Roswell.it - Fanfiction

NUOVE PROSPETTIVE


Riassunto: L’inatteso incontro con qualcuno legato alle origini di Max e la richiesta degli ambasciatori della Confederazione offrono altri indizi per la comprensione del piano di Nasedo, mentre l’approssimarsi della fine degli studi e la nascita dei gemelli rafforzano il desiderio di una vita normale.

Data di stesura: dal 26 novembre 2002 al 2 febbraio 2003.

Valutazione: adatto a tutti, o quasi...

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.

La mia e-mail è ellis@roswellit.zzn.com


- Che c’è? -
L’uomo sollevò le sopracciglia con fare interrogativo ed il suo compagno sbuffò.
- Sono cinque minuti buoni che mi stai fissando. Cosa c’è? - chiese di nuovo.
Morgan si lasciò andare sospirando contro lo schienale della poltroncina. - Ripensavo al modo in cui hai messo fuori gioco quei contrabbandieri... -
Michael s’irrigidì impercettibilmente e rimase in silenzio, cercando di decifrare l’espressione sul bel volto virile del socio.
- Usi spesso i tuoi poteri quando lavori? -
Il giovane digitò alcuni comandi sulla tastiera del suo computer e il documento scomparve dal video. - Sì. Evito di farmi vedere, naturalmente, ma li uso ogni volta che ne ho bisogno. Ho imparato diversi trucchetti molto utili, e non lasciano alcuna traccia - Sorrise con durezza. - Qualcosa in contrario? -
- No. No... - Morgan scosse piano la testa mentre con la mano tamburellava distratto sulla scrivania.
Michael incrociò le braccia sul petto, serio in volto. - Siamo diversi da voi, siamo degli ibridi, in parte umani e in parte alieni, con tutto quel che ne consegue. Lo sapevi quando mi hai chiesto di lavorare per te, e io non ho alcuna intenzione di rinunciare ai miei poteri solo perché ti danno fastidio! -
- Non ti ho chiesto di farlo -
- Ce l’hai scritto in faccia -
Morgan si alzò bruscamente in piedi e andò verso l’ampia finestra accanto alla porta. Con la destra si prese il braccio ferito e lo tenne fermo contro il fianco.
- La riprova è che non hai voluto farti guarire da Max - Michael sollevò con indolenza le gambe sul tavolo. - Lo sai, vero, che anche i tuoi figli avranno poteri alieni? -
Per un attimo sembrò che non lo avesse sentito, poi Morgan si volse a guardarlo. - Che vuoi dire? - domandò rudemente.
Il giovane socchiuse gli occhi. - Sei un bastardo. Peccato che me ne sia accorto solo adesso... - Con un movimento fluido si alzò in piedi e andò verso la porta.
- Credo che tu mi abbia frainteso. - Con una smorfia Morgan fece qualche passo nella sua direzione. Usare i vostri poteri è pericoloso. Se veniste scoperti saremmo tutti quanti nei guai, e l’idea che anche dei bambini innocenti possano essere... torturati... solo perché... -
Michael emise un profondo sospiro. - Scusami, hai ragione, non avevo capito. - S’infilò le mani in tasca. Isabel, Max ed io siamo cresciuti con la paura di finire su qualche tavolo operatorio. Isabel, soprattutto... Eravamo soli contro tutti, in un certo senso, perché non c’era nessuno di cui potessimo fidarci, con cui potessimo parlare, ed è stata molto dura. Sotto questo aspetto Jason e Shiri sono più fortunati, perché hanno accanto persone in grado di capirli e aiutarli. Ma non commettere l’errore di credere che, se non useranno i loro poteri, i tuoi figli saranno al sicuro... Nessuno di noi lo sarà mai -
A quelle parole l’uomo parve trasalire, poi gli voltò le spalle e tornò a sedersi dietro la scrivania. Nonostante la ferita le sue mani sembrarono volare sulla tastiera.
- Che diavolo stai facendo? - chiese perplesso Michael avvicinandosi al monitor.
Morgan continuò a premere tasti a tutta velocità. - Non lo riconosci? - borbottò senza staccare lo sguardo dalle stringhe di dati che stava immettendo.
- Cosa? -
- Un attacco di paranoia, ragazzo mio. A quanto pare mi hai contagiato... -
- Ehi, amico, frena! Cosa c’entra la paranoia, adesso? Stavamo parlando di... Isabel... - Il nome uscì dalle labbra di Michael come un sussurro. Il dubbio e la preoccupazione velarono i suoi occhi scuri. - Cos’è successo? - chiese a denti stretti.
- Niente, spero. Ma voglio esserne sicuro -

La giornata fu molto faticosa e quando finalmente si ritrovò fuori del campus universitario Isabel respirò a fondo per rilassarsi. Lavorare in quel laboratorio di ricerca si era rivelato un’esperienza davvero interessante, ma poi c’era stato l’attacco a Liz e di nuovo il lato più pericoloso della sua vita aveva avuto il sopravvento. Il risultato era che, nonostante l’atmosfera simpatica e indaffarata che si respirava nell’università di Las Cruces, lei non vedeva l’ora di tornare ad Albuquerque. Lì sarebbe stata di nuovo insieme a Max, Jason, Shiri e Liz, e così avrebbe sentito un po’ meno la mancanza di Morgan. Si guardò intorno con fare distratto ma in realtà voleva controllare i movimenti di Ivy. La donna sembrava aver accettato senza problemi la sua risposta negativa però aveva la sgradevole sensazione di sentirsi osservata, studiata, e le sarebbe piaciuto non doverla più vedere per i pochi giorni che le mancavano al termine dello stage. Purtroppo non era facile, dato che facevano parte dello stesso team di ricerca, comunque voleva essere sicura di riuscirci almeno quando erano fuori del campus! Bene, Ivy doveva essere rimasta indietro. Con un sorriso radioso tirò fuori le chiavi dalla borsetta e si affrettò verso la macchina. Doveva passare a casa per cambiarsi e prendere i libri per andare a studiare da Kendra: in questo modo Ivy non avrebbe potuto rintracciarla e lei si sarebbe sentita decisamente più al sicuro! Kendra era una ragazza di diciannove anni molto simpatica che aveva conosciuto quel giorno a pranzo. Stava preparando uno degli esami che anche lei aveva in programma di dare il mese successivo, così aveva deciso di approfittarne. Qualsiasi cosa, pur di restare alla larga da Ivy...
In quel preciso momento Ivy stava dando l’ennesimo strattone alla maniglia della porta del bagno, la cui serratura aveva deciso di dare forfait. Finalmente riuscì a sbloccarla e poté lasciare l’angusto spazio, il respiro ancora ansante per lo sforzo. Con un gesto di stizza si lavò le mani e controllò il proprio aspetto nello specchio sopra la fila di lavandini. “Maledetta porta...” Diede un rapido sguardo all’orologio, trovando conferma ai suoi timori. Quell’inconveniente le aveva fatto perdere minuti preziosi e ormai Isabel doveva aver lasciato il campus. Avrebbe voluto seguirla e magari, con una scusa, restare con lei per il resto della serata. Desiderava parlarle fuori dell’ambito del lavoro perché così, forse, avrebbe capito cosa la disturbava. Isabel Evans non era la solita stagista, ingenua e sprovveduta. No, tutt’altro, e sapeva nasconderlo molto bene. Sospirando rassegnata uscì dall’edificio che ospitava il laboratorio e si diresse al parcheggio. Sulla strada di casa si fermò ad un grande supermercato e fece la spesa ma i suoi pensieri erano interamente concentrati sulla ragazza. Non sopportava quell’incertezza, il non riuscire a mettere a fuoco il senso di disagio che provava ogni volta che riesaminava la conversazione avuta con lei a proposito dell’offerta di lavorare per l’aeronautica, e non vedeva l’ora di avere notizie da Joel Sutton, il suo collega della base militare.
Nei due giorni che seguirono si scoprì ad ammirare suo malgrado l’abilità con cui Isabel continuava a sfuggirle. Sì, decisamente quella ragazza era speciale ed era un vero peccato che avesse deciso di seppellirsi a Roswell...
Poi il lunedì mattina, mentre stava incamminandosi verso l’ingresso del laboratorio, ricevette la chiamata di Joel. Rallentò subito il passo per rimanere indietro, in modo che nessuno potesse sentirla, e ascoltò sempre più sorpresa lo sconcertante resoconto dell’uomo. - Non... non posso crederci!... - mormorò alla fine, sconvolta.
“- E’ così, invece. Il nostro referente deve aver ricevuto una bella lavata di capo per aver ficcato il naso negli affari privati di uno dei loro... -”
- Morgan Coltrane, eh? -
“- Già, un ex operativo. E uno dei migliori, a quanto sembra -”
- Quando ha lasciato il Bureau? -
“- A dicembre dello scorso anno. Poi, alla fine di maggio, si è sposato con la tua Isabel Evans. Certo sarebbe stato molto complicato continuare a fare l’agente sul campo e allo stesso tempo metter su famiglia... -”
- Sì, immagino di sì... - Ivy scosse piano la testa. - Però... mi piacerebbe tanto sapere come si sono conosciuti. Voglio dire, lei ha vent’anni e studia ancora, mentre lui... In quale occasione si saranno incontrati? -
“- Bella domanda... Comunque, resta il fatto che il direttore del reparto ha contattato personalmente il colonnello Avery, e il risultato è stato... oserei dire... stupefacente -”
- Cioè? -
Joel rise suo malgrado, una risata calda e profonda, quasi sexy. “- Sguardo gelido, faccia di granito, schiena ancora più dritta del solito. Si è limitato a dire ‘Lasciate perdere la Evans. E’ un ordine’ -” Sospirò, solidale. “- Mi spiace, non mi ha lasciato alcuno spazio di manovra. Quella ragazza è definitivamente fuori della nostra portata... -”
- Maledizione! -
“- Ivy, ti conosco fin troppo bene. Dammi retta: lascia perdere la tua curiosità, per questa volta, d’accordo? Ho la netta sensazione che resteresti con le spalle scoperte -”
- Non so perché ma penso che tu abbia ragione... Ok, Joel, ho recepito il messaggio. -
“- Bene. Allora... a presto -”
- A presto. - La donna chiuse il cellulare e se lo infilò in tasca. “Federali. Puah, che brutta razza! Ah, Isabel, chi te l’ha fatto fare?”
A mezzogiorno e un quarto Ivy si avvicinò ad Isabel per invitarla a pranzo.
La ragazza cercò di rifiutarsi con garbo ma davanti alla sua insistenza dovette cedere. Stavano attraversando il piazzale dirette verso un piccolo ristorante cinese quando un’auto verde scuro si fermò poco distante da loro e ne scese un uomo alto e bruno.
- Morgan! - Gli occhi di Isabel si illuminarono di gioia nel vedere il marito, mentre la sua compagna osservava in disparte i due abbracciarsi e darsi un rapido bacio sulle labbra.
Poi la coppia si volse verso di lei. Isabel mormorò qualcosa e Morgan fissò Ivy con attenzione.
Decisa a non farsi intimidire la donna andò loro incontro. - Salve, dunque tu sei il marito di Isabel? - Morgan strinse la mano che lei gli tendeva.
- Io sono Ivy Deynier -
- Sì, me lo ha detto Isabel. - Un piccolo muscolo gli vibrò sulla mascella. - Spero che abbia rinunciato ad indagare su di lei -
Ivy sorrise un po’ ironica. - Ho recepito il messaggio -
- Perfetto - Morgan si strinse la moglie al fianco. - Stavate andando a pranzo? -
- Già. Ti unisci a noi? -
Più tardi, mentre Ivy precedeva Isabel all’interno del laboratorio di ricerca, Morgan accarezzò con mano leggera la schiena della moglie. - Mi sono preso quei famosi giorni di vacanza. Ti aspetto a casa, va bene?
- Va benissimo! - La ragazza sorrise contenta. Stava cominciando a capire le parole del fratello. L’amore che provava per Morgan le dava forza, era la sua forza, e non aveva alcun senso negarlo a se stessa. Aveva bisogno di lui, per dare stabilità ad una vita altrimenti troppo difficile da affrontare. Per forza Max si era aggrappato a Liz con tutto se stesso! Avevano bisogno di un punto fermo, di qualcuno di cui fidarsi ciecamente, su cui poter contare in ogni istante, altrimenti tanto valeva abbandonare ogni speranza di normalità e tornare su Antar. Ma lei voleva restare sulla Terra. Amava quel pianeta, amava i suoi genitori adottivi e tutte le persone che, in un modo o nell’altro, erano diventate importanti per lei. Con passo più leggero si incamminò dietro la sua collega.
Quando la vide entrare Ivy le fece l’occhiolino. - Ora capisco perché sei così determinata a tornare a Roswell... Complimenti, Morgan è davvero un bel ragazzo! -
- Ti ringrazio a suo nome - Isabel inclinò leggermente il capo, accennò un sorriso e raggiunse la sua postazione. Morgan doveva avere un motivo ben preciso per essere venuto a Las Cruces. Probabilmente si trattava di Ivy. Forse aveva continuato ad indagare su di lei, nonostante tutto, e l’FBI non doveva avere apprezzato. Sapeva che negli archivi c’era una scheda su ognuno di loro, ma era protetta da un codice di sicurezza di massimo livello e la ricerca doveva essersi arenata contro quell’ostacolo. Certo, l’esistenza di quelle schede la mandava in bestia, ciononostante era un prezzo che poteva permettersi di pagare finché il Bureau avesse mantenuto la propria parte dell’accordo... Dalla tasca dei pantaloni di seta estrasse un elastico e si legò i capelli con fare assente prima di riavviare il programma su cui stava lavorando.
Quando tornò a casa placcò letteralmente Morgan contro la porta dell’ingresso. - Guai a te se non mi dici subito perché sei qui! E’ per Ivy, vero? -
L’uomo fece una smorfia per il dolore provocato dall’urto del braccio ferito. - Sì - borbottò guardandola negli occhi, - ma è tutto a posto. Avevo avvertito David, che ha potuto bloccare il tentativo di accesso creando una scheda fantasma... -
- Che diavolo è una scheda fantasma? - chiese Isabel sconcertata.
- Una scheda temporanea. Quella donna non avrebbe smesso di cercare finché non avesse trovato qualcosa, e noi le abbiamo dato un’esca. Che ha inghiottito con tutto l’amo, in effetti. - Davanti alla sua espressione severa si affrettò ad aggiungere una spiegazione. - D’accordo col direttore ha inserito i tuoi dati collegandoli al nostro matrimonio. E’ una procedura standard, in effetti, solo che in questo caso ha dovuto creare un doppione con il livello di sicurezza di base. Quello reale avrebbe sollevato altri dubbi... -
- Già, lo credo bene! - La ragazza sospirò per il disappunto. - Quando ci penso mi sento come se avessi un cartello in testa con su scritto ‘top secret’... - Si scostò da lui e indietreggiò di alcuni passi. - Ti ho fatto male, vero? - domandò con voce sommessa.
- Mi passerà se mi farai un po’ di coccole. -
- Oh, davvero? Beh, sì, potrebbe anche essere... - Lo prese per mano e lo condusse fino alla stanza da letto.

- Sei sicuro di volertene andare? -
- Sì, Altezza - Lou Krentz abbassò un attimo la testa poi la eresse di nuovo. - Io... ho esaurito il mio compito, qui. I prìncipi sanno come difendersi, e la mia signora è al sicuro accanto a lei. Credo... credo che ormai sia tempo, per me, di tornare a casa. Vorrei partire non appena sarà possibile farlo senza rischi, naturalmente, ma desideravo comunicarglielo per tempo. -
Max lo fissò a lungo, in silenzio. Sapeva che Lou era rimasto fino ad allora soprattutto per proteggere Shiri, però si era accorto della sottile tensione che negli ultimi tempi lo pervadeva sempre più spesso. - Di che si tratta? - chiese ad un tratto.
L’ufficiale si irrigidì, chiaramente imbarazzato. - Mi sono reso conto che c’è una notevole differenza tra prendersi cura di due bambini e difendere due adolescenti. Dovrei... spiarli, in un certo senso. Sapere tutto quello che fanno, che dicono... Io non... non credo di essere in grado di farlo. -
Ripensando all’affetto che Jason e Shiri provavano per lui, al piacere con cui stavano in sua compagnia, il giovane corrugò la fronte. - Tu sei più un amico che una guardia del corpo, per loro... Anzi, per tutti noi. Ma... penso di capire cosa intendi... Va bene, sei libero di fare come preferisci. Sei stato fin troppo generoso a restare per tutto questo tempo su un mondo che non è il tuo... -
- Se davvero potessi aiutare i ragazzi resterei qui per il resto della mia vita, Altezza, però loro non hanno più bisogno di me. -
- Forse no, comunque presto ci saranno altri bambini. -
Le labbra di Lou si tesero in un piccolo sorriso. - Già. E anche per questo desidero andarmene. Lei e la mia signora avete bisogno di vivere normalmente, non con un soldato sempre attorno... Ora... è tempo che io segua l’esempio del colonnello Anders. E’ stato un vero piacere servirla, Altezza, e spero che un giorno torni su Antar... -
Troppo emozionato per parlare Max si limitò a portarsi una mano al petto, rispondendo al segno di saluto dell’uomo, poi rimase a guardarlo andarsene per uno dei suoi soliti giri di controllo. Lou si era dimostrato un uomo fedele e prezioso, cui non aveva mai esitato ad affidare la vita dei figli, e il minimo che poteva fare per lui era consentirgli di tornare al suo mondo. Chiuse per un attimo gli occhi. Doveva soltanto attendere che fossero tutti ad Albuquerque. Allora, con l’aiuto dei graniliti, avrebbe fatto quello che andava fatto, e nessun satellite avrebbe potuto scoprirlo. Serrò involontariamente i pugni. Non sopportava di essere tenuto sotto controllo in quel modo... Poi udì Liz che usciva dal bagno e si affrettò a raggiungerla nella loro camera. Aveva bisogno di lei. Aveva sempre bisogno di lei.
La ragazza lo accolse sorridendo. - Hai visto quanto è aumentata la mia pancia? - disse scostando i lembi dell’asciugamano per mostrare la pelle tesa e luminosa.
- Sei bellissima... - Le mise una mano sul ventre concentrandosi per alcuni istanti. - Tutto a posto - disse poi.
- Lo so, li sento! - Liz gli coprì la mano con la propria, e trattenne il respiro quando incontrò i suoi occhi. Si lasciò sospingere sul letto, incapace di pronunciare una parola, poi lui le si inginocchiò davanti e da quel momento smise di pensare coerentemente.
Mezzanotte era passata da un pezzo quando il corpo di Max si arcuò un’ultima volta e lei gli si accasciò sopra. - Adoro il lunedì... - sussurrò non appena fu in grado di parlare.
- Anch’io... - Ancora ansimante Max la sospinse di lato, le passò una gamba sulle sue e fece scivolare una mano lungo la schiena. - Stanca? - mormorò dopo un poco, dandole un bacio sensuale sul collo.
- Sì. Non potrei muovermi neppure se lo volessi. E ti assicuro che non ne ho alcuna intenzione... - Sorridendo gli circondò la vita con un braccio. - Credo di aver cominciato a fantasticare su di te il giorno stesso in cui mi salvasti al Crashdown, e ogni volta mi dicevo che ero pazza... che fra noi due non sarebbe accaduto mai niente... che tu non pensavi a me in quel modo... Poi, quella volta che mi baciasti nel retro della cucina... - Tacque, vagamente impacciata, e lui rise piano. - Quella volta hai rischiato grosso, sai? - continuò al suo posto. - In ogni caso, ti sbagliavi. Ho cominciato a pensare a te in quel modo fin da quando ho capito la differenza fra ragazzi e ragazze... -
- Davvero? Beh, lo hai saputo nascondere molto bene, devo dire! -
- A quel tempo... - Max sollevò la testa per baciarla sulle labbra, - ero un campione... - la baciò di nuovo nel nascondermi... Non mi vedeva nessuno... - Un altro bacio.
- Finché ti sei fatto vedere da me... - Liz gli infilò una mano tra i capelli e lo baciò a sua volta. - E... sentire... - mormorò con un gemito spezzato mentre ricominciava ad amarla.
- Io e te... insieme... - le sussurrò Max fra un ansito e l’altro, - possiamo smuovere i pianeti... - Iniziò a muoversi sempre più velocemente, respirando il suo respiro, bevendo i suoi lamenti soffocati, premendo contro di lei come a volersi annullare nel suo corpo. - Ti amo... ti amo... ti amo... - Le circondò il volto con entrambe le mani e la baciò con infinita passione.
La ragazza gli si aggrappò alle spalle con tutte le forze, inseguendo il ritmo ed il piacere che solo lui sapeva darle, e continuò a stringerlo anche dopo aver toccato il cielo. Erano ancora uniti, sudati e percorsi dagli ultimi, lunghi brividi, e si addormentarono così.
Quando i primi raggi di sole le sfiorarono il viso Liz si svegliò. Max dormiva ancora, disteso contro il suo fianco, e lei gli carezzò gentilmente il braccio con cui le cingeva il busto. “Non ne ho mai abbastanza di te, amore... E’ cosi bello averti accanto in questo modo... Mi sembra... un sogno...” Si sporse in avanti per baciarlo nella fossetta alla base del collo e rimase a guardarlo finché aprì gli occhi. - Ciao... - sussurrò allora.
Lui le sorrise e senza parlare si girò sulla schiena trascinandola sopra di sé. Giocherellò coi suoi capelli, poi emise un profondo sospiro e prese a baciarla finché Liz dovette scostarsi un attimo per riprendere fiato. Allora Max le mise una mano sulla nuca e l’altra sull’incavo della schiena prendendola con forza e determinazione.
Colta alla sprovvista Liz gemette e s’irrigidì prima di cominciare a muoversi all’unisono con lui. - Sei... sei terribile... - mormorò con una risatina tremante.
- No... - Il giovane la spinse maggiormente contro di sé, gli occhi chiusi ed un’espressione di pura estasi sul viso. - Solo... pazzo di te... -
Dopo, l’abbraccio di Max si fece più tenero, le sue labbra sfiorarono le guance di Liz con una miriade di baci leggeri, ed il battito dei loro cuori, un poco alla volta, si placò.
La ragazza gli accarezzò il petto, a lungo, in modo quasi ipnotico. - Sarà sempre così, fra noi? - chiese piano.
- Io... penso di sì... se lo vorremo... - rispose lui dopo un po’.
- Io lo voglio. E tu? -
Max le infilò le dita fra i capelli. Amava toccarli, sentire il loro calore, il loro profumo. - Più di ogni cosa. - disse in un sussurro.
Liz chiuse per un attimo gli occhi, sentendosi incredibilmente bene. Il corpo di Max era caldo e solido sotto di lei, e con un sorriso gli diede un bacio sul torace. - Ricordi quando mia madre ci sorprese a letto insieme? -
- Sì. E’ stata un’esperienza... terrificante!... -
Lei si mise a ridere divertita. - Già. Ma prima... era stato il paradiso... -
- Lo è anche adesso. E’ qualcosa cui non potrei mai rinunciare, e che difenderò con tutte le mie forze... La vita non avrebbe alcun senso senza di te... -
- Sei incredibilmente romantico, lo sai? - E davanti alla sua espressione perplessa gli scostò con tenerezza i capelli dalla fronte. - Ora capisci perché mi sono innamorata di te? Sei... quasi perfetto! -
- Quasi? - la prese in giro Max.
- Quasi - confermò Liz, prima di dargli un rapido bacio sulle labbra. - E’ ora di alzarci... - disse poi, tirandosi indietro con malinconia.
Max le carezzò fuggevolmente il braccio fino ad intrecciare le loro dita.
- Vieni... - disse ancora lei, tirandolo piano verso di sé.
Più tardi, mentre camminavano verso il centro di ricerche, Max si grattò la nuca, a disagio. - Lou mi ha chiesto di tornare su Antar. -
- Come mai? -
- Ritiene di... di aver portato a termine la sua missione personale. Jason e Shiri sono in grado di cavarsela da soli, ormai, e lui si sente di troppo... -
- Capisco... - Liz si aggiustò la cinghia della borsa sulla spalla. - Partirà con una delle astronavi rimaste? -
Il giovane la guardò di sfuggita. - Preferirei usare i graniliti. E’ meno rischioso -
- Temevo che avresti detto così... - Con un sospiro la ragazza rallentò il passo. - E quando conti di farlo? -
- Quando saremo ad Albuquerque, con l’aiuto di Isabel e di Michael. Andrà tutto bene, vedrai. -
Liz annuì in silenzio. Le dispiaceva perdere Lou. Ormai era diventato parte della famiglia, e sapeva che era sinceramente affezionato ai ragazzi. Anche loro avrebbero sentito la sua mancanza, ne era certa...
Giunti davanti al laboratorio in cui lavorava la ragazza si salutarono con un rapido bacio.
Mentre entrava Liz si accorse dello sguardo assorto di Benson su di sé e si mordicchiò le labbra imbarazzata. Aveva sentito dire che l’uomo viveva separato dalla moglie già da tre anni, mentre Malcolm aveva appena ottenuto la sentenza di divorzio, e temeva che potessero sentirsi a disagio davanti alle manifestazioni di affetto tra lei e Max. Poi alzò decisa la testa. Al diavolo, non aveva alcuna intenzione di salutare Max con un semplice cenno della mano soltanto perché alcuni suoi colleghi non avevano avuto un matrimonio felice!
Nell’ampia sala dove lavorava il team di cui faceva parte Max, invece, erano in corso alcuni esperimenti e solo un paio di persone sollevarono la testa per salutarlo.
Il giovane era molto attento e preciso nel suo lavoro e si era guadagnato subito la stima incondizionata dell’affiatato gruppo di cui era entrato temporaneamente a far parte. Si aggiustò la manica del camice che aveva prelevato dal proprio armadietto, nel piccolo spogliatoio in fondo al corridoio, e si avvicinò al potente microscopio elettronico davanti al quale Ron, il suo supervisore, stava armeggiando con i campioni che dovevano esaminare quel giorno.
- Ah, Max, per favore continua tu! Tieni, prendi il registro, ci sono ancora dei parametri da segnare. Io ho un piccolo problema da risolvere con Lucas... -
- Ok - Max si sedette al posto appena lasciato libero e cominciò a controllare i valori mancanti. Aveva appena terminato di scrivere l’ultimo dato quando colse con la coda dell’occhio un tremolio bluastro. Sollevò la testa interdetto e spalancò gli occhi per la sorpresa. Lasciata cadere la penna che teneva in mano si affrettò ad afferrare il granilite che, inaspettatamente, era apparso galleggiando nell’aria. Mentre si faceva scivolare in tasca l’oggetto ovoidale si piegò a raccogliere la penna, guardandosi intorno per accertarsi che nessuno si fosse accorto di quel che era appena successo. Nel rialzarsi si rese conto che il rilevatore accanto al microscopio aveva tracciato l’improvvisa manifestazione di energia che aveva preceduto l’arrivo del granilite. Trattenendo il fiato depose il registro accanto a sé e passò la mano sul piccolo apparecchio cancellando all’istante i dati anomali. Rimase immobile per un paio di secondi poi volse appena la testa e sospirò di sollievo. I suoi compagni non si erano accorti di nulla. Deglutì nervosamente chiudendo un istante gli occhi prima di recuperare il suo sangue freddo e riprendere il lavoro. Avrebbe voluto correre da Liz e rifugiarsi con lei in un posto sicuro per ascoltare il messaggio registrato nel granilite ma non poteva farlo, non in quel momento. Doveva comportarsi come al solito, senza attirare l’attenzione su di sé, tuttavia quando arrivò l’ora della pausa per il pranzo si diresse senza alcuna esitazione verso il laboratorio dove si trovava la ragazza.
Liz quasi si scontrò con lui nel corridoio. - Ciao! Vieni a pranzo con noi? -
- Veramente io... desideravo stare un po’ da soli... per conto nostro... -
- Oh, certo! Non preoccuparti, Liz, sono sicuro che la compagnia di Max sia decisamente migliore della nostra! - Dean sorrise divertito poi, imitato dai colleghi, affrettò il passo e lasciò indietro i due giovani.
Senza dire nulla Liz si avvicinò al marito, gli passò una mano dietro il collo sollevando il capo fino a posare le labbra sulle sue e lo baciò.
Max si perse nel calore di quelle labbra morbide, ricambiando il bacio con tutto l’amore che provava per lei, le mani che carezzavano avidamente il viso bellissimo e sorridente.
Quando infine si separarono Liz lo fissò con gli occhi luminosi e le sopracciglia alzate in un’espressione interrogativa. - Max!? -
- Ho... bisogno di parlarti. Ti spiace se prendiamo un panino al bar e poi andiamo fuori? -
- No, affatto... - Cominciando a sentirsi preoccupata lasciò che lui la prendesse per mano e lo seguì senza parlare finché si ritrovarono seduti su una panchina, all’ombra di un piccolo folto di alberi del cotone. Mi sembri molto teso - mormorò, del tutto dimentica del piccolo involto che teneva in mano.
Il giovane la guardò con intensità, per un lunghissimo secondo, poi chinò la testa e con la punta delle dita si sfiorò il rigonfiamento all’altezza della tasca anteriore dei comodi pantaloni di tela che indossava. Ho... ricevuto un avviso... -
- Che genere di... avviso? -
- Un messaggio. Da casa - La piccola esitazione prima delle ultime due parole le fece comprendere che si stava riferendo alla sua vera casa. Ad Antar. Tese una mano a coprire la sua, sforzandosi di rimanere calma. - Lo hai già sentito? - gli chiese piano.
Lui scosse lentamente la testa. - No, non ancora. Io... volevo farlo con te. -
- Dovremo aspettare fino al pomeriggio, allora... -
- Già - Max cominciò a scartare il proprio panino. - Vorrei che fosse presente anche Isabel. -
- L’hai chiamata? -
- Non ancora. Pensavo... pensavo che potremmo incontrarci a metà strada... Ma non ad Anthony. Non vorrei che qualcuno si ricordasse di noi... -
- Allora dove? - indagò Liz, dando un piccolo morso al sandwich senza avere in realtà più fame.
- Il paese subito prima di Anthony. Non mi ricordo come si chiami, ma dovrebbe andare bene. Aspetta, le telefono subito... - Estrasse il cellulare dal taschino della camicia e compose il numero della sorella.
Isabel ascoltò sorpresa le sue parole, poi confermò l’appuntamento ed interruppe la comunicazione.

- E’ molto diverso da New York... -
- Tu hai vissuto a New York?!? E come fai a sopravvivere a Roswell? - Isabel si girò un attimo per dare un’occhiata a Morgan, prima di tornare a concentrarsi sulla strada.
- A New York avevo un appartamento su Central Park, dove trascorrevo del tempo ogni tanto, tra una missione e l’altra. Ci andavo per riposarmi, e mi piaceva starci da solo. Semplicemente, ora... preferisco il New Mexico. - L’uomo sorrise e tese un braccio per accarezzarle la coscia.
- Sei molto gentile... -
- A dire il vero... è che sono disposto a vivere in qualsiasi luogo purché tu stia con me. -
- Sì, lo so. Quando... quando siamo scappati dall’area 51 tu hai detto che saresti venuto con noi se avessimo dovuto lasciare la Terra. Non puoi capire cos’abbia provato in quel momento... - Isabel accennò una risatina, mentre una lacrima le brillava fra le lunghe ciglia. - E’ stato come il realizzarsi di un sogno proibito - Lo guardò di nuovo, di sfuggita. - In realtà non credevo che avrei mai trovato qualcuno che mi amasse come Liz ama Max. Totalmente, senza alcun timore per quello che sono... - Gli sfiorò con tenerezza la mano, che lui aveva lasciato sulla sua gamba. - Sono contenta che tu sia venuto con me... -
A quelle parole Morgan sospirò dentro di sé. Avrebbe preferito mille volte trascorrere il pomeriggio guardando Isabel studiare, e poi cenare insieme e andare a letto, ma sapeva che per lei Max veniva prima di ogni cosa. E non solo perché era suo fratello. Per quanto gli riuscisse ancora difficile accettarlo, quel ragazzo era il sovrano di un intero pianeta e aveva obblighi cui non poteva sottrarsi, ed Isabel con lui.
- Ci siamo! - Isabel mise la freccia e si immise nella corsia laterale che le avrebbe permesso di raggiungere l’area di ricreazione scelta come punto d’incontro.
Nel vederli arrivare Liz si alzò dalla panchina e andò sorridendo verso la vettura.
- Ciao, Liz! Ehi, la pancia cresce, vedo! - Isabel chiuse con forza lo sportello dietro di sé e si affrettò ad abbracciare la ragazza. - Tutto bene? -
- Sì, grazie. - Liz ricambiò con affetto la stretta, poi si volse per dare un piccolo bacio sulla mascella perfettamente rasata di Morgan. - Ciao -
Nel frattempo Max li aveva raggiunti e, dopo aver dato una stretta di mano all’uomo, avvolse Isabel in un caldo abbraccio.
- Di che si tratta? - domandò Morgan guardando i due.
- Max ha ricevuto un messaggio da Antar, ma per ascoltarlo ha ritenuto più sicuro che fosse presente anche Isabel. - Liz si mordicchiò le labbra, sovrappensiero. - Potrebbe trattarsi di una trappola... -
- Come?!? -
- Non sarebbe la prima volta. La loro vita non è mai stata facile, e... e hanno dovuto imparare a diffidare di tutto e di tutti... -
- Me ne sono accorto... -
Mentre si dirigevano verso la panchina da cui si era alzata Liz Isabel guardò incuriosita il fratello. - E Michael? -
- Sta controllando la zona. Ho usato l’energia dei graniliti per andare a prenderlo a Roswell, e credo stia ancora smaltendo il senso di fastidio che gli dà essere teletrasportato... -
- Beh, devi ammettere che non è una cosa molto simpatica -
Max scosse con noncuranza una spalla. - Però è veloce. Per andare e tornare ci avrebbe impiegato più di quattro ore, altrimenti. -
La ragazza fece una smorfia. - Questo è vero... Allora, il messaggio? -
- Un attimo di pazienza. Michael dovrebbe essere qui fra poco... -
Si erano appena seduti intorno al tavolo da pic-nic quando il giovane li raggiunse, con la sua solita aria scanzonata. - Ehi, principessina, tutto a posto a Las Cruces? -
- Certo, grande generale! E tu che combini, senza Morgan a tenerti d’occhio? -
Michael sbuffò. - Niente di niente - Guardò Max. - Se vuoi, puoi collegarti subito -
- Ok - Max prese il granilite che si era infilato in tasca e lo fissò concentrandosi. Il simbolo inciso su di esso si accese di un intenso chiarore azzurro prima di sprigionare un raggio luminoso.
Memore di quanto accaduto in passato Michael si mise in allerta e osservò con attenzione il volto dell’amico, colpito in pieno dal fascio di luce.
Morgan se ne stava seduto un po’ in disparte, teso e a disagio davanti a quell’evidente fenomeno alieno, e ogni tanto il suo sguardo si posava su Isabel, in piedi accanto al fratello, una mano poggiata delicatamente sulla sua spalla. All’improvviso ne comprese il motivo, e i suoi occhi si ridussero a due fessure. In quel modo Isabel si teneva in contatto mentale con Max, pronta ad intervenire in caso di necessità. Ancora una volta si domandò come avessero fatto Maria e Liz a sopportare quella incredibile situazione fin da quando avevano appena sedici anni, poi scrollò mentalmente la testa. Già, per amore si poteva diventare capaci di qualsiasi cosa! Anche di abbandonare l’FBI e legare la propria vita ad una ragazzina nata su un altro pianeta...
Il tutto durò solo pochi secondi tuttavia Max sembrava esausto quando distolse lo sguardo dall’oggetto che teneva fra le mani.
- Allora? - chiese Liz con una punta d’ansia posando le dita sottili sul polso del giovane.
Max emise un profondo sospiro. - Era di Rodhya. Una delegazione dei mondi di Karan e Veyland si è presentata al Consiglio di Antar per protestare contro la proditoria uccisione di Volnis. A quanto pare gli ambasciatori non hanno creduto alle parole del Consiglio e hanno chiesto di incontrarsi con me per un confronto diretto. Rodhya ritiene che fossero alleati con Volnis e che vogliano vendicarne la morte. Forse sono stati aizzati da Hornem, ma non ne è del tutto sicuro... -
- E’ pazzesco! - Isabel si scostò bruscamente da lui agitando una mano, infuriata. - Che motivo avresti avuto, secondo loro, per far fuori quel verme? Non ci sei mica tu, al governo di Zoltar! -
- Quelli cercheranno di ammazzarti non appena ti avvicinerai al pianeta - fu il freddo commento di Michael. - Potrebbe anche essere che fossero d’accordo con Volnis quando lui ha attaccato Antar. In questo caso, si tratterebbe solo di portare a termine un lavoro lasciato a metà... -
- Ti riferisci all’eliminazione dell’intera famiglia reale? - borbottò la ragazza a denti stretti.
- Già. E se ci pensi bene, Isabel, questo è quello che il bastardo di Zoltar ha sempre cercato di fare. - Il giovane posò per un attimo lo sguardo su Liz. - Io credo che dovremo stare molto attenti. Quella è gente testarda, pericolosa, e disposta a tutto. Ma sei tu il re, Max. Sta a te decidere -
Max accarezzò sovrappensiero la mano di Liz. - Non voglio fare niente finché non avremo terminato lo stage. Quindi abbiamo tre giorni per pensarci su, dopodiché ci incontreremo venerdì a Roswell. -
- D’accordo - mormorò Isabel.
- Va bene - Michael annuì poi si guardò lentamente intorno. - Andiamocene, adesso. Non vorrei che qualcuno avesse notato la luce e venisse a dare un’occhiata... -
- Hai ragione. A presto, Isabel. Liz, tu torna pure a casa con l’auto. Io riporto prima Michael a Roswell. -
- Oddio, Max, ho ancora lo stomaco sottosopra! - protestò il giovane.
- Coraggio, grande generale, ci metteremo un attimo... - lo prese in giro Max, poi si alzò e richiamò a sé il secondo granilite, che gli porse sorridendo. - Pronto? -
- Ahh!... - Con una smorfia di disgusto Michael strinse l’oggetto con una mano e con l’altra si afferrò saldamente al braccio di Max.

- E’ stato un piacere lavorare con te, Isabel, e sono ancora convinta che le tue potenzialità siano sprecate in una cittadina come Roswell. Comunque... buona fortuna, cara! - Ivy strinse la ragazza in un rapido abbraccio e le sorrise con affetto. - Se dovessi ripensarci chiamami, ok? Io resterò a lavorare qui ancora per sei mesi... -
- Ok - Isabel fece, non vista, una piccola smorfia. “Sì, come no? Ci mancherebbe solo questo!...” Si raddrizzò lentamente, aggiustandosi sulla spalla la cinghia della borsetta.
- In bocca al lupo con gli esami -
- Grazie, sei molto gentile... - La ragazza sorrise, leggermente imbarazzata. Da quando era venuta fuori quella storia non era più riuscita a sentirsi a proprio agio in sua presenza e adesso non vedeva l’ora di andarsene.
Ivy rimase a guardarla allontanarsi, i biondi capelli scintillanti sotto i raggi del sole, poi scosse la testa e si diresse verso la propria auto.
Salita in macchina Isabel prese direttamente la strada per Albuquerque. Quella mattina si era alzata prestissimo per radunare tutte le sue cose poi, prima di andare al campus, era passata all’agenzia immobiliare a riconsegnare le chiavi di casa. Morgan era ripartito all’alba, dopo averla tenuta fra le braccia l’intera notte, accarezzandole i capelli nel tentativo di placare l’angoscia che le aveva impedito di dormire. Avrebbe tanto voluto andare da lui, rifugiarsi contro il suo petto e lasciare che il mondo andasse avanti per conto suo. Ma doveva tornare al college, e poi venerdì si sarebbe rivista con Max e Michael per definire la questione del messaggio. Accidenti, era certa che le cose fossero più complicate di quanto sembrasse. Lo sentiva. Con un sospiro abbassò il finestrino e lasciò che il vento le scompigliasse i capelli. La strada da percorrere era molto lunga ma guidare l’aiutava a rilassarsi così sintonizzò lo stereo sulla sua stazione radio preferita e cominciò a canticchiare.
Quando arrivò ad Albuquerque l’ora di cena era trascorsa da un pezzo ma lei non aveva fame, così andò direttamente al campus e cominciò a vuotare le due piccole valige. Stava appendendo l’ultimo abito quando sentì squillare il cellulare. Prese sorridendo l’apparecchio e premette il pulsante di risposta. - Ciao, Max, come va? - Ascoltò per qualche secondo, mentre si chinava a riporre i bagagli sotto il letto. - Bene, allora ci vediamo venerdì pomeriggio alla caverna! - Interruppe la comunicazione e cominciò a prepararsi per la notte. L’indomani sarebbe andata come prima cosa a controllare il calendario degli esami. Voleva finirli il prima possibile per poter tornare a Roswell, da Morgan. Le mancava da morire, e le mancavano i suoi genitori. Con uno sbuffo si spazzolò vigorosamente i capelli, andò a lavarsi i denti e poi si buttò sul letto. Mordicchiandosi le labbra riprese in mano il cellulare e compose il numero del marito.
L’indomani mattina si alzò molto presto, ancora di buon umore per la lunghissima chiacchierata che aveva fatto con Morgan, e andò a correre nel parco del college. Si sentiva bene, aveva voglia di confrontarsi con gli ultimi esami che doveva ancora sostenere, e aveva deciso di non farsi sconvolgere dalle implicazioni del messaggio di Rodhya. Chiaramente avrebbero dovuto andare tutti quanti insieme su Antar, per cercare di capire cosa volessero davvero i delegati dei pianeti della Confederazione, e ormai sapeva che era del tutto inutile rinviare situazioni del genere, se non addirittura pericoloso. Quella era la sua decisione in merito e lo avrebbe comunicato agli altri il giorno dopo, a Roswell. Ma in quel momento lei era lì, sotto il cielo di un blu intenso, col sole che faceva brillare le foglie degli alberi del cotone, l’aria profumata e deliziosamente tiepida, e le sue lunghe gambe snelle toccavano leggere il terreno. Adorava correre a quell’ora, quando in giro non c’era quasi nessuno. Si concentrò sui suoni della natura intorno a lei e lasciò che la tensione, la paura, la rabbia scivolassero via. Di lì a un mese avrebbe compiuto ventun anni e voleva sentirsi normale, almeno per una volta! Continuò a correre per quasi un’ora poi rallentò il passo fino ad un’andatura normale e fece alcune profonde inspirazioni. Ruotò lentamente la testa sorridendo soddisfatta, poi si fermò di scatto e spalancò gli occhi sorridendo. - Patricia! -
Patricia O’Neal lasciò cadere a terra i libri che teneva in mano e si precipitò ad abbracciare l’amica. - Is! Ciao! Come stai? Quando sei tornata? C’è anche Liz? -
Isabel rise scuotendo la testa. - Sono rientrata ieri sera, mentre Liz e Max arriveranno sabato, credo. Comunque io sto bene, e anche loro. E Jason e Shiri. - Si tolse l’elastico con cui aveva legato i capelli. - E tu? Com’è andata a Denver? -
- Ah, una faticaccia! Però mi è piaciuto molto, è stato davvero interessante... - La ragazza si scostò dal viso una ciocca dei lunghi capelli rossi. - Stai benissimo così, sai? Chissà, magari uno di questi giorni li taglierò anch’io! - Si chinò a riprendere i libri poi la guardò incuriosita. - Comunque, Max è già qui. L’ho visto proprio ieri, in biblioteca, ma non ho fatto in tempo a raggiungerlo. -
- Non era lui. E’ ancora a El Paso, te lo assicuro -
Patricia s’incamminò accanto a lei. - Senti, a me è sembrato proprio lui. Tuo fratello non è un tipo comune, e non credo di essermi sbagliata. Oddio, guarda, eccolo laggiù! Lo vedi? Quello con la maglietta grigia e i jeans! -
L’aliena seguì l’indicazione della ragazza e corrugò la fronte. - Sì, hai ragione, sembra proprio lui... Ma non può essere... - Avanzò perplessa verso il gruppetto fermo all’ombra dell’edificio principale, seguita da
Patricia, per poi fermarsi a qualche metro di distanza. - E’ impossibile... - sussurrò fissando sgomenta il giovane alto e bruno impegnato in un’animata discussione.
- Visto che avevo ragione? - disse Pat facendo un piccolo cenno col capo.
- Non è Max - rispose con voce ferma Isabel. - Però gli somiglia in maniera impressionante. -
Il loro arrivo attirò l’attenzione dello studente, che s’interruppe e si volse ad osservarle. Fu solo questione di un attimo poi riprese a parlare coi suoi compagni, ma Isabel ebbe la sensazione che non gli fosse sfuggito niente di lei. Sentendosi estremamente a disagio indietreggiò di qualche passo mormorando a Patricia che si era fatto tardi e doveva andare a cambiarsi.
- Ci vediamo verso l’una a mensa? -
- Sì, certo. A dopo - Desiderosa di allontanarsi Isabel quasi fuggì via. Percorse poco meno di un centinaio di metri poi s’immobilizzò. Aveva l’impressione che la stessero seguendo, si sentiva osservata. Fece un lento giro su se stessa e trasalì nell’accorgersi della presenza dello studente.
- Ciao. - Il ragazzo era a pochissima distanza da lei e la raggiunse senza lasciarle il tempo di allontanarsi. Non sei una matricola, vero? -
- No - Isabel lo fissò come ipnotizzata. Era così simile a Max... Doveva avere quattro o cinque anni in più, ma per il resto era identico a lui. Chi diamine era? - Non lo sei nemmeno tu - disse con tono fermo, anche se dentro di sé si sentiva tremare.
- Non esattamente, no. Sono qui per la specializzazione. Bioingegneria. - Le prese gentilmente un polso e le scostò il braccio dal corpo. - Sei davvero bellissima! Dove ti eri nascosta? Sono qui da due settimane e non ti avevo ancora vista... -
- Sono tornata ieri sera. Ero fuori per uno stage - Isabel cercò di sottrarsi alla sua presa ma scoprì che era molto forte. - Lasciami - ordinò, avvertendo uno strano calore nel punto in cui lui la teneva.
- Non ancora. Ma non aver paura, non intendo farti del male. - Il giovane sorrise, e lei trattenne il fiato. Santo cielo, era così identico a Max... I suoi caldi occhi nocciola, il suo sorriso tenero, i morbidi capelli scuri intorno al volto delicato e allo stesso tempo virile... Prima che potesse capire cosa stava per succedere si sentì spingere contro il suo corpo. Aprì la bocca per protestare ma poté solo emettere un gemito frustrato quando lui la baciò profondamente, con prepotenza, con passione. Per l’infinitesimo spazio di un secondo credette di essere tra le braccia di Max e fu tentata di cedere, poi pensò a Morgan e si sentì morire. “No!” Provò a divincolarsi ottenendo solo di constatare, suo malgrado, il forte desiderio che lo animava. - Smettila! - esclamò sconvolta, approfittando del momento in cui lui riprendeva fiato.
- Perché? - mormorò il giovane premendola contro i propri fianchi e facendo scivolare una mano sotto i suoi pantaloncini.
- Perché sono sposata - rispose gelida.
Lui la guardò intensamente negli occhi. - Non hai paura. - osservò. Davanti al suo silenzio mosse insinuante la mano e le diede un altro bacio.
Isabel non si sottrasse.
- Come ti chiami? - le chiese con voce sommessa.
- Isabel. Isabel Evans Coltrane - precisò.
- Cole Morrison. Voglio fare l’amore con te. Adesso, subito. Lo senti che effetto mi fai? - La strinse con forza a sé poi, con la mano libera, le sollevò la magliettina intrisa di sudore. - Ora -
- No... - Scosse piano la testa, e sussultò quando lui premette le dita sulla carne morbida. - Ti prego... - disse con un filo di voce, una lacrima che le brillava sulle ciglia.
Cole le posò le labbra sull’incavo del collo e s’inginocchiò lentamente sospingendola sull’erba calda, poi le sfilò i calzoncini e gli slip di seta.
Isabel lasciò che la guardasse, la toccasse, la baciasse, fin quando, desiderosa di averlo, gli slacciò con decisione i jeans e si arcuò contro di lui. Come nel sogno che aveva fatto tanto tempo prima Cole/Max l’amò con forza, facendola impazzire di piacere.
Quando il giovane giacque immobile, sfinito ma soddisfatto, Isabel si ritrasse da lui, mentalmente e fisicamente. Intuendone il motivo Cole le accarezzò una guancia. - Hai fatto l’amore come se fossi qualcun altro, vero? Ma... non tuo marito... -
Isabel impallidì e poi arrossì. - Già - ammise. Fece per prendere i pantaloncini ma lui le fermò la mano. Se vuoi possiamo rifarlo. Puoi approfittare di me... - mormorò sornione.
Lei scrollò la testa. - No, grazie - Si affrettò a rivestirsi, incapace di guardarlo in faccia.
Cole si mise a ridere e, con calma, infilò la maglietta nei calzoni e tirò su la cerniera. - Ah, Vilandra, sei sempre la stessa! Il tuo amore per Zan è la tua rovina! -
Lei lo fissò esterrefatta mentre Cole si riagganciava con indolenza la cintura di cuoio. - Per lui hai fatto le cose più folli, e a quanto sembra le tue abitudini non sono cambiate... -
Isabel lo fronteggiò determinata. - Chi sei? chiese con durezza.
- Cole Morrison, te l’ho già detto. E, come forse avrai già immaginato, il discendente del progenitore di tuo fratello. Sai, mio nonno aveva scritto in un diario l’incredibile esperienza che gli era capitata durante un temporale notturno, mentre era fuori con il bestiame. Mio padre fece molte indagini per capire cosa fosse davvero accaduto, e alla fine ci riuscì. Grazie anche a Meynir, devo dire... - Davanti all’espressione sconcertata della ragazza si infilò le mani in tasca. - Già, Meynir venne catturato dall’FBI quando tu e gli altri non eravate ancora usciti dalle incubatrici... Lui era il compagno di Nasedo, come lo chiamavano gli indiani Mescalero, e mio padre lo trovò mentre vagava dalle parti di Tucumcari, dopo essere riuscito a fuggire dal posto in cui lo avevano rinchiuso. E’ stato lui a raccontarci di Vilandra, Zan, Rath, Ava, e del pianeta Antar. Sapeva che il tempo della vostra nascita era vicino e stava cercando di tornare dove vi aveva lasciato. Purtroppo morì prima di riuscirci, e mio padre si è dannato l’anima nel tentativo di trovarvi. Sapeva che probabilmente eravate a Roswell, ma non c’era modo di capire chi poteste essere. Finché un giorno mi è capitato di vedere Max, e allora ho saputo. Non è stato facile seguirvi, con tutti gli spostamenti che avete fatto in questi anni, ma come vedi la mia pazienza è stata premiata... -
- Quindi non è stato per caso che sei venuto ad Albuquerque? -
- No di certo, mia bellissima Isabel. Vieni, ti accompagno alla tua stanza -
- Non mi toccare! - La ragazza ritirò di scatto la mano, nascondendola infantilmente dietro la schiena. Serrò le mascelle, infuriata con se stessa e con lui. - Perché mi sei venuto dietro? - volle sapere.
- Volevo conoscerti. Nel senso più completo - Spostò il peso sull’altra gamba. - L’ultima volta che ti ho vista è stato un anno fa. Mi hai affascinato subito, devo ammetterlo: sei così bella... Non avrei mai immaginato che sarei riuscito ad ottenere quello che sognavo... -
- Non ti spaventava l’idea di avere a che fare con... con degli alieni? - mormorò secca.
- No. - Cole sogghignò divertito. - Sono cresciuto sapendo di voi, del fatto che il mio DNA, in qualche modo, faceva parte del vostro retaggio, e come si fa ad aver paura di un... fratellastro? -
- Max non è il tuo fratellastro -
- Ma è la persona che tu ami. E lui ama te, anche se non come... vorresti tu... -
- Io amo Morgan. Max... Max era un... - “...sogno proibito” concluse fra sé e sé, sostenendo coraggiosamente l’espressione allusiva del giovane.
- Era? Ah, sì, io potrei essere il suo gemello, e hai fatto l’amore con me... Ti è piaciuto, vero? -
- Come è piaciuto a te. Addio, Cole Morrison. Ti consiglio di non attraversarmi mai più la strada - Senza lasciargli il tempo di ribattere girò sui tacchi e se ne andò.
Soddisfatto di sé Cole la guardò allontanarsi poi tornò indietro.

- Ciao, Isabel! -
- Ciao... - La ragazza lasciò che Michael l’abbracciasse e per un istante si abbandonò contro di lui. Si sentiva male al vedere Max, e l’ormai più che evidente gravidanza di Liz aggravava il suo senso di colpa. A malincuore si sciolse dalla stretta e lanciò un’occhiata a Morgan, in piedi accanto a Maria. Erano tutti presenti, e non aveva senso girare intorno al problema. Mise le braccia conserte e si appoggiò con la schiena alla parete rocciosa. - Io credo che dovremmo andare su Antar e parlare con loro. Vogliono vendicarsi di te, di tutti noi, e non intendo permettergli di distruggerci. Riusciremo a fermarli, Max, ne sono sicura! -
Michael annuì. - Anche io sono del parere che dobbiamo affrontarli. E l’unico modo è recandoci su Antar. Il prima possibile, direi... -
Max si passò una mano fra i capelli. - Lo penso anch’io. Ma Jason e Shiri resteranno qui. Non voglio che corrano pericoli. - Guardò di sfuggita Liz. - E anche tu, Liz. Se pure non fossi incinta, non potrei sopportarlo se ti accadesse qualcosa... -
- Ma io... - cercò di protestare lei, venendo però subito interrotta da Shiri. - Noi veniamo con te, papà. Siamo in grado di aiutarti, ed è ora che cominciamo ad assumerci qualche responsabilità. Fino adesso abbiamo creato solo... guai... - aggiunse timidamente, - ma possiamo davvero darti una mano. -
- No. Resterete qui, con vostra madre. E questo è quanto -
- Papà, ti prego! - insisté Shiri, prima di girarsi verso Jason, che fece un passo avanti. - Tutti insieme saremo ancora più forti. Vogliamo venire con voi. Per favore... -
- No -
- Sia io che Shiri siamo in grado di usare i nostri poteri, e ritengo giusto che la Confederazione sappia che non sei solo! -
- Non lo sono, infatti. Con me verranno Isabel e Michael - Max si stava irrigidendo. Non voleva che i suoi figli rischiassero la vita su un mondo che più volte aveva tentato di eliminarlo, ed era deciso ad impedire loro di seguirli in quel viaggio pieno di incognite.
- Noi veniamo con te. - Jason si affiancò alla sorella. - Non puoi lasciarci qui. E tu lo sai... -
- Intendi dire che vi teletrasportereste sulla nave? - chiese Max come se non volesse credere alle proprie parole.
- Infatti - Il ragazzino sollevò deciso il mento. - Ritengo che sarebbe più semplice per tutti se partissimo con voi. -
Michael s’infilò le mani in tasca. - Comincio a pensarlo anch’io... - borbottò. Poi si guardò con attenzione intorno. - Maria e Liz resteranno qui, con Morgan. E noi... più siamo e meglio è. Su questo non ci sono dubbi -
- Non mettertici pure tu! - lo riprese Max, severo.
- Dai, Max, lo sai quanto me! Jason e Shiri sono molto potenti, e possono farci comodo. Finché non arriveremo su Antar non possiamo sapere come stanno esattamente le cose, e magari non sarà neppure necessario un intervento di forza ... -
Liz avrebbe voluto protestare, dire che anche lei voleva seguirli. Non sopportava di rimanere ancora una volta indietro, senza sapere cosa stesse succedendo alle persone che amava, ma vide la tensione sul bel viso di Max e decise di non insistere. Tuttavia nei suoi occhi si poteva leggere la desolazione, e Maria si affrettò ad abbracciarla, dandole un po’ di conforto. - Noi vi aspetteremo qui, come sempre. Però, per favore... non lasciateci sole troppo a lungo... - La ragazza guardò tristemente Michael, che si mosse a disagio.
Max si morse nervoso le labbra. - Io non voglio che voi due veniate con noi. Non voglio che mettiate a repentaglio la vostra vita - ribadì.
- Sei in minoranza. E temo che stavolta sarai costretto a capitolare - Michael gli diede una pacca amichevole sulla spalla. - Ok, andiamo e cerchiamo di sbrigarla in fretta. Ne ho fin sopra i capelli di tutta la Confederazione! -
- Non me ne parlare... - mormorò Isabel, suscitando un accenno di sorriso in Jason.
Morgan si avvicinò alla moglie e la strinse dolcemente a sé. - Quando contate di partire? - chiese piano.
- Questa notte. I miei hanno organizzato un vero e proprio banchetto. Hanno invitato anche i genitori di Liz e i Valenti. Ci resterebbero molto male se ce ne andassimo prima... -
- Già, posso immaginarlo. - L’uomo le diede un bacio leggero sulla tempia. - Andiamo, ho bisogno di parlarti. - La sospinse verso il cunicolo che portava all’uscita, sentendo i passi degli altri che li seguivano, poi prese il sentiero che si allontanava in direzione del deserto.
Quando furono ad una certa distanza dalla caverna Morgan si fermò e si mise davanti alla ragazza, prendendole il viso fra le mani. - C’è qualcosa che ti tormenta, principessa. Ti prego, parlamene... - Al suo cenno di diniego le sollevò un poco il capo costringendola a guardarlo. - L’ho sentito ieri, quando ti ho telefonato, e da quando sei arrivata a Roswell posso anche vederlo. Isabel, dimmi cosa c’è... - insisté.
- Io... non posso - Isabel lo fissò con occhi colmi di lacrime. - Ti prego, non chiedermelo... -
- Ma ti fa stare male! Parlamene, per favore, e vedrai che dopo ti sembrerà meno importante! -
- Non è possibile, Morgan... - Gli prese le mani con le proprie, cercando di abbassarle, ma lui mantenne la presa e lei crollò. - Mi odierai... - bisbigliò disperata.
- No, non potrei mai. Ti amo troppo per permettermi di allontanarmi da te, credimi... -
- Cambierai idea -
- No - ripeté convinto.
- La cambierai - Isabel lo disse di nuovo, a fior di labbra, poi, con un sospiro rassegnato, raddrizzò le spalle e tirò su col naso. - Ieri mattina ho incontrato un ragazzo, mentre correvo nel parco. Si chiama Cole Morrison, e suo nonno è il progenitore di Max. Ho... ho fatto l’amore con lui. - Vide il volto di Morgan diventare di pietra mentre le sue mani la lasciavano andare, e si sentì morire. - Io... pensavo di aver superato quella fase, ma quando mi ha toccata... E’ stato come essere toccata da lui e... non sono riuscita a trattenermi... Io non amo Max come amo te. E’... è diverso... ma volevo provare, almeno per una volta, la sensazione di... - Sollevò lo sguardo al cielo, le ciglia luccicanti per le lacrime che ormai non riusciva più a trattenere, e dopo un breve silenzio tornò a guardarlo negli occhi. - Dopo, Cole mi ha chiamata col mio vero nome. Sa tutto di noi, anche quello che provo per mio fratello... Io... non so che intenzioni abbia. Non me lo ha detto, e io non gliel’ho chiesto. A quel punto volevo... volevo solamente andarmene... Mi sono quasi strappata la pelle di dosso a furia di strofinarmi sotto la doccia, ma quei ricordi sono sempre nella mia testa... E Max lo scoprirà. Verrà a saperlo nel momento stesso in cui mi toccherà - Deglutì a fatica. Perdonami... -
L’uomo rimase a lungo immobile, sconvolto. Quando l’aveva incontrata per la prima volta aveva avuto la sensazione che stesse fuggendo da qualcuno, ma non avrebbe mai immaginato che potesse trattarsi di suo fratello... Poteva accettarlo? Poteva davvero, in tutta onestà, convivere con una cosa del genere? Eppure, aveva già provato a stare senza di lei, e non ce l’aveva fatta. Gli era entrata nel sangue, era come una droga. Ne aveva bisogno come dell’aria che respirava, e sapeva che quel bisogno era reciproco. Lentamente, facendo forza su se stesso, sollevò di nuovo le mani e le posò sulle sue tempie.
Comprendendo cosa volesse Isabel fece il vuoto nella sua mente e lasciò che guardasse dentro di lei.
Morgan socchiuse gli occhi per concentrarsi su quello che stava percependo, e alla fine chinò la fronte contro la sua. Aveva visto il suo amore per lui, la passione quasi dolorosa che provava nei suoi confronti, e intuì che quel rapporto fugace con qualcuno tanto somigliante a Max era servito solamente a placare un desiderio nato da un’infanzia e un’adolescenza troppo difficili da capire per chi non era vissuto nella terribile consapevolezza di essere diverso e, per questo, in continuo pericolo di vita. In quel modo Isabel si era liberata di un’ossessione che doveva averla tormentata per anni, e lui non poteva che esserne felice. Adesso Isabel era tutta sua. Lo aveva letto nel modo in cui si era visto nella sua mente, e, come aveva detto lei stessa, non c’era possibilità d’inganno. Isabel lo amava davvero. Si chinò un poco per sfiorarle le labbra con le proprie. - Diglielo. Ha il diritto di saperlo, e di sapere che c’è qualcuno che conosce il vostro segreto. Capirà, perché anche lui ti vuole bene... -
Per un istante Isabel lo fissò come se non avesse capito, poi gli circondò il collo con entrambe le braccia e lo baciò con infinita tenerezza, senza accorgersi delle gocce tiepide che le scendevano lungo le guance.
Di lì a un paio di ore si ritrovarono tutti quanti seduti intorno alla tavola imbandita preparata da Diane Evans. La donna era evidentemente felice di avere intorno i figli e i nipoti, aveva sempre desiderato quella simpatica confusione, e suo marito Phillip guardava da lei ai ragazzi con un sorriso bonario sulle labbra. Perfino i Parker sembravano a loro agio in presenza di Max, ed Amy, ormai superato lo choc della scoperta della vera identità di Michael e dei suoi amici, chiacchierava tranquilla con tutti quanti.
Mentre Jim Valenti raccontava un divertente aneddoto Shiri si volse di scatto verso Isabel, poi guardò il fratello e si rese conto che anche lui stava fissando la zia. Sentendosi osservato, il ragazzino distolse l’attenzione dalla giovane donna e cercò gli occhi di Shiri poi, insieme, tornarono a studiare Isabel, e Liz, cui non era sfuggita tutta quella manovra, si lasciò andare esasperata contro lo schienale. - Jason? - chiamò piano.
- Sì, mamma? - La voce di Jason risuonò altrettanto bassa ma distratta, come se lui stesse pensando ad altro.
- Se tu e Shiri avete qualcosa di urgente da dire ad Isabel fareste meglio a chiederle di seguirvi in camera vostra. -
Preso in contropiede Jason scosse una spalla. - La zia è molto nervosa, tutto qui. Possiamo parlarle dopo cena... -
- D’accordo. Allora smettetela di fissarla: non è per niente educato, sapete? -
- Ok - Imbarazzato, il ragazzino lanciò un’ultima occhiata alla sorella poi riprese a mangiare come se niente fosse accaduto.
Ma ad Isabel non era sfuggita la breve conversazione fra lui e Liz, e d’improvviso realizzò che i nipoti dovevano aver avvertito la sua ansia. Si mordicchiò nervosamente le labbra. Nello scegliere il posto a tavola aveva fatto in modo di stare il più lontano possibile da Max, per evitare che lui potesse anche solo involontariamente sfiorarla, e Morgan, seduto accanto a lei, le teneva di continuo la mano sulla sua, come a volerla rassicurare. Aveva però dimenticato la grande sensibilità dei due ragazzi, e decise che non poteva rimandare il colloquio con suo fratello. Quella faccenda andava risolta prima che Jason e Shiri scoprissero il motivo del suo malessere, e nel frattempo doveva controllare meglio le proprie emozioni. Con un sospiro si portò alle labbra il bicchiere colmo d’acqua e bevve un lungo sorso, poi prese una bottiglia di salsa Tabasco e ne versò gran parte del contenuto sul tortino di carote e spinaci che aveva nel piatto.
Dopo cena, mentre Liz e Maria servivano il caffé, la ragazza si avvicinò a Max e gli fece cenno di andare con lei nel giardino sul retro. Quando si furono seduti in un punto tranquillo, sufficientemente isolato dalla casa in modo che nessuno potesse ascoltarli, Isabel si strinse le ginocchia al petto e cominciò a parlare, lo sguardo fisso davanti a sé. Spiegò quello che era successo il giorno prima, così come lo aveva raccontato a Morgan, poi ripeté esattamente ciò che Cole le aveva detto riguardo Meynir, e alla fine tacque, esausta e tremante.
Max la guardò senza sapere cosa dire, addolorato per lei, infine si curvò un poco in avanti e se la strinse dolcemente al petto. - E’ tutto finito, Isabel... Ormai ne sei fuori... - Le accarezzò piano i capelli, cercando di calmarla, la mente in subbuglio al pensiero di quello che doveva aver provato trovandosi davanti qualcuno identico a lui. Già una volta era successo, quando un mutaforma aveva assunto le sue sembianze per uccidere Liz, ma in quell’occasione Isabel aveva reagito d’istinto per salvare l’amica, mentre in questo caso Morrison le aveva offerto quanto lei, più o meno inconsciamente, aveva sempre desiderato. Doveva essere stato spaventoso, una vera e propria tentazione diabolica, e quel ragazzo aveva giocato con freddo calcolo coi suoi sentimenti. Cole Morrison doveva avere qualcosa in mente, qualcosa di spiacevole, o non si sarebbe comportato in quel modo, ne era più che certo! Ed era il discendente del suo progenitore. Maledizione, come potevano partire in quel momento, con una persona che sapeva tutto di loro e di cui non avevano alcun controllo? Eppure non era possibile rinviare il confronto con Karan e Veyland... Forse doveva chiedere a Michael di restare sulla Terra...
In quel momento Isabel si agitò un poco per liberarsi dal suo abbraccio. - Avrebbe potuto vederci chiunque... Io... ho commesso una vera pazzia... - mormorò quasi tra sé, pianissimo, poi sollevò implorante lo sguardo su di lui. - Max... potresti... potresti verificare se... sono rimasta incinta? -
A quelle parole il giovane emise un profondo sospiro. “Oh no, Isabel... Non ora... non con lui...” Senza dire nulla le mise una mano sul ventre e si concentrò per un istante, poi la riabbassò, sollevato. - No. Isabel... ora non devi pensarci più... Forse... forse doveva accadere, prima o poi, perché tu fossi veramente libera... Mi dispiace essere stato la causa di tanto dolore... -
Isabel abbozzò un sorriso triste. - Tu non ne hai alcuna colpa... E, come hai detto, adesso sono libera... - Si passò una mano fra i capelli, preoccupata. - Quando avremo finito con Antar dovremo occuparci di lui. Cole Morrison potrebbe crearci dei grossi problemi... -
- Sì, lo so. Stavo pensando di parlare con Michael... -
- Non accetterà mai di rimanere qui. Forse Lou... -
- No. Questo viaggio è l’occasione ideale per riportarlo a casa, e non voglio farlo sentire obbligato a restare. Però sarebbe meglio se Liz si trattenesse a Roswell. Non mi va l’idea che lo incontri da sola... Potrebbe... potrebbe prendersela con lei... -
- Sì, è un’ottima idea. Sempre ammesso che tu riesca a convincerla... -
Max sorrise suo malgrado, poi si alzò in piedi e le porse una mano per aiutarla a fare altrettanto. Torniamo dentro, adesso. -
Bene o male riuscirono a mantenere una parvenza di normalità fin quando, verso le undici, i Parker ed i Valenti si congedarono dai loro ospiti. Allora Isabel, con una certa esitazione, si schiarì la gola e rivelò ai genitori, a Liz e a Michael l’esistenza di Cole Morrison.
La fissarono tutti sgomenti. Per Diane e Phillip fu sconvolgente realizzare veramente come fosse stato possibile dare la vita a Max ed Isabel, mentre Liz e Michael pensarono subito al rischio che Morrison rappresentava per tutti loro.
Lou Krentz capì solo che un nuovo pericolo si era profilato all’orizzonte, ma prima ancora che potesse offrirsi di continuare a proteggere Liz mentre gli altri partivano per Antar Max mise una mano sulla spalla della moglie. - Morrison è interessato a noi, quindi non dovrebbe fare nulla finché torneremo ad Albuquerque. Liz, - Strinse leggermente le dita e la ragazza lo guardò con fare interrogativo. - vorrei che tu stessi qui, con i miei genitori. Mi sentirei più tranquillo... -
Liz scosse piano la testa. - Non puoi chiedermi di restare a Roswell, senza niente da fare se non pensare a quello che potrebbe succedervi... Andrò comunque al college, ma starò molto attenta, te lo prometto... -
Il giovane la guardò intensamente negli occhi. Odiava l’idea di separarsi da lei, avrebbe preferito mille volte portarla con sé, però doveva pensare ai due bambini che aveva in grembo. Sapeva che anche per Liz era molto doloroso stargli lontano, e non volle insistere oltre. Quasi senza rendersene conto le infilò le mani fra i capelli. - Ti amo, Liz, e ho fiducia in te. Ma... ti prego... non esitare a rivolgerti a mio padre, o a Morgan o allo sceriffo... -
- Stai tranquillo... - Gli sorrise con dolcezza, e le sue labbra incontrarono quelle di lui.
Shiri distolse lo sguardo dai genitori e chiuse per un attimo gli occhi. Chissà come stavano Bren e Lhara... Bren le mancava terribilmente e sperò di riuscire ad incontrarlo presto.
Michael era molto nervoso, non gli piaceva affatto l’idea di un perfetto sconosciuto al corrente di ogni cosa che li riguardava, e non condivideva la convinzione di Max che Liz, e Maria, fossero al sicuro. Serrò i pugni, frustrato, e trasalì quando Maria infilò un braccio sotto il suo. - Sta’ calmo, vedrai che andrà tutto bene! -
- Lo spero davvero... -
Lei si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio sulla guancia. - Coraggio, grande generale, va’ e torna vincitore! Dopodiché potrai affrontare quel piccolo terrestre... -
Lui sbuffò poi la strinse in un rapido abbraccio. - Fai la brava bambina, mi raccomando! -
- Contaci - Maria gli sorrise intenerita, poi passò a salutare Jason e Shir. - Abbiate cura di voi e, soprattutto, di quei tre scapestrati... -
I ragazzini la ricambiarono con affetto dopodiché salutarono i nonni ed uscirono insieme agli altri.
Raggiunsero la caverna con il fuoristrada di Max e la jeep di Michael, e Liz, Maria e Morgan rimasero a distanza di sicurezza a guardare l’astronave. Quando il velivolo scomparve nell’oscurità del cielo Liz si posò una mano sullo stomaco. - Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo... - mormorò sconfortata.
Maria le accarezzò il braccio con fare rassicurante. - Stavolta sei sposata con lui, e questa non è la tua prima gravidanza. Andrà tutto bene, vedrai! -
- Certo. Certo che andrà tutto bene. Non può essere altrimenti... - Liz si asciugò con la punta delle dita una lacrima importuna e si sforzò di sorridere. - Ora possiamo tornare a casa. -
- Sei sempre dell’idea di partire domattina per Albuquerque? - si informò Maria.
- Sì. Se non faccio qualcosa impazzisco! - Con fare deciso la ragazza si avvicinò a Morgan. - Buona notte - gli disse abbracciandolo brevemente, poi salì a bordo del fuoristrada e ripartì sgommando.
- E’ dura, per lei, stare lontano da Max... E’ sempre stato così... - commentò Maria scuotendo la testa.
L’uomo ripensò per un istante allo splendido volto di Isabel, circondato dai lisci capelli biondi, e strinse le mascelle. - La capisco... - mormorò, poi la seguì sulla jeep. - Vuoi che guidi io? - si offrì.
- No, ti ringrazio. Anche io ho bisogno di distrarmi... - ammise passandosi velocemente la mano su una guancia, ma il chiarore della luna piena rivelò il luccichìo sulla sua pelle vellutata.

- Ciao! Ehi, sei di nuovo in dolce attesa! Congratulazioni! -
- Ciao, Tony! - Liz sorrise contenta nel rivedere l’amico. - Com’è andato il tuo stage? -
Il ragazzo si strinse nelle spalle. - Dopo due settimane c’è stato un incidente, così hanno deciso di allontanare noi studenti, per prudenza, e ci hanno mandato presso una succursale, a Dallas. E da lì ci hanno rispedito a casa dopo un mese... -
- Mi spiace. E Patricia? -
- Anche lei è tornata qualche giorno prima del previsto, ma è stato solo un caso. Tu? -
- Oh, è stato molto interessante. - Liz riuscì a malapena a trattenersi dal ridere. Interessante... Il suo capo era in realtà un mutaforma, che l’aveva rapita e portata su Zoltar. Ma a parte quello, era davvero stata un’esperienza positiva... - Come vanno le cose con Patricia? -
- Non ne parliamo, ti prego! -
- Cosa vuoi dire? - si preoccupò la ragazza.
Tony aprì la porta della mensa e attese che lei fosse passata prima di risponderle. - Ha deciso che la nostra storia non ha un futuro e mi ha educatamente scaricato. -
- Ed è così? - Liz prese un vassoio e glielo porse. - Intendo, davvero era una storia senza futuro? -
- Non lo so. Sì, forse. Cioè... Negli ultimi tempi le cose andavano un po’ a rilento... insomma... non so, non c’era più quella forza... quell’intensità... Pensavo che fosse un problema mio, ma poi... poi, la settimana scorsa siamo andati al cinema insieme e dopo... abbiamo parlato, e alla fine... niente... Ci siamo salutati con un abbraccio, e questo è stato tutto... -
- Forse si tratta solo di un brutto momento... - cercò di consolarlo lei, ma Tony sorrise con amarezza. No, era già nell’aria quando siamo andati a Santa Fe. Io... mi sentivo quasi impacciato, a volte. Non riuscivo a capire di cosa si trattasse, finché l’altro giorno... Evidentemente doveva andare così... - Prese una confezione di posate di plastica. - Mi piacerebbe avere la stessa fortuna di Max. Voi due siete perfetti, insieme... -
Liz scoppiò a ridere. - Ah, ti ringrazio! Ma non è stato facile, sai? Comunque, non disperare: vedrai che prima o poi incontrerai la ragazza giusta per te! -
- Mi auguro che anche Patricia trovi qualcuno di adatto a lei. E’ una persona meravigliosa. Merita di essere felice... -
- E lo sarà, vedrai! - Prese un paio di tovaglioli di carta e glieli mise sul vassoio. - Tieni, e adesso fammi vedere cosa c’è da mangiare: questi due piccoli sono molto esigenti, sai? Dolce, e piccante. Ma leggero, altrimenti non ce la faccio a digerire... -
- Sono due?!? Va tutto bene? -
- Sì, adesso sì. Fino a qualche giorno fa mi sentivo sfinita dalla stanchezza solo per aver apparecchiato in tavola ma ora è passato, grazie al cielo! - Tese un braccio per afferrare il piatto fumante che le stavano porgendo poi prese una bustina di salsa Tabasco. - Non avrei mai creduto che un giorno l’avrei usata per condire la pasta... - borbottò.
- E’ buona, anche se un po’ troppo forte per i miei gusti. - commentò Tony.
- Già - Liz si servì di una porzione di verdure miste e poi prese una fetta di dolce alla crema. - Ma ora basta, o finirò col diventare una piccola botte! -
- Non è possibile. Hai un corpo assolutamente perfetto, anche adesso che ti è cresciuta la pancia!... -
- Grazie! - La ragazza gli sorrise sollevando le sopracciglia, sorpresa per la sua galanteria.
Mentre mangiavano Liz spiegò che Max era rimasto a Roswell con Isabel per aiutare il padre per un lavoro e Jason e Shiri avevano voluto trascorrere un po’ di tempo coi nonni. - Ma ho saputo che c’è un nuovo studente, mi pare si chiami Morrison, Cole Morrison, che somiglia a Max come una goccia d’acqua. Tu hai avuto occasione di vederlo, per caso? -
- No, veramente no. Dici che è identico a lui? -
- Pare di sì. Però, ad essere sinceri, non è che muoia dalla voglia di conoscerlo. Sai, il fatto che sia così simile a Max mi mette un po’ a disagio... -
- Pensi che potresti sentirti attratta da lui? - indagò incuriosito il giovane.
- Oh no, Max è speciale e non c’è la minima possibilità che mi interessi qualcun altro, però... non lo so, mi sentirei... strana... Forse perché mi ricorderebbe il periodo in cui Max aveva perso la memoria e... No, non voglio incontrarlo - terminò con decisione.
- Già, capisco... Bene, allora... ai gemelli Evans! - esclamò Tony sollevando la bottiglia di succo di frutta in un brindisi scherzoso.
- Ai gemelli Evans - ripeté Liz, facendo cin cin con la propria bottiglia di acqua minerale.
- Avete già pensato ai nomi? -
- Sì. Ethan e Claudia. Non è stato semplice, ma alla fine abbiamo raggiunto un accordo. -
- Con Max? -
- No, con loro. - Liz si batté piano sulla pancia. - Dovevi sentire come hanno scalciato, quando gli abbiamo fatto sentire questi nomi... -
- Oh!... - Tony sorrise divertito, poi si fece serio. - Sta arrivando Patricia - disse con voce piatta.
- Dai, Tony, non fare quella faccia! Siete sempre amici, no? E poi, finché studiate entrambi qui, vi incontrerete un’infinità di volte, quindi cerca di abituarti, ok? - Avuto un piccolo cenno di assenso in risposta alzò il braccio e fece segno alla ragazza, che si affrettò a raggiungerli. - Ehi, ciao, Liz! Sono davvero contenta di rivederti! - Si chinò a baciarla sulla guancia, poi sorrise a Tony. - Ciao, Tony, tutto ok? -
- Sì, grazie - Tony la guardò con espressione indecifrabile, ma Liz poté avvertire la sua sofferenza. Sapeva cosa stava provando, era capitato anche a lei quando Max aveva avuto l’incidente durante la partita di basket, tuttavia c’era poco che potesse fare se non imparare a convivere con quella situazione, aspettando che prima o poi il dolore si attenuasse. Ma anche Patricia sembrava imbarazzata. Forse quei due non erano destinati a stare insieme, però c’era stato amore, fra di loro, e adesso dovevano imparare ad andare avanti da soli. Era molto duro, lo sapeva benissimo, però ce l’avrebbero fatta. Era nella natura delle cose. Il mondo non si fermava soltanto perché la loro storia era finita, e purtroppo lo si imparava sempre nella maniera più dura...
- Ho visto Isabel, un paio di giorni fa, ma da allora non l’ho più incontrata. Che corsi frequenta? - domandò Patricia, per rompere il silenzio.
- Non lo so, con esattezza, però adesso è a Roswell, con Max. Dovevano dare una mano al padre, e così staranno via per un po’. Con loro ci sono anche Jason e Shiri. -
- E sei qui tutta sola? Perché non sei rimasta a Roswell pure tu? -
- Io... ho preferito venire qui per avvantaggiarmi con gli esami. Sai, quando i due piccoli nasceranno avrò molte cose da fare, e... Ecco, ho ritenuto più opportuno approfittare di queste ultime settimane di libertà...
- Credo di capire cosa intendi! - Pat rise divertita. - Non sarà facile gestire due neonati contemporaneamente! -
- No, infatti. - Liz rise a sua volta, sforzandosi di non pensare a come sarebbe diventata la sua vita di lì a breve.
Quando ebbero finito di mangiare uscirono insieme dalla mensa e Tony le salutò per dirigersi verso la biblioteca.
Rimaste sole Patricia si grattò pensosamente una tempia. - Tony non l’ha presa molto bene... - cominciò. Ma davvero, Liz, ad un certo punto ho capito che volevo qualcosa di più... più profondo, sconvolgente... Con lui mi sentivo bene, sicura, ma... ho scoperto di volere altro, dalla vita. Puoi capirmi, Liz? -
La ragazza annuì. Un gesto lento, colmo di dolce mestizia. - Sì, certo... Anche per me è stato così... Quando ho conosciuto Max mi sono resa conto che con lui mi sentivo davvero viva... - Fece una piccola smorfia agitando sorridente una mano. - A quel punto ho deciso che valeva la pena di stravolgere tutto il mio piccolo mondo ben organizzato pur di stargli vicino... E... so di aver fatto la scelta giusta. -
- Sì, si vede. - Pat sorrise a sua volta. - Spero di avere la tua stessa fortuna, ed il tuo coraggio -
- E sarà così, quando incontrerai la persona adatta a te. Credimi... -
- Peccato che non vada in giro con un bel cartello appeso al collo: “Eccomi, sono qui!” -
- Hai ragione... Anzi, a volte è molto ben mimetizzata... -
- Ok, non voglio pensarci, adesso, altrimenti mi deprimo e non riesco a concentrarmi sullo studio! Quanti corsi ti mancano per finire? -
- Tre. Ma conto di sostenere un esame già la settimana prossima, anche se sarà dura senza aver avuto la possibilità di frequentare. -
- Cosa farai, dopo la laurea? -
- Tornerò a Roswell, con Max. Lì ci sono le nostre famiglie, il marito di Isabel, e Maria e Michael, che sono come dei fratelli, per noi... Non è una grande città, e forse non offre molte prospettive di lavoro, però è dove siamo cresciuti e dove ci sentiamo davvero a casa. Spero che verrai a trovarci, un giorno... -
- Sicuro! Sai, non ci sono mai stata però è un posto che mi ha sempre incuriosita, con tutte quelle storie sugli alieni... - Patricia la guardò divertita. - Dimmi la verità: ci sono davvero? Gli alieni, intendo... -
Liz scrollò il capo. - Oddio, no, certo! Ma c’è un’infinità di locali a tema, a cominciare da quello dei miei genitori, il Crashdown Café, e puoi trovare tutti i souvenirs più assurdi che desideri! -
- Dev’essere un posto divertente -
- Se vuoi metterla così... -
- E... quando viene Max? -
- Non lo so con esattezza. Forse... fra una decina di giorni, oppure... di più... -
Vedendo che l’argomento aveva rattristato l’amica Patricia le passò un braccio intorno alle spalle. - Dai, puoi sempre telefonargli, no? -
Liz si morse nervosa le labbra. - Sì, certo... - mormorò, ma la luce nei suoi occhi si era offuscata. Scusami, io... devo andare a studiare. Ciao. -
- Ciao... - Patricia la guardò allontanarsi, perplessa, poi consultò l’orologio e sospirò. “Accidenti, se non mi sbrigo faccio tardi alla lezione!”
Nei giorni che seguirono le due ragazze trascorsero insieme buona parte del tempo libero studiando a casa di Liz finché giunse una telefonata da Amy. La donna era agitatissima e pregò Liz di andare subito a Roswell perché Maria stava molto male e continuava a chiedere di lei.
Non sapendo cosa pensare la giovane, che aveva appena terminato la prova d’esame, si strinse preoccupata i libri al petto poi si affrettò a tornare a casa. Mise un ricambio d’abiti in uno zaino, chiamò Patricia per avvertirla che sarebbe stata via alcuni giorni, dopodiché afferrò le chiavi del fuoristrada e se ne andò.
Si sforzò di restare calma mentre guidava ma le sue dita tamburellavano senza sosta sullo sterzo. Sperava sinceramente che si trattasse solo di un’esagerazione da parte di Amy, tuttavia non vedeva l’ora di verificare da sé e sospirò sollevata quando, finalmente, giunse a Roswell. Parcheggiò davanti alla casa dove abitava Maria e suonò con forza il campanello.
Le aprì Amy, pallida e con gli occhi gonfi. - Oh, Liz, grazie al cielo sei qui! Vieni, ti prego! - La prese per mano e quasi la trascinò nella camera da letto dove, sepolta sotto un cumulo di coperte e col viso madido di sudore, giaceva Maria.
La ragazza, nonostante la gradevole temperatura di fine estate, tremava per il freddo e respirava a fatica.
Liz si precipitò al suo fianco, sconvolta, e le sfiorò gentilmente la fronte. - Maria, che cosa ti è successo? - chiese prossima alle lacrime.
Maria batté un paio di volte le palpebre poi riuscì a mettere a fuoco l’immagine dell’amica. - Liz... Oddio, Liz, mi sento così male... - Tentò di umettarsi le labbra riarse e Liz si affrettò a prendere il bicchiere pieno d’acqua che stava sul comodino. Le sollevò un poco la testa e l’aiutò a bere qualche goccia di liquido, poi Maria si abbandonò all’indietro, sfinita. - Una... una settimana fa mi sono comparse... delle macchioline... di luce, Liz... e... ho pensato di... essere incinta... - Accennò un sorriso, e una goccia di sangue le apparve all’angolo della bocca. - Poi... - con un sospiro chiuse gli occhi. - ho cominciato a sentirmi... debole... Mi faceva male dappertutto... e avevo tanto freddo... e poi caldo... E faccio... degli strani sogni... Ti ricordi quando... quando Michael...? - S’interruppe, troppo stanca per continuare, ma Liz aveva capito. Sì, rammentava benissimo il giorno in cui Michael, in preda al delirio, aveva perso conoscenza ed era finito avvolto in un bozzolo che solo le pietre di River Dog erano riuscite a distruggere. Però Maria non aveva sangue alieno, e non si era certo sottoposta ad una cerimonia indiana, quindi come mai...? Poi, di punto in bianco, capì. Certo, Maria non aveva sangue alieno, ma era incinta e forse... quella era la reazione scatenata dalla presenza in lei di un organismo non umano! Se davvero le cose stavano così cosa poteva fare, lei? Ci sarebbe voluto l’intervento di Max, o di Shiri, ma loro si trovavano in un’altra galassia e non c’era modo di avvertirli... Con delicatezza riadagiò la testa di Maria sul cuscino e rimase a guardarla con gli occhi colmi di lacrime per un tempo infinito poi, piano piano, tirò via le coperte fino a scoprirle il corpo. Le sollevò allora il bordo della camicia da notte e vide che, in effetti, il suo basso ventre brillava di mille puntini luminosi. Sorrise con malinconia. - Sì, Maria, aspetti un bambino... - bisbigliò con voce incrinata, e questo ti sta... uccidendo... - aggiunse in un soffio. Non credeva che l’avesse sentita, ma l’attenzione della ragazza era concentrata su di lei e quelle parole appena mormorate le aveva udite perfettamente. Liz... puoi... puoi aiutarmi? - disse in un soffio.
- Io... non lo so! - In preda alla disperazione Liz la ricoprì con gesti affettuosi, una coperta dopo l’altra, finché di Maria fu visibile solo il viso cereo.
- Per favore... -
Liz sentì alle sue spalle un singhiozzo soffocato. Si volse di scatto e vide Amy, che si torceva disperata le mani. - Amy, io... -
- Non c’è proprio niente che tu possa fare? Ti prego!... -
La giovane si passò le mani tremanti fra i capelli. - Non ne ho idea... - confessò piangendo. Chiuse gli occhi cercando di riflettere, poi si rialzò in piedi. - Forse... potremmo provare con una trasfusione... Nel mio sangue ci sono cellule aliene, e sono incinta. Se non funziona... - Scosse la testa, non sapendo che altro dire, poi sorrise stancamente ad Amy. - Devi farlo tu. Non possiamo andare in ospedale... -
- No, certo, è chiaro... - Amy si asciugò le guance col palmo delle mani. - Vado a comprare il necessario. Torno fra poco - Corse via, piena di speranza, dopo averle lanciato uno sguardo grato.
Più tardi, sotto gli occhi attenti di Jim, che era arrivato pochi minuti dopo la moglie, Liz osservò il suo sangue rosso e denso fluire nella siringa per poi essere iniettato nelle fragili vene di Maria.
Terminata l’operazione rimasero tutti e tre a studiare con ansia la ragazza, quasi rantolante.
- Potrebbe volerci un po’ di tempo... - mormorò lo sceriffo, cercando di tranquillizzarle.
Liz prese nella sua una mano di Maria. - Ce la deve fare. Non saprei proprio cos’altro tentare... E non sono nemmeno sicura che questo non la faccia stare peggio... -
- Perché tu non hai avuto questa reazione, quando sei rimasta incinta la prima volta? - le chiese Amy, perplessa.
Lei sospirò impacciata. - L’essere stata guarita da Max ha provocato dei... dei cambiamenti, in me... Il mio sangue non è più completamente... umano, e si modifica ad ogni gravidanza... Ma c’è un aspetto positivo: non mi ammalo da quando avevo sedici anni! - terminò con un accenno di sorriso.
Amy scosse la testa, borbottando qualcosa all’indirizzo di Michael, poi andò in cucina a preparare una tisana rinvigorente per la figlia.
Rimasti soli Jim si avvicinò a Liz e le strinse comprensivo una spalla. - Starà meglio, ne sono certo. Ma davvero aspetta un bambino? -
- Sì. Quando... quando il piccolo comincia a formarsi appaiono dei punti di luce sulla pelle, ed è questo che ha fatto capire a Maria di... - Deglutì con forza, cercando di non crollare. - Spero di non essermi sbagliata... Maria sta troppo male... non può resistere fino al ritorno di Max... -
- Sarai stremata, hai guidato da Albuquerque fin qui ed Amy ti ha prelevato una montagna di sangue. Va’ a casa e riposati: ti chiameremo non appena ci sarà qualcosa di nuovo, te lo prometto! -
Sia pure di malavoglia Liz dovette convenire con lui. - Sarò dagli Evans. - mormorò, poi si chinò a deporre un bacio sulla guancia pallida dell’amica e se ne andò.
Diane l’accolse con grande affetto e ascoltò attenta il suo racconto. - Oh, santo cielo, mi spiace moltissimo! Maria è una così cara ragazza! Spero davvero che vada tutto bene... -
- Anche io... -
La donna la guardò intenerita. - Ma adesso vai a dormire un po’, d’accordo? Hai l’aria disfatta, e Max non ne sarebbe affatto contento! Avanti, sali in camera e cerca di stare tranquilla -
- Ok - Troppo stanca per protestare Liz si avviò su per le scale, completamente dimentica dello zainetto lasciato accanto alla porta d’ingresso.
Era quasi l’ora di cena quando Diane l’andò a svegliare. - Liz... Liz, c’è una telefonata per te. E’ Amy... - le disse toccandole piano una spalla.
La ragazza si mise a sedere di scatto. Si sentiva più stanca di quando si era coricata ma si affrettò a seguirla al piano sottostante. - Amy? - mormorò ansiosa nel ricevitore.
“- Liz! Oh, Liz, Maria ha smesso di rantolare e la febbre è calata un poco! Ti ringrazio, tesoro, ti ringrazio con tutto il cuore! Se non fosse stato per te... -” Si mise a piangere, e Liz dovette faticare per trattenere a sua volta le lacrime. - Vengo subito lì - disse decisa, poi riattaccò e sorrise a Diane. - Maria sta meglio. Io... io torno da lei. Ci vediamo più tardi... -
- D’accordo, cara. Ti lascerò qualcosa da mangiare in caldo nel forno, ok? -
Lei annuì con gratitudine dopodiché uscì per andare dall’amica.
In effetti Maria aveva un aspetto più sano, per quanto il suo corpo fosse ancora scosso ogni tanto da lunghi brividi. Quando sentì la voce di Liz aprì gli occhi e il volto le s’illuminò. - Ciao... - bisbigliò.
- Ciao! - Liz le sedette accanto e le accarezzò i capelli. - Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai? -
- Giuro che non l’ho fatto apposta... - Fece un profondo respiro, quasi assetata di aria. - Sarà una bellissima sorpresa, per Michael... Lui... non ne ha mai parlato... ma sono sicura che sarà felice di sapere che avremo un figlio... -
Liz annuì convinta. - Oh sì, ricordo la sua espressione quando ti guardava tenere in braccio Jason! Vuole far credere di essere un duro, ma in realtà ha il cuore tenero... -
- Lo so - Maria accennò un sorriso e cercò di girarsi sul fianco.
- Come ti senti? -
- Meglio, grazie. - Aveva parlato con voce abbastanza ferma, ma gli occhi le si chiusero e si addormentò di botto.
Sentendosi vagamente inquieta la ragazza si alzò e guardò Amy. - Forse sarebbe il caso di fare un’altra trasfusione. -
- Non pensarci neppure! Caso mai vedremo domattina, se proprio insisti, ma adesso vai a casa e non preoccuparti. Ti sarò eternamente grata per quello che hai fatto, però non voglio che per aiutare Maria tu finisca col rimetterci la salute! Non potrei mai perdonarmelo... -
Liz la strinse in un rapido abbraccio. - Allora d’accordo, tornerò domani! Ciao, e salutami Jim -
Quando fu di nuovo a casa Evans trovò Phillip e Diane che l’attendevano con ansia. Si affrettò a spiegare loro che Maria stava decisamente meglio, ma l’uomo la fissò serio. - A dire la verità noi pensavamo a te. Diane aveva ragione, sei dimagrita, e non è una buona cosa quando si è in stato interessante... -
La ragazza si sedette a tavola mentre la suocera le metteva davanti una serie di pietanze. - Sì, è vero, ma... io... -
- Ti manca Max, lo capisco, però questo non significa che debba lasciarti andare in questo modo. Sei una ragazza intelligente, Liz, e credo che tu sappia perfettamente cosa è giusto fare. Quindi, per favore, cerca di aver cura di te, oltre che di Maria!... -
Liz lanciò uno sguardo mesto alla donna poi iniziò a mangiare. Piano, con gesti lenti, sforzandosi di non mostrare il leggero senso di nausea che le serrava lo stomaco, aggiunse un po’ di salsa piccante e riuscì a vuotare il piatto. - Vi... vi chiedo scusa però adesso vorrei andare a dormire... -
- Ma certo, cara, vai pure! - Diane le sorrise mentre lasciava la cucina, poi radunò le stoviglie sporche e le mise nel lavandino.
- Spero che i ragazzi tornino presto. Liz mi è sembrata davvero a pezzi - osservò Phillip.
La donna si mise a lavare i piatti con notevole energia. - Beh, lei e Max sono molto legati, e ogni volta che devono separarsi... - Scrollò la testa, sentendosi inutile. - Non dovrebbe essere in questo modo, non mi sembra una cosa sana, però li posso capire. La loro vita è piena di pericoli e... e di sofferenza... Max compirà ventun’anni fra due mesi e ne ha già passate così tante, e Liz con lui... Credo che l’unica cosa che possiamo fare sia stargli vicino e aiutarli ad andare avanti. -
- Lo stai già facendo. Per questo Max e Isabel ti amano tanto... -
Diane si voltò a guardarlo. - Amano anche te. Oh, Phillip, chi avrebbe mai potuto immaginare la verità quando ci trovammo davanti quei due bambini con gli occhi così tristi e spaventati... -
Per tutta risposta lui abbozzò un sorriso poi le si accostò e le diede un bacio sulla guancia. - Penso che, in fin dei conti, abbiamo fatto un buon lavoro: sono diventati due giovani molto in gamba! -
Il giorno successivo, come promesso, Liz tornò a trovare Maria. Con lei c’era anche Diane, che rimase colpita nel notare il deperimento della ragazza.
- Ha dormito tutta la notte però è ancora debole... - riferì Amy studiando ansiosa la figlia.
- Facciamole un’altra trasfusione. - disse Liz con tono deciso.
- Te la senti davvero? Non vorrei che... - obiettò la donna.
- E’ tutto a posto, Amy. Prendi pure la siringa - La ragazza si mise a sedere davanti alla toletta e attese pazientemente che Amy le prelevasse il sangue.
Diane avrebbe voluto protestare. Liz non aveva una gran bella cera e non trovava opportuno che si sottoponesse a quell’operazione, ma poi si rese conto che sarebbe stato del tutto inutile. Aveva imparato a conoscere la testardaggine di quella benedetta figliola, e non poté fare altro che restare in silenzio a guardare mentre le mani esperte di Amy guidavano l’ago nel suo braccio.
La giornata si trascinò lentamente. Avvertito da Liz, anche Morgan passò a trovare Maria, e quando giunse la sera la ragazza poté alzarsi e fare una doccia sotto l’occhio vigile della madre.
Il mattino successivo Maria si svegliò prestissimo. Sentendosi molto meglio scostò felice le lenzuola e si mise a rovistare nei cassetti.
Amy la trovò che stava infilando degli abiti in una valigia. - Che diamine stai facendo? - la sgridò.
- Buongiorno, mamma - la salutò lei, continuando il suo lavoro.
- Buongiorno. Insomma, si può sapere che succede? -
- Ho deciso di andare ad Albuquerque con Liz. Non so con esattezza quando Michael tornerà, e tu hai il tuo lavoro e non puoi continuare a stare a casa mia lasciando Jim da solo, quindi parto insieme a lei. Ci faremo compagnia, e poi, se dovessi sentirmi di nuovo male, è l’unica che possa darmi una mano. Chi altri conosci che abbia avuto bambini da un alieno? - concluse facendo una buffa smorfia.
- Ah, nessuno, questo è più che certo! Però non mi sembra una gran bella idea... Insomma, anche Liz è incinta, e ha tutta l’aria di essere prossima al parto... -
- Mamma, nessuno sa con esattezza quando partorirà! E poi forse è meglio se ci sono io: l’ho già aiutata a far nascere Jason, e se Max non si sbriga a tornare potrei doverlo fare di nuovo! -
Per nulla rassicurata la donna roteò gli occhi. - Grandioso! - esclamò, prima di tornare in cucina per preparare la colazione.

- Sicura di sentirti meglio? - Liz guardò l’amica con una punta d’ansia.
- Oh, Liz, certo! E ti sarei estremamente grata se la smettessi di chiedermelo! Sembri proprio mia madre...
- Scusami, solo che l’altro ieri sembravi più morta che viva, e allora... -
- Grazie tante! - Maria abbassò di qualche centimetro il finestrino e lasciò che l’aria calda le scompigliasse i capelli. - Comunque è vero, sai? Mi sentivo sul punto di morire, quando sei arrivata tu... Ti devo la vita -
- Non dire sciocchezze! Piuttosto... spero proprio che non debba assistermi per la nascita dei gemelli... -
- Pensi che potrebbe succedere presto? -
- Non lo so - Liz si morse le labbra con fare assente. - Dopo aver lasciato El Paso stavo davvero bene, però da un paio di giorni ho spesso la nausea e... non so che dirti... Credo che Diane abbia ragione, dovrei mangiare di più, ma la sola idea del cibo mi fa sentire male... -
- Mi stai mettendo paura... -
Liz scoppiò a ridere. - Scusa, non volevo! D’accordo, parliamo d’altro. Cos’hai detto a quelli del locale? -
- La verità. Che aspetto un bambino e ho bisogno di un periodo di riposo. Non mi sono sembrati troppo contenti, anche se mi hanno fatto gli auguri e assicurato che avranno sempre un posto per me... Comunque ti confesso che al momento cantare non è in cima alla lista dei miei pensieri -
- Lo capisco. Sai, credo che Michael sarà un padre meraviglioso. Riesco quasi ad immaginare la faccia che farà quando gli dirai che aspetti un figlio... -
Stavolta fu Maria a ridere, una risata piena di gioia. - Sì, anch’io! - Poi, sentendo la musica che usciva dallo stereo, abbandonò la testa contro il sedile. - Oh, adoro questa canzone! - e sovrappose la sua voce forte e calda a quella dell’artista.
Arrivarono ad Albuquerque nella tarda mattinata e Liz fece una sosta al supermercato. - Volente o nolente devo nutrirmi, e in ogni caso non posso far morire te di fame! - disse mentre richiudeva lo sportello della vettura.
- Giusto. - Maria la prese allegramente sottobraccio ed entrò con lei nel grande magazzino.
Una volta a casa Liz telefonò a Patricia e la invitò a cena per quella sera. - C’è anche Maria, è venuta a tenermi compagnia!... -
La ragazza accettò di buon grado e si offrì di portare il dolce.
Il giorno successivo Liz aveva lezione e si fece promettere da Maria che se ne sarebbe stata buona buona a casa. - Preferisco che te la prenda con calma, ok? Forse il mio sangue ti ha fatta stare meglio, ma mi sentirei più tranquilla sapendoti qui. -
- Sai, sei davvero peggio di mia madre! In ogni caso... d’accordo, per oggi non uscirò. Ma domani sarà tutta un’altra storia! -
- Va benissimo! - Liz le sorrise e si chiuse dolcemente la porta alle spalle.
Nell’aula di fisica incontrò Tony e sedette accanto a lui. - Ciao, tutto bene? -
- Sì, grazie. Ho saputo del tuo esame: congratulazioni! -
- Sono stata fortunata. Le domande erano piuttosto facili... -
- Per te, forse. Ma ho parlato con George, e lui ha detto che di alcune non ne aveva capito neppure il senso! -
Liz scosse divertita la testa. - Se avesse passato più tempo sui libri anziché al bowling forse sarebbe andato meglio, non credi? -
- Mmm... - Tony accavallò le gambe e si guardò intorno. - Oh oh... Non voltarti. C’è Cole Morrison due file dietro di noi -
Con un tuffo al cuore la ragazza scivolò un poco verso il basso cercando di mimetizzarsi. - Non voglio che mi veda. - spiegò notando la sua perplessità.
- Ma... non ti conosce! Santo cielo, Liz, non ti sembra di esagerare? -
- No - La risposta recisa non ammetteva repliche, così il ragazzo si limitò a sbuffare e sistemò il blocco per gli appunti davanti a sé.
Mentre camminava lungo il sentiero che conduceva all’edificio dove si trovava la biblioteca Liz si sentì apostrofare da una voce dura. - Signorina Parker, o meglio, signora Evans -
Spalancando gli occhi per la sorpresa si voltò e rimase agghiacciata. - Gabriel Ross... -
- Venga, ho bisogno di parlarle - Fece per prenderla per un braccio ma lei si tirò indietro bruscamente. Che cosa vuole? -
- Non intendo discuterne qui -
- E io non intendo seguirla. - Girò sui tacchi per allontanarsi ma l’agente federale le afferrò la spalla stringendo forte. - Non ti conviene fare una scenata, piccola. Seguimi senza fare storie -
- No. Cosa vuole? - ripeté, girando il viso per guardarlo negli occhi.
- D’accordo. - Ross lasciò andare la presa e la fissò gelido. - Il satellite ha registrato due macchine e nove persone in un’area del deserto vicino Roswell, poi le persone sono diventate tre e le macchine sono tornate in città. Che fine hanno fatto gli altri? -
- E io come faccio a saperlo? -
- Non giocare con me, non ti conviene. So già che Coltrane e Maria DeLuca sono ancora nel New Mexico, come te. Dove sono i fratelli Evans e Michael Guerin? E chi era l’altro individuo? -
Terrorizzata a morte ma decisa a non mostrarlo Liz deglutì a fatica. - Io non so di cosa stia parlando. Max e Isabel sono al campus, e Michael è a Roswell. -
- I miei uomini hanno controllato: loro non sono più qui. I patti erano chiari, non dovevate fare alcuna mossa sospetta. Adesso tu sarai il nostro ostaggio, e quando gli Evans e Guerin si rifaranno vivi verranno catturati e rinchiusi in un posto sicuro. Come avrebbe già dovuto essere... -
- No! - Liz fece per correre via ma finì addosso a qualcuno. Cercò inutilmente di liberarsi mentre due forti braccia le cingevano la schiena, e tremando si appoggiò contro il nuovo venuto.
- Perché stava minacciando mia moglie? -
A quelle parole la ragazza si sentì svenire. Oddio, no, non era possibile!...
- Max Evans?!? Quando diamine è tornato? -
- Non mi sono mai mosso da questo posto. Se ne vada, adesso, e non si faccia più vedere! - Così dicendo il giovane fece scivolare una mano intorno alla vita di Liz e la sospinse in avanti. - Andiamo... -
Non sapendo che altro fare lei obbedì e si lasciò condurre via in silenzio, senza osare alzare lo sguardo sul suo inatteso salvatore.
- Sei una ragazza molto sfuggente, sai? - mormorò questi ad un certo punto, quando furono abbastanza lontani da Ross.
- Io... ti ringrazio per avermi aiutata, però adesso vorrei tornare a casa. -
- Ah no, mia cara, non ci penso neppure! - Cole la prese per un polso e la costrinse a seguirlo fino al suo miniappartamento, poco distante dal college.
- Allora, signora Evans... Cosa si prova ad essere sposati con un alieno? -
Liz prese esitante il bicchiere che lui aveva appena riempito d’acqua e se lo portò alle labbra cercando di prendere tempo. Era terrificante trovarsi davanti qualcuno così simile a Max, e trattenendo a stento un gemito si lasciò cadere sulla sedia accanto a lei. - I... Isabel ci ha parlato di te... - riuscì soltanto a dire.
- Isabel... Quella stupenda ragazza dalle gambe lunghissime... Chissà se la sua progenitrice ha avuto dei discendenti? - Ridacchiando si appoggiò con la schiena al bordo del lavandino e la guardò attento. - Ma anche tu sei molto carina, sai? Max ha avuto davvero buon gusto, devo dire... -
- Che cosa vuoi? -
- Soltanto parlare, stai tranquilla. Cerca di capirmi: sono molto curioso di avere notizie della persona costruita col DNA di mio nonno... Con Isabel non ce n’è stato il tempo, avevamo ben altro da fare... -
- Che... che vuoi dire? -
- Oh, non te l’ha raccontato? -
- Cosa? - Liz era rigida, quasi distaccata, mentre il suo cervello lavorava freneticamente per trovare una via d’uscita.
- Abbiamo fatto l’amore nel parco del campus. Lei aveva una voglia matta di farsi il fratello, ed è stata ben contenta di ripiegare su di me. In fondo siamo identici, non trovi? -
Quelle parole crude fecero sbiancare la ragazza. Ripensò al sogno che aveva portato Isabel da Morgan e sospirò dentro di sé. Ora capiva come mai Shiri e Jason si fossero comportati così stranamente, la sera della loro partenza... Isabel doveva essere ancora sconvolta per ciò che aveva fatto con Cole Morrison, e di sicuro era quello l’argomento di cui doveva parlare con Max. Non poteva fargliene una colpa, sapeva benissimo cosa significasse essere ossessionati da qualcuno, e si augurò che fosse finalmente riuscita a trovare un po’ di pace.
- Non dici niente? Non ti sconvolge sapere che Isabel provi un tale desiderio nei confronti di Max? -
Liz non rispose. Non intendeva discutere con una persona abietta come quella dei sentimenti che univano Isabel a suo fratello, e non voleva pensare a cosa doveva aver provato Max nel sapere cos’era successo all’unica persona sopravvissuta della sua vera famiglia. Non poteva.
- Vedo che presto ci sarà un altro ibrido... Certo che se la gente sapesse la verità sarebbe un bel guaio, vero? -
- Tu... hai intenzione di dirlo a qualcuno? - domandò Liz, un dubbio nei caldi occhi bruni.
- No. Almeno per adesso. Comunque sarei curioso di sottoporti a qualche esame io stesso. Non per niente ho scelto bioingegneria come specializzazione... Mi piacerebbe scoprire com’è stato manipolato il mio codice genetico per consentire ad una forma di vita aliena di sopravvivere... - Così dicendo le andò accanto e le premette forte le mani sul pancione. - E’ incredibile... - disse con espressione intensa.
La pressione aumentò e Liz si lasciò sfuggire un gemito. - Smettila, per favore... - mormorò.
- Dovrò prelevarti un po’ di liquido amniotico. E già che ci sono cercherò di arrivare al feto. E’ sicuramente lì che troverò un bel po’ di cose interessanti, non credi? - La costrinse ad alzarsi in piedi e le bloccò le mani dietro la schiena. - Farai la brava bambina, vero? - Si chinò su di lei e le diede un bacio sensuale sull’orecchio.
Rabbrividendo Liz chiuse gli occhi. “Max, aiutami... Max, ho bisogno di te!”
- Come, non ti piace? Eppure so che ami molto tuo marito... - la prese in giro Cole. Le circondò il volto con le mani. - Non puoi andare dalla polizia, non puoi denunciarmi, e questo renderà tutto più semplice. Ho solo bisogno di un paio d’ore dopodiché potrai andartene... -
- Non hai paura di quello che ti farà Max, quando tornerà? -
- Non può farmi niente perché non può permettersi un’indagine. E’ sempre stato molto attento a non attirare l’attenzione su di sé... E poi, in fin dei conti, sto solo ripetendo l’esperimento che Nasedo e Meynir hanno fatto con mio nonno... -
- Ma se non starai attento potresti uccidere il bambino! - cercò di protestare Liz.
- Vorrà dire che riproverò con Maria DeLuca. Anche lei ha rapporti sessuali con un alieno, e prima o poi resterà incinta, giusto? -
Liz si sentì paralizzata dall’orrore. Non poteva permettere che quel mostro arrivasse a Maria! In qualche modo doveva fermarlo lei!...
- Vieni, dobbiamo andare. Il mio laboratorio si trova dall’altro lato della città -
- Io... non ho alcuna intenzione di venire con te! -
- Ti prego, Liz, mi dispiacerebbe doverti fare del male... -
- Tu mi... mi stai già facendo del male! - ribatté Liz cercando di scostarsi da lui.
Cole ridacchiò divertito. - Adesso stai diventando melodrammatica... Dai, ci vorrà pochissimo, te lo prometto! -
- No - La ragazza mosse lentamente la testa. Non poteva permetterlo... non poteva lasciargli fare qualcosa di così spaventoso... - Cole... ripensaci... Ti scongiuro, ripensaci!... -
- Sto aspettando questo momento da quando avevo quattordici anni. Come puoi credere che rinunci proprio adesso? -
- Io... ti capisco, ma... ti rendi conto di quello che vuoi fare? -
- Perfettamente -
Davanti alla sua irremovibilità Liz sentì la furia montarle dentro. - Max non ha alcuna colpa per quello che Nasedo e Meynir hanno fatto a tuo nonno, né tantomeno io e i miei figli! Loro sono speciali, generosi, profondamente... umani! Al tuo posto mi sentirei onorata per aver reso possibile il ritorno alla vita di Max! Lui ha fatto cessare una guerra che insanguinava Antar da decine di anni, e ha liberato due mondi da un pazzo che li stava portando alla distruzione! Dovresti... dovresti essere fiero di sapere che è stata una parte di te a permettere tutto questo! -
- E tu lo sai cosa significa scoprire che c’è un ibrido alieno che ha la tua stessa faccia? Quando ho visto Max per la prima volta mi è quasi venuto da vomitare! Quel mostro è identico a me! -
- Max non è un mostro... - bisbigliò Liz mentre una lacrima le scivolava lungo il viso.
- Oh sì che lo è! Un corpo umano con sangue alieno! E’ rivoltante! E tu... e Maria! Come fate ad amare degli esseri così... così repellenti! -
- Hai detto di aver fatto l’amore con Isabel. Anche lei è repellente? -
- Non nell’aspetto fisico, no... Ma dentro ha la perfidia di Vilandra, una donna che, non potendo possedere il fratello, ha tramato per causarne la morte! -
- Che cosa dici?!? - esclamò Liz spalancando gli occhi. - E’ stato Volnis a tramare per eliminare la famiglia reale di Antar! -
- Su istigazione di Vilandra. Meynir lo sapeva, ed era preoccupato che la storia potesse ripetersi. Per questo ha cercato in tutti i modi di tornare alla caverna dove erano state nascoste le incubatrici... -
- Ti sbagli! Vilandra è stata uccisa con Zan il giorno del suo matrimonio! -
- Perché, all’ultimo momento, ci aveva ripensato. Era andata proprio da Meynir, che faceva parte delle guardie del corpo della famiglia reale, per avvertirlo della possibilità di un attacco, ma lui non ebbe il tempo di organizzare un’adeguata difesa e le cose andarono come sappiamo... Isabel non è migliore di Vilandra, credimi! -
- Ti sbagli! Sono... sono persone diverse, con esperienze diverse, e sentimenti diversi... Isabel è molto attaccata a Max ma ama Morgan... -
- E Max ama te, invece di Ava, la sua sposa mancata... O forse dovrei dire Tess... - Cole la prese per i fianchi e si sedette sul tavolo attirandola fra le sue gambe divaricate. - Quanto manca al parto? -
- Io... non lo so - rispose lei disorientata per il brusco cambiamento di discorso.
- Stare con quell’alieno ti ha procurato un bel po’ di problemi, vero? -
Liz lo fissò a lungo negli occhi. - Ne è valsa la pena - rispose alla fine.
- Cos’hanno di così interessante, questi esseri abominevoli, da attirare l’attenzione di persone come te? -
- Non sono abominevoli, e ti pregherei di smetterla di parlare così di loro. -
Cole le mise le mani intorno al collo e insinuò la punta delle dita fra i suoi capelli. Vide un’ombra attraversarle lo sguardo e sorrise divertito. - Cosa c’è? Anche Max ti tocca così? -
- Smettila -
- Hai una bocca adorabile... - Il giovane si curvò in avanti e le prese le labbra in un bacio lento e sensuale poi, a malincuore, la lasciò andare. - Tu non sei come Isabel. Tu ami davvero Max e non intendi lasciarti toccare da nessun altro... Sei una perla rara, Liz Parker Evans... -
La ragazza rimase in silenzio, senza sapere come reagire.
- Mi dispiace davvero, ma devo proprio farlo! - Le strinse l’avambraccio in una morsa ferrea e scese dal tavolo tirandosela dietro. - Adesso dobbiamo andare -
- Cole! -
- E’ inutile, Liz... -
- Cole, sai chi era quell’uomo? Quello da cui stavo scappando? Era Gabriel Ross, un agente dell’FBI appartenente all’unità speciale che si occupa della caccia agli alieni! Lui conosce Max e finirà col capire che siete due persone diverse! -
- Allora sarà troppo tardi. Avanti, stiamo perdendo tempo... - Spalancò la porta di casa e si fermò di colpo. Davanti all’uscio stavano Ross e altri due uomini. - Cole Morrison, giusto? - Senza aspettare la sua risposta prese Liz per una spalla costringendola a fare un passo avanti. - Lei viene con noi, e tu farai meglio a restare qui se non vuoi finire in un mare di guai! -
- Basta! - Liz sollevò di scatto le braccia liberandosi dalla stretta di entrambi i suoi persecutori. - Voi non avete alcun diritto di portarmi via! Lasciatemi in pace! - Si portò le mani alle tempie, esasperata. - Non abbiamo fatto niente di male, non abbiamo infranto il patto! E non siamo cavie da laboratorio! - Una fitta al basso ventre le strappò un lamento soffocato. - Parlo seriamente, capitano Ross, o mi vedrò costretta a dirlo al presidente... Ho modo di farlo, e lo sa bene... - Si sostenne la pancia con entrambe le mani, il viso una maschera di dolore. - Non voglio più vedervi... nessuno dei due! - Così dicendo si allontanò nel corridoio e raggiunse barcollando il portone d’ingresso. Fece un cenno verso un taxi che stava passando in quel momento e con un sospiro si affrettò a salire a bordo, sentendosi finalmente al sicuro.
Nel vederla così sconvolta Maria la costrinse a sedersi sul piccolo divano del soggiorno e le portò un bicchiere d’acqua. - Santo cielo, Liz, sei pallida come un cencio! -
Con un certo sforzo la ragazza riferì tutto quello che le era successo e Maria le prese con affetto una mano. - Forse dovremmo tornare a Roswell. Lì, almeno, ci sono Jim e Morgan... -
- No... Non intendo permettere all’FBI di averla vinta, e Cole deve capire che le sue intenzioni sono assolutamente senza senso! -
- E come pensi di riuscirci? Se non fosse stato per l’arrivo di Ross a quest’ora saresti legata su un lettino! Mio dio, rabbrividisco solo al pensiero! -
- Devo riuscirci... altrimenti... altrimenti avremo un altro nemico da cui guardarci... E quell’uomo è pericoloso, credimi! -
- Ne sono più che convinta! - Maria le scostò i capelli dal viso sudato. - Pensi che... siano le doglie? - chiese vedendola stringere le labbra sbiancate dal dolore.
- Non... non lo so... - Cercò di inspirare a fondo per rilassare i muscoli poi abbozzò un sorriso. - E’ passata... Ti prego, mi aiuti a raggiungere la mia camera? Ho assoluto bisogno di sdraiarmi un poco... -
- Certo, vieni... -
Mentre si girava per prendere una copertina di cotone in cui avvolgerla Maria vide un foglietto svolazzare in terra. Mormorando delle scuse si chinò a prenderlo e sorrise. - Liz, hai comprato un biglietto della lotteria? Non l’avevi mai fatto prima! -
- Ah, sì, l’ho preso qualche giorno fa perché non avevano sufficienti spiccioli per il resto... -
- Ti spiace se vado a controllare? -
- No, fai pure. Buona notte... -
- Buona notte - La ragazza strinse fra le dita il biglietto e tornò nel soggiorno, dove sedette davanti al computer.
Pochi minuti dopo era di nuovo accanto a Liz e la scuoteva forte per svegliarla. - Liz! Liz! Hai vinto! Liz, mi hai sentito?! -
- Sì, Maria, e devono averti sentito anche i morti... -
- Dai, Liz, è importante! - Poi, quando lei aprì gli occhi e la fissò insonnolita, agitò allegramente il prezioso pezzo di carta. - Hai vinto il primo premio! Sono 850,000 dollari, ti rendi conto?!? Adesso potrai comprare la casa che Diane ed io abbiamo visto! E’ a due piani, color crema e bianco, con un bellissimo giardino! E’ stupenda, ed è a metà strada fra noi e gli Evans! Ah, ti piacerà di sicuro! -
- Maria, calmati, ti prego... Che cosa stai dicendo? -
- Hai vinto il primo premio del Powerball! Un jackpot da 850,000 dollari! -
- Stai scherzando, vero? -
- No, Liz, non potrei mai su un argomento come questo! Guarda, ho stampato la pagina! - Le mostrò il foglio che teneva nell’altra mano e Liz dovette convenire con lei. - Già, il numero sembra proprio lo stesso... - mormorò.
- Non mi sembri contenta... Liz, ti rendi conto che tu e Max non avrete più bisogno di preoccuparvi per i soldi? Potrete scegliere il lavoro che preferite, senza stare a pensare se lo stipendio è buono o no! E’ fantastico, semplicemente... fantastico! -
- E’ assurdo. Insomma, non avevo mai comprato un biglietto della lotteria, e adesso vinco addirittura il primo premio? Dev’esserci un errore... -
- Nessun errore! E poi, lo sai come si dice: la fortuna è cieca! Ma tu non pensarci: telefono al signor Evans e gli chiedo se può occuparsene lui. In fin dei conti è un avvocato, no? -
- Sì, ma... -
- Niente ma. Tu rimettiti a dormire, al resto ci penso io! - e se ne andò canterellando soddisfatta.
- Oh, Maria... - Con un sospiro la ragazza si girò faticosamente dall’altra parte e cercò di riaddormentarsi. Ci riuscì in pochi istanti, troppo stanca per sentirsi eccitata all’idea della vincita, mentre Maria chiacchierava allegra con Phillip Evans.
L’indomani l’uomo si recò ad Albuquerque per prendere in consegna il biglietto. - Ciao, Maria, e Liz? -
- Dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Aveva una lezione importante e non voleva mancare... Posso prepararle un po’ di caffè? -
- Certo, cara, sei molto gentile! -
- Si figuri... -
Poco più tardi, come previsto, Liz rientrò e lasciò che l’uomo l’abbracciasse affettuosamente. - Mi spiace averti creato tutto questo disturbo, ma... -
- Non preoccuparti, tesoro, Maria ha fatto benissimo a rivolgersi a me! Nelle tue condizioni è meglio che resti tranquilla a casa mentre io mi occupo di tutti i noiosi dettagli burocratici. Ho solo bisogno di una firma qui, per la delega... -
- Grazie, Phillip. - Liz tracciò il proprio nome dove lui le aveva indicato poi lo invitò a trattenersi per il pranzo.
- No, preferisco tornare a Roswell. Ma tu... come ti senti? E tu, Maria? Anche se, ad essere sinceri, mi sembri in ottima forma... -
- Infatti sto benissimo, grazie. Invece credo che Liz dovrebbe affaticarsi di meno. Studia troppo, per i miei gusti. -
- Oh, Maria, finiscila! - ribatté Liz agitando una mano come a volersi schermire.
- E’ la verità -
- Liz, cerca di riguardarti o dovrò dirlo a Diane... - la minacciò amichevolmente l’uomo.
Con un sorriso la ragazza lo scortò fino alla porta. - Starò attenta, te lo prometto -
- Bene, e anche tu, Maria, mi raccomando! - Phillip fece loro un segno di saluto e risalì sulla sua auto.
- Non riesco ancora a crederci... - mormorò Liz girandosi verso l’amica.
Maria le fece la linguaccia e scoppiò a ridere. - Se vuoi ti dò un bel pizzicotto! -
- No, grazie! -
- Senti... devi proprio tornare al campus? -
- Sì -
- Stai attenta. Se Cole dovesse riprovarci... -
- Maria, chiederò a Tony di accompagnarmi, va bene? -
- Perfetto - Le sfiorò la pancia con la punta delle dita. - Come va? -
- Sono ancora tranquilli. Speriamo che duri così per un po’... Vorrei che Max fosse con me, quando... -
- Ci sarà, vedrai! - tentò di rassicurarla lei.
Nei giorni che seguirono Morrison cercò più volte di avvicinarla di nuovo ma sia Patricia che Tony si diedero da fare per non lasciarla mai sola, e il giovane dovette rivedere i propri piani. Sapendo che non sarebbe più riuscito a bloccarla nel campus cominciò a tenere d’occhio la sua casa.
Un pomeriggio, dopo aver salutato Patricia, che l’aveva accompagnata, Liz si rese conto di aver dimenticato nella stanza dell’amica uno dei libri che le servivano per l’esame che avrebbe dovuto sostenere di lì a breve. - Accidenti, devo andare assolutamente a prenderlo! - esclamò sconfortata.
- Telefonale e dille di portartelo domani al campus, no? - le suggerì Maria.
- Ne ho bisogno adesso, altrimenti non riuscirò a finire il ripasso... - Senza ascoltare oltre le proteste dell’amica prese le chiavi del fuoristrada e uscì. - Faccio presto, sta’ tranquilla! - Ebbe il tempo di fare solo pochi passi quando Cole le si parò davanti. - Oh no! - Cercò di tornare indietro ma lui fu più svelto e la prese per un polso. - Lasciami andare! - gridò. Riuscì a liberarsi tuttavia Cole la rincorse e la spinse facendola cadere a terra. - Sta’ ferma, maledizione! -
- Lasciami... - ripeté Liz, il respiro affannoso. Un dolore violento, improvviso, le strappò un urlo soffocato. Cole la teneva ancora bloccata con tutto il peso del proprio corpo e una nuova fitta le attraversò la schiena. Lasciami! - gridò.
Sentendo il panico nella sua voce il giovane si scostò e la girò di lato. - Accidenti... - Aveva la gonna bagnata ed il viso stravolto dalla sofferenza. Senza starci a pensare la sollevò in braccio e si diresse verso la casa aprendo la porta con una spallata.
- Ehi! - Maria si avvicinò fuori di sé dalla rabbia. - Che le hai fatto?! - urlò.
- Sta per avere il bambino! Dov’è un letto? -
- Oddio!... Presto, vieni! - Lo guidò fino alla stanza di Liz e Max e cominciò a cercare degli asciugamani puliti, che poi stese sul materasso tutto intorno alla ragazza. - Ti avevo assicurato che Max sarebbe stato con te, ma non intendevo questo... questo stupido idiota! - mormorò mentre aiutava Liz a sollevarsi un poco contro la testiera. - Adesso respira profondamente mentre io vado a prendere altri asciugamani, ok? E non avere fretta, mi raccomando! - Lanciò un’occhiata sprezzante a Morrison. - Tu va’ in bagno: serve una bacinella, la più grande che trovi, e riempila di acqua calda! - Si mise a frugare nell’armadio finché scoprì dei teli molto morbidi e sorrise soddisfatta. - Questi dovrebbero andare bene... -
Mentre Liz lanciava l’ennesimo grido di dolore uno strano suono attirò l’attenzione di Maria, che si volse di colpo. - Max! -
Dietro di lei stavano Max e Jason, pallidi e ansiosi. - Liz! - - Mamma! -
Entrambi si avvicinarono alla ragazza, che sorrise incredula. - Max!... Sei tornato per me... -
- Sempre, amore, sempre... - Le passò dolcemente una mano fra i capelli fradici di sudore e le diede un piccolo bacio sulle labbra. - Adesso ci sono io... puoi rilassarti... -
- Grazie - Con una smorfia fece forza sui talloni nel tentativo di attenuare il dolore, poi la mano di Max si posò sul suo ventre e un piacevole calore la invase. - Grazie... - ripeté guardandolo negli occhi.
Il giovane si girò un attimo verso Morrison. - Jason, portalo via di qui - ordinò con voce gelida, poi tornò a concentrarsi su Liz. - Ora puoi spingere: Claudia è nella giusta posizione per uscire -
- Va bene. - Fiduciosa, Liz fece come le aveva chiesto e di lì a poco la neonata venne alla luce. Max si affrettò a distaccarle il cordone ombelicale prima di porgerla a Maria, poi fu la volta della nascita di Ethan. Senza distogliere l’attenzione dal viso stanco ma felice di Liz prese un asciugamano e cominciò a pulirla con gesti delicati e teneri. - Riposati un po’, dopodiché potrai fare la doccia... -
- Preferirei farla subito, mi sento tutta appiccicosa. -
- Non se ne parla nemmeno - Si voltò verso Maria, che gli porse subito Claudia, già lavata ed avvolta in un panno pulito. - E’ bellissima! - disse sorridendo. - Ma anche Ethan è uno spettacolo... - Il bambino era ancora immerso nell’acqua tiepida e sgambettava sollevando schizzi tutt’intorno a sé.
Liz tese le braccia per ricevere la figlia ed il suo viso si accese di una luce che fece riempire di lacrime gli occhi di Max. Dio, quanto la amava... Con gesto gentile le scoprì un seno e la guardò allattare per la prima volta la bimba.
Mentre la boccuccia di Claudia succhiava con avidità la ragazza sollevò lo sguardo sul marito. Fu uno sguardo intenso, colmo d’amore, e Max sentì che per lei sarebbe riuscito a sconfiggere qualsiasi nemico.
Nel piccolo soggiorno, intanto, Cole Morrison continuava a fissare Jason, un’espressione indecifrabile negli occhi nocciola.
- Che cosa volevi da mia madre? - domandò ad un tratto il ragazzo.
Morrison sollevò ironico le sopracciglia. - Liz è tua madre?!? Scusa, ma... quanti anni hai? -
Jason scosse con indifferenza le spalle. - A quanto sembra la nostra parte aliena è più forte del tuo DNA umano -
- Però senza il mio DNA umano Sua Altezza Reale Zan di Antar sarebbe ancora un mucchietto di cellule inutili... -
- Questo non ti autorizza a perseguitare mia madre -
- Io non perseguito nessuno, ragazzino! Voglio soltanto capire se il fatto che mio nonno e mio padre siano entrambi morti di cancro a quarant’anni sia legato a quel piccolo prelievo apparentemente innocuo - Il tono di Cole Morrison era diventato freddo, secco, e Jason serrò impercettibilmente le labbra, a disagio. Senza dire più nulla rimase rigido a fissarlo finché la porta della camera dei suoi genitori si aprì e apparve Max. Allora fece un piccolo gesto nella sua direzione. - Ti consiglio di parlarne direttamente con lui - mormorò senza staccare lo sguardo dal suo volto teso.
Lentamente Cole si girò verso l’alieno. Era una sensazione così strana, come fissarsi allo specchio, eppure c’era qualcosa, in Max Evans, che lo rendeva diverso. Sapeva che doveva avere all’incirca vent’anni, per quanto i suoi occhi tradissero una forza ed una sicurezza interiori che sembravano smentire la giovane età. Si rendeva conto che non era colpa sua se, oltre mezzo secolo prima, un essere proveniente da un altro mondo aveva scelto Richard Morrison, un tranquillo allevatore di pecore, per ottenere il materiale genetico necessario a riportare in vita quello che era rimasto del suo signore. Ma troppe strane coincidenze si erano succedute da allora, e lui voleva sapere la verità. A qualsiasi costo. Senza farsi intimidire dall’aura di potere che entrambi emanavano indicò il divano alla sua sinistra. - Credo che sarebbe meglio mettersi seduti. E’ una lunga storia... -
- La conosco già. O perlomeno, conosco la parte che hai raccontato a mia sorella - Un piccolo muscolo vibrò nella mascella di Max. - Jason, vai da Liz - aggiunse, senza voltarsi verso di lui.
Il ragazzo non era ancora uscito dalla stanza quando Cole esclamò con un certo sprezzo: - Isabel ha il fascino di una regina e il cuore di una puttana. Meynir sapeva della sua passione per te, ed era certo che fosse stata lei a passare a Volnis le informazioni che gli avevano permesso di attaccare nel momento giusto... -
Jason chiuse per un attimo gli occhi e la sua mano tremò per la rabbia mentre girava la maniglia poi, con un certo sforzo, lasciò che la porta lo separasse definitivamente da tutta quella cattiveria.
Max, invece, si sentì sommergere ancora una volta dal dolore e dalla disperazione di Isabel quando era fuggita da lui per finire tra le braccia di un perfetto sconosciuto. Ricordò la sua angoscia nel sapere del bambino che aveva cominciato a crescere dentro di lei, e la desolazione di quei bellissimi occhi scuri quando gli aveva chiesto di fermarlo. Vilandra poteva averlo amato e tradito, Isabel poteva aver trovato il modo di sopravvivere attaccandosi profondamente a lui, ma era comunque sua sorella. Una persona cui voleva bene con tutto se stesso, che aveva sempre cercato di proteggere e difendere, ed il fatto che lei fosse morta al suo fianco, su Antar, e avesse più volte messo a repentaglio la propria vita durante quegli ultimi anni per aiutarlo a fronteggiare un destino che altri avevano scelto per loro, la rendeva ancora di più degna di rispetto e amore.
- Liz, invece, non ha risposto al mio bacio, eppure voi due siete praticamente una cosa sola. -
Un’improvvisa furia spazzò via qualsiasi altro pensiero. - Cosa le hai fatto?!? - Con un balzo gli fu addosso e gli premette le mani sulle tempie fissandolo negli occhi così intensamente che, suo malgrado, Cole rivisse ogni istante dei suoi confronti con la ragazza e Max ne ricevette immagini e sensazioni velocissime ma precise. - Tu, maledetto bastardo! - Lo scostò con violenza da sé e rimase a guardarlo col respiro ansante. - Stai lontano da lei, mi hai capito? Sta’ lontano da tutti noi! Se a Liz o ad Isabel dovesse succedere qualcosa niente mi impedirà di ucciderti, credimi! -
- Come Nasedo ha fatto con mio nonno? - Cole strinse un pugno con rabbia e proseguì sibilando, risentito per l’espressione combattiva del giovane alieno, - Lui aveva trentacinque anni quando venne rapito, e a quaranta è morto per un tumore al cervello. Mio padre nacque due anni dopo quell’incontro, e anche lui è morto di tumore al cervello a quarant’anni. Io ne ho ventotto. Pure io morirò di cancro a quarant’anni?! -
Max scosse lentamente la testa. - Io... io non lo so... Ma non credo che il fatto che Nasedo abbia prelevato il DNA di tuo nonno abbia dato il via a tutto questo... Non posso crederlo... -
- Sai chi siano le altre persone che sono servite al tuo amico? - lo sfidò il giovane. - Sai se sono ancora vive? -
- No. Tu sei l’unico collegato ai nostri progenitori di cui abbiamo notizia -
- Allora non puoi essere certo che la morte prematura di mio nonno e mio padre, e forse la mia, non siano il prezzo da pagare per la tua vita! -
Quell’affermazione sconvolgente fece rabbrividire Max, che avanzò fino a fermarsi a pochi centimetri da lui. - Ti prego, lascia che verifichi... Non ti farò del male, e ci vorrà solo un momento. -
- Non ci penso neppure! -
- Per favore! E’ l’unico modo che abbiamo per sapere se quello che sospetti sia la verità -
- Lo è -
- Per favore... -
Cole serrò le labbra. - Non azzardarti a toccarmi! -
- Hai paura di scoprire che le cose non stanno come credi tu? -
Colpito nell’orgoglio il giovane sollevò un poco il mento. - Accòmodati... -
Senza dire altro Max gli pose una mano sul petto e si concentrò. Ad un tratto gli occhi gli si dilatarono ed una profonda ruga gli segnò la fronte. Ansimò per lo sforzo e poi staccò di colpo le dita, ancora soffuse di una debole luminosità azzurrognola. Fece un respiro profondo per riprendere fiato dopodiché lo guardò in volto. - C’era un errore nel tuo DNA. L’ho... corretto... -
Incerto se credergli o meno Morrison lo fissò in silenzio e Max andò a sedersi sul divano. - La causa del cancro che ha ucciso tuo padre e tuo nonno era un difetto genetico. Adesso non c’è più -
- Ma davvero?!? E io dovrei credere che Nasedo abbia usato materiale difettoso per l’erede al trono di Antar?! -
Max distolse lo sguardo da lui. - Nasedo aveva altri progetti per me... Oserei dire che la scelta di tuo nonno non sia stata affatto casuale... -
- Cioè voleva che tu morissi prima del tempo? -
- Sì, forse. Ma i suoi piani sono andati diversamente da come sperava -
- E’ stato ucciso dagli Skins, già... -
“Non solo...” pensò Max, “io ho ucciso Tess. Ma questo non è necessario che tu lo sappia...”
- E adesso? Anche il tuo DNA, e quello dei tuoi figli, hanno il difetto che causa il cancro, no? -
- No, è già stato... riparato - Era vero. Quando aveva dovuto curare se stesso, e poi Jason, l’energia focalizzata all’interno dei loro corpi aveva rintracciato e aggiustato tutte le cellule danneggiate, senza alcuna distinzione, mentre Shiri era stata concepita successivamente. Il progetto di Nasedo era fallito nella sua interezza, e lui non poteva che esserne lieto. Con un cipiglio che rese il suo volto quasi remoto tornò a studiare Cole Morrison. - Avevo un debito, nei tuoi confronti. Ma ora consideralo saldato. Te lo ripeto: lascia in pace la mia famiglia. -
Il giovane scosse appena il capo. Aveva intrapreso gli studi di medicina per poter indagare a fondo su quella storia, e sapeva del danno nel suo codice genetico. Era in grado di scoprire se Max gli avesse mentito o meno... - Se quello che hai detto è vero, ti devo le mie scuse. Se invece mi hai raccontato solo una balla, beh, non ci sarà posto abbastanza lontano dove potrai nasconderti! - Senza aggiungere altro se ne andò.
Rimasto solo Max reclinò il capo fra le mani, i gomiti poggiati sulle ginocchia. Nasedo doveva aver sempre saputo di Vilandra, e aveva cercato di approfittare della situazione per mettere Ava/Tess sul trono al suo posto. Il risultato era stato una sanguinosa guerra durata più a lungo di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. E tutto per niente. Lui era il sovrano di Antar, e sia Nasedo sia Tess erano morti ormai da tempo... Con un sospiro si alzò e tornò da Liz. Lei era sempre lì, col suo amore e la sua incrollabile fiducia, e gli sorrise con tale dolcezza che sentì le palpebre pungergli pericolosamente. Avrebbe voluto sdraiarsi accanto a lei, cingerla fra le braccia e guardarla per il resto della sua vita. E baciarla, e amarla... Si limitò a sedersi al suo fianco e prendere Claudia, mentre era la volta di Ethan di attaccarsi al seno della madre.
Maria e Jason, in piedi dall’altra parte del letto, sorrisero inteneriti nel vedere la piccola addormentarsi beata contro la spalla di Max, poi la ragazza fece segno a Jason di prendere in braccio la sorellina mentre lei si occupava di Ethan dopodiché lo invitò a seguirla in soggiorno. - Quei due muoiono dalla voglia di stare un po’ da soli... - gli bisbigliò all’orecchio con un sorriso.
In effetti, non appena la porta si fu chiusa alle loro spalle, Max si adagiò contro Liz, che fece scivolare una mano sul suo petto. - Sono così felice che tu sia qui... Mi sei mancato terribilmente... - Si sollevò un poco per baciarlo sulle labbra. Fu un bacio profondo, intenso, che fece scorrere un lungo brivido nella schiena di Max.
- Anche tu. Oh, Liz, vorrei che fossi sempre con me... -
- Sei stato tu ad insistere che restassi qui - borbottò lei imbronciata.
- E ci resterai, amore. Con Claudia e Ethan. Non voglio che vi succeda qualcosa, e su Antar la situazione è più complicata di quanto pensassi. - Sospirò, e le toccò il viso in una lenta carezza. - Cole Morrison voleva vendicarsi perché credeva che l’intervento di Nasedo su suo nonno ne avesse provocato la morte per cancro, e che la stessa cosa fosse successa a suo padre. Invece... la causa era un errore genetico che... che ho riparato... Ora non ti darà più fastidio... - La sentì irrigidirsi e cercò il suo sguardo. - Cosa c’è? - chiese piano.
Dopo una breve esitazione Liz si passò la punta della lingua sulle labbra. - Ross ha cercato di portarmi via, come ostaggio, e Cole si è spacciato per te. L’FBI ha scoperto che tu e gli altri non siete tornati con noi a Roswell -
- Maledizione... -
- Non preoccuparti, Max, a lui penseremo io e Morgan. Ma tu... sta’ attento, ti prego... -
- Tranquilla, tesoro, intendo tornare da te il prima possibile e tutto intero!... -
- Guarda che ci conto! - Incantata dallo sguardo intenso del giovane Liz sorrise maliziosa e gli slacciò i pantaloni. Lo amò con ardore, mentre lui ripeteva all’infinito il suo nome, poi tornò a distendersi al suo fianco e lo guardò adorante.
Anche Max la guardò, ancora scosso dalla violenza della passione suscitata in lui, poi le sollevò la maglietta facendogliela passare al di sopra della testa. Le baciò la pelle calda del petto e sfiorò con dolcezza le parti rese sensibili dall’aver allattato i due gemelli, dopodiché le sfilò la gonna e con un gemito di anticipazione si sdraiò su di lei.
Liz non provava più dolore, per quanto fosse trascorso pochissimo tempo dal parto, e reagì con immediato desiderio ai suoi movimenti sensuali. Tremò e gemette fra le sue braccia, ricevendo e dando piacere, finché si rilassò sfinita sotto di lui. - Max... potrei continuare a far l’amore con te fino alla fine del tempo... - mormorò.
- Anch’io - Lui la baciò ancora una volta sulle labbra dopodiché l’avvolse nel lenzuolo stropicciato e imbevuto del loro sudore, si riabbottonò i pantaloni e la sollevò tra le braccia. - Adesso, però, sarà meglio andare a fare una bella doccia, che ne dici? -
- Mm - Liz annuì e gli passò le mani dietro il collo. Gli occhi socchiusi, infilò le dita fra i suoi capelli. Sono così morbidi... Oh, Max, ti amo... ti amo tanto... - bisbigliò. Si lasciò portare fino in bagno e lavare con incredibile delicatezza. L’acqua della doccia scrosciava su di loro, ed era così piacevole restare aggrappata a quel corpo solido e forte mentre veniva massaggiata amorevolmente finché ogni minima tensione sparì. Rise piano quando, poi, lui le tamponò la pelle con un asciugamano morbidissimo. Fu un’operazione lunga, ma così gradevole e stimolante che al termine si sentì rinvigorita come non mai. Con un sospiro gli depose un bacio sul cuore. - Grazie, Max... -
Accennando un sorriso il giovane si asciugò a sua volta, con molta meno gentilezza, poi rimise gli abiti sgualciti e la guardò mentre, stretta in vita la cintura dell’accappatoio verde menta, lo precedeva in soggiorno.
Quando li vide arrivare Jason si morse le labbra. Non avrebbe voluto separarsi così presto da sua madre, e provava un tenero affetto per i due nuovi fratellini, ma non poteva fare diversamente. Andò verso di lei e l’abbracciò forte. - Ciao, mamma... - mormorò, prima di salutare anche Maria.
Max si limitò a sfiorare le labbra di Liz con un bacio leggerissimo. Non sarebbe riuscito a staccarsi da lei, altrimenti, e non poteva permetterselo, non in quel momento. Strinse poi Maria in un veloce abbraccio e prese il granilite che aveva lasciato sul tavolino.
Nel vedere l’oggetto ovoidale, scuro e lucido, Liz sentì gli occhi riempirlesi di lacrime. Comprese che, in quel modo, Max aveva evitato che Jason dovesse fare un eccessivo sforzo per teletrasportare entrambi, e per l’ennesima volta ringraziò il destino che aveva posto sulla sua strada una persona meravigliosa come lui. Si sforzò di sorridere, mentre i due sparivano nel nulla, poi lasciò che l’amica le mettesse fra le braccia il corpicino tiepido di Ethan. - E’ la giusta medicina, in casi come questi... - le disse con simpatia.
- E’ vero! - confermò ridendo suo malgrado, mentre le lacrime le scivolavano libere lungo le guance.
Mentre cullava il bimbo sentì lo squillo del cellulare. - Maria, ti spiace pensarci tu? - chiese piano.
- Affatto! - La ragazza andò a prendere l’apparecchio mentre Liz tornava in camera da letto per vestirsi.
“- Liz? -”
- Diane! No, sono Maria. Liz era occupata, così ho risposto io... -
“- Ah, sì, Amy mi aveva detto che eri partita insieme a Liz... Beh, ne sono contenta! Mi dava un po’ di preoccupazione saperla tutta sola, nelle sue condizioni... E tu, invece, come stai? Ho saputo che sei in attesa... -”
- Sto bene, ora, grazie. Comunque... Liz... ecco, ha partorito oggi pomeriggio. -
La notizia lasciò per un attimo senza fiato la donna. “- Oh santo cielo! E... com’è andata? -”
- Benissimo, grazie a Max. E’ riuscito ad arrivare in tempo e l’ha assistita. Devi vederli, Diane, sono un vero amore! -
“- Max è tornato?!? -”
- Solo per poche ore, poi è dovuto riandare via. - spiegò Maria.
“- Ah... -” Sforzandosi di soffocare la delusione la donna le domandò con una punta d’ansia se sarebbe potuta andare a trovarle quel fine settimana.
Voltandosi a guardare la porta chiusa della camera da letto dell’amica Maria sorrise. - Ho un’idea migliore. Pensi di riuscire ad organizzare un appuntamento con l’agenzia per vedere quella villetta sulla S Lea Avenue? -
“- Ma certo, cara. -”
- Allora cerco di convincere Liz a venire a Roswell sabato prossimo! -
“- Perfetto! A sabato, dunque... -”
- Bene. Ciao, Diane -
La donna salutò a sua volta e poi chiuse la comunicazione.
Soddisfatta, Maria si diresse verso la camera e s’immobilizzò sulla soglia, sbigottita. - Liz! -
L’amica aveva indossato una gonna di cotone con una delicata fantasia sui toni del verde ed un corpetto bianco che si allacciava sul davanti con tre bottincini di madreperla. Stringeva al seno Ethan, placidamente addormentato, e fissava il grande lenzuolo ammonticchiato per terra ai suoi piedi.
- Liz? - ripeté più piano, con tono interrogativo.
Liz piegò un poco in avanti la testa poi si volse a guardarla. Nei suoi occhi brillava una strana luce. - Mi sono resa conto di essere stata molto egoista, oggi. - Le tremarono un poco le labbra - Quando ho visto Max ho pensato soltanto al fatto che fosse qui con me, che mi avrebbe aiutata a partorire, che avrei potuto di nuovo baciarlo... Non gli ho neppure chiesto notizie di Shiri, o di Michael e Isabel... Tutto quello che volevo era... lui... - Dopo un brevissimo silenzio riprese a parlare, sconsolata. - Ho salutato appena Jason, e mi è dispiaciuto vederlo andare via, ma... è stato veder scomparire Max che mi ha spezzato il cuore... - Sospirò smarrita. - Mi ha detto solamente che le cose, su Antar, sono più complicate di quel che avesse immaginato, e io non gli ho fatto domande. Volevo che pensasse a me, che tutta la sua attenzione fosse rivolta a me... -
Maria rammentò l’espressione sofferta del giovane quando aveva guardato Liz poco prima di prendere il granilite. - Credo... che tu ci sia riuscita perfettamente - mormorò.
- Non mi sono comportata in maniera corretta, né verso di lui né verso di te. A volte mi domando se il mio modo di amarlo non sia troppo... soffocante - Le puntò addosso i suoi bellissimi occhi scuri, colmi di mestizia. - E non ti ho dato la possibilità di parlargli, di domandargli di Michael... Mi dispiace, Maria, mi dispiace così tanto... -
La ragazza diede una piccola pacca sulla schiena di Claudia, che continuava ad agitarsi per tenersi dritta contro la sua spalla. - Non preoccuparti - Poi aggiunse con una smorfia, - Se gli avesse dato un messaggio per me sono sicura che Max me lo avrebbe riferito, quindi, a quanto sembra, neppure Michael si è preso il disturbo di pensare a qualcun altro che non sia se stesso... Solo che lui lo fa l’abitudine... -
- Ti ama davvero, Maria - osservò Liz, dispiaciuta per l’aria rassegnata dipinta sul suo volto.
- Lo so. Oh, Liz, lo so, ma qualche volta vorrei che me lo dimostrasse con la stessa tenerezza che Max usa con te! - sbuffò, vagamente irritata, e le labbra di Liz si tesero in un sorriso pieno di affetto. - Max ed io siamo profondamente uniti, anche se adesso c’è un’intera galassia fra di noi, e devo smetterla di comportarmi come una ragazzina incapace di fare un passo da sola... Michael è molto diverso da lui, preferisce non mostrare i suoi sentimenti per paura di restare ferito, ma sono certa che quando nascerà il vostro bambino imparerà ad aprirsi. Ricordi come ti guardava mentre tenevi Jason in braccio, al mio matrimonio? Devi solo avere un po’ di pazienza... -
- Sai, Liz - rispose allora Maria, corrugando la fronte - questi alieni hanno più debolezze umane di noi! -
A quelle parole il sorriso della ragazza si allargò. - Oh, te ne sei accorta anche tu? -
Cercando di liberare i lunghi capelli color miele dalle piccole dita contratte della neonata Maria tornò in soggiorno. - Era Diane, prima. Le ho detto che sabato andremo a Roswell, così lei vedrà i bambini e tu vedrai la casa. -
- Quale casa? - domandò Liz perplessa, lo sguardo fisso sulla schiena dell’amica, che le rispose senza voltarsi. - Quella per te e Max, naturalmente -
- Cosa?!? -
- Ci avevi dato l’incarico di trovarne una, no? E visto che quella che ci è piaciuta di più è ancora in vendita, e adesso puoi permettertela, ho chiesto a Diane di fissare un appuntamento. Sono sicura che piacerà anche a te... - Con fare imperturbabile prese l’elenco telefonico e cominciò a sfogliarlo.
- E ora cosa stai facendo? -
- Hai due gemelli, nessun lettino né una carrozzina, e neppure i vestiti. Forse è il caso che si vada a fare un po’ di shopping... -
- Adesso!? -
- Hai forse qualcosa di meglio da fare? - ribatté Maria, quasi sfidandola.
- Ehm... No... no, affatto. - cedette lei, poi andò verso il divano e vi depose il figlio. - Ti spiace tenerlo d’occhio mentre rifaccio il letto? -
- Mmm - fu l’unica risposta che ottenne.
Il centro commerciale scelto da Maria si rivelò una vera miniera di tesori per bambini da zero a dieci anni ma Liz si oppose con fermezza all’esuberanza dell’amica. - Avrò pure vinto il primo premio della lotteria ma non ho ancora intascato quei soldi e non intendo azzerare il conto in banca! Quindi prenderemo solo il passeggino doppio, dove possono anche dormire, i pannolini e due cambi di vestiti per ciascuno. E niente altro! -
Sia pure di malavoglia Maria dovette capitolare e poco dopo l’aiutò ad agganciare i due sedili del passeggino, smontabili, all’interno del fuoristrada. Claudia e Ethan sembrarono apprezzare enormemente quella sistemazione perché non fecero che ciangottare allegri per tutto il tragitto di ritorno a casa.
- Santo cielo, e fra non molto toccherà a me!... - La ragazza, seduta accanto ai bambini, si mise una mano sulla pancia ancora piatta e sospirò. - Michael sarà al settimo cielo per la gioia, invece io sto cominciando ad essere terrorizzata a morte... -
Una volta a casa Liz allattò i figli poi, con l’aiuto di Maria, li lavò e li mise a dormire dopodiché, sfinita dalla stanchezza, si sdraiò e chiuse gli occhi. - Che giornata! - mormorò.
Distesa accanto a lei Maria fece un grande sbadiglio. - Già. Ehi, lo sai che alla fine il tuo libro è rimasto da Patricia? -
- Oddio, hai ragione! - Con aria desolata la ragazza tese una mano per spegnere l’abat-jour. - Pazienza, ci andrò domani... -
Senza volerlo Maria scoppiò a ridere, poi si girò dall’altra parte e crollò in un sonno profondo, subito imitata dall’amica.

- Max! Jason! - Isabel si precipitò verso di loro. - Cosa è successo? -
Max abbozzò un pallido sorriso. - Liz ha avuto i bambini. Stanno bene tutti e tre... -
- Finalmente una buona notizia!... - mormorò Michael guardando la ragazza stringere in un unico abbraccio il fratello e il nipote. Poi andò verso l’amico e gli scompigliò i capelli. - Congratulazioni, Max -
Dopo essersi staccata da loro Isabel li sospinse gentilmente verso il morbido divano senza braccioli appoggiato contro la parete della piccola stanza che usavano come sala di riunione privata. - Sai, devo ammettere che è stato divertente vedere la faccia di quelle mummie mentre gli ribadivo il concetto che tu eri occupato altrove e quindi avrebbero dovuto aspettare che li facessi chiamare! Dials sembrava sul punto di avere un colpo apoplettico... -
- Fantastico... - L’alieno si appoggiò allo schienale ed emise un profondo sospiro. - Altre novità? -
- Siete stati via solo tre ore e mezza - La voce di Michael era stanca. Il complotto ordito da Karan e Veyland insieme a Zoltar si era rivelato estremamente ben architettato e riuscire a ricostruirne le fila era un compito arduo che aveva messo a dura prova le sue doti investigative. Isabel aveva cercato di dare una mano tentando di ricordare ogni particolare di quello che aveva fatto come Vilandra ma, nonostante quello che aveva sempre creduto, il suo doppiogioco con Volnis era stato di scarso valore dato che la sorte di Zan era stata segnata già da tempo. Certo, l’intervento della principessa di Antar poteva in un certo qual modo aver reso le cose più semplici, ma il destino di Zan si sarebbe compiuto comunque.
Max guardò il fido compagno negli occhi. - Ne ho io per te, allora. Inserisci nell’equazione Nasedo. Non solo aveva scelto di aiutare Tess a prendere il mio posto nella guida di questo pianeta, ma aveva fatto in modo che io non potessi vivere troppo a lungo. Il mio progenitore aveva un difetto genetico che mi avrebbe portato alla tomba entro i quarant’anni -
- Non è possibile! - Michael era sconvolto. Per qualche tempo aveva sperato che l’alieno chiamato Nasedo dagli indiani Mescalero fosse il suo vero padre, poi aveva scoperto la verità. E cioè che si trattava di un mutaforma incaricato di proteggere i reali. Ed infine il tradimento ultimo. Il tentativo di eliminazione di Max quando lui si era reso conto delle manovre sue e di Tess per regnare su Antar sotto il blando controllo di Zoltar. Ma che avesse deciso di uccidere Max ancor prima che nascesse, o, per meglio dire, rinascesse era davvero dura da accettare. Aveva sempre saputo di non potersi fidare di nessuno, a parte Max ed Isabel, e Liz, Maria ed Alex, ma non avrebbe mai potuto immaginare quell’enormità! Eppure... se gli agenti dei tre pianeti alleati non si fossero infiltrati profondamente nel sistema come avrebbe potuto Nasedo essere prescelto per portare in salvo quel che rimaneva dei reali di Antar? Quella informazione dava nuova luce ai loro sospetti. I signori di Antar, con l’ancestrale saggezza che si tramandavano insieme al segreto dell’energia dei graniliti, dovevano essere eliminati per consentire agli altri mondi del sistema di conquistare il loro potere predominante. Un potere economico e sociale che né Volnis di Zoltar né, a quanto sembrava, Dials di Karan e Gahr di Veyland avrebbero cercato di mantenere in piedi. Alleanze di quel genere, infatti, non avevano mai lunga durata: prima o poi i vincitori si sbranavano fra di loro e a rimetterci, come al solito, sarebbe stata la gente comune. Era successo su Zoltar, e senza il deciso intervento di Bren sarebbe capitato anche su Rènida. “Il potere corrompe. E solo qualcuno come Max poteva rimanere pulito...” Guardò con affetto il suo amico, poi gli batté gentilmente sulla gamba. - Vai a dormire. Ti sveglierò in tempo per prepararti all’incontro con quelle iene, stai tranquillo! Anche tu, Jason: non ce la fai più... -
Con una smorfia Jason si alzò e si ritirò nella camera da letto che divideva con la sorella.
Shiri lo accolse con un sorriso di gioia e lo strinse forte a sé poi, vedendolo stravolto dalla stanchezza, lo sospinse verso il bagno. - Dopo una doccia bollente ti sentirai meglio, credimi! E potrai raccontarmi tutto domani, ok? -
- Ok -
Circa sei ore più tardi Isabel tornò negli appartamenti privati in cui avevano trovato rifugio e si lasciò cadere su un’ampia e comodissima poltrona. - Dorme ancora? - chiese guardando Michael con aria preoccupata.
- Sì. Jason si è svegliato poco fa e Lou si è già dato da fare perché gli venga servita una cena pantagruelica. Quel ragazzo deve farsi una famiglia: non può stare dietro a Shiri e Jason come se fossero figli suoi!... -
Isabel rise e si scostò alcuni riccioli dalla fronte. Nonostante l’aria affaticata era bellissima come sempre, coi capelli morbidamente appuntati sulla nuca e l’elegante completo pantalone verde scuro di un tessuto simile a seta lucida.
“Decisamente regale...” pensò Michael deponendo sul tavolo il fascio di carte che stava studiando. - Tutto bene? -
- Rodhya è molto in gamba, sa cogliere le sfumature in un modo che ha dell’incredibile, ma trovarsi davanti Dials e Gahr insieme è davvero stressante! Invece, non capisco il gioco di Hornem... Quell’uomo non mi è mai piaciuto, anche se sta facendo un buon lavoro su Zoltar. -
- Beh, è comprensibile: non ha certo tentato di far ragionare Volnis quando lui decise di ammazzarvi! - Si passò le mani sugli occhi arrossati. - Cosa ne pensi del fatto che Nasedo abbia preso materiale genetico danneggiato per Max? Credi davvero che sia stata una mossa deliberata? - chiese col tono di chi non riusciva a credere all’evidenza.
- Se Max dice che le cose stanno così, allora è vero. E sì, credo che Nasedo fosse capace di tutto pur di raggiungere i suoi scopi... Se devo essere sincera mi ha sempre fatto venire i brividi, fin da quando ti aiutai a mandargli quel segnale, davanti alla biblioteca... - Accavallò con cura le lunghe gambe snelle. Se avessi saputo prima che Tess era cresciuta sotto la sua guida forse sarei stata più cauta con lei. E forse avrei risparmiato a Max un bel po’ di guai... Santo cielo, l’ha perfino sposata! -
- Senti, è inutile starci a rimuginare sopra, quel che è fatto è fatto, e l’importante è che ora stia con Liz. Le è sempre stato dietro fin dai tempi delle elementari... -
- Già -
Michael la guardò incuriosito. - Cos’hai? Mi sembri... stravolta... -
La ragazza scosse piano la testa. - Sono solo stanca. Lo sai che non mi piace questo posto... Vorrei tornare a casa, sulla Terra... -
- Non dirlo a me! L’FBI dovrebbe venire qui per fare un po’ di addestramento!... -
- Max... -
- Parlavate di me? -
La voce ancora leggermente roca per il sonno fece sobbalzare i due amici, che si girarono all’unisono verso la porta.
- Max! - Isabel gli sorrise con affetto. - Ben svegliato! -
Il giovane, un po’ imbarazzato per aver dormito più a lungo di quanto avesse inteso fare, si avvicinò a Michael e prese la bottiglia di cristallo colorato che aveva accanto. Versò in un bicchiere il liquido azzurrognolo in essa contenuto, una bevanda fortemente speziata che ricordava molto l’acqua minerale con aggiunta di salsa Tabasco e latte, poi si guardò intorno. - Jason sta ancora dormendo? -
- No. A quest’ora dovrebbe stare divorando il pasto procuratogli da Krentz. - Michael diede una rapida occhiata all’orologio che portava al polso, un oggetto di assoluta precisione che faceva parte della dotazione standard militare del pianeta. - E tu? Vuoi che dica a Lou di procurare qualcosa anche per te? -
- Ti ringrazio ma non ho molta fame, in questo momento... -
- Ti conviene mangiare, invece - lo contraddisse la sorella, tornando seria. - Quei due bastardi non hanno più intenzione di aspettare, e Hornem è arrivato circa un paio di ore fa. Rodhya ha fatto tutto quello che poteva, e io ho cercato di guadagnare altro tempo, ma loro vogliono te. Avrai bisogno di un bel po’ di energie per tenergli testa... -
- Lhara? -
- Il suo apparecchio dovrebbe atterrare a breve. Ho ricevuto la conferma dalla torre di controllo dello spazio aereo esterno. - rispose Michael con tono professionale. Vestito di una semplice uniforme marrone, senza gradi o insegne a indicare il suo rango, sembrava un’altra persona, non più lo scontroso ragazzo ribelle che parlava solo con Max ed Isabel, ma un giovane uomo deciso e sicuro di sé. - Isabel ha ragione. Stai meglio, ora che hai dormito, ma ti sentirai ancora più in forma dopo aver mangiato. Credimi, approfittane adesso perché dubito che poi ne avrai il tempo... -
Dopo un attimo di riflessione Max scrollò il capo. - D’accordo. Vado a... -
- No, ci penso io. Michael, aggiornalo tu, per favore! - lo interruppe Isabel dirigendosi verso la porta.
- Bene. Allora, come dicevo Lhara sta venendo qui, e questo vuol dire che Bren ha finalmente ripreso in mano la situazione. Ti confesso che non ero certo che ci sarebbero riusciti così in fretta... -
- Hai già organizzato il servizio d’ordine per lei? -
- Come prima cosa, non appena ho avuto la conferma del suo arrivo. Le ho destinato l’appartamento dell’ala ovest del palazzo del governo, il più isolato: non ho alcuna intenzione di permettere a quegli avvoltoi di infastidirla! -
- Bene, perfetto. Ah, Michael... - Un sorriso affettuoso gli illuminò il volto. - Ho visto Maria, era con Liz. L’ho trovata molto bene, devo dire... -
Il giovane lo guardò sorpreso. - Che diamine è andata a fare ad Albuquerque? -
Max fece un piccolo gesto con la mano. - Forse l’ha raggiunta per farle compagnia. - Una ruga gli segnò la fronte - Liz avrebbe dovuto avere i bambini fra circa dieci giorni, e invece... Nonostante tutto la lascio sempre sola quando ha più bisogno di me... -
- Non potevi saperlo - tentò di confortarlo l’amico. - Voglio dire, è impossibile calcolare con certezza la durata di queste gravidanze metà... metà ibride e metà umane! - Si passò una mano fra i capelli scompigliandoli furiosamente. - Ecco perché dovevamo restare alla larga da loro... -
Max scrollò le spalle imbarazzato. - Non potevo lasciarla morire quel giorno al Crashdown, Michael, mi dispiace... -
- Ormai è andata così - Il giovane assunse una posizione più eretta. - E chissà, forse se non si fossero immischiate nelle nostre vite adesso non saremmo qui. Voglio dire... fino a quel momento non avevamo fatto altro che nasconderci. Dopo, invece, le cose sono andate anche troppo in fretta, per i miei gusti, ma... abbiamo scoperto la verità sulle nostre origini e portato a termine il compito per cui tua madre si è data tanto da fare per aiutarci a sopravvivere. Direi che, tutto sommato, è andata bene. E adesso, con un altro piccolo sforzo, riuscirai a diventare il leader dell’intero sistema stellare... -
- La sai una cosa, Michael? -
- Cosa? -
- Vorrei avere la forza di mandarli tutti al diavolo! -
Sul volto di Michael apparve una smorfia. - Non ne sarai mai capace, temo. Ma adesso basta chiacchierare! Allora, quando vuoi convocare i nostri amici? -
- Domani pomeriggio. Hai trovato quelle informazioni che ti avevo chiesto? -
- Sì. -

La sala conteneva solamente un tavolo di materiale nero traslucido, di forma ovale, con cinque sedie dalle linee essenziali. Tre finestre altissime e strette lasciavano filtrare l’intensa luce violacea del tardo pomeriggio. L’atmosfera quasi ovattata che vi regnava conferiva all’ambiente un senso di austero potere. Quello era il luogo dove si riunivano i signori che governavano i cinque mondi del sistema di Orialis, su Antar, ma erano trascorsi moltissimi anni dall’ultima volta che era stato utilizzato per quello scopo. Troppi, secondo Max. I motivi di disaccordo erano andati inasprendosi sempre di più, con conseguenze catastrofiche per la popolazione inerme, tuttavia quella era la prima, e forse l’unica, occasione che lui aveva per cercare di porvi rimedio. Osservò con attenzione i volti seri e impassibili dei quattro sovrani e fece un impercettibile segno col capo invitandoli a sedere.
Lhara era assolutamente splendida, con un abito rosso cupo lungo e dritto, un sottile diadema composto da una catenella con al centro una piccola pietra purpurea a goccia. I lunghi capelli biondi erano raccolti in una morbida treccia ripiegata sulla nuca e gli occhi limpidi rivelavano la nuova sicurezza di sé acquisita a caro prezzo in quegli ultimi mesi.
Hornem, alto e slanciato, indossava un sobrio vestito nero e studiava alternativamente la giovane regina e Max, domandandosi quanto profondo fosse il legame che univa quei due. Conosceva bene, infatti, gli sforzi di Volnis di impadronirsi di Rènida ed il ruolo svolto dall’ibrido semiumano nel rintuzzarli, ma gli Alehnikar lo avrebbero sostenuto, nella sottile lotta che stava per avere inizio intorno a quel tavolo?
Dials, di corporatura media, aveva folti capelli ramati ed una barba in cui cominciavano ad apparire un bel po’ di fili bianchi. La luce combattiva dei suoi occhi verdi rendeva quasi invisibili i segni incisi dal tempo sulla pelle scurita dal sole, e la scelta dell’abbigliamento, da lavoro anziché da cerimonia, era un aperto segno di sfida all’uomo, o meglio al ragazzo, che aveva in sé il sigillo di Zan di Antar.
Anche Gahr, di poco più anziano del collega, era vestito in maniera neutrale. A settantanove anni aveva un portamento altero e allo stesso tempo distaccato che aveva tratto in inganno persone ben più esperte e smaliziate di Max.
Tuttavia Max aveva dovuto combattere troppe battaglie, e troppo presto, e sapeva perfettamente cosa aspettarsi da quella piccola assemblea. Si appoggiò allo schienale semirigido, diede un’occhiata circolare per avere la conferma dell’attenzione di tutti, e soltanto allora cominciò a parlare. - Vi ho chiesto di intervenire a questa riunione, qui su Antar, perché voglio che non ci siano possibilità di equivoci. A volte i messaggi possono venire male interpretati, e quindi ho ritenuto più opportuno un incontro diretto. Grazie per essere venuti - Il suo sguardo passava lento da un interlocutore all’altro, cogliendo ogni minimo segno di reazione su quei volti apparentemente impassibili. - I rapporti fra i cinque pianeti del sistema non sono mai stati facili. La federazione che unisce Zoltar, Karan e Veyland si è spesso trovata in contrasto con le politiche di Antar e Rènida, e non sempre si è riusciti a trovare una soluzione diplomatica. Ma nessuno, mai, aveva cercato di risolvere i problemi eliminando fisicamente la controparte finché i soldati di Volnis attaccarono il palazzo reale il giorno del matrimonio di Zan. - Max fece una brevissima pausa tuttavia nessuno dei presenti sembrò reagire alle sue parole. - Mia madre riuscì tuttavia a recuperare materiale genetico sufficiente per consentire la riproduzione degli eredi legittimi, prima di soccombere a sua volta, e solo grazie a lei, pochi anni fa, ho potuto fare ritorno su questo pianeta. Pur di fermare la guerra civile che stava distruggendo Antar mia sorella ed io ci consegnammo a Volnis, ma il vero prezzo richiesto per la concessione dello statuto federale era la nostra morte. Riuscimmo a salvarci, e per qualche tempo il pianeta è stato governato da colei che avrebbe dovuto essere la sposa di Zan. Ma Volnis voleva tutto, voleva possedere questo pianeta, e solo quando ha tentato di uccidere mia moglie l’ho attaccato personalmente. Non è stato un assassinio, ma un atto di legittima difesa. Hornem lo sa bene - Così dicendo volse appena il capo in direzione dell’uomo, - e sa altrettanto bene che non ha dovuto subire alcuna ingerenza da parte mia nel governo di Zoltar. Quindi, le vostre accuse sono completamente infondate. Forse siete stati male informati, o consigliati - Il tono era divenuto freddo, cinico - però adesso sapete la verità. E se insisterete nel volere la mia testa... ebbene, dovrete gettare via la maschera e dichiarare quali sono le vostre reali intenzioni -
Negli occhi di Dials balenò per un attimo una luce di odio intenso ma la sua voce pacata non lasciò trasparire nulla. - Tutti noi sappiamo che preferisci essere chiamato Max, invece di Zan. Questa tua precisazione, a mio giudizio, è molto rivelatrice. Zan di Antar era l’erede al trono del pianeta, Max Evans è un ibrido che solo saltuariamente si occupa dei bisogni di quella che dovrebbe essere la sua patria. Devi scegliere, - sorrise con disprezzo - Max di Antar. O qui o sul mondo dove hai cercato rifugio. Rodhya è una persona molto in gamba, non discuto, ma il Consiglio da solo non è sufficiente. E ogni volta che sei tornato hai, diciamo così, messo a posto le cose spargendo sangue. Un sistema rapido, non c’è che dire, tuttavia non lo ritengo adatto ad un mondo civile. Quando anche Rènida aprirà gli occhi rimarrai isolato e Antar si troverà ad attraversare il periodo più buio della sua storia. Perché puoi anche non credermi, ragazzo, ma ti assicuro che non ti verrà permesso di continuare a spadroneggiare come hai fatto finora... -
A quelle parole Lhara s’incupì. Rènida aveva già aperto gli occhi, grazie al cielo, ed aveva compreso l’errore commesso. Lei e Bren si erano letteralmente consumati per riportare un po’ di pace nel loro mondo ed erano ben consapevoli di quanto Max aveva fatto per aiutarli, quindi non avrebbero mai permesso alla federazione di distruggerlo. Ma lei era divenuta di fatto la regina del suo pianeta da così poco tempo che ritenne più saggio rimanere in silenzio e continuare ad ascoltare. Tanto Max sapeva che avrebbe sempre potuto contare sul suo appoggio...
Fu la volta di Hornem, di intervenire. - Devo ammettere che quello che hai detto, Max, è vero. Volnis era accecato dal desiderio di possedere la fonte di energia dei graniliti ed era disposto a tutto pur di raggiungere quell’obiettivo. A quel tempo io ero solamente il suo braccio destro, anche se il più delle volte non venivo ascoltato, e non sono mai stato d’accordo col suo modo di agire. Vero, non ho cercato di fermarlo, ma cos’avrei ottenuto? Soltanto di essere sostituito con qualcun altro, più malleabile di me. - La sua voce era gentile, tuttavia Max ricordava fin troppo bene l’espressione calcolatrice di quegli occhi scuri. Hornem aveva sempre condiviso la politica aggressiva del suo presidente, e soltanto la morte di Volnis lo aveva ricondotto ad un atteggiamento più pacifico. Ormai aveva ottenuto tutto quello che era possibile, il governo di un intero pianeta, dunque poteva permettersi di essere magnanimo. Finché non avesse cominciato a volere di più. Attese quindi con nascosta curiosità di sentire cos’altro il suo antico avversario avrebbe detto...
- Mio malgrado mi sono ritrovato coinvolto in una interminabile successione di guerre. Prima per conquistare Antar, poi Rènida... Adesso desidero solamente la pace. A qualsiasi prezzo -
Il giovane sorrise dentro di sé. Già, Hornem lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani se gli fosse convenuto... Ma cosa c’era di nuovo in tutto questo? Si girò allora in direzione di Gahr. Forse lui avrebbe osato parlare più apertamente?
Gahr ricambiò il suo sguardo con fermezza. - La tua apparente giovinezza può far dimenticare che, in realtà, tu avevi già vissuto quasi trent’anni... Sei stato lontano per molto tempo dal tuo mondo d’origine, e anche questo può trarre in errore. Tu conosci perfettamente la travagliata storia del sistema di Orialis, e se davvero avessi voluto diventare il leader supremo ci saresti, forse, già riuscito... Sei una persona leale, come lo era tuo padre prima di te, ma Dials ha ragione. Non puoi continuare ad esercitare la tua sovranità da un intero universo di distanza... Devi scegliere. La Terra, o Antar -
- Altrimenti? -
- Altrimenti sceglieremo noi per te. - Gahr rispose tranquillo, con un sorriso appena accennato, e Lhara si scoprì a trattenere il fiato mentre posava gli occhi sul volto serio di Max.
- No. Antar resterà un pianeta libero. La Confederazione dovrà fare a meno delle sue risorse. - Max decise che era giunto il momento di passare all’attacco. - Io so che Volnis è stato semplicemente l’esecutore materiale di quanto progettato dalla Confederazione nel suo complesso. Forse Rènida è stato solo un ripiego per compensare la propria frustrazione, ma quello che ha fatto ad Antar aveva il vostro pieno appoggio. E tu, Hornem, resterai a guardare quello che succede finché ti converrà. Perché questo è il solo modo di agire che conosci - Le sue accuse risuonarono pesanti nel silenzio assoluto che regnava nella sala, e Lhara gli lanciò uno sguardo di ammirata approvazione. Sì, aveva davvero moltissimo da imparare dai reali di Antar...
Dials strinse i denti, furibondo, mentre Gahr si limitò ad un piccolo inchino col capo. - E sia - disse piano.
Max lo fissò dritto negli occhi, cercando di capire il significato di quella parola, poi, senza alcun preavviso, sentì un violento dolore ai polmoni e cominciò ad ansimare.
- Zan! - Lhara si alzò di scatto e corse verso di lui mentre i tre uomini rimanevano impassibili a guardare.
In preda alla disperazione il giovane cercò di concentrarsi abbastanza da richiamare a sé un granilite e quando lo ebbe fra le dita lo serrò con tutta la forza che gli restava. - Io... non ho mai... cercato la... vendetta... - mormorò sconvolto, - mai... Ma questa volta... - Una lacrima gli scivolò lungo la guancia pallida, dopodiché si teletrasportò altrove.

Max si curvò singhiozzando sul corpo insanguinato del figlio e, lasciato cadere in terra il granilite, pose entrambe le mani sul suo petto. - Ti prego, Jason, guardami... - bisbigliò. Continuò a chiamarlo, inutilmente, poi rialzò la testa e vide Shiri, che giaceva poco distante dal fratello. Aveva una piccola macchia rossa all’altezza del cuore, doveva essere morta sul colpo. Lou, invece, era qualche metro più avanti. Erano stati colti tutti di sorpresa, e il fedele maggiore non aveva avuto alcuna possibilità di difendersi. Straziato dalla sofferenza si guardò lentamente intorno e scoprì di trovarsi in uno dei corridoi che conducevano alla sala dove era stato fino a pochi minuti prima. La Confederazione aveva già fatto la scelta per lui. E come prima mossa aveva eliminato i suoi figli. Una vampata di rabbia lo scosse dal profondo e con improvvisa decisione si rimise in piedi. Sollevò delicatamente Jason e lo depose accanto alla sorella, poi si inginocchiò tra di loro e prese in mano il granilite chiudendo gli occhi. “Michael, blocca tutte le uscite del palazzo del governo e fai rintracciare tutti gli uomini che non appartengono alla nostra guardia. Subito! E di’ a Isabel di sostituirmi alla riunione” Lanciato l’appello mentale abbandonò ancora una volta l’oggetto ovoidale dopodiché mise la destra sul torace di Jason e la sinistra su Shiri. Con un sospiro reclinò il mento concentrandosi più intensamente che poté e ben presto la fronte gli si ricoprì di sudore freddo. Non era facile intervenire su due persone allo stesso tempo, scendere al profondo livello di connessione che gli permetteva di modificare le strutture cellulari danneggiate, condividere i ricordi, assorbire sensazioni e dolore. Ma quelli erano i suoi figli, il risultato dell’amore che lo legava a Liz, e per loro avrebbe tentato l’impossibile, anche se il cuore di Shiri era stato attraversato da un proiettile e Jason stava morendo soffocato dal sangue che gli aveva invaso i polmoni... Un singhiozzo spezzato gli sfuggì dalle labbra. Li avrebbe riportati indietro. Tutti e due.
Richiamò a sé tutta la sua energia, tutto il misterioso potere racchiuso nella sua mente, e alla fine, ancora una volta, il miracolo avvenne. Avviare il processo era complicato, coinvolgente e molto doloroso, ma poi il ripristino delle cellule difettose diventava quasi istantaneo, e così ci volle solo una manciata di secondi prima di sentire i due cuori riprendere a battere con lenta regolarità. Allora si sedette sui talloni, tremando per la spossatezza. Osservò di nuovo quei due giovanissimi volti, il pallore che a poco a poco svaniva, poi trasse un sospiro e lasciò che lo sguardo si posasse sul corpo inerte di Lou. Gli occhi lucidi di lacrime, si raddrizzò e fece qualche passo barcollante verso di lui. Ansimava ed era ancora scosso da tremiti tuttavia si mise in ginocchio e gli pose una mano sul petto. - Lou... - Fece fatica a concentrarsi, poi flash in bianco e nero di immagini frammentate gli saettarono dolorosamente nel cervello. Sbatté le palpebre, sorpreso, e in un ultimo tentativo di mettere a fuoco la struttura cellulare appoggiò l’altra mano sul braccio del giovane ufficiale ma lo sforzo gli fece perdere i sensi.
Quando, pochi secondi più tardi, il drappello di guardia impegnato nella sorveglianza di quel piano apparve all’imbocco del corrodoio il comandante sgranò gli occhi. Tramite il comunicatore che portava al polso era già stato informato dei nuovi ordini e aveva deciso di serrare i tempi del controllo del suo settore, immaginando che l’area della sala dove si stava svolgendo la riunione fosse quella più a rischio. Ma mai si sarebbe aspettato una scena del genere! Fece segno ai suoi uomini di verificare che la zona fosse sicura poi si affrettò verso i corpi distesi a terra. Per prima cosa toccò il collo di Max, e trasse un sospiro di sollievo. “E’ vivo, per fortuna!” Verificò allora le condizioni degli altri, poi attivò il comunicatore. - Rapporto sicurezza uno. C’è stato un attacco. Sua Altezza e i prìncipi sono vivi, il maggiore Krentz è morto. Mandate rinforzi a coprire le vie di accesso: il bastardo potrebbe essere ancora qui... - Un rumore di passi affrettati lo fece voltare. Rialzandosi in piedi curvò appena la testa per parlare ancora nel trasmettitore. - E’ tutto. Avvertite Rath che la principessa Vilandra è in area - Si portò la mano al petto in segno di saluto. - Altezza... -
Isabel si mise a correre verso di lui, apparentemente inconsapevole di aver rischiato di venire colpita dal soldato che stava procedendo nella sua direzione con l’arma spianata. - Max! -
- E’ svenuto, ma i ragazzi stanno bene - l’avvertì subito l’uomo, scostandosi in modo da permetterle di verificare di persona.
- O mio dio... - Isabel si inginocchiò accanto al fratello e lo prese per una spalla tirandolo dolcemente verso di sé fino a farlo adagiare per terra. Dallo strappo nel tessuto del giubbetto di Krentz comprese che Max doveva aver tentato di guarirlo, senza tuttavia riuscirci, e col cuore dolente passò una mano sugli occhi della fedele guardia del corpo. - Riposa in pace, Lou... - mormorò.
- Zia Isabel... -
Sentendo la voce sommessa di Jason si girò e lasciò che il nipote si rifugiasse fra le sue braccia. - Ci hanno colti di sopresa... Erano in due, e ci stavano aspettando, credo, perché non abbiamo sentito niente... - Emise un sospiro profondo, quasi un gemito. - Lou è morto, vero? -
La ragazza gli accarezzò con affetto la schiena. - Sì - riuscì a dire solamente.
- Shiri... - Jason volse il capo quel tanto che gli permise di vedere la sorella, e le labbra gli tremarono. Anche lei era morta, ma papà è riuscito a riportarla indietro... - Non parlò dell’orribile sensazione di completa solitudine, di nero vuoto che aveva provato nel momento in cui la vita aveva abbandonato Lou e, soprattutto, Shiri. Non aveva la forza di farlo, ma sapeva che la zia aveva capito perché sentì la sua mano tremare.
- Altezza, per favore, porti i ragazzi nella sala: è il posto più sicuro, finché non avremo ripulito tutto il piano! - L’ufficiale comandante del drappello fece un cenno in direzione del corridoio alle proprie spalle poi, seguendo lo sguardo di lei, annuì impercettibilmente. - Mi prenderò cura io di lui, principessa. E’ il mio sovrano... -
Prima che Isabel potesse obiettare qualcosa Shiri si sollevò a sedere. - No, ci penso io... - Dopo che Max l’aveva guarita era rimasta immobile, ad occhi chiusi, cercando di recuperare il suo equilibrio. Le forti emozioni trasmessele dal padre, unite alla consapevolezza della scomparsa di Lou, l’avevano quasi sopraffatta e aveva avuto bisogno di isolarsi un po’. Da qualche parte, in fondo alla sua mente, aveva percepito l’arrivo dei soldati e della zia, ma era ancora troppo presto. Adesso, invece, si sentiva pronta ad affrontare di nuovo il mondo esterno. - E’ solo stanco - disse, dopo aver sfiorato con la punta delle dita una tempia di Max.
In quel momento arrivò Michael, seguito da sei uomini. - Maledetti... - disse fra sé e sé, poi si avvicinò all’amico e lo prese in braccio. - Ok, riportiamolo nella sala. Adesso, qui, ci sono più soldati che ragni... Isabel, cerca di tenerlo buono, quando si riprenderà: non voglio che qualcuno si diverta al tiro al bersaglio anche con lui! E voi, ragazzi, sicuri di stare bene? -
Annuirono entrambi, poi Shiri si morse nervosamente il labbro inferiore. - Io... vorrei che ci lasciassi venire con te... -
- Non pensarci nemmeno, piccola! - Abbozzò un sorriso per scusarsi del tono brusco. - Ho il sospetto che sarete più utili in quella stanza. Non mi va l’idea di sapere Lhara sola con quegli avvoltoi... -
- Pensi che sia stata la Confederazione ad organizzare l’attacco? - chiese Isabel, sconcertata.
- Chi altri ha interesse a eliminare i reali di Antar, secondo te? - borbottò Michael sbuffando. - Accidenti, odio vedere Max in queste condizioni! -
Quando entrarono nella sala Max stava cominciando a riprendersi e l’amico lo adagiò con cura sul pavimento, sotto gli occhi esterrefatti dei presenti.
- Zan! Cos’è successo? - chiese Lhara agitatissima, precipitandosi su di lui.
Mentre Isabel, lo sguardo duro fisso su Dials e Ghar, andava a mettersi davanti al fratello costringendo, in questo modo, i due a restare fermi dov’erano data la scarsità di spazio, Michael fletté con rabbia le dita. Qualcuno ha sparato a Jason, Shiri e Lou, e Max ha esaurito le sue energie per riportarli indietro. Per Lou era troppo tardi ma, come puoi vedere, i reali sono sopravvissuti. E intendo fare di tutto per proteggerli - A sua volta lanciò un’occhiata colma di odio verso i signori di Karan e Veyland, poi si rivolse sprezzante a Hornem. - Fra poco dovrai prendere una decisione. O noi, o loro - e se ne andò richiudendo con forza la porta.
Jason lo sentì dare ordini a due soldati perché restassero di guardia, poi si tolse il giubbetto e si curvò a sistemarlo sotto la testa del padre.
In quel momento Max fremette e riaprì gli occhi. Nel vedere il figlio chino su di lui sentì il cuore battergli più in fretta, poi volse lo sguardo di lato ed incontrò quello di Shiri. Non era riuscito a salvare Lou, ma i suoi bambini erano lì, e questo voleva dire che il futuro aveva ancora una speranza. Perché senza di loro non ci sarebbe stato futuro, per lui. Sapeva che Liz lo amava abbastanza da perdonarlo, se li avesse persi, ma lui non avrebbe mai potuto perdonare se stesso, e si sarebbe annientato nel tentativo di distruggere i nemici della sua famiglia. Comunque, erano ancora in pericolo. Finché non avesse fermato una volta per tutte lo strapotere della Confederazione quegli uomini avrebbero cercato di ucciderli, perché non c’era altro che potessero fare. Con un sospiro fece forza sui gomiti e si mise a sedere, subito sostenuto da Isabel. Senza dire nulla la guardò negli occhi e lei lo aiutò ad alzarsi in piedi.
Davanti alla sua espressione i signori della Confederazione tornarono ai loro posti mentre i ragazzi ed Isabel si disponevano ai lati di Max. Lhara osservò la scena con attenzione prima di sedersi a sua volta. Stava piano piano afferrando cos’era successo e si chiese cosa avrebbe fatto, ora, il signore di Antar.
Max avanzò con esasperante lentezza e si lasciò quasi cadere sulla sedia a lui destinata. - Avete fatto la vostra mossa. E avete perso - I suoi occhi s’incupirono. - La Confederazione ha rivelato apertamente come intende portare avanti questa partita, e adesso è il mio turno. - Si protese un poco in avanti, le mani aperte sul piano lucido del tavolo. - Io sono il signore di Antar, e Antar è fuori della Confederazione. Il Consiglio, presieduto da Rodhya, mantiene i suoi poteri, e il Comitato di Sicurezza ha il compito di impedire ogni forma di ingerenza esterna -
- Il Comitato di Sicurezza? - domandò perplesso Dials.
Con un sorriso sarcastico il giovane lasciò che lo sguardo gli si posasse su Hornem. - L’economia è la forza e, al tempo stesso, il punto debole di ogni governo. Ci si può ritrovare conquistati senza neppure accorgersene... Non permetterò che succeda di nuovo. Antar resterà libero -
Questa volta Lhara intervenne. La sua voce limpida e pastosa risuonò ferma mentre annunciava la decisione presa. - Rènida è al fianco di Antar -
Hornem si lasciò andare contro lo schienale ridendo con fredda ironia. - Che altro avresti potuto dire, quando tutti noi sappiamo che Zan... - Fece un piccolo inchino col capo verso il giovane - scusa, Max... - si corresse, - ha dato asilo a te e tuo fratello? Questa non è ingerenza esterna? -
La ragazza si irrigidì. - Ci ha aiutati a sopravvivere, e a tornare nel nostro mondo. Liberi. Brentelwoodein ed io abbiamo lottato da soli per riconquistare la fiducia di Rènida! - Guardò l’uomo con atteggiamento di sfida. - E Antar ha la mia fiducia -
- Bene! Allora io sono diventato l’ago della bilancia, giusto? -
- Sbagliato - Un muscolo vibrò nella mascella di Max. - Lhara ed io siamo alleati, non federati. I nostri pianeti uniranno per libera scelta le loro forze per mantenere a distanza la Confederazione e chiunque altro cercherà di imporre la propria presenza ad ogni costo. Di sangue ne è stato versato fin troppo, e non intendo continuare in questo modo - Serrò le mani a pugno. - Avete cercato di assassinare i miei figli, e un uomo leale è morto. Non vi permetterò di continuare così... La gente come voi capisce solo la forza bruta, e questo è quanto avrete - Si girò a guardare Isabel con intensità, poi ridistese le dita e nei suoi palmi apparvero i graniliti.
Con un sospiro lei gli prese un polso e lasciò che la sua energia confluisse in quella del fratello.
- Papà? - chiese Jason sottovoce, desiderando aiutarlo.
- No - fu la risposta altrettanto sommessa di Max, prima di scivolare in un profondo stato di concentrazione.
- Aspetta! - Il tono imperioso di Isabel penetrò nella mente del giovane, che si costrinse ad ascoltare il suo reale accorato appello. “Cosa vuoi fare? Ucciderli, come hai fatto con Volnis? Ma non puoi risolvere un conflitto stellare uccidendo i sovrani che lo hanno scatenato! E’... è orribile, e non è da te! Ti prego, dimmi come intendi fermarli... prima di fare qualcosa di cui potresti pentirti...”
“Io... non lo so. In questo momento sono così pieno di rabbia che vorrei soltanto...” Sconfitto, Max allentò la stretta sui graniliti e chiuse per un istante gli occhi, tornando subito dopo a fissare i suoi avversari. - Andatevene. Tornate sui vostri pianeti e non rimettete mai più piede su Antar. O su Rènida. Gli uomini che avete sguinzagliato nel palazzo saranno rimandati indietro dopo essere stati interrogati. Tranne quelli che hanno sparato. Loro resteranno qui, in prigione. -
- Allora sarà il tuo isolamento ad aprirci la strada verso Antar... - lo schernì Gahr.
- Antar non sarà isolato. Ma ogni contatto, economico o diplomatico, verrà sottoposto al Comitato di Sicurezza. - Cercò lo sguardo di Lhara, che annuì con decisione. - Lo stesso sarà per Rènida - Si morse leggermente il labbro inferiore. - Hornem, che tu decida di fare o meno parte della Confederazione, dovrai sottostare lo stesso a queste regole. Non ho alcun diritto di usare i miei poteri per obbligarvi al rispetto della volontà della nostra gente, ma niente mi impedirà di usarli per difenderci... Andatevene, adesso. Andate via... - Attese che i tre uomini lasciassero la sala, poi si alzò lentamente in piedi e si volse in direzione dei figli, che si slanciarono fra le sue braccia.
I bellissimi occhi nocciola di Max si velarono di lacrime mentre stringeva forte i due ragazzi contro di sé.
Isabel si passò furtiva un dito sulla guancia al vivido ricordo dei loro corpi stesi nel sangue, e dopo aver esitato un istante si girò e uscì. Vedendo i tre in fondo al corridoio li seguì, non prima di aver fatto cenno ad una delle guardie di andare con lei. “Non vi permetterò di fare altro male, maledetti bastardi...” Mentre camminava si concentrò su Michael e lo aggiornò sugli ultimi sviluppi del confronto con la Confederazione dopodiché lo pregò di mandare una squadra per scortare i tre uomini fino all’aeroporto. “Non voglio che abbiano la possibilità di combinare altri guai!”
Michael non attese di sapere altro, e poco dopo la ragazza lo vide arrivare con i soldati richiesti. Finalmente... - borbottò, poi si accostò all’amico. - Voglio tornare a casa. Questo posto è una vera trappola per noi... e non lo sopporto più! -
- Beh, abbiamo trovato le prove che è stata la Confederazione a mandare qui Volnis, quindi basta andare su Karan e Veyland, polverizzare qualche palazzo e il gioco è fatto, no? -
Isabel gli diede un’occhiataccia. - Non farti sentire da Max, hai capito?!? -
Era notte fonda quando si ritrovarono negli appartamenti privati della famiglia reale.
Shiri si era rannicchiata sul divano e continuava a dividere la propria attenzione fra il padre e Lhara. Lei le aveva parlato di Bren, di quello che avevano fatto insieme per riportare la pace su Rènida, e delle lunghe chiacchierate sui signori di Antar. - Siete degli amici preziosi, e... e credo che mio fratello ricambi l’affetto sincero che tu provi per lui... - le aveva detto poco prima di lasciare la sua stanza per raggiungere gli altri nel salotto piccolo. E ora provava una strana sensazione. Avrebbe voluto che Bren fosse lì con loro. Sentiva la sua mancanza e aveva tanto sperato di poter andare su Rènida per salutarlo, tuttavia sapeva che di lì a poco sarebbero ripartiti per la Terra, e chissà quanto tempo sarebbe trascorso prima che le si presentasse un’altra possibilità... Ma era anche consapevole del profondo desiderio di Max di lasciare Antar prima che a lei o a Jason succedesse ancora qualcosa.
Jason, invece, era seduto per terra, un braccio poggiato sulle gambe del padre e lo sguardo fisso su Isabel.
- E sei convinto che se ne resteranno buoni buoni a casa loro? - domandò Michael scettico.
- Non proprio, ma Isabel ha ragione. Non è una buona politica liberarsi di un avversario uccidendolo. Soprattutto quando questo ha fatto la stessa cosa con te... -
- Già, è anche grazie a Dials e Ghar che le nostre versioni originali sono state fatte fuori, a suo tempo, però la lezione, a Volnis, non è servita! -
- Neppure a quei due bastardi, se è per questo - interloquì Isabel, con voce fredda. - Come non è servito con l’FBI. Certo, la voglia di cancellare dalla faccia del pianeta chi ti vuole morto è tanta, ma io non me la sento di considerarlo l’unico mezzo per mettere a posto le cose... -
- No, è vero, però... però a volte non se ne può fare a meno... - Lhara ripensò al padre, ai suoi piani per eliminare Bren, e rabbrividì.
- Comunque è meglio cercare prima delle alternative. In ogni caso vediamo come andrà col Comitato di Sicurezza. Ho parlato con Rey Hansell, e penso che riuscirà a fare un ottimo lavoro. Lhara, io credo che tu e Bren sarete in grado di tenere lontane le grinfie della Confederazione dal vostro mondo, ma non esitate a rivolgervi a Rodhya o a Hansell se doveste aver bisogno di qualche consiglio. Sono due persone molto in gamba e degne della massima fiducia. - Max si lasciò sfuggire un sorriso - Questo non significa che cercherò di portarti via il trono. Non vorrei neppure il mio... -
Lhara ricambiò il sorriso poi si alzò in piedi. - E’ stata una giornata faticosa, soprattutto per voi. Spero che la Confederazione, e Hornem, abbiano finalmente capito di non essere i signori del sistema! - Tornò seria. - Vi chiedo ancora scusa per essermene andata senza salutarvi, l’altra volta, ma... - Deglutì, un po’ a disagio. - Sono davvero onorata di avere la vostra amicizia. E’ molto importante, per me... Grazie! - Si avvicinò ad ognuno di loro, abbracciandoli con affetto. Quando fu la volta di Shiri la strinse forte e le bisbigliò all’orecchio: - Salutami Kyle. Ed io saluterò Bren per te... -
La ragazzina annuì arrossendo leggermente prima di lasciarla andare.
L’indomani, dopo aver scortato la giovane regina fino all’aeroporto, Max e Michael si recarono al palazzo del governo, dove erano già ad attenderli Isabel, Jason e Shiri, ed insieme fecero il loro ingresso nella sala consiliare.
La riunione si protrasse per l’intera giornata perché Max voleva essere certo che sia il Consiglio sia il Comitato avessero le idee ben chiare, poi venne il momento in cui poterono congedarsi da Rodhya e Hansell.
Quando furono a bordo dell’astronave che li avrebbe ricondotti sulla Terra Isabel costrinse il fratello ad andare a riposarsi. - Sembri distrutto, e non intendo sfracellarmi al suolo subito dopo il decollo! Quindi... - Gli indicò con decisione la porta della cabina che avrebbe diviso con Michael e Jason, poi andò a sedersi davanti ai comandi. - Coraggio, Shiri, facciamogli vedere come siamo in gamba! - Fece l’occhiolino alla nipote, che si affrettò ad accendere i motori sorridendo imbarazzata. - Veramente, Jason è molto più bravo di me... - ammise.

Con un’esclamazione di gioia Diane si slanciò verso Liz e la strinse con affetto poi si chinò sul passeggino e studiò attenta i due neonati. - Oh, santo cielo, ma sono una meraviglia! - disse piano. Tese una mano per sfiorare la guancia soffice di Claudia, che spalancò gli occhioni nocciola e sorrise.
- Lei è Claudia, mentre dietro c’è Ethan... - le spiegò la ragazza.
- Dio mio, Liz, è... è incredibile... Sono così contenta che abbiate avuto altri due bambini... - Diane si girò un attimo per guardarla negli occhi. - A volte avevo l’impressione che Max e Isabel fossero troppo soli... Non invitavano mai nessuno a casa, e... - Scosse piano la testa, la voce incrinata per l’emozione. - E’ stata una vera fortuna, per Max, incontrarti... -
Liz sorrise divertita. - Veramente la fortuna è stata mia! - Alzò lo sguardo sull’elegante costruzione a due piani. - Mi sembra bellissima... -
- E devi vederla dentro! - Maria ammiccò soddisfatta. - Sono sicura che ne resterai entusiasta! - La prese sottobraccio sospingendola verso l’ingresso, mentre Diane si affrettava a seguirle spingendo il passeggino, più interessata ai due neonati che alla villetta.
L’agente immobiliare che le stava aspettando rispose esaurientemente a tutte le loro domande, e alla fine Liz si rivolse alla suocera. - Diane, pensi davvero che possa andare? -
La donna le sorrise con affetto. - Ci sono venuta ieri insieme a Phillip, giusto per sentire anche il suo parere, e anche lui ha convenuto che si tratta di una casa solida e sicura. L’importante è che piaccia a te. - Il sorriso le si allargò, mentre un’aria di complicità le illuminava lo sguardo. - E sono certa che Max concorderà con la tua decisione... -
- Di questo ne sono più che certa anch’io! - esclamò Maria ridendo. - Allora? Che ne dici? - sollecitò l’amica.
Liz fece un lento giro su se stessa. Avevano esplorato con attenzione entrambi i piani, curiosato in tutte le stanze, studiato il panorama che si godeva dalle finestre, le cui grandi vetrate lasciavano entrare a fiotti la luce solare dando all’insieme un’aria allegra e confortevole. Sì, adorava quella casa, e già immaginava come avrebbe potuto arredarla... Sospirò, consapevole di stare per prendere una decisione molto importante, poi raddrizzò la schiena e si fece coraggio. - Va bene. La prendo -
- Wow! - Maria si impossessò del passeggino. - Mentre voi prendete gli ultimi accordi io porto i due pargoletti a fare un giro fuori! - E se ne andò tutta contenta.
Poco più tardi venne raggiunta da Diane e Liz, ancora sottosopra per l’eccitazione, e suggerì di andare a festeggiare al Crashdown. - Così anche i tuoi genitori potranno vedere Claudia e Ethan -
- Ottima idea! Ci ritroviamo lì, allora? -
- Ok. - Liz si diresse verso il fuoristrada, ma mentre tirava fuori dalla borsetta le chiavi si girò verso Diane. - Avverti anche Phillip: mi farebbe piacere che ci fosse pure lui... -
- Certo, lo chiamo subito! - La donna prese il cellulare e telefonò al marito, poi salì sulla sua auto e si diresse verso il locale dei genitori di Liz.

- Mamma? - Liz si affacciò nel disimpegno da cui si passava alla zona privata e sorrise alla madre, che si affrettò a posare i libri contabili che aveva in mano e corse ad abbracciarla. - Liz! Quando sei arrivata? -
- Al Crashdown cinque minuti fa, a Roswell più o meno verso le undici... -
- E...? -
La ragazza s’illuminò in volto. - Sì, ci sono anche loro! Vieni! - La prese per un polso e se la tirò dietro fino al tavolo dove si erano già sistemati gli altri.
Nancy Parker salutò cordialmente gli Evans e Maria, poi si avvicinò al passeggino e contemplò estasiata i due bimbi. - Ciao... - disse piano, sorridendo commossa quando loro agitarono le manine verso di lei. Poi si raddrizzò, e si rese conto di qualcosa. - Max non c’è? -
Liz infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans, imbarazzata. - Ehm... no... Lui è... è rimasto ad Albuquerque... Doveva studiare per un esame. - terminò, cercando di suonare convincente.
Sua madre la fissò sdegnata. - Vorresti dire che ti ha fatto venire fin qui da sola?!? Ma... hai partorito appena tre giorni fa! Poteva anche fare uno sforzo e accompagnarti, no? -
- Mamma, ti ho detto che aveva da fare! Credimi, se avesse potuto sarebbe venuto con noi! - cercò di placarla Liz.
- Beh, io non capisco! Diane, Phillip, scusatemi ma penso che vostro figlio sia davvero un irresponsabile! -
In quel momento arrivò Amy, trafelata. - Per fortuna siete ancora qui! Maria, mi dispiace, ma avevo dimenticato a che ora sareste venute e... Ciao, Nancy. Diane, Phil... - Si accorse poi della tensione che c’era nell’aria e sorrise a disagio. - Ho... interrotto qualcosa? - Ma prima che qualcuno potesse parlare vide i due bambini e si avvicinò a loro. - Ehi, siete due veri angioletti! - esclamò estasiata.
Maria roteò gli occhi con una smorfia. Sua madre sapeva essere una vera forza della natura, a volte! In meno di venti secondi era riuscita ad interrompere una conversazione che stava cominciando a diventare molto imbarazzante, aveva salutato tutti e si era accattivata la simpatia degli ultimi nati della famiglia Parker Evans... Guardò Liz, un po’ preoccupata. La vide tesa, rigida, senza più una briciola dell’entusiasmo per la nuova casa, e se ne dispiacque.
Mordendosi le labbra Liz prese il menu e cominciò a studiarlo, nonostante lo conoscesse a memoria. - Se non ti dispiace, mamma, vorrei ordinare. Ho molta sete - disse con voce distante.
- Ti prego, Liz, non fare così... - cercò di rimediare Nancy. - E’ solo che io mi preoccupo per te, e sapere che hai dovuto guidare così a lungo, con due neonati... -
- C’era Maria, con me. E Claudia e Ethan sono molto tranquilli, come puoi vedere - ribatté lei senza distogliere lo sguardo dal foglio ricoperto di plastica.
- Scusami... - mormorò allora la donna.
A quel punto Liz depose il menu sul tavolo e la guardò dritta in volto. - Mi fa male sentirti parlare in questo modo di Max ogni volta che non fa esattamente quello che tu pensi dovrebbe fare! E’ vero, a volte il nostro comportamento può sembrare incomprensibile, ma ti prego di credermi: Max è l’unica persona al mondo con cui desidero stare, e questo deve bastarti! - Detto questo si rivolse a Phillip Evans. - Phil, qui ci sono i dati dell’agenzia. Puoi occupartene tu, per favore? -
L’uomo prese il biglietto da visita e, dopo avergli dato una rapida occhiata, lo infilò nella tasca interna della giacca. - Certo, cara. - rispose semplicemente.
Nancy sospirò. Perché non riusciva a recuperare il rapporto che aveva una volta con sua figlia? Le spalle le si abbassarono. “Forse perché non riesco ad accettare il fatto che sia cresciuta...” Dopo una breve esitazione sedette davanti a lei e le coprì una mano con la propria. - Liz, mi dispiace... Hai ragione, sapere che sei felice con Max dovrebbe bastarmi, e invece... - Accennò un pallido sorriso. - Sono contenta che tu abbia sposato un ragazzo di cui sei profondamente innamorata e che ricambia il tuo amore, e ti chiedo scusa per le parole che ho detto. -
La ragazza fece un piccolo cenno col capo, a indicare che accettava le scuse, poi si schiarì la gola. - Dov’è papà? -
- E’ dovuto andare in banca, ma dovrebbe essere di ritorno a momenti. Vi va di fermarvi qui a pranzo? - chiese speranzosa.
- Ok - accettò Liz, dopo una brevissima esitazione.
- Restate anche voi, vero? - chiese ancora Nancy rivolgendosi agli Evans.
- Certo, perché no? -
- Amy? -
- Grazie, volentieri. Posso... posso dirlo a Jim? -
- Naturalmente! -
Da quel momento in poi la conversazione andò avanti senza problemi e quando Liz dovette allontanarsi per allattare i bambini Nancy si offrì di andare con lei per aiutarla.
Nel tardo pomeriggio le due ragazze ripartirono per Albuquerque.
- Allora? Non mi sembra che sia andata così male, no? -
Liz mise la freccia e superò l’auto che la precedeva, poi rallentò fino al limite di velocità consentito. - Già - Sorrise. - Quella casa mi piace davvero, sai? -
- Ne sono contenta. - Si girò a dare una carezza ad Ethan. - Liz, cosa... cos’hai provato la prima volta che Jason ti ha detto... che era... beh... un maschietto? -
- Veramente non si è trattato di parole, ma solo di una percezione. Ho... sentito... che era un “lui”! -
- Ah... - Maria tornò a guardare davanti a sé. Dopo pochi minuti si girò verso di lei. - Sentito come? -
- Che era giusto parlargli come se fosse un maschio... Insomma, qualcosa del genere. -
- Capisco... -
- Maria? -
- Cosa? -
- E’ un maschio? -
La ragazza fece un sorriso smagliante. - Credo di sì! -
- Fantastico! - Liz guardò i figli dallo specchietto retrovisore. - Ehi, fra non molto avrete un cuginetto con cui giocare! -
Stavolta Maria si mise a ridere. - Aspetta almeno che sia nato, prima! -
Nei giorni che seguirono Maria aiutò moltissimo l’amica, occupandosi dei due neonati mentre lei si concentrava nello studio, e quando arrivò il giovedì l’accompagnò al campus.
Liz era molto agitata, sapeva di avere la testa presa da troppi pensieri, e temeva di non essersi preparata a sufficienza, eppure voleva con tutta se stessa superare quell’esame. Così gliene sarebbero rimasti soltanto due, e magari avrebbe potuto aiutare Max, cui invece ne mancavano quattro... Doveva farcela, accidenti!
Quando entrò nella stanza dove stavano già prendendo posto altri studenti era talmente carica di energia nervosa che affrontò la prova come se fosse il suo peggior nemico, con freddezza e determinazione. E fu ricompensata, perché ottenne il massimo dei voti. Sentendosi leggera come una piuma corse fuori dell’edificio e abbracciò forte Maria, poi si chinò a deporre un bacio sulla fronte dei figlioletti. - La vostra mamma è stata grande, sapete? -
- Già, ma io mi sono quasi intossicata a furia di annusare olio di pino per calmarmi! Sai che ti dico? La prossima volta ti aspetto a casa! -
- Guarda che hai insistito tu per accompagnarmi! - protestò ridendo Liz.
Maria fece per obiettare ma sentì il trillo del suo telefonino e cominciò a rovistare nella borsa. - Dove diavolo si è infilato? Ah, eccolo! - Si affrettò a prendere la comunicazione, e il volto le s’illuminò di gioia. - Michael! -

- Oddio, eccoli! Mamma mia, Liz, e adesso che faccio? Glielo dico subito? Aspetto di essere a casa? Oppure è meglio domani, dopo che si sarà riposato? Il viaggio da Antar è sempre così faticoso... -
- Maria, falla finita, ti prego! Vedrai che riuscirai a capire qual è il momento adatto! - Scuotendo esasperata la testa Liz sterzò bruscamente per evitare un sasso rotolato fin sul bordo della strada sterrata e avanzò fino ad uno spiazzo abbastanza largo da consentirle di fare inversione di marcia. - Avanti, scendi! Ai bambini ci penso da sola, ok? -
- Ok - In preda all’ansia la ragazza scese dalla vettura, dimenticando di richiudere lo sportello dietro di sé.
Liz tirò il freno a mano, si girò per controllare che i figli stessero bene e poi scese a sua volta. - Tra poco sarò di ritorno con Max e gli altri, per cui comportatevi come si deve, d’accordo? -
Ebbe il tempo di fare solo pochi passi prima che Max si precipitasse verso di lei e la stringesse in un caldo abbraccio. Con un sospiro di felicità gli passò un braccio intorno alla vita e l’altro intorno al collo, prima di incollare le labbra alle sue.
Dietro di loro Jason fece un cenno alla sorella. - Vieni, devono essere in macchina! -
- Non dovremmo prima salutare la mamma? -
- Shiri, vuoi vederli adesso o fra un’ora? -
Con una spallucciata la ragazzina gli si affiancò e poco dopo se ne stava accovacciata in ammirata contemplazione dei due piccoli.
- Claudia, Ethan, vi presento Shiri! -
- Smettila, stupido! - Shiri diede una leggera spinta al fratello, poi slacciò la cintura che teneva bloccato Ethan e lo prese in braccio. - Santo cielo, come sei piccolo! -
Jason la guardò con affetto. - Tu eri come lui, quando mamma ti affidò a me dicendomi di portarti su Antar... -
- Davvero? -
- Sì. Ero così preoccupato che potessi farti male stringendoti troppo forte... e allo stesso tempo avevo paura di perderti. Non avevo mai portato nessuno con me, prima... -
- Ma io ti sentivo. Ricordo che la tua mente era collegata con la mia... avvertivo i tuoi pensieri, le tue emozioni... - Shiri si volse a sorridergli. - Sei molto simile a papà. -
- Lo prendo come un complimento. -
- Lo è - Così dicendo la ragazzina arretrò fino ad uscire dal fuoristrada. - Guarda, c’è la zia Isabel! -
- Oddio, Shiri! - Sentendosi gli occhi inspiegabilmente pieni di lacrime Isabel le si avvicinò e guardò incantata il neonato.
- Questo è Ethan. Jason si sta invece occupando di Claudia... -
- Posso... posso prenderlo in braccio? -
- Certo! - Shiri le consegnò il bimbo e sorrise incerta. Poteva percepire il profondo turbamento che agitava la zia ma non era sicura di comprenderne il motivo. Poi, sentendo un rumore di passi, si girò e vide il fratello.
- Credo che stia per addormentarsi... - le bisbigliò.
Nel frattempo Maria aveva cercato rifugio fra le braccia di Michael e lo stava baciando con passione, ma ad un tratto il ragazzo le prese il volto con entrambe le mani e lo scostò da sé. - Chi diavolo è Mathias? -
- Come? - Maria lo fissò confusa, e lui ripeté duramente: - Chi è Mathias? Perché pensi a lui mentre baci me?!? -
- Ma...Mathias? -
- Sì, Mathias! - Il nome gli uscì dalle labbra come una bestemmia, e una luce omicida gli apparve negli occhi mentre si allontanava da lei con disgusto. - Sono stato via meno di tre settimane, e tanto ti è bastato per... Lo sapevo che non dovevo fidarmi... Lo sapevo! -
Maria lo fissò incredula. - Ma... che accidenti stai dicendo? - Gli afferrò un braccio, aumentando la stretta quando lui cercò di liberarsi. - Che accidenti stai dicendo? - domandò ancora, pallida per la furia che stava montando in lei.
- Mi stai prendendo in giro? -
- Come... come puoi pensarlo? Santo cielo, Michael, ti rendi conto di quello che stai dicendo?! - Sconvolta, la ragazza lo lasciò andare. - Tu... pensi davvero che io potrei avere un... un altro uomo? Per chi diavolo mi hai preso? - Senza accorgersi delle lacrime che avevano cominciato a rigarle le guance si afferrò i lembi della maglietta e la sollevò fino a scoprire la pelle scintillante dello stomaco. - Mathias è tuo figlio! - disse con voce stridula, prima di fuggire via.
Michael rimase a guardarla allontanarsi senza saper cosa fare. Non riusciva a capire. Mathias... era suo figlio? Maria stava aspettando un bambino? Il loro bambino? Ma come...? Disperato per l’enormità dell’errore commesso cominciò a correrle dietro gridando il suo nome finché riuscì a raggiungerla e ad afferrarla da dietro. - Maria, ti prego, perdonami!... - La bloccò con forza, arrivando quasi a sollevarla da terra, incurante dei suoi calci furiosi. - Maria, per favore! -
- Lasciami andare, idiota! -
- No, mai! Mai... mai... - Angosciato, premette la guancia contro la sua. - Ti chiedo perdono... Ho detto delle cose orribili... scusami... Io... io ho perso la testa... Quando ho sentito che, mentre ti baciavo, nella tua mente c’era... amore... per Mathias... mi sono sentito malissimo... Non avevo capito... Perdonami... -
Maria cercò di trattenere i singhiozzi e smise di scalciare. Michael era cresciuto cercando di tenere tutti a distanza per evitare di soffrire più di quanto avesse già sofferto, e nonostante l’amore che provavano l’uno per l’altra continuava a sentirsi insicuro. - Michael... - mormorò con voce soffocata dal pianto, - sono incinta di un mese. Mathias è nostro figlio... - Dalle labbra le uscì una risata strozzata. - Il giorno dopo aver capito che era un maschio stavo sfogliando una rivista e quando... quando ho letto quel nome... ho sentito che era il nome giusto... -
- E’... un bel nome... - sussurrò Michael sfiorandole con un bacio gentile la pelle umida di pianto.
- Non devi dubitare di me. Non potrei mai tradirti... - La voce di Maria era quasi impercettibile, ma lui la sentì perfettamente. - Lo so. Mi spiace averti ferito... Io... ti amo tanto eppure... riesco a farti sempre del male... -
- E’ vero. -
Il giovane si sentì morire dentro. - Maria... -
Tirando su col naso lei chinò il mento. - Non preoccuparti... Per favore, mettimi giù, mi sta venendo da vomitare... -
In preda all’ansia Michael abbassò le braccia finché la sentì toccare di nuovo il terreno. - Cosa posso fare per aiutarti? -
- Tienimi... tienimi contro di te... - Sentendosi a pezzi Maria appoggiò la nuca contro la sua spalla, il viso rivolto verso l’alto, e fece dei lenti respiri profondi.
Mentre con una mano la sosteneva a sé con l’altra le carezzò la fronte e i capelli. - Va meglio? - chiese dopo un po’.
- Mm... -
- Maria? -
- Sì? -
- Posso... posso toccarti la pancia? -
- E’ ancora troppo piccolo... - Sorridendo con dolcezza gli spostò la mano sul ventre, sotto i morbidi pantaloni di tela.
Al contatto con le sue dita qualcosa sembrò vibrare, e Michael chiuse gli occhi, commosso fino alle lacrime. - Ciao, Mathias... -

Liz si staccò da Max per riprendere fiato e gli sorrise, ma subito dopo un pensiero le fece corrugare la fronte. - Dobbiamo sbrigarci ad andare via da qui! - Lo guardò ansiosa. - Se il satellite ha registrato la vostra presenza Ross ci sarà di nuovo addosso! -
Il giovane serrò le mascelle. - Hai ragione... - mormorò cupo. Lanciò un’occhiata intorno a sé. Isabel e i ragazzi stavano accanto al fuoristrada, ma dov’era Michael? Poi lo vide in fondo al sentiero, abbracciato a Maria. - Michael! Dobbiamo andarcene subito! -
L’alieno si volse a guardarlo perplesso ma non fece domande e, presa la compagna per un braccio, l’aiutò a risalire il ripido pendio.
Nell’udire il richiamo di Max Isabel si girò verso di lui. - Cosa c’è? - chiese sconcertata.
- Il satellite spia - fu la scarna risposta.
- Maledizione! - Senza bisogno di altre spiegazioni la ragazza passò il bimbo a Shiri. - Monta su, svelta! Jason, sali dietro! -
Mentre Liz e Max facevano di corsa gli ultimi metri che li separavano dalla vettura, Isabel si affrettò ad infilarsi al posto di guida e avviò il motore, poi si sporse un poco dal finestrino. - Michael, muoviti! - gridò incitando l’amico.
La strada dissestata non consentiva una forte velocità eppure non era facile evitare i tratti più malridotti, ciononostante ascoltò con attenzione il breve resoconto di Liz sulle minacce di Gabriel Ross, e alla fine si morse le labbra preoccupata.
Michael, invece, imprecò apertamente. - Quel bastardo non ci lascerà mai in pace, qualsiasi cosa diciamo o facciamo! - disse risentito, poi, all’ennesimo sobbalzo, si volse preoccupato verso Maria e la vide pallida e tesa. Allora la sollevò leggermente e se la sistemò sulle gambe. - Cerca di non vomitarmi addosso... - borbottò. Le parole erano brusche, ma la tenerezza con cui vennero pronunciate riscaldò il cuore della ragazza, che accennò un sorriso. - Farò del mio meglio. - promise.
- Mi dispiace che stiate così stretti, là dietro - esclamò ad un tratto Liz, - ma non volevamo attirare ulteriormente l’attenzione arrivando con due macchine... - Guardando di sottecchi Isabel aggiunse che Morgan era a Clovis e sarebbe passato ad Albuquerque l’indomani.
- Ok - fu l’unico commento dell’aliena, che continuò a guidare stringendo lo sterzo finché le nocche le divennero bianche.
Quando finalmente giunsero a casa degli Evans trovarono ad attenderli anche Amy e Jim Valenti, che desideravano soprattutto sincerarsi del fatto che Maria stesse davvero bene.
Sulle prime Michael non capì l’ansia con cui Amy li accolse, ma quando si rese conto di quello che era successo pregò Max di controllare le condizioni della ragazza.
- Vuoi dire che hai iniettato sangue tuo nelle vene di Maria?!? - domandò Isabel fissando Liz esterrefatta.
Stringendosi nelle spalle lei guardò Max posare la mano destra sul ventre dell’amica. - Stava morendo. Ho pensato che fosse l’unica cosa che avrebbe potuto aiutarla... Renderla, in qualche modo, simile a me... a voi... - Cercò i suoi occhi, l’ombra di un sorriso sulle labbra.
Isabel comprese che quelle parole non volevano essere un insulto e le restituì il sorriso. - A quanto pare ci sei riuscita -
In quel momento Max lasciò ricadere il braccio. - E’ tutto a posto - rassicurò Maria.
Michael, fermo accanto a lei, respirò di sollievo, rendendosi conto solo allora di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo, e se la strinse al fianco piegandosi a baciarle i capelli. - Ti amo... - disse pianissimo.
Liz si avvicinò alla coppia. - Maria, ti spiace se porto dentro la tua valigia? Si sta facendo tardi e vorrei essere di ritorno ad Albuquerque prima di sera... -
- Lascia, ci penso io! - si offrì subito Jim, guadagnandosi l’eterna riconoscenza di Michael.
- Bene. - La ragazza salutò con affetto Amy e Diane, poi si avvicinò esitante a Phillip, che le sorrise soddisfatto e l’abbracciò, consegnandole senza farsi vedere una piccola busta. - Queste sono le chiavi di casa, e il resto della vincita è già stato versato in banca... - le bisbigliò.
- Grazie - Liz gli diede un bacio sulla guancia, sotto lo sguardo indulgente di Diane e quello sconcertato di Max ed Isabel.
Dopo aver sistemato i gemelli nei seggiolini sedette al posto di guida e si lasciò andare con un sospiro contro lo schienale. - Se non vi spiace vorrei passare un attimo dai miei. Giusto il tempo di salutarli... -
A Max non sfuggì la lieve tensione che le irrigidì il corpo. Senza dire nulla le mise una mano sulla gamba, e lei si girò un istante a guardarlo. Quel tocco, per quanto leggero, aveva subito irradiato un gradevole calore in tutto il suo corpo calmandola. Sorrise, rasserenata. All’improvviso si sentì contenta di vedere i genitori. In fin dei conti desideravano solo il suo bene, anche se a volte sembravano ostinarsi a non capire... E poi, quando fossero stati soli, nella loro stanza, avrebbe detto a Max della casa che aveva comprato. Gli sarebbe piaciuta, ne era certa. Finalmente un posto tutto loro, dove vivere in pace. Forse. Perlomeno finché Ross non avesse deciso che il patto era stato violato, oppure qualcuno, dall’altra parte dell’universo, avesse avuto bisogno del signore di Antar. Ma fino a quel momento lei e Max sarebbero stati insieme. Come sempre... Il sorriso le si allargò. Si sentiva felice.
Dietro di lei Isabel scosse sconcertata la testa. Qualsiasi cosa accadesse, bastava che quei due stessero vicini e di colpo tutto sembrava normale! Era bello sapere di avere accanto qualcuno capace di farti stare bene, comunque ed in ogni caso... Si mordicchiò pensosa le labbra e guardò fuori del finestrino. Avrebbe tanto voluto che Morgan fosse lì, con lei... Poi ebbe un’idea e il volto le si schiarì. L’indomani si sarebbe comprata un vestito nuovo e fatta sistemare i capelli dal parrucchiere, poi avrebbe prenotato un tavolo nel ristorante più romantico di Albuquerque per una cena a lume di candela... Pregustando la piacevole serata reclinò la testa di lato e si addormentò.

Dio, com’era bello sentire il suo respiro tiepido... Piano, per non svegliarla, le mise la punta delle dita sul ventre e si concentrò. Poteva percepire il ritmico pulsare della vita che stava crescendo dentro di lei, e avvertì una fortissima emozione. Si protese leggermente in avanti, fino quasi a sfiorarle le labbra. Avevano fatto l’amore a lungo, con passione, eppure non si sentiva affatto stanco. L’alba era ormai prossima e attese con ansia il momento in cui i primi raggi di sole avrebbero acceso di riflessi d’oro i suoi morbidi capelli. Si sentiva in colpa per aver dubitato di lei, ma era felice perché sapeva di essere stato perdonato. Ripeté fra sé il nome che aveva scelto per il loro bambino. Mathias... Era un nome dolce, che ricordava il suo. Maria. Un nome che portava inciso nel cuore. Anche se non l’avrebbe confessato mai a nessuno.

Scritta da Elisa


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