiamo parlando del signore di Antar e del suo secondo in comando, nonché degli unici alieni di cui il governo americano conosca l’esistenza. Direi che sia inevitabile che i vostri movimenti vengano un tantino controllati... -
- I nostri, Maria, i nostri! Quei maledetti ficcanaso ci controllano tutti quanti siamo! Io e Max, e Isabel, ma anche te, Liz e i bambini, non te lo dimenticare... E’ pericoloso stare accanto a noi... -
- E’ pericoloso vivere, Michael. Vegetare no, te lo concedo, ma vivere è sempre pericoloso. Quindi tanto vale farlo accanto a chi si ama, per cui piantala con questi discorsi disfattisti, ok? -
Michael strinse le labbra, non del tutto convinto. Senza dire altro la scortò fino all’auto e si diresse verso l’anonimo quartiere residenziale dove abitava Laura Baker.
L’appartamento della donna era un poco più grande di quello del suo collega, e da un insieme di indizi risultò evidente che vi aveva abitato con un’altra persona.
Fuori era ormai buio ma i due ragazzi avevano potuto accendere tutte le luci senza doversi preoccupare di tirare prima le tende, già accuratamente chiuse. Quel particolare disturbava Maria, che però non riusciva a capirne il motivo. Finché aprì il frigorifero e si rese conto che non conteneva alcun alimento deperibile. La fronte corrugata, lasciò la cucina e raggiunse Michael, intento a controllare negli armadi. - Michael, se ne sono andati via. Hanno eliminato tutto quello che poteva andare a male e se la sono filata -
- Solo Laura. Dove stanno i vestiti di lei ci sono delle stampelle vuote, ma dalla parte di lui non manca nulla. -
- Non ho trovato libri, foto o diplomi. Niente di niente... -
- Bene, direi che sotto c’è qualcosa di strano. Dobbiamo assolutamente trovarla - Estrasse il cellulare dalla tasca interna del giubbetto e chiamò Morgan, pregandolo di verificare quale fosse la vettura intestata a Laura Baker, 2560 Flagler Street, Miami.
L’uomo appuntò i dati e si offrì di verificare se ci fossero carte di credito a lei intestate.
- Perfetto. Fammi sapere appena hai trovato qualcosa. Maria ed io andiamo a cercare un posto per dormire e, se non dovesse saltar fuori niente, domani torniamo a Roswell. -
“- Ok. Salutami Maria... -”
- Certo. Ciao - Michael chiuse la comunicazione e si toccò con fare pensoso un sopracciglio. - Ti saluta. Bene, per ora non c’è altro che possiamo fare. - Diede poi una leggera pacca al davanti del giubbetto. - Se non dovessimo scoprire niente posso sempre chiedere ad Isabel di entrare nei suoi sogni... -
- Ti sei portato via le foto?!? -
- A Monroe non servivano, altrimenti perché le avrebbe tenute in quei tomi? -
Maria scosse la testa esasperata. Michael sapeva essere dolcissimo, quando voleva, ma non avrebbe mai capito perché qualcuno potesse decidere di conservare una foto nascosta fra le pagine di un libro...
Decisero di comune accordo di fermarsi nel primo motel che avrebbero incontrato uscendo dalla città e, circa tre ore più tardi, dopo aver consumato una cena incredibilmente buona in un ristorantino consigliato dall’addetto alla reception, si ritrovarono infine sdraiati in un grande e comodo letto.
Mathias, nutrito, lavato e cambiato, dormiva placido nella culla fornita dal servizievole portiere notturno, e Maria se ne stava rannicchiata fra le braccia di Michael, che continuava a deporle piccoli baci leggeri sulla fronte. - Michael? -
- Sì? -
- Nonostante tutto, sono felice di essere qui. Voglio dire, lontano da Roswell. A volte penso di essere una vigliacca perché, anche se mi sarebbe piaciuto vivere in una grande città, girare un po’ il mondo, alla fine sono rimasta a Roswell, dove conosco tanta gente, c’è mia madre, ci sono i miei amici... Avevo sognato di andarmene via con Liz, di fare grandi cose... ma poi... - Sollevò il viso per guardarlo negli occhi e sorrise. - Però ho visto un altro pianeta, e questo sono in pochissimi ad averlo fatto! - Mise una mano sulla sua guancia e gli sfiorò le labbra con il pollice. - Adesso non cambierei la mia città con nessun’altra, però ogni tanto è bello uscire dai propri confini... -
- Io non ti ho mai considerato una vigliacca, anzi! Sei la ragazza più incredibile che abbia mai conosciuto... -
- E quante ne hai conosciute? -
Lui rispose con un sorriso più simile ad una piccola smorfia. - L’importante è che abbia conosciuto te - disse sommessamente. Continuava a non sentirsi a suo agio con l’esternazione dei propri sentimenti, però c’erano delle volte in cui sembrava non poterne fare a meno. Forse era dovuto alla continua vicinanza con lei, che non faceva altro che parlare, parlare, parlare... Se non stava attento avrebbe finito col diventare un chiacchierone anche lui!...
La mossa successiva di Maria lo colse totalmente di sorpresa. Scivolò su di lui e gli prese il volto con entrambe le mani baciandolo con infinita tenerezza. - Ti amo, uomo dello spazio - disse fra un bacio e l’altro prima di perdersi in lui.

Max prese un’ampia ciotola bassa e vi mise l’occorrente per preparare il pranzo per Claudia ed Ethan poi vi passò una mano sopra trasformando il tutto in una crema densa e tiepida. - Ecco fatto. Io non so prepararla come fa Liz ma se non altro sono stato veloce... - Andò a sedersi davanti ai due bambini, che si stavano agitando nei loro seggioloni, e iniziò ad imboccarli alternativamente. - Se fate i bravi e mangiate senza combinare disastri riusciamo ad arrivare all’ospedale in tempo per prendere la mamma. Avete voglia di rivederla anche voi, vero? - Continuò a parlare dolcemente, sorridendo per l’attenzione con cui i piccoli ascoltavano la sua voce. Li amava con tutto se stesso, così come amava Jason e Shiri, e voleva aiutarli a crescere nel migliore dei modi. Sapeva che non sempre ci sarebbe riuscito, che qualche volta avrebbero pianto, e sofferto, ma per il momento voleva che conoscessero soltanto le cose belle della vita. Dentro di sé era affranto per Shiri, per il dolore che le dava la lontananza da Bren, un dolore che non avrebbe dovuto provare così presto... Ma lei non era più una bambina, non lo era mai stata, in realtà, e lui non poteva proteggerla, non in quel caso. Forse lasciarla andare da Kyle era stata la soluzione migliore, però gli era costato davvero molto e adesso aveva un assoluto bisogno di vedere Liz, di sentire le sue braccia stringerlo, di ascoltare il suo respiro...
Con estrema delicatezza si prese cura di Claudia ed Ethan, cambiò loro il pannolino e li vestì in modo adeguato per uscire, poi li sistemò nella carrozzina e, indossato il giaccone di pelle, si diresse verso l’ospedale.
Giunto davanti all’edificio dovette attendere alcuni minuti prima che Liz ne uscisse, e sorrise timidamente quando la vide arrivare.
- Ciao! Ma... siete venuti a piedi?!? - La ragazza spalancò gli occhi sorpresa guardando da lui ai gemelli, immersi in un sonno profondo.
- Mi andava di camminare... - rispose Max scrollando le spalle.
Liz sorrise incredula. - Sono quasi tre miglia! Quando mi hai detto che saresti venuto a prendermi ho pensato che ti avrebbe accompagnato qualcuno! - E davanti alla sua espressione impacciata scosse la testa e si slanciò fra le sue braccia. - Ti amo, Max Evans! - Mentre posava le labbra sulle sue chiuse gli occhi per concentrarsi esclusivamente su di lui.
Il giovane rispose con tutto se stesso a quel bacio prima di metterle una mano sulla nuca costringendola con tenerezza a reclinare il capo contro la sua spalla nel tentativo di riprendere il controllo del proprio corpo. - Ti amo, Liz Parker Evans... - sussurrò, la voce soffocata per l’emozione.
Ignari delle occhiate divertite delle persone che passavano vicino a loro, i due rimasero a lungo abbracciati godendo del reciproco calore.
Poi Liz si scostò leggermente all’indietro e lo scrutò attenta. - Stai bene? - gli chiese cercando di non mostrare la preoccupazione che l’agitava. Spesso, durante le ore appena trascorse, si era ritrovata a pensare a lui, a com’era apparso stanco e stravolto la sera prima, e ogni volta aveva provato forte il desiderio di essergli accanto, di proteggerlo da chi voleva fargli del male. Si sentiva impotente davanti all’infinita serie di attacchi di cui era vittima, avrebbe voluto urlare la sua rabbia e la sua disperazione per tutto il dolore inflitto all’uomo che amava più di ogni altra cosa al mondo, e invece poteva solo abbracciarlo. Abbracciarlo forte e dirgli spesso, spessissimo, quanto fosse speciale ed importante per lei...
Max fece un mezzo sorriso, quella piccola smorfia che gli incurvava le labbra in un modo assolutamente irresistibile. - Sì, certo. - Le prese una mano fra le sue e ne baciò il palmo prima di premersela contro la guancia.
La ragazza osservò affascinata la propria mano sparire sotto quella di Max, così grande e calda, e senza rendersene conto si mordicchiò il labbro inferiore mentre le guance le si coloravano di rosa per l’improvviso flusso di ricordi che le attraversò la mente.
Il giovane sembrò percepire le sue sensazioni perché chiuse per un attimo gli occhi e deglutì più volte. - Ti amo. Ti amo tanto... -
- Sei la mia vita, Max. Lo sai -
Lui sorrise di nuovo ed annuì.
- Ok - Sia pure a malincuore Liz liberò la propria mano e rivolse lo sguardo ai figli. Devono essersi stancati un bel po’. Non li avevo mai visti dormire così sodo, nel pomeriggio... -
- Abbiamo giocato parecchio - ammise l’alieno accovacciandosi accanto al passeggino e osservando quei visetti placidi.
“Ne avevate bisogno tutti e tre...” La giovane donna fissò intenerita la nuca del marito. Max era molte cose, ma soprattutto era un ragazzo che adorava i propri bambini e non aveva mai abbastanza tempo per stare con loro come avrebbe voluto. Sì, grazie ai soldi della lotteria avrebbero potuto fare entrambi un lavoro part-time e dedicarsi con più libertà alla famiglia. Ma avevano studiato tanto, avevano fatto progetti per il futuro, e non riteneva giusto gettare ogni cosa al vento. Soprattutto perché aveva la precisa sensazione che così facendo avrebbero in qualche modo tradito loro stessi. Certo, non era facile neanche per lei, però chi aveva mai detto che crescere fosse una faccenda semplice e indolore?...
- Che ne dici di fare un salto al Crashdown? -
Stupita, Liz spalancò gli occhi e accennò un sorriso incredulo. - Al Crashdown? -
- Perché no? Scommetto che hai saltato il pranzo, e poi ai tuoi genitori farà di sicuro piacere vederti... -
- Beh... in effetti sto morendo di fame. Ok, vada per il Crashdown! - Attese che si risollevasse in piedi e lo prese sottobraccio. - Penso che saranno più contenti di vedere i bambini, ma non importa. Anche loro hanno il diritto di viziarli, di tanto in tanto... -
- Stai forse insinuando che li vizio? -
- Oh, tu, i tuoi, Jason, Shiri, Maria, Isabel... Insomma, tutti! - S’incamminò accanto a lui lasciandogli il controllo della carrozzina. - Guarda come sono teneri... Chi potrebbe mai immaginare che razza di guai riescono a combinare non appena ci si distrae un attimo? -
- Secondo mia madre è una caratteristica dei bambini. Di tutti i bambini - precisò.
- Questo non toglie che stiano diventando dei veri diavoletti, soprattutto Claudia. -
- Già, ha la stessa insaziabile curiosità di qualcuno che conosco... -
- Davvero? E... chi sarebbe questo qualcuno? - lo stuzzicò lei.
- Oh, dicevo così... - Max incurvò le labbra in un piccolissimo sorriso - Ricordo ancora la lista con le domande che volevi farmi. Se ci fosse stata Maria, al tuo posto, dubito che avrebbe osato avvicinarsi a meno di dieci passi da me dopo aver saputo chi ero in realtà... -
Liz tacque imbarazzata. Chissà, probabilmente se Max non avesse avuto l’aspetto che aveva forse anche lei avrebbe fatto di tutto per mantenere le distanze. Ma dal momento in cui lo aveva visto chino su di sé, subito dopo essere stata ferita a morte, qualcosa l’aveva attratta in modo irresistibile e non era più riuscita a smettere di pensare a lui. E ora erano sposati ed avevano quattro splendidi figli... - Sì, forse. Anche se devi ammettere che, alla fine, pure lei è diventata abbastanza curiosa da rischiare di avvicinarsi a Michael! -
Dopo un breve silenzio il giovane si volse a guardarla, il sorriso più accentuato. - Anche Michael ed io eravamo piuttosto curiosi. - ammise - Tant’è che, nonostante tutto, stavamo sempre con voi... -
Liz gli sorrise di rimando, poi infilò una mano in tasca e ne estrasse le chiavi della macchina. - Eccoci arrivati. -
Quindici minuti più tardi facevano il loro ingresso nel locale e vennero subito accolti da Nancy Parker, che li aveva visti attraverso la porta a vetri mentre ricomponevano il passeggino dopo aver estratto i piccoli sedili dalla parte posteriore della vettura. - Ehi, ma che bella sorpresa! Buon anno, tesoro! - La donna abbracciò forte la figlia prima di salutare anche il genero. - Buon anno, Max! E come stanno i miei nipotini? -
- Benissimo, come puoi vedere... - Liz indicò divertita i due gemelli, svegli e vispi. - Papà? -
- E’ fuori per delle commissioni, ma dovrebbe essere di ritorno fra pochi minuti. Volete mangiare qualcosa? -
- Sì, grazie. - La ragazza si guardò in giro in cerca di un tavolo libero e notò con un certo stupore Jason insieme ad un gruppo di compagni di scuola. - Dov’è Shiri? - chiese alla madre.
- Non lo so. Non era con Jason, quando è venuto qui coi suoi amici. -
- Vieni, andiamo a sederci - la sollecitò Max guidandola verso un tavolo che si era appena liberato.
Una volta che si furono accomodati Liz lo scrutò sospettosa. - Tu sai dove si trova, vero? -
- E’ andata a Santa Fe, e in questo preciso istante è sul pullman che la sta riportando a Roswell. Kyle mi ha avvertito circa un’ora fa... -
- A Santa Fe?!? -
- Liz, tu hai sempre avuto Maria con cui poter parlare, lei non ha nessun’amica. Nessuna, almeno, con cui possa sfogarsi. E in certi casi i fratelli non sono sufficienti... -
A Liz non servirono altre spiegazioni. Bastarono quelle frasi per capire che Shiri aveva affrontato da sola un viaggio di quasi quattro ore a causa di Bren. Forse se avesse deciso di rimanere a casa, quel giorno, Shiri si sarebbe sfogata con lei, e invece no! Lei doveva completare la sua ricerca, infischiandosene della famiglia!
Quasi le avesse letto nel pensiero Max le prese le mani e la guardò negli occhi. - Non poteva parlarne neppure con te. Ritiene che solo Kyle possa capirla, e quindi ha deciso di andare da lui. Ed io non me la sono sentita di riportarla indietro a forza. So quanto sia doloroso stare lontano da qualcuno cui si vuole molto bene, e lo sai anche tu... -
La giovane donna scosse lentamente la testa. - E’ solo una bambina... Non riesco ad accettare il fatto che sia già così... così... -
- Innamorata? - terminò Max per lei. - Liz, è rimasta colpita da Bren fin dal primo momento che l’ha visto, e per di più è entrata in connessione con lui. E Bren mi è sembrato un uomo notevole. Sappiamo entrambi che un giorno Shiri ci lascerà, e non abbiamo alcun diritto di impedirglielo. Soprattutto se consideri quello che... che abbiamo fatto noi... -
- Hai ragione, ma... -
- E’ come te. Forte, appassionata, decisa. Diventerà una donna meravigliosa ed io sono fiero di lei. -
Liz sospirò sconfortata. Sì, Max aveva ragione: nessuno dei due poteva rimproverare Shiri per aver cercato qualcuno che potesse aiutarla a superare i momenti difficili che stava attraversando. Quello che le faceva male era che stesse soffrendo... Non era giusto... Si girò un poco per dare un’occhiata verso il tavolo dove sedevano Jason e gli altri ragazzi. Nel vederlo ridere e scherzare con loro si sentì un pochino meglio.
Allora tornò a concentrarsi su Max. - Ok, sono una madre apprensiva e soffocante. Non posso farci niente... -
Lui rise piano e sollevò la sua mano portandosela alle labbra. - Sei una madre fantastica, e guai a te se osi pensare il contrario!... -
- Tu mi consideri perfetta, quindi la tua opinione non vale -
Max depose un altro piccolo bacio nel suo palmo. - No, non sei perfetta, ma ti amo e so quanto tu sia importante per me... E... se Bren prova per Shiri quello che io provo per te... beh, non sarò certo io a tenerli separati! -
- Ma lui è un uomo, e lei... -
- Lei è più di quanto possiamo immaginare. Credimi, Liz, non c’è alcun motivo di preoccuparsi... -
- Se lo dici tu... -
Claudia scelse quel momento per emettere una serie di strilli acuti seguiti da allegri borbottii e Liz, sottraendo malvolentieri la propria mano alla gentile stretta di Max, si chinò a prendere la figlioletta in braccio. - Vieni qui, tesoro... Ecco, guarda, questo è il menu. - Gli gettò un’occhiata veloce dato che lo conosceva a memoria, poi sorrise alla piccola. - Cosa ne dici di una fetta di torta alle carote con qualche goccia di tabasco? Scommetto che ti piacerà da matti! -
Max la guardò intrattenere Claudia con la grazia e la tenerezza che le erano proprie e sentì il cuore battergli più forte nel petto. Dio, l’amava da impazzire, e amava il modo in cui si muoveva, gesticolava, sollevava le sopracciglia... per non parlare del suo sorriso, quel sorriso capace di sciogliere un iceberg... No, non avrebbe mai permesso a nessuno di tenerlo lontano da lei, e sapeva che niente avrebbe potuto impedire a Shiri e Bren di stare insieme se era quello che entrambi desideravano...
Spostò lo sguardo su Jason e sorrise dentro di sé nel notare gli sguardi che lui ed Alexandra si scambiavano. Poi si protese a sollevare Ethan e se lo sistemò in grembo. - Se fai il bravo dividerò con te il mio hamburger... -
- Max! E’ troppo piccolo per mangiare un hamburger! - protestò Liz.
- La carne tritata gli piace, e qui sanno cucinarla in maniera divina! - ribadì lui, e a sostegno delle sue parole il bimbo batté forte le manine sul bordo del tavolo.
Di lì a poco arrivarono Nancy ed una delle cameriere con il blocchetto per gli ordini e la matita pronti.
Dopo che i due giovani ebbero fatto le loro richieste la donna si sedette accanto alla figlia e tese le braccia verso la nipote. - Vieni dalla nonna, amore mio! - esclamò sorridendo affettuosamente mentre la bambina la guardava con gli occhioni scuri sgranati.
- Avete avuto molto da fare, per Capodanno? - le chiese Liz, sentendosi un po’ in colpa per essere andata in vacanza proprio nel periodo in cui i suoi genitori erano più impegnati col lavoro.
- Come al solito. E voi? Vi siete divertiti in Florida? -
La ragazza guardò di sfuggita il marito. - Sì, molto - rispose, e si mordicchiò il labbro inferiore per nascondere il disagio. Non le era mai piaciuto dover mentire...
- Ethan e Claudia hanno apprezzato moltissimo il mare. Credo che abbiano deciso che l’acqua è il loro elemento naturale... - intervenne Max in suo aiuto.
- E com’e andata in aereo? - chiese la donna con una certa preoccupazione.
- Molto bene. Né loro né Mathias hanno mostrato fastidio. -
- Meglio così. Non ero del tutto convinta che portare in aereo dei bambini così piccoli fosse una buona idea... -
Max non batté ciglio davanti allo sguardo severo della donna e preferì non rispondere. Poteva sentire il vago risentimento che lei ancora provava nei suoi confronti e sapeva che ci sarebbe voluto molto tempo prima che lo perdonasse davvero... Se solo avesse potuto immaginare quanto lui stesso si odiasse per aver fatto soffrire così tanto la persona che amava di più al mondo...
- Ciao, nonna, ciao mamma, papà... -
- Ciao, Jason! - I tre lo salutarono quasi all’unisono e lui si curvò a dare un buffetto sulle guance dei fratellini. - Papà, potrei parlarti un attimo? - chiese accennando un sorriso un po’ teso.
- Certo. - Scivolò di lato fino ad alzarsi e passò Ethan alla moglie. - Ricordati di lasciarmi mezzo hamburger, mi raccomando! - Mise poi una mano sulla spalla del figlio maggiore e con lui lasciò il locale.
Non appena furono in strada il ragazzo si toccò leggermente una tempia. - Io... non ho sentito Shiri. Non... non sono sicuro che le sia successo qualcosa, non l’ho sentita chiedere aiuto, ma... quando poco fa ho cercato di raggiungerla non l’ho trovata -
- Che vuol dire ‘non l’ho trovata’? - domandò Max mentre un muscolo gli vibrava nella mascella.
- Non ho percepito la sua essenza. Finora non mi era mai capitato... E’ diverso da come successe quando gli agenti dell’FBI ti interrogarono... Allora non riuscivo a collegarmi con te ma potevo sentirti... Adesso, invece, non riesco ad avvertire nulla... Ho paura, papà. Ho paura per lei! -
- Se fosse morta l’avrei sentito. Forse è solo svenuta... -
Jason scosse affranto la testa. - Ho provato a connettermi ma anche così... niente. Buio totale. Ti prego, papà, fai qualcosa! -
In preda all’angoscia Max controllò l’orologio. - A quest’ora dovrebbe trovarsi dalle parti di Vaughn. Ok, torniamo dentro ad avvertire Liz e poi partiamo. Coraggio, dobbiamo sbrigarci... -
Quando si ritrovò davanti alla moglie l’alieno la fissò dritto negli occhi. - Io e Jason andiamo a prendere Shiri. Ti spiace tornare a casa da sola? -
Liz comprese subito che il vero messaggio di Max era un altro. Decisa, scattò in piedi e rimise Ethan nel passeggino prima di fare altrettanto con Claudia. - Scusa, mamma, devo andare. Max, io vengo con voi - Strinse la madre in un rapido abbraccio e seguì il marito fino alla macchina mentre Jason andava a salutare i suoi amici. - Mi dispiace ma devo scappare. Ci vediamo domani a scuola! -
Alexandra, cui non era sfuggito l’improvviso turbamento del ragazzo, gli strinse per un attimo la mano. Tutto a posto? -
- Sì, certo. Ciao... -
- Ciao - Gli sorrise, ma era consapevole della sua tensione. Mentre lo guardava allontanarsi serrò a pugno la mano con cui lo aveva toccato. L’istinto le diceva che le cose stavano diversamente tuttavia doveva rispettare il suo riserbo. Forse, quando avesse avuto voglia di confidarsi, sarebbe venuto da lei. Sperava, che venisse da lei. Anche se aveva solo quindici anni era un ragazzo molto interessante e le sarebbe piaciuto che pure lui desiderasse la sua compagnia...

- Oh no... - Liz si coprì la bocca con entrambe le mani quando vide le macchine della polizia ferme sul ciglio della strada. Un violento attacco di nausea la costrinse a chiudere gli occhi e a rallentare il più possibile il respiro.
- Liz! - Max le mise una mano sulla gamba e strinse leggermente. - Tesoro, come ti senti? -
- Non... non preoccuparti per me... Jason, per favore, prova ancora... -
Il ragazzino guardò entrambi i genitori, sentì come propria la loro viva preoccupazione, e con un sospiro si sforzò di rilassarsi. “Ok, Shiri, a noi due. Ho bisogno di sapere cosa ti è successo. Ora. Permettimi di raggiungerti...”
Mentre continuava a cercare di connettersi alla sorella la vettura si arrestò e Max spalancò lo sportello. Per favore, Liz, resta qui coi gemelli. Anzi, mettiti al posto di guida: voglio che tu sia in grado di allontanarti immediatamente, nel caso dovessero esserci dei problemi! - Vedendo che lei stava per protestare si piegò a darle un bacio veloce. - Mi spiace ma devi proteggere Claudia e Ethan. E te stessa. Io e Jason torneremo il prima possibile... -
- Fate attenzione, mi raccomando -
Lui le sorrise poi fece il giro dell’auto e batté leggermente sul finestrino. Jason si volse a guardarlo e in un attimo fu accanto a lui. - E’ viva, papà, lo so -
- Lo so anch’io. Credimi, se non fosse così lo avrei sentito. -
- Ma la sua mente è... scomparsa... -
- No, Jason, semplicemente non riusciamo a raggiungerla. E questo è tutto. Avanti, andiamo a vedere cos’è successo -
Mentre avanzavano in direzione dell’ammasso contorto ed annerito del pullman Jason si fermò di colpo e si lasciò sfuggire un ansito. - Shiri! E’ a casa! - Si volse verso il padre e gli strinse forte il braccio. - Mi ha contattato! E’ tornata a casa! -
Max lo fissò speranzoso. - Ne sei sicuro? E’ davvero a casa?!? -
- Sì. Vado subito da lei! - Sorrise per tranquillizzarlo e lo lasciò andare prima di teletrasportarsi dalla sorella.
- Jason! - Preoccupato che qualcuno potesse essersi accorto dell’improvvisa sparizione del figlio Max si guardò attentamente intorno ma gli agenti erano indaffarati nel loro lavoro e nessuno sembrava averli ancora notati. Col cuore che gli batteva all’impazzata cominciò ad indietreggiare assicurandosi di non essere notato e tornò alla macchina. - Shiri si è messa in contatto con Jason. Si trova a casa, adesso, e lui l’ha raggiunta. Spòstati, sei troppo agitata per guidare... -
- No, io... -
- Liz, stai tremando. Spòstati, per favore... -
Deglutendo con fatica la ragazza annuì e fece come le era stato detto. - Sta... bene? - chiese senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla carcassa metallica che occupava buona parte della strada.
- Sì, credo di sì. Stai tranquilla, fra poco potrai accertartene di persona... - Le sorrise, anche se dentro di sé moriva dal desiderio di imitare Jason. Ma non voleva lasciare Liz da sola, soprattutto non in quel momento...

Respirando con un certo affanno la donna mise la freccia ed accostò al bordo della strada. “Lo sapevo! Lo sapevo che eri qui, da qualche parte... Ok... adesso devo soltanto localizzarti. Ma non devi essere troppo lontano, ne sono più che sicura!” Chiuse gli occhi e chinò la fronte sul volante. “Karòlyan, non abbiamo fallito, dopotutto... Per quanto debole, questa traccia prima o poi mi porterà ai reali... sempre ammesso che siano ancora vivi...” Con rinnovata decisione si raddrizzò ed aprì il cassettino del cruscotto per prendere la carta stradale. Individuato il punto in cui si trovava studiò attenta l’area circostante dopodiché ripiegò il foglio e accese nuovamente il motore. Continuò a guidare fin quando trovò la segnaletica che cercava e con una certa soddisfazione si immise sulla statale Ovest 20, lasciandosi l’Alabama alle spalle. “Forse il mutaforma è uno dei sopravvissuti della squadra di protezione delle incubatrici dei reali, chissà... In ogni caso, tanto vale cominciare le ricerche dal punto da cui partì il segnale.” La donna si morse pensosa le labbra. Quando insieme al suo compagno era andata in esplorazione della zona dove avevano calcolato che fosse atterrata la nave non aveva trovato nulla, e dopo quasi sei mesi trascorsi a setacciare inutilmente ogni angolo di quel territorio selvaggio aveva dovuto arrendersi all’evidenza: aveva perduto i reali. Col tempo aveva scoperto il nome di quel posto, Yellowstone, ma non vi era mai più tornata. Era stato difficile accettare che l’unica speranza di salvezza per il suo pianeta fosse andata distrutta, poi aveva dovuto prendersi cura di Karòlyan e un poco alla volta si era rassegnata. Dal momento in cui avevano captato quel segnale, tuttavia, si era sentita fremere per l’impazienza. Avrebbe voluto partire, riprendere le ricerche, ma l’uomo di cui aveva la responsabilità era troppo debole e malandato per seguirla e lei non se l’era sentita di abbandonarlo a se stesso. Sorrise dentro di sé, un sorriso amaro. Sì, forse Karòlyan non si sbagliava quando asseriva che era diventata troppo simile agli umani... Diede un’occhiata distratta al panorama che sfrecciava intorno a lei prima di tornare a concentrarsi sulla strada. Si sentiva allo stesso tempo eccitata e preoccupata al pensiero di riprendere la ricerca delle persone che aveva giurato di proteggere, e sperò di non essersi sbagliata. Per quanto fossero trascorsi parecchi anni dal giorno in cui aveva dovuto mettere da parte il suo incarico primario, la consapevolezza che forse i reali erano là fuori, chissà dove, le aveva messo una vera e propria smania addosso e dovette ripetersi più e più volte di calmarsi. Ma Zan, Rath, Vilandra e Ava, anche se sottoforma di costrutti, erano talmente importanti per Antar che ora non si sarebbe più fermata fin quando non li avesse ritrovati oppure avesse avuto la conferma della loro morte.

- Shiri! - Jason si slanciò verso il letto della sorella e la strinse forte a sé, quasi a volersi rassicurare che fosse davvero lì. - Sapessi cosa ho provato quando non ti ho sentita... Cos’è successo? Abbiamo visto il pullman, o meglio quello che ne è rimasto... -
Shiri rabbrividì incontrollabilmente. - E’... accaduto così in fretta che non abbiamo avuto il tempo di rendercene conto... - bisbigliò con voce spezzata. - Devo... devo essere stata sbalzata fuori dal finestrino perché... quando ho riaperto gli occhi ero per terra... Il pullman stava bruciando... e ho visto tutti quei corpi... C’erano anche dei bambini, e... - Tacque per un attimo, sopraffatta dai ricordi - e li ho curati... - Emise un singhiozzo convulso mentre le sue dita si aggrappavano spasmodiche alla giacca del fratello. Non potevo lasciarli in quelle condizioni... -
Il ragazzo le strofinò con affetto la schiena. - No, certo, hai fatto bene... Ma... ti hanno vista? -
La giovane aliena scosse piano la testa. - No, non credo. Non eravamo in molti e, tranne me, gli altri erano svenuti o troppo malridotti per capire quello che stavo facendo... Sono riuscita a tirare fuori l’autista e altre due persone, che erano rimaste bloccate tra le lamiere, poi... poi ho sentito le sirene e sono scappata... Però... - Chiuse gli occhi nel tentativo di rammentare con esattezza le sensazioni che aveva provato, - ad un certo punto ho avvertito qualcosa... Qualcosa di insolito... non saprei spiegarti perché ma... sono sicura che non fosse umano... - Allentò un poco la presa e sollevò le palpebre per incontrare lo sguardo di Jason. - E’ successo proprio mentre mi stavo concentrando per... per cercare di teletrasportarmi, e per questo quando sono arrivata qui mi sono... chiusa, perché avevo paura che potesse accorgersi di me, allo stesso modo in cui io mi ero accorta di lui. E mi sono dimenticata del nostro... appuntamento... - Nel dire così accennò un pallido sorriso. - Mi dispiace, mi rendo conto di averti fatto preoccupare, ma ero davvero sconvolta... -
- Sì, riesco ad immaginarlo! - Jason tornò ad abbracciarla e le diede una leggera pacca sulle spalle. - Devi dirlo a papà appena arriva. E’ importante che sappia che c’è qualcuno, là fuori, come noi. O almeno, non del tutto umano... -
Shiri annuì in silenzio, ancora sottosopra, poi emise un profondo sospiro. - Sono riuscita a trasportarmi fin qui senza alcun problema, e invece non ce la faccio a raggiungere Bren da sola... -
- Si vede che certi poteri sono semplicementi lì, pronti per l’uso, mentre altri devono essere sviluppati... Secondo me, con un po’ di allenamento riuscirai a muoverti nei sogni senza alcuna difficoltà. Però vacci piano: ricordati quello che ci è successo dopo che... che ti ho portato su Antar... - Pronunciò le ultime parole con tono basso, colmo di rammarico, e la ragazza rafforzò l’abbraccio per confortarlo. - Hai salvato le nostre vite. Non ti ringrazierò mai abbastanza! -
Quando arrivarono a casa Max e Liz trovarono i due in cucina, intenti a sorseggiare del tè.
- Ciao! Ce n’è anche per voi, se lo volete - esclamò Jason indicando il bollitore elettrico.
- No, grazie. Santo cielo, Shiri, mi sono sentita morire nel vedere quel disastro! - Liz corse verso la figlia e se la strinse al petto. - Stai bene, tesoro? Come ti senti? -
- Molto meglio, grazie. Quell’incidente... mi ha scombussolata, tutto qui... - Shiri si abbandonò contro di lei, godendo del calore e dell’affetto che irradiava.
Max colse la lunga occhiata del figlio e si domandò cosa fosse realmente accaduto.
- Mamma, papà, c’è qualcuno, là fuori, in grado di avvertire la nostra presenza. O perlomeno, il livello di energia creato da Shiri quando si è teletrasportata qui a casa. E ci sono dei bambini con un’impronta d’argento sul corpo... -
A quelle parole Liz aumentò la stretta intorno alla ragazza. Poteva immaginare senza alcuna difficoltà cos’era successo e non se la sentiva di rimproverare Shiri per aver guarito quei piccoli. Ma ora il timore delle possibili conseguenze le fece venire la pelle d’oca. Non avrebbe mai sopportato di vedere sua figlia perseguitata e torturata come avevano fatto con Max... Si volse a guardare implorante il marito, che alle parole di Jason aveva chinato il capo e si era infilato le mani in tasca con espressione smarrita. Anche lui doveva aver pensato la stessa cosa, e per un folle attimo sperò che la rassicurasse che era tutto a posto. Invece, il giovane fece un respiro profondo e si raddrizzò lentamente. - Potrebbe trattarsi di qualcuno della base. Forse non erano tutti lì, quando è esplosa. Forse avevano degli... esploratori... in giro. Il comandante aveva detto qualcosa a proposito di un’informazione ricevuta, e... Non lo so... Davvero, non ho idea... Magari, dall’altra parte del mondo è atterrata un’astronave e i suoi occupanti ci stanno cercando... - Fece un sorrisetto amaro - Dico questo perché non è ancora venuto nessuno ad interrogarmi e quindi non dev’essere successo negli Stati Uniti... Vide Liz sollevare incredula le sopracciglia e scrollò le spalle. - Ok, era una battuta stupida, ma non so proprio che pensare! -
- Perché non provi a monitorarlo? Potresti scoprire dove si trova... se sta venendo a Roswell... o se è già qui... - lo pregò lei, ma Jason protese un braccio a toccare il padre. - No! Non farlo! Lui ha sentito l’energia una volta solamente, ma in questo modo gli daresti la conferma della nostra presenza! -
- Quando qualcuno di noi userà i suoi poteri per qualcosa di importante lui lo avvertirà. E non credo che sia possibile evitarlo. Soprattutto considerando che fra qualche settimana Isabel partorirà, e poi io dovrò partire per Antar. Non voglio lasciare questa faccenda in sospeso... -
Il ragazzino ritirò la mano. - Hai ragione, non è il caso che mamma e i gemelli restino da soli con un alieno sconosciuto in circolazione... -
Nell’udire le sue parole sia Max sia Liz lo fissarono sconcertati, e lui sorrise. Un sorriso saggio e gentile, terribilmente adulto. - Shiri ed io verremo con te, papà. Antar è anche la nostra patria e abbiamo il dovere di conoscerlo e di aiutare la nostra gente. In più, credo che anche Bren desideri rivedere Shiri... -
Liz chiuse gli occhi, riconoscendo la fondatezza del suo ragionamento. Per quanto non le facesse piacere sapeva che un giorno Shiri li avrebbe lasciati, così come anche Jason, prima o poi, se ne sarebbe andato. Era nell’ordine naturale delle cose e, come ormai sempre più spesso le succedeva, cominciava a comprendere davvero i suoi genitori, la loro reazione a Max... Non era facile separarsi dai propri figli, mai...
- Allora... parlerò con Michael e decideremo il da farsi - Il giovane passò un braccio intorno alle spalle di Jason e gli diede un bacio sulla fronte. “Io... non vorrei portarti con me ma... hai ragione, Antar è la tua eredità...” Se lo strinse al cuore, in preda ad una forte emozione. Era così difficile proteggere i propri cari senza per questo impedirgli di vivere... A volte si sentiva terribilmente combattuto... Anche quando si trattava di Liz... Avrebbe voluto essere sempre al suo fianco, pronto a difenderla da tutto e da tutti, ma era un pensiero stupido ed egoista. Perché lei era forte ed intelligente e in grado di badare a sé, e allo stesso tempo aveva il diritto di crescere facendo da sola le sue esperienze. Lui doveva semplicemente essere lì, pronto ad aiutarla quando ne avesse avuto bisogno. Allo stesso modo in cui Liz era sempre lì per lui... Guardò poi Shiri e sentì una staffilata nel cuore. La sua bambina... la sua piccola e tenera Shiri... Ormai era una giovane donna, per quanto assurdo e doloroso fosse... Era così ingiusto che alla sua età avesse dovuto sopportare tanta sofferenza... Forse sarebbe stato meglio per tutti se lui non fosse sopravvissuto all’incidente del 1947, ma questo avrebbe sicuramente significato la morte anche per Isabel e Michael... Dio, era tutto così... così complicato!...
Con un sospiro cercò di focalizzare di nuovo i propri pensieri su quello che doveva fare. - Vado a telefonare a Kyle - disse dopo qualche secondo.
Kyle rispose subito e quasi assalì Max con un fiume di parole sussurrate a fior di labbra. Appena aveva saputo del grave incidente che aveva coinvolto il pullman si era dannato l’anima per riuscire a scoprire cosa fosse successo a Shiri ma nessuno sembrava averla vista, né gli agenti subito intervenuti né i medici del pronto soccorso dell’ospedale di Vaughn, dove erano stati ricoverati i feriti. Volendo evitare di attirare l’attenzione su di lei non aveva osato insistere nelle sue ricerche, tuttavia il fatto che fosse scomparsa lo aveva preoccupato moltissimo. Fu quindi con estremo sollievo che seppe del suo ritorno a casa, e assicurò l’amico che, almeno fino a quel momento, non era stato segnalato alcunché di strano sui corpi dei passeggeri. Promise comunque di prestare la massima attenzione nel caso ci fossero state delle novità.
Quando ebbe riattaccato Max tornò in cucina e fissò dubbioso la figlia. - Pare che le tue impronte siano passate inosservate... -
A quelle parole la ragazza si agitò. - Com’è possibile? Io ho guarito quei bambini! -
- Tesoro, ti credo, ma apparentemente nessuno ha visto quei segni. O perlomeno non si è lasciato sfuggire neanche il minimo accenno in proposito... -
- Non potrebbero essere già scomparsi? - chiese Jason, e Max scosse la testa. - No, ne dubito. Di solito ci vogliono un paio di giorni -
- E’ sempre così? - intervenne Liz agitando un poco la mano in aria. - Voglio dire, se si tratta di una reazione all’energia sprigionata l’effetto potrebbe essere variabile... Magari nel caso di Shiri l’impronta potrebbe avere una durata minore rispetto alla tua... -
Il giovane si strinse nelle spalle. - Non ne ho idea. Di sicuro non esiste una regola fissa, per quel che riguarda i nostri poteri... -
Liz si volse a guardare i gemelli ancora nel passeggino. Ethan era completamente assorto con qualcosa che stringeva fra le manine. Il leggero bagliore verdastro la fece fremere di disappunto. - No, infatti - disse rassegnata.
- D’accordo, una cosa alla volta. Per le impronte non possiamo fare altro che sperare che davvero si siano dissolte prima che qualcuno potesse vederle... - Max guardò pensoso i figli più grandi. - Per quel che riguarda l’alieno, ritengo che possa sentire la nostra energia solamente se ne richiamiamo una grande quantità, per cui continuate pure a tenervi in contatto ma non fate nient’altro. Ci siamo intesi? Almeno finché non avremo scoperto di che si tratta... -
- D’accordo - Jason annuì, subito imitato dalla sorella, poi si alzò e mise nel lavandino le tazze sporche. Vado... vado a preparare i libri per domani. - disse senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Shiri, dopo averlo guardato allontanarsi, si alzò in piedi a sua volta e andò verso il passeggino per prendere in braccio Claudia. - Noi due ce ne andiamo a giocare di là - Aveva bisogno di distrarsi, di fare qualcosa che la distogliesse dal ricordo di quei poveri bambini, e forse la sua vivacissima sorellina avrebbe potuto aiutarla...

- Non venite a studiare a casa mia? - domandò Tanya sorpresa.
Jason si strinse nelle spalle con aria di scusa. - Mi spiace ma non possiamo. La prossima volta, ok? -
- Ok. E per stasera? -
- Non lo so, penso di sì. Ti faremo sapere... -
- D’accordo. Ciao, allora -
- Ciao - Jason la salutò con un sorriso, poi fece un cenno verso Alexandra. - Ciao - ripeté.
La ragazza si mandò le treccine dietro la spalla cercando di nascondere il proprio disappunto. Durante le ore di lezione che aveva avuto in comune con lui lo aveva visto spesso distratto, e così pure Shiri. Di solito erano entrambi molto socievoli ma quel giorno aveva avuto la netta impressione che volessero restarsene per conto loro. Ormai aveva smesso di stupirsi per le proprie reazioni nei confronti di Jason, ma in quel momento si sentì quasi soffocare per la delusione. Si diede della stupida, vedeva benissimo che lui la trattava nello stesso identico modo in cui trattava tutti gli altri, però non riusciva a dimenticare il profondo senso di benessere che aveva provato la notte del Ringraziamento, quando erano rimasti seduti sul divano fin quasi all’alba, e la tenerezza del bacio che le aveva dato sui capelli. Nessuno l’aveva mai fatta sentire così bene, e avrebbe voluto che lui la stringesse ogni tanto come aveva fatto quella volta. Per non avvertire più la desolante solitudine che le appesantiva il cuore quando lo guardava andarsene via. Per non sentirsi rifiutata dal mondo, dalla vita. Incerta, all’improvviso quasi paralizzata dalla timidezza, abbassò la mano e la tese leggermente in avanti fino a sfiorare la sua. Un brivido le corse lungo la schiena quando si rese conto della quasi impercettibile flessione di quelle dita sottili e forti, appena l’idea di una carezza. Incredula, cercò il suo sguardo e rimase colpita dal calore di quegli splendidi occhi. Poi Jason si volse e se ne andò insieme alla sorella lasciandola senza fiato e col cuore in gola.
- Ehi, Alex, ti muovi? -
La voce divertita di Sabrina la riscosse e, dandosi una scrollata mentale, seguì le amiche.
- Lo sai, si direbbe quasi che Jason ti piaccia... Di’ un po’, è così? - la prese affettuosamente in giro la ragazza.
- Non dire stupidaggini. E’ solo un ragazzino -
- Sarà, ma certe volte lo guardi in un modo... -
A quelle parole Alexandra si volse di scatto verso di lei. - Credi che se ne sia accorto?!? - domandò agitata.
Sabrina si strinse nelle spalle. - Non lo so. Comunque... non mi sembra che con te si comporti in maniera diversa che con le altre... -
- Meglio così. E’ vero, mi piace, ma non mi va che lui lo sappia. Quindi, per favore, voi due evitate di parlarne, ok? -
- Ok - Tanya le sorrise divertita. - Però non è niente male. Hai buon gusto, devo riconoscerlo... -
La ragazza s’irrigidì impercettibilmente. Sì, Jason aveva un viso molto bello ed un corpo fantastico, a differenza degli uomini che aveva frequentato quando stava a Los Angeles. Ma allora le importava soltanto che i suoi compagni fossero disposti a pagarla, non che fossero attraenti... In realtà neppure adesso era molto interessata alla fauna maschile, però Jason Evans era un discorso a parte. Lui... l’aveva colpita in una maniera che ancora non riusciva del tutto a capire... Sapeva soltanto che, in caso di bisogno, non avrebbe avuto alcuna esitazione a chiedere il suo aiuto. E soprattutto, era certa che lui l’avrebbe aiutata... Era strano, tenuto conto del fatto che fino a non molto tempo prima aveva considerato l’altro sesso solamente un mezzo per ottenere quello che le serviva, ma Jason le ispirava una fiducia tutta particolare e sembrava molto più grande della sua età.

Mentre camminavano fianco a fianco Jason lanciò un rapido sguardo a Shiri. - Qualsiasi cosa accada, stasera usciremo insieme a loro. Non dobbiamo lasciarci intrappolare da questa storia... -
- Hai ragione, ma se per caso lo zio Michael avesse scoperto qualcosa di importante? Non so, magari che quell’essere sta venendo qui a Roswell? Forse non sarebbe prudente andare in giro, non credi? -
- Certo, però tu non hai più sentito niente, no? - Attese che lei scuotesse la testa, e con un sorriso aggiunse: - Allora per adesso non ci sono problemi. Tu hai bisogno di distrarti ed io ho voglia di stare in compagnia dei nostri amici quindi, a meno che papà non ce lo vieti, questa sera usciremo. D’accordo? -
- D’accordo - La ragazza lo prese sottobraccio. - Lo sai che la tua idea mi piace? -
- Lo immaginavo... -
Quando arrivarono a casa trovarono Max ed Isabel, che avevano chiesto un permesso per uscire prima, e Michael e Maria, appena giunti dall’aeroporto. Mancavano Liz e i gemelli, e Jason guardò il padre con fare interrogativo ma lui rimase impassibile mentre Michael estraeva da una tasca del giubbetto delle fotografie. - Abbiamo trovato queste. Laura Baker... - passò a Max la foto con il primo piano della donna, - mentre Jackson Monroe dovrebbe essere uno di loro, almeno spero. Puoi riconoscerlo? -
Max osservò con attenzione il ritratto del gruppo di medici e poi indicò un uomo magro dai capelli scuri e ricci. - E’ lui -
- Ne sei certo? - chiese Michael speranzoso.
- Sì, assolutamente. Isabel, vuoi provare? - Il giovane porse i cartoncini alla sorella, che si sedette comodamente sul divano e li studiò pensosa. Con un sospiro toccò il viso di Monroe e si concentrò mentre i nipoti la fissavano osando a malapena respirare.
L’aliena ricevette quasi subito le immagini mentali dell’uomo, immagini che riguardavano il suo lavoro al pronto soccorso, l’intervento su Max, il tentativo di bloccare la sua fuga, l’incontro con Shiri. Respirando affannosamente lasciò cadere la fotografia. - E’ confuso, disorientato. E’ preoccupato per te, Max, perché sa che stavi morendo... e ha visto Shiri e l’ha scambiata per Liz. Il fatto che tu sia riuscito a scappare con Liz e che Laura Baker sia sparita nel nulla lo ha messo in crisi. Ma non mi sembra un pericolo, per noi. Però... credo che non dimenticherà facilmente quello di cui è stato testimone... - Ruotò piano la testa per sciogliere i muscoli tesi del collo poi, prima che Max potesse fermarla, si concentrò sulla seconda foto. E con un grido soffocato s’inarcò all’indietro irrigidendosi.
- Isabel! - Il fratello le strappò la fotografia dalla mano e l’abbracciò con forza accarezzandole la schiena nel tentativo di calmarla. - Isabel, cos’hai? Isabel... - Istintivamente le sfiorò la pancia per controllare Natalie e sospirò sollevato. La bambina era molto agitata ma sembrava stare bene. Isabel, invece, continuava a tremare. - O mio dio... E’ lei... E’ lei... -
Max le sfiorò la tempia con un bacio leggero. - Shhh... Ho capito... Stai tranquilla, Isabel... Ho capito... - La cullò teneramente poi alzò il capo ed incontrò lo sguardo inorridito di Shiri. La ragazza era pallida come un lenzuolo. Tese un braccio nella sua direzione e lei quasi gli cadde addosso.
- Che diavolo sta succedendo? - borbottò Michael sconcertato.
Maria si girò automaticamente verso Jason, rimasto immobile dov’era. - Tu sai di che si tratta? -
- Non ne sono sicuro... - Serrò le mani a pugno un paio di volte, senza neppure rendersene conto. A quanto pare la donna che ha curato mamma è l’aliena che ha sentito Shiri quando si è teletrasportata a casa -
- Di che diamine stai parlando?! - chiese Michael con tono duro.
Gli rispose Max. - Ieri Shiri è andata a Santa Fe, e al ritorno il pullman si è scontrato con un autocarro tra Vaughn ed Encino. Dei bambini sono rimasti feriti e lei... li ha guariti. Quando ha sentito le sirene ha usato tutta la sua energia per arrivare fin qui e ha percepito qualcosa ma è anche stata... percepita... -
- E quando avevi intenzione di dirmelo? - si arrabbiò il giovane. - Santo cielo, Max, come puoi pretendere che cerchi di risolvere i nostri problemi se neppure mi dici quali sono?!? -
- Te lo sto dicendo adesso. C’è qualcuno, da qualche parte, in grado di avvertire la nostra presenza. Non avevamo idea di chi fosse però, a quanto pare, ora lo abbiamo scoperto. Laura Baker non è umana -
- Ah, mi fa piacere saperlo! E ora cosa facciamo? Ma ti rendi conto?!? Un alieno! E non credo sia nostro amico, altrimenti si sarebbe fatto vivo con noi già da un bel pezzo! -
- Piantala, Michael - lo ammonì Max. - Magari ci sta cercando, esattamente come ha fatto Bren. E il Consiglio non può essere al corrente di tutto -
- Già, come non sapeva della base sottomarina! La sai una cosa? Comincio a sospettare che Rodhya sia un incapace! -
- Ora stai esagerando. Senti, quella donna non sa chi siamo, né dove viviamo. Dobbiamo trovarla e scoprire cosa vuole. Non deve arrivare ai ragazzi - Nel dire questo accarezzò la nuca della figlia con fare protettivo.
- Papà... - La ragazzina si tirò leggermente indietro e lo fissò negli occhi - e se invece l’attirassimo qui? Se andassimo in qualche posto sicuro e... ci facessimo sentire, perché possa raggiungerci? In questo modo chiariremmo le cose subito, nel momento scelto da noi, anziché aspettare senza sapere se e quando ci scoprirà lei... -
Il pesante silenzio che seguì a quella osservazione le fece comprendere come Max avesse già esaminato quella possibilità. Incerta, volse lo sguardo in direzione di Michael e la sua espressione impassibile fu più eloquente delle parole. Senza dire altro si sciolse del tutto dall’abbraccio del padre e tornò accanto al fratello. - Io vado di sopra a fare i compiti - disse con tono sommesso.
Jason era combattuto. Avrebbe voluto seguire la sorella ma allo stesso tempo non voleva essere tagliato fuori da quella faccenda, che riguardava tutti quanti loro. Fece per parlare tuttavia venne preceduto dal padre, che lentamente si alzò dal divano e si spostò verso Michael. - Isabel, tu restane fuori. Hai fatto fin troppo, date le tue condizioni, e adesso devi pensare solo a proteggere Natalie. Jason, questo vale anche per te e Shiri. Dell’alieno ce ne occuperemo Michael ed io. E’ un ordine, mi avete capito? -
Isabel serrò le labbra in una smorfia che non sfuggì a Jason. Neppure a lui piaceva l’idea che suo padre e lo zio fronteggiassero da soli quell’essere, però capiva anche le ragioni dietro quella decisione e senza fiatare si ritirò a sua volta.
- Andrete nel deserto? -
Michael lanciò un’occhiata a Max e lo vide annuire. Strinse per un attimo i pugni. Quella faccenda non gli piaceva per niente. Forse era solo una coincidenza, tuttavia il fatto che fosse venuta fuori poco dopo la distruzione della base sottomarina lo disturbava alquanto e sospettava che l’aliena potesse essere una spia al soldo di quel farabutto di Khar. Si ripromise che da quel momento non avrebbe lasciato mai solo Max, ma per farlo... Prese il proprio cellulare e compose un numero. - Jim? Ho bisogno di un favore: posso portare Maria e Mathias da te per qualche giorno? Perfetto! Allora ci vediamo più tardi... -
Mentre cancellava le tracce della telefonata Maria gli si mise di fronte e lo fissò infuriata. - Come ti sei permesso?!? Io non ho nessuna intenzione di andarmene di casa! -
- E invece lo farai. Non voglio che ti succeda qualcosa! -
- Cosa potrebbe succedermi, eh? O pensi che quella donna venga a sentirmi cantare e capisca che mio marito è un alieno?!? Certe volte sei davvero paranoico!... -
- Non è questo il punto... -
- Ah no? Allora qual è? - lo aggredì lei.
- Io devo rimanere con Max, e non voglio che tu stia sola. Quindi, l’unica soluzione è andare da tua madre -
- Ma davvero... - Maria volse lo sguardo infuocato verso Max. - E Liz? Cos’hai deciso che faccia, lei? - Un sorriso di scherno le apparve sulle labbra mentre osservava la reazione del giovane, chiaramente a disagio.
- Quando la smetterete di disporre di noi come più vi aggrada? - lo accusò.
- Non è vero che disponiamo di voi. Veramente... Liz fa sempre di testa sua. - Ripensò a quando lei gli si era aggrappata, sulla spiaggia di Miami Beach, per rimanergli accanto mentre la colonna di luce lo trascinava via, e a tutte le altre volte in cui lo aveva seguito mettendo a repentaglio la propria vita. E alla paura che gli stringeva lo stomaco in una morsa dolorosa al pensiero di perderla... - Noi vogliamo solamente sapervi al sicuro - disse piano.
La ragazza, placatasi, gli sfiorò con gentilezza il braccio. - Lo so, Max. E credimi, Liz ed io vorremmo la stessa cosa per voi. Sempre. Ma sappiamo che non è possibile perché il vostro... è un destino difficile. E vi lasciamo liberi di seguirlo. Però, sarebbe bello se ci lasciaste la stessa libertà... La libertà di seguirvi, di prenderci cura di voi. Perché vi amiamo e non sopportiamo di vedervi soffrire... -
L’alieno arrossì leggermente. Quello che aveva detto Maria era vero, verissimo. Ma... Liz era troppo importante per lui perché potesse accaderle qualcosa... Aveva bisogno di lei, di sapere che l’avrebbe stretto fra le sue braccia e gli avrebbe dato la luce ed il calore che aveva dentro di sé e di cui era sempre affamato... Liz era la sua vita. Come poteva metterla in pericolo? - Anche noi vi amiamo e non sopportiamo di vedervi soffrire - mormorò. Abbozzò un sorriso - E siccome siamo prepotenti vinciamo noi - Si piegò un poco in avanti e le diede un bacio sulla guancia. - Fai quello che ti ha chiesto Michael, per favore... -
Lei lo fissò socchiudendo gli occhi. - Chiesto? Ordinato, direi! -
- Comunque sia. Ti prego... -
- E va bene. Ma farete bene a risolvere la faccenda molto in fretta! - Girò su se stessa evitando accuratamente di guardare verso Michael e si diresse alla porta di casa a passi decisi.
Il giovane guardò esasperato Max poi seguì Maria, mentre Isabel si alzava in piedi. Era un poco impallidita e le girava la testa, come succedeva ogni volta che la mente di Natalie l’attirava dentro di sé. Non volendo dare al fratello altri motivi di preoccupazione si sforzò di sembrare naturale. - Bene, a questo punto me ne vado anch’io. Mi raccomando, state attenti... - Salutò il fratello con un rapido abbraccio, dopodiché lo lasciò solo coi suoi pensieri.
Liz rientrò circa un paio d’ore più tardi e osservò perplessa Max, che era andato ad aprirle tenendo un cucchiaio in mano. - Ciao! Non è un po’ presto per preparare la cena? -
- E’ per i gemelli. Shiri e Jason escono coi loro amici, e non appena avremo messo a letto Claudia e Ethan avremo tutta la serata per noi. - Aveva parlato con tono noncurante ma a Liz non era sfuggito il lampo di desiderio nei suoi occhi. - Mi piace, questo programma! - Spinse di lato il passeggino e chiuse la porta con una spinta distratta prima di passare un braccio intorno alla vita di Max sollevandosi in punta di piedi per baciarlo.
Lui le passò la mano libera fra i capelli approfondendo il bacio mentre reagiva istintivamente alla pressione del suo corpo contro il proprio.
- Ehi... - Liz sorrise quando lui la lasciò andare. - Che accoglienza... - Gli sfiorò il viso con la punta delle dita, poi si fece seria. - C’è qualcosa che non va? -
- Non ti sfugge proprio niente, eh? - fu la risposta enigmatica di Max. Le prese le dita e ne baciò delicatamente le punte. - Ne parliamo dopo aver fatto mangiare e cambiato i bambini - disse, e si chinò a prendere i figli in braccio.
Sconcertata, la ragazza si tolse il cappotto e lo seguì in cucina. Poteva sentire la sua tensione ma non ne capiva il motivo, finché un pensiero si affacciò molesto. - E’ per via di quello che è successo a Shiri? Ci sono novità sull’alieno? -
- Non esattamente. Liz, davvero, preferirei parlarne più tardi... -
- D’accordo. - Si morse il labbro inferiore, non del tutto convinta, poi lo aiutò ad occuparsi dei bambini e quando Shiri e Jason scesero a salutare prima di uscire rimase colpita dalla cura con cui si erano vestiti. Andate in qualche posto particolare? - chiese stupita.
- Non abbiamo idea di quello che faremo, ma è venerdì sera e quindi è bene essere pronti a tutto... Ciao, e divertitevi anche voi! -
- Restate sempre insieme, d’accordo? Non voglio che vi separiate, per nessuna ragione! - li avvertì Max con tono perentorio.
- Sì, tranquillo... - Jason fece un segno di saluto e se ne andò con la sorella.
Liz rimase a guardarli allibita. - Che diamine gli è successo? -
Max si strinse nelle spalle. - Non facciamo che ripetergli di comportarsi normalmente... Credo che questo sia il risultato -
- Fantastico... -
- Hai fame? Vuoi che prepari qualcosa da mangiare anche per noi? -
- Mi basta un panino. - Sentendo l’ansia crescere dentro di sé Liz aprì il frigorifero e ne estrasse alcuni contenitori mentre Max prendeva i piatti, i bicchieri e una confezione di pane.
Mezz’ora dopo erano nella loro stanza, seduti sul letto uno di fronte all’altro.
- Allora? Vuoi dirmi che cosa c’è? - domandò la ragazza prendendogli una mano fra le proprie.
Il giovane fissò intensamente quelle mani piccole e delicate, come se ne fosse affascinato, poi se le portò alle labbra e le baciò a lungo. Avrebbe voluto stringerla a sé, amarla con tutta la passione che nutriva per lei, invece in quel momento aveva quasi paura di incontrare il suo sguardo. Perché sapeva che lei avrebbe sofferto per quello che doveva dirle, e non voleva... non voleva essere la causa del dolore nei suoi occhi...
- Max, per favore, mi stai facendo preoccupare... - Con gentilezza gli accarezzò i capelli. Perché non rialzava la testa? Perché non diceva niente?
Alla fine Max si costrinse a raddrizzarsi e, dopo aver deposto un ultimo bacio sulle sue dita, la guardò dritto in volto. - Michael è tornato nel primo pomeriggio e ha portato delle foto che Isabel ha usato per collegarsi con i due medici che si sono occupati di noi. Ha scoperto che la donna che ti ha curato, Laura Baker, è un’aliena. La stessa di cui Shiri ha avvertito la presenza... - Davanti all’espressione sconvolta della ragazza sentì un brivido corrergli lungo la schiena. - Domani sera io e Michael andremo nel deserto e faremo in modo di attirare la sua attenzione. Speriamo così di evitare che possa arrivare a voi, almeno finché non avremo capito se sia dalla nostra parte o no - disse con voce ferma.
Liz corrugò la fronte cercando di capire. - Tu e Michael? Voi due... da soli? - E davanti al suo cenno affermativo emise un profondo sospiro. - E’ pericoloso. Non sapete chi sia, cosa voglia, ed è semplicemente pazzesco che ve ne andiate di notte nel deserto, a lanciare esche di energia, senza avere alcuna idea di che cosa arriverà! -
- Non c’è altro da fare, a meno che tu non preferisca rischiare di incontrarla faccia a faccia mentre sei da sola coi gemelli... -
- Ne sei proprio sicuro? Voglio dire, è vero, potrebbe essere un alieno ostile, ma proprio per questo non credo che sia il caso che l’affrontiate soltanto in due! Per quanto la cosa non mi piaccia, penso che sarebbe meglio se Jason e Shiri venissero con voi -
- No, assolutamente no. Qui non si tratta di Antar, della responsabilità di un intero pianeta, perciò voglio che almeno questa volta ne rimangano fuori. -
- Allora porta Morgan e lo sceriffo, sono certa che loro accetterebbero di aiutarvi... -
- No, Liz. Non voglio continuare a coinvolgere degli innocenti, per cui saremo solo io e Michael. E nessun altro. - Vedendo la sua espressione combattiva le prese il viso fra le mani. - Liz, io devo pensare prima di tutto a te e ai nostri figli. Ci sono state delle occasioni in cui ho lasciato che mi seguissi, e tu hai finito sempre col correre dei rischi terribili! Ma ora no, ora voglio che tu rimanga lontano da me, al sicuro. Ti supplico, Liz, ho bisogno di saperti in salvo! -
- E tu? Tu sarai in salvo? -
- Io... farò tutto il possibile perché non accada niente né a Michael né a me, non posso dirti altro... -
Liz gli prese i polsi e lo costrinse gentilmente ad abbassare le braccia. - Certo, capisco. Però vorrei che tu capissi me. Capissi cosa provo quando so che la tua vita è in pericolo e non posso fare niente per aiutarti. La frustrazione, la paura... Anche io sono terrorizzata all’idea di perderti! Perché continui a pensare a quello che serve a te, e non ti fermi un attimo a riflettere su di me?! Come credi che mi sentirei se ti accadesse qualcosa? - Le sue dita lo afferrarono così saldamente che le nocche le divennero bianche. - Tu lo sai quello che ho sofferto quando te ne sei andato via, com’è stata dura per me andare avanti da sola, con un bambino che forse non avrebbe mai conosciuto suo padre... Lo hai visto nella mia mente... E sai anche che non ce la farei a sopportarlo di nuovo... -
Max si sentì morire dentro. - Liz, io non vorrei mai... -
- No, naturalmente no! Però è quello che fai! Ogni volta che l’altra parte di te ti reclama io sono spaventata a morte, e so che non c’è niente che possa fare per proteggerti! - Lacrime amare le scivolarono lungo le guance. - Anche io ho bisogno di saperti in salvo... - sussurrò guardandolo implorante.
- E’ il mio destino... - fu la risposta di lui, altrettanto sommessa e dolente.
- Lo so -
Lui fece per abbracciarla ma Liz si ritrasse di scatto. - No, ti prego... Ora... ora non ce la faccio... Scusami... - Indietreggiò fino ad appoggiarsi alla testiera e si strinse le ginocchia al petto, lo sguardo perso nel vuoto. Piangeva piano, in silenzio, desiderosa del suo conforto ma incapace di sopportare la struggente tenerezza della loro connessione mentale.
E Max non poté che continuare a guardarla, soffrendo con lei. Avrebbe tanto voluto trascorrere quelle ore amandola, cullandola contro di sé, e invece dovette rimanersene da parte, sentendo la terribile distanza che li separava.
Era ormai notte fonda quando, con un piccolo sospiro, Liz sollevò un poco il mento e si volse di lato andando a rannicchiarsi contro il corpo di Max.
Sentendo le sue braccia circondargli il torace il giovane fremette e chiuse gli occhi, aspirando con gratitudine il profumo dei suoi capelli. - Ti amo, Liz... - bisbigliò. - Ti amo... -
Lei annuì in silenzio, la testa premuta contro la sua spalla. Il calore delle sue mani sulla schiena le diede un piacevole senso di sicurezza. “Ti amo, Max...”
In quel momento Max sentì rumore di passi e voci soffocate e, immaginando che fossero i figli, sorrise con sollievo. “Sogni d’oro, ragazzi” augurò mentalmente, dopodiché creò una sottile bolla di energia che racchiuse lo spazio intorno a loro in una specie di bozzolo ovattato. Non voleva che qualcosa potesse turbare il sonno di Liz, non quella notte...

- Accipicchia, Shiri! Non sapevo che fossi in caccia! - Sabrina sorrise ammirata all’amica. - Sei uno schianto! -
- Davvero? -
Mark annuì vigorosamente. - Concordo in pieno! Ma stai tranquilla: ti proteggeremo noi! -
- E chi la proteggerà da voi? - lo prese in giro Alexandra.
Scoppiarono tutti a ridere e, continuando a scherzare sull’eleganza dell’abbigliamento di ciascuno di loro, si diressero verso il locale prescelto, una discoteca molto in voga.
Desiderosi di divertirsi lasciando da parte ogni problema Jason e Shiri si abbandonarono senza riserve alla musica scatenandosi con gli amici.
Il posto era pieno di gente e faceva decisamente caldo per cui c’era un continuo andirivieni tra la pista da ballo ed il bar.
I camerieri avevano giusto il tempo di posare sul bancone i bicchieri ricolmi di liquidi variamente colorati prima che mani ansiose se ne impadronissero, ed era inevitabile che si creasse confusione con le bibite.
Fu così che, anziché l’acqua ghiacciata che aveva chiesto, Jason si ritrovò a bere tutto d’un fiato un’abbondante quantità di tequila.
In piedi accanto a lui Alexandra si accorse subito della sua espressione stranita e lo afferrò saldamente per un braccio. - Ehi, ti senti bene? - gli chiese gridando per farsi sentire.
Il ragazzo strizzò gli occhi nel tentativo di metterla a fuoco. - Non... non proprio... -
- Che diamine hai bevuto? -
- A...acqua... -
- L’acqua non fa quest’effetto! - Gli tolse il bicchiere di mano e lo annusò incuriosita. - Mm, altro che acqua! Devi aver preso il bicchiere sbagliato! - Ridendo lo sospinse verso l’uscita e, nel passare vicino a Glen, lo avvertì che riaccompagnava Jason a casa perché si era ubriacato. - Ci pensi tu a riportare Shiri? -
L’amico fece un cenno d’assenso prima di essere di nuovo inghiottito dalla folla.
Scuotendo la testa la ragazza continuò a sostenere l’alieno finché furono fuori del locale.
- Coraggio, adesso non è niente! Vedrai domattina... - disse camminando lentamente e lanciandogli occhiate compassionevoli.
L’aria fredda aiutò Jason a recuperare un minimo di lucidità e con voce confusa chiese cosa fosse successo.
- Ti sei ubriacato. Non ti era mai capitato? -
Il giovane scosse piano la testa. - No. Non... non era acqua? -
Alexandra rise con allegria. - Direi proprio di no! -
- Dove... dove stiamo andando? -
- A casa tua. Con la mia macchina. Eccola, è quella laggiù! - Alzò un braccio per indicare la vettura pochi metri più avanti. - E adesso prega che non ci fermi la polizia. Ho bevuto quattro birre, e se lo scoprono sono guai! - Rise di nuovo. - Mi sono divertita, stasera! Dio, quanto ho ballato... Ho un mal di piedi... -
Senza starci a pensare si chinò e si tolse le scarpe, rischiando di cadere trascinando con sé Jason, ed infine arrrivarono all’auto e vi si appoggiarono pesantemente contro.
- La sai una cosa? Non ne potevo più di tutto quel rumore!... - Sollevò lo sguardo su di lui. - Accidenti quanto sei alto... Non me n’ero mai accorta prima... -
Jason la fissò intensamente negli occhi, la fronte un poco corrugata. Non sapeva con esattezza cosa significasse essere ubriachi né tantomeno quali ne fossero le conseguenze. Sapeva soltanto di riuscire a percepire con estrema precisione ogni minima sfumatura dello stato d’animo della persona che aveva davanti. Aveva imparato a tenere sotto controllo la sua particolare sensibilità, sia per evitare involontarie intrusioni nell’intimità della gente sia per proteggere se stesso dalle emozioni altrui, ma l’alcol sembrava aver abbassato ogni barriera e adesso si sentiva totalmente aperto. Alexandra sorrideva, tuttavia dentro era triste. Forte, ma tanto triste... D’istinto le mise una mano sulla guancia e avvertì la sua immediata reazione di piacere. C’era meno tristezza, adesso, e un po’ più di calore.
La ragazza gli prese la mano e si raddrizzò. - Andiamo, si sta facendo tardi... - disse continuando a sorridere.

Infastidito dal debole chiarore dell’alba che cominciava a filtrare attraverso le palpebre, Jason borbottò qualcosa di incomprensibile e si volse dall’altra parte strofinando voluttuosamente la guancia contro il tessuto morbido e tiepido del cuscino.
- Ciao... -
- Mmm... ciao... - La risposta gli uscì in maniera automatica dalle labbra, poi aprì un occhio, e un istante dopo spalancò anche l’altro. - E tu che ci fai qui?!? -
Alexandra si sollevò sul gomito sostenendo la testa col palmo della mano. - Secondo te? - chiese sorridendo ironica.
Realizzare di essere completamente nudo sotto le coperte e sentirsi avvampare fu tutt’uno per il ragazzo, che si tirò indietro cercando di frapporre tra di loro la massima distanza possibile.
- Guarda che non mordo, sai? Perlomeno... non adesso... -
Il sorriso allusivo di lei gli fece venire la gola secca e i ricordi cominciarono ad affacciarsi nella sua mente.
- Mi... mi dispiace... - mormorò sconvolto.
Sulla fronte spaziosa e perfettamente liscia di Alexandra apparve una ruga. - Perché? - Non le piaceva per nulla quell’espressione, né quello che significava.
- Io... - Jason era in preda all’imbarazzo - Per... quello che ho fatto... - disse in un soffio.
A quel punto la giovane si sentì decisamente in collera. Non si aspettava che reagisse in quel modo. Magari che fosse un po’ fuori fase per via della sbornia sì, ma tanto a disagio no davvero! - E cos’avresti fatto, sentiamo? - domandò piccata.
Lui la fissò sconcertato. Sapeva cos’aveva fatto, lo sapeva benissimo, fin nei minimi particolari, quindi perché gli stava chiedendo cosa...? Eppure non poteva non essere stata consapevole di... Non era possibile, no? No? - Ho cercato di... - deglutì penosamente - di farti stare... meglio... - Quasi si strozzò sull’ultima parola notando come il suo viso fosse diventato di pietra.
- Ah, ti ringrazio! - Ormai fuori di sé dalla rabbia Alexandra tirò via le coperte con un gesto deciso e scese dal letto mostrando il proprio corpo senza alcun pudore. - Un pensiero davvero gentile! Dunque lo avresti fatto per me? E naturalmente sarebbe stata la stessa cosa se si fosse trattato di Tanya o di Sabrina, giusto? Ti saresti scopato anche loro, pur di farle... stare meglio... - terminò con disprezzo. Con calma studiata recuperò i suoi indumenti e si rivestì, cosciente dello sguardo smarrito di lui.
- Scusami, non... non capisco... Se vuoi, non lo farò più... -
La ragazza annodò lentamente il laccetto di seta dei pantaloni continuando a fissarlo. - Puoi starne certo lo schernì. - Sei bravo a scuola, ma a letto non vali proprio niente! - Prese il cappotto e la borsa e se ne andò senza voltarsi indietro.
La maschera rimase al suo posto fin quando si ritrovò nella propria stanza. Allora si gettò sul letto e si coprì il volto con le mani. “Non vali niente... Dio, Jason, al contrario! Sembrava che riuscissi a leggermi nella mente... Mi hai fatto... morire di piacere...” Il ricordo delle sensazioni che aveva provato, delle reazioni di lui, dell’incredibile passione che li aveva consumati quella notte la fece precipitare in un baratro di sofferenza. “Volevi farmi stare meglio... Non è possibile, non può essere stato solo questo! Non è giusto...” E scoppiò a piangere disperata.
Jason era altrettanto disperato. L’aveva osservata indossare il microscopico top e i pantaloni a vita bassa sulla pelle nuda, quella stessa pelle che aveva accarezzato e baciato in maniera istintivamente sensuale, spinto dal profondo bisogno di farla sentire bene, di estinguere quella terribile sete di affetto che aveva avvertito in lei. Aveva percepito ogni sua minima emozione con una tale intensità da non riuscire più a distinguerla dalle proprie, ed era ancora incapace di comprendere come avessero potuto donarsi tanto piacere. Ma poi, quando si era svegliato e l’aveva trovata accanto a sé, si era spaventato per quel che le aveva fatto. Perché aveva visto benissimo le delicate tracce luminose sul suo corpo, e non sapeva cos’avrebbe potuto dirle se lei se ne fosse accorta. O forse aveva capito che aveva cercato di realizzare le fantasie, i desideri più segreti che aveva visto nella sua mente... Quella mattina si era subito reso conto di essere di nuovo in grado di controllare i propri poteri ed aveva volutamente evitato di toccarla per non entrare in connessione con lei, in una tardiva forma di rispetto nei suoi confronti. Forse, se lo avesse fatto, avrebbe compreso il perché di quella dura reazione, ma non intendeva approfittare di quel vantaggio, non con Alexandra... Così, adesso, si ritrovava da solo nel proprio letto a domandarsi come avesse potuto ferirla tanto quando tutto quel che desiderava era cancellare il suo dolore...
Non rispose quando la madre andò a chiamarlo per la colazione, e volse le spalle alla porta coprendosi la testa con le braccia quando sentì Shiri entrare.
- Jason? E’ tutto a posto? Glen mi ha detto che tornavi a casa con Alexandra perché ti sentivi male... - Fece il giro del letto e sedette accanto a lui, dandosi della stupida per non essere andata insieme a loro come avrebbe dovuto fare considerando l’ordine del padre. Ma sapendo che era con lei si era sentita tranquilla e non aveva ritenuto opportuno chiedere a Glen di riportarla subito a casa non appena lui le aveva riferito la defezione dei due. - Jason? Cos’è successo? Ho raccontato a mamma che siamo rientrati molto tardi e che probabilmente stavi ancora dormendo, ma ieri sera te ne sei andato prima di mezzanotte... -
Poiché il fratello non rispondeva lo scosse con delicatezza per la spalla. - Vuoi che ti controlli? -
Stavolta il ragazzo borbottò un no quasi impercettibile avvolgendosi più strettamente nelle coperte.
- Senti, se vuoi dico a mamma che sei sempre nel mondo dei sogni. - Gli scompigliò con affetto i capelli sulla nuca, e s’immobilizzò. - Oh, Jason! - Di chinò ad abbracciarlo, sentendo le lacrime inondarle gli occhi quando lui l’abbracciò a sua volta comunicandole tutto il dolore, la confusione, la desolazione che provava e che, pochi attimi prima, le aveva soltanto lasciato intravedere. Continuò a tenerlo stretto finché si fu un po’ calmato dopodiché gli accarezzò dolcemente la schiena. - Resta pure qui, a mamma e papà ci penso io... - Si alzò in piedi ed uscì dalla stanza senza far rumore. Mentre scendeva le scale rifletté sullo stato di prostrazione del fratello. Non ne conosceva con esattezza la causa perché lui non glielo aveva rivelato, ma doveva trattarsi di qualcosa che lo aveva ferito profondamente. Qualcosa di molto personale, che non poteva condividere con nessuno, neanche con lei. Per un attimo si sentì dispiaciuta per quella chiusura nei suoi confronti, ma poi le venne in mente di essersi comportata allo stesso modo quando aveva deciso di confidarsi con Kyle e si rese conto di quel che doveva aver provato. Si guardò indietro mordicchiandosi pensosa il labbro inferiore, tentata di tornare da lui, risalì incerta un gradino, lo scese di nuovo serrando con fare nervoso il corrimano, ed infine si diresse a tutta velocità in soggiorno. - Avevo ragione io, dorme ancora! Posso andare fuori a giocare un po’ a pallacanestro? - disse con voce forzatamente allegra.
- Vengo con te - Liz si alzò di scatto dalla trapunta su cui si era seduta a guardare Max che aiutava i gemelli a costruire una torre con i cubi. Non sopportava più di stare così vicina a lui sapendo quello che sarebbe successo di lì a poco. Era stanca di essere ragionevole, forte, combattiva, di nascondere perfino a se stessa la paura che accompagnava ogni istante della sua vita ormai da troppo tempo. Voleva divertirsi, voleva godersi i suoi vent’anni, voleva dimenticare che il ragazzo di cui era follemente innamorata era un alieno. Era forse chiedere troppo? Rise dentro di sé. Certo, che era troppo! Era impossibile! Ma nulla poteva impedirle di staccare la spina, ogni tanto... E Shiri gliene aveva appena offerto l’occasione!
Mentre Claudia buttava giù la pila di cubi gorgogliando allegra Max seguì l’allontanarsi della moglie con una luce di comprensione nei bellissimi occhi nocciola. Dopo una breve riflessione si mise in piedi a sua volta, prese i cappottini dei bimbi e glieli infilò prima di sistemarli nel passeggino, che poi sospinse deciso verso la porta sul retro. Voleva giocare anche lui a pallacanestro, voleva rilassarsi e stare in compagnia di Liz senza pensare a ciò che lo aspettava quella notte. Voleva essere Max Evans, non Zan di Antar.
Quando fece la sua comparsa in giardino Liz aveva appena lanciato la palla facendo centro e Shiri stava applaudendo ammirata.
- Complimenti! -
Nell’udire quella voce Liz si girò di scatto e, mentre il sorriso le si faceva più aperto, andò a recuperare il pallone per poi passarglielo. - Fammi vedere di cosa sei capace!... - lo invitò.
Max la guardò per un attimo come se fossero soli, poi fece il suo tiro e la sfera passò esattamente nel centro del cerchio da cui pendeva la reticella.
- Grande! - Shiri rise e batté le mani divertita. - Voglio provarci anch’io! -
E per un’ora continuarono ad alternarsi nel tirare la palla, come se non avessero un pensiero al mondo.

- Guai in vista? -
Michael scrollò le spalle. - Non lo sappiamo con certezza, ma nel dubbio preferisco che Maria stia qui piuttosto che da sola a casa nostra. Domani sera devo fare una cosa con Max e la mattina dopo, se sarà andato tutto bene, verrò a riprenderla. -
- Si tratta di...? -
Il giovane annuì, e con un sospiro James Valenti lo precedette fino alla stanza per gli ospiti, una piccola camera arredata con un divano letto matrimoniale, un armadio ed un cassettone. - Posso venire con voi, se volete - si offrì.
- No, grazie, non è necessario. Il fatto è che non sappiamo neppure noi cosa aspettarci, esattamente, e credo sia meglio che tu rimanga in città. E che faccia molta attenzione nel caso dovessi vedere questa donna... Nel dire così gli mostrò la foto di Laura Baker - specie se non avrai nostre notizie entro la giornata -
- Cosa devo dire ad Amy? -
Stavolta rispose Maria. - Ci penso io. Non voglio che si faccia venire in mente strane idee su Michael, o meglio... nuove strane idee! - Si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò forte baciandolo con passione poi gli sfiorò la guancia in una tenera carezza. - Mi raccomando, domenica mattina voglio fare colazione con te, hai capito? -
- Certo. Puoi contarci... - Michael si curvò in avanti per un piccolo bacio prima di posarne uno sulla testolina di Mathias, che dormiva tranquillo nel passeggino, poi strinse la mano allo sceriffo. - Grazie - disse semplicemente, dopodiché andò in cucina a salutare Amy, che stava preparando le torte da consegnare il giorno dopo al Crashdown.
Quando si ritrovò da solo per la strada si strinse nel giubbotto incassando la testa per proteggersi dall’umidità notturna. Sentiva già la mancanza di Maria, e mentre camminava verso casa pensò che la strada non gli era mai sembrata così lunga. Ma sarebbe stato molto peggio andare in macchina, dove tutto sembrava permeato del suo profumo, e poi aveva preferito lasciarla a lei, parcheggiata davanti alla villetta dei Valenti. Tanto, nel deserto ci sarebbe andato insieme a Max...

***********

- Isabel? Per favore, Isabel, rispondimi! - Morgan scosse dolcemente la moglie cercando di svegliarla poi, visto che non ci riusciva, si sistemò con la schiena contro la testiera e la sollevò stringendosela al petto. Coraggio, piccola, rispondimi... - Le premette la mano sulla fronte, sulle tempie, in un disperato tentativo di entrare in contatto con lei. - Rispondimi... - sussurrò, la voce spezzata.
Dopo aver cenato Isabel era andata a farsi la doccia mentre lui controllava alcune carte che aveva portato dall’ufficio, e quando l’aveva raggiunta a letto l’aveva trovata priva di conoscenza e madida di sudore.
Vedeva il suo petto sollevarsi alternando respiri lentissimi ad altri quasi convulsi e sentiva i brividi che la scuotevano. Un pensiero improvviso lo spinse a posare l’altra mano sul suo ventre, dove Natalie si muoveva incessantemente. Posò le labbra sui morbidi capelli biondi di Isabel e si concentrò con tutte le sue forze per entrare in contatto con lei. Voleva raggiungerla, voleva sentirla, voleva che lo sentisse. Fece un respiro profondo e lasciò che la sua mente si vuotasse di ogni pensiero, di ogni paura. Poi, come se Isabel si fosse accorta della sua presenza, avvertì un tenue legame crearsi con lei e la bambina.
Non avrebbe mai saputo descrivere com’era successo, ma all’improvviso fu pienamente consapevole di entrambe. La curiosità e l’impazienza di Natalie, l’ansia e l’amore di Isabel. Per la sua bambina, per lui stesso, e per Max e Michael. In qualche modo, dopo essersi addormentata, Isabel era scivolata nella connessione con la bambina che portava in grembo, connessione di cui sembrava aver perso il controllo. Spaventato al pensiero di perdersi lui stesso cominciò a gridare in silenzio il nome della ragazza, e continuò finché credette di vedere delle immagini. Immagini di Isabel che si muoveva incerta in uno spazio scuro e privo di ogni punto di riferimento, chiamandolo angosciata, pregandolo di portarla via di lì, poi doveva averlo sentito perché si volse di colpo con un’espressione di sollievo sullo splendido viso. Tese le mani verso di lui sorridendo fra le lacrime di gioia che le rigavano le guance. “ Morgan! -”
- Morgan! - Isabel spalancò gli occhi e si agitò per girarsi ad abbracciarlo.
Incapace di parlare l’uomo si limitò a stringerla più forte mormorandole tenere parole di conforto.
Quando si fu calmata un poco la ragazza gli si rannicchiò in grembo e tirò su col naso. - Credo... di essermi persa... - bisbigliò con voce soffocata.
- Lo so. Ti ho visto - Morgan la cullò dolcemente e le baciò la fronte. - Volevo raggiungerti ma non sapevo come fare... Ero terrorizzato all’idea di non riuscire a riportarti indietro... -
- Ma ci sei riuscito... Grazie... - Le dita di Isabel si aggrapparono con maggior forza alla sua camicia. Era consapevole di aver rischiato molto. Non sapeva neppure lei come fosse iniziato, solo che ad un tratto si era ritrovata immersa nel nulla. Sentiva Natalie, lontana, irrequieta come sempre più spesso succedeva in quei giorni, ma non riusciva a vederla, non riusciva a percepire la liquida ovattata oscurità in cui si muoveva. Ed era preoccupata per Max e Michael, per il pericolo rappresentato da Laura Baker, per il fatto che non avrebbe potuto aiutarli se avessero avuto bisogno di lei, e desiderava ardentemente poter scoprire qualcosa di più sull’aliena che stava per raggiungerli. Il risultato era stato una specie di palude mentale, che l’aveva risucchiata isolandola da tutto e da tutti. Fino a quando aveva sentito il richiamo di Morgan. Non sapeva come fosse arrivato fino a lei, ma l’importante era che lo avesse fatto, l’avesse ricondotta nel mondo reale. Fra le sue braccia, dove avrebbe sempre voluto stare...
- Stai bene? -
- Sì, adesso sì. Però... continua a tenermi così, ti prego... -
- Sempre, amore - L’uomo poteva sentire la sua tensione allentarsi piano piano, e serrando le mascelle in una smorfia l’avvolse ancora di più con le proprie braccia. “Maledizione a tutto... Perché non posso proteggerti da questo? Perché non posso fare altro che abbracciarti?” Per un attimo ricordò la sofferenza nei suoi occhi, quando l’aveva incontrata per le strade di Albuquerque, e capì che forse era proprio quello ciò che lei voleva. Il suo abbraccio, il suo amore. Non era così semplice, ne era perfettamente conscio, ma avrebbe fatto di tutto per farle sapere che poteva contare su di lui, in ogni momento. Piano piano, badando a non allentare mai la stretta, si adagiò supino e continuò a deporre piccoli baci sulla sua testa finché scivolarono tutti e due nel sonno.
L’indomani Isabel si svegliò prestissimo, prima dell’alba, e rimase a lungo a fissare Morgan nel grigio chiarore che filtrava dalle tendine riflettendo su se stessa. Su come avesse sempre creduto di essere forte e determinata, ma non appena il suo piccolo mondo ben controllato era andato in frantumi tutte le certezze erano scomparse. Dal momento in cui Max aveva guarito Liz rivelandole il loro segreto si era sentita perduta. La maschera che fino ad allora aveva indossato con grande disinvoltura, al punto di dimenticare di averla, si era sgretolata rivelando la sua reale debolezza. Max e gli altri potevano dire quello che volevano, ma lei conosceva la verità. Aveva paura. Una terribile, paralizzante paura. Forse sarebbe stato meglio andarsene subito da Roswell, come aveva proposto Michael, invece di restare lì alla mercè dell’FBI e dei loro nemici, ma non si può sfuggire a quel che si ha dentro. L’unica maniera di liberarsi della paura era affrontarla... Solo che... quante volte l’aveva fatto? Eppure rimaneva sempre in agguato, nascosta in un angolino, pronta a saltar fuori quando meno se lo aspettava...
Con un sospiro si mise una mano sulla pancia e sentì il leggero movimento di sua figlia. E una gran pace le scese nel cuore. Sorrise. Di sé, per sé. No, non aveva paura, non ne aveva mai avuta, in realtà! Era stato il timore di aver paura ad erodere la sua sicurezza, e per tutto quel tempo lei si era angosciata inutilmente!... Dio, era stata davvero una stupida a non capirlo prima! Eppure glielo avevano detto e ripetuto in mille modi diversi!
Attenta a non svegliare il marito si alzò e andò a preparare la colazione. Voleva mangiare con calma insieme a lui, a letto, e godersi ancora un po’ l’intimità della loro camera. In fin dei conti quella era una giornata come tutte le altre, col suo solito carico di rischi. Perché lei era quello che era. Non aveva senso rinunciare al piacere di vivere soltanto perché fuori, da qualche parte, c’era qualcuno che voleva eliminarli... In fin dei conti era da un centinaio d’anni che ci provavano!

- Bene alzato, dormiglione! - Liz scompigliò con affetto i capelli del figlio. - Hai mangiato qualcosa? -
- Sì, grazie. Chi ha vinto? -
- Shiri. Dopo che papà le ha fatto vedere un paio di trucchetti è stato scontro all’ultimo canestro, ma alla fine il vantaggio è stato suo... -
Shiri guardò il fratello sorridendo orgogliosa. - La prossima volta riuscirò a battere anche te, vedrai! -
- Vado a farmi una doccia. Vieni anche tu? - domandò Max rivolgendosi alla moglie con aria innocente.
Liz arrossì leggermente rifiutando di incontrare lo sguardo divertito dei figli. - Mm. Voi due tenete d’occhio Claudia e Ethan, per favore. -
- Certo, non preoccuparti -
- Ok - Senza dire altro la ragazza salì al piano superiore insieme a Max, che nel frattempo l’aveva presa per mano.
Rimasti soli Jason si sedette sulla trapunta accanto al fratellino. - Ti va di andare a fare un giro, più tardi? -
Shiri lo studiò incuriosita. - Dove? -
Lui alzò le spalle con noncuranza. - Dove capita. Ho voglia di camminare... -
- D’accordo. -
In quel momento Claudia prese il cubo più grande e lo lanciò con tutte le sue forze emettendo uno strillo soddisfatto e Shiri alzò gli occhi al cielo. - Speriamo che papà e mamma si sbrighino! -
Poco dopo arrivò Michael, che voleva riferire a Max il risultato delle ricerche che aveva condotto per buona parte della notte nell’ufficio di Morgan e mettere a punto i dettagli di quel che avrebbero fatto per attirare l’aliena dove volevano. Quando seppe dove fosse l’amico, e con chi, emise un sospiro rassegnato. Anche lui aveva trascorso la mattinata insieme a Maria, dai Valenti, ma dannazione, alla fine se n’era staccato!
- Pensi che ne avranno per molto? - chiese con voce piatta.
- Sono saliti da circa venti minuti - rispose Shiri dopo aver controllato l’orologio.
“Il che vuol dire che dovrò aspettare un bel pezzo prima che si decidano a scendere! Uffa!” Con una smorfia andò a sedersi a sua volta sulla trapunta e si mise a fare i dispetti a Claudia, cosa che lei sembrò gradire moltissimo.
In effetti fu solo dopo circa un’ora che Max e Liz tornarono in soggiorno, e dopo averli salutati Jason e Shiri se ne andarono.
Liz guardò incuriosita l’espressione seccata di Michael, che sbuffò. In fin dei conti quel che facevano non doveva interessarlo, ma l’aver passato ore e ore davanti al computer per cercare di rintracciare i movimenti di Laura Baker tramite la sua carta di credito invece che a letto con Maria lo rendeva poco comprensivo. E chi se ne importava se Max era il re!...
- Come mai da queste parti? - gli chiese l’amico.
- Stasera abbiamo un appuntamento, te lo sei scordato? -
Nell’udire il suo tono sarcastico Max corrugò la fronte. - Qualcosa non va? -
- No, niente. Solo che ho lavorato fino all’alba per scoprire dove possa essere ora quella donna, poi sono tornato a casa a fare una doccia e cambiarmi prima di andare dai Valenti, e adesso sono stanco -
- Perché non vai a dormire un po’? Se vuoi puoi approfittare del nostro divano. -
- Non vuoi sapere cosa ho scoperto? -
Il giovane si strinse nelle spalle. - Dubito che sia stata così imprudente da lasciare segni del suo passaggio, e dev’essere anche piuttosto in gamba per essere riuscita a tenere nascosta a tutti la sua vera identità -
“A differenza di te, eh?” Michael dovette serrare con forza le labbra per non lasciarsi sfuggire quelle parole: rivangare il passato era semplicemente inutile. - Beh, in effetti deve essersi portata dietro un bel mucchietto di dollari perché sono due giorni che non viene registrato alcun movimento sulla sua carta... -
Liz, che si era seduta accanto ai gemelli, sorrise suo malgrado. “Povero Michael, deve sentirsi piuttosto frustrato...” Tornò seria, consapevole dei rischi che stavano correndo. - Secondo me non ha senso sprecare le proprie forze per scoprire dove si trovi in questo momento Laura Baker. Sappiamo che stanotte sentirà il vostro richiamo e si dirigerà verso di voi, quindi adesso tanto vale che vi riposiate. Tutti e due. -
Michael fece una smorfia. - Mi servono soltanto un paio d’ore di sonno per recuperare la notte in bianco. Non ho alcuna intenzione di restarmene chiuso in casa fino a stasera... -
- Nemmeno io - concordò subito Max. - Ok, intanto fatti quella dormita, poi decideremo cosa fare. Liz, tu... -
- Penso che andrò a trovare Maria. E non c’è bisogno che mi accompagni! Ci vediamo dopo. Buona notte, ragazzi - Sistemò i figli nel passeggino, diede un bacio sulla guancia a Michael ed uno rapido sulla bocca a Max, dopodiché uscì anche lei e la casa sembrò d’improvviso vuota e triste.
I due giovani si guardarono in silenzio, comprendendosi al volo. Per quanto strana e complessa fosse la loro vita, la cosa più importante, quella che valeva ogni sacrificio, ogni lacrima, ogni sorriso, era la persona con cui avevano scelto di unirsi. E la cui assenza sembrava portar via la luce stessa.
- Credo che farai bene a schiacciare un pisolino anche tu, Max. Non sarà uno scherzo, e dobbiamo essere al massimo delle nostre forze... -
Max sembrò sul punto di obiettare qualcosa ma poi scrollò in silenzio il capo e si diresse al piano di sopra. Dal momento che se ne erano andati tutti cosa restava da fare se non organizzare il piano di battaglia per quella sera? Già, Michael aveva ragione. Una bella dormita era proprio quello che ci voleva! Una dormita per non pensare a Liz, ai ragazzi, a Claudia ed Ethan. Una dormita per far passare il tempo che lo separava dal momento in cui avrebbe affrontato quella nuova battaglia. Una dormita per smaltire l’esasperazione per il destino assurdo da cui sembrava perseguitato. Una dormita per dimenticare tutto...

- Ciao, Liz! Sono proprio contenta di vederti! Sai, devo andare a consegnare delle torte a tua madre e non sapevo come fare con Maria dato che Michael ha detto a Jim di non farla assolutamente uscire di casa... -
Liz sorrise impacciata. “Grazie, Michael! Come se Amy non fosse già paranoica di suo, quando si tratta di Maria!” - Ehm, allora... allora vai pure: resterò io a farle compagnia... -
- Ti ringrazio, cara. Ma... sei venuta fin qui da sola?!? -
- Sono soltanto cinquecento metri, e volevo far prendere un po’ di aria ai bambini. Amy, sta’ tranquilla, non corriamo alcun pericolo. -
- Comunque sia preferisco che voi due restiate qui fino a che Michael verrà a riprendere Maria. Sono sicura che anche Max lo apprezzerà... - Così dicendo la donna la seguì indicandole il soggiorno, dove Maria stava allattando Mathias, poi continuò verso la cucina per prendere le scatole in cui aveva sistemato le torte appena sfornate. - Ci vediamo più tardi, ragazze! -
Non appena ebbe sentito la porta chiudersi con forza dietro Amy DeLuca Valenti Liz si tolse il cappotto e lo gettò su una poltroncina. - Accidenti, che diamine le ha raccontato Michael? -
- A lei nulla. Ha parlato con Jim perché mia madre era in cucina, e sono stata io ad accennarle il problema. E mi sono limitata a dirle che Michael stava svolgendo un’indagine e preferiva che non rimanessi sola. Ma evidentemente non mi ha creduto e deve aver costretto Jim a riferirle tutto quanto perché prima che arrivassi tu mi ha tolto gli occhi di dosso soltanto quando le ho sbattuto la porta del bagno in faccia! -
La ragazza si sedette accanto all’amica. - Max non è venuto con me perché non gliene ho lasciato il tempo, ma sono certa che dev’essere stata dura per lui non corrermi dietro per assicurarsi che non mi succedesse niente... -
Maria fece una smorfia di solidarietà. - Sono davvero carini a preoccuparsi così per noi, solo che a volte diventano un tantino eccessivi -
- E non se ne rendono affatto conto - sottolineò Liz.
- Puoi dirlo forte! Ti ricordi quando Michael voleva farmi abortire? Insomma, il fatto che abbiano dei poteri alieni non gli dà mica il diritto di imporci quello che vogliono! -
- Beh, non credo che lo facciano per quello... - la rimproverò bonariamente. - Ed è vero che da quando stiamo con loro ci siamo trovate spesso nei guai, ma... ecco, sarebbe bello se avessero un po’ più di fiducia nelle nostre capacità... -
- Appunto - fu il secco commento di Maria.
Ethan scelse quel momento per cominciare a chiamare con voce cantilenante: - Ma... Ma... Ma... -
- Santo cielo, Liz, sta dicendo quello che penso stia dicendo?! -
Altrettanto sconcertata Liz spinse il passeggino verso di sé e sciolse le cinghie di sicurezza mentre il bimbo tendeva felice le braccia ancora infagottate nel cappottino. - Ma! Ma! -
- Sta proprio dicendo mamma, più o meno!... -
Con gli occhi lucidi per l’emozione la giovane si sistemò il figlioletto in grembo e lo alleggerì degli indumenti ormai inutili.
- Ma! Ma... - Ethan le appoggiò la testa contro il petto aggrappandosi con le manine al suo golf. - Ma... - ripeté ancora, quasi affascinato dal suono di quella semplice sillaba.
Claudia li guardava imperturbabile, poi batté il piccolo pugno sul bordo del passeggino. - Ma...mma... - disse a sua volta, pronunciando la parola in maniera più chiara rispetto al fratello.
- Quella bambina diventerà una vera peste - commentò Maria fissandola ad occhi socchiusi.
- E’ sulla buona strada, credimi! - Ridendo, Liz si affrettò a liberare anche Claudia e la mise a sedere fra sé e l’amica.

Camminarono a lungo senza una meta precisa poi si fermarono a prendere un gelato e si avviarono verso il parco.
Shiri sentiva la tensione del fratello e avrebbe voluto aiutarlo ma lui sembrava non avere alcun desiderio di confidarsi con lei. Però gli faceva piacere la sua compagnia, di questo ne era più che certa. Sorridendo dentro di sé gli passò il braccio libero intorno alla vita mentre finiva di mangiare il gelato.
Jason volse il capo e le diede una lunga occhiata. - Perché mi guardi così? -
La ragazzina si strinse nelle spalle. - Tu non vuoi parlare, allora io ti guardo. -
Lui fece un respiro profondo. - E’ che... non riesco a capire e... non voglio entrare nei suoi sogni per farlo... -
- Stai parlando di Alexandra? - comprese subito Shiri.
- Mm -
- Cos’è che non capisci? -
- E’ arrabbiata con me. Per qualcosa che ho detto, credo... Ma se n’è andata senza spiegarmi... - La voce gli si incrinò pericolosamente e scosse la testa senza poter aggiungere altro.
- E’ successo la notte scorsa? Quando ti ha riaccompagnato a casa? -
Jason si limitò ad annuire e Shiri cercò di scuoterlo. - E’ una ragazza molto in gamba, vedrai che prima o poi riuscirete a chiarirvi... -
Il giovane non disse nulla poi, d’impulso, la cinse per le spalle e le diede un bacio sulla testa. - Grazie -
Seduti su una panchina c’erano Mark e Roger, che quando li videro arrivare fecero loro segno di fermarsi a chiacchierare un po’.
Senza bisogno di consultarsi i due fratelli si unirono volentieri ai compagni di scuola finché questi decisero che era ora di andare a mangiare qualcosa.
- Venite con noi al Crashdown? -
- D’accordo - Con un’alzata di spalle Jason si alzò in piedi, subito imitato dalla sorella.
Avevano percorso solo pochi metri quando incrociarono una donna vestita con semplice eleganza e Roger diede una gomitata all’amico. - Hai visto che bambola? - bisbigliò.
Mark emise un fischio sommesso. - Wow... -
Jason, invece, aveva rallentato il passo fin quasi a fermarsi mentre il cuore gli batteva all’impazzata. “Papà! E’ qui! Laura Baker è a Roswell!”
Sulle prime la donna aveva rivolto uno sguardo distratto al gruppetto ma poi, notando Jason e Shiri, aveva rallentato a sua volta e sul viso le era apparsa un’espressione attenta.

Laura Baker aveva guidato ininterrottamente per quaranta ore, fermandosi solo il tempo necessario per fare benzina, e quando era arrivata a Roswell aveva deciso di riposarsi un po’. Sapeva di essere ormai vicina al luogo che stava cercando e di aver bisogno di tutta la sua lucidità per esplorare con accuratezza quel territorio desertico e sconosciuto. Aveva quindi cercato un albergo e dopo una doccia veloce si era buttata sul letto sprofondando in un sonno ristoratore. Aveva dormito fino alle undici, poi era uscita per mangiare un boccone e comprare una mappa dettagliata della zona dopodiché si era concessa una piacevole passeggiata per le strade della città. Era così diversa da Miami Beach, più tranquilla, ordinata. La gente camminava senza fretta e le automobili in circolazione erano davvero poche. Pensò che sarebbe stato un posto piacevole dove vivere, anche se niente poteva uguagliare l’azzurra distesa dell’oceano. Poi era arrivata ad un parco e, incurante dell’aria fredda, vi si era diretta a passo tranquillo. Mai si sarebbe immaginata di incrociare i due ragazzi che pochi giorni prima erano stesi sui lettini del pronto soccorso dell’ospedale in cui lavorava...

- Andate avanti, noi veniamo fra poco - mormorò Jason agli amici mentre prendeva la sorella per mano.
- Forse sarebbe meglio restare con loro... - obiettò la ragazza a voce bassissima.
- Ci ha riconosciuti. Non voglio che gli altri restino coinvolti in quello che sta per succedere - ribatté lui altrettanto piano.
- E cosa sta per succedere, secondo te? - chiese Shiri dubbiosa.
- Un gran casino - fu la sommessa risposta di Jason.
A quelle parole Shiri scoppiò in una risata ed il fratello non poté fare a meno di sorridere.
Mark e Roger li fissarono sbigottiti dopodiché si allontanarono senza fare commenti.
Intanto Laura Baker aveva continuato ad avvicinarsi e si fermò a pochi passi dai due ragazzi. - Siete proprio voi? - domandò, improvvisamente incerta. Sembravano più giovani di quanto ricordasse, ma forse si sbagliava... Mossa dall’impulso infilò una mano nella borsa che portava a tracolla e ne estrasse un oggetto scuro di forma esagonale.
Subito Shiri protese un braccio. - Ferma! - esclamò.
Sorpresa, la donna spalancò gli occhi. Si mosse così in fretta che né Shiri né Jason ebbero il tempo di reagire. Le sue dita volarono letteralmente sulle sfaccettature del congegno, e un istante dopo una costellazione luminosa si librò nell’aria ad alcune decine di centimetri dal viso di Jason.
Pallidissima, Shiri abbassò il braccio e deglutì furiosamente fissando smarrita l’immagine bluastra davanti al fratello.
- Altezza... - mormorò l’aliena portandosi tremante la mano chiusa a pugno sul petto.
Rigido per la tensione, Jason fece un piccolo gesto ed il congegno si disattivò causando la contemporanea dissolvenza del sigillo reale.
- Il mio nome è Loral Deemar, e sono al suo servizio -

La costellazione luminosa di Orialis era impressa come un marchio di fuoco nella mente di Loral Deemar, che dopo un attimo di completa paralisi aveva reagito d’istinto salutando colui che credeva il signore di Antar. Non riusciva ancora a crederci! Dopo tutto il tempo trascorso, quando aveva appena ripreso una ricerca di cui una piccolissima parte di sé ammetteva l’inutilità, le sembrava semplicemente pazzesco di essere incappata per puro caso proprio nella persona che più le stava a cuore... Ancora in preda allo choc dedicò un piccolo inchino del capo a Shiri. - Ava? - chiese sommessa.
Non volendo tradire il padre la ragazza non disse nulla e l’aliena considerò quel silenzio un’implicita ammissione. - Mia signora... - la salutò, la mano ancora stretta a pugno sul petto.
- Andiamo via di qui - disse Jason riprendendo a camminare, il viso una maschera di pietra. La sua mente, intanto, esaminava e scartava un’infinità di possibili soluzioni. Voleva evitare di passare nei pressi del Crashdown per non essere visto dai nonni, di andare a casa non se ne parlava proprio perché altrimenti quella donna avrebbe scoperto la verità, e, data la fortuna che avevano avuto, continuando a camminare avrebbero finito magari con l’incontrare nonna Diane... Dove? Dove potevano andare? Le sue dita serrarono impercettibilmente quelle di Shiri, in un muto scambio di pensieri e sensazioni, poi forte e rassicurante sentì la presenza del padre.
Nulla, nel suo atteggiamento, fece capire alla mutaforma ciò che stava per succedere. Una mano salda la prese per il gomito e, prima ancora di poter percepire il flusso di energia richiamato dai due ragazzi, si ritrovò immersa nella semioscurità di una grande caverna.
Si guardò intorno sconcertata. Le pareti scabre sparivano nel buio, ma aveva la netta impressione che si incurvassero leggermente come a formare una specie di tunnel. Doveva esserci un motivo preciso per cui Zan e Ava l’avevano condotta in quel posto. Forse era lì che si trovava l’astronave con cui erano arrivati sul pianeta... Stava per chiedere conferma delle sue supposizioni quando una profonda voce maschile la fece sussultare. - Chi sei? -
La morbida pronuncia antariana suonò dolorosamente familiare alle orecchie della donna, che si volse di scatto e rimase a fissare stupefatta Max, accorgendosi solo dopo diversi secondi della presenza di Michael, immobile alle sue spalle. - Io... non capisco... - mormorò confusa. Sapeva che le capsule avevano contenuto il materiale genetico di Zan, Ava, Rath e Vilandra, eppure lì c’erano tre ragazzi e una ragazza.
- Chi sei? - ripeté Max pressante.
- Loral Deemar. Ero il copilota dell’astronave di scorta -
- Quale astronave di scorta? -
- Quella che la regina inviò per proteggere i reali -
Michael la guardò torvo. - Non abbiamo mai sentito parlare di una seconda nave... -
- Ne era al corrente solo il comandante. Noi eravamo, per così dire, la sua arma segreta... in caso di attacco. Purtroppo nell’impatto con l’atmosfera planetaria la nostra astronave andò distrutta - Con evidente rammarico l’aliena scosse piano la testa. - Insieme all’ufficiale di rotta, l’unico sopravvissuto oltre me, ho cercato a lungo prima di rinunciare... - Deglutì faticosamente, consapevole della gravità di quella confessione.
- E poi? -
- Poi decidemmo di fermarci e costruirci un’identità. Non c’era altro che potessimo fare. Tornare in patria era impossibile... -
- Dov’è l’ufficiale di rotta? -
- E’ morto. Era rimasto ferito nell’atterraggio, e qualche giorno fa la sua energia si è esaurita. -
- E così hai deciso di ricominciare le ricerche. In fin dei conti avevi appena avuto la prova della presenza di un altro mutaforma... -
Loral Deemar raddrizzò le spalle e lo guardò senza battere ciglio. - Esatto -
- Volevi riscattarti, insomma - osservò freddamente Michael. E davanti allo sguardo severo di Max fece una spallucciata. - La nostra vita sarebbe stata molto diversa se avesse continuato a cercarci... - osservò.
- Forse. Se ci avesse trovato, e se fosse riuscita a sfuggire all’FBI. - Il giovane si strinse nelle spalle. - E’ inutile parlarne, ormai è andata così. - E davanti allo sguardo perplesso della donna accennò un sorrisetto. - Lui è Rath, ed io sono Zan -
A quelle parole l’aliena sbiancò poi lanciò un’occhiata di sfuggita a Jason. - Ma il sigillo... -
- Jason è il mio erede. E lei è mia figlia Shiri - disse Max laconico.
Una lacrima brillò sulle ciglia di Loral nel realizzare la portata del suo fallimento. - Le chiedo perdono, altezza - bisbigliò cadendo in ginocchio, la testa china e le mani strette sugli avambracci.
Lui la fissò a lungo. - Hai fatto quello che potevi - mormorò, poi il suo sguardo corse all’amico e fra i due non ci fu bisogno di parole. Michael si avvicinò alla mutaforma, la prese per un braccio facendola alzare in piedi e rimase immobile al suo fianco.
- In questi ultimi anni ci sono stati molti cambiamenti. Ora il presidente di Zoltar è Hornem, e Rènida è governato da Lhara Alehnikar. Antar, invece, è retto dal Consiglio - riepilogò rapidamente Max senza mai distogliere l’attenzione dal viso gradevole della donna. La storia che aveva appena sentito era plausibile, tuttavia doveva essere certo che quella fosse la verità. Ne andava della vita di tutti loro...
- Dal Consiglio?! Questo vuol dire che...? - Loral sentì un nodo serrarle la gola all’idea che la regina fosse morta. - Io... Allora... - Si portò di nuovo la mano destra stretta a pugno sul cuore. - Mio signore, sono al suo servizio - ripeté con voce ferma.
- Non sei curiosa di sapere come mai io sia qui anziché su Antar? - le domandò Max, sinceramente interessato alla risposta.
Sempre rigida sull’attenti lei ricambiò il suo sguardo. - No, mio signore. La sua volontà è la legge di Antar
A poca distanza, avendo cura di non farsi notare per evitare di essere obbligati a tornare a casa, Shiri e Jason osservavano la scena in silenzio.
- Ho bisogno di essere sicuro della tua lealtà. Lascerai che mi colleghi a te? -
Sotto lo sguardo esterrefatto di Michael Loral Deemar annuì senza esitazioni e Max le posò il palmo di una mano sulla fronte.
Il contatto durò solo pochi secondi, sufficienti tuttavia perché Michael si agitasse al punto che Jason, preoccupato, si inserì automaticamente nel cerchio mentale controllando che non succedesse nulla di strano.
Quando Max, rassicurato da quel che aveva visto e percepito, interruppe la connessione Jason arrossì. Sapeva che il padre aveva sentito la sua presenza e immaginava l’inevitabile lavata di capo che sarebbe seguita. Ma non gli importava. La sola cosa davvero importante era che lui stesse bene...
- Fra poche settimane verrai con noi su Antar. Fino ad allora resterai a casa mia. - Prevedendo la reazione di protesta di Michael si volse a guardarlo. - Possiamo fidarci di lei - disse piano.
Il giovane sbuffò ma rimase zitto guadagnandosi la gratitudine di Max, che non voleva mettersi a litigare davanti all’aliena. - Voi due tornate subito a casa - aggiunse poi dando un’occhiata distratta ai figli. Senza dar loro il tempo di replicare si concentrò e subito nelle sue mani comparvero i graniliti. - Michael -
Con uno sguardo più eloquente di un fiume di parole Michael accentuò la stretta sul braccio di Loral e allo stesso tempo prese Max per un polso, lasciando che lui li teletrasportasse tutti e tre nel suo soggiorno.

- Avevo capito che tu avessi allontanato Maria per seguire Max come un’ombra, per proteggerlo... non per aiutarlo a portare qui un mutaforma! - Liz fissò infuriata Michael, che incrociò le braccia sul petto in atteggiamento difensivo. - E’ un soldato fedele a Max - disse a sua discolpa.
- Non mi interessa un accidente chi sia! Io non la voglio in questa casa! - Si girò verso il marito e gli puntò un dito contro. - Portala via. Portala dove ti pare, ma che sia un posto molto lontano da qui! - Faticò a tenere la voce bassa per non essere sentita dagli altri, rimasti nel soggiorno.
- Liz, sii ragionevole... Dove... -
- Qui ci sono i miei figli, e io non voglio che stia insieme a loro! - lo interruppe lei, fuori di sé dalla rabbia.
- Solo fino al parto di Isabel - precisò Max cercando di mantenere la calma. Non capiva il motivo di quella reazione... Vero che anche lui, non appena ricevuto il messaggio mentale di Jason, si era spaventato per l’incolumità sua e della sorella e aveva costretto Michael a seguirlo nella caverna, ma adesso sapeva che di Loral Deemar, o Laura Baker, ci si poteva fidare. Allora perché Liz si ostinava a rifiutarsi di ospitarla per i pochi giorni che mancavano alla partenza?
- Io non voglio quella donna in casa mia - ripeté freddamente la ragazza.
Michael non si mosse dallo stipite della porta contro cui era appoggiato e Max comprese di non poter contare sul suo sostegno. In effetti gli aveva fatto capire senza alcuna possibilità di errore di pensarla come Liz, tuttavia non c’era un luogo più adatto in cui farla stare.
- Può andare in albergo. Che problema c’è? - obiettò Liz con voce ancora più gelida.
- Lei non... -
- Perché no? -
Il giovane contò mentalmente fino a dieci per trattenere la risposta pepata che aveva sulla punta della lingua poi si costrinse a rilassarsi contro lo schienale della sedia. E rifletté sulla domanda. Perché no? In effetti, Loral poteva benissimo stare in un albergo fino alla nascita di Natalie... - D’accordo - cedette.
Sorpresa, Liz si chinò verso di lui dall’altra parte del tavolo. - Ho capito bene? -
Soddisfatto perché in quel modo si risolveva una situazione che stava cominciando a diventare alquanto spinosa, Max si protese in avanti e le coprì una mano con la propria. - Tutto sommato hai ragione: Laura Baker può andare in albergo. Non è così importante che resti con noi... - Aveva mantenuto un’espressione seria, ed il tono quasi noncurante trasse per un attimo in inganno la ragazza. Che subito dopo si rese però conto del significato delle sue parole e, d’impulso, liberò la mano e gli diede uno schiaffo. - Stupido! - gridò indispettita.
Michael rimase impassibile a fissare i suoi amici. Era difficile non scoppiare a ridere davanti alla faccia sconvolta di Max, e Liz sembrava davvero imbestialita. Ma se appena avesse ricordato a quei due la sua presenza era più che certo che si sarebbero rivoltati contro di lui come se fosse la causa di tutti i loro guai...
- Eravamo d’accordo che i nostri figli dovessero avere una vita il più normale possibile. - osservò rigida Liz.
- Infatti - rispose Max spiazzato.
- Ma come possono farlo se succede continuamente qualcosa che ha a che fare con... con Antar?! - disse ancora lei, sul punto di perdere di nuovo il controllo dei nervi.
Stavolta Max non replicò e Liz sospirò sconfitta. - Lo so, non è colpa tua. E’ solo che... che io non sopporto più tutta questa tensione... -
- Neppure io. Così come non sopporto di vederti soffrire in questo modo... Comunque, ti assicuro che di Laura Baker ci si può fidare. L’ho verificato collegandomi con lei, altrimenti non l’avrei portata qui. Io... io non ti metterei mai in una situazione pericolosa... Né te né i ragazzi... -
Liz si passò nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. - Avevo paura per quello che sarebbe potuto succedere questa notte, e poi hai portato Jason e Shiri con te nella caverna - lo accusò.
- Avevano incontrato Laura per strada. Non potevo lasciarli soli con lei... -
- No, certo che no, ma se fosse venuto fuori che era un nemico cos’avresti potuto fare per proteggerli? -
- Liz, li avrei difesi con tutte le mie forze, sarei... sarei morto per loro... - finì lui in un sussurro.
- E’ proprio questo il punto, Max, lo capisci? - La giovane donna lo fissò sconfortata. - Io non voglio che ti succeda qualcosa di terribile, né tantomeno ai nostri figli... Ma so che non ti fermeresti davanti a niente pur di salvarci, e questo significherebbe che... che io continuerei a vivere e tu non ci saresti più. E io non voglio... Non voglio... -
- Cosa dovrei fare, allora? Dimmelo, ti prego! Cosa dovrei fare? -
- Non lo so! -
Max rimase per un istante immobile a fissarla non sapendo come placare le sue paure, dopodiché si scosse e, alzatosi in piedi, fece il giro del tavolo per stringerla con forza a sé. Io tornerò sempre da te, Liz... - le bisbigliò fra i capelli - Devi essere convinta di questo, amore. Neppure io potrei vivere in un mondo dove tu non fossi accanto a me... -
La ragazza chiuse gli occhi e reclinò il capo contro la sua spalla, aspirando con voluttà il profumo della sua pelle. - Questo vuol dire che devo fidarmi della tua promessa - mormorò.
- Lo so di chiederti molto, ma non posso fare diversamente, mi dispiace... -
“Mi avevi avvertita, fin da quella sera sulla collina, durante il Crashfestival... E sapevo a cosa andavo incontro quando ho scelto di amarti... E’ solo che continuo a sperare di aver finito di pagarne il prezzo e invece mi vedo presentare sempre nuovi conti...” Liz fece un profondo respiro e si sciolse dal suo abbraccio. - Non importa. Tu fai quello che ritieni più giusto. Io cercherò di restare alla larga da quella mutaforma il più possibile -
Max le sfiorò una guancia con la punta dell’indice. - Grazie... -
Abbozzando un pallido sorriso Liz si volse e tornò in soggiorno, seguita da presso dal marito.
Loral Deemar si alzò dal divano notando i lineamenti tesi di Liz. - Ava, mia signora, io... -
- Il mio nome è Liz e sono umana. Ava è morta poco più di un anno fa su Antar - la corresse lei interrompendola bruscamente. Non voleva neppure per un secondo essere confusa con l’essere che aveva imparato a detestare dal profondo dell’anima.
- La situazione è piuttosto diversa rispetto a quella che conoscevi. Sia io che Vilandra e Rath abbiamo sposato degli umani, e abbiamo scelto di vivere su questo pianeta. Ma Antar rimane pur sempre il nostro mondo d’origine ed io non l’ho abbandonato - “Nel bene e nel male” aggiunse tra sé Max. - Fra non molto dovrò tornarvi con Rath e tu potrai venire insieme a noi, se lo desideri... -
La donna inchinò appena il capo. - Sarà per me un onore - disse semplicemente.
- Bene, allora ti avvertirò appena sarà tutto pronto per la partenza. Hai già un posto dove stare? -
- Sì, ho una stanza al Navajo, sulla W 2nd Street -
- Ok. Un’ultima cosa: se hai bisogno di me contattami per telefono, ma evita per quanto possibile di venire qui. L’FBI ci tiene sotto controllo e non è il caso di fargli sapere della tua esistenza... -
- Ai suoi ordini, mio signore - Laura Baker salutò di nuovo prima di uscire dalla casa.
Michael sorrise sotto i baffi nel notare che Liz, a differenza del solito, non aveva accompagnato l’ospite alla porta d’ingresso, poi si fece serio. - Pensi che sia una buona idea portarla su Antar? -
- Sempre meglio che lasciarla qui a Roswell. Era riuscita a mimetizzarsi per quasi sessant’anni, eppure ha mollato tutto per venire a cercarci. Mi è sembrata molto determinata e sinceramente devota ad Antar. Il minimo che possa fare per lei è riportarla nel luogo cui appartiene -
- E tu? Sicuro di quello che stai facendo? -
Max scrollò le spalle. - Sicuro come posso esserlo in un caso come questo. Ma non ho alcuna intenzione di farla passare liscia a quel bastardo... Jender Khar rimpiangerà il giorno in cui ha deciso di schierarsi contro la mia famiglia -
- E fortuna che non ti piace essere Zan di Antar! - lo prese in giro l’amico.
- Che vuoi dire? -
Il tono duro di Max non scompose affatto Michael, che si limitò a grattarsi dietro la nuca come se nulla fosse. - Ce l’hai nel sangue, tutto qui. Sei il re. E’ nei tuoi geni. E per quanto vorresti dimenticarlo, lo sarai sempre. E ora, con o senza il tuo permesso, vado a riprendermi Maria e Mathias. Ciao, signore di Antar, mia signora... - Detto questo il giovane se ne andò lasciando dietro di sé un pesante silenzio.
- Io vado di sopra dai ragazzi - disse ad un certo punto Liz, sentendo un disperato bisogno di distrarsi.
- Liz... -
- Scusa, devo andare -
Max rimase a guardare la ragazza allontanarsi sentendo tutto il peso delle decisioni che, suo malgrado, si trovava costretto a prendere. E forse Michael aveva ragione... Forse, nonostante cercasse di nasconderlo anche a se stesso, lui era Antar e lo sarebbe sempre stato. Era il suo destino. Ma certe volte lo odiava con tutto il cuore...

Liz era già sotto le coperte quando Max entrò in camera da letto e cominciò a spogliarsi.
Dopo aver appoggiato i vestiti sullo schienale della sedia il giovane si avvicinò al materasso, e un’espressione ferita gli attraversò lo sguardo nel vedere la smorfia che fece Liz prima di voltarsi dandogli le spalle. - Sei ancora arrabbiata con me? - le chiese a bassa voce.
- No... -
- Davvero? - domandò ancora, andando a sedersi al suo fianco.
Con un sospiro la ragazza girò un poco la testa verso di lui. - Ho mal di pancia. Mi sono arrivate le mestruazioni... - spiegò.
- Oh... Vuoi che...? - si offrì allora Max.
Sulle prime Liz non comprese, poi fece un piccolo sorriso timido. - Sì, per favore. -
Rassicurato per il fatto che Liz non ce l’avesse più con lui per la faccenda di Laura, l’alieno le pose delicatamente una mano sullo stomaco e lasciò che l’energia fluisse nel suo corpo contratto dal dolore. Va meglio? - domandò quando l’alone luminoso che gli circondava le dita scomparve.
Liz annuì lentamente. - Sì, grazie - rispose. Gli passò le braccia intorno al collo e si sollevò un poco per baciarlo. - Grazie... - ripeté.
Senza lasciarla andare Max riuscì ad infilarsi a sua volta sotto le coperte e sorrise intenerito quando lei gli si rannicchiò contro addormentandosi di botto. Era così bello tenerla fra le braccia, anche quando indossava quella vecchia maglietta che le arrivava quasi alle ginocchia... No, non sarebbe certo stato un trono mai voluto, mai cercato, a tenerlo lontano dall’amore della sua vita...

- Ehi, guarda! Rallenta, fermati! Hai visto? Quell’auto ha la targa della Florida! -
- E allora? - Trent fissò sconcertato l’amico. Forse quella gita a Roswell non era stata una buona idea, dopotutto. Jackson sembrava in preda ad una grande agitazione proprio come al suo arrivo a Santa Fe...
- E’ la macchina di Laura, ne sono sicuro! -
- Laura, eh? - L’uomo ridacchiò scuotendo la testa. Allora era così che stavano le cose... Jackson aveva un debole per la dottoressa Baker ed era quello il vero motivo per cui era letteralmente fuggito da Miami!...
- Aspettami, torno subito - Senza aggiungere altro Monroe spalancò lo sportello e corse a controllare. Sì, era proprio la sua macchina! Dunque anche lei era nel New Mexico! Deglutendo nervoso tornò indietro e si chinò a guardare Trent dal finestrino. - Dai, vieni fuori! Voglio vedere se riesco a trovarla... -
- E come? Roswell non è una metropoli, ed è più piccola di Santa Fe, ma quello che vuoi fare è semplicemente da pazzi! -
- Trent, io devo sapere cos’è successo! Aiutami, ti prego... -
- D’accordo. Comunque, se vuoi il mio parere, ti stai comportando da idiota -
- Lo so - ammise lui tirandosi indietro per permettergli di scendere a sua volta dalla vettura.
- Ah, sei completamente fuori di testa! -
- Se tu la conoscessi, Trent, mi capiresti... -
- Capisco che ne sei innamorato cotto, Jackson. Non ti avevo mai visto così prima d’ora... -
Imbarazzato, l’uomo si limitò a scuotere la testa e Trent sorrise con simpatia. - Su, andiamo! -
Camminarono a lungo senza una meta particolare, privilegiando le vie del centro, finché Monroe cedette alle pressioni dell’amico ed entrarono a mangiare un boccone al Crashdown.
- E’ davvero incredibile... - borbottò guardandosi attorno.
- Beh, a parte la storia degli alieni non è che qui ci sia molto altro d’interessante! Se ti va, dopo ti porto all’Ufo Center. Ma sei pregato di non metterti a ridere: il proprietario è fermamente convinto della loro esistenza e si offenderebbe a morte... -
- Mi stai prendendo in giro -
- No! Davvero, Jack, in questa città c’è gente che crede sul serio che nel 1947 un’astronave si sia schiantata nel deserto! Magari non molta, ma abbastanza da decidere di organizzare ogni anno un festival che coinvolge praticamente tutti! -
- Mi piacerebbe tanto sapere perché Laura sia venuta in questo posto pieno di pazzi... -
- E’ un posto come un altro. Chissà, magari anche lei voleva staccare la spina per un po’... -
- No, non credo. E’ una donna molto forte, indipendente... piena di energia... Da che la conosco non è mai stata male, mai! No, io sono certo che è venuta qui per un motivo ben preciso -
- E vuoi scoprirlo... Secondo me sei semplicemente ossessionato da lei... -
Lui fece una spallucciata poi tese una mano per prendere il menu, ed in quel momento si udì il dolce tintinnìo che accompagnava l’apertura della porta del locale. D’istinto sollevò lo sguardo e sbarrò gli occhi. - Laura! - La vide avanzare verso un tavolo ancora libero e senza starci su a pensare si alzò e le andò incontro sorridendo. - Ciao, anche tu da queste parti? Vieni, sono con un mio amico. - Non le diede il tempo di rispondere ma la prese per un gomito e la sospinse con gentile fermezza davanti a sé.
Trent Lawson riuscì a nascondere abbastanza bene la sorpresa. - Piacere di conoscerla, dottoressa Baker! -
- Laura -
- Laura - ripeté lui sorridendo. - Trent Lawson. Jack mi ha parlato molto di te... -
- Non dargli retta, vuole solo mettermi in imbarazzo! - sbottò Monroe.
- E ci sta riuscendo benissimo... - disse piano lei nel notare il rossore soffuso sul suo viso.
- Salve, il mio nome è June. Posso portarvi qualcosa? -
“Salvato in extremis...” pensò l’uomo voltandosi a guardare la giovane cameriera che si era avvicinata nel frattempo al loro tavolo, pronta per segnare gli ordini sul blocchetto stretto fra le dita.
I tre fecero rapidamente la loro scelta e poi rimasero a fissarsi per alcuni interminabili secondi.
- Allora? Cosa ti ha portato nel New Mexico? - chiese Jackson, determinato a scoprire la verità.
- Mi sono presa qualche giorno di vacanza. Volevo rilassarmi un po’, questi ultimi mesi sono stati molto faticosi... -
La donna aveva risposto con tranquillità, come se non si fosse resa conto del suo tono vagamente aggressivo, e lui s’irrigidì. - Peccato che in ospedale nessuno lo sapesse. Per loro sei scomparsa nel nulla. Non è da te comportarti in questo modo... - la rimproverò.
Con un sospiro Laura mise il gomito sul tavolo e appoggiò il mento nel palmo della mano. - Jackson, non credi che questi siano affari miei? - chiese dolcemente.
Lui fece una smorfia. - Credevo fossimo amici, oltre che colleghi, e mi è dispiaciuto che tu te ne sia andata via senza dirmi nulla. Soprattutto dopo che ti avevo confidato i miei dubbi, le mie preoccupazioni... -
- Scusami, non avevo idea che... - La mutaforma abbassò il braccio e lo guardò rattristata. Conosceva Jackson Monroe da oltre cinque anni e aveva imparato a stimarlo e rispettarlo, e le dispiacque scoprire di averlo ferito, sia pure involontariamente.
- Ah, non preoccuparti, sono cose che succedono... -
Trent li studiava attento, consapevole della dolorosa delusione del suo amico e del sincero dispiacere di Laura. Non c’era niente che potesse fare per loro, non esistevano parole per unire due persone che non provavano la stessa cosa l’una per l’altra... E tutto sommato era stato un bene che si fossero incontrati e chiariti, così almeno Jack avrebbe potuto mettersi l’anima in pace una volta per tutte... Peccato, però, perché Laura Baker era davvero una donna interessante. I suoi occhi erano così profondi, intensi...
- E tu, invece? Cosa fai a Roswell? -
- Una semplice escursione. In realtà sto a Santa Fe, da Trent, ma ogni tanto facciamo qualche giro nei dintorni ed oggi siamo venuti qui... Ho ancora una settimana di ferie, e poi tornerò in Florida - Non lo disse, però si capiva che voleva sapere cos’avrebbe fatto lei, invece, e Trent decise di togliere per un poco il disturbo. - Scusate, torno subito. - Si alzò e si diresse verso il retro, in cerca del bagno.
Rimasti soli Laura guardò con espressione seria il suo collega. - Senti, Jackson, io... io non tornerò a Miami. E non resterò neppure qui - si affrettò ad aggiungere in risposta alla muta domanda nei suoi occhi. - Fra qualche giorno partirò, non so con precisione quando, e dubito che ci vedremo di nuovo. Non è che voglia evitarti, ma andrò molto lontano e... -
- Lasci gli Stati Uniti? - domandò lui perplesso.
- Sì. Mi ha fatto piacere conoscerti e lavorare con te, però ormai le nostre strade si sono divise e spero che non mi odierai... -
- Certo che no, non potrei mai odiarti! Però... sei sicura che...? -
Lei annuì e posò una mano sulla sua. - Sei un bravissimo medico, Jack, e sono certa che farai grandi cose. Buona fortuna... - Così dicendo si alzò e gli diede un bacio sulla guancia poi se ne andò senza mai voltarsi indietro.
Inebetito dallo sconforto e dalla confusione l’uomo rimase a fissare il tavolo fino al ritorno di Trent.
- Ehi, e Laura? -
- Se n’è andata. - Monroe prese il bicchiere pieno d’acqua e cubetti di ghiaccio che June aveva lasciato prima di allontanarsi coi loro ordini e bevve una lunga sorsata.
Non sapendo cosa dire l’amico rimase a guardarlo in silenzio.
- Comunque c’è qualcosa che non mi quadra. - Jack roteò il bicchiere facendo tintinnare il ghiaccio. - Mi sembra strano che sia venuta in vacanza proprio nel New Mexico, dove, guarda caso, abbiamo incontrato quei ragazzi... -
- Pensi che anche lei li stia cercando? - si stupì Trent.
- Non lo so. Laura non è il tipo che ami viaggiare, credo che non fosse mai uscita da Miami, prima d’ora... e adesso, fra tanti posti che ci sono, dov’è che viene? Nel New Mexico! -
- Beh, ci sono molte cose da vedere, da queste parti. Forse non a Roswell, è vero, ma... -
- Esatto, Trent, ma! - L’uomo depose il bicchiere e puntò il dito contro di lui. - Ma lei ha attraversato metà del paese in macchina per arrivare fin qui! No, sono convinto che non si sia trattato di una scelta casuale: è venuta per un motivo ben preciso. Magari sta cercando quei dannatissimi ragazzi! -
- O forse ha ricevuto un’offerta di lavoro, magari in Europa. - suggerì più sensatamente Lawson.
- Ah, non lo so... - Jack si permise l’accenno di un sorriso. - Mi piaceva molto, sai? E in questo preciso momento mi sento davvero un idiota per aver sprecato tutto il tempo che ho avuto a disposizione. Purtroppo succede spesso che ci si accorga di qualcosa soltanto quando la si è perduta... -
- Posso darti un consiglio? Lasciala perdere! - L’uomo scosse leggermente la testa. - Certo, è una donna molto bella e in gamba, ma di sicuro non è innamorata di te. Forse è il caso che cominci ad impegnarti sul serio per dimenticarla. -
- Hai ragione, però... -
- Senti, lo so che è difficile, solo che non mi va di vederti così depresso e chiaramente Laura Baker ne è la causa. Quindi, per piacere, sforzati di non pensare più a lei: è la cosa migliore che tu possa fare! -
- Lei è speciale -
- Lo sono tutte, in un modo o nell’altro. Vedrai, alla fine incontrerai quella giusta... -
Jackson fece un respiro profondo poi si alzò. - Ti spiace se ce ne andiamo? Non ho più voglia di mangiare, scusami. -
- No, non c’è problema. Vorrà dire che ci rifaremo stasera, ti porterò in un ristorante dove fanno delle bistecche assolutamente fantastiche! -

Mentre camminava lungo il marciapiedi a passo veloce, desiderando allontanarsi il più possibile dal Crashdown, Laura Baker malediceva la sfortuna che l’aveva condotta in quel locale. La fame le era passata del tutto, ormai, così decise di tornare in albergo e restarvi chiusa dentro per almeno due giorni. Non voleva rischiare di incontrare di nuovo Jackson...

Nei giorni che seguirono le cose sembrarono calmarsi notevolmente.
Laura Baker divideva il suo tempo fra la propria stanza e la biblioteca pubblica, Liz era immersa in un complesso lavoro di ricerca che riusciva a distrarla dal pensiero della ormai prossima partenza del marito e dei figli più grandi per Antar, Maria aveva ripreso ad esibirsi nei locali, Michael e Morgan stavano indagando per conto di una società finanziaria di Hobbs, e Max ed Isabel erano stati assegnati all’aggiornamento dei dati spettrografici registrati dagli strumenti dell’osservatorio nelle ultime settimane sotto la supervisione di Linda Hathaway. Si trattava in realtà di un lavoro alquanto monotono ma Burton, il direttore, sperava in questo modo di tenerli fuori da altri guai anche se, a giudizio di Isabel, i guai avrebbe finito col crearli proprio Linda, se non si fosse convinta quanto prima che Max non era assolutamente interessato a lei...
Jason e Shiri, dal canto loro, si erano rituffati nella routine scolastica fatta di lezioni, compiti ed allenamenti. Shiri, tuttavia, era consapevole di una nuova cautela nell’atteggiamento del fratello. Quando stavano in compagnia dei loro amici, infatti, aveva notato i rapidi sguardi che lanciava ad Alexandra, sguardi che lei sembrava ignorare completamente, per non parlare del modo in cui riusciva ad evitare di rivolgergli anche una sola parola, e non sapeva cosa pensare. Del resto, sembrava che nessun altro se ne fosse accorto, eppure era certa di non sbagliarsi. Alexandra ce l’aveva ancora con Jason...
E difatti l’indifferenza di Alexandra nei suoi confronti colpiva dolorosamente Jason, più che mai sensibile agli stati d’animo della ragazza. Avrebbe voluto parlarle, cercare di chiarire quello che era successo fra di loro, ma lei fingeva di non vederlo neppure. Non che fosse la cosa peggiore, dal momento che una volta si erano quasi scontrati entrando nell’aula di inglese ed era stato fatto oggetto di un’occhiata così glaciale che avrebbe voluto gridare per la frustrazione.
Un giorno Shiri, nel tentativo di aiutarlo, cercò di far sì che durante la pausa per il pranzo si ritrovassero allo stesso tavolo tuttavia Alexandra si rese conto delle sue manovre e sedette il più lontano possibile da Jason limitandosi a parlare soltanto con Tanya.
Al termine della pausa Jason sorrise con un certo sforzo alla sorella e si incamminò a passo svelto per i corridoi della scuola, fermamente determinato a non lasciarsi abbattere dall’assurdità di quella situazione. Però era dura vedere l’impegno con cui Alexandra lo sfuggiva... A volte aveva persino il dubbio che in quella folle notte, a causa dell’ubriacatura, le avesse permesso di vedere qualcosa di sé. Ma no, non poteva essere stato così stupido... O almeno lo sperava!
Quella sera si rigirò a lungo nel letto cercando con tutte le sue forze di non addormentarsi perché sapeva che, se lo avesse fatto, avrebbe finito col collegarsi ad Alexandra. E l’ultima cosa che voleva era intrufolarsi nei suoi sogni. Per tutta la settimana aveva percepito il disagio che l’animava, la delusione, e desiderava così tanto aiutarla che era sicuro che, non appena avesse chiuso gli occhi, pur non volendolo avrebbe cercato la sua mente. Alla fine si alzò e andò al computer per fare i compiti assegnati quel giorno. Qualsiasi cosa, pur di non dormire...
Ma poi, verso l’una del mattino, gli occhi gli si chiusero e la connessione con Alexandra fu quasi istantanea. Vederla rannicchiata in terra, gli occhi fissi sulla parete che aveva davanti e le mani strette intorno alle ginocchia in un atteggiamento di chiusura totale, gli spezzò il cuore e con un sobbalzo si svegliò. “No, Alexandra, non volevo farti questo!...” Giacque immobile per qualche istante, il respiro affannoso, finché, con improvvisa decisione, si alzò e indossò i jeans e la felpa che aveva messo quel giorno e si trasportò nella stanza della ragazza.
Comparve accanto al suo letto, e la guardò agitarsi nel sonno. Tese una mano per sfiorare le treccine sparse sul cuscino. “Alexandra... Mi dispiace, davvero...” Avrebbe voluto svegliarla, avrebbe voluto che gli sorridesse come faceva prima, avrebbe voluto ridarle la serenità perduta. Le sue dita scivolarono a toccare delicatamente una tempia. Se avesse fatto attenzione lei non lo avrebbe mai saputo... Socchiuse le palpebre concentrandosi, e all’improvviso si ritrovò a fissarla negli occhi.
- Jason?!? -
Ritrasse la mano di scatto e fece un passo indietro, senza sapere che fare.
- Come sei arrivato fin qui? - Alexandra si era sollevata su un gomito e lo fissava incredula. - Che diavolo ci fai nella mia stanza?! - lo aggredì sforzandosi di tenere la voce bassa per non svegliare la zia.
- Io... so di averti ferita, in qualche modo, e... volevo chiederti scusa... -
- Non fare il bambino - Alexandra parlò con durezza ma dentro di sé provava sentimenti contrastanti. Avrebbe voluto colpirlo, fargli male così come aveva fatto male a lei, ma allo stesso tempo era contenta di vederlo e moriva dalla voglia di... Con una mossa repentina gli mise una mano sul collo attirandolo verso di sé e lo baciò profondamente.
Colto alla sprovvista, Jason rispose al bacio con tutto se stesso e dopo alcuni secondi si ritrovò accovacciato su di lei, le mani che la accarezzavano sotto la maglietta indugiando nei punti che sapeva maggiormente graditi.
Ansimando sempre più forte la ragazza si tolse la t-shirt poi gli sfilò la felpa ed i jeans e sollevò le gambe circondandogli i fianchi per accoglierlo dentro di sé.
Senza mai smettere di baciarla l’alieno l’amò finché la sentì esplodere. Allora si sollevò un poco cercando i suoi occhi e con un tenero sorriso continuò a muoversi velocemente, instancabilmente, gioendo nel condividere il suo piacere.
Alla fine si sdraiò sul fianco tenendola stretta a sé e le diede una scia di piccoli baci sul viso.
- Sono felice... - bisbigliò Alexandra abbandonandosi al suo abbraccio.
- Lo so - Jason la guardò negli occhi. - Sono felice anch’io. - Le accarezzò gentilmente i capelli e la schiena. - Vorrei che tu lo fossi sempre... -
- Lo sono adesso, e questo mi basta. -
- Ma non basta a me. Io ho bisogno di sapere che stai bene, che... -
- Ancora con questa storia?!? Sei venuto qui per farmi stare bene? Solo per questo? - lo interruppe cercando di liberarsi.
Era arrabbiata, e lui non ne capiva il perché. - Per me è importante. E’ la cosa più importante che ci sia! Ti prego, lascia che... -
- No! Se il motivo per cui hai fatto l’amore con me è perché credevi che fossi triste, beh, ti sei sbagliato di grosso! Io non sono triste! Sono furiosa! -
- Perché? - la supplicò lui. - Io... Io ho fatto l’amore con te perché ti dava piacere, e ne ha dato a me. E’... sbagliato? -
- Lo è per me. Perché non è quello che voglio da te - ammise, odiandosi per aver riposto tante inutili speranze in una persona che, alla fine, si era rivelata come tutte le altre. Per di più, si disse con sarcasmo, stavolta non ne avrebbe neppure ricavato qualche dollaro...
Lui le toccò il volto con la punta delle dita in una carezza così delicata che Alexandra si sentì fremere per l’emozione.
- Io desidero solamente che tu stia bene, che sia felice... e farei qualunque cosa per questo... -
La ragazza gli prese con fermezza il polso scostandolo da sé. - Quindi mi stai dicendo che hai fatto l’amore con me perché ti faccio pena? - domandò aspra.
Jason scosse piano il capo. - No! No, io... mi piace fare l’amore con te... - confessò con un filo di voce. - E mi piace quello che mi fai provare... -
- Ma davvero? Ed è stato così difficile dirlo? - Alexandra lo guardò con sospetto. - O lo hai detto solo per darmi un contentino? -
- No! -
La sua pronta esclamazione strappò un sorriso alla ragazza. - No? Allora... è stato tutto merito di quel bicchiere di tequila? - E davanti al suo sconcerto gli passò un braccio sul fianco facendo scivolare la mano sui glutei. - Se non fossi stato ubriaco non avresti fatto l’amore con me, ed io starei ancora cercando di capire se ti interesso. - spiegò premendosi maggiormente contro di lui. - Anche a me piace quello che tu mi fai provare... - disse in un sussurro ricominciando a baciarlo.
Quando i loro corpi si separarono, appagati e ricoperti di sudore, Jason la sospinse su un lato e l’abbracciò da dietro.
- Come facevi a sapere che era così, che volevo stare? - chiese lei chiudendo gli occhi soddisfatta ed insonnolita.
- Intuito - Il giovane la strinse un pochino di più. Eppure un giorno la verità sarebbe venuta a galla, lo sapeva, e allora lei non gli avrebbe permesso di continuare a toccarla. Anzi, lo avrebbe sfuggito disgustata, e se credeva di aver sofferto, nei giorni precedenti, allora significava che sarebbe letteralmente morto di dolore! Trattenendo a fatica un gemito di angoscia le baciò la nuca e la spalla e rimase ad ascoltare il suo respiro rallentare finché scivolò a sua volta in un sonno leggero da cui si ridestò poco prima dell’aurora. - Alexandra? -
- Mm? -
- Devo tornare a casa. Ci vediamo dopo, a scuola, ok? -
- Mm... -
- Alexandra... -
- Sì? - Stavolta lei riuscì a mormorare qualcosa di più coerente e si girò nella sua direzione passandogli una mano tra i folti capelli scuri. - Cosa c’è? -
- No, niente. - Si chinò a baciarle le labbra un’ultima volta prima di rivestirsi e andarsene chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé. “Credo di amarti...” Corrugò la fronte pensieroso. Sì, ciò che provava stando accanto ad Alexandra era qualcosa di molto simile a quel che provavano i suoi genitori, ne era più che certo. Ma non poteva dirglielo, non ancora. O forse sarebbe stato meglio non dirglielo mai... Non voleva perderla. Con un sospiro si concentrò e in un attimo fu di nuovo nella sua camera da letto.
- Bentornato a casa -
Jason chiuse gli occhi rassegnato e si sedette accanto alla sorella.
- Sei andato da lei? - gli domandò Shiri dopo averlo fissato a lungo.
Senza girarsi a guardarla il giovane si limitò a fare un piccolo cenno affermativo.
La ragazza sospirò rumorosamente. - E... ci sei stato... insieme? Intendo... insieme... -
Sapendo che non aveva senso mentirle Jason annuì di nuovo.
- Santo cielo, sei davvero pazzo! Insomma, ti rendi conto di quello che hai fatto?!? E magari le hai pure lasciato qualche segno! -
Continuando ad evitare con cura di guardarla lui si schiarì la gola. - Glieli ho tolti prima che se ne accorgesse -
Shiri sbarrò gli occhi. - Le hai tolto... cosa? - indagò cautamente.
- I puntini luminosi. Erano sulla schiena. Non può averli visti... -
- Jason, lo sai che significa? - gli disse con dolcezza. - Che ne sei innamorato... -
Lui appoggiò i gomiti sulle ginocchia ed intrecciò le mani. - Sì, lo so - rispose dopo un lungo silenzio.
- Devi parlarne con mamma o papà. Non puoi tenerglielo nascosto, non è prudente! -
- E’ che non mi va. Non adesso, almeno... -
- Perché? - insisté Shiri.
- Senti, io non ho intenzione di dirle quello che provo, quindi non vedo il motivo di... -
- Ho capito bene? - lo interruppe la sorella afferrandolo per il braccio. - Vai a letto con Alexandra ma non vuoi dirle che la ami?!? -
- Non voglio coinvolgerla nel nostro mondo da incubo - rispose Jason a bassa voce.
La ragazza lo guardò seria in volto eppure comprensiva. - Jason, lo hai già fatto. Lo hai fatto nel momento in cui sei andato da lei... -
- Sono stato molto attento a non farle vedere dentro di me! - protestò lui con vivacità.
- Ma non potrai resistere a lungo in questo modo! Non è possibile! Prima o poi, quando meno te lo aspetterai, le tue barriere crolleranno e lei ti vedrà! Ti vedrà per quel che sei davvero, perché tu stesso ne avrai bisogno! E allora sarà la fine... -
- Lo so - Jason parlò così piano che Shiri quasi non lo sentì. Però sentiva benissimo la sua sofferenza e d’impulso lo abbracciò con forza. - Parlane con mamma o papà, ti prego... - sussurrò implorante.
Jason non rispose ma si abbandonò grato alla sua stretta. Era combattuto, perché da un lato desiderava confidarsi coi genitori e dall’altro temeva che gli dicessero di lasciare Alexandra, e questo lui non lo avrebbe sopportato...
Dopo un po’ Shiri si scostò dal fratello e lo guardò dritto negli occhi accennando un sorriso gentile. - Sai che mi ha detto Kyle, quel giorno a Santa Fe? “Se siete destinati a stare insieme, allora è fatta. Nessuno potrà mai mettersi tra di voi”... -
Lui sostenne il suo sguardo per qualche secondo, poi sorrise a sua volta. - Grazie - disse semplicemente.
Shiri annuì in silenzio.
- Come mai eri venuta nella mia stanza? - le chiese ad un tratto, incuriosito.
Le guance della ragazza si colorarono di rosa. - Avevo... percepito la tua ansia e poi... altre emozioni, e... ho pensato di venire a controllare se stavi bene... Ma tu non c’eri più... -
Jason si morse il labbro inferiore con fare imbarazzato. - Già... Ok, adesso sarà meglio andare a dormire per il tempo che ci resta. Buona notte, Shiri -
- ‘Notte -
Rimasto solo il giovane si tolse le scarpe e s’infilò completamente vestito sotto le coperte addormentandosi di colpo.

- Ciao -
- Ciao - Il sorriso illuminò gli occhi di Jason, che richiuse lo sportello dell’armadietto con un movimento preciso del polso. - Tutto bene? -
- A meraviglia. E tu? -
- A meraviglia -
Alexandra scoppiò a ridere. - Sembri un pappagallo! -
- No, è la verità! Mi sento meravigliosamente bene. -
Lei lo guardò reclinando il capo di lato. - Grazie -
- Grazie a te - Il ragazzo si sistemò lo zaino sulla spalla e fece un passo verso di lei per baciarla.
Fu un bacio profondo, pieno di calore, e strappò a Tanya un’esclamazione sorpresa. - Ehi, ecco dov’eri finita!!! Alex, mi senti? Alex? Guarda che la campanella ha suonato già due volte! -
Nell’udire il suo richiamo Alexandra emise un gemito impercettibile e interruppe il bacio. - Eccomi, arrivo... - disse con voce assente, poi sorrise. - Ti ho sporcato di lucidalabbra - bisbigliò nell’orecchio di Jason mentre si allontanava insieme all’amica.
Automaticamente il ragazzo si passò la punta della lingua sulle labbra, assaporando il gusto di limone del gloss e l’inconfondibile sapore della bocca di Alexandra, dopodiché si diresse a passo leggero verso l’aula di storia. “Sì!...” In quel momento niente poteva turbare la totale beatitudine che stava provando, né il pensiero della missione su Antar né la possibile reazione della ragazza nel conoscere la verità su di lui. Tutto era semplicemente perfetto!
Nel frattempo Tanya sparava domande a raffica. - ...Insomma, non lo guardavi neppure in faccia! - concluse senza fiato.
- Beh, le cose cambiano... -
- Eccome, se cambiano! Allora? -
Lei si limitò a scrollare le spalle ma la giovane non si diede per vinta. - Com’è, a letto? - chiese ancora.
- Non sono cose che ti riguardano -
- Quindi... hai fatto l’amore con lui!? -
- Senti, Tanya, non mi va di parlarne, ok? -
- Questo vuol dire che è in gamba... - fu il tranquillo commento di Tanya, che la conosceva fin troppo bene.
Esasperata, Alexandra si fermò e la fronteggiò decisa. - Sì, è in gamba! E con questo ti avverto: non farti venire strane idee su di lui! -
Tanya sollevò le sopracciglia in un’espressione quasi offesa. - Ehi! Io sono la tua migliore amica! Non oserei mai rubarti il ragazzo! -
- Jason non è il mio ragazzo - la corresse lei.
- Ah, ecco! Fai l’amore con lui ma non è il tuo ragazzo. Insomma, si tratta solo di un modo per passare il tempo in attesa del principe azzurro, giusto? O meglio ancora, di una specie di prova per verificare se valga la pena mettercisi insieme... -
- Smettila di prendermi in giro! -
In quel momento vennero raggiunte da Shiri e Tanya, facendo l’occhiolino ad Alexandra, le chiese che cosa ne pensasse dell’idea di testare le capacità amatorie di un ragazzo prima di farci coppia fissa.
Shiri le guardò sconcertata. - Veramente... non credo di aver capito... -
- Ma tu lo faresti? - insisté Tanya.
- Cosa? -
- Andresti a letto con qualcuno solo per poter decidere se starci insieme o no? - spiegò allora lei, come se stesse parlando ad una bambina.
- Beh, no... non credo... -
- Tanya, finiscila. E poi, Shiri non ha un ragazzo. Vero? -
La giovane aliena scosse piano la testa. Non riusciva a capire il perché di tutte quelle domande, anche se cominciava a sospettare qualcosa.
- Ci sarà qualcuno che ti piace, però... -
Shiri studiò dubbiosa Tanya. Non c’era cattiveria, in lei, né malizia. Soltanto curiosità. Con un sospiro si strinse i libri al petto. - Sì, in effetti c’è. Solo che vive molto lontano da qui e quindi non possiamo... stare insieme. -
Alexandra la fissò incuriosita. Shiri era molto carina ed estroversa tuttavia qualcosa, nel suo modo di fare, l’aveva convinta che fosse ancora troppo giovane per provare interesse per i ragazzi. E invece... - Come si chiama? - le chiese.
- Bren - Il nome le sfuggì prima che se ne rendesse conto, ed arrossì come un peperone.
Intenerita, Alexandra le passò un braccio intorno alle spalle. - Bel nome! Mi piace! -
- Chissà come se la cava lui, a letto... - si domandò Tanya ad alta voce, attirandosi un’occhiataccia di Alexandra.

Linda sollevò alcune foglie di insalata con la punta della forchetta ed Isabel fece una smorfia divertita. Quella donna usava una cura quasi maniacale nel mangiare, come se volesse evitare a tutti i costi di commettere il benché minimo errore. Faceva bocconi piccolissimi, stando bene attenta a non schizzarsi, parlava solo quando aveva inghiottito fino all’ultima briciola di quello che stava mangiando, e riusciva a mantenere intatto lo strato di rossetto fino alla fine del pasto. Per farla breve, guardarla era un vero spettacolo! Forse, però, avrebbe dovuto avvertirla che Max preferiva le brune con gli occhi scuri e piccole di statura... Sì, Linda era esattamente l’opposto di Liz: alta, biondissima e con due occhi di un verde quasi trasparente. Era bella, ma per suo fratello esisteva soltanto Liz. Nessun’altra donna avrebbe mai potuto prendere il suo posto, neppure per una semplice relazione... Guardò di sfuggita Max. Sapeva che dall’arrivo di Laura Baker a Roswell la tensione, fra di loro, era andata aumentando sempre di più e lo capiva benissimo. Anche lei si sentiva agitata al pensiero di quello che lo aspettava su Antar, e poteva immaginare l’ansia crescente di Liz... Fece per parlare quando un’improvvisa oscurità sembrò avvolgerla. In preda al panico afferrò con forza il braccio di Max stabilendo un contatto mentale. Non c’era altro che potesse fare, ma fu sufficiente. Il giovane si rese conto di quello che stava succedendo e si volse preoccupato verso di lei. - Isabel? -
La donna seduta di fronte a loro li fissò perplessa. - Qualcosa non va? -
Il respiro di Isabel stava diventando sempre più affannoso e Max scattò in piedi e la sollevò di peso dalla sedia. - Credo che stia per avere il bambino -
- Un bambino?!? Ma non è... incinta... - finì in un sussurro, lo sguardo fisso sulla pancia arrotondata della ragazza. Aveva creduto che fosse un po’ sovrappeso, anche se a ben guardare quella poteva essere la pancia di una donna al terzo o quarto mese di gravidanza. Ma sicuramente non di una sul punto di partorire! Con un certo sforzo si riscosse. - Vado a chiamare subito un’ambulanza - esclamò alzandosi a sua volta.
- Non serve, la porto a casa. Ti spiace avvertire Burton? -
- No, certo, ma non sarebbe meglio portarla all’ospedale? Un parto prematuro non è mica uno scherzo! -
- Non è prematuro - Senza aggiungere altro Max lasciò il piccolo angolo bar, costituito da alcuni anonimi distributori automatici cromati, e a Linda non rimase che fissare esterrefatta la sua schiena ed il braccio inerte di Isabel.
Attento a non superare il limite di velocità per evitare che una macchina di pattuglia lo intercettasse si diresse in città e andò direttamente a casa di Morgan, che aveva avvertito col cellulare prima di lasciare il parcheggio dell’osservatorio.
L’uomo, che lo stava aspettando sulla soglia, lo precedette in camera da letto ed osservò angosciato il viso pallidissimo della moglie. - Sei sicuro che stia bene? - chiese con voce malferma.
- Sì, è solo in connessione con Natalie. Ormai manca poco... -
- Max, io... - Morgan si interruppe, non sapendo come spiegarsi, e Max gli sorrise comprensivo. - Lo so, è un momento terribile, ma Isabel è in grado di badare a se stessa e alla bambina, credimi! - Sedette di fianco alla sorella e le mise una mano sulla pancia. - E’ tutto a posto, per ora. Toglile le scarpe e le calze e sollevale la gonna poi metti gli asciugamani sotto le sue gambe. Sta’ tranquillo, tra qualche minuto potrai vedere Natalie... - Tornò a fissare il volto di Isabel, concentrandosi su quel che stava accadendo dentro di lei. Poteva avvertire i piccoli cambiamenti che apportava al proprio corpo per facilitare l’espulsione della piccola, la trepidazione di Natalie per lo scombussolamento del suo minuscolo mondo, e d’un tratto si rese conto di qualcosa. - Morgan, prendile la mano. Ha bisogno di te, di sentirti... - disse a bassa voce.
Senza esitare l’uomo strinse fra le sue le dita irrigidite di Isabel e si chinò a baciarla sulla fronte. - Ti amo, Isabel, ti amo... Ti prego, dimmi che va tutto bene... - sussurrò con voce spezzata.
La ragazza non rispose ma poco dopo emise un lungo lamento sordo e lui, d’istinto, si volse e vide la testolina di Natalie scivolare sull’asciugamano. - O mio dio... -
La neonata e la madre aprirono gli occhi nello stesso istante e Morgan, che solo con un grande sforzo aveva lasciato andare la mano di Isabel per afferrare il corpicino della piccola, si affrettò a porgerle la bimba dopo averla avvolta in un panno morbido. - Guarda, amore, guarda com’è bella! -
Isabel sorrise felice e prese in braccio Natalie, cui Max aveva già distaccato il cordone ombelicale. - Sì, è veramente splendida... - mormorò, poi guardò il fratello. - Grazie... -
Lui le scostò una ciocca di capelli dal viso ricoperto di sudore - Hai fatto tutto tu, Isabel. Sei stata davvero brava... - disse, dopodiché si rivolse a Morgan. - Ci penso io ad avvertire mia madre e gli altri. Tu resta qui con lei e goditi tua figlia... Ci vediamo più tardi. -
Morgan lo guardò riconoscente. In quel momento non avrebbe ricordato il numero di telefono del padre neppure se ne fosse andato della sua vita... Tutto quello cui riusciva a pensare era che Isabel, la sua bellissima Isabel, gli aveva dato una meravigliosa bambina... Sentì le lacrime pungergli dietro le palpebre e dovette deglutire più volte per riuscire a trattenerle. Santo cielo, non avrebbe mai creduto di poter essere così felice, emozionato, sconvolto, incredulo ed euforico allo stesso tempo!... Tornò a fissare i lineamenti delicati di sua moglie, intenta a cullare con dolcezza Natalie. - Adesso ho due principesse... - mormorò.
Isabel sollevò il capo e gli fece un sorriso smagliante.

Era il tardo pomeriggio e la casa brulicava di gente. Erano arrivati tutti. I genitori di Isabel, il padre ed il fratello di Morgan, Michael e Maria, Liz con i ragazzi, e persino Jim ed Amy Valenti.
A Max era bastato un semplice sguardo a Thomas Coltrane per capire che c’era lui, dietro la telefonata grazie alla quale aveva potuto lasciare Washington, e aveva provato una profonda gratitudine. Perché adesso sapeva con assoluta certezza che Isabel e Natalie sarebbero state ben protette anche durante la sua assenza.
Dopo essere stata adeguatamente lavata e vestita la bimba era stata messa nella sua culla ed Isabel aveva potuto fare una doccia e indossare un elegante ma comodo completo di maglia. E adesso stava ritta accanto al marito sorridendo con comprensibile orgoglio mentre Natalie veniva vezzeggiata da tutti i presenti. Con una soffice massa di capelli castano chiaro e gli occhi blu del padre, infagottata in un vestitino di cotone bianco ricamato a mano, la neonata si era subito conquistata l’amore incondizionato di ognuno. Persino Claudia, Ethan e Mathias ne sembravano incantati. Se ne stavano tranquilli nei loro passeggini, e soltanto Jason sembrava essersi reso conto della blanda esplorazione mentale che i tre piccoli stavano facendo con la nuova cuginetta.
Diane Evans aveva abbracciato con forza e a lungo la figlia senza riuscire a trattenere la commozione, poi si era stretta al seno la nipotina e l’aveva studiata attenta, ritrovando nel suo visetto paffuto i tratti di Isabel.
Anche David era incuriosito dalla neonata. Gli riusciva ancora difficile credere che Morgan fosse diventato padre. Eppure era sicuro che sarebbe stato un buon padre, che avrebbe aiutato Isabel quando Natalie si sarebbe svegliata nel cuore della notte urlando come un’ossessa, che non si sarebbe tirato indietro al momento di maneggiare pannolini sporchi e dall’odore nauseante, che avrebbe canterellato stupide ninne nanne, e magari sarebbe anche arrivato a darle in tempi brevi un fratellino o una sorellina con cui giocare! Di una cosa era però certo: ci voleva una ragazza di un altro pianeta per convincere Morgan a cambiare vita... E lui? Era pronto a fare altrettanto? Da quando lavorava nella società di famiglia aveva incontrato moltissima gente, più di quanta ne avesse vista in tutti gli anni trascorsi all’FBI, e non sempre si era trattato di persone piacevoli. La maggior parte, poi, aveva la seccante abitudine di cambiare completamente atteggiamento non appena realizzava chi fosse in realtà, e la cosa cominciava a stufarlo. Di donne libere, in gamba, disinteressate e affascinanti, poi, nemmeno a parlarne! O perlomeno non ne aveva ancora incontrata nessuna che riunisse in sé tutte quelle qualità... Così, finiva sempre con l’uscire ogni volta con una ragazza diversa per poi concludere la serata da solo nel proprio appartamento con un bicchiere di brandy in una mano e il telecomando della tv nell’altra. L’unica eccezione era rappresentata da Trish, l’amica di università di Liz. Era stata a New York per qualche settimana ed erano andati insieme al cinema e a teatro tre o quattro volte, poi era tornata ad Albuquerque e, a voler essere sinceri, ne sentiva un po’ la mancanza. Era una ragazza semplice e tranquilla, che non si faceva impressionare dal potere economico dietro il nome dei Coltrane, e la sua compagnia era estremamente rilassante. Chissà, magari dopo il battesimo di Natalie avrebbe potuto fare un giro da quelle parti per vedere cosa stesse combinando...

Il battesimo ebbe luogo due giorni più tardi, e dopo che tutti gli invitati se ne furono andati Max e Michael, insieme a Jason e Shiri, tornarono a casa di Isabel e lei, nel vederli, emise un sospiro profondo mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. - E così è arrivato il momento... - bisbigliò con voce roca.
Max la fissò affettuosamente in silenzio per alcuni interminabili secondi poi annuì e l’abbracciò. - Abbi cura di te e di mia nipote, capito? - sussurrò sfiorandole i capelli con le labbra.
Lei ricambiò con forza la sua stretta prima di indietreggiare quel tanto da permetterle di incontrarne lo sguardo. - Baderò anche a Liz e ai gemelli, è una promessa! - disse piano dando voce al suo desiderio inespresso.
- Grazie - Il giovane le diede un bacio sulla fronte e l’abbracciò di nuovo. Si sentiva morire al pensiero di lasciare tutte le persone che amava dietro di sé... Il ricordo del viso devastato dalla disperazione di Liz quando era entrato in camera da letto per cambiare l’elegante completo indossato per la cerimonia con un abbigliamento più pratico continuava a torturarlo, e adesso la generosa offerta di Isabel gli spezzò il cuore.
- Ti rivoglio a Roswell il prima possibile... -
- Farò del mio meglio. Dai un bacio per me alla mia nipote preferita, ok? -
La ragazza accennò una risata più simile ad un singhiozzo. - Veramente è la tua unica nipote... -
- Non importa. Tu dalle lo stesso un bacio... -
- Certo - Isabel gli passò le braccia intorno al collo e lo baciò sulla guancia. - Fate attenzione... - sussurrò serrando forte le palpebre, poi lo lasciò andare e salutò con altrettanto slancio Michael e i ragazzi. - Mi raccomando, non correte rischi inutili, d’accordo? Preferisco perdere Antar piuttosto che voi... - Senza aggiungere altro cercò gli occhi di Jason e per un attimo fu come se fossero soli nella stanza. Poteva sentire la sua desolazione, la sua malinconia. In quelle ultime settimane aveva avvertito l’aumentare della sua riservatezza, già notevolissima per un adolescente, ed immaginava che la causa potesse essere Alexandra. Dio, era così simile a Max... perfino nella devozione ad un unico impossibile amore... Si augurò che quella ragazza fosse abbastanza intelligente da capire quanto male avrebbe potuto fargli con un semplice sguardo. Perché se c’era una cosa che tutti loro avevano sempre temuto e rifuggito era l’essere guardati come dei mostri... Senza pensarci gli accarezzò il volto e gli sorrise con tenerezza. Non preoccuparti, ti aspetterà... - disse pianissimo.
Jason si morse il labbro inferiore, a disagio. Sapeva che la zia aveva intuito i suoi pensieri e sperava che avesse ragione, ma non ne era affatto certo. Alexandra gli aveva dimostrato più volte di tenere a lui, però il loro rapporto era troppo recente, troppo delicato, per poter superare indenne una separazione come quella...

- Liz? - Maria era rimasta ad osservare per un poco l’amica lanciare la palla nel canestro. Faceva rimbalzare con forza la sfera di gomma sul lastricato fissando quasi con odio la reticella prima di effettuare il tiro. Tiri potenti e rabbiosi, che di tanto in tanto centravano il bersaglio. E ogni volta Liz ricominciava a palleggiare con maggiore decisione e, incredibilmente, aumentava i centri. Ma si vedeva che era infuriata, e non bisognava essere dei maghi per capirne il motivo... - Liz? - chiamò di nuovo, sperando di essere udita.
La ragazza lanciò la palla mandandola a rimbalzare contro il tabellone e si lasciò sfuggire un’imprecazione.
- Liz! -
Stavolta Liz sentì il richiamo e si volse di scatto. - Ehi! -
- Ciao. Mathias ed io avevamo voglia di fare una passeggiata e per caso siamo capitati da queste parti... -
- Per caso, eh? - osservò Liz con una smorfia.
- Beh, Michael e gli altri dovrebbero essere ormai arrivati alla caverna e, dato che Isabel starà sicuramente sfogando la sua agitazione su Morgan, io avrei pensato di farlo con te. Insomma, non vorrai mica che me ne resti a casa da sola mentre loro vanno a combattere contro il nemico?!? -
A quelle parole la ragazza fece un sorriso triste. - No, certo che no. Vieni, andiamo dentro... - disse incamminandosi con lei verso l’ingresso posteriore.
- Dove hai lasciato Claudia e Ethan? -
- Dormono. Sono stati iperattivi per tutto il giorno e alla fine sono crollati, per fortuna, perché non ero proprio nello stato d’animo di giocare con loro... -
- Ti capisco. Avevi voglia di giocare da sola... - la stuzzicò. Nei suoi occhi, tuttavia, c’era un’ombra di tristezza.
Liz si strinse nelle spalle. - Avevo bisogno di sfogarmi un po’. Ma ora preferirei di gran lunga fare due chiacchiere. Che ne dici di rimanere a dormire qui? Potremmo affittare qualche cassetta e passare tutta la notte a guardare film strappalacrime come quando andavamo a scuola! -
- Perché no? Sempre meglio che restarsene a guardare nel vuoto e a domandarsi dove saranno, o che staranno facendo, o quando torneranno... -
- Affare fatto, allora! E... pizza? -
- Ma certo! - Mentre entrava in casa si volse verso di lei e le fece l’occhiolino. - Comunque, una cosa buona c’è: ti sei tolta di torno Laura Baker! -
A quelle parole Liz sbuffò. - Già! Te lo giuro, Maria, quella donna... mi faceva venire i brividi! Ogni volta che la vedevo mi tornava in mente tutto quello che è successo a Miami e... ti assicuro che mi prudevano le mani per la voglia di strangolarla! -
Maria scoppiò a ridere. - Bene, adesso non dovrai più preoccuparti di lei! -
- No, in effetti no... Però... avrei preferito continuare a farlo per il resto della mia vita se questo avesse significato non veder partire Max e i ragazzi... -
Con un sospiro l’amica si chinò a prendere Mathias in braccio prima di seguire Liz in cucina. - Vedrai, andrà tutto bene, basta esserne convinte! -
Liz riempì il bollitore e lo mise sul fuoco. Ripensando al bellissimo viso serio e triste di Max quando l’aveva baciata un’ultima volta prima di andarsene sentì gli occhi inumidirsi. - Sì, basta esserne convinte... ripeté. Poi si girò a guardare Maria, un sorriso forzato sulle belle labbra morbide. - Sono convintissima - asserì con voce malferma.
- Oh, Liz! - Maria le passò un braccio intorno alle spalle. - Vado a telefonare per la pizza -
La ragazza la guardò con gratitudine. La sua migliore amica. La sua confidente. La sua alleata. Era bello avere accanto una persona come lei...

- Certo che è strano, però... Chissà dove saranno andati? - osservò Sabrina tra un sorso e l’altro di limonata.
Tanya diede un’occhiata di sfuggita ad Alexandra. Erano trascorse due settimane da che Shiri e Jason avevano smesso di venire a scuola. Avevano detto di dover partire col padre e di non sapere con esattezza quando sarebbero tornati, ma sarebbe stato carino, da parte loro, farsi vivi ogni tanto. Cosa gli costava telefonare? Dannazione, almeno Jason avrebbe potuto degnarsi di chiamare Alexandra! E invece sapeva per certo che non lo aveva fatto. Nemmeno una volta... Per quanto non lo desse a vedere, lei ci era rimasta molto male e forse per questo aveva cominciato ad uscire con una preoccupante frequenza insieme a Roger. Non che Roger fosse brutto o antipatico, tutt’altro, però non le sembrava una mossa intelligente quella di usarlo per ripicca nei confronti di Evans...
- Forse sono in un’isola tropicale, troppo occupati a nuotare in quelle acque calde e trasparenti per ricordarsi dei compagni di scuola! - disse Mark ridendo.
- Mm, che invidia! A capodanno in Florida, e ora ai tropici! - Roger diede un bel morso al panino che aveva in mano. - Mi piacerebbe far parte di quella famiglia... -
- Non credo che siano in vacanza. Non avrebbero lasciato la madre qui in città... - Alexandra guardò senza vederlo il trancio di torta rustica mangiato solo in parte. La fame le era del tutto passata, così lo gettò nel cestino senza starci a pensare. - Beh, sbrighiamoci perché è quasi ora di tornare in classe - Bevve l’ultimo goccio di coca cola rimasto nel suo bicchiere poi gettò via anche quello. Dio, come le bruciava il silenzio di Jason... Vero che, l’ultima volta che lo aveva visto, le era sembrato un po’ giù di corda, come se davvero gli dispiacesse dover partire, ma... avrebbe potuto chiamarla anche solo per dirle che si stava divertendo come un matto! Con un’espressione impenetrabile sul viso raccolse i libri e si alzò. - Su, avanti, si è fatto tardi! -
Sabrina e Tanya si scambiarono una smorfia. Alexandra poteva negarlo fino a restare senza voce, comunque per loro era chiaro come il sole che avesse preso una vera e propria sbandata per Jason Evans. E Roger avrebbe fatto bene a non farsi troppe illusioni... Ma neppure Jason, se per questo! Alexandra era un tipo tranquillo e posato, che però non si lasciava mettere i piedi in testa da nessuno. E qualcosa gli diceva che Evans l’avrebbe scoperto a proprie spese...

Alexandra spense il motore e rimase a lungo a sedere in macchina, lo sguardo perso nel vuoto. Non aveva voglia di rientrare, di sentire le solite domande della zia, di mettersi a fare i compiti. Voleva starsene un po’ per conto proprio e rivivere ogni momento di quell’ultimo incontro. Era vero, Jason era turbato, se n’era accorta subito. Ma poi le aveva sorriso e l’aveva stretta fra le braccia baciandola con infinita dolcezza e lei, stupidamente, non aveva pensato a nient’altro che non fossero le sue mani e la sua bocca. Era successo all’uscita di scuola, prima che arrivassero Shiri e gli altri ragazzi, e a quel punto Jason le aveva dato un ultimo bacio veloce e se n’era andato con la sorella. Ma aveva fatto in tempo a cogliere lo sguardo mesto che Shiri le aveva dato di sfuggita. Perché? Cosa sapeva? Non credeva che Jason le avesse detto di loro due, anche se forse poteva averlo intuito da sola, tuttavia sembrava quasi che avesse voluto scusarsi...
In preda alla nostalgia riandò con la memoria alle due magiche notti che avevano passato insieme, e le venne da sorridere nel ricordare gli stranissimi pensieri, di certo causati dall’eccessiva quantità di birra bevuta, che le avevano attraversato la testa la prima volta. Di certo non il tipo di pensieri che si sarebbe potuta aspettare mentre faceva l’amore nella maniera più appassionata e disinibita che le fosse mai capitata, in cui immagini di Jason e di lei stessa avevano continuato a mescolarsi come in un caleidoscopio, ma che tuttavia avevano contribuito a creare quella profonda intimità che poi le sue confuse spiegazioni avevano dolorosamente distrutto l’indomani mattina.
Si lasciò andare contro il morbido schienale avvolgente. - Anche tu nascondi un torbido segreto? E’ per questo che te ne sei andato chissà dove? - domandò in un sussurro, cui le rispose solo il silenzio. - Ti rivelo una grande verità: non serve a niente scappare. I fantasmi continueranno a perseguitarti finché non li avrai sconfitti... Chiuse gli occhi, sentendo la solitudine pesarle addosso come un macigno. “Mi manchi, campione...”

Scritta da Elisa


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