Riassunto:
L’inatteso incontro con qualcuno legato alle origini di Max e la richiesta
degli ambasciatori della Confederazione offrono altri indizi per la
comprensione del piano di Nasedo, mentre l’approssimarsi della fine degli studi
e la nascita dei gemelli rafforzano il desiderio di una vita normale.
Data di stesura:
dal 26 novembre 2002 al 2 febbraio 2003.
Valutazione:
adatto a tutti, o quasi...
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
La mia e-mail è
ellis@roswellit.zzn.com
- Che c’è? -
L’uomo sollevò le sopracciglia con fare interrogativo ed il suo compagno
sbuffò.
- Sono cinque minuti buoni che mi stai fissando. Cosa c’è? - chiese di nuovo.
Morgan si lasciò andare sospirando contro lo schienale della poltroncina. -
Ripensavo al modo in cui hai messo fuori gioco quei contrabbandieri... -
Michael s’irrigidì impercettibilmente e rimase in silenzio, cercando di
decifrare l’espressione sul bel volto virile del socio.
- Usi spesso i tuoi poteri quando lavori? -
Il giovane digitò alcuni comandi sulla tastiera del suo computer e il documento
scomparve dal video. - Sì. Evito di farmi vedere, naturalmente, ma li uso ogni
volta che ne ho bisogno. Ho imparato diversi trucchetti molto utili, e non
lasciano alcuna traccia - Sorrise con durezza. - Qualcosa in contrario? -
- No. No... - Morgan scosse piano la testa mentre con la mano tamburellava
distratto sulla scrivania.
Michael incrociò le braccia sul petto, serio in volto. - Siamo diversi da voi,
siamo degli ibridi, in parte umani e in parte alieni, con tutto quel che ne
consegue. Lo sapevi quando mi hai chiesto di lavorare per te, e io non ho
alcuna intenzione di rinunciare ai miei poteri solo perché ti danno fastidio! -
- Non ti ho chiesto di farlo -
- Ce l’hai scritto in faccia -
Morgan si alzò bruscamente in piedi e andò verso l’ampia finestra accanto alla
porta. Con la destra si prese il braccio ferito e lo tenne fermo contro il
fianco.
- La riprova è che non hai voluto farti guarire da Max - Michael sollevò con
indolenza le gambe sul tavolo. - Lo sai, vero, che anche i tuoi figli avranno
poteri alieni? -
Per un attimo sembrò che non lo avesse sentito, poi Morgan si volse a
guardarlo. - Che vuoi dire? - domandò rudemente.
Il giovane socchiuse gli occhi. - Sei un bastardo. Peccato che me ne sia
accorto solo adesso... - Con un movimento fluido si alzò in piedi e andò verso
la porta.
- Credo che tu mi abbia frainteso. - Con una smorfia Morgan fece qualche passo
nella sua direzione. Usare i vostri poteri è pericoloso. Se veniste scoperti
saremmo tutti quanti nei guai, e l’idea che anche dei bambini innocenti possano
essere... torturati... solo perché... -
Michael emise un profondo sospiro. - Scusami, hai ragione, non avevo capito. -
S’infilò le mani in tasca. Isabel, Max ed io siamo cresciuti con la paura di
finire su qualche tavolo operatorio. Isabel, soprattutto... Eravamo soli contro
tutti, in un certo senso, perché non c’era nessuno di cui potessimo fidarci,
con cui potessimo parlare, ed è stata molto dura. Sotto questo aspetto Jason e
Shiri sono più fortunati, perché hanno accanto persone in grado di capirli e
aiutarli. Ma non commettere l’errore di credere che, se non useranno i loro
poteri, i tuoi figli saranno al sicuro... Nessuno di noi lo sarà mai -
A quelle parole l’uomo parve trasalire, poi gli voltò le spalle e tornò a
sedersi dietro la scrivania. Nonostante la ferita le sue mani sembrarono volare
sulla tastiera.
- Che diavolo stai facendo? - chiese perplesso Michael avvicinandosi al
monitor.
Morgan continuò a premere tasti a tutta velocità. - Non lo riconosci? -
borbottò senza staccare lo sguardo dalle stringhe di dati che stava immettendo.
- Cosa? -
- Un attacco di paranoia, ragazzo mio. A quanto pare mi hai contagiato... -
- Ehi, amico, frena! Cosa c’entra la paranoia, adesso? Stavamo parlando di...
Isabel... - Il nome uscì dalle labbra di Michael come un sussurro. Il dubbio e
la preoccupazione velarono i suoi occhi scuri. - Cos’è successo? - chiese a
denti stretti.
- Niente, spero. Ma voglio esserne sicuro -
La giornata fu molto faticosa e quando finalmente si ritrovò fuori del campus
universitario Isabel respirò a fondo per rilassarsi. Lavorare in quel
laboratorio di ricerca si era rivelato un’esperienza davvero interessante, ma
poi c’era stato l’attacco a Liz e di nuovo il lato più pericoloso della sua
vita aveva avuto il sopravvento. Il risultato era che, nonostante l’atmosfera
simpatica e indaffarata che si respirava nell’università di Las Cruces, lei non
vedeva l’ora di tornare ad Albuquerque. Lì sarebbe stata di nuovo insieme a
Max, Jason, Shiri e Liz, e così avrebbe sentito un po’ meno la mancanza di
Morgan. Si guardò intorno con fare distratto ma in realtà voleva controllare i
movimenti di Ivy. La donna sembrava aver accettato senza problemi la sua
risposta negativa però aveva la sgradevole sensazione di sentirsi osservata,
studiata, e le sarebbe piaciuto non doverla più vedere per i pochi giorni che
le mancavano al termine dello stage. Purtroppo non era facile, dato che
facevano parte dello stesso team di ricerca, comunque voleva essere sicura di
riuscirci almeno quando erano fuori del campus! Bene, Ivy doveva essere rimasta
indietro. Con un sorriso radioso tirò fuori le chiavi dalla borsetta e si
affrettò verso la macchina. Doveva passare a casa per cambiarsi e prendere i
libri per andare a studiare da Kendra: in questo modo Ivy non avrebbe potuto
rintracciarla e lei si sarebbe sentita decisamente più al sicuro! Kendra era
una ragazza di diciannove anni molto simpatica che aveva conosciuto quel giorno
a pranzo. Stava preparando uno degli esami che anche lei aveva in programma di
dare il mese successivo, così aveva deciso di approfittarne. Qualsiasi cosa,
pur di restare alla larga da Ivy...
In quel preciso momento Ivy stava dando l’ennesimo strattone alla maniglia
della porta del bagno, la cui serratura aveva deciso di dare forfait.
Finalmente riuscì a sbloccarla e poté lasciare l’angusto spazio, il respiro
ancora ansante per lo sforzo. Con un gesto di stizza si lavò le mani e
controllò il proprio aspetto nello specchio sopra la fila di lavandini.
“Maledetta porta...” Diede un rapido sguardo all’orologio, trovando conferma ai
suoi timori. Quell’inconveniente le aveva fatto perdere minuti preziosi e ormai
Isabel doveva aver lasciato il campus. Avrebbe voluto seguirla e magari, con
una scusa, restare con lei per il resto della serata. Desiderava parlarle fuori
dell’ambito del lavoro perché così, forse, avrebbe capito cosa la disturbava.
Isabel Evans non era la solita stagista, ingenua e sprovveduta. No, tutt’altro,
e sapeva nasconderlo molto bene. Sospirando rassegnata uscì dall’edificio che
ospitava il laboratorio e si diresse al parcheggio. Sulla strada di casa si
fermò ad un grande supermercato e fece la spesa ma i suoi pensieri erano
interamente concentrati sulla ragazza. Non sopportava quell’incertezza, il non
riuscire a mettere a fuoco il senso di disagio che provava ogni volta che
riesaminava la conversazione avuta con lei a proposito dell’offerta di lavorare
per l’aeronautica, e non vedeva l’ora di avere notizie da Joel Sutton, il suo
collega della base militare.
Nei due giorni che seguirono si scoprì ad ammirare suo malgrado l’abilità con
cui Isabel continuava a sfuggirle. Sì, decisamente quella ragazza era speciale
ed era un vero peccato che avesse deciso di seppellirsi a Roswell...
Poi il lunedì mattina, mentre stava incamminandosi verso l’ingresso del
laboratorio, ricevette la chiamata di Joel. Rallentò subito il passo per
rimanere indietro, in modo che nessuno potesse sentirla, e ascoltò sempre più
sorpresa lo sconcertante resoconto dell’uomo. - Non... non posso crederci!... -
mormorò alla fine, sconvolta.
“- E’ così, invece. Il nostro referente deve aver ricevuto una bella lavata di
capo per aver ficcato il naso negli affari privati di uno dei loro... -”
- Morgan Coltrane, eh? -
“- Già, un ex operativo. E uno dei migliori, a quanto sembra -”
- Quando ha lasciato il Bureau? -
“- A dicembre dello scorso anno. Poi, alla fine di maggio, si è sposato con la
tua Isabel Evans. Certo sarebbe stato molto complicato continuare a fare
l’agente sul campo e allo stesso tempo metter su famiglia... -”
- Sì, immagino di sì... - Ivy scosse piano la testa. - Però... mi piacerebbe
tanto sapere come si sono conosciuti. Voglio dire, lei ha vent’anni e studia
ancora, mentre lui... In quale occasione si saranno incontrati? -
“- Bella domanda... Comunque, resta il fatto che il direttore del reparto ha
contattato personalmente il colonnello Avery, e il risultato è stato... oserei
dire... stupefacente -”
- Cioè? -
Joel rise suo malgrado, una risata calda e profonda, quasi sexy. “- Sguardo
gelido, faccia di granito, schiena ancora più dritta del solito. Si è limitato
a dire ‘Lasciate perdere la Evans. E’ un ordine’ -” Sospirò, solidale. “- Mi
spiace, non mi ha lasciato alcuno spazio di manovra. Quella ragazza è
definitivamente fuori della nostra portata... -”
- Maledizione! -
“- Ivy, ti conosco fin troppo bene. Dammi retta: lascia perdere la tua
curiosità, per questa volta, d’accordo? Ho la netta sensazione che resteresti
con le spalle scoperte -”
- Non so perché ma penso che tu abbia ragione... Ok, Joel, ho recepito il
messaggio. -
“- Bene. Allora... a presto -”
- A presto. - La donna chiuse il cellulare e se lo infilò in tasca. “Federali.
Puah, che brutta razza! Ah, Isabel, chi te l’ha fatto fare?”
A mezzogiorno e un quarto Ivy si avvicinò ad Isabel per invitarla a pranzo.
La ragazza cercò di rifiutarsi con garbo ma davanti alla sua insistenza dovette
cedere. Stavano attraversando il piazzale dirette verso un piccolo ristorante
cinese quando un’auto verde scuro si fermò poco distante da loro e ne scese un
uomo alto e bruno.
- Morgan! - Gli occhi di Isabel si illuminarono di gioia nel vedere il marito,
mentre la sua compagna osservava in disparte i due abbracciarsi e darsi un
rapido bacio sulle labbra.
Poi la coppia si volse verso di lei. Isabel mormorò qualcosa e Morgan fissò Ivy
con attenzione.
Decisa a non farsi intimidire la donna andò loro incontro. - Salve, dunque tu
sei il marito di Isabel? - Morgan strinse la mano che lei gli tendeva.
- Io sono Ivy Deynier -
- Sì, me lo ha detto Isabel. - Un piccolo muscolo gli vibrò sulla mascella. -
Spero che abbia rinunciato ad indagare su di lei -
Ivy sorrise un po’ ironica. - Ho recepito il messaggio -
- Perfetto - Morgan si strinse la moglie al fianco. - Stavate andando a pranzo?
-
- Già. Ti unisci a noi? -
Più tardi, mentre Ivy precedeva Isabel all’interno del laboratorio di ricerca,
Morgan accarezzò con mano leggera la schiena della moglie. - Mi sono preso quei
famosi giorni di vacanza. Ti aspetto a casa, va bene?
- Va benissimo! - La ragazza sorrise contenta. Stava cominciando a capire le
parole del fratello. L’amore che provava per Morgan le dava forza, era la sua
forza, e non aveva alcun senso negarlo a se stessa. Aveva bisogno di lui, per
dare stabilità ad una vita altrimenti troppo difficile da affrontare. Per forza
Max si era aggrappato a Liz con tutto se stesso! Avevano bisogno di un punto
fermo, di qualcuno di cui fidarsi ciecamente, su cui poter contare in ogni
istante, altrimenti tanto valeva abbandonare ogni speranza di normalità e
tornare su Antar. Ma lei voleva restare sulla Terra. Amava quel pianeta, amava
i suoi genitori adottivi e tutte le persone che, in un modo o nell’altro, erano
diventate importanti per lei. Con passo più leggero si incamminò dietro la sua
collega.
Quando la vide entrare Ivy le fece l’occhiolino. - Ora capisco perché sei così
determinata a tornare a Roswell... Complimenti, Morgan è davvero un bel
ragazzo! -
- Ti ringrazio a suo nome - Isabel inclinò leggermente il capo, accennò un
sorriso e raggiunse la sua postazione. Morgan doveva avere un motivo ben
preciso per essere venuto a Las Cruces. Probabilmente si trattava di Ivy. Forse
aveva continuato ad indagare su di lei, nonostante tutto, e l’FBI non doveva
avere apprezzato. Sapeva che negli archivi c’era una scheda su ognuno di loro,
ma era protetta da un codice di sicurezza di massimo livello e la ricerca
doveva essersi arenata contro quell’ostacolo. Certo, l’esistenza di quelle
schede la mandava in bestia, ciononostante era un prezzo che poteva permettersi
di pagare finché il Bureau avesse mantenuto la propria parte dell’accordo...
Dalla tasca dei pantaloni di seta estrasse un elastico e si legò i capelli con
fare assente prima di riavviare il programma su cui stava lavorando.
Quando tornò a casa placcò letteralmente Morgan contro la porta dell’ingresso.
- Guai a te se non mi dici subito perché sei qui! E’ per Ivy, vero? -
L’uomo fece una smorfia per il dolore provocato dall’urto del braccio ferito. -
Sì - borbottò guardandola negli occhi, - ma è tutto a posto. Avevo avvertito
David, che ha potuto bloccare il tentativo di accesso creando una scheda
fantasma... -
- Che diavolo è una scheda fantasma? - chiese Isabel sconcertata.
- Una scheda temporanea. Quella donna non avrebbe smesso di cercare finché non
avesse trovato qualcosa, e noi le abbiamo dato un’esca. Che ha inghiottito con
tutto l’amo, in effetti. - Davanti alla sua espressione severa si affrettò ad
aggiungere una spiegazione. - D’accordo col direttore ha inserito i tuoi dati
collegandoli al nostro matrimonio. E’ una procedura standard, in effetti, solo
che in questo caso ha dovuto creare un doppione con il livello di sicurezza di
base. Quello reale avrebbe sollevato altri dubbi... -
- Già, lo credo bene! - La ragazza sospirò per il disappunto. - Quando ci penso
mi sento come se avessi un cartello in testa con su scritto ‘top secret’... -
Si scostò da lui e indietreggiò di alcuni passi. - Ti ho fatto male, vero? -
domandò con voce sommessa.
- Mi passerà se mi farai un po’ di coccole. -
- Oh, davvero? Beh, sì, potrebbe anche essere... - Lo prese per mano e lo
condusse fino alla stanza da letto.
- Sei sicuro di volertene andare? -
- Sì, Altezza - Lou Krentz abbassò un attimo la testa poi la eresse di nuovo. -
Io... ho esaurito il mio compito, qui. I prìncipi sanno come difendersi, e la
mia signora è al sicuro accanto a lei. Credo... credo che ormai sia tempo, per
me, di tornare a casa. Vorrei partire non appena sarà possibile farlo senza
rischi, naturalmente, ma desideravo comunicarglielo per tempo. -
Max lo fissò a lungo, in silenzio. Sapeva che Lou era rimasto fino ad allora
soprattutto per proteggere Shiri, però si era accorto della sottile tensione
che negli ultimi tempi lo pervadeva sempre più spesso. - Di che si tratta? -
chiese ad un tratto.
L’ufficiale si irrigidì, chiaramente imbarazzato. - Mi sono reso conto che c’è
una notevole differenza tra prendersi cura di due bambini e difendere due
adolescenti. Dovrei... spiarli, in un certo senso. Sapere tutto quello che
fanno, che dicono... Io non... non credo di essere in grado di farlo. -
Ripensando all’affetto che Jason e Shiri provavano per lui, al piacere con cui
stavano in sua compagnia, il giovane corrugò la fronte. - Tu sei più un amico
che una guardia del corpo, per loro... Anzi, per tutti noi. Ma... penso di
capire cosa intendi... Va bene, sei libero di fare come preferisci. Sei stato
fin troppo generoso a restare per tutto questo tempo su un mondo che non è il
tuo... -
- Se davvero potessi aiutare i ragazzi resterei qui per il resto della mia
vita, Altezza, però loro non hanno più bisogno di me. -
- Forse no, comunque presto ci saranno altri bambini. -
Le labbra di Lou si tesero in un piccolo sorriso. - Già. E anche per questo
desidero andarmene. Lei e la mia signora avete bisogno di vivere normalmente,
non con un soldato sempre attorno... Ora... è tempo che io segua l’esempio del
colonnello Anders. E’ stato un vero piacere servirla, Altezza, e spero che un
giorno torni su Antar... -
Troppo emozionato per parlare Max si limitò a portarsi una mano al petto,
rispondendo al segno di saluto dell’uomo, poi rimase a guardarlo andarsene per
uno dei suoi soliti giri di controllo. Lou si era dimostrato un uomo fedele e
prezioso, cui non aveva mai esitato ad affidare la vita dei figli, e il minimo
che poteva fare per lui era consentirgli di tornare al suo mondo. Chiuse per un
attimo gli occhi. Doveva soltanto attendere che fossero tutti ad Albuquerque.
Allora, con l’aiuto dei graniliti, avrebbe fatto quello che andava fatto, e
nessun satellite avrebbe potuto scoprirlo. Serrò involontariamente i pugni. Non
sopportava di essere tenuto sotto controllo in quel modo... Poi udì Liz che
usciva dal bagno e si affrettò a raggiungerla nella loro camera. Aveva bisogno
di lei. Aveva sempre bisogno di lei.
La ragazza lo accolse sorridendo. - Hai visto quanto è aumentata la mia pancia?
- disse scostando i lembi dell’asciugamano per mostrare la pelle tesa e
luminosa.
- Sei bellissima... - Le mise una mano sul ventre concentrandosi per alcuni
istanti. - Tutto a posto - disse poi.
- Lo so, li sento! - Liz gli coprì la mano con la propria, e trattenne il
respiro quando incontrò i suoi occhi. Si lasciò sospingere sul letto, incapace
di pronunciare una parola, poi lui le si inginocchiò davanti e da quel momento
smise di pensare coerentemente.
Mezzanotte era passata da un pezzo quando il corpo di Max si arcuò un’ultima
volta e lei gli si accasciò sopra. - Adoro il lunedì... - sussurrò non appena
fu in grado di parlare.
- Anch’io... - Ancora ansimante Max la sospinse di lato, le passò una gamba
sulle sue e fece scivolare una mano lungo la schiena. - Stanca? - mormorò dopo
un poco, dandole un bacio sensuale sul collo.
- Sì. Non potrei muovermi neppure se lo volessi. E ti assicuro che non ne ho
alcuna intenzione... - Sorridendo gli circondò la vita con un braccio. - Credo
di aver cominciato a fantasticare su di te il giorno stesso in cui mi salvasti
al Crashdown, e ogni volta mi dicevo che ero pazza... che fra noi due non
sarebbe accaduto mai niente... che tu non pensavi a me in quel modo... Poi,
quella volta che mi baciasti nel retro della cucina... - Tacque, vagamente
impacciata, e lui rise piano. - Quella volta hai rischiato grosso, sai? -
continuò al suo posto. - In ogni caso, ti sbagliavi. Ho cominciato a pensare a
te in quel modo fin da quando ho capito la differenza fra ragazzi e ragazze...
-
- Davvero? Beh, lo hai saputo nascondere molto bene, devo dire! -
- A quel tempo... - Max sollevò la testa per baciarla sulle labbra, - ero un
campione... - la baciò di nuovo nel nascondermi... Non mi vedeva nessuno... -
Un altro bacio.
- Finché ti sei fatto vedere da me... - Liz gli infilò una mano tra i capelli e
lo baciò a sua volta. - E... sentire... - mormorò con un gemito spezzato mentre
ricominciava ad amarla.
- Io e te... insieme... - le sussurrò Max fra un ansito e l’altro, - possiamo
smuovere i pianeti... - Iniziò a muoversi sempre più velocemente, respirando il
suo respiro, bevendo i suoi lamenti soffocati, premendo contro di lei come a
volersi annullare nel suo corpo. - Ti amo... ti amo... ti amo... - Le circondò
il volto con entrambe le mani e la baciò con infinita passione.
La ragazza gli si aggrappò alle spalle con tutte le forze, inseguendo il ritmo
ed il piacere che solo lui sapeva darle, e continuò a stringerlo anche dopo
aver toccato il cielo. Erano ancora uniti, sudati e percorsi dagli ultimi,
lunghi brividi, e si addormentarono così.
Quando i primi raggi di sole le sfiorarono il viso Liz si svegliò. Max dormiva
ancora, disteso contro il suo fianco, e lei gli carezzò gentilmente il braccio
con cui le cingeva il busto. “Non ne ho mai abbastanza di te, amore... E’ cosi
bello averti accanto in questo modo... Mi sembra... un sogno...” Si sporse in
avanti per baciarlo nella fossetta alla base del collo e rimase a guardarlo
finché aprì gli occhi. - Ciao... - sussurrò allora.
Lui le sorrise e senza parlare si girò sulla schiena trascinandola sopra di sé.
Giocherellò coi suoi capelli, poi emise un profondo sospiro e prese a baciarla
finché Liz dovette scostarsi un attimo per riprendere fiato. Allora Max le mise
una mano sulla nuca e l’altra sull’incavo della schiena prendendola con forza e
determinazione.
Colta alla sprovvista Liz gemette e s’irrigidì prima di cominciare a muoversi
all’unisono con lui. - Sei... sei terribile... - mormorò con una risatina
tremante.
- No... - Il giovane la spinse maggiormente contro di sé, gli occhi chiusi ed
un’espressione di pura estasi sul viso. - Solo... pazzo di te... -
Dopo, l’abbraccio di Max si fece più tenero, le sue labbra sfiorarono le guance
di Liz con una miriade di baci leggeri, ed il battito dei loro cuori, un poco
alla volta, si placò.
La ragazza gli accarezzò il petto, a lungo, in modo quasi ipnotico. - Sarà
sempre così, fra noi? - chiese piano.
- Io... penso di sì... se lo vorremo... - rispose lui dopo un po’.
- Io lo voglio. E tu? -
Max le infilò le dita fra i capelli. Amava toccarli, sentire il loro calore, il
loro profumo. - Più di ogni cosa. - disse in un sussurro.
Liz chiuse per un attimo gli occhi, sentendosi incredibilmente bene. Il corpo
di Max era caldo e solido sotto di lei, e con un sorriso gli diede un bacio sul
torace. - Ricordi quando mia madre ci sorprese a letto insieme? -
- Sì. E’ stata un’esperienza... terrificante!... -
Lei si mise a ridere divertita. - Già. Ma prima... era stato il paradiso... -
- Lo è anche adesso. E’ qualcosa cui non potrei mai rinunciare, e che difenderò
con tutte le mie forze... La vita non avrebbe alcun senso senza di te... -
- Sei incredibilmente romantico, lo sai? - E davanti alla sua espressione
perplessa gli scostò con tenerezza i capelli dalla fronte. - Ora capisci perché
mi sono innamorata di te? Sei... quasi perfetto! -
- Quasi? - la prese in giro Max.
- Quasi - confermò Liz, prima di dargli un rapido bacio sulle labbra. - E’ ora
di alzarci... - disse poi, tirandosi indietro con malinconia.
Max le carezzò fuggevolmente il braccio fino ad intrecciare le loro dita.
- Vieni... - disse ancora lei, tirandolo piano verso di sé.
Più tardi, mentre camminavano verso il centro di ricerche, Max si grattò la
nuca, a disagio. - Lou mi ha chiesto di tornare su Antar. -
- Come mai? -
- Ritiene di... di aver portato a termine la sua missione personale. Jason e
Shiri sono in grado di cavarsela da soli, ormai, e lui si sente di troppo... -
- Capisco... - Liz si aggiustò la cinghia della borsa sulla spalla. - Partirà
con una delle astronavi rimaste? -
Il giovane la guardò di sfuggita. - Preferirei usare i graniliti. E’ meno
rischioso -
- Temevo che avresti detto così... - Con un sospiro la ragazza rallentò il
passo. - E quando conti di farlo? -
- Quando saremo ad Albuquerque, con l’aiuto di Isabel e di Michael. Andrà tutto
bene, vedrai. -
Liz annuì in silenzio. Le dispiaceva perdere Lou. Ormai era diventato parte
della famiglia, e sapeva che era sinceramente affezionato ai ragazzi. Anche
loro avrebbero sentito la sua mancanza, ne era certa...
Giunti davanti al laboratorio in cui lavorava la ragazza si salutarono con un
rapido bacio.
Mentre entrava Liz si accorse dello sguardo assorto di Benson su di sé e si
mordicchiò le labbra imbarazzata. Aveva sentito dire che l’uomo viveva separato
dalla moglie già da tre anni, mentre Malcolm aveva appena ottenuto la sentenza
di divorzio, e temeva che potessero sentirsi a disagio davanti alle
manifestazioni di affetto tra lei e Max. Poi alzò decisa la testa. Al diavolo,
non aveva alcuna intenzione di salutare Max con un semplice cenno della mano
soltanto perché alcuni suoi colleghi non avevano avuto un matrimonio felice!
Nell’ampia sala dove lavorava il team di cui faceva parte Max, invece, erano in
corso alcuni esperimenti e solo un paio di persone sollevarono la testa per
salutarlo.
Il giovane era molto attento e preciso nel suo lavoro e si era guadagnato
subito la stima incondizionata dell’affiatato gruppo di cui era entrato
temporaneamente a far parte. Si aggiustò la manica del camice che aveva
prelevato dal proprio armadietto, nel piccolo spogliatoio in fondo al
corridoio, e si avvicinò al potente microscopio elettronico davanti al quale
Ron, il suo supervisore, stava armeggiando con i campioni che dovevano
esaminare quel giorno.
- Ah, Max, per favore continua tu! Tieni, prendi il registro, ci sono ancora
dei parametri da segnare. Io ho un piccolo problema da risolvere con Lucas... -
- Ok - Max si sedette al posto appena lasciato libero e cominciò a controllare
i valori mancanti. Aveva appena terminato di scrivere l’ultimo dato quando
colse con la coda dell’occhio un tremolio bluastro. Sollevò la testa interdetto
e spalancò gli occhi per la sorpresa. Lasciata cadere la penna che teneva in
mano si affrettò ad afferrare il granilite che, inaspettatamente, era apparso
galleggiando nell’aria. Mentre si faceva scivolare in tasca l’oggetto ovoidale
si piegò a raccogliere la penna, guardandosi intorno per accertarsi che nessuno
si fosse accorto di quel che era appena successo. Nel rialzarsi si rese conto
che il rilevatore accanto al microscopio aveva tracciato l’improvvisa
manifestazione di energia che aveva preceduto l’arrivo del granilite.
Trattenendo il fiato depose il registro accanto a sé e passò la mano sul
piccolo apparecchio cancellando all’istante i dati anomali. Rimase immobile per
un paio di secondi poi volse appena la testa e sospirò di sollievo. I suoi
compagni non si erano accorti di nulla. Deglutì nervosamente chiudendo un
istante gli occhi prima di recuperare il suo sangue freddo e riprendere il
lavoro. Avrebbe voluto correre da Liz e rifugiarsi con lei in un posto sicuro
per ascoltare il messaggio registrato nel granilite ma non poteva farlo, non in
quel momento. Doveva comportarsi come al solito, senza attirare l’attenzione su
di sé, tuttavia quando arrivò l’ora della pausa per il pranzo si diresse senza
alcuna esitazione verso il laboratorio dove si trovava la ragazza.
Liz quasi si scontrò con lui nel corridoio. - Ciao! Vieni a pranzo con noi? -
- Veramente io... desideravo stare un po’ da soli... per conto nostro... -
- Oh, certo! Non preoccuparti, Liz, sono sicuro che la compagnia di Max sia
decisamente migliore della nostra! - Dean sorrise divertito poi, imitato dai
colleghi, affrettò il passo e lasciò indietro i due giovani.
Senza dire nulla Liz si avvicinò al marito, gli passò una mano dietro il collo
sollevando il capo fino a posare le labbra sulle sue e lo baciò.
Max si perse nel calore di quelle labbra morbide, ricambiando il bacio con
tutto l’amore che provava per lei, le mani che carezzavano avidamente il viso
bellissimo e sorridente.
Quando infine si separarono Liz lo fissò con gli occhi luminosi e le
sopracciglia alzate in un’espressione interrogativa. - Max!? -
- Ho... bisogno di parlarti. Ti spiace se prendiamo un panino al bar e poi
andiamo fuori? -
- No, affatto... - Cominciando a sentirsi preoccupata lasciò che lui la
prendesse per mano e lo seguì senza parlare finché si ritrovarono seduti su una
panchina, all’ombra di un piccolo folto di alberi del cotone. Mi sembri molto
teso - mormorò, del tutto dimentica del piccolo involto che teneva in mano.
Il giovane la guardò con intensità, per un lunghissimo secondo, poi chinò la
testa e con la punta delle dita si sfiorò il rigonfiamento all’altezza della
tasca anteriore dei comodi pantaloni di tela che indossava. Ho... ricevuto un
avviso... -
- Che genere di... avviso? -
- Un messaggio. Da casa - La piccola esitazione prima delle ultime due parole
le fece comprendere che si stava riferendo alla sua vera casa. Ad Antar. Tese
una mano a coprire la sua, sforzandosi di rimanere calma. - Lo hai già sentito?
- gli chiese piano.
Lui scosse lentamente la testa. - No, non ancora. Io... volevo farlo con te. -
- Dovremo aspettare fino al pomeriggio, allora... -
- Già - Max cominciò a scartare il proprio panino. - Vorrei che fosse presente
anche Isabel. -
- L’hai chiamata? -
- Non ancora. Pensavo... pensavo che potremmo incontrarci a metà strada... Ma
non ad Anthony. Non vorrei che qualcuno si ricordasse di noi... -
- Allora dove? - indagò Liz, dando un piccolo morso al sandwich senza avere in
realtà più fame.
- Il paese subito prima di Anthony. Non mi ricordo come si chiami, ma dovrebbe
andare bene. Aspetta, le telefono subito... - Estrasse il cellulare dal
taschino della camicia e compose il numero della sorella.
Isabel ascoltò sorpresa le sue parole, poi confermò l’appuntamento ed
interruppe la comunicazione.
- E’ molto diverso da New York... -
- Tu hai vissuto a New York?!? E come fai a sopravvivere a Roswell? - Isabel si
girò un attimo per dare un’occhiata a Morgan, prima di tornare a concentrarsi
sulla strada.
- A New York avevo un appartamento su Central Park, dove trascorrevo del tempo
ogni tanto, tra una missione e l’altra. Ci andavo per riposarmi, e mi piaceva
starci da solo. Semplicemente, ora... preferisco il New Mexico. - L’uomo
sorrise e tese un braccio per accarezzarle la coscia.
- Sei molto gentile... -
- A dire il vero... è che sono disposto a vivere in qualsiasi luogo purché tu
stia con me. -
- Sì, lo so. Quando... quando siamo scappati dall’area 51 tu hai detto che
saresti venuto con noi se avessimo dovuto lasciare la Terra. Non puoi capire
cos’abbia provato in quel momento... - Isabel accennò una risatina, mentre una
lacrima le brillava fra le lunghe ciglia. - E’ stato come il realizzarsi di un
sogno proibito - Lo guardò di nuovo, di sfuggita. - In realtà non credevo che
avrei mai trovato qualcuno che mi amasse come Liz ama Max. Totalmente, senza
alcun timore per quello che sono... - Gli sfiorò con tenerezza la mano, che lui
aveva lasciato sulla sua gamba. - Sono contenta che tu sia venuto con me... -
A quelle parole Morgan sospirò dentro di sé. Avrebbe preferito mille volte
trascorrere il pomeriggio guardando Isabel studiare, e poi cenare insieme e
andare a letto, ma sapeva che per lei Max veniva prima di ogni cosa. E non solo
perché era suo fratello. Per quanto gli riuscisse ancora difficile accettarlo,
quel ragazzo era il sovrano di un intero pianeta e aveva obblighi cui non
poteva sottrarsi, ed Isabel con lui.
- Ci siamo! - Isabel mise la freccia e si immise nella corsia laterale che le
avrebbe permesso di raggiungere l’area di ricreazione scelta come punto
d’incontro.
Nel vederli arrivare Liz si alzò dalla panchina e andò sorridendo verso la
vettura.
- Ciao, Liz! Ehi, la pancia cresce, vedo! - Isabel chiuse con forza lo
sportello dietro di sé e si affrettò ad abbracciare la ragazza. - Tutto bene? -
- Sì, grazie. - Liz ricambiò con affetto la stretta, poi si volse per dare un
piccolo bacio sulla mascella perfettamente rasata di Morgan. - Ciao -
Nel frattempo Max li aveva raggiunti e, dopo aver dato una stretta di mano
all’uomo, avvolse Isabel in un caldo abbraccio.
- Di che si tratta? - domandò Morgan guardando i due.
- Max ha ricevuto un messaggio da Antar, ma per ascoltarlo ha ritenuto più
sicuro che fosse presente anche Isabel. - Liz si mordicchiò le labbra,
sovrappensiero. - Potrebbe trattarsi di una trappola... -
- Come?!? -
- Non sarebbe la prima volta. La loro vita non è mai stata facile, e... e hanno
dovuto imparare a diffidare di tutto e di tutti... -
- Me ne sono accorto... -
Mentre si dirigevano verso la panchina da cui si era alzata Liz Isabel guardò
incuriosita il fratello. - E Michael? -
- Sta controllando la zona. Ho usato l’energia dei graniliti per andare a
prenderlo a Roswell, e credo stia ancora smaltendo il senso di fastidio che gli
dà essere teletrasportato... -
- Beh, devi ammettere che non è una cosa molto simpatica -
Max scosse con noncuranza una spalla. - Però è veloce. Per andare e tornare ci
avrebbe impiegato più di quattro ore, altrimenti. -
La ragazza fece una smorfia. - Questo è vero... Allora, il messaggio? -
- Un attimo di pazienza. Michael dovrebbe essere qui fra poco... -
Si erano appena seduti intorno al tavolo da pic-nic quando il giovane li
raggiunse, con la sua solita aria scanzonata. - Ehi, principessina, tutto a
posto a Las Cruces? -
- Certo, grande generale! E tu che combini, senza Morgan a tenerti d’occhio? -
Michael sbuffò. - Niente di niente - Guardò Max. - Se vuoi, puoi collegarti
subito -
- Ok - Max prese il granilite che si era infilato in tasca e lo fissò
concentrandosi. Il simbolo inciso su di esso si accese di un intenso chiarore
azzurro prima di sprigionare un raggio luminoso.
Memore di quanto accaduto in passato Michael si mise in allerta e osservò con
attenzione il volto dell’amico, colpito in pieno dal fascio di luce.
Morgan se ne stava seduto un po’ in disparte, teso e a disagio davanti a quell’evidente
fenomeno alieno, e ogni tanto il suo sguardo si posava su Isabel, in piedi
accanto al fratello, una mano poggiata delicatamente sulla sua spalla.
All’improvviso ne comprese il motivo, e i suoi occhi si ridussero a due
fessure. In quel modo Isabel si teneva in contatto mentale con Max, pronta ad
intervenire in caso di necessità. Ancora una volta si domandò come avessero
fatto Maria e Liz a sopportare quella incredibile situazione fin da quando
avevano appena sedici anni, poi scrollò mentalmente la testa. Già, per amore si
poteva diventare capaci di qualsiasi cosa! Anche di abbandonare l’FBI e legare
la propria vita ad una ragazzina nata su un altro pianeta...
Il tutto durò solo pochi secondi tuttavia Max sembrava esausto quando distolse
lo sguardo dall’oggetto che teneva fra le mani.
- Allora? - chiese Liz con una punta d’ansia posando le dita sottili sul polso
del giovane.
Max emise un profondo sospiro. - Era di Rodhya. Una delegazione dei mondi di
Karan e Veyland si è presentata al Consiglio di Antar per protestare contro la
proditoria uccisione di Volnis. A quanto pare gli ambasciatori non hanno
creduto alle parole del Consiglio e hanno chiesto di incontrarsi con me per un
confronto diretto. Rodhya ritiene che fossero alleati con Volnis e che vogliano
vendicarne la morte. Forse sono stati aizzati da Hornem, ma non ne è del tutto
sicuro... -
- E’ pazzesco! - Isabel si scostò bruscamente da lui agitando una mano,
infuriata. - Che motivo avresti avuto, secondo loro, per far fuori quel verme?
Non ci sei mica tu, al governo di Zoltar! -
- Quelli cercheranno di ammazzarti non appena ti avvicinerai al pianeta - fu il
freddo commento di Michael. - Potrebbe anche essere che fossero d’accordo con
Volnis quando lui ha attaccato Antar. In questo caso, si tratterebbe solo di
portare a termine un lavoro lasciato a metà... -
- Ti riferisci all’eliminazione dell’intera famiglia reale? - borbottò la
ragazza a denti stretti.
- Già. E se ci pensi bene, Isabel, questo è quello che il bastardo di Zoltar ha
sempre cercato di fare. - Il giovane posò per un attimo lo sguardo su Liz. - Io
credo che dovremo stare molto attenti. Quella è gente testarda, pericolosa, e
disposta a tutto. Ma sei tu il re, Max. Sta a te decidere -
Max accarezzò sovrappensiero la mano di Liz. - Non voglio fare niente finché
non avremo terminato lo stage. Quindi abbiamo tre giorni per pensarci su,
dopodiché ci incontreremo venerdì a Roswell. -
- D’accordo - mormorò Isabel.
- Va bene - Michael annuì poi si guardò lentamente intorno. - Andiamocene,
adesso. Non vorrei che qualcuno avesse notato la luce e venisse a dare
un’occhiata... -
- Hai ragione. A presto, Isabel. Liz, tu torna pure a casa con l’auto. Io
riporto prima Michael a Roswell. -
- Oddio, Max, ho ancora lo stomaco sottosopra! - protestò il giovane.
- Coraggio, grande generale, ci metteremo un attimo... - lo prese in giro Max,
poi si alzò e richiamò a sé il secondo granilite, che gli porse sorridendo. -
Pronto? -
- Ahh!... - Con una smorfia di disgusto Michael strinse l’oggetto con una mano
e con l’altra si afferrò saldamente al braccio di Max.
- E’ stato un piacere lavorare con te, Isabel, e sono ancora convinta che le
tue potenzialità siano sprecate in una cittadina come Roswell. Comunque...
buona fortuna, cara! - Ivy strinse la ragazza in un rapido abbraccio e le
sorrise con affetto. - Se dovessi ripensarci chiamami, ok? Io resterò a
lavorare qui ancora per sei mesi... -
- Ok - Isabel fece, non vista, una piccola smorfia. “Sì, come no? Ci
mancherebbe solo questo!...” Si raddrizzò lentamente, aggiustandosi sulla
spalla la cinghia della borsetta.
- In bocca al lupo con gli esami -
- Grazie, sei molto gentile... - La ragazza sorrise, leggermente imbarazzata.
Da quando era venuta fuori quella storia non era più riuscita a sentirsi a
proprio agio in sua presenza e adesso non vedeva l’ora di andarsene.
Ivy rimase a guardarla allontanarsi, i biondi capelli scintillanti sotto i
raggi del sole, poi scosse la testa e si diresse verso la propria auto.
Salita in macchina Isabel prese direttamente la strada per Albuquerque. Quella
mattina si era alzata prestissimo per radunare tutte le sue cose poi, prima di
andare al campus, era passata all’agenzia immobiliare a riconsegnare le chiavi
di casa. Morgan era ripartito all’alba, dopo averla tenuta fra le braccia
l’intera notte, accarezzandole i capelli nel tentativo di placare l’angoscia
che le aveva impedito di dormire. Avrebbe tanto voluto andare da lui,
rifugiarsi contro il suo petto e lasciare che il mondo andasse avanti per conto
suo. Ma doveva tornare al college, e poi venerdì si sarebbe rivista con Max e
Michael per definire la questione del messaggio. Accidenti, era certa che le
cose fossero più complicate di quanto sembrasse. Lo sentiva. Con un sospiro
abbassò il finestrino e lasciò che il vento le scompigliasse i capelli. La
strada da percorrere era molto lunga ma guidare l’aiutava a rilassarsi così
sintonizzò lo stereo sulla sua stazione radio preferita e cominciò a
canticchiare.
Quando arrivò ad Albuquerque l’ora di cena era trascorsa da un pezzo ma lei non
aveva fame, così andò direttamente al campus e cominciò a vuotare le due
piccole valige. Stava appendendo l’ultimo abito quando sentì squillare il
cellulare. Prese sorridendo l’apparecchio e premette il pulsante di risposta. -
Ciao, Max, come va? - Ascoltò per qualche secondo, mentre si chinava a riporre
i bagagli sotto il letto. - Bene, allora ci vediamo venerdì pomeriggio alla
caverna! - Interruppe la comunicazione e cominciò a prepararsi per la notte.
L’indomani sarebbe andata come prima cosa a controllare il calendario degli
esami. Voleva finirli il prima possibile per poter tornare a Roswell, da Morgan.
Le mancava da morire, e le mancavano i suoi genitori. Con uno sbuffo si
spazzolò vigorosamente i capelli, andò a lavarsi i denti e poi si buttò sul
letto. Mordicchiandosi le labbra riprese in mano il cellulare e compose il
numero del marito.
L’indomani mattina si alzò molto presto, ancora di buon umore per la
lunghissima chiacchierata che aveva fatto con Morgan, e andò a correre nel
parco del college. Si sentiva bene, aveva voglia di confrontarsi con gli ultimi
esami che doveva ancora sostenere, e aveva deciso di non farsi sconvolgere
dalle implicazioni del messaggio di Rodhya. Chiaramente avrebbero dovuto andare
tutti quanti insieme su Antar, per cercare di capire cosa volessero davvero i
delegati dei pianeti della Confederazione, e ormai sapeva che era del tutto
inutile rinviare situazioni del genere, se non addirittura pericoloso. Quella
era la sua decisione in merito e lo avrebbe comunicato agli altri il giorno
dopo, a Roswell. Ma in quel momento lei era lì, sotto il cielo di un blu
intenso, col sole che faceva brillare le foglie degli alberi del cotone, l’aria
profumata e deliziosamente tiepida, e le sue lunghe gambe snelle toccavano
leggere il terreno. Adorava correre a quell’ora, quando in giro non c’era quasi
nessuno. Si concentrò sui suoni della natura intorno a lei e lasciò che la
tensione, la paura, la rabbia scivolassero via. Di lì a un mese avrebbe
compiuto ventun anni e voleva sentirsi normale, almeno per una volta! Continuò
a correre per quasi un’ora poi rallentò il passo fino ad un’andatura normale e
fece alcune profonde inspirazioni. Ruotò lentamente la testa sorridendo
soddisfatta, poi si fermò di scatto e spalancò gli occhi sorridendo. -
Patricia! -
Patricia O’Neal lasciò cadere a terra i libri che teneva in mano e si precipitò
ad abbracciare l’amica. - Is! Ciao! Come stai? Quando sei tornata? C’è anche
Liz? -
Isabel rise scuotendo la testa. - Sono rientrata ieri sera, mentre Liz e Max
arriveranno sabato, credo. Comunque io sto bene, e anche loro. E Jason e Shiri.
- Si tolse l’elastico con cui aveva legato i capelli. - E tu? Com’è andata a
Denver? -
- Ah, una faticaccia! Però mi è piaciuto molto, è stato davvero interessante...
- La ragazza si scostò dal viso una ciocca dei lunghi capelli rossi. - Stai
benissimo così, sai? Chissà, magari uno di questi giorni li taglierò anch’io! -
Si chinò a riprendere i libri poi la guardò incuriosita. - Comunque, Max è già
qui. L’ho visto proprio ieri, in biblioteca, ma non ho fatto in tempo a
raggiungerlo. -
- Non era lui. E’ ancora a El Paso, te lo assicuro -
Patricia s’incamminò accanto a lei. - Senti, a me è sembrato proprio lui. Tuo
fratello non è un tipo comune, e non credo di essermi sbagliata. Oddio, guarda,
eccolo laggiù! Lo vedi? Quello con la maglietta grigia e i jeans! -
L’aliena seguì l’indicazione della ragazza e corrugò la fronte. - Sì, hai
ragione, sembra proprio lui... Ma non può essere... - Avanzò perplessa verso il
gruppetto fermo all’ombra dell’edificio principale, seguita da
Patricia, per poi fermarsi a qualche metro di distanza. - E’ impossibile... -
sussurrò fissando sgomenta il giovane alto e bruno impegnato in un’animata
discussione.
- Visto che avevo ragione? - disse Pat facendo un piccolo cenno col capo.
- Non è Max - rispose con voce ferma Isabel. - Però gli somiglia in maniera
impressionante. -
Il loro arrivo attirò l’attenzione dello studente, che s’interruppe e si volse
ad osservarle. Fu solo questione di un attimo poi riprese a parlare coi suoi
compagni, ma Isabel ebbe la sensazione che non gli fosse sfuggito niente di
lei. Sentendosi estremamente a disagio indietreggiò di qualche passo mormorando
a Patricia che si era fatto tardi e doveva andare a cambiarsi.
- Ci vediamo verso l’una a mensa? -
- Sì, certo. A dopo - Desiderosa di allontanarsi Isabel quasi fuggì via.
Percorse poco meno di un centinaio di metri poi s’immobilizzò. Aveva
l’impressione che la stessero seguendo, si sentiva osservata. Fece un lento
giro su se stessa e trasalì nell’accorgersi della presenza dello studente.
- Ciao. - Il ragazzo era a pochissima distanza da lei e la raggiunse senza
lasciarle il tempo di allontanarsi. Non sei una matricola, vero? -
- No - Isabel lo fissò come ipnotizzata. Era così simile a Max... Doveva avere
quattro o cinque anni in più, ma per il resto era identico a lui. Chi diamine
era? - Non lo sei nemmeno tu - disse con tono fermo, anche se dentro di sé si
sentiva tremare.
- Non esattamente, no. Sono qui per la specializzazione. Bioingegneria. - Le
prese gentilmente un polso e le scostò il braccio dal corpo. - Sei davvero
bellissima! Dove ti eri nascosta? Sono qui da due settimane e non ti avevo
ancora vista... -
- Sono tornata ieri sera. Ero fuori per uno stage - Isabel cercò di sottrarsi
alla sua presa ma scoprì che era molto forte. - Lasciami - ordinò, avvertendo
uno strano calore nel punto in cui lui la teneva.
- Non ancora. Ma non aver paura, non intendo farti del male. - Il giovane
sorrise, e lei trattenne il fiato. Santo cielo, era così identico a Max... I
suoi caldi occhi nocciola, il suo sorriso tenero, i morbidi capelli scuri
intorno al volto delicato e allo stesso tempo virile... Prima che potesse
capire cosa stava per succedere si sentì spingere contro il suo corpo. Aprì la
bocca per protestare ma poté solo emettere un gemito frustrato quando lui la
baciò profondamente, con prepotenza, con passione. Per l’infinitesimo spazio di
un secondo credette di essere tra le braccia di Max e fu tentata di cedere, poi
pensò a Morgan e si sentì morire. “No!” Provò a divincolarsi ottenendo solo di
constatare, suo malgrado, il forte desiderio che lo animava. - Smettila! -
esclamò sconvolta, approfittando del momento in cui lui riprendeva fiato.
- Perché? - mormorò il giovane premendola contro i propri fianchi e facendo
scivolare una mano sotto i suoi pantaloncini.
- Perché sono sposata - rispose gelida.
Lui la guardò intensamente negli occhi. - Non hai paura. - osservò. Davanti al
suo silenzio mosse insinuante la mano e le diede un altro bacio.
Isabel non si sottrasse.
- Come ti chiami? - le chiese con voce sommessa.
- Isabel. Isabel Evans Coltrane - precisò.
- Cole Morrison. Voglio fare l’amore con te. Adesso, subito. Lo senti che
effetto mi fai? - La strinse con forza a sé poi, con la mano libera, le sollevò
la magliettina intrisa di sudore. - Ora -
- No... - Scosse piano la testa, e sussultò quando lui premette le dita sulla
carne morbida. - Ti prego... - disse con un filo di voce, una lacrima che le
brillava sulle ciglia.
Cole le posò le labbra sull’incavo del collo e s’inginocchiò lentamente
sospingendola sull’erba calda, poi le sfilò i calzoncini e gli slip di seta.
Isabel lasciò che la guardasse, la toccasse, la baciasse, fin quando,
desiderosa di averlo, gli slacciò con decisione i jeans e si arcuò contro di
lui. Come nel sogno che aveva fatto tanto tempo prima Cole/Max l’amò con forza,
facendola impazzire di piacere.
Quando il giovane giacque immobile, sfinito ma soddisfatto, Isabel si ritrasse
da lui, mentalmente e fisicamente. Intuendone il motivo Cole le accarezzò una
guancia. - Hai fatto l’amore come se fossi qualcun altro, vero? Ma... non tuo
marito... -
Isabel impallidì e poi arrossì. - Già - ammise. Fece per prendere i
pantaloncini ma lui le fermò la mano. Se vuoi possiamo rifarlo. Puoi
approfittare di me... - mormorò sornione.
Lei scrollò la testa. - No, grazie - Si affrettò a rivestirsi, incapace di
guardarlo in faccia.
Cole si mise a ridere e, con calma, infilò la maglietta nei calzoni e tirò su
la cerniera. - Ah, Vilandra, sei sempre la stessa! Il tuo amore per Zan è la
tua rovina! -
Lei lo fissò esterrefatta mentre Cole si riagganciava con indolenza la cintura
di cuoio. - Per lui hai fatto le cose più folli, e a quanto sembra le tue
abitudini non sono cambiate... -
Isabel lo fronteggiò determinata. - Chi sei? chiese con durezza.
- Cole Morrison, te l’ho già detto. E, come forse avrai già immaginato, il
discendente del progenitore di tuo fratello. Sai, mio nonno aveva scritto in un
diario l’incredibile esperienza che gli era capitata durante un temporale
notturno, mentre era fuori con il bestiame. Mio padre fece molte indagini per
capire cosa fosse davvero accaduto, e alla fine ci riuscì. Grazie anche a
Meynir, devo dire... - Davanti all’espressione sconcertata della ragazza si
infilò le mani in tasca. - Già, Meynir venne catturato dall’FBI quando tu e gli
altri non eravate ancora usciti dalle incubatrici... Lui era il compagno di
Nasedo, come lo chiamavano gli indiani Mescalero, e mio padre lo trovò mentre
vagava dalle parti di Tucumcari, dopo essere riuscito a fuggire dal posto in
cui lo avevano rinchiuso. E’ stato lui a raccontarci di Vilandra, Zan, Rath,
Ava, e del pianeta Antar. Sapeva che il tempo della vostra nascita era vicino e
stava cercando di tornare dove vi aveva lasciato. Purtroppo morì prima di
riuscirci, e mio padre si è dannato l’anima nel tentativo di trovarvi. Sapeva
che probabilmente eravate a Roswell, ma non c’era modo di capire chi poteste
essere. Finché un giorno mi è capitato di vedere Max, e allora ho saputo. Non è
stato facile seguirvi, con tutti gli spostamenti che avete fatto in questi
anni, ma come vedi la mia pazienza è stata premiata... -
- Quindi non è stato per caso che sei venuto ad Albuquerque? -
- No di certo, mia bellissima Isabel. Vieni, ti accompagno alla tua stanza -
- Non mi toccare! - La ragazza ritirò di scatto la mano, nascondendola
infantilmente dietro la schiena. Serrò le mascelle, infuriata con se stessa e
con lui. - Perché mi sei venuto dietro? - volle sapere.
- Volevo conoscerti. Nel senso più completo - Spostò il peso sull’altra gamba.
- L’ultima volta che ti ho vista è stato un anno fa. Mi hai affascinato subito,
devo ammetterlo: sei così bella... Non avrei mai immaginato che sarei riuscito
ad ottenere quello che sognavo... -
- Non ti spaventava l’idea di avere a che fare con... con degli alieni? -
mormorò secca.
- No. - Cole sogghignò divertito. - Sono cresciuto sapendo di voi, del fatto
che il mio DNA, in qualche modo, faceva parte del vostro retaggio, e come si fa
ad aver paura di un... fratellastro? -
- Max non è il tuo fratellastro -
- Ma è la persona che tu ami. E lui ama te, anche se non come... vorresti tu...
-
- Io amo Morgan. Max... Max era un... - “...sogno proibito” concluse fra sé e
sé, sostenendo coraggiosamente l’espressione allusiva del giovane.
- Era? Ah, sì, io potrei essere il suo gemello, e hai fatto l’amore con me...
Ti è piaciuto, vero? -
- Come è piaciuto a te. Addio, Cole Morrison. Ti consiglio di non attraversarmi
mai più la strada - Senza lasciargli il tempo di ribattere girò sui tacchi e se
ne andò.
Soddisfatto di sé Cole la guardò allontanarsi poi tornò indietro.
- Ciao, Isabel! -
- Ciao... - La ragazza lasciò che Michael l’abbracciasse e per un istante si
abbandonò contro di lui. Si sentiva male al vedere Max, e l’ormai più che
evidente gravidanza di Liz aggravava il suo senso di colpa. A malincuore si
sciolse dalla stretta e lanciò un’occhiata a Morgan, in piedi accanto a Maria.
Erano tutti presenti, e non aveva senso girare intorno al problema. Mise le
braccia conserte e si appoggiò con la schiena alla parete rocciosa. - Io credo
che dovremmo andare su Antar e parlare con loro. Vogliono vendicarsi di te, di
tutti noi, e non intendo permettergli di distruggerci. Riusciremo a fermarli,
Max, ne sono sicura! -
Michael annuì. - Anche io sono del parere che dobbiamo affrontarli. E l’unico
modo è recandoci su Antar. Il prima possibile, direi... -
Max si passò una mano fra i capelli. - Lo penso anch’io. Ma Jason e Shiri
resteranno qui. Non voglio che corrano pericoli. - Guardò di sfuggita Liz. - E
anche tu, Liz. Se pure non fossi incinta, non potrei sopportarlo se ti
accadesse qualcosa... -
- Ma io... - cercò di protestare lei, venendo però subito interrotta da Shiri.
- Noi veniamo con te, papà. Siamo in grado di aiutarti, ed è ora che cominciamo
ad assumerci qualche responsabilità. Fino adesso abbiamo creato solo... guai...
- aggiunse timidamente, - ma possiamo davvero darti una mano. -
- No. Resterete qui, con vostra madre. E questo è quanto -
- Papà, ti prego! - insisté Shiri, prima di girarsi verso Jason, che fece un
passo avanti. - Tutti insieme saremo ancora più forti. Vogliamo venire con voi.
Per favore... -
- No -
- Sia io che Shiri siamo in grado di usare i nostri poteri, e ritengo giusto
che la Confederazione sappia che non sei solo! -
- Non lo sono, infatti. Con me verranno Isabel e Michael - Max si stava
irrigidendo. Non voleva che i suoi figli rischiassero la vita su un mondo che
più volte aveva tentato di eliminarlo, ed era deciso ad impedire loro di
seguirli in quel viaggio pieno di incognite.
- Noi veniamo con te. - Jason si affiancò alla sorella. - Non puoi lasciarci
qui. E tu lo sai... -
- Intendi dire che vi teletrasportereste sulla nave? - chiese Max come se non
volesse credere alle proprie parole.
- Infatti - Il ragazzino sollevò deciso il mento. - Ritengo che sarebbe più
semplice per tutti se partissimo con voi. -
Michael s’infilò le mani in tasca. - Comincio a pensarlo anch’io... - borbottò.
Poi si guardò con attenzione intorno. - Maria e Liz resteranno qui, con Morgan.
E noi... più siamo e meglio è. Su questo non ci sono dubbi -
- Non mettertici pure tu! - lo riprese Max, severo.
- Dai, Max, lo sai quanto me! Jason e Shiri sono molto potenti, e possono farci
comodo. Finché non arriveremo su Antar non possiamo sapere come stanno
esattamente le cose, e magari non sarà neppure necessario un intervento di
forza ... -
Liz avrebbe voluto protestare, dire che anche lei voleva seguirli. Non
sopportava di rimanere ancora una volta indietro, senza sapere cosa stesse
succedendo alle persone che amava, ma vide la tensione sul bel viso di Max e
decise di non insistere. Tuttavia nei suoi occhi si poteva leggere la
desolazione, e Maria si affrettò ad abbracciarla, dandole un po’ di conforto. -
Noi vi aspetteremo qui, come sempre. Però, per favore... non lasciateci sole
troppo a lungo... - La ragazza guardò tristemente Michael, che si mosse a
disagio.
Max si morse nervoso le labbra. - Io non voglio che voi due veniate con noi.
Non voglio che mettiate a repentaglio la vostra vita - ribadì.
- Sei in minoranza. E temo che stavolta sarai costretto a capitolare - Michael
gli diede una pacca amichevole sulla spalla. - Ok, andiamo e cerchiamo di
sbrigarla in fretta. Ne ho fin sopra i capelli di tutta la Confederazione! -
- Non me ne parlare... - mormorò Isabel, suscitando un accenno di sorriso in
Jason.
Morgan si avvicinò alla moglie e la strinse dolcemente a sé. - Quando contate
di partire? - chiese piano.
- Questa notte. I miei hanno organizzato un vero e proprio banchetto. Hanno
invitato anche i genitori di Liz e i Valenti. Ci resterebbero molto male se ce
ne andassimo prima... -
- Già, posso immaginarlo. - L’uomo le diede un bacio leggero sulla tempia. -
Andiamo, ho bisogno di parlarti. - La sospinse verso il cunicolo che portava
all’uscita, sentendo i passi degli altri che li seguivano, poi prese il
sentiero che si allontanava in direzione del deserto.
Quando furono ad una certa distanza dalla caverna Morgan si fermò e si mise
davanti alla ragazza, prendendole il viso fra le mani. - C’è qualcosa che ti
tormenta, principessa. Ti prego, parlamene... - Al suo cenno di diniego le
sollevò un poco il capo costringendola a guardarlo. - L’ho sentito ieri, quando
ti ho telefonato, e da quando sei arrivata a Roswell posso anche vederlo.
Isabel, dimmi cosa c’è... - insisté.
- Io... non posso - Isabel lo fissò con occhi colmi di lacrime. - Ti prego, non
chiedermelo... -
- Ma ti fa stare male! Parlamene, per favore, e vedrai che dopo ti sembrerà
meno importante! -
- Non è possibile, Morgan... - Gli prese le mani con le proprie, cercando di
abbassarle, ma lui mantenne la presa e lei crollò. - Mi odierai... - bisbigliò
disperata.
- No, non potrei mai. Ti amo troppo per permettermi di allontanarmi da te,
credimi... -
- Cambierai idea -
- No - ripeté convinto.
- La cambierai - Isabel lo disse di nuovo, a fior di labbra, poi, con un
sospiro rassegnato, raddrizzò le spalle e tirò su col naso. - Ieri mattina ho
incontrato un ragazzo, mentre correvo nel parco. Si chiama Cole Morrison, e suo
nonno è il progenitore di Max. Ho... ho fatto l’amore con lui. - Vide il volto
di Morgan diventare di pietra mentre le sue mani la lasciavano andare, e si
sentì morire. - Io... pensavo di aver superato quella fase, ma quando mi ha
toccata... E’ stato come essere toccata da lui e... non sono riuscita a
trattenermi... Io non amo Max come amo te. E’... è diverso... ma volevo
provare, almeno per una volta, la sensazione di... - Sollevò lo sguardo al
cielo, le ciglia luccicanti per le lacrime che ormai non riusciva più a
trattenere, e dopo un breve silenzio tornò a guardarlo negli occhi. - Dopo,
Cole mi ha chiamata col mio vero nome. Sa tutto di noi, anche quello che provo
per mio fratello... Io... non so che intenzioni abbia. Non me lo ha detto, e io
non gliel’ho chiesto. A quel punto volevo... volevo solamente andarmene... Mi
sono quasi strappata la pelle di dosso a furia di strofinarmi sotto la doccia,
ma quei ricordi sono sempre nella mia testa... E Max lo scoprirà. Verrà a
saperlo nel momento stesso in cui mi toccherà - Deglutì a fatica. Perdonami...
-
L’uomo rimase a lungo immobile, sconvolto. Quando l’aveva incontrata per la
prima volta aveva avuto la sensazione che stesse fuggendo da qualcuno, ma non
avrebbe mai immaginato che potesse trattarsi di suo fratello... Poteva
accettarlo? Poteva davvero, in tutta onestà, convivere con una cosa del genere?
Eppure, aveva già provato a stare senza di lei, e non ce l’aveva fatta. Gli era
entrata nel sangue, era come una droga. Ne aveva bisogno come dell’aria che
respirava, e sapeva che quel bisogno era reciproco. Lentamente, facendo forza
su se stesso, sollevò di nuovo le mani e le posò sulle sue tempie.
Comprendendo cosa volesse Isabel fece il vuoto nella sua mente e lasciò che
guardasse dentro di lei.
Morgan socchiuse gli occhi per concentrarsi su quello che stava percependo, e
alla fine chinò la fronte contro la sua. Aveva visto il suo amore per lui, la
passione quasi dolorosa che provava nei suoi confronti, e intuì che quel
rapporto fugace con qualcuno tanto somigliante a Max era servito solamente a
placare un desiderio nato da un’infanzia e un’adolescenza troppo difficili da
capire per chi non era vissuto nella terribile consapevolezza di essere diverso
e, per questo, in continuo pericolo di vita. In quel modo Isabel si era
liberata di un’ossessione che doveva averla tormentata per anni, e lui non
poteva che esserne felice. Adesso Isabel era tutta sua. Lo aveva letto nel modo
in cui si era visto nella sua mente, e, come aveva detto lei stessa, non c’era
possibilità d’inganno. Isabel lo amava davvero. Si chinò un poco per sfiorarle
le labbra con le proprie. - Diglielo. Ha il diritto di saperlo, e di sapere che
c’è qualcuno che conosce il vostro segreto. Capirà, perché anche lui ti vuole
bene... -
Per un istante Isabel lo fissò come se non avesse capito, poi gli circondò il
collo con entrambe le braccia e lo baciò con infinita tenerezza, senza
accorgersi delle gocce tiepide che le scendevano lungo le guance.
Di lì a un paio di ore si ritrovarono tutti quanti seduti intorno alla tavola
imbandita preparata da Diane Evans. La donna era evidentemente felice di avere
intorno i figli e i nipoti, aveva sempre desiderato quella simpatica
confusione, e suo marito Phillip guardava da lei ai ragazzi con un sorriso
bonario sulle labbra. Perfino i Parker sembravano a loro agio in presenza di
Max, ed Amy, ormai superato lo choc della scoperta della vera identità di
Michael e dei suoi amici, chiacchierava tranquilla con tutti quanti.
Mentre Jim Valenti raccontava un divertente aneddoto Shiri si volse di scatto
verso Isabel, poi guardò il fratello e si rese conto che anche lui stava
fissando la zia. Sentendosi osservato, il ragazzino distolse l’attenzione dalla
giovane donna e cercò gli occhi di Shiri poi, insieme, tornarono a studiare
Isabel, e Liz, cui non era sfuggita tutta quella manovra, si lasciò andare
esasperata contro lo schienale. - Jason? - chiamò piano.
- Sì, mamma? - La voce di Jason risuonò altrettanto bassa ma distratta, come se
lui stesse pensando ad altro.
- Se tu e Shiri avete qualcosa di urgente da dire ad Isabel fareste meglio a
chiederle di seguirvi in camera vostra. -
Preso in contropiede Jason scosse una spalla. - La zia è molto nervosa, tutto
qui. Possiamo parlarle dopo cena... -
- D’accordo. Allora smettetela di fissarla: non è per niente educato, sapete? -
- Ok - Imbarazzato, il ragazzino lanciò un’ultima occhiata alla sorella poi
riprese a mangiare come se niente fosse accaduto.
Ma ad Isabel non era sfuggita la breve conversazione fra lui e Liz, e
d’improvviso realizzò che i nipoti dovevano aver avvertito la sua ansia. Si
mordicchiò nervosamente le labbra. Nello scegliere il posto a tavola aveva
fatto in modo di stare il più lontano possibile da Max, per evitare che lui
potesse anche solo involontariamente sfiorarla, e Morgan, seduto accanto a lei,
le teneva di continuo la mano sulla sua, come a volerla rassicurare. Aveva però
dimenticato la grande sensibilità dei due ragazzi, e decise che non poteva
rimandare il colloquio con suo fratello. Quella faccenda andava risolta prima
che Jason e Shiri scoprissero il motivo del suo malessere, e nel frattempo
doveva controllare meglio le proprie emozioni. Con un sospiro si portò alle
labbra il bicchiere colmo d’acqua e bevve un lungo sorso, poi prese una
bottiglia di salsa Tabasco e ne versò gran parte del contenuto sul tortino di
carote e spinaci che aveva nel piatto.
Dopo cena, mentre Liz e Maria servivano il caffé, la ragazza si avvicinò a Max
e gli fece cenno di andare con lei nel giardino sul retro. Quando si furono
seduti in un punto tranquillo, sufficientemente isolato dalla casa in modo che
nessuno potesse ascoltarli, Isabel si strinse le ginocchia al petto e cominciò
a parlare, lo sguardo fisso davanti a sé. Spiegò quello che era successo il
giorno prima, così come lo aveva raccontato a Morgan, poi ripeté esattamente
ciò che Cole le aveva detto riguardo Meynir, e alla fine tacque, esausta e
tremante.
Max la guardò senza sapere cosa dire, addolorato per lei, infine si curvò un
poco in avanti e se la strinse dolcemente al petto. - E’ tutto finito,
Isabel... Ormai ne sei fuori... - Le accarezzò piano i capelli, cercando di
calmarla, la mente in subbuglio al pensiero di quello che doveva aver provato
trovandosi davanti qualcuno identico a lui. Già una volta era successo, quando
un mutaforma aveva assunto le sue sembianze per uccidere Liz, ma in quell’occasione
Isabel aveva reagito d’istinto per salvare l’amica, mentre in questo caso
Morrison le aveva offerto quanto lei, più o meno inconsciamente, aveva sempre
desiderato. Doveva essere stato spaventoso, una vera e propria tentazione
diabolica, e quel ragazzo aveva giocato con freddo calcolo coi suoi sentimenti.
Cole Morrison doveva avere qualcosa in mente, qualcosa di spiacevole, o non si
sarebbe comportato in quel modo, ne era più che certo! Ed era il discendente
del suo progenitore. Maledizione, come potevano partire in quel momento, con
una persona che sapeva tutto di loro e di cui non avevano alcun controllo?
Eppure non era possibile rinviare il confronto con Karan e Veyland... Forse
doveva chiedere a Michael di restare sulla Terra...
In quel momento Isabel si agitò un poco per liberarsi dal suo abbraccio. -
Avrebbe potuto vederci chiunque... Io... ho commesso una vera pazzia... -
mormorò quasi tra sé, pianissimo, poi sollevò implorante lo sguardo su di lui.
- Max... potresti... potresti verificare se... sono rimasta incinta? -
A quelle parole il giovane emise un profondo sospiro. “Oh no, Isabel... Non
ora... non con lui...” Senza dire nulla le mise una mano sul ventre e si
concentrò per un istante, poi la riabbassò, sollevato. - No. Isabel... ora non
devi pensarci più... Forse... forse doveva accadere, prima o poi, perché tu
fossi veramente libera... Mi dispiace essere stato la causa di tanto dolore...
-
Isabel abbozzò un sorriso triste. - Tu non ne hai alcuna colpa... E, come hai
detto, adesso sono libera... - Si passò una mano fra i capelli, preoccupata. -
Quando avremo finito con Antar dovremo occuparci di lui. Cole Morrison potrebbe
crearci dei grossi problemi... -
- Sì, lo so. Stavo pensando di parlare con Michael... -
- Non accetterà mai di rimanere qui. Forse Lou... -
- No. Questo viaggio è l’occasione ideale per riportarlo a casa, e non voglio
farlo sentire obbligato a restare. Però sarebbe meglio se Liz si trattenesse a
Roswell. Non mi va l’idea che lo incontri da sola... Potrebbe... potrebbe
prendersela con lei... -
- Sì, è un’ottima idea. Sempre ammesso che tu riesca a convincerla... -
Max sorrise suo malgrado, poi si alzò in piedi e le porse una mano per aiutarla
a fare altrettanto. Torniamo dentro, adesso. -
Bene o male riuscirono a mantenere una parvenza di normalità fin quando, verso
le undici, i Parker ed i Valenti si congedarono dai loro ospiti. Allora Isabel,
con una certa esitazione, si schiarì la gola e rivelò ai genitori, a Liz e a
Michael l’esistenza di Cole Morrison.
La fissarono tutti sgomenti. Per Diane e Phillip fu sconvolgente realizzare
veramente come fosse stato possibile dare la vita a Max ed Isabel, mentre Liz e
Michael pensarono subito al rischio che Morrison rappresentava per tutti loro.
Lou Krentz capì solo che un nuovo pericolo si era profilato all’orizzonte, ma
prima ancora che potesse offrirsi di continuare a proteggere Liz mentre gli
altri partivano per Antar Max mise una mano sulla spalla della moglie. -
Morrison è interessato a noi, quindi non dovrebbe fare nulla finché torneremo
ad Albuquerque. Liz, - Strinse leggermente le dita e la ragazza lo guardò con
fare interrogativo. - vorrei che tu stessi qui, con i miei genitori. Mi
sentirei più tranquillo... -
Liz scosse piano la testa. - Non puoi chiedermi di restare a Roswell, senza
niente da fare se non pensare a quello che potrebbe succedervi... Andrò
comunque al college, ma starò molto attenta, te lo prometto... -
Il giovane la guardò intensamente negli occhi. Odiava l’idea di separarsi da
lei, avrebbe preferito mille volte portarla con sé, però doveva pensare ai due
bambini che aveva in grembo. Sapeva che anche per Liz era molto doloroso
stargli lontano, e non volle insistere oltre. Quasi senza rendersene conto le
infilò le mani fra i capelli. - Ti amo, Liz, e ho fiducia in te. Ma... ti
prego... non esitare a rivolgerti a mio padre, o a Morgan o allo sceriffo... -
- Stai tranquillo... - Gli sorrise con dolcezza, e le sue labbra incontrarono
quelle di lui.
Shiri distolse lo sguardo dai genitori e chiuse per un attimo gli occhi. Chissà
come stavano Bren e Lhara... Bren le mancava terribilmente e sperò di riuscire
ad incontrarlo presto.
Michael era molto nervoso, non gli piaceva affatto l’idea di un perfetto
sconosciuto al corrente di ogni cosa che li riguardava, e non condivideva la
convinzione di Max che Liz, e Maria, fossero al sicuro. Serrò i pugni,
frustrato, e trasalì quando Maria infilò un braccio sotto il suo. - Sta’ calmo,
vedrai che andrà tutto bene! -
- Lo spero davvero... -
Lei si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio sulla guancia. - Coraggio,
grande generale, va’ e torna vincitore! Dopodiché potrai affrontare quel
piccolo terrestre... -
Lui sbuffò poi la strinse in un rapido abbraccio. - Fai la brava bambina, mi
raccomando! -
- Contaci - Maria gli sorrise intenerita, poi passò a salutare Jason e Shir. -
Abbiate cura di voi e, soprattutto, di quei tre scapestrati... -
I ragazzini la ricambiarono con affetto dopodiché salutarono i nonni ed
uscirono insieme agli altri.
Raggiunsero la caverna con il fuoristrada di Max e la jeep di Michael, e Liz,
Maria e Morgan rimasero a distanza di sicurezza a guardare l’astronave. Quando
il velivolo scomparve nell’oscurità del cielo Liz si posò una mano sullo
stomaco. - Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo... - mormorò
sconfortata.
Maria le accarezzò il braccio con fare rassicurante. - Stavolta sei sposata con
lui, e questa non è la tua prima gravidanza. Andrà tutto bene, vedrai! -
- Certo. Certo che andrà tutto bene. Non può essere altrimenti... - Liz si
asciugò con la punta delle dita una lacrima importuna e si sforzò di sorridere.
- Ora possiamo tornare a casa. -
- Sei sempre dell’idea di partire domattina per Albuquerque? - si informò
Maria.
- Sì. Se non faccio qualcosa impazzisco! - Con fare deciso la ragazza si
avvicinò a Morgan. - Buona notte - gli disse abbracciandolo brevemente, poi
salì a bordo del fuoristrada e ripartì sgommando.
- E’ dura, per lei, stare lontano da Max... E’ sempre stato così... - commentò
Maria scuotendo la testa.
L’uomo ripensò per un istante allo splendido volto di Isabel, circondato dai
lisci capelli biondi, e strinse le mascelle. - La capisco... - mormorò, poi la
seguì sulla jeep. - Vuoi che guidi io? - si offrì.
- No, ti ringrazio. Anche io ho bisogno di distrarmi... - ammise passandosi
velocemente la mano su una guancia, ma il chiarore della luna piena rivelò il
luccichìo sulla sua pelle vellutata.
- Ciao! Ehi, sei di nuovo in dolce attesa! Congratulazioni! -
- Ciao, Tony! - Liz sorrise contenta nel rivedere l’amico. - Com’è andato il
tuo stage? -
Il ragazzo si strinse nelle spalle. - Dopo due settimane c’è stato un
incidente, così hanno deciso di allontanare noi studenti, per prudenza, e ci
hanno mandato presso una succursale, a Dallas. E da lì ci hanno rispedito a
casa dopo un mese... -
- Mi spiace. E Patricia? -
- Anche lei è tornata qualche giorno prima del previsto, ma è stato solo un
caso. Tu? -
- Oh, è stato molto interessante. - Liz riuscì a malapena a trattenersi dal
ridere. Interessante... Il suo capo era in realtà un mutaforma, che l’aveva
rapita e portata su Zoltar. Ma a parte quello, era davvero stata un’esperienza
positiva... - Come vanno le cose con Patricia? -
- Non ne parliamo, ti prego! -
- Cosa vuoi dire? - si preoccupò la ragazza.
Tony aprì la porta della mensa e attese che lei fosse passata prima di
risponderle. - Ha deciso che la nostra storia non ha un futuro e mi ha
educatamente scaricato. -
- Ed è così? - Liz prese un vassoio e glielo porse. - Intendo, davvero era una
storia senza futuro? -
- Non lo so. Sì, forse. Cioè... Negli ultimi tempi le cose andavano un po’ a
rilento... insomma... non so, non c’era più quella forza... quell’intensità...
Pensavo che fosse un problema mio, ma poi... poi, la settimana scorsa siamo
andati al cinema insieme e dopo... abbiamo parlato, e alla fine... niente... Ci
siamo salutati con un abbraccio, e questo è stato tutto... -
- Forse si tratta solo di un brutto momento... - cercò di consolarlo lei, ma
Tony sorrise con amarezza. No, era già nell’aria quando siamo andati a Santa Fe.
Io... mi sentivo quasi impacciato, a volte. Non riuscivo a capire di cosa si
trattasse, finché l’altro giorno... Evidentemente doveva andare così... - Prese
una confezione di posate di plastica. - Mi piacerebbe avere la stessa fortuna
di Max. Voi due siete perfetti, insieme... -
Liz scoppiò a ridere. - Ah, ti ringrazio! Ma non è stato facile, sai? Comunque,
non disperare: vedrai che prima o poi incontrerai la ragazza giusta per te! -
- Mi auguro che anche Patricia trovi qualcuno di adatto a lei. E’ una persona
meravigliosa. Merita di essere felice... -
- E lo sarà, vedrai! - Prese un paio di tovaglioli di carta e glieli mise sul
vassoio. - Tieni, e adesso fammi vedere cosa c’è da mangiare: questi due
piccoli sono molto esigenti, sai? Dolce, e piccante. Ma leggero, altrimenti non
ce la faccio a digerire... -
- Sono due?!? Va tutto bene? -
- Sì, adesso sì. Fino a qualche giorno fa mi sentivo sfinita dalla stanchezza
solo per aver apparecchiato in tavola ma ora è passato, grazie al cielo! - Tese
un braccio per afferrare il piatto fumante che le stavano porgendo poi prese
una bustina di salsa Tabasco. - Non avrei mai creduto che un giorno l’avrei
usata per condire la pasta... - borbottò.
- E’ buona, anche se un po’ troppo forte per i miei gusti. - commentò Tony.
- Già - Liz si servì di una porzione di verdure miste e poi prese una fetta di
dolce alla crema. - Ma ora basta, o finirò col diventare una piccola botte! -
- Non è possibile. Hai un corpo assolutamente perfetto, anche adesso che ti è
cresciuta la pancia!... -
- Grazie! - La ragazza gli sorrise sollevando le sopracciglia, sorpresa per la
sua galanteria.
Mentre mangiavano Liz spiegò che Max era rimasto a Roswell con Isabel per
aiutare il padre per un lavoro e Jason e Shiri avevano voluto trascorrere un
po’ di tempo coi nonni. - Ma ho saputo che c’è un nuovo studente, mi pare si
chiami Morrison, Cole Morrison, che somiglia a Max come una goccia d’acqua. Tu
hai avuto occasione di vederlo, per caso? -
- No, veramente no. Dici che è identico a lui? -
- Pare di sì. Però, ad essere sinceri, non è che muoia dalla voglia di
conoscerlo. Sai, il fatto che sia così simile a Max mi mette un po’ a
disagio... -
- Pensi che potresti sentirti attratta da lui? - indagò incuriosito il giovane.
- Oh no, Max è speciale e non c’è la minima possibilità che mi interessi
qualcun altro, però... non lo so, mi sentirei... strana... Forse perché mi
ricorderebbe il periodo in cui Max aveva perso la memoria e... No, non voglio
incontrarlo - terminò con decisione.
- Già, capisco... Bene, allora... ai gemelli Evans! - esclamò Tony sollevando
la bottiglia di succo di frutta in un brindisi scherzoso.
- Ai gemelli Evans - ripeté Liz, facendo cin cin con la propria bottiglia di
acqua minerale.
- Avete già pensato ai nomi? -
- Sì. Ethan e Claudia. Non è stato semplice, ma alla fine abbiamo raggiunto un
accordo. -
- Con Max? -
- No, con loro. - Liz si batté piano sulla pancia. - Dovevi sentire come hanno
scalciato, quando gli abbiamo fatto sentire questi nomi... -
- Oh!... - Tony sorrise divertito, poi si fece serio. - Sta arrivando Patricia
- disse con voce piatta.
- Dai, Tony, non fare quella faccia! Siete sempre amici, no? E poi, finché
studiate entrambi qui, vi incontrerete un’infinità di volte, quindi cerca di
abituarti, ok? - Avuto un piccolo cenno di assenso in risposta alzò il braccio
e fece segno alla ragazza, che si affrettò a raggiungerli. - Ehi, ciao, Liz!
Sono davvero contenta di rivederti! - Si chinò a baciarla sulla guancia, poi
sorrise a Tony. - Ciao, Tony, tutto ok? -
- Sì, grazie - Tony la guardò con espressione indecifrabile, ma Liz poté
avvertire la sua sofferenza. Sapeva cosa stava provando, era capitato anche a
lei quando Max aveva avuto l’incidente durante la partita di basket, tuttavia
c’era poco che potesse fare se non imparare a convivere con quella situazione,
aspettando che prima o poi il dolore si attenuasse. Ma anche Patricia sembrava
imbarazzata. Forse quei due non erano destinati a stare insieme, però c’era
stato amore, fra di loro, e adesso dovevano imparare ad andare avanti da soli.
Era molto duro, lo sapeva benissimo, però ce l’avrebbero fatta. Era nella
natura delle cose. Il mondo non si fermava soltanto perché la loro storia era
finita, e purtroppo lo si imparava sempre nella maniera più dura...
- Ho visto Isabel, un paio di giorni fa, ma da allora non l’ho più incontrata.
Che corsi frequenta? - domandò Patricia, per rompere il silenzio.
- Non lo so, con esattezza, però adesso è a Roswell, con Max. Dovevano dare una
mano al padre, e così staranno via per un po’. Con loro ci sono anche Jason e
Shiri. -
- E sei qui tutta sola? Perché non sei rimasta a Roswell pure tu? -
- Io... ho preferito venire qui per avvantaggiarmi con gli esami. Sai, quando i
due piccoli nasceranno avrò molte cose da fare, e... Ecco, ho ritenuto più
opportuno approfittare di queste ultime settimane di libertà...
- Credo di capire cosa intendi! - Pat rise divertita. - Non sarà facile gestire
due neonati contemporaneamente! -
- No, infatti. - Liz rise a sua volta, sforzandosi di non pensare a come
sarebbe diventata la sua vita di lì a breve.
Quando ebbero finito di mangiare uscirono insieme dalla mensa e Tony le salutò
per dirigersi verso la biblioteca.
Rimaste sole Patricia si grattò pensosamente una tempia. - Tony non l’ha presa
molto bene... - cominciò. Ma davvero, Liz, ad un certo punto ho capito che
volevo qualcosa di più... più profondo, sconvolgente... Con lui mi sentivo
bene, sicura, ma... ho scoperto di volere altro, dalla vita. Puoi capirmi, Liz?
-
La ragazza annuì. Un gesto lento, colmo di dolce mestizia. - Sì, certo... Anche
per me è stato così... Quando ho conosciuto Max mi sono resa conto che con lui
mi sentivo davvero viva... - Fece una piccola smorfia agitando sorridente una
mano. - A quel punto ho deciso che valeva la pena di stravolgere tutto il mio
piccolo mondo ben organizzato pur di stargli vicino... E... so di aver fatto la
scelta giusta. -
- Sì, si vede. - Pat sorrise a sua volta. - Spero di avere la tua stessa
fortuna, ed il tuo coraggio -
- E sarà così, quando incontrerai la persona adatta a te. Credimi... -
- Peccato che non vada in giro con un bel cartello appeso al collo: “Eccomi,
sono qui!” -
- Hai ragione... Anzi, a volte è molto ben mimetizzata... -
- Ok, non voglio pensarci, adesso, altrimenti mi deprimo e non riesco a
concentrarmi sullo studio! Quanti corsi ti mancano per finire? -
- Tre. Ma conto di sostenere un esame già la settimana prossima, anche se sarà
dura senza aver avuto la possibilità di frequentare. -
- Cosa farai, dopo la laurea? -
- Tornerò a Roswell, con Max. Lì ci sono le nostre famiglie, il marito di
Isabel, e Maria e Michael, che sono come dei fratelli, per noi... Non è una
grande città, e forse non offre molte prospettive di lavoro, però è dove siamo
cresciuti e dove ci sentiamo davvero a casa. Spero che verrai a trovarci, un
giorno... -
- Sicuro! Sai, non ci sono mai stata però è un posto che mi ha sempre
incuriosita, con tutte quelle storie sugli alieni... - Patricia la guardò
divertita. - Dimmi la verità: ci sono davvero? Gli alieni, intendo... -
Liz scrollò il capo. - Oddio, no, certo! Ma c’è un’infinità di locali a tema, a
cominciare da quello dei miei genitori, il Crashdown Café, e puoi trovare tutti
i souvenirs più assurdi che desideri! -
- Dev’essere un posto divertente -
- Se vuoi metterla così... -
- E... quando viene Max? -
- Non lo so con esattezza. Forse... fra una decina di giorni, oppure... di
più... -
Vedendo che l’argomento aveva rattristato l’amica Patricia le passò un braccio
intorno alle spalle. - Dai, puoi sempre telefonargli, no? -
Liz si morse nervosa le labbra. - Sì, certo... - mormorò, ma la luce nei suoi
occhi si era offuscata. Scusami, io... devo andare a studiare. Ciao. -
- Ciao... - Patricia la guardò allontanarsi, perplessa, poi consultò l’orologio
e sospirò. “Accidenti, se non mi sbrigo faccio tardi alla lezione!”
Nei giorni che seguirono le due ragazze trascorsero insieme buona parte del
tempo libero studiando a casa di Liz finché giunse una telefonata da Amy. La
donna era agitatissima e pregò Liz di andare subito a Roswell perché Maria
stava molto male e continuava a chiedere di lei.
Non sapendo cosa pensare la giovane, che aveva appena terminato la prova
d’esame, si strinse preoccupata i libri al petto poi si affrettò a tornare a
casa. Mise un ricambio d’abiti in uno zaino, chiamò Patricia per avvertirla che
sarebbe stata via alcuni giorni, dopodiché afferrò le chiavi del fuoristrada e
se ne andò.
Si sforzò di restare calma mentre guidava ma le sue dita tamburellavano senza
sosta sullo sterzo. Sperava sinceramente che si trattasse solo di
un’esagerazione da parte di Amy, tuttavia non vedeva l’ora di verificare da sé
e sospirò sollevata quando, finalmente, giunse a Roswell. Parcheggiò davanti
alla casa dove abitava Maria e suonò con forza il campanello.
Le aprì Amy, pallida e con gli occhi gonfi. - Oh, Liz, grazie al cielo sei qui!
Vieni, ti prego! - La prese per mano e quasi la trascinò nella camera da letto
dove, sepolta sotto un cumulo di coperte e col viso madido di sudore, giaceva
Maria.
La ragazza, nonostante la gradevole temperatura di fine estate, tremava per il
freddo e respirava a fatica.
Liz si precipitò al suo fianco, sconvolta, e le sfiorò gentilmente la fronte. -
Maria, che cosa ti è successo? - chiese prossima alle lacrime.
Maria batté un paio di volte le palpebre poi riuscì a mettere a fuoco
l’immagine dell’amica. - Liz... Oddio, Liz, mi sento così male... - Tentò di
umettarsi le labbra riarse e Liz si affrettò a prendere il bicchiere pieno
d’acqua che stava sul comodino. Le sollevò un poco la testa e l’aiutò a bere
qualche goccia di liquido, poi Maria si abbandonò all’indietro, sfinita. -
Una... una settimana fa mi sono comparse... delle macchioline... di luce,
Liz... e... ho pensato di... essere incinta... - Accennò un sorriso, e una
goccia di sangue le apparve all’angolo della bocca. - Poi... - con un sospiro
chiuse gli occhi. - ho cominciato a sentirmi... debole... Mi faceva male
dappertutto... e avevo tanto freddo... e poi caldo... E faccio... degli strani
sogni... Ti ricordi quando... quando Michael...? - S’interruppe, troppo stanca
per continuare, ma Liz aveva capito. Sì, rammentava benissimo il giorno in cui
Michael, in preda al delirio, aveva perso conoscenza ed era finito avvolto in
un bozzolo che solo le pietre di River Dog erano riuscite a distruggere. Però
Maria non aveva sangue alieno, e non si era certo sottoposta ad una cerimonia
indiana, quindi come mai...? Poi, di punto in bianco, capì. Certo, Maria non
aveva sangue alieno, ma era incinta e forse... quella era la reazione scatenata
dalla presenza in lei di un organismo non umano! Se davvero le cose stavano
così cosa poteva fare, lei? Ci sarebbe voluto l’intervento di Max, o di Shiri,
ma loro si trovavano in un’altra galassia e non c’era modo di avvertirli... Con
delicatezza riadagiò la testa di Maria sul cuscino e rimase a guardarla con gli
occhi colmi di lacrime per un tempo infinito poi, piano piano, tirò via le
coperte fino a scoprirle il corpo. Le sollevò allora il bordo della camicia da
notte e vide che, in effetti, il suo basso ventre brillava di mille puntini
luminosi. Sorrise con malinconia. - Sì, Maria, aspetti un bambino... -
bisbigliò con voce incrinata, e questo ti sta... uccidendo... - aggiunse in un
soffio. Non credeva che l’avesse sentita, ma l’attenzione della ragazza era
concentrata su di lei e quelle parole appena mormorate le aveva udite
perfettamente. Liz... puoi... puoi aiutarmi? - disse in un soffio.
- Io... non lo so! - In preda alla disperazione Liz la ricoprì con gesti
affettuosi, una coperta dopo l’altra, finché di Maria fu visibile solo il viso
cereo.
- Per favore... -
Liz sentì alle sue spalle un singhiozzo soffocato. Si volse di scatto e vide
Amy, che si torceva disperata le mani. - Amy, io... -
- Non c’è proprio niente che tu possa fare? Ti prego!... -
La giovane si passò le mani tremanti fra i capelli. - Non ne ho idea... -
confessò piangendo. Chiuse gli occhi cercando di riflettere, poi si rialzò in
piedi. - Forse... potremmo provare con una trasfusione... Nel mio sangue ci
sono cellule aliene, e sono incinta. Se non funziona... - Scosse la testa, non
sapendo che altro dire, poi sorrise stancamente ad Amy. - Devi farlo tu. Non
possiamo andare in ospedale... -
- No, certo, è chiaro... - Amy si asciugò le guance col palmo delle mani. -
Vado a comprare il necessario. Torno fra poco - Corse via, piena di speranza,
dopo averle lanciato uno sguardo grato.
Più tardi, sotto gli occhi attenti di Jim, che era arrivato pochi minuti dopo
la moglie, Liz osservò il suo sangue rosso e denso fluire nella siringa per poi
essere iniettato nelle fragili vene di Maria.
Terminata l’operazione rimasero tutti e tre a studiare con ansia la ragazza,
quasi rantolante.
- Potrebbe volerci un po’ di tempo... - mormorò lo sceriffo, cercando di
tranquillizzarle.
Liz prese nella sua una mano di Maria. - Ce la deve fare. Non saprei proprio
cos’altro tentare... E non sono nemmeno sicura che questo non la faccia stare
peggio... -
- Perché tu non hai avuto questa reazione, quando sei rimasta incinta la prima
volta? - le chiese Amy, perplessa.
Lei sospirò impacciata. - L’essere stata guarita da Max ha provocato dei... dei
cambiamenti, in me... Il mio sangue non è più completamente... umano, e si
modifica ad ogni gravidanza... Ma c’è un aspetto positivo: non mi ammalo da
quando avevo sedici anni! - terminò con un accenno di sorriso.
Amy scosse la testa, borbottando qualcosa all’indirizzo di Michael, poi andò in
cucina a preparare una tisana rinvigorente per la figlia.
Rimasti soli Jim si avvicinò a Liz e le strinse comprensivo una spalla. - Starà
meglio, ne sono certo. Ma davvero aspetta un bambino? -
- Sì. Quando... quando il piccolo comincia a formarsi appaiono dei punti di
luce sulla pelle, ed è questo che ha fatto capire a Maria di... - Deglutì con
forza, cercando di non crollare. - Spero di non essermi sbagliata... Maria sta
troppo male... non può resistere fino al ritorno di Max... -
- Sarai stremata, hai guidato da Albuquerque fin qui ed Amy ti ha prelevato una
montagna di sangue. Va’ a casa e riposati: ti chiameremo non appena ci sarà
qualcosa di nuovo, te lo prometto! -
Sia pure di malavoglia Liz dovette convenire con lui. - Sarò dagli Evans. -
mormorò, poi si chinò a deporre un bacio sulla guancia pallida dell’amica e se
ne andò.
Diane l’accolse con grande affetto e ascoltò attenta il suo racconto. - Oh,
santo cielo, mi spiace moltissimo! Maria è una così cara ragazza! Spero davvero
che vada tutto bene... -
- Anche io... -
La donna la guardò intenerita. - Ma adesso vai a dormire un po’, d’accordo? Hai
l’aria disfatta, e Max non ne sarebbe affatto contento! Avanti, sali in camera
e cerca di stare tranquilla -
- Ok - Troppo stanca per protestare Liz si avviò su per le scale, completamente
dimentica dello zainetto lasciato accanto alla porta d’ingresso.
Era quasi l’ora di cena quando Diane l’andò a svegliare. - Liz... Liz, c’è una
telefonata per te. E’ Amy... - le disse toccandole piano una spalla.
La ragazza si mise a sedere di scatto. Si sentiva più stanca di quando si era
coricata ma si affrettò a seguirla al piano sottostante. - Amy? - mormorò
ansiosa nel ricevitore.
“- Liz! Oh, Liz, Maria ha smesso di rantolare e la febbre è calata un poco! Ti
ringrazio, tesoro, ti ringrazio con tutto il cuore! Se non fosse stato per
te... -” Si mise a piangere, e Liz dovette faticare per trattenere a sua volta
le lacrime. - Vengo subito lì - disse decisa, poi riattaccò e sorrise a Diane.
- Maria sta meglio. Io... io torno da lei. Ci vediamo più tardi... -
- D’accordo, cara. Ti lascerò qualcosa da mangiare in caldo nel forno, ok? -
Lei annuì con gratitudine dopodiché uscì per andare dall’amica.
In effetti Maria aveva un aspetto più sano, per quanto il suo corpo fosse
ancora scosso ogni tanto da lunghi brividi. Quando sentì la voce di Liz aprì
gli occhi e il volto le s’illuminò. - Ciao... - bisbigliò.
- Ciao! - Liz le sedette accanto e le accarezzò i capelli. - Ci hai fatto
prendere un bello spavento, sai? -
- Giuro che non l’ho fatto apposta... - Fece un profondo respiro, quasi
assetata di aria. - Sarà una bellissima sorpresa, per Michael... Lui... non ne
ha mai parlato... ma sono sicura che sarà felice di sapere che avremo un
figlio... -
Liz annuì convinta. - Oh sì, ricordo la sua espressione quando ti guardava
tenere in braccio Jason! Vuole far credere di essere un duro, ma in realtà ha
il cuore tenero... -
- Lo so - Maria accennò un sorriso e cercò di girarsi sul fianco.
- Come ti senti? -
- Meglio, grazie. - Aveva parlato con voce abbastanza ferma, ma gli occhi le si
chiusero e si addormentò di botto.
Sentendosi vagamente inquieta la ragazza si alzò e guardò Amy. - Forse sarebbe
il caso di fare un’altra trasfusione. -
- Non pensarci neppure! Caso mai vedremo domattina, se proprio insisti, ma
adesso vai a casa e non preoccuparti. Ti sarò eternamente grata per quello che
hai fatto, però non voglio che per aiutare Maria tu finisca col rimetterci la
salute! Non potrei mai perdonarmelo... -
Liz la strinse in un rapido abbraccio. - Allora d’accordo, tornerò domani!
Ciao, e salutami Jim -
Quando fu di nuovo a casa Evans trovò Phillip e Diane che l’attendevano con
ansia. Si affrettò a spiegare loro che Maria stava decisamente meglio, ma
l’uomo la fissò serio. - A dire la verità noi pensavamo a te. Diane aveva
ragione, sei dimagrita, e non è una buona cosa quando si è in stato
interessante... -
La ragazza si sedette a tavola mentre la suocera le metteva davanti una serie
di pietanze. - Sì, è vero, ma... io... -
- Ti manca Max, lo capisco, però questo non significa che debba lasciarti
andare in questo modo. Sei una ragazza intelligente, Liz, e credo che tu sappia
perfettamente cosa è giusto fare. Quindi, per favore, cerca di aver cura di te,
oltre che di Maria!... -
Liz lanciò uno sguardo mesto alla donna poi iniziò a mangiare. Piano, con gesti
lenti, sforzandosi di non mostrare il leggero senso di nausea che le serrava lo
stomaco, aggiunse un po’ di salsa piccante e riuscì a vuotare il piatto. -
Vi... vi chiedo scusa però adesso vorrei andare a dormire... -
- Ma certo, cara, vai pure! - Diane le sorrise mentre lasciava la cucina, poi
radunò le stoviglie sporche e le mise nel lavandino.
- Spero che i ragazzi tornino presto. Liz mi è sembrata davvero a pezzi -
osservò Phillip.
La donna si mise a lavare i piatti con notevole energia. - Beh, lei e Max sono
molto legati, e ogni volta che devono separarsi... - Scrollò la testa,
sentendosi inutile. - Non dovrebbe essere in questo modo, non mi sembra una
cosa sana, però li posso capire. La loro vita è piena di pericoli e... e di
sofferenza... Max compirà ventun’anni fra due mesi e ne ha già passate così
tante, e Liz con lui... Credo che l’unica cosa che possiamo fare sia stargli
vicino e aiutarli ad andare avanti. -
- Lo stai già facendo. Per questo Max e Isabel ti amano tanto... -
Diane si voltò a guardarlo. - Amano anche te. Oh, Phillip, chi avrebbe mai
potuto immaginare la verità quando ci trovammo davanti quei due bambini con gli
occhi così tristi e spaventati... -
Per tutta risposta lui abbozzò un sorriso poi le si accostò e le diede un bacio
sulla guancia. - Penso che, in fin dei conti, abbiamo fatto un buon lavoro:
sono diventati due giovani molto in gamba! -
Il giorno successivo, come promesso, Liz tornò a trovare Maria. Con lei c’era
anche Diane, che rimase colpita nel notare il deperimento della ragazza.
- Ha dormito tutta la notte però è ancora debole... - riferì Amy studiando
ansiosa la figlia.
- Facciamole un’altra trasfusione. - disse Liz con tono deciso.
- Te la senti davvero? Non vorrei che... - obiettò la donna.
- E’ tutto a posto, Amy. Prendi pure la siringa - La ragazza si mise a sedere
davanti alla toletta e attese pazientemente che Amy le prelevasse il sangue.
Diane avrebbe voluto protestare. Liz non aveva una gran bella cera e non
trovava opportuno che si sottoponesse a quell’operazione, ma poi si rese conto
che sarebbe stato del tutto inutile. Aveva imparato a conoscere la
testardaggine di quella benedetta figliola, e non poté fare altro che restare
in silenzio a guardare mentre le mani esperte di Amy guidavano l’ago nel suo
braccio.
La giornata si trascinò lentamente. Avvertito da Liz, anche Morgan passò a
trovare Maria, e quando giunse la sera la ragazza poté alzarsi e fare una
doccia sotto l’occhio vigile della madre.
Il mattino successivo Maria si svegliò prestissimo. Sentendosi molto meglio
scostò felice le lenzuola e si mise a rovistare nei cassetti.
Amy la trovò che stava infilando degli abiti in una valigia. - Che diamine stai
facendo? - la sgridò.
- Buongiorno, mamma - la salutò lei, continuando il suo lavoro.
- Buongiorno. Insomma, si può sapere che succede? -
- Ho deciso di andare ad Albuquerque con Liz. Non so con esattezza quando
Michael tornerà, e tu hai il tuo lavoro e non puoi continuare a stare a casa
mia lasciando Jim da solo, quindi parto insieme a lei. Ci faremo compagnia, e
poi, se dovessi sentirmi di nuovo male, è l’unica che possa darmi una mano. Chi
altri conosci che abbia avuto bambini da un alieno? - concluse facendo una
buffa smorfia.
- Ah, nessuno, questo è più che certo! Però non mi sembra una gran bella
idea... Insomma, anche Liz è incinta, e ha tutta l’aria di essere prossima al
parto... -
- Mamma, nessuno sa con esattezza quando partorirà! E poi forse è meglio se ci
sono io: l’ho già aiutata a far nascere Jason, e se Max non si sbriga a tornare
potrei doverlo fare di nuovo! -
Per nulla rassicurata la donna roteò gli occhi. - Grandioso! - esclamò, prima
di tornare in cucina per preparare la colazione.
- Sicura di sentirti meglio? - Liz guardò l’amica con una punta d’ansia.
- Oh, Liz, certo! E ti sarei estremamente grata se la smettessi di chiedermelo!
Sembri proprio mia madre...
- Scusami, solo che l’altro ieri sembravi più morta che viva, e allora... -
- Grazie tante! - Maria abbassò di qualche centimetro il finestrino e lasciò
che l’aria calda le scompigliasse i capelli. - Comunque è vero, sai? Mi sentivo
sul punto di morire, quando sei arrivata tu... Ti devo la vita -
- Non dire sciocchezze! Piuttosto... spero proprio che non debba assistermi per
la nascita dei gemelli... -
- Pensi che potrebbe succedere presto? -
- Non lo so - Liz si morse le labbra con fare assente. - Dopo aver lasciato El
Paso stavo davvero bene, però da un paio di giorni ho spesso la nausea e... non
so che dirti... Credo che Diane abbia ragione, dovrei mangiare di più, ma la
sola idea del cibo mi fa sentire male... -
- Mi stai mettendo paura... -
Liz scoppiò a ridere. - Scusa, non volevo! D’accordo, parliamo d’altro. Cos’hai
detto a quelli del locale? -
- La verità. Che aspetto un bambino e ho bisogno di un periodo di riposo. Non
mi sono sembrati troppo contenti, anche se mi hanno fatto gli auguri e
assicurato che avranno sempre un posto per me... Comunque ti confesso che al
momento cantare non è in cima alla lista dei miei pensieri -
- Lo capisco. Sai, credo che Michael sarà un padre meraviglioso. Riesco quasi
ad immaginare la faccia che farà quando gli dirai che aspetti un figlio... -
Stavolta fu Maria a ridere, una risata piena di gioia. - Sì, anch’io! - Poi,
sentendo la musica che usciva dallo stereo, abbandonò la testa contro il
sedile. - Oh, adoro questa canzone! - e sovrappose la sua voce forte e calda a
quella dell’artista.
Arrivarono ad Albuquerque nella tarda mattinata e Liz fece una sosta al
supermercato. - Volente o nolente devo nutrirmi, e in ogni caso non posso far
morire te di fame! - disse mentre richiudeva lo sportello della vettura.
- Giusto. - Maria la prese allegramente sottobraccio ed entrò con lei nel
grande magazzino.
Una volta a casa Liz telefonò a Patricia e la invitò a cena per quella sera. -
C’è anche Maria, è venuta a tenermi compagnia!... -
La ragazza accettò di buon grado e si offrì di portare il dolce.
Il giorno successivo Liz aveva lezione e si fece promettere da Maria che se ne
sarebbe stata buona buona a casa. - Preferisco che te la prenda con calma, ok?
Forse il mio sangue ti ha fatta stare meglio, ma mi sentirei più tranquilla
sapendoti qui. -
- Sai, sei davvero peggio di mia madre! In ogni caso... d’accordo, per oggi non
uscirò. Ma domani sarà tutta un’altra storia! -
- Va benissimo! - Liz le sorrise e si chiuse dolcemente la porta alle spalle.
Nell’aula di fisica incontrò Tony e sedette accanto a lui. - Ciao, tutto bene?
-
- Sì, grazie. Ho saputo del tuo esame: congratulazioni! -
- Sono stata fortunata. Le domande erano piuttosto facili... -
- Per te, forse. Ma ho parlato con George, e lui ha detto che di alcune non ne
aveva capito neppure il senso! -
Liz scosse divertita la testa. - Se avesse passato più tempo sui libri anziché
al bowling forse sarebbe andato meglio, non credi? -
- Mmm... - Tony accavallò le gambe e si guardò intorno. - Oh oh... Non
voltarti. C’è Cole Morrison due file dietro di noi -
Con un tuffo al cuore la ragazza scivolò un poco verso il basso cercando di
mimetizzarsi. - Non voglio che mi veda. - spiegò notando la sua perplessità.
- Ma... non ti conosce! Santo cielo, Liz, non ti sembra di esagerare? -
- No - La risposta recisa non ammetteva repliche, così il ragazzo si limitò a
sbuffare e sistemò il blocco per gli appunti davanti a sé.
Mentre camminava lungo il sentiero che conduceva all’edificio dove si trovava
la biblioteca Liz si sentì apostrofare da una voce dura. - Signorina Parker, o
meglio, signora Evans -
Spalancando gli occhi per la sorpresa si voltò e rimase agghiacciata. - Gabriel
Ross... -
- Venga, ho bisogno di parlarle - Fece per prenderla per un braccio ma lei si
tirò indietro bruscamente. Che cosa vuole? -
- Non intendo discuterne qui -
- E io non intendo seguirla. - Girò sui tacchi per allontanarsi ma l’agente
federale le afferrò la spalla stringendo forte. - Non ti conviene fare una
scenata, piccola. Seguimi senza fare storie -
- No. Cosa vuole? - ripeté, girando il viso per guardarlo negli occhi.
- D’accordo. - Ross lasciò andare la presa e la fissò gelido. - Il satellite ha
registrato due macchine e nove persone in un’area del deserto vicino Roswell,
poi le persone sono diventate tre e le macchine sono tornate in città. Che fine
hanno fatto gli altri? -
- E io come faccio a saperlo? -
- Non giocare con me, non ti conviene. So già che Coltrane e Maria DeLuca sono
ancora nel New Mexico, come te. Dove sono i fratelli Evans e Michael Guerin? E
chi era l’altro individuo? -
Terrorizzata a morte ma decisa a non mostrarlo Liz deglutì a fatica. - Io non
so di cosa stia parlando. Max e Isabel sono al campus, e Michael è a Roswell. -
- I miei uomini hanno controllato: loro non sono più qui. I patti erano chiari,
non dovevate fare alcuna mossa sospetta. Adesso tu sarai il nostro ostaggio, e
quando gli Evans e Guerin si rifaranno vivi verranno catturati e rinchiusi in
un posto sicuro. Come avrebbe già dovuto essere... -
- No! - Liz fece per correre via ma finì addosso a qualcuno. Cercò inutilmente
di liberarsi mentre due forti braccia le cingevano la schiena, e tremando si
appoggiò contro il nuovo venuto.
- Perché stava minacciando mia moglie? -
A quelle parole la ragazza si sentì svenire. Oddio, no, non era possibile!...
- Max Evans?!? Quando diamine è tornato? -
- Non mi sono mai mosso da questo posto. Se ne vada, adesso, e non si faccia
più vedere! - Così dicendo il giovane fece scivolare una mano intorno alla vita
di Liz e la sospinse in avanti. - Andiamo... -
Non sapendo che altro fare lei obbedì e si lasciò condurre via in silenzio,
senza osare alzare lo sguardo sul suo inatteso salvatore.
- Sei una ragazza molto sfuggente, sai? - mormorò questi ad un certo punto,
quando furono abbastanza lontani da Ross.
- Io... ti ringrazio per avermi aiutata, però adesso vorrei tornare a casa. -
- Ah no, mia cara, non ci penso neppure! - Cole la prese per un polso e la
costrinse a seguirlo fino al suo miniappartamento, poco distante dal college.
- Allora, signora Evans... Cosa si prova ad essere sposati con un alieno? -
Liz prese esitante il bicchiere che lui aveva appena riempito d’acqua e se lo
portò alle labbra cercando di prendere tempo. Era terrificante trovarsi davanti
qualcuno così simile a Max, e trattenendo a stento un gemito si lasciò cadere
sulla sedia accanto a lei. - I... Isabel ci ha parlato di te... - riuscì
soltanto a dire.
- Isabel... Quella stupenda ragazza dalle gambe lunghissime... Chissà se la sua
progenitrice ha avuto dei discendenti? - Ridacchiando si appoggiò con la
schiena al bordo del lavandino e la guardò attento. - Ma anche tu sei molto
carina, sai? Max ha avuto davvero buon gusto, devo dire... -
- Che cosa vuoi? -
- Soltanto parlare, stai tranquilla. Cerca di capirmi: sono molto curioso di
avere notizie della persona costruita col DNA di mio nonno... Con Isabel non ce
n’è stato il tempo, avevamo ben altro da fare... -
- Che... che vuoi dire? -
- Oh, non te l’ha raccontato? -
- Cosa? - Liz era rigida, quasi distaccata, mentre il suo cervello lavorava
freneticamente per trovare una via d’uscita.
- Abbiamo fatto l’amore nel parco del campus. Lei aveva una voglia matta di
farsi il fratello, ed è stata ben contenta di ripiegare su di me. In fondo
siamo identici, non trovi? -
Quelle parole crude fecero sbiancare la ragazza. Ripensò al sogno che aveva
portato Isabel da Morgan e sospirò dentro di sé. Ora capiva come mai Shiri e
Jason si fossero comportati così stranamente, la sera della loro partenza...
Isabel doveva essere ancora sconvolta per ciò che aveva fatto con Cole Morrison,
e di sicuro era quello l’argomento di cui doveva parlare con Max. Non poteva
fargliene una colpa, sapeva benissimo cosa significasse essere ossessionati da
qualcuno, e si augurò che fosse finalmente riuscita a trovare un po’ di pace.
- Non dici niente? Non ti sconvolge sapere che Isabel provi un tale desiderio
nei confronti di Max? -
Liz non rispose. Non intendeva discutere con una persona abietta come quella
dei sentimenti che univano Isabel a suo fratello, e non voleva pensare a cosa
doveva aver provato Max nel sapere cos’era successo all’unica persona
sopravvissuta della sua vera famiglia. Non poteva.
- Vedo che presto ci sarà un altro ibrido... Certo che se la gente sapesse la
verità sarebbe un bel guaio, vero? -
- Tu... hai intenzione di dirlo a qualcuno? - domandò Liz, un dubbio nei caldi
occhi bruni.
- No. Almeno per adesso. Comunque sarei curioso di sottoporti a qualche esame
io stesso. Non per niente ho scelto bioingegneria come specializzazione... Mi
piacerebbe scoprire com’è stato manipolato il mio codice genetico per
consentire ad una forma di vita aliena di sopravvivere... - Così dicendo le
andò accanto e le premette forte le mani sul pancione. - E’ incredibile... -
disse con espressione intensa.
La pressione aumentò e Liz si lasciò sfuggire un gemito. - Smettila, per
favore... - mormorò.
- Dovrò prelevarti un po’ di liquido amniotico. E già che ci sono cercherò di
arrivare al feto. E’ sicuramente lì che troverò un bel po’ di cose
interessanti, non credi? - La costrinse ad alzarsi in piedi e le bloccò le mani
dietro la schiena. - Farai la brava bambina, vero? - Si chinò su di lei e le
diede un bacio sensuale sull’orecchio.
Rabbrividendo Liz chiuse gli occhi. “Max, aiutami... Max, ho bisogno di te!”
- Come, non ti piace? Eppure so che ami molto tuo marito... - la prese in giro
Cole. Le circondò il volto con le mani. - Non puoi andare dalla polizia, non
puoi denunciarmi, e questo renderà tutto più semplice. Ho solo bisogno di un
paio d’ore dopodiché potrai andartene... -
- Non hai paura di quello che ti farà Max, quando tornerà? -
- Non può farmi niente perché non può permettersi un’indagine. E’ sempre stato
molto attento a non attirare l’attenzione su di sé... E poi, in fin dei conti,
sto solo ripetendo l’esperimento che Nasedo e Meynir hanno fatto con mio
nonno... -
- Ma se non starai attento potresti uccidere il bambino! - cercò di protestare
Liz.
- Vorrà dire che riproverò con Maria DeLuca. Anche lei ha rapporti sessuali con
un alieno, e prima o poi resterà incinta, giusto? -
Liz si sentì paralizzata dall’orrore. Non poteva permettere che quel mostro
arrivasse a Maria! In qualche modo doveva fermarlo lei!...
- Vieni, dobbiamo andare. Il mio laboratorio si trova dall’altro lato della
città -
- Io... non ho alcuna intenzione di venire con te! -
- Ti prego, Liz, mi dispiacerebbe doverti fare del male... -
- Tu mi... mi stai già facendo del male! - ribatté Liz cercando di scostarsi da
lui.
Cole ridacchiò divertito. - Adesso stai diventando melodrammatica... Dai, ci
vorrà pochissimo, te lo prometto! -
- No - La ragazza mosse lentamente la testa. Non poteva permetterlo... non
poteva lasciargli fare qualcosa di così spaventoso... - Cole... ripensaci... Ti
scongiuro, ripensaci!... -
- Sto aspettando questo momento da quando avevo quattordici anni. Come puoi
credere che rinunci proprio adesso? -
- Io... ti capisco, ma... ti rendi conto di quello che vuoi fare? -
- Perfettamente -
Davanti alla sua irremovibilità Liz sentì la furia montarle dentro. - Max non
ha alcuna colpa per quello che Nasedo e Meynir hanno fatto a tuo nonno, né
tantomeno io e i miei figli! Loro sono speciali, generosi, profondamente...
umani! Al tuo posto mi sentirei onorata per aver reso possibile il ritorno alla
vita di Max! Lui ha fatto cessare una guerra che insanguinava Antar da decine
di anni, e ha liberato due mondi da un pazzo che li stava portando alla
distruzione! Dovresti... dovresti essere fiero di sapere che è stata una parte
di te a permettere tutto questo! -
- E tu lo sai cosa significa scoprire che c’è un ibrido alieno che ha la tua
stessa faccia? Quando ho visto Max per la prima volta mi è quasi venuto da
vomitare! Quel mostro è identico a me! -
- Max non è un mostro... - bisbigliò Liz mentre una lacrima le scivolava lungo
il viso.
- Oh sì che lo è! Un corpo umano con sangue alieno! E’ rivoltante! E tu... e
Maria! Come fate ad amare degli esseri così... così repellenti! -
- Hai detto di aver fatto l’amore con Isabel. Anche lei è repellente? -
- Non nell’aspetto fisico, no... Ma dentro ha la perfidia di Vilandra, una
donna che, non potendo possedere il fratello, ha tramato per causarne la morte!
-
- Che cosa dici?!? - esclamò Liz spalancando gli occhi. - E’ stato Volnis a
tramare per eliminare la famiglia reale di Antar! -
- Su istigazione di Vilandra. Meynir lo sapeva, ed era preoccupato che la
storia potesse ripetersi. Per questo ha cercato in tutti i modi di tornare alla
caverna dove erano state nascoste le incubatrici... -
- Ti sbagli! Vilandra è stata uccisa con Zan il giorno del suo matrimonio! -
- Perché, all’ultimo momento, ci aveva ripensato. Era andata proprio da Meynir,
che faceva parte delle guardie del corpo della famiglia reale, per avvertirlo
della possibilità di un attacco, ma lui non ebbe il tempo di organizzare
un’adeguata difesa e le cose andarono come sappiamo... Isabel non è migliore di
Vilandra, credimi! -
- Ti sbagli! Sono... sono persone diverse, con esperienze diverse, e sentimenti
diversi... Isabel è molto attaccata a Max ma ama Morgan... -
- E Max ama te, invece di Ava, la sua sposa mancata... O forse dovrei dire
Tess... - Cole la prese per i fianchi e si sedette sul tavolo attirandola fra
le sue gambe divaricate. - Quanto manca al parto? -
- Io... non lo so - rispose lei disorientata per il brusco cambiamento di
discorso.
- Stare con quell’alieno ti ha procurato un bel po’ di problemi, vero? -
Liz lo fissò a lungo negli occhi. - Ne è valsa la pena - rispose alla fine.
- Cos’hanno di così interessante, questi esseri abominevoli, da attirare
l’attenzione di persone come te? -
- Non sono abominevoli, e ti pregherei di smetterla di parlare così di loro. -
Cole le mise le mani intorno al collo e insinuò la punta delle dita fra i suoi
capelli. Vide un’ombra attraversarle lo sguardo e sorrise divertito. - Cosa
c’è? Anche Max ti tocca così? -
- Smettila -
- Hai una bocca adorabile... - Il giovane si curvò in avanti e le prese le
labbra in un bacio lento e sensuale poi, a malincuore, la lasciò andare. - Tu
non sei come Isabel. Tu ami davvero Max e non intendi lasciarti toccare da
nessun altro... Sei una perla rara, Liz Parker Evans... -
La ragazza rimase in silenzio, senza sapere come reagire.
- Mi dispiace davvero, ma devo proprio farlo! - Le strinse l’avambraccio in una
morsa ferrea e scese dal tavolo tirandosela dietro. - Adesso dobbiamo andare -
- Cole! -
- E’ inutile, Liz... -
- Cole, sai chi era quell’uomo? Quello da cui stavo scappando? Era Gabriel
Ross, un agente dell’FBI appartenente all’unità speciale che si occupa della
caccia agli alieni! Lui conosce Max e finirà col capire che siete due persone
diverse! -
- Allora sarà troppo tardi. Avanti, stiamo perdendo tempo... - Spalancò la
porta di casa e si fermò di colpo. Davanti all’uscio stavano Ross e altri due
uomini. - Cole Morrison, giusto? - Senza aspettare la sua risposta prese Liz
per una spalla costringendola a fare un passo avanti. - Lei viene con noi, e tu
farai meglio a restare qui se non vuoi finire in un mare di guai! -
- Basta! - Liz sollevò di scatto le braccia liberandosi dalla stretta di
entrambi i suoi persecutori. - Voi non avete alcun diritto di portarmi via!
Lasciatemi in pace! - Si portò le mani alle tempie, esasperata. - Non abbiamo
fatto niente di male, non abbiamo infranto il patto! E non siamo cavie da
laboratorio! - Una fitta al basso ventre le strappò un lamento soffocato. -
Parlo seriamente, capitano Ross, o mi vedrò costretta a dirlo al presidente...
Ho modo di farlo, e lo sa bene... - Si sostenne la pancia con entrambe le mani,
il viso una maschera di dolore. - Non voglio più vedervi... nessuno dei due! -
Così dicendo si allontanò nel corridoio e raggiunse barcollando il portone
d’ingresso. Fece un cenno verso un taxi che stava passando in quel momento e
con un sospiro si affrettò a salire a bordo, sentendosi finalmente al sicuro.
Nel vederla così sconvolta Maria la costrinse a sedersi sul piccolo divano del
soggiorno e le portò un bicchiere d’acqua. - Santo cielo, Liz, sei pallida come
un cencio! -
Con un certo sforzo la ragazza riferì tutto quello che le era successo e Maria
le prese con affetto una mano. - Forse dovremmo tornare a Roswell. Lì, almeno,
ci sono Jim e Morgan... -
- No... Non intendo permettere all’FBI di averla vinta, e Cole deve capire che
le sue intenzioni sono assolutamente senza senso! -
- E come pensi di riuscirci? Se non fosse stato per l’arrivo di Ross a
quest’ora saresti legata su un lettino! Mio dio, rabbrividisco solo al
pensiero! -
- Devo riuscirci... altrimenti... altrimenti avremo un altro nemico da cui
guardarci... E quell’uomo è pericoloso, credimi! -
- Ne sono più che convinta! - Maria le scostò i capelli dal viso sudato. -
Pensi che... siano le doglie? - chiese vedendola stringere le labbra sbiancate
dal dolore.
- Non... non lo so... - Cercò di inspirare a fondo per rilassare i muscoli poi
abbozzò un sorriso. - E’ passata... Ti prego, mi aiuti a raggiungere la mia
camera? Ho assoluto bisogno di sdraiarmi un poco... -
- Certo, vieni... -
Mentre si girava per prendere una copertina di cotone in cui avvolgerla Maria
vide un foglietto svolazzare in terra. Mormorando delle scuse si chinò a
prenderlo e sorrise. - Liz, hai comprato un biglietto della lotteria? Non
l’avevi mai fatto prima! -
- Ah, sì, l’ho preso qualche giorno fa perché non avevano sufficienti spiccioli
per il resto... -
- Ti spiace se vado a controllare? -
- No, fai pure. Buona notte... -
- Buona notte - La ragazza strinse fra le dita il biglietto e tornò nel
soggiorno, dove sedette davanti al computer.
Pochi minuti dopo era di nuovo accanto a Liz e la scuoteva forte per
svegliarla. - Liz! Liz! Hai vinto! Liz, mi hai sentito?! -
- Sì, Maria, e devono averti sentito anche i morti... -
- Dai, Liz, è importante! - Poi, quando lei aprì gli occhi e la fissò
insonnolita, agitò allegramente il prezioso pezzo di carta. - Hai vinto il
primo premio! Sono 850,000 dollari, ti rendi conto?!? Adesso potrai comprare la
casa che Diane ed io abbiamo visto! E’ a due piani, color crema e bianco, con
un bellissimo giardino! E’ stupenda, ed è a metà strada fra noi e gli Evans!
Ah, ti piacerà di sicuro! -
- Maria, calmati, ti prego... Che cosa stai dicendo? -
- Hai vinto il primo premio del Powerball! Un jackpot da 850,000 dollari! -
- Stai scherzando, vero? -
- No, Liz, non potrei mai su un argomento come questo! Guarda, ho stampato la
pagina! - Le mostrò il foglio che teneva nell’altra mano e Liz dovette
convenire con lei. - Già, il numero sembra proprio lo stesso... - mormorò.
- Non mi sembri contenta... Liz, ti rendi conto che tu e Max non avrete più
bisogno di preoccuparvi per i soldi? Potrete scegliere il lavoro che preferite,
senza stare a pensare se lo stipendio è buono o no! E’ fantastico,
semplicemente... fantastico! -
- E’ assurdo. Insomma, non avevo mai comprato un biglietto della lotteria, e
adesso vinco addirittura il primo premio? Dev’esserci un errore... -
- Nessun errore! E poi, lo sai come si dice: la fortuna è cieca! Ma tu non
pensarci: telefono al signor Evans e gli chiedo se può occuparsene lui. In fin
dei conti è un avvocato, no? -
- Sì, ma... -
- Niente ma. Tu rimettiti a dormire, al resto ci penso io! - e se ne andò
canterellando soddisfatta.
- Oh, Maria... - Con un sospiro la ragazza si girò faticosamente dall’altra
parte e cercò di riaddormentarsi. Ci riuscì in pochi istanti, troppo stanca per
sentirsi eccitata all’idea della vincita, mentre Maria chiacchierava allegra
con Phillip Evans.
L’indomani l’uomo si recò ad Albuquerque per prendere in consegna il biglietto.
- Ciao, Maria, e Liz? -
- Dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Aveva una lezione importante e non
voleva mancare... Posso prepararle un po’ di caffè? -
- Certo, cara, sei molto gentile! -
- Si figuri... -
Poco più tardi, come previsto, Liz rientrò e lasciò che l’uomo l’abbracciasse
affettuosamente. - Mi spiace averti creato tutto questo disturbo, ma... -
- Non preoccuparti, tesoro, Maria ha fatto benissimo a rivolgersi a me! Nelle
tue condizioni è meglio che resti tranquilla a casa mentre io mi occupo di
tutti i noiosi dettagli burocratici. Ho solo bisogno di una firma qui, per la
delega... -
- Grazie, Phillip. - Liz tracciò il proprio nome dove lui le aveva indicato poi
lo invitò a trattenersi per il pranzo.
- No, preferisco tornare a Roswell. Ma tu... come ti senti? E tu, Maria? Anche
se, ad essere sinceri, mi sembri in ottima forma... -
- Infatti sto benissimo, grazie. Invece credo che Liz dovrebbe affaticarsi di
meno. Studia troppo, per i miei gusti. -
- Oh, Maria, finiscila! - ribatté Liz agitando una mano come a volersi
schermire.
- E’ la verità -
- Liz, cerca di riguardarti o dovrò dirlo a Diane... - la minacciò
amichevolmente l’uomo.
Con un sorriso la ragazza lo scortò fino alla porta. - Starò attenta, te lo
prometto -
- Bene, e anche tu, Maria, mi raccomando! - Phillip fece loro un segno di
saluto e risalì sulla sua auto.
- Non riesco ancora a crederci... - mormorò Liz girandosi verso l’amica.
Maria le fece la linguaccia e scoppiò a ridere. - Se vuoi ti dò un bel
pizzicotto! -
- No, grazie! -
- Senti... devi proprio tornare al campus? -
- Sì -
- Stai attenta. Se Cole dovesse riprovarci... -
- Maria, chiederò a Tony di accompagnarmi, va bene? -
- Perfetto - Le sfiorò la pancia con la punta delle dita. - Come va? -
- Sono ancora tranquilli. Speriamo che duri così per un po’... Vorrei che Max
fosse con me, quando... -
- Ci sarà, vedrai! - tentò di rassicurarla lei.
Nei giorni che seguirono Morrison cercò più volte di avvicinarla di nuovo ma
sia Patricia che Tony si diedero da fare per non lasciarla mai sola, e il
giovane dovette rivedere i propri piani. Sapendo che non sarebbe più riuscito a
bloccarla nel campus cominciò a tenere d’occhio la sua casa.
Un pomeriggio, dopo aver salutato Patricia, che l’aveva accompagnata, Liz si
rese conto di aver dimenticato nella stanza dell’amica uno dei libri che le
servivano per l’esame che avrebbe dovuto sostenere di lì a breve. - Accidenti,
devo andare assolutamente a prenderlo! - esclamò sconfortata.
- Telefonale e dille di portartelo domani al campus, no? - le suggerì Maria.
- Ne ho bisogno adesso, altrimenti non riuscirò a finire il ripasso... - Senza
ascoltare oltre le proteste dell’amica prese le chiavi del fuoristrada e uscì.
- Faccio presto, sta’ tranquilla! - Ebbe il tempo di fare solo pochi passi
quando Cole le si parò davanti. - Oh no! - Cercò di tornare indietro ma lui fu
più svelto e la prese per un polso. - Lasciami andare! - gridò. Riuscì a
liberarsi tuttavia Cole la rincorse e la spinse facendola cadere a terra. -
Sta’ ferma, maledizione! -
- Lasciami... - ripeté Liz, il respiro affannoso. Un dolore violento,
improvviso, le strappò un urlo soffocato. Cole la teneva ancora bloccata con
tutto il peso del proprio corpo e una nuova fitta le attraversò la schiena.
Lasciami! - gridò.
Sentendo il panico nella sua voce il giovane si scostò e la girò di lato. -
Accidenti... - Aveva la gonna bagnata ed il viso stravolto dalla sofferenza.
Senza starci a pensare la sollevò in braccio e si diresse verso la casa aprendo
la porta con una spallata.
- Ehi! - Maria si avvicinò fuori di sé dalla rabbia. - Che le hai fatto?! -
urlò.
- Sta per avere il bambino! Dov’è un letto? -
- Oddio!... Presto, vieni! - Lo guidò fino alla stanza di Liz e Max e cominciò
a cercare degli asciugamani puliti, che poi stese sul materasso tutto intorno
alla ragazza. - Ti avevo assicurato che Max sarebbe stato con te, ma non
intendevo questo... questo stupido idiota! - mormorò mentre aiutava Liz a
sollevarsi un poco contro la testiera. - Adesso respira profondamente mentre io
vado a prendere altri asciugamani, ok? E non avere fretta, mi raccomando! -
Lanciò un’occhiata sprezzante a Morrison. - Tu va’ in bagno: serve una
bacinella, la più grande che trovi, e riempila di acqua calda! - Si mise a
frugare nell’armadio finché scoprì dei teli molto morbidi e sorrise
soddisfatta. - Questi dovrebbero andare bene... -
Mentre Liz lanciava l’ennesimo grido di dolore uno strano suono attirò
l’attenzione di Maria, che si volse di colpo. - Max! -
Dietro di lei stavano Max e Jason, pallidi e ansiosi. - Liz! - - Mamma! -
Entrambi si avvicinarono alla ragazza, che sorrise incredula. - Max!... Sei
tornato per me... -
- Sempre, amore, sempre... - Le passò dolcemente una mano fra i capelli fradici
di sudore e le diede un piccolo bacio sulle labbra. - Adesso ci sono io... puoi
rilassarti... -
- Grazie - Con una smorfia fece forza sui talloni nel tentativo di attenuare il
dolore, poi la mano di Max si posò sul suo ventre e un piacevole calore la
invase. - Grazie... - ripeté guardandolo negli occhi.
Il giovane si girò un attimo verso Morrison. - Jason, portalo via di qui -
ordinò con voce gelida, poi tornò a concentrarsi su Liz. - Ora puoi spingere:
Claudia è nella giusta posizione per uscire -
- Va bene. - Fiduciosa, Liz fece come le aveva chiesto e di lì a poco la
neonata venne alla luce. Max si affrettò a distaccarle il cordone ombelicale
prima di porgerla a Maria, poi fu la volta della nascita di Ethan. Senza
distogliere l’attenzione dal viso stanco ma felice di Liz prese un asciugamano
e cominciò a pulirla con gesti delicati e teneri. - Riposati un po’, dopodiché
potrai fare la doccia... -
- Preferirei farla subito, mi sento tutta appiccicosa. -
- Non se ne parla nemmeno - Si voltò verso Maria, che gli porse subito Claudia,
già lavata ed avvolta in un panno pulito. - E’ bellissima! - disse sorridendo.
- Ma anche Ethan è uno spettacolo... - Il bambino era ancora immerso nell’acqua
tiepida e sgambettava sollevando schizzi tutt’intorno a sé.
Liz tese le braccia per ricevere la figlia ed il suo viso si accese di una luce
che fece riempire di lacrime gli occhi di Max. Dio, quanto la amava... Con
gesto gentile le scoprì un seno e la guardò allattare per la prima volta la
bimba.
Mentre la boccuccia di Claudia succhiava con avidità la ragazza sollevò lo
sguardo sul marito. Fu uno sguardo intenso, colmo d’amore, e Max sentì che per
lei sarebbe riuscito a sconfiggere qualsiasi nemico.
Nel piccolo soggiorno, intanto, Cole Morrison continuava a fissare Jason,
un’espressione indecifrabile negli occhi nocciola.
- Che cosa volevi da mia madre? - domandò ad un tratto il ragazzo.
Morrison sollevò ironico le sopracciglia. - Liz è tua madre?!? Scusa, ma...
quanti anni hai? -
Jason scosse con indifferenza le spalle. - A quanto sembra la nostra parte
aliena è più forte del tuo DNA umano -
- Però senza il mio DNA umano Sua Altezza Reale Zan di Antar sarebbe ancora un
mucchietto di cellule inutili... -
- Questo non ti autorizza a perseguitare mia madre -
- Io non perseguito nessuno, ragazzino! Voglio soltanto capire se il fatto che
mio nonno e mio padre siano entrambi morti di cancro a quarant’anni sia legato
a quel piccolo prelievo apparentemente innocuo - Il tono di Cole Morrison era
diventato freddo, secco, e Jason serrò impercettibilmente le labbra, a disagio.
Senza dire più nulla rimase rigido a fissarlo finché la porta della camera dei
suoi genitori si aprì e apparve Max. Allora fece un piccolo gesto nella sua
direzione. - Ti consiglio di parlarne direttamente con lui - mormorò senza
staccare lo sguardo dal suo volto teso.
Lentamente Cole si girò verso l’alieno. Era una sensazione così strana, come
fissarsi allo specchio, eppure c’era qualcosa, in Max Evans, che lo rendeva
diverso. Sapeva che doveva avere all’incirca vent’anni, per quanto i suoi occhi
tradissero una forza ed una sicurezza interiori che sembravano smentire la
giovane età. Si rendeva conto che non era colpa sua se, oltre mezzo secolo
prima, un essere proveniente da un altro mondo aveva scelto Richard Morrison,
un tranquillo allevatore di pecore, per ottenere il materiale genetico
necessario a riportare in vita quello che era rimasto del suo signore. Ma
troppe strane coincidenze si erano succedute da allora, e lui voleva sapere la
verità. A qualsiasi costo. Senza farsi intimidire dall’aura di potere che
entrambi emanavano indicò il divano alla sua sinistra. - Credo che sarebbe
meglio mettersi seduti. E’ una lunga storia... -
- La conosco già. O perlomeno, conosco la parte che hai raccontato a mia
sorella - Un piccolo muscolo vibrò nella mascella di Max. - Jason, vai da Liz -
aggiunse, senza voltarsi verso di lui.
Il ragazzo non era ancora uscito dalla stanza quando Cole esclamò con un certo
sprezzo: - Isabel ha il fascino di una regina e il cuore di una puttana. Meynir
sapeva della sua passione per te, ed era certo che fosse stata lei a passare a
Volnis le informazioni che gli avevano permesso di attaccare nel momento
giusto... -
Jason chiuse per un attimo gli occhi e la sua mano tremò per la rabbia mentre
girava la maniglia poi, con un certo sforzo, lasciò che la porta lo separasse
definitivamente da tutta quella cattiveria.
Max, invece, si sentì sommergere ancora una volta dal dolore e dalla
disperazione di Isabel quando era fuggita da lui per finire tra le braccia di
un perfetto sconosciuto. Ricordò la sua angoscia nel sapere del bambino che
aveva cominciato a crescere dentro di lei, e la desolazione di quei bellissimi
occhi scuri quando gli aveva chiesto di fermarlo. Vilandra poteva averlo amato
e tradito, Isabel poteva aver trovato il modo di sopravvivere attaccandosi
profondamente a lui, ma era comunque sua sorella. Una persona cui voleva bene
con tutto se stesso, che aveva sempre cercato di proteggere e difendere, ed il
fatto che lei fosse morta al suo fianco, su Antar, e avesse più volte messo a
repentaglio la propria vita durante quegli ultimi anni per aiutarlo a
fronteggiare un destino che altri avevano scelto per loro, la rendeva ancora di
più degna di rispetto e amore.
- Liz, invece, non ha risposto al mio bacio, eppure voi due siete praticamente
una cosa sola. -
Un’improvvisa furia spazzò via qualsiasi altro pensiero. - Cosa le hai fatto?!?
- Con un balzo gli fu addosso e gli premette le mani sulle tempie fissandolo
negli occhi così intensamente che, suo malgrado, Cole rivisse ogni istante dei
suoi confronti con la ragazza e Max ne ricevette immagini e sensazioni
velocissime ma precise. - Tu, maledetto bastardo! - Lo scostò con violenza da
sé e rimase a guardarlo col respiro ansante. - Stai lontano da lei, mi hai
capito? Sta’ lontano da tutti noi! Se a Liz o ad Isabel dovesse succedere
qualcosa niente mi impedirà di ucciderti, credimi! -
- Come Nasedo ha fatto con mio nonno? - Cole strinse un pugno con rabbia e
proseguì sibilando, risentito per l’espressione combattiva del giovane alieno,
- Lui aveva trentacinque anni quando venne rapito, e a quaranta è morto per un
tumore al cervello. Mio padre nacque due anni dopo quell’incontro, e anche lui
è morto di tumore al cervello a quarant’anni. Io ne ho ventotto. Pure io morirò
di cancro a quarant’anni?! -
Max scosse lentamente la testa. - Io... io non lo so... Ma non credo che il
fatto che Nasedo abbia prelevato il DNA di tuo nonno abbia dato il via a tutto
questo... Non posso crederlo... -
- Sai chi siano le altre persone che sono servite al tuo amico? - lo sfidò il
giovane. - Sai se sono ancora vive? -
- No. Tu sei l’unico collegato ai nostri progenitori di cui abbiamo notizia -
- Allora non puoi essere certo che la morte prematura di mio nonno e mio padre,
e forse la mia, non siano il prezzo da pagare per la tua vita! -
Quell’affermazione sconvolgente fece rabbrividire Max, che avanzò fino a
fermarsi a pochi centimetri da lui. - Ti prego, lascia che verifichi... Non ti
farò del male, e ci vorrà solo un momento. -
- Non ci penso neppure! -
- Per favore! E’ l’unico modo che abbiamo per sapere se quello che sospetti sia
la verità -
- Lo è -
- Per favore... -
Cole serrò le labbra. - Non azzardarti a toccarmi! -
- Hai paura di scoprire che le cose non stanno come credi tu? -
Colpito nell’orgoglio il giovane sollevò un poco il mento. - Accòmodati... -
Senza dire altro Max gli pose una mano sul petto e si concentrò. Ad un tratto
gli occhi gli si dilatarono ed una profonda ruga gli segnò la fronte. Ansimò
per lo sforzo e poi staccò di colpo le dita, ancora soffuse di una debole
luminosità azzurrognola. Fece un respiro profondo per riprendere fiato
dopodiché lo guardò in volto. - C’era un errore nel tuo DNA. L’ho...
corretto... -
Incerto se credergli o meno Morrison lo fissò in silenzio e Max andò a sedersi
sul divano. - La causa del cancro che ha ucciso tuo padre e tuo nonno era un
difetto genetico. Adesso non c’è più -
- Ma davvero?!? E io dovrei credere che Nasedo abbia usato materiale difettoso
per l’erede al trono di Antar?! -
Max distolse lo sguardo da lui. - Nasedo aveva altri progetti per me... Oserei
dire che la scelta di tuo nonno non sia stata affatto casuale... -
- Cioè voleva che tu morissi prima del tempo? -
- Sì, forse. Ma i suoi piani sono andati diversamente da come sperava -
- E’ stato ucciso dagli Skins, già... -
“Non solo...” pensò Max, “io ho ucciso Tess. Ma questo non è necessario che tu
lo sappia...”
- E adesso? Anche il tuo DNA, e quello dei tuoi figli, hanno il difetto che
causa il cancro, no? -
- No, è già stato... riparato - Era vero. Quando aveva dovuto curare se stesso,
e poi Jason, l’energia focalizzata all’interno dei loro corpi aveva
rintracciato e aggiustato tutte le cellule danneggiate, senza alcuna
distinzione, mentre Shiri era stata concepita successivamente. Il progetto di
Nasedo era fallito nella sua interezza, e lui non poteva che esserne lieto. Con
un cipiglio che rese il suo volto quasi remoto tornò a studiare Cole Morrison.
- Avevo un debito, nei tuoi confronti. Ma ora consideralo saldato. Te lo
ripeto: lascia in pace la mia famiglia. -
Il giovane scosse appena il capo. Aveva intrapreso gli studi di medicina per
poter indagare a fondo su quella storia, e sapeva del danno nel suo codice
genetico. Era in grado di scoprire se Max gli avesse mentito o meno... - Se
quello che hai detto è vero, ti devo le mie scuse. Se invece mi hai raccontato
solo una balla, beh, non ci sarà posto abbastanza lontano dove potrai
nasconderti! - Senza aggiungere altro se ne andò.
Rimasto solo Max reclinò il capo fra le mani, i gomiti poggiati sulle
ginocchia. Nasedo doveva aver sempre saputo di Vilandra, e aveva cercato di
approfittare della situazione per mettere Ava/Tess sul trono al suo posto. Il
risultato era stato una sanguinosa guerra durata più a lungo di quanto chiunque
avrebbe potuto immaginare. E tutto per niente. Lui era il sovrano di Antar, e
sia Nasedo sia Tess erano morti ormai da tempo... Con un sospiro si alzò e
tornò da Liz. Lei era sempre lì, col suo amore e la sua incrollabile fiducia, e
gli sorrise con tale dolcezza che sentì le palpebre pungergli pericolosamente.
Avrebbe voluto sdraiarsi accanto a lei, cingerla fra le braccia e guardarla per
il resto della sua vita. E baciarla, e amarla... Si limitò a sedersi al suo
fianco e prendere Claudia, mentre era la volta di Ethan di attaccarsi al seno
della madre.
Maria e Jason, in piedi dall’altra parte del letto, sorrisero inteneriti nel
vedere la piccola addormentarsi beata contro la spalla di Max, poi la ragazza
fece segno a Jason di prendere in braccio la sorellina mentre lei si occupava
di Ethan dopodiché lo invitò a seguirla in soggiorno. - Quei due muoiono dalla
voglia di stare un po’ da soli... - gli bisbigliò all’orecchio con un sorriso.
In effetti, non appena la porta si fu chiusa alle loro spalle, Max si adagiò
contro Liz, che fece scivolare una mano sul suo petto. - Sono così felice che
tu sia qui... Mi sei mancato terribilmente... - Si sollevò un poco per baciarlo
sulle labbra. Fu un bacio profondo, intenso, che fece scorrere un lungo brivido
nella schiena di Max.
- Anche tu. Oh, Liz, vorrei che fossi sempre con me... -
- Sei stato tu ad insistere che restassi qui - borbottò lei imbronciata.
- E ci resterai, amore. Con Claudia e Ethan. Non voglio che vi succeda
qualcosa, e su Antar la situazione è più complicata di quanto pensassi. -
Sospirò, e le toccò il viso in una lenta carezza. - Cole Morrison voleva
vendicarsi perché credeva che l’intervento di Nasedo su suo nonno ne avesse
provocato la morte per cancro, e che la stessa cosa fosse successa a suo padre.
Invece... la causa era un errore genetico che... che ho riparato... Ora non ti
darà più fastidio... - La sentì irrigidirsi e cercò il suo sguardo. - Cosa c’è?
- chiese piano.
Dopo una breve esitazione Liz si passò la punta della lingua sulle labbra. -
Ross ha cercato di portarmi via, come ostaggio, e Cole si è spacciato per te.
L’FBI ha scoperto che tu e gli altri non siete tornati con noi a Roswell -
- Maledizione... -
- Non preoccuparti, Max, a lui penseremo io e Morgan. Ma tu... sta’ attento, ti
prego... -
- Tranquilla, tesoro, intendo tornare da te il prima possibile e tutto
intero!... -
- Guarda che ci conto! - Incantata dallo sguardo intenso del giovane Liz
sorrise maliziosa e gli slacciò i pantaloni. Lo amò con ardore, mentre lui
ripeteva all’infinito il suo nome, poi tornò a distendersi al suo fianco e lo
guardò adorante.
Anche Max la guardò, ancora scosso dalla violenza della passione suscitata in
lui, poi le sollevò la maglietta facendogliela passare al di sopra della testa.
Le baciò la pelle calda del petto e sfiorò con dolcezza le parti rese sensibili
dall’aver allattato i due gemelli, dopodiché le sfilò la gonna e con un gemito
di anticipazione si sdraiò su di lei.
Liz non provava più dolore, per quanto fosse trascorso pochissimo tempo dal
parto, e reagì con immediato desiderio ai suoi movimenti sensuali. Tremò e
gemette fra le sue braccia, ricevendo e dando piacere, finché si rilassò
sfinita sotto di lui. - Max... potrei continuare a far l’amore con te fino alla
fine del tempo... - mormorò.
- Anch’io - Lui la baciò ancora una volta sulle labbra dopodiché l’avvolse nel
lenzuolo stropicciato e imbevuto del loro sudore, si riabbottonò i pantaloni e
la sollevò tra le braccia. - Adesso, però, sarà meglio andare a fare una bella
doccia, che ne dici? -
- Mm - Liz annuì e gli passò le mani dietro il collo. Gli occhi socchiusi,
infilò le dita fra i suoi capelli. Sono così morbidi... Oh, Max, ti amo... ti
amo tanto... - bisbigliò. Si lasciò portare fino in bagno e lavare con
incredibile delicatezza. L’acqua della doccia scrosciava su di loro, ed era
così piacevole restare aggrappata a quel corpo solido e forte mentre veniva
massaggiata amorevolmente finché ogni minima tensione sparì. Rise piano quando,
poi, lui le tamponò la pelle con un asciugamano morbidissimo. Fu un’operazione
lunga, ma così gradevole e stimolante che al termine si sentì rinvigorita come
non mai. Con un sospiro gli depose un bacio sul cuore. - Grazie, Max... -
Accennando un sorriso il giovane si asciugò a sua volta, con molta meno
gentilezza, poi rimise gli abiti sgualciti e la guardò mentre, stretta in vita
la cintura dell’accappatoio verde menta, lo precedeva in soggiorno.
Quando li vide arrivare Jason si morse le labbra. Non avrebbe voluto separarsi
così presto da sua madre, e provava un tenero affetto per i due nuovi
fratellini, ma non poteva fare diversamente. Andò verso di lei e l’abbracciò
forte. - Ciao, mamma... - mormorò, prima di salutare anche Maria.
Max si limitò a sfiorare le labbra di Liz con un bacio leggerissimo. Non
sarebbe riuscito a staccarsi da lei, altrimenti, e non poteva permetterselo,
non in quel momento. Strinse poi Maria in un veloce abbraccio e prese il
granilite che aveva lasciato sul tavolino.
Nel vedere l’oggetto ovoidale, scuro e lucido, Liz sentì gli occhi riempirlesi
di lacrime. Comprese che, in quel modo, Max aveva evitato che Jason dovesse
fare un eccessivo sforzo per teletrasportare entrambi, e per l’ennesima volta
ringraziò il destino che aveva posto sulla sua strada una persona meravigliosa
come lui. Si sforzò di sorridere, mentre i due sparivano nel nulla, poi lasciò
che l’amica le mettesse fra le braccia il corpicino tiepido di Ethan. - E’ la
giusta medicina, in casi come questi... - le disse con simpatia.
- E’ vero! - confermò ridendo suo malgrado, mentre le lacrime le scivolavano
libere lungo le guance.
Mentre cullava il bimbo sentì lo squillo del cellulare. - Maria, ti spiace
pensarci tu? - chiese piano.
- Affatto! - La ragazza andò a prendere l’apparecchio mentre Liz tornava in
camera da letto per vestirsi.
“- Liz? -”
- Diane! No, sono Maria. Liz era occupata, così ho risposto io... -
“- Ah, sì, Amy mi aveva detto che eri partita insieme a Liz... Beh, ne sono
contenta! Mi dava un po’ di preoccupazione saperla tutta sola, nelle sue
condizioni... E tu, invece, come stai? Ho saputo che sei in attesa... -”
- Sto bene, ora, grazie. Comunque... Liz... ecco, ha partorito oggi pomeriggio.
-
La notizia lasciò per un attimo senza fiato la donna. “- Oh santo cielo! E...
com’è andata? -”
- Benissimo, grazie a Max. E’ riuscito ad arrivare in tempo e l’ha assistita.
Devi vederli, Diane, sono un vero amore! -
“- Max è tornato?!? -”
- Solo per poche ore, poi è dovuto riandare via. - spiegò Maria.
“- Ah... -” Sforzandosi di soffocare la delusione la donna le domandò con una
punta d’ansia se sarebbe potuta andare a trovarle quel fine settimana.
Voltandosi a guardare la porta chiusa della camera da letto dell’amica Maria
sorrise. - Ho un’idea migliore. Pensi di riuscire ad organizzare un
appuntamento con l’agenzia per vedere quella villetta sulla S Lea Avenue? -
“- Ma certo, cara. -”
- Allora cerco di convincere Liz a venire a Roswell sabato prossimo! -
“- Perfetto! A sabato, dunque... -”
- Bene. Ciao, Diane -
La donna salutò a sua volta e poi chiuse la comunicazione.
Soddisfatta, Maria si diresse verso la camera e s’immobilizzò sulla soglia,
sbigottita. - Liz! -
L’amica aveva indossato una gonna di cotone con una delicata fantasia sui toni
del verde ed un corpetto bianco che si allacciava sul davanti con tre
bottincini di madreperla. Stringeva al seno Ethan, placidamente addormentato, e
fissava il grande lenzuolo ammonticchiato per terra ai suoi piedi.
- Liz? - ripeté più piano, con tono interrogativo.
Liz piegò un poco in avanti la testa poi si volse a guardarla. Nei suoi occhi
brillava una strana luce. - Mi sono resa conto di essere stata molto egoista,
oggi. - Le tremarono un poco le labbra - Quando ho visto Max ho pensato
soltanto al fatto che fosse qui con me, che mi avrebbe aiutata a partorire, che
avrei potuto di nuovo baciarlo... Non gli ho neppure chiesto notizie di Shiri,
o di Michael e Isabel... Tutto quello che volevo era... lui... - Dopo un
brevissimo silenzio riprese a parlare, sconsolata. - Ho salutato appena Jason,
e mi è dispiaciuto vederlo andare via, ma... è stato veder scomparire Max che
mi ha spezzato il cuore... - Sospirò smarrita. - Mi ha detto solamente che le
cose, su Antar, sono più complicate di quel che avesse immaginato, e io non gli
ho fatto domande. Volevo che pensasse a me, che tutta la sua attenzione fosse
rivolta a me... -
Maria rammentò l’espressione sofferta del giovane quando aveva guardato Liz
poco prima di prendere il granilite. - Credo... che tu ci sia riuscita
perfettamente - mormorò.
- Non mi sono comportata in maniera corretta, né verso di lui né verso di te. A
volte mi domando se il mio modo di amarlo non sia troppo... soffocante - Le
puntò addosso i suoi bellissimi occhi scuri, colmi di mestizia. - E non ti ho
dato la possibilità di parlargli, di domandargli di Michael... Mi dispiace,
Maria, mi dispiace così tanto... -
La ragazza diede una piccola pacca sulla schiena di Claudia, che continuava ad
agitarsi per tenersi dritta contro la sua spalla. - Non preoccuparti - Poi
aggiunse con una smorfia, - Se gli avesse dato un messaggio per me sono sicura
che Max me lo avrebbe riferito, quindi, a quanto sembra, neppure Michael si è
preso il disturbo di pensare a qualcun altro che non sia se stesso... Solo che
lui lo fa l’abitudine... -
- Ti ama davvero, Maria - osservò Liz, dispiaciuta per l’aria rassegnata
dipinta sul suo volto.
- Lo so. Oh, Liz, lo so, ma qualche volta vorrei che me lo dimostrasse con la
stessa tenerezza che Max usa con te! - sbuffò, vagamente irritata, e le labbra
di Liz si tesero in un sorriso pieno di affetto. - Max ed io siamo
profondamente uniti, anche se adesso c’è un’intera galassia fra di noi, e devo
smetterla di comportarmi come una ragazzina incapace di fare un passo da
sola... Michael è molto diverso da lui, preferisce non mostrare i suoi
sentimenti per paura di restare ferito, ma sono certa che quando nascerà il
vostro bambino imparerà ad aprirsi. Ricordi come ti guardava mentre tenevi
Jason in braccio, al mio matrimonio? Devi solo avere un po’ di pazienza... -
- Sai, Liz - rispose allora Maria, corrugando la fronte - questi alieni hanno
più debolezze umane di noi! -
A quelle parole il sorriso della ragazza si allargò. - Oh, te ne sei accorta
anche tu? -
Cercando di liberare i lunghi capelli color miele dalle piccole dita contratte
della neonata Maria tornò in soggiorno. - Era Diane, prima. Le ho detto che
sabato andremo a Roswell, così lei vedrà i bambini e tu vedrai la casa. -
- Quale casa? - domandò Liz perplessa, lo sguardo fisso sulla schiena
dell’amica, che le rispose senza voltarsi. - Quella per te e Max, naturalmente
-
- Cosa?!? -
- Ci avevi dato l’incarico di trovarne una, no? E visto che quella che ci è
piaciuta di più è ancora in vendita, e adesso puoi permettertela, ho chiesto a
Diane di fissare un appuntamento. Sono sicura che piacerà anche a te... - Con
fare imperturbabile prese l’elenco telefonico e cominciò a sfogliarlo.
- E ora cosa stai facendo? -
- Hai due gemelli, nessun lettino né una carrozzina, e neppure i vestiti. Forse
è il caso che si vada a fare un po’ di shopping... -
- Adesso!? -
- Hai forse qualcosa di meglio da fare? - ribatté Maria, quasi sfidandola.
- Ehm... No... no, affatto. - cedette lei, poi andò verso il divano e vi depose
il figlio. - Ti spiace tenerlo d’occhio mentre rifaccio il letto? -
- Mmm - fu l’unica risposta che ottenne.
Il centro commerciale scelto da Maria si rivelò una vera miniera di tesori per
bambini da zero a dieci anni ma Liz si oppose con fermezza all’esuberanza
dell’amica. - Avrò pure vinto il primo premio della lotteria ma non ho ancora
intascato quei soldi e non intendo azzerare il conto in banca! Quindi
prenderemo solo il passeggino doppio, dove possono anche dormire, i pannolini e
due cambi di vestiti per ciascuno. E niente altro! -
Sia pure di malavoglia Maria dovette capitolare e poco dopo l’aiutò ad
agganciare i due sedili del passeggino, smontabili, all’interno del
fuoristrada. Claudia e Ethan sembrarono apprezzare enormemente quella
sistemazione perché non fecero che ciangottare allegri per tutto il tragitto di
ritorno a casa.
- Santo cielo, e fra non molto toccherà a me!... - La ragazza, seduta accanto
ai bambini, si mise una mano sulla pancia ancora piatta e sospirò. - Michael
sarà al settimo cielo per la gioia, invece io sto cominciando ad essere
terrorizzata a morte... -
Una volta a casa Liz allattò i figli poi, con l’aiuto di Maria, li lavò e li
mise a dormire dopodiché, sfinita dalla stanchezza, si sdraiò e chiuse gli
occhi. - Che giornata! - mormorò.
Distesa accanto a lei Maria fece un grande sbadiglio. - Già. Ehi, lo sai che
alla fine il tuo libro è rimasto da Patricia? -
- Oddio, hai ragione! - Con aria desolata la ragazza tese una mano per spegnere
l’abat-jour. - Pazienza, ci andrò domani... -
Senza volerlo Maria scoppiò a ridere, poi si girò dall’altra parte e crollò in
un sonno profondo, subito imitata dall’amica.
- Max! Jason! - Isabel si precipitò verso di loro. - Cosa è successo? -
Max abbozzò un pallido sorriso. - Liz ha avuto i bambini. Stanno bene tutti e
tre... -
- Finalmente una buona notizia!... - mormorò Michael guardando la ragazza
stringere in un unico abbraccio il fratello e il nipote. Poi andò verso l’amico
e gli scompigliò i capelli. - Congratulazioni, Max -
Dopo essersi staccata da loro Isabel li sospinse gentilmente verso il morbido
divano senza braccioli appoggiato contro la parete della piccola stanza che
usavano come sala di riunione privata. - Sai, devo ammettere che è stato
divertente vedere la faccia di quelle mummie mentre gli ribadivo il concetto
che tu eri occupato altrove e quindi avrebbero dovuto aspettare che li facessi
chiamare! Dials sembrava sul punto di avere un colpo apoplettico... -
- Fantastico... - L’alieno si appoggiò allo schienale ed emise un profondo
sospiro. - Altre novità? -
- Siete stati via solo tre ore e mezza - La voce di Michael era stanca. Il
complotto ordito da Karan e Veyland insieme a Zoltar si era rivelato
estremamente ben architettato e riuscire a ricostruirne le fila era un compito
arduo che aveva messo a dura prova le sue doti investigative. Isabel aveva
cercato di dare una mano tentando di ricordare ogni particolare di quello che
aveva fatto come Vilandra ma, nonostante quello che aveva sempre creduto, il
suo doppiogioco con Volnis era stato di scarso valore dato che la sorte di Zan
era stata segnata già da tempo. Certo, l’intervento della principessa di Antar
poteva in un certo qual modo aver reso le cose più semplici, ma il destino di
Zan si sarebbe compiuto comunque.
Max guardò il fido compagno negli occhi. - Ne ho io per te, allora. Inserisci
nell’equazione Nasedo. Non solo aveva scelto di aiutare Tess a prendere il mio
posto nella guida di questo pianeta, ma aveva fatto in modo che io non potessi
vivere troppo a lungo. Il mio progenitore aveva un difetto genetico che mi
avrebbe portato alla tomba entro i quarant’anni -
- Non è possibile! - Michael era sconvolto. Per qualche tempo aveva sperato che
l’alieno chiamato Nasedo dagli indiani Mescalero fosse il suo vero padre, poi
aveva scoperto la verità. E cioè che si trattava di un mutaforma incaricato di
proteggere i reali. Ed infine il tradimento ultimo. Il tentativo di
eliminazione di Max quando lui si era reso conto delle manovre sue e di Tess
per regnare su Antar sotto il blando controllo di Zoltar. Ma che avesse deciso
di uccidere Max ancor prima che nascesse, o, per meglio dire, rinascesse era
davvero dura da accettare. Aveva sempre saputo di non potersi fidare di
nessuno, a parte Max ed Isabel, e Liz, Maria ed Alex, ma non avrebbe mai potuto
immaginare quell’enormità! Eppure... se gli agenti dei tre pianeti alleati non
si fossero infiltrati profondamente nel sistema come avrebbe potuto Nasedo
essere prescelto per portare in salvo quel che rimaneva dei reali di Antar?
Quella informazione dava nuova luce ai loro sospetti. I signori di Antar, con
l’ancestrale saggezza che si tramandavano insieme al segreto dell’energia dei
graniliti, dovevano essere eliminati per consentire agli altri mondi del
sistema di conquistare il loro potere predominante. Un potere economico e
sociale che né Volnis di Zoltar né, a quanto sembrava, Dials di Karan e Gahr di
Veyland avrebbero cercato di mantenere in piedi. Alleanze di quel genere,
infatti, non avevano mai lunga durata: prima o poi i vincitori si sbranavano
fra di loro e a rimetterci, come al solito, sarebbe stata la gente comune. Era
successo su Zoltar, e senza il deciso intervento di Bren sarebbe capitato anche
su Rènida. “Il potere corrompe. E solo qualcuno come Max poteva rimanere
pulito...” Guardò con affetto il suo amico, poi gli batté gentilmente sulla
gamba. - Vai a dormire. Ti sveglierò in tempo per prepararti all’incontro con
quelle iene, stai tranquillo! Anche tu, Jason: non ce la fai più... -
Con una smorfia Jason si alzò e si ritirò nella camera da letto che divideva
con la sorella.
Shiri lo accolse con un sorriso di gioia e lo strinse forte a sé poi, vedendolo
stravolto dalla stanchezza, lo sospinse verso il bagno. - Dopo una doccia
bollente ti sentirai meglio, credimi! E potrai raccontarmi tutto domani, ok? -
- Ok -
Circa sei ore più tardi Isabel tornò negli appartamenti privati in cui avevano
trovato rifugio e si lasciò cadere su un’ampia e comodissima poltrona. - Dorme
ancora? - chiese guardando Michael con aria preoccupata.
- Sì. Jason si è svegliato poco fa e Lou si è già dato da fare perché gli venga
servita una cena pantagruelica. Quel ragazzo deve farsi una famiglia: non può
stare dietro a Shiri e Jason come se fossero figli suoi!... -
Isabel rise e si scostò alcuni riccioli dalla fronte. Nonostante l’aria
affaticata era bellissima come sempre, coi capelli morbidamente appuntati sulla
nuca e l’elegante completo pantalone verde scuro di un tessuto simile a seta
lucida.
“Decisamente regale...” pensò Michael deponendo sul tavolo il fascio di carte
che stava studiando. - Tutto bene? -
- Rodhya è molto in gamba, sa cogliere le sfumature in un modo che ha
dell’incredibile, ma trovarsi davanti Dials e Gahr insieme è davvero
stressante! Invece, non capisco il gioco di Hornem... Quell’uomo non mi è mai
piaciuto, anche se sta facendo un buon lavoro su Zoltar. -
- Beh, è comprensibile: non ha certo tentato di far ragionare Volnis quando lui
decise di ammazzarvi! - Si passò le mani sugli occhi arrossati. - Cosa ne pensi
del fatto che Nasedo abbia preso materiale genetico danneggiato per Max? Credi
davvero che sia stata una mossa deliberata? - chiese col tono di chi non
riusciva a credere all’evidenza.
- Se Max dice che le cose stanno così, allora è vero. E sì, credo che Nasedo
fosse capace di tutto pur di raggiungere i suoi scopi... Se devo essere sincera
mi ha sempre fatto venire i brividi, fin da quando ti aiutai a mandargli quel
segnale, davanti alla biblioteca... - Accavallò con cura le lunghe gambe
snelle. Se avessi saputo prima che Tess era cresciuta sotto la sua guida forse
sarei stata più cauta con lei. E forse avrei risparmiato a Max un bel po’ di
guai... Santo cielo, l’ha perfino sposata! -
- Senti, è inutile starci a rimuginare sopra, quel che è fatto è fatto, e
l’importante è che ora stia con Liz. Le è sempre stato dietro fin dai tempi
delle elementari... -
- Già -
Michael la guardò incuriosito. - Cos’hai? Mi sembri... stravolta... -
La ragazza scosse piano la testa. - Sono solo stanca. Lo sai che non mi piace
questo posto... Vorrei tornare a casa, sulla Terra... -
- Non dirlo a me! L’FBI dovrebbe venire qui per fare un po’ di
addestramento!... -
- Max... -
- Parlavate di me? -
La voce ancora leggermente roca per il sonno fece sobbalzare i due amici, che
si girarono all’unisono verso la porta.
- Max! - Isabel gli sorrise con affetto. - Ben svegliato! -
Il giovane, un po’ imbarazzato per aver dormito più a lungo di quanto avesse
inteso fare, si avvicinò a Michael e prese la bottiglia di cristallo colorato
che aveva accanto. Versò in un bicchiere il liquido azzurrognolo in essa
contenuto, una bevanda fortemente speziata che ricordava molto l’acqua minerale
con aggiunta di salsa Tabasco e latte, poi si guardò intorno. - Jason sta
ancora dormendo? -
- No. A quest’ora dovrebbe stare divorando il pasto procuratogli da Krentz. -
Michael diede una rapida occhiata all’orologio che portava al polso, un oggetto
di assoluta precisione che faceva parte della dotazione standard militare del
pianeta. - E tu? Vuoi che dica a Lou di procurare qualcosa anche per te? -
- Ti ringrazio ma non ho molta fame, in questo momento... -
- Ti conviene mangiare, invece - lo contraddisse la sorella, tornando seria. -
Quei due bastardi non hanno più intenzione di aspettare, e Hornem è arrivato
circa un paio di ore fa. Rodhya ha fatto tutto quello che poteva, e io ho
cercato di guadagnare altro tempo, ma loro vogliono te. Avrai bisogno di un bel
po’ di energie per tenergli testa... -
- Lhara? -
- Il suo apparecchio dovrebbe atterrare a breve. Ho ricevuto la conferma dalla
torre di controllo dello spazio aereo esterno. - rispose Michael con tono
professionale. Vestito di una semplice uniforme marrone, senza gradi o insegne
a indicare il suo rango, sembrava un’altra persona, non più lo scontroso
ragazzo ribelle che parlava solo con Max ed Isabel, ma un giovane uomo deciso e
sicuro di sé. - Isabel ha ragione. Stai meglio, ora che hai dormito, ma ti
sentirai ancora più in forma dopo aver mangiato. Credimi, approfittane adesso
perché dubito che poi ne avrai il tempo... -
Dopo un attimo di riflessione Max scrollò il capo. - D’accordo. Vado a... -
- No, ci penso io. Michael, aggiornalo tu, per favore! - lo interruppe Isabel
dirigendosi verso la porta.
- Bene. Allora, come dicevo Lhara sta venendo qui, e questo vuol dire che Bren
ha finalmente ripreso in mano la situazione. Ti confesso che non ero certo che
ci sarebbero riusciti così in fretta... -
- Hai già organizzato il servizio d’ordine per lei? -
- Come prima cosa, non appena ho avuto la conferma del suo arrivo. Le ho
destinato l’appartamento dell’ala ovest del palazzo del governo, il più
isolato: non ho alcuna intenzione di permettere a quegli avvoltoi di
infastidirla! -
- Bene, perfetto. Ah, Michael... - Un sorriso affettuoso gli illuminò il volto.
- Ho visto Maria, era con Liz. L’ho trovata molto bene, devo dire... -
Il giovane lo guardò sorpreso. - Che diamine è andata a fare ad Albuquerque? -
Max fece un piccolo gesto con la mano. - Forse l’ha raggiunta per farle
compagnia. - Una ruga gli segnò la fronte - Liz avrebbe dovuto avere i bambini
fra circa dieci giorni, e invece... Nonostante tutto la lascio sempre sola
quando ha più bisogno di me... -
- Non potevi saperlo - tentò di confortarlo l’amico. - Voglio dire, è
impossibile calcolare con certezza la durata di queste gravidanze metà... metà
ibride e metà umane! - Si passò una mano fra i capelli scompigliandoli
furiosamente. - Ecco perché dovevamo restare alla larga da loro... -
Max scrollò le spalle imbarazzato. - Non potevo lasciarla morire quel giorno al
Crashdown, Michael, mi dispiace... -
- Ormai è andata così - Il giovane assunse una posizione più eretta. - E
chissà, forse se non si fossero immischiate nelle nostre vite adesso non
saremmo qui. Voglio dire... fino a quel momento non avevamo fatto altro che
nasconderci. Dopo, invece, le cose sono andate anche troppo in fretta, per i
miei gusti, ma... abbiamo scoperto la verità sulle nostre origini e portato a
termine il compito per cui tua madre si è data tanto da fare per aiutarci a
sopravvivere. Direi che, tutto sommato, è andata bene. E adesso, con un altro
piccolo sforzo, riuscirai a diventare il leader dell’intero sistema stellare...
-
- La sai una cosa, Michael? -
- Cosa? -
- Vorrei avere la forza di mandarli tutti al diavolo! -
Sul volto di Michael apparve una smorfia. - Non ne sarai mai capace, temo. Ma
adesso basta chiacchierare! Allora, quando vuoi convocare i nostri amici? -
- Domani pomeriggio. Hai trovato quelle informazioni che ti avevo chiesto? -
- Sì. -
La sala conteneva solamente un tavolo di materiale nero traslucido, di forma
ovale, con cinque sedie dalle linee essenziali. Tre finestre altissime e
strette lasciavano filtrare l’intensa luce violacea del tardo pomeriggio.
L’atmosfera quasi ovattata che vi regnava conferiva all’ambiente un senso di
austero potere. Quello era il luogo dove si riunivano i signori che governavano
i cinque mondi del sistema di Orialis, su Antar, ma erano trascorsi moltissimi
anni dall’ultima volta che era stato utilizzato per quello scopo. Troppi,
secondo Max. I motivi di disaccordo erano andati inasprendosi sempre di più,
con conseguenze catastrofiche per la popolazione inerme, tuttavia quella era la
prima, e forse l’unica, occasione che lui aveva per cercare di porvi rimedio.
Osservò con attenzione i volti seri e impassibili dei quattro sovrani e fece un
impercettibile segno col capo invitandoli a sedere.
Lhara era assolutamente splendida, con un abito rosso cupo lungo e dritto, un
sottile diadema composto da una catenella con al centro una piccola pietra
purpurea a goccia. I lunghi capelli biondi erano raccolti in una morbida
treccia ripiegata sulla nuca e gli occhi limpidi rivelavano la nuova sicurezza
di sé acquisita a caro prezzo in quegli ultimi mesi.
Hornem, alto e slanciato, indossava un sobrio vestito nero e studiava
alternativamente la giovane regina e Max, domandandosi quanto profondo fosse il
legame che univa quei due. Conosceva bene, infatti, gli sforzi di Volnis di
impadronirsi di Rènida ed il ruolo svolto dall’ibrido semiumano nel
rintuzzarli, ma gli Alehnikar lo avrebbero sostenuto, nella sottile lotta che
stava per avere inizio intorno a quel tavolo?
Dials, di corporatura media, aveva folti capelli ramati ed una barba in cui
cominciavano ad apparire un bel po’ di fili bianchi. La luce combattiva dei
suoi occhi verdi rendeva quasi invisibili i segni incisi dal tempo sulla pelle
scurita dal sole, e la scelta dell’abbigliamento, da lavoro anziché da
cerimonia, era un aperto segno di sfida all’uomo, o meglio al ragazzo, che
aveva in sé il sigillo di Zan di Antar.
Anche Gahr, di poco più anziano del collega, era vestito in maniera neutrale. A
settantanove anni aveva un portamento altero e allo stesso tempo distaccato che
aveva tratto in inganno persone ben più esperte e smaliziate di Max.
Tuttavia Max aveva dovuto combattere troppe battaglie, e troppo presto, e
sapeva perfettamente cosa aspettarsi da quella piccola assemblea. Si appoggiò
allo schienale semirigido, diede un’occhiata circolare per avere la conferma
dell’attenzione di tutti, e soltanto allora cominciò a parlare. - Vi ho chiesto
di intervenire a questa riunione, qui su Antar, perché voglio che non ci siano
possibilità di equivoci. A volte i messaggi possono venire male interpretati, e
quindi ho ritenuto più opportuno un incontro diretto. Grazie per essere venuti
- Il suo sguardo passava lento da un interlocutore all’altro, cogliendo ogni
minimo segno di reazione su quei volti apparentemente impassibili. - I rapporti
fra i cinque pianeti del sistema non sono mai stati facili. La federazione che
unisce Zoltar, Karan e Veyland si è spesso trovata in contrasto con le
politiche di Antar e Rènida, e non sempre si è riusciti a trovare una soluzione
diplomatica. Ma nessuno, mai, aveva cercato di risolvere i problemi eliminando
fisicamente la controparte finché i soldati di Volnis attaccarono il palazzo
reale il giorno del matrimonio di Zan. - Max fece una brevissima pausa tuttavia
nessuno dei presenti sembrò reagire alle sue parole. - Mia madre riuscì
tuttavia a recuperare materiale genetico sufficiente per consentire la
riproduzione degli eredi legittimi, prima di soccombere a sua volta, e solo
grazie a lei, pochi anni fa, ho potuto fare ritorno su questo pianeta. Pur di
fermare la guerra civile che stava distruggendo Antar mia sorella ed io ci
consegnammo a Volnis, ma il vero prezzo richiesto per la concessione dello
statuto federale era la nostra morte. Riuscimmo a salvarci, e per qualche tempo
il pianeta è stato governato da colei che avrebbe dovuto essere la sposa di
Zan. Ma Volnis voleva tutto, voleva possedere questo pianeta, e solo quando ha
tentato di uccidere mia moglie l’ho attaccato personalmente. Non è stato un
assassinio, ma un atto di legittima difesa. Hornem lo sa bene - Così dicendo
volse appena il capo in direzione dell’uomo, - e sa altrettanto bene che non ha
dovuto subire alcuna ingerenza da parte mia nel governo di Zoltar. Quindi, le
vostre accuse sono completamente infondate. Forse siete stati male informati, o
consigliati - Il tono era divenuto freddo, cinico - però adesso sapete la
verità. E se insisterete nel volere la mia testa... ebbene, dovrete gettare via
la maschera e dichiarare quali sono le vostre reali intenzioni -
Negli occhi di Dials balenò per un attimo una luce di odio intenso ma la sua
voce pacata non lasciò trasparire nulla. - Tutti noi sappiamo che preferisci
essere chiamato Max, invece di Zan. Questa tua precisazione, a mio giudizio, è
molto rivelatrice. Zan di Antar era l’erede al trono del pianeta, Max Evans è
un ibrido che solo saltuariamente si occupa dei bisogni di quella che dovrebbe
essere la sua patria. Devi scegliere, - sorrise con disprezzo - Max di Antar. O
qui o sul mondo dove hai cercato rifugio. Rodhya è una persona molto in gamba,
non discuto, ma il Consiglio da solo non è sufficiente. E ogni volta che sei
tornato hai, diciamo così, messo a posto le cose spargendo sangue. Un sistema
rapido, non c’è che dire, tuttavia non lo ritengo adatto ad un mondo civile.
Quando anche Rènida aprirà gli occhi rimarrai isolato e Antar si troverà ad
attraversare il periodo più buio della sua storia. Perché puoi anche non
credermi, ragazzo, ma ti assicuro che non ti verrà permesso di continuare a
spadroneggiare come hai fatto finora... -
A quelle parole Lhara s’incupì. Rènida aveva già aperto gli occhi, grazie al
cielo, ed aveva compreso l’errore commesso. Lei e Bren si erano letteralmente
consumati per riportare un po’ di pace nel loro mondo ed erano ben consapevoli
di quanto Max aveva fatto per aiutarli, quindi non avrebbero mai permesso alla
federazione di distruggerlo. Ma lei era divenuta di fatto la regina del suo
pianeta da così poco tempo che ritenne più saggio rimanere in silenzio e
continuare ad ascoltare. Tanto Max sapeva che avrebbe sempre potuto contare sul
suo appoggio...
Fu la volta di Hornem, di intervenire. - Devo ammettere che quello che hai
detto, Max, è vero. Volnis era accecato dal desiderio di possedere la fonte di
energia dei graniliti ed era disposto a tutto pur di raggiungere
quell’obiettivo. A quel tempo io ero solamente il suo braccio destro, anche se
il più delle volte non venivo ascoltato, e non sono mai stato d’accordo col suo
modo di agire. Vero, non ho cercato di fermarlo, ma cos’avrei ottenuto?
Soltanto di essere sostituito con qualcun altro, più malleabile di me. - La sua
voce era gentile, tuttavia Max ricordava fin troppo bene l’espressione
calcolatrice di quegli occhi scuri. Hornem aveva sempre condiviso la politica
aggressiva del suo presidente, e soltanto la morte di Volnis lo aveva
ricondotto ad un atteggiamento più pacifico. Ormai aveva ottenuto tutto quello
che era possibile, il governo di un intero pianeta, dunque poteva permettersi
di essere magnanimo. Finché non avesse cominciato a volere di più. Attese
quindi con nascosta curiosità di sentire cos’altro il suo antico avversario
avrebbe detto...
- Mio malgrado mi sono ritrovato coinvolto in una interminabile successione di
guerre. Prima per conquistare Antar, poi Rènida... Adesso desidero solamente la
pace. A qualsiasi prezzo -
Il giovane sorrise dentro di sé. Già, Hornem lo avrebbe ucciso con le sue
stesse mani se gli fosse convenuto... Ma cosa c’era di nuovo in tutto questo?
Si girò allora in direzione di Gahr. Forse lui avrebbe osato parlare più
apertamente?
Gahr ricambiò il suo sguardo con fermezza. - La tua apparente giovinezza può
far dimenticare che, in realtà, tu avevi già vissuto quasi trent’anni... Sei
stato lontano per molto tempo dal tuo mondo d’origine, e anche questo può
trarre in errore. Tu conosci perfettamente la travagliata storia del sistema di
Orialis, e se davvero avessi voluto diventare il leader supremo ci saresti,
forse, già riuscito... Sei una persona leale, come lo era tuo padre prima di
te, ma Dials ha ragione. Non puoi continuare ad esercitare la tua sovranità da
un intero universo di distanza... Devi scegliere. La Terra, o Antar -
- Altrimenti? -
- Altrimenti sceglieremo noi per te. - Gahr rispose tranquillo, con un sorriso
appena accennato, e Lhara si scoprì a trattenere il fiato mentre posava gli
occhi sul volto serio di Max.
- No. Antar resterà un pianeta libero. La Confederazione dovrà fare a meno
delle sue risorse. - Max decise che era giunto il momento di passare
all’attacco. - Io so che Volnis è stato semplicemente l’esecutore materiale di
quanto progettato dalla Confederazione nel suo complesso. Forse Rènida è stato
solo un ripiego per compensare la propria frustrazione, ma quello che ha fatto
ad Antar aveva il vostro pieno appoggio. E tu, Hornem, resterai a guardare
quello che succede finché ti converrà. Perché questo è il solo modo di agire
che conosci - Le sue accuse risuonarono pesanti nel silenzio assoluto che
regnava nella sala, e Lhara gli lanciò uno sguardo di ammirata approvazione.
Sì, aveva davvero moltissimo da imparare dai reali di Antar...
Dials strinse i denti, furibondo, mentre Gahr si limitò ad un piccolo inchino
col capo. - E sia - disse piano.
Max lo fissò dritto negli occhi, cercando di capire il significato di quella
parola, poi, senza alcun preavviso, sentì un violento dolore ai polmoni e
cominciò ad ansimare.
- Zan! - Lhara si alzò di scatto e corse verso di lui mentre i tre uomini
rimanevano impassibili a guardare.
In preda alla disperazione il giovane cercò di concentrarsi abbastanza da
richiamare a sé un granilite e quando lo ebbe fra le dita lo serrò con tutta la
forza che gli restava. - Io... non ho mai... cercato la... vendetta... -
mormorò sconvolto, - mai... Ma questa volta... - Una lacrima gli scivolò lungo
la guancia pallida, dopodiché si teletrasportò altrove.
Max si curvò singhiozzando sul corpo insanguinato del figlio e, lasciato cadere
in terra il granilite, pose entrambe le mani sul suo petto. - Ti prego, Jason,
guardami... - bisbigliò. Continuò a chiamarlo, inutilmente, poi rialzò la testa
e vide Shiri, che giaceva poco distante dal fratello. Aveva una piccola macchia
rossa all’altezza del cuore, doveva essere morta sul colpo. Lou, invece, era
qualche metro più avanti. Erano stati colti tutti di sorpresa, e il fedele
maggiore non aveva avuto alcuna possibilità di difendersi. Straziato dalla
sofferenza si guardò lentamente intorno e scoprì di trovarsi in uno dei
corridoi che conducevano alla sala dove era stato fino a pochi minuti prima. La
Confederazione aveva già fatto la scelta per lui. E come prima mossa aveva
eliminato i suoi figli. Una vampata di rabbia lo scosse dal profondo e con
improvvisa decisione si rimise in piedi. Sollevò delicatamente Jason e lo
depose accanto alla sorella, poi si inginocchiò tra di loro e prese in mano il
granilite chiudendo gli occhi. “Michael, blocca tutte le uscite del palazzo del
governo e fai rintracciare tutti gli uomini che non appartengono alla nostra
guardia. Subito! E di’ a Isabel di sostituirmi alla riunione” Lanciato
l’appello mentale abbandonò ancora una volta l’oggetto ovoidale dopodiché mise
la destra sul torace di Jason e la sinistra su Shiri. Con un sospiro reclinò il
mento concentrandosi più intensamente che poté e ben presto la fronte gli si
ricoprì di sudore freddo. Non era facile intervenire su due persone allo stesso
tempo, scendere al profondo livello di connessione che gli permetteva di
modificare le strutture cellulari danneggiate, condividere i ricordi, assorbire
sensazioni e dolore. Ma quelli erano i suoi figli, il risultato dell’amore che
lo legava a Liz, e per loro avrebbe tentato l’impossibile, anche se il cuore di
Shiri era stato attraversato da un proiettile e Jason stava morendo soffocato
dal sangue che gli aveva invaso i polmoni... Un singhiozzo spezzato gli sfuggì
dalle labbra. Li avrebbe riportati indietro. Tutti e due.
Richiamò a sé tutta la sua energia, tutto il misterioso potere racchiuso nella
sua mente, e alla fine, ancora una volta, il miracolo avvenne. Avviare il
processo era complicato, coinvolgente e molto doloroso, ma poi il ripristino
delle cellule difettose diventava quasi istantaneo, e così ci volle solo una
manciata di secondi prima di sentire i due cuori riprendere a battere con lenta
regolarità. Allora si sedette sui talloni, tremando per la spossatezza. Osservò
di nuovo quei due giovanissimi volti, il pallore che a poco a poco svaniva, poi
trasse un sospiro e lasciò che lo sguardo si posasse sul corpo inerte di Lou.
Gli occhi lucidi di lacrime, si raddrizzò e fece qualche passo barcollante
verso di lui. Ansimava ed era ancora scosso da tremiti tuttavia si mise in
ginocchio e gli pose una mano sul petto. - Lou... - Fece fatica a concentrarsi,
poi flash in bianco e nero di immagini frammentate gli saettarono dolorosamente
nel cervello. Sbatté le palpebre, sorpreso, e in un ultimo tentativo di mettere
a fuoco la struttura cellulare appoggiò l’altra mano sul braccio del giovane
ufficiale ma lo sforzo gli fece perdere i sensi.
Quando, pochi secondi più tardi, il drappello di guardia impegnato nella
sorveglianza di quel piano apparve all’imbocco del corrodoio il comandante
sgranò gli occhi. Tramite il comunicatore che portava al polso era già stato
informato dei nuovi ordini e aveva deciso di serrare i tempi del controllo del
suo settore, immaginando che l’area della sala dove si stava svolgendo la
riunione fosse quella più a rischio. Ma mai si sarebbe aspettato una scena del
genere! Fece segno ai suoi uomini di verificare che la zona fosse sicura poi si
affrettò verso i corpi distesi a terra. Per prima cosa toccò il collo di Max, e
trasse un sospiro di sollievo. “E’ vivo, per fortuna!” Verificò allora le
condizioni degli altri, poi attivò il comunicatore. - Rapporto sicurezza uno.
C’è stato un attacco. Sua Altezza e i prìncipi sono vivi, il maggiore Krentz è
morto. Mandate rinforzi a coprire le vie di accesso: il bastardo potrebbe
essere ancora qui... - Un rumore di passi affrettati lo fece voltare.
Rialzandosi in piedi curvò appena la testa per parlare ancora nel
trasmettitore. - E’ tutto. Avvertite Rath che la principessa Vilandra è in area
- Si portò la mano al petto in segno di saluto. - Altezza... -
Isabel si mise a correre verso di lui, apparentemente inconsapevole di aver
rischiato di venire colpita dal soldato che stava procedendo nella sua
direzione con l’arma spianata. - Max! -
- E’ svenuto, ma i ragazzi stanno bene - l’avvertì subito l’uomo, scostandosi
in modo da permetterle di verificare di persona.
- O mio dio... - Isabel si inginocchiò accanto al fratello e lo prese per una
spalla tirandolo dolcemente verso di sé fino a farlo adagiare per terra. Dallo
strappo nel tessuto del giubbetto di Krentz comprese che Max doveva aver
tentato di guarirlo, senza tuttavia riuscirci, e col cuore dolente passò una
mano sugli occhi della fedele guardia del corpo. - Riposa in pace, Lou... -
mormorò.
- Zia Isabel... -
Sentendo la voce sommessa di Jason si girò e lasciò che il nipote si rifugiasse
fra le sue braccia. - Ci hanno colti di sopresa... Erano in due, e ci stavano
aspettando, credo, perché non abbiamo sentito niente... - Emise un sospiro
profondo, quasi un gemito. - Lou è morto, vero? -
La ragazza gli accarezzò con affetto la schiena. - Sì - riuscì a dire
solamente.
- Shiri... - Jason volse il capo quel tanto che gli permise di vedere la
sorella, e le labbra gli tremarono. Anche lei era morta, ma papà è riuscito a
riportarla indietro... - Non parlò dell’orribile sensazione di completa
solitudine, di nero vuoto che aveva provato nel momento in cui la vita aveva
abbandonato Lou e, soprattutto, Shiri. Non aveva la forza di farlo, ma sapeva
che la zia aveva capito perché sentì la sua mano tremare.
- Altezza, per favore, porti i ragazzi nella sala: è il posto più sicuro,
finché non avremo ripulito tutto il piano! - L’ufficiale comandante del
drappello fece un cenno in direzione del corridoio alle proprie spalle poi,
seguendo lo sguardo di lei, annuì impercettibilmente. - Mi prenderò cura io di
lui, principessa. E’ il mio sovrano... -
Prima che Isabel potesse obiettare qualcosa Shiri si sollevò a sedere. - No, ci
penso io... - Dopo che Max l’aveva guarita era rimasta immobile, ad occhi
chiusi, cercando di recuperare il suo equilibrio. Le forti emozioni trasmessele
dal padre, unite alla consapevolezza della scomparsa di Lou, l’avevano quasi
sopraffatta e aveva avuto bisogno di isolarsi un po’. Da qualche parte, in
fondo alla sua mente, aveva percepito l’arrivo dei soldati e della zia, ma era
ancora troppo presto. Adesso, invece, si sentiva pronta ad affrontare di nuovo
il mondo esterno. - E’ solo stanco - disse, dopo aver sfiorato con la punta
delle dita una tempia di Max.
In quel momento arrivò Michael, seguito da sei uomini. - Maledetti... - disse
fra sé e sé, poi si avvicinò all’amico e lo prese in braccio. - Ok,
riportiamolo nella sala. Adesso, qui, ci sono più soldati che ragni... Isabel,
cerca di tenerlo buono, quando si riprenderà: non voglio che qualcuno si
diverta al tiro al bersaglio anche con lui! E voi, ragazzi, sicuri di stare
bene? -
Annuirono entrambi, poi Shiri si morse nervosamente il labbro inferiore. -
Io... vorrei che ci lasciassi venire con te... -
- Non pensarci nemmeno, piccola! - Abbozzò un sorriso per scusarsi del tono
brusco. - Ho il sospetto che sarete più utili in quella stanza. Non mi va
l’idea di sapere Lhara sola con quegli avvoltoi... -
- Pensi che sia stata la Confederazione ad organizzare l’attacco? - chiese
Isabel, sconcertata.
- Chi altri ha interesse a eliminare i reali di Antar, secondo te? - borbottò
Michael sbuffando. - Accidenti, odio vedere Max in queste condizioni! -
Quando entrarono nella sala Max stava cominciando a riprendersi e l’amico lo
adagiò con cura sul pavimento, sotto gli occhi esterrefatti dei presenti.
- Zan! Cos’è successo? - chiese Lhara agitatissima, precipitandosi su di lui.
Mentre Isabel, lo sguardo duro fisso su Dials e Ghar, andava a mettersi davanti
al fratello costringendo, in questo modo, i due a restare fermi dov’erano data
la scarsità di spazio, Michael fletté con rabbia le dita. Qualcuno ha sparato a
Jason, Shiri e Lou, e Max ha esaurito le sue energie per riportarli indietro.
Per Lou era troppo tardi ma, come puoi vedere, i reali sono sopravvissuti. E
intendo fare di tutto per proteggerli - A sua volta lanciò un’occhiata colma di
odio verso i signori di Karan e Veyland, poi si rivolse sprezzante a Hornem. -
Fra poco dovrai prendere una decisione. O noi, o loro - e se ne andò
richiudendo con forza la porta.
Jason lo sentì dare ordini a due soldati perché restassero di guardia, poi si
tolse il giubbetto e si curvò a sistemarlo sotto la testa del padre.
In quel momento Max fremette e riaprì gli occhi. Nel vedere il figlio chino su
di lui sentì il cuore battergli più in fretta, poi volse lo sguardo di lato ed
incontrò quello di Shiri. Non era riuscito a salvare Lou, ma i suoi bambini
erano lì, e questo voleva dire che il futuro aveva ancora una speranza. Perché
senza di loro non ci sarebbe stato futuro, per lui. Sapeva che Liz lo amava
abbastanza da perdonarlo, se li avesse persi, ma lui non avrebbe mai potuto
perdonare se stesso, e si sarebbe annientato nel tentativo di distruggere i
nemici della sua famiglia. Comunque, erano ancora in pericolo. Finché non
avesse fermato una volta per tutte lo strapotere della Confederazione quegli
uomini avrebbero cercato di ucciderli, perché non c’era altro che potessero
fare. Con un sospiro fece forza sui gomiti e si mise a sedere, subito sostenuto
da Isabel. Senza dire nulla la guardò negli occhi e lei lo aiutò ad alzarsi in
piedi.
Davanti alla sua espressione i signori della Confederazione tornarono ai loro
posti mentre i ragazzi ed Isabel si disponevano ai lati di Max. Lhara osservò
la scena con attenzione prima di sedersi a sua volta. Stava piano piano
afferrando cos’era successo e si chiese cosa avrebbe fatto, ora, il signore di
Antar.
Max avanzò con esasperante lentezza e si lasciò quasi cadere sulla sedia a lui
destinata. - Avete fatto la vostra mossa. E avete perso - I suoi occhi
s’incupirono. - La Confederazione ha rivelato apertamente come intende portare
avanti questa partita, e adesso è il mio turno. - Si protese un poco in avanti,
le mani aperte sul piano lucido del tavolo. - Io sono il signore di Antar, e
Antar è fuori della Confederazione. Il Consiglio, presieduto da Rodhya,
mantiene i suoi poteri, e il Comitato di Sicurezza ha il compito di impedire
ogni forma di ingerenza esterna -
- Il Comitato di Sicurezza? - domandò perplesso Dials.
Con un sorriso sarcastico il giovane lasciò che lo sguardo gli si posasse su
Hornem. - L’economia è la forza e, al tempo stesso, il punto debole di ogni
governo. Ci si può ritrovare conquistati senza neppure accorgersene... Non
permetterò che succeda di nuovo. Antar resterà libero -
Questa volta Lhara intervenne. La sua voce limpida e pastosa risuonò ferma
mentre annunciava la decisione presa. - Rènida è al fianco di Antar -
Hornem si lasciò andare contro lo schienale ridendo con fredda ironia. - Che
altro avresti potuto dire, quando tutti noi sappiamo che Zan... - Fece un
piccolo inchino col capo verso il giovane - scusa, Max... - si corresse, - ha
dato asilo a te e tuo fratello? Questa non è ingerenza esterna? -
La ragazza si irrigidì. - Ci ha aiutati a sopravvivere, e a tornare nel nostro
mondo. Liberi. Brentelwoodein ed io abbiamo lottato da soli per riconquistare
la fiducia di Rènida! - Guardò l’uomo con atteggiamento di sfida. - E Antar ha
la mia fiducia -
- Bene! Allora io sono diventato l’ago della bilancia, giusto? -
- Sbagliato - Un muscolo vibrò nella mascella di Max. - Lhara ed io siamo
alleati, non federati. I nostri pianeti uniranno per libera scelta le loro
forze per mantenere a distanza la Confederazione e chiunque altro cercherà di
imporre la propria presenza ad ogni costo. Di sangue ne è stato versato fin
troppo, e non intendo continuare in questo modo - Serrò le mani a pugno. -
Avete cercato di assassinare i miei figli, e un uomo leale è morto. Non vi
permetterò di continuare così... La gente come voi capisce solo la forza bruta,
e questo è quanto avrete - Si girò a guardare Isabel con intensità, poi
ridistese le dita e nei suoi palmi apparvero i graniliti.
Con un sospiro lei gli prese un polso e lasciò che la sua energia confluisse in
quella del fratello.
- Papà? - chiese Jason sottovoce, desiderando aiutarlo.
- No - fu la risposta altrettanto sommessa di Max, prima di scivolare in un
profondo stato di concentrazione.
- Aspetta! - Il tono imperioso di Isabel penetrò nella mente del giovane, che
si costrinse ad ascoltare il suo reale accorato appello. “Cosa vuoi fare?
Ucciderli, come hai fatto con Volnis? Ma non puoi risolvere un conflitto
stellare uccidendo i sovrani che lo hanno scatenato! E’... è orribile, e non è
da te! Ti prego, dimmi come intendi fermarli... prima di fare qualcosa di cui
potresti pentirti...”
“Io... non lo so. In questo momento sono così pieno di rabbia che vorrei
soltanto...” Sconfitto, Max allentò la stretta sui graniliti e chiuse per un
istante gli occhi, tornando subito dopo a fissare i suoi avversari. -
Andatevene. Tornate sui vostri pianeti e non rimettete mai più piede su Antar.
O su Rènida. Gli uomini che avete sguinzagliato nel palazzo saranno rimandati
indietro dopo essere stati interrogati. Tranne quelli che hanno sparato. Loro
resteranno qui, in prigione. -
- Allora sarà il tuo isolamento ad aprirci la strada verso Antar... - lo
schernì Gahr.
- Antar non sarà isolato. Ma ogni contatto, economico o diplomatico, verrà
sottoposto al Comitato di Sicurezza. - Cercò lo sguardo di Lhara, che annuì con
decisione. - Lo stesso sarà per Rènida - Si morse leggermente il labbro
inferiore. - Hornem, che tu decida di fare o meno parte della Confederazione,
dovrai sottostare lo stesso a queste regole. Non ho alcun diritto di usare i
miei poteri per obbligarvi al rispetto della volontà della nostra gente, ma
niente mi impedirà di usarli per difenderci... Andatevene, adesso. Andate
via... - Attese che i tre uomini lasciassero la sala, poi si alzò lentamente in
piedi e si volse in direzione dei figli, che si slanciarono fra le sue braccia.
I bellissimi occhi nocciola di Max si velarono di lacrime mentre stringeva
forte i due ragazzi contro di sé.
Isabel si passò furtiva un dito sulla guancia al vivido ricordo dei loro corpi
stesi nel sangue, e dopo aver esitato un istante si girò e uscì. Vedendo i tre
in fondo al corridoio li seguì, non prima di aver fatto cenno ad una delle
guardie di andare con lei. “Non vi permetterò di fare altro male, maledetti
bastardi...” Mentre camminava si concentrò su Michael e lo aggiornò sugli
ultimi sviluppi del confronto con la Confederazione dopodiché lo pregò di
mandare una squadra per scortare i tre uomini fino all’aeroporto. “Non voglio
che abbiano la possibilità di combinare altri guai!”
Michael non attese di sapere altro, e poco dopo la ragazza lo vide arrivare con
i soldati richiesti. Finalmente... - borbottò, poi si accostò all’amico. -
Voglio tornare a casa. Questo posto è una vera trappola per noi... e non lo
sopporto più! -
- Beh, abbiamo trovato le prove che è stata la Confederazione a mandare qui
Volnis, quindi basta andare su Karan e Veyland, polverizzare qualche palazzo e
il gioco è fatto, no? -
Isabel gli diede un’occhiataccia. - Non farti sentire da Max, hai capito?!? -
Era notte fonda quando si ritrovarono negli appartamenti privati della famiglia
reale.
Shiri si era rannicchiata sul divano e continuava a dividere la propria
attenzione fra il padre e Lhara. Lei le aveva parlato di Bren, di quello che
avevano fatto insieme per riportare la pace su Rènida, e delle lunghe
chiacchierate sui signori di Antar. - Siete degli amici preziosi, e... e credo
che mio fratello ricambi l’affetto sincero che tu provi per lui... - le aveva
detto poco prima di lasciare la sua stanza per raggiungere gli altri nel
salotto piccolo. E ora provava una strana sensazione. Avrebbe voluto che Bren
fosse lì con loro. Sentiva la sua mancanza e aveva tanto sperato di poter
andare su Rènida per salutarlo, tuttavia sapeva che di lì a poco sarebbero
ripartiti per la Terra, e chissà quanto tempo sarebbe trascorso prima che le si
presentasse un’altra possibilità... Ma era anche consapevole del profondo
desiderio di Max di lasciare Antar prima che a lei o a Jason succedesse ancora
qualcosa.
Jason, invece, era seduto per terra, un braccio poggiato sulle gambe del padre
e lo sguardo fisso su Isabel.
- E sei convinto che se ne resteranno buoni buoni a casa loro? - domandò
Michael scettico.
- Non proprio, ma Isabel ha ragione. Non è una buona politica liberarsi di un
avversario uccidendolo. Soprattutto quando questo ha fatto la stessa cosa con
te... -
- Già, è anche grazie a Dials e Ghar che le nostre versioni originali sono
state fatte fuori, a suo tempo, però la lezione, a Volnis, non è servita! -
- Neppure a quei due bastardi, se è per questo - interloquì Isabel, con voce
fredda. - Come non è servito con l’FBI. Certo, la voglia di cancellare dalla
faccia del pianeta chi ti vuole morto è tanta, ma io non me la sento di
considerarlo l’unico mezzo per mettere a posto le cose... -
- No, è vero, però... però a volte non se ne può fare a meno... - Lhara ripensò
al padre, ai suoi piani per eliminare Bren, e rabbrividì.
- Comunque è meglio cercare prima delle alternative. In ogni caso vediamo come
andrà col Comitato di Sicurezza. Ho parlato con Rey Hansell, e penso che
riuscirà a fare un ottimo lavoro. Lhara, io credo che tu e Bren sarete in grado
di tenere lontane le grinfie della Confederazione dal vostro mondo, ma non
esitate a rivolgervi a Rodhya o a Hansell se doveste aver bisogno di qualche
consiglio. Sono due persone molto in gamba e degne della massima fiducia. - Max
si lasciò sfuggire un sorriso - Questo non significa che cercherò di portarti
via il trono. Non vorrei neppure il mio... -
Lhara ricambiò il sorriso poi si alzò in piedi. - E’ stata una giornata
faticosa, soprattutto per voi. Spero che la Confederazione, e Hornem, abbiano
finalmente capito di non essere i signori del sistema! - Tornò seria. - Vi
chiedo ancora scusa per essermene andata senza salutarvi, l’altra volta, ma...
- Deglutì, un po’ a disagio. - Sono davvero onorata di avere la vostra
amicizia. E’ molto importante, per me... Grazie! - Si avvicinò ad ognuno di
loro, abbracciandoli con affetto. Quando fu la volta di Shiri la strinse forte
e le bisbigliò all’orecchio: - Salutami Kyle. Ed io saluterò Bren per te... -
La ragazzina annuì arrossendo leggermente prima di lasciarla andare.
L’indomani, dopo aver scortato la giovane regina fino all’aeroporto, Max e
Michael si recarono al palazzo del governo, dove erano già ad attenderli
Isabel, Jason e Shiri, ed insieme fecero il loro ingresso nella sala
consiliare.
La riunione si protrasse per l’intera giornata perché Max voleva essere certo
che sia il Consiglio sia il Comitato avessero le idee ben chiare, poi venne il
momento in cui poterono congedarsi da Rodhya e Hansell.
Quando furono a bordo dell’astronave che li avrebbe ricondotti sulla Terra
Isabel costrinse il fratello ad andare a riposarsi. - Sembri distrutto, e non
intendo sfracellarmi al suolo subito dopo il decollo! Quindi... - Gli indicò
con decisione la porta della cabina che avrebbe diviso con Michael e Jason, poi
andò a sedersi davanti ai comandi. - Coraggio, Shiri, facciamogli vedere come
siamo in gamba! - Fece l’occhiolino alla nipote, che si affrettò ad accendere i
motori sorridendo imbarazzata. - Veramente, Jason è molto più bravo di me... -
ammise.
Con un’esclamazione di gioia Diane si slanciò verso Liz e la strinse con
affetto poi si chinò sul passeggino e studiò attenta i due neonati. - Oh, santo
cielo, ma sono una meraviglia! - disse piano. Tese una mano per sfiorare la
guancia soffice di Claudia, che spalancò gli occhioni nocciola e sorrise.
- Lei è Claudia, mentre dietro c’è Ethan... - le spiegò la ragazza.
- Dio mio, Liz, è... è incredibile... Sono così contenta che abbiate avuto
altri due bambini... - Diane si girò un attimo per guardarla negli occhi. - A
volte avevo l’impressione che Max e Isabel fossero troppo soli... Non
invitavano mai nessuno a casa, e... - Scosse piano la testa, la voce incrinata
per l’emozione. - E’ stata una vera fortuna, per Max, incontrarti... -
Liz sorrise divertita. - Veramente la fortuna è stata mia! - Alzò lo sguardo
sull’elegante costruzione a due piani. - Mi sembra bellissima... -
- E devi vederla dentro! - Maria ammiccò soddisfatta. - Sono sicura che ne
resterai entusiasta! - La prese sottobraccio sospingendola verso l’ingresso,
mentre Diane si affrettava a seguirle spingendo il passeggino, più interessata
ai due neonati che alla villetta.
L’agente immobiliare che le stava aspettando rispose esaurientemente a tutte le
loro domande, e alla fine Liz si rivolse alla suocera. - Diane, pensi davvero
che possa andare? -
La donna le sorrise con affetto. - Ci sono venuta ieri insieme a Phillip,
giusto per sentire anche il suo parere, e anche lui ha convenuto che si tratta
di una casa solida e sicura. L’importante è che piaccia a te. - Il sorriso le
si allargò, mentre un’aria di complicità le illuminava lo sguardo. - E sono
certa che Max concorderà con la tua decisione... -
- Di questo ne sono più che certa anch’io! - esclamò Maria ridendo. - Allora?
Che ne dici? - sollecitò l’amica.
Liz fece un lento giro su se stessa. Avevano esplorato con attenzione entrambi
i piani, curiosato in tutte le stanze, studiato il panorama che si godeva dalle
finestre, le cui grandi vetrate lasciavano entrare a fiotti la luce solare
dando all’insieme un’aria allegra e confortevole. Sì, adorava quella casa, e
già immaginava come avrebbe potuto arredarla... Sospirò, consapevole di stare
per prendere una decisione molto importante, poi raddrizzò la schiena e si fece
coraggio. - Va bene. La prendo -
- Wow! - Maria si impossessò del passeggino. - Mentre voi prendete gli ultimi
accordi io porto i due pargoletti a fare un giro fuori! - E se ne andò tutta
contenta.
Poco più tardi venne raggiunta da Diane e Liz, ancora sottosopra per
l’eccitazione, e suggerì di andare a festeggiare al Crashdown. - Così anche i
tuoi genitori potranno vedere Claudia e Ethan -
- Ottima idea! Ci ritroviamo lì, allora? -
- Ok. - Liz si diresse verso il fuoristrada, ma mentre tirava fuori dalla
borsetta le chiavi si girò verso Diane. - Avverti anche Phillip: mi farebbe
piacere che ci fosse pure lui... -
- Certo, lo chiamo subito! - La donna prese il cellulare e telefonò al marito,
poi salì sulla sua auto e si diresse verso il locale dei genitori di Liz.
- Mamma? - Liz si affacciò nel disimpegno da cui si passava alla zona privata e
sorrise alla madre, che si affrettò a posare i libri contabili che aveva in
mano e corse ad abbracciarla. - Liz! Quando sei arrivata? -
- Al Crashdown cinque minuti fa, a Roswell più o meno verso le undici... -
- E...? -
La ragazza s’illuminò in volto. - Sì, ci sono anche loro! Vieni! - La prese per
un polso e se la tirò dietro fino al tavolo dove si erano già sistemati gli
altri.
Nancy Parker salutò cordialmente gli Evans e Maria, poi si avvicinò al
passeggino e contemplò estasiata i due bimbi. - Ciao... - disse piano,
sorridendo commossa quando loro agitarono le manine verso di lei. Poi si
raddrizzò, e si rese conto di qualcosa. - Max non c’è? -
Liz infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans, imbarazzata. - Ehm...
no... Lui è... è rimasto ad Albuquerque... Doveva studiare per un esame. -
terminò, cercando di suonare convincente.
Sua madre la fissò sdegnata. - Vorresti dire che ti ha fatto venire fin qui da
sola?!? Ma... hai partorito appena tre giorni fa! Poteva anche fare uno sforzo
e accompagnarti, no? -
- Mamma, ti ho detto che aveva da fare! Credimi, se avesse potuto sarebbe
venuto con noi! - cercò di placarla Liz.
- Beh, io non capisco! Diane, Phillip, scusatemi ma penso che vostro figlio sia
davvero un irresponsabile! -
In quel momento arrivò Amy, trafelata. - Per fortuna siete ancora qui! Maria,
mi dispiace, ma avevo dimenticato a che ora sareste venute e... Ciao, Nancy.
Diane, Phil... - Si accorse poi della tensione che c’era nell’aria e sorrise a
disagio. - Ho... interrotto qualcosa? - Ma prima che qualcuno potesse parlare
vide i due bambini e si avvicinò a loro. - Ehi, siete due veri angioletti! -
esclamò estasiata.
Maria roteò gli occhi con una smorfia. Sua madre sapeva essere una vera forza
della natura, a volte! In meno di venti secondi era riuscita ad interrompere
una conversazione che stava cominciando a diventare molto imbarazzante, aveva
salutato tutti e si era accattivata la simpatia degli ultimi nati della
famiglia Parker Evans... Guardò Liz, un po’ preoccupata. La vide tesa, rigida,
senza più una briciola dell’entusiasmo per la nuova casa, e se ne dispiacque.
Mordendosi le labbra Liz prese il menu e cominciò a studiarlo, nonostante lo
conoscesse a memoria. - Se non ti dispiace, mamma, vorrei ordinare. Ho molta
sete - disse con voce distante.
- Ti prego, Liz, non fare così... - cercò di rimediare Nancy. - E’ solo che io
mi preoccupo per te, e sapere che hai dovuto guidare così a lungo, con due
neonati... -
- C’era Maria, con me. E Claudia e Ethan sono molto tranquilli, come puoi
vedere - ribatté lei senza distogliere lo sguardo dal foglio ricoperto di
plastica.
- Scusami... - mormorò allora la donna.
A quel punto Liz depose il menu sul tavolo e la guardò dritta in volto. - Mi fa
male sentirti parlare in questo modo di Max ogni volta che non fa esattamente
quello che tu pensi dovrebbe fare! E’ vero, a volte il nostro comportamento può
sembrare incomprensibile, ma ti prego di credermi: Max è l’unica persona al
mondo con cui desidero stare, e questo deve bastarti! - Detto questo si rivolse
a Phillip Evans. - Phil, qui ci sono i dati dell’agenzia. Puoi occupartene tu,
per favore? -
L’uomo prese il biglietto da visita e, dopo avergli dato una rapida occhiata,
lo infilò nella tasca interna della giacca. - Certo, cara. - rispose
semplicemente.
Nancy sospirò. Perché non riusciva a recuperare il rapporto che aveva una volta
con sua figlia? Le spalle le si abbassarono. “Forse perché non riesco ad
accettare il fatto che sia cresciuta...” Dopo una breve esitazione sedette
davanti a lei e le coprì una mano con la propria. - Liz, mi dispiace... Hai
ragione, sapere che sei felice con Max dovrebbe bastarmi, e invece... - Accennò
un pallido sorriso. - Sono contenta che tu abbia sposato un ragazzo di cui sei
profondamente innamorata e che ricambia il tuo amore, e ti chiedo scusa per le
parole che ho detto. -
La ragazza fece un piccolo cenno col capo, a indicare che accettava le scuse,
poi si schiarì la gola. - Dov’è papà? -
- E’ dovuto andare in banca, ma dovrebbe essere di ritorno a momenti. Vi va di
fermarvi qui a pranzo? - chiese speranzosa.
- Ok - accettò Liz, dopo una brevissima esitazione.
- Restate anche voi, vero? - chiese ancora Nancy rivolgendosi agli Evans.
- Certo, perché no? -
- Amy? -
- Grazie, volentieri. Posso... posso dirlo a Jim? -
- Naturalmente! -
Da quel momento in poi la conversazione andò avanti senza problemi e quando Liz
dovette allontanarsi per allattare i bambini Nancy si offrì di andare con lei
per aiutarla.
Nel tardo pomeriggio le due ragazze ripartirono per Albuquerque.
- Allora? Non mi sembra che sia andata così male, no? -
Liz mise la freccia e superò l’auto che la precedeva, poi rallentò fino al
limite di velocità consentito. - Già - Sorrise. - Quella casa mi piace davvero,
sai? -
- Ne sono contenta. - Si girò a dare una carezza ad Ethan. - Liz, cosa...
cos’hai provato la prima volta che Jason ti ha detto... che era... beh... un
maschietto? -
- Veramente non si è trattato di parole, ma solo di una percezione. Ho...
sentito... che era un “lui”! -
- Ah... - Maria tornò a guardare davanti a sé. Dopo pochi minuti si girò verso
di lei. - Sentito come? -
- Che era giusto parlargli come se fosse un maschio... Insomma, qualcosa del
genere. -
- Capisco... -
- Maria? -
- Cosa? -
- E’ un maschio? -
La ragazza fece un sorriso smagliante. - Credo di sì! -
- Fantastico! - Liz guardò i figli dallo specchietto retrovisore. - Ehi, fra
non molto avrete un cuginetto con cui giocare! -
Stavolta Maria si mise a ridere. - Aspetta almeno che sia nato, prima! -
Nei giorni che seguirono Maria aiutò moltissimo l’amica, occupandosi dei due
neonati mentre lei si concentrava nello studio, e quando arrivò il giovedì
l’accompagnò al campus.
Liz era molto agitata, sapeva di avere la testa presa da troppi pensieri, e
temeva di non essersi preparata a sufficienza, eppure voleva con tutta se
stessa superare quell’esame. Così gliene sarebbero rimasti soltanto due, e
magari avrebbe potuto aiutare Max, cui invece ne mancavano quattro... Doveva
farcela, accidenti!
Quando entrò nella stanza dove stavano già prendendo posto altri studenti era
talmente carica di energia nervosa che affrontò la prova come se fosse il suo
peggior nemico, con freddezza e determinazione. E fu ricompensata, perché
ottenne il massimo dei voti. Sentendosi leggera come una piuma corse fuori
dell’edificio e abbracciò forte Maria, poi si chinò a deporre un bacio sulla
fronte dei figlioletti. - La vostra mamma è stata grande, sapete? -
- Già, ma io mi sono quasi intossicata a furia di annusare olio di pino per
calmarmi! Sai che ti dico? La prossima volta ti aspetto a casa! -
- Guarda che hai insistito tu per accompagnarmi! - protestò ridendo Liz.
Maria fece per obiettare ma sentì il trillo del suo telefonino e cominciò a
rovistare nella borsa. - Dove diavolo si è infilato? Ah, eccolo! - Si affrettò
a prendere la comunicazione, e il volto le s’illuminò di gioia. - Michael! -
- Oddio, eccoli! Mamma mia, Liz, e adesso che faccio? Glielo dico subito?
Aspetto di essere a casa? Oppure è meglio domani, dopo che si sarà riposato? Il
viaggio da Antar è sempre così faticoso... -
- Maria, falla finita, ti prego! Vedrai che riuscirai a capire qual è il
momento adatto! - Scuotendo esasperata la testa Liz sterzò bruscamente per
evitare un sasso rotolato fin sul bordo della strada sterrata e avanzò fino ad
uno spiazzo abbastanza largo da consentirle di fare inversione di marcia. -
Avanti, scendi! Ai bambini ci penso da sola, ok? -
- Ok - In preda all’ansia la ragazza scese dalla vettura, dimenticando di
richiudere lo sportello dietro di sé.
Liz tirò il freno a mano, si girò per controllare che i figli stessero bene e
poi scese a sua volta. - Tra poco sarò di ritorno con Max e gli altri, per cui
comportatevi come si deve, d’accordo? -
Ebbe il tempo di fare solo pochi passi prima che Max si precipitasse verso di
lei e la stringesse in un caldo abbraccio. Con un sospiro di felicità gli passò
un braccio intorno alla vita e l’altro intorno al collo, prima di incollare le
labbra alle sue.
Dietro di loro Jason fece un cenno alla sorella. - Vieni, devono essere in
macchina! -
- Non dovremmo prima salutare la mamma? -
- Shiri, vuoi vederli adesso o fra un’ora? -
Con una spallucciata la ragazzina gli si affiancò e poco dopo se ne stava
accovacciata in ammirata contemplazione dei due piccoli.
- Claudia, Ethan, vi presento Shiri! -
- Smettila, stupido! - Shiri diede una leggera spinta al fratello, poi slacciò
la cintura che teneva bloccato Ethan e lo prese in braccio. - Santo cielo, come
sei piccolo! -
Jason la guardò con affetto. - Tu eri come lui, quando mamma ti affidò a me
dicendomi di portarti su Antar... -
- Davvero? -
- Sì. Ero così preoccupato che potessi farti male stringendoti troppo forte...
e allo stesso tempo avevo paura di perderti. Non avevo mai portato nessuno con
me, prima... -
- Ma io ti sentivo. Ricordo che la tua mente era collegata con la mia...
avvertivo i tuoi pensieri, le tue emozioni... - Shiri si volse a sorridergli. -
Sei molto simile a papà. -
- Lo prendo come un complimento. -
- Lo è - Così dicendo la ragazzina arretrò fino ad uscire dal fuoristrada. -
Guarda, c’è la zia Isabel! -
- Oddio, Shiri! - Sentendosi gli occhi inspiegabilmente pieni di lacrime Isabel
le si avvicinò e guardò incantata il neonato.
- Questo è Ethan. Jason si sta invece occupando di Claudia... -
- Posso... posso prenderlo in braccio? -
- Certo! - Shiri le consegnò il bimbo e sorrise incerta. Poteva percepire il
profondo turbamento che agitava la zia ma non era sicura di comprenderne il
motivo. Poi, sentendo un rumore di passi, si girò e vide il fratello.
- Credo che stia per addormentarsi... - le bisbigliò.
Nel frattempo Maria aveva cercato rifugio fra le braccia di Michael e lo stava
baciando con passione, ma ad un tratto il ragazzo le prese il volto con
entrambe le mani e lo scostò da sé. - Chi diavolo è Mathias? -
- Come? - Maria lo fissò confusa, e lui ripeté duramente: - Chi è Mathias?
Perché pensi a lui mentre baci me?!? -
- Ma...Mathias? -
- Sì, Mathias! - Il nome gli uscì dalle labbra come una bestemmia, e una luce
omicida gli apparve negli occhi mentre si allontanava da lei con disgusto. -
Sono stato via meno di tre settimane, e tanto ti è bastato per... Lo sapevo che
non dovevo fidarmi... Lo sapevo! -
Maria lo fissò incredula. - Ma... che accidenti stai dicendo? - Gli afferrò un
braccio, aumentando la stretta quando lui cercò di liberarsi. - Che accidenti
stai dicendo? - domandò ancora, pallida per la furia che stava montando in lei.
- Mi stai prendendo in giro? -
- Come... come puoi pensarlo? Santo cielo, Michael, ti rendi conto di quello
che stai dicendo?! - Sconvolta, la ragazza lo lasciò andare. - Tu... pensi
davvero che io potrei avere un... un altro uomo? Per chi diavolo mi hai preso?
- Senza accorgersi delle lacrime che avevano cominciato a rigarle le guance si
afferrò i lembi della maglietta e la sollevò fino a scoprire la pelle
scintillante dello stomaco. - Mathias è tuo figlio! - disse con voce stridula,
prima di fuggire via.
Michael rimase a guardarla allontanarsi senza saper cosa fare. Non riusciva a
capire. Mathias... era suo figlio? Maria stava aspettando un bambino? Il loro
bambino? Ma come...? Disperato per l’enormità dell’errore commesso cominciò a
correrle dietro gridando il suo nome finché riuscì a raggiungerla e ad
afferrarla da dietro. - Maria, ti prego, perdonami!... - La bloccò con forza,
arrivando quasi a sollevarla da terra, incurante dei suoi calci furiosi. -
Maria, per favore! -
- Lasciami andare, idiota! -
- No, mai! Mai... mai... - Angosciato, premette la guancia contro la sua. - Ti
chiedo perdono... Ho detto delle cose orribili... scusami... Io... io ho perso
la testa... Quando ho sentito che, mentre ti baciavo, nella tua mente c’era...
amore... per Mathias... mi sono sentito malissimo... Non avevo capito...
Perdonami... -
Maria cercò di trattenere i singhiozzi e smise di scalciare. Michael era
cresciuto cercando di tenere tutti a distanza per evitare di soffrire più di
quanto avesse già sofferto, e nonostante l’amore che provavano l’uno per
l’altra continuava a sentirsi insicuro. - Michael... - mormorò con voce
soffocata dal pianto, - sono incinta di un mese. Mathias è nostro figlio... -
Dalle labbra le uscì una risata strozzata. - Il giorno dopo aver capito che era
un maschio stavo sfogliando una rivista e quando... quando ho letto quel
nome... ho sentito che era il nome giusto... -
- E’... un bel nome... - sussurrò Michael sfiorandole con un bacio gentile la
pelle umida di pianto.
- Non devi dubitare di me. Non potrei mai tradirti... - La voce di Maria era
quasi impercettibile, ma lui la sentì perfettamente. - Lo so. Mi spiace averti
ferito... Io... ti amo tanto eppure... riesco a farti sempre del male... -
- E’ vero. -
Il giovane si sentì morire dentro. - Maria... -
Tirando su col naso lei chinò il mento. - Non preoccuparti... Per favore,
mettimi giù, mi sta venendo da vomitare... -
In preda all’ansia Michael abbassò le braccia finché la sentì toccare di nuovo
il terreno. - Cosa posso fare per aiutarti? -
- Tienimi... tienimi contro di te... - Sentendosi a pezzi Maria appoggiò la
nuca contro la sua spalla, il viso rivolto verso l’alto, e fece dei lenti
respiri profondi.
Mentre con una mano la sosteneva a sé con l’altra le carezzò la fronte e i
capelli. - Va meglio? - chiese dopo un po’.
- Mm... -
- Maria? -
- Sì? -
- Posso... posso toccarti la pancia? -
- E’ ancora troppo piccolo... - Sorridendo con dolcezza gli spostò la mano sul
ventre, sotto i morbidi pantaloni di tela.
Al contatto con le sue dita qualcosa sembrò vibrare, e Michael chiuse gli
occhi, commosso fino alle lacrime. - Ciao, Mathias... -
Liz si staccò da Max per riprendere fiato e gli sorrise, ma subito dopo un
pensiero le fece corrugare la fronte. - Dobbiamo sbrigarci ad andare via da
qui! - Lo guardò ansiosa. - Se il satellite ha registrato la vostra presenza
Ross ci sarà di nuovo addosso! -
Il giovane serrò le mascelle. - Hai ragione... - mormorò cupo. Lanciò
un’occhiata intorno a sé. Isabel e i ragazzi stavano accanto al fuoristrada, ma
dov’era Michael? Poi lo vide in fondo al sentiero, abbracciato a Maria. -
Michael! Dobbiamo andarcene subito! -
L’alieno si volse a guardarlo perplesso ma non fece domande e, presa la
compagna per un braccio, l’aiutò a risalire il ripido pendio.
Nell’udire il richiamo di Max Isabel si girò verso di lui. - Cosa c’è? - chiese
sconcertata.
- Il satellite spia - fu la scarna risposta.
- Maledizione! - Senza bisogno di altre spiegazioni la ragazza passò il bimbo a
Shiri. - Monta su, svelta! Jason, sali dietro! -
Mentre Liz e Max facevano di corsa gli ultimi metri che li separavano dalla
vettura, Isabel si affrettò ad infilarsi al posto di guida e avviò il motore,
poi si sporse un poco dal finestrino. - Michael, muoviti! - gridò incitando
l’amico.
La strada dissestata non consentiva una forte velocità eppure non era facile
evitare i tratti più malridotti, ciononostante ascoltò con attenzione il breve
resoconto di Liz sulle minacce di Gabriel Ross, e alla fine si morse le labbra
preoccupata.
Michael, invece, imprecò apertamente. - Quel bastardo non ci lascerà mai in
pace, qualsiasi cosa diciamo o facciamo! - disse risentito, poi, all’ennesimo
sobbalzo, si volse preoccupato verso Maria e la vide pallida e tesa. Allora la
sollevò leggermente e se la sistemò sulle gambe. - Cerca di non vomitarmi
addosso... - borbottò. Le parole erano brusche, ma la tenerezza con cui vennero
pronunciate riscaldò il cuore della ragazza, che accennò un sorriso. - Farò del
mio meglio. - promise.
- Mi dispiace che stiate così stretti, là dietro - esclamò ad un tratto Liz, -
ma non volevamo attirare ulteriormente l’attenzione arrivando con due
macchine... - Guardando di sottecchi Isabel aggiunse che Morgan era a Clovis e
sarebbe passato ad Albuquerque l’indomani.
- Ok - fu l’unico commento dell’aliena, che continuò a guidare stringendo lo
sterzo finché le nocche le divennero bianche.
Quando finalmente giunsero a casa degli Evans trovarono ad attenderli anche Amy
e Jim Valenti, che desideravano soprattutto sincerarsi del fatto che Maria
stesse davvero bene.
Sulle prime Michael non capì l’ansia con cui Amy li accolse, ma quando si rese
conto di quello che era successo pregò Max di controllare le condizioni della
ragazza.
- Vuoi dire che hai iniettato sangue tuo nelle vene di Maria?!? - domandò
Isabel fissando Liz esterrefatta.
Stringendosi nelle spalle lei guardò Max posare la mano destra sul ventre
dell’amica. - Stava morendo. Ho pensato che fosse l’unica cosa che avrebbe
potuto aiutarla... Renderla, in qualche modo, simile a me... a voi... - Cercò i
suoi occhi, l’ombra di un sorriso sulle labbra.
Isabel comprese che quelle parole non volevano essere un insulto e le restituì
il sorriso. - A quanto pare ci sei riuscita -
In quel momento Max lasciò ricadere il braccio. - E’ tutto a posto - rassicurò
Maria.
Michael, fermo accanto a lei, respirò di sollievo, rendendosi conto solo allora
di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo, e se la strinse al fianco
piegandosi a baciarle i capelli. - Ti amo... - disse pianissimo.
Liz si avvicinò alla coppia. - Maria, ti spiace se porto dentro la tua valigia?
Si sta facendo tardi e vorrei essere di ritorno ad Albuquerque prima di sera...
-
- Lascia, ci penso io! - si offrì subito Jim, guadagnandosi l’eterna
riconoscenza di Michael.
- Bene. - La ragazza salutò con affetto Amy e Diane, poi si avvicinò esitante a
Phillip, che le sorrise soddisfatto e l’abbracciò, consegnandole senza farsi
vedere una piccola busta. - Queste sono le chiavi di casa, e il resto della
vincita è già stato versato in banca... - le bisbigliò.
- Grazie - Liz gli diede un bacio sulla guancia, sotto lo sguardo indulgente di
Diane e quello sconcertato di Max ed Isabel.
Dopo aver sistemato i gemelli nei seggiolini sedette al posto di guida e si
lasciò andare con un sospiro contro lo schienale. - Se non vi spiace vorrei
passare un attimo dai miei. Giusto il tempo di salutarli... -
A Max non sfuggì la lieve tensione che le irrigidì il corpo. Senza dire nulla
le mise una mano sulla gamba, e lei si girò un istante a guardarlo. Quel tocco,
per quanto leggero, aveva subito irradiato un gradevole calore in tutto il suo
corpo calmandola. Sorrise, rasserenata. All’improvviso si sentì contenta di
vedere i genitori. In fin dei conti desideravano solo il suo bene, anche se a
volte sembravano ostinarsi a non capire... E poi, quando fossero stati soli,
nella loro stanza, avrebbe detto a Max della casa che aveva comprato. Gli
sarebbe piaciuta, ne era certa. Finalmente un posto tutto loro, dove vivere in
pace. Forse. Perlomeno finché Ross non avesse deciso che il patto era stato
violato, oppure qualcuno, dall’altra parte dell’universo, avesse avuto bisogno
del signore di Antar. Ma fino a quel momento lei e Max sarebbero stati insieme.
Come sempre... Il sorriso le si allargò. Si sentiva felice.
Dietro di lei Isabel scosse sconcertata la testa. Qualsiasi cosa accadesse,
bastava che quei due stessero vicini e di colpo tutto sembrava normale! Era
bello sapere di avere accanto qualcuno capace di farti stare bene, comunque ed
in ogni caso... Si mordicchiò pensosa le labbra e guardò fuori del finestrino.
Avrebbe tanto voluto che Morgan fosse lì, con lei... Poi ebbe un’idea e il
volto le si schiarì. L’indomani si sarebbe comprata un vestito nuovo e fatta
sistemare i capelli dal parrucchiere, poi avrebbe prenotato un tavolo nel
ristorante più romantico di Albuquerque per una cena a lume di candela...
Pregustando la piacevole serata reclinò la testa di lato e si addormentò.
Dio, com’era bello sentire il suo respiro tiepido... Piano, per non svegliarla,
le mise la punta delle dita sul ventre e si concentrò. Poteva percepire il
ritmico pulsare della vita che stava crescendo dentro di lei, e avvertì una
fortissima emozione. Si protese leggermente in avanti, fino quasi a sfiorarle
le labbra. Avevano fatto l’amore a lungo, con passione, eppure non si sentiva
affatto stanco. L’alba era ormai prossima e attese con ansia il momento in cui
i primi raggi di sole avrebbero acceso di riflessi d’oro i suoi morbidi
capelli. Si sentiva in colpa per aver dubitato di lei, ma era felice perché
sapeva di essere stato perdonato. Ripeté fra sé il nome che aveva scelto per il
loro bambino. Mathias... Era un nome dolce, che ricordava il suo. Maria. Un
nome che portava inciso nel cuore. Anche se non l’avrebbe confessato mai a
nessuno.
Scritta da Elisa |