Riassunto: Non
è facile spezzare i legami col passato, e Max, Michael ed Isabel lo scopriranno
a loro spese quando un messaggero arriverà dallo spazio profondo.
Data di stesura:
dal 18 novembre 2001 al 12 gennaio 2002.
Valutazione:
adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
La mia e-mail è
ellis@roswellit.zzn.com
La giornata era volata via. La cerimonia era stata molto bella, allietata da un
cielo blu privo di nuvole e una temperatura particolarmente mite, e Maria si
era commossa nell’udire le parole toccanti con cui i suoi due amici più cari si
erano uniti in matrimonio. A molti, forse, erano sembrate strane, insolite, ma
lei, Michael ed Isabel ne conoscevano il vero significato e potevano
apprezzarle fino in fondo. Max e Liz avevano dichiarato davanti a tutti, sia
pure in modo enigmatico, che si amavano nonostante la loro diversità e che le
loro anime erano indissolubilmente unite. Era una promessa molto impegnativa
ma, conoscendoli come loro li conoscevano, non potevano fare di meno. Dopo
tutto quello che avevano sofferto, i pericoli che avevano corso, il destino che
aveva minacciato di allontanarli per sempre, erano di nuovo una cosa sola e non
avrebbero permesso a niente e nessuno di separarli. Maria era molto felice per
Liz, sapeva quanto amava Max e immaginava cosa stesse provando in quei momenti.
Di tanto in tanto aveva lanciato un’occhiata a Michael, nel tentativo di capire
i suoi pensieri, ma il ragazzo era stato più riservato del solito. Sicuramente
temeva che quel matrimonio portasse scompiglio nelle loro vite, già la presenza
del piccolo Jason si era rivelata fonte di ulteriori problemi, ma del resto
cosa avrebbero potuto fare? Vivere isolati dal resto del mondo, solo loro tre
contro tutti? Erano alieni, sì, ma erano anche umani, e avevano bisogni e
desideri umani. Fece un sorrisetto al ricordo del giorno in cui Liz le aveva
svelato la vera identità di quei ragazzi taciturni e solitari. Solo Isabel si
era sempre comportata come se niente fosse, mentre Max e Michael non avevano
mai frequentato nessun compagno di scuola, e loro stesse li conoscevano
semplicemente di vista. Poi Max aveva salvato la vita di Liz quando quel pazzo
aveva scatenato una sparatoria all’interno del Crashdown Café, e da allora le
loro vite si erano intrecciate. Come poteva Michael temere che lei lo
abbandonasse? Come poteva pensare che dimenticasse di aver conosciuto, e amato,
un alieno? Come poteva anche solo lontanamente immaginare che un giorno si
sarebbe sentita attratta da qualcun altro? Da circa un anno vivevano insieme,
ormai, eppure a volte le sue reazioni la coglievano ancora di sorpresa. Sarebbe
mai arrivato il giorno in cui Michael avrebbe smesso di stare sulla difensiva?
Ogni tanto, durante la festa, aveva colto il suo sguardo su di sé mentre teneva
in braccio Jason, conteso da tutte le donne presenti, e aveva faticato non poco
a trattenere un sorriso malizioso. Forse l’amore totale di un bambino, del loro
bambino, sarebbe riuscito a guarire le profonde ferite che neppure lei aveva
potuto rimarginare, chissà…
Fuori era ormai buio quando si era ritrovata a cercare Liz tra la folla per
affidarle il neonato. L’amica l’aveva ringraziata sorridendo intenerita al
bimbo. - Grazie, Maria, tra un poco avrebbe cominciato a protestare sul serio…
-
- Ma cosa dici? E’ stato così buono per tutto il giorno! -
- Certo, perché me lo hai portato ogni volta che cominciava ad aver fame - era
stato il commento di Liz prendendo il piccolo tra le braccia.
- Come, scusa? Oh! - Nel ricordare l’improvviso bisogno di sollevare il bimbo
dal passeggino e andare da Liz Maria aveva sgranato gli occhi. “E’ stato lui…”
aveva pensato sgomenta, ed era rimasta a guardare la ragazza dirigersi verso la
porta sul retro.
Quando era tornata nella sala Max era con lei. La teneva per la vita,
un’espressione dolcissima negli occhi fissi sulla testolina bruna di Jason,
placidamente addormentato contro la sua spalla, e Maria non aveva potuto
evitare il confronto con lo sguardo freddo e distante che aveva riservato a Liz
dal momento in cui si era risvegliato dal breve coma causato dalla ferita alla
testa e che aveva spazzato via ogni ricordo della sua vita di adolescente. Era
stato un periodo molto duro e triste per tutti, ma poi l’amore di Liz era
riuscito ad infrangere le sue barriere e Max aveva ritrovato la memoria. Col
risultato che adesso si trovava alla loro festa di matrimonio.
Con un sospiro si era guardata distrattamente in giro per scoprire che Michael
la stava fissando con intensità mentre si dirigeva verso di lei.
Poi erano stati raggiunti dai coniugi Evans, che avevano preso in consegna il
piccolo Jason, ed infine erano usciti tutti insieme dal locale.
Gli Evans erano andati subito verso casa, preoccupati di sistemare il prima
possibile il bimbo nel suo lettino, messo per l’occasione nella loro camera,
mentre le due giovani coppie erano salite sulla jeep di Michael.
Liz aveva faticato un po’ a sistemarsi sul sedile posteriore a causa dell’abito
lungo ma poi si era stretta al fianco di Max infilandogli una mano sotto la
giacca e aveva sorriso contenta.
Maria, che cominciava a sentire la stanchezza, si era stretta sotto al mento la
coperta che tenevano sempre a portata di mano per quelle occasioni. - Non hai
freddo, Liz? - chiese lanciando una veloce occhiata all’amica, che non portava
nulla sopra il vestito.
- No - La ragazza aveva poggiato la testa contro il braccio di Max e guardava
assorta il panorama scorrere davanti a lei. - Ci pensa Max… - disse piano. Ed
era vero. Il giovane le cingeva le spalle diffondendo nel suo corpo una
piacevole sensazione di calore. - Ma non chiedermi come faccia! - aggiunse
ridendo, mentre lui si voltava a guardarla con quell’espressione semiseria che
la faceva impazzire.
- Dove stiamo andando? - chiese ancora Maria voltandosi verso Michael.
- All’astronave - fu la laconica risposta di lui.
Perplessa, la ragazza tornò a fissare il buio oltre il parabrezza.
“All’astronave? A far cosa?”
Viaggiarono per un bel po’ in silenzio, poi Michael abbandonò la strada
asfaltata. - Tenetevi forte, dopo le piogge della scorsa settimana sarà pieno
di buche - borbottò reggendo con forza il volante.
Giunsero infine ai piedi del picco che custodiva al suo interno il velivolo
alieno e cominciarono ad arrampicarsi sul sentiero ripido e scivoloso.
Max teneva Liz per mano, attento a che non cadesse nonostante il percorso fosse
ben illuminato dalla luna piena, e quando fu vicino alla sommità tese un
braccio per toccare un punto preciso sulla roccia. Per alcuni istanti
un’impronta argentata brillò nella notte, poi il ragazzo vi appoggiò la mano e
una porzione di parete scivolò di lato rivelando un’ampia caverna.
Senza esitare entrarono tutti e quattro.
- Seguitemi! - Max si avviò lungo un breve corridoio che li condusse fino al
luogo delle incubatrici.
Maria si guardò intorno incuriosita. Non era la prima volta che andava in quel
posto, ma si era sempre trattato di situazioni estremamente critiche e non
aveva mai avuto la possibilità di osservare davvero quello strano ambiente. Una
soffusa luminescenza sembrava scaturire da un’ampia parete suddivisa in quattro
nicchie. - Voi… voi siete venuti… da qui? Siete nati qui? - domandò sottovoce.
- Sì - Michael intrecciò le dita a quelle di lei guardando a sua volta i veli
candidi che avevano protetto la loro gestazione. - Questo è il posto da cui
proveniamo - La sua voce era amara. Loro non erano nati, erano stati creati.
Ibridi, ottenuti unendo DNA alieno, prelevato dai corpi senza più vita dei
quattro reali, a DNA umano recuperato chissà dove, chissà come da coloro che
dovevano proteggerli. Probabilmente, una volta che l’astronave era precipitata
sulla Terra, Nasedo ed i suoi compagni erano andati in cerca di qualcuno da
uccidere per entrare in possesso dell’elemento che avrebbe consentito la
sopravvivenza del mucchietto di cellule custodito con tanta cura fin dal
momento in cui avevano abbandonato in segreto il palazzo reale su Antar.
Creati, non nati. Soli rappresentanti di loro stessi. Non appartenevano a
nessuna specie vivente, non completamente alieni né completamente umani, erano
i primi e gli ultimi. La nascita di Jason era un miracolo. Quel bambino
costituiva la prova tangibile del loro futuro. Non importava che potesse un
giorno regnare su Antar oppure fare il dottore sulla Terra, quello che contava
era che vivesse. Perché questo avrebbe voluto dire che anche per loro c’era uno
scopo, che finalmente avevano trovato qualcosa per cui aveva senso continuare a
lottare.
Max sospinse con gentilezza Liz davanti a sé e le prese entrambe le mani. - Ti
ho sposato secondo le leggi di questo mondo, ora ti sposerò secondo le leggi di
Antar. Perché voglio che nessuno possa mai dire che tu non sei mia moglie ed io
tuo marito -
- Oh, Max, io… - Liz fu interrotta da un richiamo disperato e si volse
bruscamente verso l’ingresso della caverna.
Isabel, ansante e con i capelli scompigliati per la corsa, era apparsa sulla
soglia, un’espressione smarrita sul bel volto. Dietro di lei, a sua volta senza
fiato, stava Morgan.
L’uomo fissò i presenti senza dire una parola, le mani inconsciamente strette a
pugno.
- Non potevo mancare, Max… - sussurrò la ragazza facendo un passo avanti.
Michael, preoccupato per ciò che poteva rappresentare la presenza di Coltrane
per tutti loro, si scostò da Maria e si avvicinò ai nuovi arrivati.
- Isabel, ti rendi conto di cosa stai per fare? - le chiese dolcemente il
fratello.
- Sì - La ragazza guardò un attimo Morgan, che ora stava al suo fianco, ed
abbassò la testa inspirando a fondo. - Come hai detto tu, io sono quello che
sono… - disse piano. Tremando per la tensione avanzò fino a raggiungere Max,
chiuse gli occhi concentrandosi e all’improvviso il suo aspetto mutò.
Nel vedere l’elegante tunica blu orlata d’oro sopra un paio di pantaloni dello
stesso colore che adesso Isabel indossava, Michael fece un sorrisetto divertito
e tornò accanto a Maria. Corrugando un poco la fronte cambiò a sua volta il
proprio aspetto e attese che Max facesse altrettanto.
Ognuno di loro era vestito ora con i colori delle famiglie da cui provenivano,
e Liz lasciò che Max le prendesse di nuovo le mani gettando una rapida occhiata
ad Isabel, pallida e tesa davanti a lei. Michael condusse Maria accanto alla
coppia in modo che lui fosse vicino a Max e lei a Liz.
Stringendo forte le dita sottili della ragazza Max sorrise e pronunciò
l’elaborata formula di matrimonio in uso tra i membri della famiglia reale di
Antar. - Io, Zan di Antar, sovrano signore di tutto il pianeta, dichiaro
davanti ai miei familiari - fece un piccolo inchino con il capo verso Isabel -
ed ai miei testimoni - ripeté l’inchino verso Michael - che la mia vita è ora
unita alla tua. La potenza dei miei predecessori passerà al nostro primo figlio
ed erede. La tua forza di donna affiancherà la mia forza di uomo. Insieme
governeremo e proteggeremo. La nostra saggezza ed il nostro sangue saranno
sostegno per il popolo intero, senza alcuna distinzione. Perché la nostra anima
è Antar, e Antar è la nostra anima - Sollevò con delicatezza le loro mani
ancora unite avvicinando la sinistra contro la propria tempia e la destra
contro la tempia di Liz. - Questo è il nostro destino… - dalle sue dita si
sprigionò una intensa luce dorata che brillò vivida per alcuni secondi, -
perché questo è quello che voglio -
Nel silenzio che seguì a quelle ultime parole Liz sentì distintamente il cuore
batterle con violenza. Max le aveva accennato al suo desiderio di quella
ulteriore cerimonia, ma lei non si era aspettata nulla del genere ed ora non
sapeva cosa dire, cosa fare. Il tocco delle loro dita intrecciate le
trasmetteva una strana sensazione di calore ma non c’erano flash. Cosa le stava
facendo?
Dopo una breve esitazione Michael si schiarì la gola e guardò fisso davanti a
sé. - Io testimonio l’unione del mio sovrano e della sua signora -
Fu poi la volta di Isabel, che con voce decisa disse: - La famiglia reale
riconosce ed approva questa unione - poi guardò Liz come per invitarla a
parlare.
Imbarazzata, la giovane accennò un sorriso e disse le prime parole che le
vennero in mente. - Io, Liz Parker, accetto questa unione, davanti ai nostri
testimoni ed alla tua famiglia -
Max la fissò serio. - La nostra anima è Antar, e Antar è la nostra anima -
ripeté. Ricordava benissimo cos’era accaduto a quel punto quando aveva sposato
Tess. Nulla. Le parole che sancivano definitivamente quell’unione maledetta
erano risuonate a lungo senza che nel suo cuore avesse avvertito una frazione
di quello che stava provando ora. Gli era sembrato del tutto normale, era stato
sempre così da quando, fuggito da Zoltar, aveva rimesso piede nel palazzo reale
di Antar e l’aveva vista. Non sapeva, non poteva ricordare cosa volesse dire
per lui amare davvero qualcuno, ed essere veramente amato. Per questo rimase
sorpreso per l’improvviso flusso di emozioni ed immagini che gli venne da Liz,
a sua volta inondata dell’essenza di lui.
La ragazza sentì gli occhi inumidirsi per la forza dell’amore di Max e senza
rendersene conto fece un passo in avanti, mentre il giovane si curvava per
baciarla.
La luminescenza intorno alle loro dita intrecciate aumentò d’intensità per poi
dissolversi non appena il bacio ebbe termine.
- Wow - esclamò pianissimo Maria, prima di voltarsi verso Michael e sorprendere
uno strano tremito sulle sue labbra. “Ah, così un bacio del genere ti fa
ridere, eh?” pensò arrabbiandosi, poi la sua attenzione si spostò su Morgan.
“Non mi sembra molto felice…”
In effetti l’uomo stava rigido contro la parete di roccia, lo sguardo fisso
alla scena che si era svolta davanti a lui.
Isabel dovette percepire qualcosa perché si volse di scatto e ne incontrò i
gelidi occhi azzurri. A testa alta gli andò abbastanza vicino da vedere le
linee di tensione intorno alla sua bocca. - Io non volevo che mi seguissi fin
qui, sapevo che non avresti capito… Ma è mio fratello, e non potevo non
esserci… Puoi accettare questa realtà? Puoi accettarmi davvero? -
A quelle parole Morgan sembrò scuotersi. - Sei veramente una principessa… - fu
la prima cosa che disse, a voce talmente bassa che lei lo udì a malapena. - Una
principessa extraterrestre. Maledizione, tutto questo è pazzesco! - aggiunse
più forte passandosi una mano tra i capelli. - Isabel, io… io non so che dire…
-
Una lacrima apparve tra le ciglia della ragazza, che si sforzò di sorridere
nonostante il dolore che stava provando. - Io ti amo, e so che anche tu mi ami
perché altrimenti non ci sarebbero stati flash per noi. Ma tu puoi continuare
ad amarmi? Io sono un’aliena, ma sono anche umana: puoi capire cosa significhi
vivere accanto a me? Accanto a tutti noi? - e fece un piccolo gesto dietro di
sé ad indicare il fratello ed i suoi amici.
- Quello che mi stai chiedendo davvero è se puoi continuare a fidarti di me -
L’uomo s’infilò le mani in tasca e fissò gli occhi nei suoi. - Forse sei tu a
non amarmi abbastanza… -
Isabel scosse lentamente la testa. - No, io ti ho amato così tanto da mettere
nelle tue mani le nostre vite. Nonostante tu fossi un agente federale… Morgan,
ho dovuto nascondermi per così tanti anni… Ma questa è la mia realtà e non
posso far finta di niente… Oggi Max ha sposato Liz, come umano e come alieno, e
il loro bambino ha poteri che nessuno di noi ancora conosce. Michael e Maria
vivono insieme ed un giorno avranno dei figli. Tu te la senti di dividere la
tua vita con la mia? -
- Mi stai facendo una proposta? Guarda che io non ho mai detto che sarei
rimasto sempre con te! -
Sconvolta Isabel indietreggiò lentamente sbattendo le palpebre per trattenere
le lacrime. - Allora ho bisogno dell’aiuto di Max… - disse piano.
Intanto gli altri, preoccupati per Isabel, si erano avvicinati ed ora si
trovavano a pochi passi dai due.
- Cosa intendi dire? - chiese Morgan con diffidenza.
- Che non possiamo lasciarti andare così. Max può cancellare dalla tua mente
ogni ricordo di me e di questo posto e potrai continuare la tua vita come se
non mi avessi mai incontrato. Mi dispiace… -
- Dispiace anche a me - Senza aggiungere altro l’uomo la prese per un braccio
e, dopo aver dato un’occhiata circolare al gruppetto alle spalle di Isabel, si
voltò e corse via trascinandosela dietro. - Io non ho nessuna intenzione di
lasciarti, né di tradirti! Ma mi fa male sapere che tu abbia dubitato di me, e
dovrai farti perdonare… - mormorò a denti stretti.
Maria fu la prima a parlare. - Credete che sia in pericolo? - chiese senza
rivolgersi a nessuno in particolare.
- No. Lei e Morgan si appartengono e lui non farà mai niente per ferirla -
disse Max.
- Allora perché non glielo hai detto? E’ tua sorella, ed hai lasciato che si
angustiasse inutilmente per tutto questo tempo!… -
Max, che non aveva mai lasciato andare la mano di Liz, si strinse nelle spalle.
- Certe cose bisogna capirle da soli. Nessuno può intromettersi. Non sarebbe
ascoltato… -
Liz, comprendendo come quella riflessione si riferisse a loro due, gli si
avvicinò fino a sfiorarlo. - Max ha ragione, Maria. Isabel deve imparare ad
avere davvero fiducia in Morgan, e deve farlo da sola -
La ragazza si volse di scatto verso Michael. - Sì, capisco… - Poi avanzò a sua
volta nel corridoio scavato nella roccia. - Andiamo, si è fatto molto tardi -
Tornati a Roswell, Liz e Max scesero davanti alla villetta dove abitava la
famiglia Evans e rimasero in mezzo alla strada finché le luci dei fari
scomparvero in lontananza.
- Sicura di voler passare la notte nella mia camera? - domandò Max voltandosi a
guardare Liz.
- Sì, mi piace l’idea di completare il cerchio della tua vita… -
- Da bambino ad adolescente e uomo? -
- Già. Prima solo umano, poi solo alieno, infine completo. Max -
Lui la studiò per un attimo alla luce della luna. - Con Liz. Sei tu, che mi
completi - Le sorrise, poi si avvicinò alla porta d’ingresso ed aprì
spostandosi di lato per farla passare. Invece di accendere la luce centrale
sollevò una mano all’altezza della spalla e nel palmo apparve una sfera bianco
latte.
- Come hai fatto? - chiese Liz stupita.
- Un modo come un altro per attirare le ragazze… - fu la risposta sommessa di
Max mentre si avviava verso la scala che conduceva al piano superiore.
Una volta entrati nella stanza del giovane, lui tese il braccio aprendo una
mano e l’aria intorno a loro sembrò tremolare. - Ho creato un campo di forza.
In questo modo siamo isolati dal resto della casa - Passò la punta delle dita
su una serie di grosse candele colorate sparse sulle mensole cariche di libri e
dischi e sul comodino, accendendole. - Va bene così? -
- Sì, benissimo - Liz gli andò alle spalle e si appoggiò contro la sua schiena
circondandogli la vita con entrambe le braccia. - Vuoi ricreare l’atmosfera di
quel giorno, a casa di Michael? - domandò sorridendo.
Max le carezzò le mani girando la testa per incontrare il suo sguardo. - Fu
molto bello… -
- Già. Peccato essere stati interrotti da Maria… -
- Stavolta non succederà - Si voltò e prese a slacciarle l’abito. - Questa
volta sarà diverso… -
Molto più tardi giacevano abbracciati sul letto, Liz semisdraiata sul corpo di
Max, che continuava a sfiorarle dolcemente i capelli. “Ti amo così tanto, Liz…
Sei la mia vita, la mia anima…” Le diede un bacio sulla fronte e lei alzò la
testa per sorridergli. Sembrava avesse sentito i suoi pensieri, perché gli posò
una mano sulla guancia. - Anche tu… - sussurrò, poi si sollevò su un gomito
scivolando completamente su di lui e fece scorrere le dita lungo il torace e lo
stomaco del giovane, che si girò su se stesso stringendola forte.
Quando infine si addormentarono l’alba era passata da un pezzo poi, a metà
mattinata, un delicato richiamo mentale svegliò Liz. - Oh, Jason… Max, devo
andare da lui… -
Il giovane avvicinò la testa a quella della ragazza fino a sfiorarle la fronte.
- Sì, l’ho sentito… - Con un sospiro rassegnato si concentrò e subito il campo
di forza si dissolse e la serratura della porta si sbloccò. Tenne ancora per
qualche secondo il braccio intorno ai suoi fianchi prima di lasciarla andare a
malincuore. - Mi manchi già… - mormorò sconfortato.
Lei gli diede un bacio mozzafiato. - Hai detto una cosa bellissima… - disse poi
come spiegazione, dopodiché scese dal letto ed infilò rapidamente la camicia e
i pantaloni che aveva portato lì due giorni prima. - Mi aspetti per fare
colazione insieme? - chiese mentre si avvicinava alla porta.
- Puoi contarci! - Max le sorrise prima di alzarsi a sua volta e chiudersi in
bagno. Avrebbe fatto subito la doccia così da lasciare poi a Liz tutto il tempo
che voleva per prepararsi. Per quel giorno avevano programmato un’uscita nel
deserto, loro due soli con il bambino. Avevano bisogno di stare insieme, di
giocare con Jason in libertà, senza temere continuamente di essere visti da
qualcuno. Soprattutto perché l’indomani mattina Liz sarebbe tornata a San Diego
per completare le pratiche per il trasferimento di università e lui sarebbe
ripartito per Albuquerque. Con i suoi genitori aveva già trovato una casa nei
pressi del college, completamente arredata e con una camera in più per Jason.
Mancavano solo le cose di Liz e del bambino, ma a questo avrebbe provveduto lui
stesso quando, di lì a una settimana, sarebbe andato a prenderli. Non vedeva
l’ora di vivere insieme, di svegliarsi ogni mattina accanto a lei, di vederla
tutti i giorni, come succedeva quando andavano al liceo. Come aveva potuto
confonderla con Tess? Come aveva potuto pensare di amare quell’altra? Come
aveva fatto a dimenticare lo scambio delle loro anime? Ma era inutile
continuare ad arrovellarsi: era successo, e basta. Adesso contava solo il
presente. Si sbrigò a prepararsi e raggiunse Liz in salotto. - Tutto bene? -
- Sì, caro - Diane Evans, entrata in quel momento, sorrise al figlio. - Jason
ha dormito per tutta la notte e si è svegliato solo quando Liz è andata da lui.
Tuo padre è in cucina a preparare dell’altro caffè: ha passato più tempo a
guardare quel bambino che a letto, ed ora non riesce a tenere gli occhi aperti!
-
Liz sollevò la testa quando Max andò verso di lei e sorrise nel vederlo
piegarsi a darle un bacio leggero sulla fronte.
Jason, contento di vedere il padre, tese una manina e gli toccò la guancia. Il
giovane percepì la sensazione di calore e benessere che proveniva dal bimbo e
prese gentilmente le piccole dita tra le sue.
- Volete che vi prepari qualche panino per dopo? - chiese ancora la signora
Evans.
- Sì, mamma, grazie - Max si raddrizzò e la seguì in cucina, intuendo che la
donna voleva parlargli in privato.
- Max - esordì infatti non appena furono abbastanza lontani da non essere uditi
da Liz, - ti rendi conto che Nancy Parker ci è rimasta malissimo perché ieri,
durante la cerimonia, avete affidato Jason a Maria e non a lei? Dopotutto è la
madre di Liz, e avrebbe avuto piacere di tenere un po’ il nipotino… -
- Sì, lo so, ma il fatto è che Jason ha già dimostrato di avere dei poteri e
non potevamo rischiare che facesse qualcosa di strano mentre era con lei. I
Parker non sanno niente di noi… -
- Forse dovresti parlare con loro - si intromise suo padre.
Max scosse lentamente il capo. - No, non posso. Hanno acconsentito a questo
matrimonio ma in realtà mi odiano. Per quello che ho fatto a Liz, per
avergliela portata via… Se potessero farmi sparire dalla faccia della terra lo
farebbero volentieri, credetemi… - L’immagine di Nancy Parker che lo prendeva a
pugni facendolo cadere dalla scala di sicurezza della piccola terrazza della
camera di Liz apparve nella sua mente e serrò per un attimo le mascelle. - Non
posso mettere a repentaglio le nostre vite, la mia, quella di Isabel e di
Michael, e soprattutto di Liz e di Jason, e ormai voi sapete quanto sia
pericoloso conoscere il nostro segreto… Mi dispiace per Liz, ma meno vedremo i
Parker meglio sarà per tutti. Almeno finché Jason sarà in grado di gestire i
suoi poteri -
- Capisco… - A malincuore Diane Evans si allontanò dal ragazzo e cominciò ad
apparecchiare la tavola. - Io e tuo padre abbiamo già fatto colazione ma
prenderemo il caffè con voi, se vi fa piacere la nostra compagnia… -
- Certo, mamma. Isabel è tornata a casa, ieri sera? -
- A dire il vero non ne sono sicura. Non l’abbiamo sentita rientrare, ma questo
non vuol dire molto… -
- Già - Max accennò un sorrisetto. Probabilmente aveva passato tutta la notte a
parlare con Morgan. Quell’uomo era davvero in gamba, gli piaceva molto, ed era
certo che fosse il compagno giusto per sua sorella. Se solo fosse riuscito a
convincerla… Non fu quindi affatto sorpreso di sentire il campanello suonare. -
Credo che sia lei… - mormorò andando ad aprire.
Isabel aveva l’aria stanca, si vedeva che non aveva chiuso occhio per tutta la
notte, ma l’espressione del suo viso era serena. - Ciao, siamo in ritardo per
la colazione? - domandò entrando seguita da Morgan.
- No, affatto. Liz ed io dobbiamo ancora mangiare. Venite, è quasi pronto! - e
li precedette in salotto per controllare che Liz avesse finito di allattare
Jason. - Tutto a posto? -
- Sì, certo! - Liz si riallacciò abilmente la camicia usando una mano sola poi
si alzò dal divano. - Devo confessarti che ho una fame da lupo… - disse ridendo
mentre Jason le tirava allegramente una ciocca di capelli.
Era quasi mezzogiorno quando finirono di mettere in ordine la cucina. Isabel e
Morgan avevano continuato a lanciarsi sguardi di sottecchi, con gran
divertimento di Liz, finché Max riuscì a bloccare la sorella vicino al
frigorifero.
- Allora, com’è andata? - le chiese a bassa voce.
- Smettila, Morgan ci sta guardando - obiettò la ragazza cercando di svicolare.
- Isabel, io voglio che tu stia bene e che sia felice. Morgan è un agente
dell’FBI, e questo comporta un bel po’ di rischi. Quindi mi dispiace dover
insistere: è tutto a posto? -
La ragazza roteò gli occhi con una smorfia. - Sì, è tutto a posto. Abbiamo
parlato tutta la notte e… penso che possiamo fidarci di lui… -
- Ma tu… tu ti fidi di lui? Voglio dire, a livello personale… -
Sentendo l’imbarazzo nella voce del fratello Isabel sorrise involontariamente.
- Sì. Mi ama davvero, e io amo lui. E non tradirà nessuno di noi. Mai. Ma
questo non significa che vivremo insieme felici e per sempre! Per ora siamo una
coppia, poi… poi si vedrà… E adesso lasciami andare, ti prego! - Fece un passo
in avanti costringendolo ad arretrare e uscì dalla cucina.
Max la seguì per qualche istante con lo sguardo, poi si volse ad accennare un
sorriso a Liz e Morgan, fermi accanto al lavandino. - Bene, qui è tutto in
ordine. Ciao, Morgan… - Tese una mano verso la ragazza e si allontanò con lei.
Mezz’ora più tardi erano a bordo di un fuoristrada nuovo di zecca, diretti
verso il deserto.
- Da dove viene questa meraviglia? - chiese Liz sfiorando con ammirazione le
rifiniture del sedile.
- Dai miei genitori. E’ il loro regalo di nozze -
- Mmm, è davvero fantastico! -
- Sì, specie se consideri dove stiamo andando… -
- Cioè? - La ragazza sollevò la testa per incontrare il suo sguardo.
- Alla caverna. Lì saremo al sicuro -
- Ok… - Annuendo si voltò a controllare che Jason stesse bene. Avevano
agganciato il passeggino allo schienale e sembrava che il bimbo apprezzasse la
vista del territorio arido che li circondava. - A quanto pare il deserto lo
affascina… - commentò sorridendo.
Quando furono nei pressi dell’ingresso segreto Max fece scattare l’apertura
sotto lo sguardo attento del figlio. - Vieni, andiamo nella stanza delle
incubatrici, voglio controllare una cosa… -
Liz lo seguì senza indugiare ma dentro di sé si sentiva molto preoccupata.
Avvertiva la tensione di Max e le sembrava che Jason fosse troppo tranquillo.
Si mordicchiò nervosamente le labbra e trattenne quasi il respiro nel vedere
infine il ragazzo prendere i graniliti e farle segno di sedersi per terra.
Si accovacciò allora davanti a lei e tenne i due oggetti a portata di mano di
Jason, che li fissò intensamente prima di toccarli.
Era così strano vedere un bimbo di pochi mesi con quell’espressione
concentrata, e Liz trattenne a stento un gemito. Cosa stava succedendo? Perché
Max voleva che Jason entrasse in contatto con tutta quell’energia?
Il simbolo impresso sui graniliti si illuminò di una luce azzurra e Max coprì
con le proprie le piccole mani del figlio. La luce divenne più brillante poi
scomparve all’improvviso. Solo allora Liz si rese conto che i due oggetti
galleggiavano liberamente nell’aria e tremò dentro di sé. “Perché lo sta
facendo? Perché non lascia che sia un bambino come tutti gli altri?” Avrebbe
voluto fermarlo, dirgli di smettere, ma qualcosa glielo impedì. “Jason non è
come tutti gli altri… non lo sarà mai…” pensò con tristezza. Con occhi lucidi
rimase a guardare Max mentre si curvava verso il piccolo per portarsi alle
tempie le sue manine. I loro sguardi si incontrarono e piccole scintille
bluastre accesero le loro dita. Dopo alcuni secondi Max si raddrizzò lasciando
libere le mani di Jason e diede un’occhiata di sfuggita a Liz.
- Cos’hai fatto? - chiese lei con voce secca.
- Gli ho trasmesso la sua eredità - La risposta giunse dopo un breve silenzio
pesante. Max era consapevole della paura di lei, della sua rabbia, ma sapeva
anche che, se voleva proteggere suo figlio, doveva fare quello che andava
fatto.
- Perché tutta questa fretta? Non potevi aspettare che compisse almeno un anno?
- protestò Liz.
- No. E’ difficile da spiegare… - Max si alzò per rimettere i graniliti al loro
posto poi tornò a sederle accanto. - Vedi, nei nostri geni, nei geni dei
primogeniti di discendenza reale, sono impresse delle informazioni particolari.
E’ qualcosa di… biochimico… inserito in maniera artificiale la prima volta e
poi trasmesso ereditariamente. Non è replicabile, succede solo con il primo
figlio, dopodiché qualsiasi tentativo di duplicare quelle informazioni ne
comporta la distruzione immediata. E’ un processo irreversibile, che ha
consentito alla mia famiglia di mantenere inalterata la sua supremazia su
Antar… finché il Consiglio di Zoltar non ha deciso di impossessarsi del
pianeta. Per questo ci hanno trucidato: non potevano permettere che queste
informazioni continuassero ad essere trasmesse… -
- Ma se è qualcosa che avviene a livello genetico che bisogno c’era di tutto
questo? -
- Noi siamo costantemente in pericolo, non abbiamo il tempo di aspettare che
impari da solo quello che può fare! Gli ho fornito la chiave di accesso ai suoi
poteri. Ora il suo inconscio sa cosa significa tutto ciò che il suo cervello è
in grado di fare e lo aiuterà a farvi ricorso quando ne avrà bisogno -
- Ma è solo un neonato! - esclamò lei disperata.
- Né l’FBI né gli uomini di Nasedo o gli agenti di Zoltar si fermeranno davanti
a questo! Liz, Jason è in pericolo di vita per il solo fatto di essere nostro
figlio, lo capisci? -
- Io… sì, lo capisco… - La ragazza si strinse il bambino contro il petto
piegandosi leggermente in avanti, le labbra strette per la tensione.
Max l’abbracciò con tenerezza e la cullò contro di sé. - Mi dispiace, amore… -
sussurrò chiudendo gli occhi nel tentativo di soffocare il dolore. - Mi
dispiace… - ripeté.
Continuò a tenerla così per diversi minuti poi avvertì la gentile spinta
mentale del figlio. Allora sfiorò le guance di Liz con la punta delle dita e
sorrise leggermente. - Jason si sente trascurato. In fin dei conti siamo venuti
fin quassù per lui… -
Liz si raddrizzò allontanandosi un poco dal giovane e si passò i capelli dietro
le orecchie. - Sì, hai ragione… Però andiamo fuori, ti prego: questo posto mi
dà i brividi… -
Il giovane abbassò il mento dando una rapida occhiata intorno a sé. - Eppure è
qui che ieri ci siamo sposati… -
- Max, io… per favore, usciamo… -
Una volta all’aperto la ragazza inspirò a fondo alzando il viso in direzione
del sole. Tra le sue braccia il bambino agitava allegro le gambette mentre
cercava di attirare l’attenzione del padre con squillanti ciangottii.
- Odio quel posto perché rappresenta il legame con il tuo mondo, con quei
doveri che ti hanno fatto morire già due volte… - Lentamente Liz si volse a
guardare il marito. - Credo di essere diventata terribilmente egoista, Max. Ti
voglio tutto per me… Non ho alcuna intenzione di dividerti di nuovo con Antar -
- E non dovrai farlo - L’espressione seria, il giovane le andò vicino e le
accarezzò una spalla. - Ormai quel pianeta non ha più bisogno di me, o di
Isabel o di Michael… Il problema è che c’è ancora gente, lassù, che vuole
eliminarci e io devo fare in modo che non succeda niente né a te né a nostro
figlio… E se questo significa dover ricorrere ai poteri della mia razza, beh,
lo farò! -
Liz annuì piano, accettando le parole di Max. - Ok. Sì, certo, hai ragione… Ma
resta sempre con me, ti prego… -
- Per sempre, Liz -
Sorridendo ancora un po’ tesa la ragazza alzò la testa per guardarlo. - Ti amo…
-
- E io amo te - Max le diede un bacio leggero sulle labbra poi le passò un
braccio intorno alla vita e si incamminò per il sentiero che li avrebbe
ricondotti al fuoristrada.
Poco dopo sedevano su una grande coperta intenti a giocare con Jason.
Quando infine il piccolo crollò addormentato Max si distese sul fianco
costringendo dolcemente Liz a sdraiarsi accanto a lui. - Mi piace tenerti così…
Sentire il tuo corpo contro il mio… - La circondò con entrambe le braccia e
sorrise sfiorandole i capelli con la punta del naso. - Hai dei capelli
meravigliosi, te l’ho mai detto? -
- Sì, molte volte, ma non ti preoccupare… - Liz rise piano e si sistemò meglio
contro il suo petto.
- Anche a me piace stare così, a guardare il tramonto… Ti ricordi quando mi
desti l’anello di fidanzamento? -
- Sì, era il giorno del tuo compleanno… - Le baciò una tempia e fissò il sole
ormai basso all’orizzonte.
- Lo sai che non abbiamo mai festeggiato il tuo, di compleanno? -
- Già, è sempre successo qualcosa… -
- Qualcosa di brutto… Max, ti rendi conto di quanto sia stata intensa la tua
vita in questi ultimi anni? -
- E’ un’accusa? -
- No, sciocco… E’ solo una constatazione: hai compiuto vent’anni il mese
scorso, eppure sei ormai un uomo… -
- Grazie del complimento! -
- No, dico davvero! Guarda che tanta gente non diventa adulta neppure a
trent’anni! -
- Ma noi non siamo “tanta gente”… -
Liz si voltò a guardarlo. - No, infatti. Noi siamo… diversi… - disse, tornando
improvvisamente seria.
- Direi… speciali… mi piace di più! - Le mise una mano sul viso e si chinò a
baciarla.
La ragazza ricambiò il bacio con foga finché Max si mise a trafficare con la
cerniera dei suoi jeans. Sospirando infilò allora le mani sotto il giubbetto di
pelle per estrargli la camicia dai pantaloni.
Il cielo era diventato quasi viola e stavano comparendo le prime stelle quando
i due giovani si rimisero in ordine e cominciarono a radunare le loro cose.
Liz frugò nella sua borsa e ne tirò fuori un pacchetto che porse a Max con un
piccolo sorriso timido.
- Questo è il mio regalo per te - disse semplicemente.
Lui lo prese e lo scartò incuriosito. - Ma… questo è… - Lasciò cadere la carta
e fece scorrere le pagine del quaderno, riempite con una calligrafia fitta e
leggera.
- Sì. Ormai… mi conosci molto bene però… mi farebbe piacere che tu lo leggessi
lo stesso… -
Comprendendo il profondo significato di quel gesto Max le mise una mano sotto
la nuca e la sospinse verso di sé. - Grazie, Liz, è un regalo bellissimo… -
mormorò dandole un tenero bacio.
Poi Liz prese in braccio il figlio, ancora beatamente addormentato, e seguì il
giovane in macchina.
Il rientro si svolse senza intoppi nonostante la fitta pioggia che li colse a
metà strada, e quando arrivarono a casa Evans trovarono i Parker ad aspettarli.
- Ciao, tesoro, ma sei bagnata fradicia! - Nancy guardò la figlia scuotendo la
testa. - Che bisogno c’era di uscire con questo tempo? -
Nel frattempo Max era entrato dietro di lei ed aveva stretto la mano tesa del
padre di Liz. - Buona sera, signor Parker -
Poco distante da loro Diane Evans osservava pensierosa la scena. Forse,
nonostante tutto, suo figlio non aveva torto: i Parker non sembravano molto
contenti… Nel tentativo di allentare la tensione si fece avanti per prendere il
borsone in cui erano state riposte le vettovaglie e le cose di Jason. - Su,
andate a cambiarvi: la cena è quasi pronta! -
- Dammi il bambino, ci penso io! - Nancy Parker tese le braccia per prendere il
nipote senza lasciare alla ragazza alcuna possibilità di rifiutare.
Mentre salivano al piano di sopra Liz guardò Max preoccupata. - E adesso?
Accidenti, sarei passata a salutarli prima di partire, più tardi… Che bisogno
c’era che venissero qui a cena?! -
- Beh, ormai ci sono, quindi rilassati e goditi la serata… -
- E come faccio? Loro non volevano che io ti sposassi, e hai visto anche tu
come ci hanno guardato quando siamo arrivati! Non era così che volevo passare
quest’ultima sera con te! -
Max le sorrise e le prese la mano portandosela alle labbra per deporvi un
piccolo bacio. - Fra una settimana saremo di nuovo insieme… -
- Una settimana può essere molto lunga -
- Lo so, ma ormai è andata così, non possiamo farci nulla… E adesso calmati o
Jason sentirà la tua tensione e combinerà chissà che cosa! -
- Ci mancherebbe solo questo! - Salì in fretta gli ultimi scalini ed entrò
nella stanza di Max.
- Che ne dici di una veloce doccia insieme? E’ meglio non farli aspettare
troppo, non credi? -
- Già… - Con aria rassegnata cominciò a spogliarsi. “Una doccia veloce … uff…”
Non fu una cena molto tranquilla, Jason aveva fame e Liz fu costretta ad
alzarsi da tavola per andare ad allattarlo. Isabel, di malumore perché Morgan
era dovuto rientrare a Washington prima del previsto, non aveva mai aperto
bocca, mentre Jeff Parker aveva continuato a guardare di sottecchi Max finché
il giovane, innervosito, si era pulito lentamente la bocca con il tovagliolo
deponendolo poi con cura accanto al piatto. - C’è qualcosa che non va? -
domandò fissandolo in volto.
L’uomo si schiarì la gola poi si girò un attimo verso la moglie. - No… No, è
solo che… ecco… Il fatto è che… siete così giovani… Io ho paura che siate stati
un po’… precipitosi… -
- Perché non dice chiaramente quello che pensa? -
- Max… - Sua madre gli mise una mano sul braccio per calmarlo. - Caro, penso
che Jeff sia solo preoccupato come può esserlo qualsiasi uomo la cui figlia si
sia appena sposata… Vero, Jeff? -
Vedendolo esitare, intervenne Phillip. - Max è un bravissimo ragazzo, Jeff, e
ama Liz. Io credo che sapranno cavarsela: devi avere fiducia in loro… -
Un’alzata di spalle fu l’eloquente commento dell’uomo, e Diane Evans serrò per
un attimo le labbra. Quell’uomo non aveva alcun diritto di trattare così suo
figlio! Ma purtroppo non poteva farci nulla. I Parker sembravano decisamente
ostili a Max, proprio come aveva detto lui, e svelargli il loro segreto avrebbe
potuto rivelarsi molto pericoloso… Però era un vero peccato, Liz era una così
cara ragazza…
Mentre andava a prendere il dessert squillò il telefono. Era lo sceriffo, che
cercava Max.
Il giovane fece ritorno a tavola contemporaneamente a Liz. - Scusatemi… - Cercò
lo sguardo della ragazza, un’espressione intensa sul viso.
Lei comprese al volo. Era successo qualcosa, qualcosa di grave.
Isabel, consapevole di quello scambio di occhiate, si alzò da tavola chiedendo
scusa e si avvicinò al fratello.
Liz andò accanto alla madre e si chinò a darle un bacio sulla guancia. - Mi
dispiace, mamma, purtroppo si è fatto tardi e noi dobbiamo andare. Ci vediamo
fra un paio di settimane, va bene? -
- Sì, cara, va bene, ma… sicura di dover andare? Sono appena le sette e mezza…
-
Diane Evans cercò di mascherare la propria sorpresa. - Avete ragione, si è
fatto tardi. Phillip, prendi tu le loro valigie? - chiese voltandosi verso il
marito.
- Certo, vado subito - L’uomo guardò perplesso la moglie prima di avviarsi al
piano di sopra, seguito da Isabel, mentre Max andò a prendere il figlioletto.
Quando Phillip Evans tornò con le sacche da viaggio si avvicinò al figlio. -
Prendo le chiavi del fuoristrada e andiamo - disse fissandolo.
- Grazie, papà. - Max si volse ad abbracciare la madre prima di salutare con un
piccolo cenno del capo i genitori di Liz. - Buonanotte - disse semplicemente.
- Il lettino lo porteremo ad Albuquerque tuo padre ed io sabato prossimo -
disse la signora Evans strofinandosi ansiosa un braccio. Sapeva che in realtà
mancavano ancora quasi tre ore alla partenza, e quel cambiamento di programma
la preoccupava non poco.
- Grazie - Il giovane le sorrise con affetto prima di aprire la porta
d’ingresso.
Una volta al sicuro da orecchie indiscrete Liz si girò verso Max, seduto
accanto a lei. - Allora? Perché questa… questa fuga? -
- Prima che tu tornassi ha telefonato Valenti. Vuole che vada da lui, subito.
C’è anche Michael -
- Ti ha accennato qualcosa? - chiese Isabel guardando la strada davanti a sé.
- No. Ha detto solo che doveva parlarmi. Liz, forse tu dovresti proseguire per
l’aeroporto… -
- Non pensarci neppure! Il mio volo è alle undici e cinque: c’è tutto il tempo
necessario! -
Arrivati davanti all’ufficio dello sceriffo Evans parcheggiò e seguì i ragazzi
all’interno. - Tanto non sarei potuto tornare a casa… - disse a mo’ di
spiegazione.
Michael accolse i nuovi arrivati con il volto scuro. Maria, accanto a lui,
continuava a studiare dei fogli sparpagliati sulla scrivania di Valenti.
- Perché ha voluto che venissimo qui? - chiese Max avvicinandosi lentamente
allo sceriffo.
- Perché volevo che vedeste queste… - Accennò col mento alle foto sul tavolo, e
Maria si scostò per fargli posto.
- Cosa sono? -
- Foto satellitari. E notizie d’agenzia -
- Cioè? -
- Il Black Range - Michael tese una fotografia all’amico e ne spiò la reazione.
Non era facile interpretare l’immagine sgranata ma, dopo un poco, fu possibile
individuare i chiaroscuri che indicavano la presenza di immense cavità e masse
di metallo.
- Queste non sono normali foto da satelliti… - mormorò Max passando un foglio
alla sorella.
- No, infatti. Dati i tempi che corrono il governo federale ha sviluppato nuovi
sistemi di mappatura, e come puoi vedere i dettagli sono davvero impressionanti
-
- Già… -
Liz, intenta a cullare Jason, si accostò ad Isabel per dare un’occhiata. - Sì,
è vero! Guarda, si vedono addirittura i profili delle astronavi! -
- Ne sei sicura? - disse la ragazza scrutando la foto con maggiore attenzione.
- E le notizie d’agenzia cosa dicono? - domandò Liz voltandosi verso Michael.
- Indovina… - Michael si strinse nelle spalle. - Quelle possono anche passare
inosservate, ma le foto certamente no -
- Dove le avete trovate? - indagò Max.
- Su un sito governativo. E’ stato un caso, ma quando le ho viste mi è preso un
colpo. Se gli agenti della sezione speciale riusciranno a mettere le mani su
quelle astronavi sarà un vero disastro! -
- Perché? Non c’è nulla che le ricolleghi a voi, no? - disse il signor Evans.
- No, finché non scopriranno come usare le attrezzature. I nostri poteri
sviluppano una notevole quantità di energia, e a bordo di quei velivoli ci sono
sonde regolate su di noi. Se riescono ad attivarne anche solo una non ci sarà
posto sulla Terra in cui nasconderci… -
- Allora dovremo arrivarci prima di chiunque altro e distruggere quelle sonde.
E’ la nostra unica possibilità -
- Max, ti rendi conto di quello che dici? Se ci scoprono mentre ci avviciniamo
sarà come confessare chi siamo! -
- Hai qualche altra idea? -
Michael sbuffò e si passò una mano tra i capelli. - Ok. Ok, come non detto! -
- Bene. Sceriffo, lei dovrà tenerci informati sull’eventuale arrivo dei
federali - Max diede una veloce occhiata all’uomo, poi si chinò sul tavolo per
studiare ancora una volta le foto. - Non sarà facile trovare l’accesso ma
forse… - Si volse in direzione di Maria. - Puoi accompagnarci alla caverna? Ho
bisogno di prendere i graniliti -
- Non ci sono problemi. A meno che non intendiate lasciarmi qui. Allora sì che
sarebbero guai… - La ragazza lo fissò combattiva. - Io voglio venire con voi -
- Anch’io! - Liz si strinse il figlio al petto. - Voglio venire anch’io -
ripeté guardando a sua volta Max, che chinò lo sguardo sul bimbo. - Liz, ti
prego, torna a San Diego. Sabato mattina sarò da te come previsto… -
- No, Max, questa volta vengo con te. Insieme per sempre, lo hai promesso! -
- Liz, Max ha ragione, è meglio se… -
La ragazza interruppe bruscamente Phillip Evans. - No. No, io non ho alcuna
intenzione di passare il resto della mia vita ad aspettare che torni! Io voglio
venire con te! Non puoi lasciarmi sola, mai più! - Si voltò verso l’uomo. - Lei
non può capire… - Gli occhi le si colmarono di lacrime. - Io… non sopporterei
di perderti di nuovo… io ho bisogno di te… -
Con un sospiro Max la prese tra le braccia facendo attenzione a non disturbare
Jason. - Va bene, amore, verrai con noi… - sussurrò baciandole la fronte. - Non
ti lascerò più… - Guardò il padre con un senso di ineluttabilità. - Torna a
casa, adesso, e di’ alla mamma che andrà tutto bene. E soprattutto non una
parola con i Parker… -
- Stai tranquillo. Buona fortuna, ragazzi, e fate attenzione! - Diede una pacca
affettuosa al figlio poi abbracciò Isabel. - Mi raccomando… -
- Sì, papà - La ragazza gli sorrise con affetto e lo guardò andarsene con il
cuore gonfio di pena. - Oh, Max, questa storia non avrà mai fine… - Poi un
sospetto le attraversò la mente. - Pensi che sia questo il motivo per cui hanno
richiamato Morgan? -
- Non ne ho idea, Isabel, ma non credo. Lui non fa parte dei cacciatori… -
- Va bene, adesso muoviamoci! - Michael fissò un’ultima volta le foto per
memorizzare i luoghi e fece un piccolo cenno di saluto a Jim Valenti. - Mi
raccomando, sceriffo, ci copra le spalle… -
- Come sempre, ragazzi. Potete contare su di me… - L’uomo sorrise portandosi
due dita alla fronte in segno di saluto. Tutto sommato era stato più semplice
del previsto mantenere Amy all’oscuro di tutta quella storia, e non se n’era
pentito. Lui l’amava con tutto se stesso e sapeva che l’unico modo per
proteggerla era nasconderle la verità. Del resto Maria era una ragazza molto in
gamba e Michael non avrebbe mai permesso che le succedesse qualcosa. Quindi
perché turbare la serenità della sua Amy?
La jeep correva per le strade silenziose di Roswell. Maria continuava a
lanciare occhiate a Michael temendo il momento in cui sarebbero arrivati alla
caverna, mentre Liz, seduta al fianco di Max alla guida, cullava piano Jason.
- Cosa pensi di fare? - chiese ad un tratto Isabel rivolgendosi al fratello.
Il ragazzo sterzò bruscamente per imboccare una strada sterrata. - Prima di
tutto dobbiamo arrivare alle montagne, poi vedremo com’è la situazione… Dipende
da chi arriva prima… -
- Che vuoi dire? - domandò sottovoce Liz.
- Se l’FBI ha già trovato le astronavi dovremo usare l’energia dei graniliti
per mettere fuori uso tutti i meccanismi elettronici di bordo. In caso
contrario potremo attivare uno schermo per isolare la zona: in questo modo
avremmo quei velivoli sempre a nostra disposizione… -
- Per fare cosa? -
Dopo un breve silenzio Max emise un profondo sospiro. - Liz, ti prego… Non ho
intenzione di tornare su Antar, però quelle astronavi potrebbero esserci utili
in futuro. Nessuno può dire cosa farà il Consiglio di Zoltar, e dobbiamo
sfruttare tutte le possibilità di difesa che abbiamo. Mentali e reali -
Isabel si irrigidì leggermente. - Pensi che potrebbero decidere di conquistare
la Terra? -
Le rispose Michael con un’alzata di spalle. - Perché no? E se lo facessero
dubito che i terrestri abbiano la capacità di fermarli -
- E cosa ti fa credere che potreste farlo voi tre? - borbottò Maria.
Liz si strinse il figlio al petto. - Quattro… - mormorò con un filo di voce che
udì solo Max, il quale si voltò a guardarla. - Liz, mi farei uccidere prima di
coinvolgere nostro figlio e te, lo sai… - disse altrettanto piano.
Lei abbassò la testa. - Lo so, ed è questo che mi spaventa… -
Giunti nei pressi della caverna Max parcheggiò sotto il costone e rimase per
qualche secondo a fissare il buio davanti a sé. - Vado a prendere i graniliti,
voi aspettatemi qui -
- Perché? - obiettò Michael.
- Perché lo dico io -
- Max, piantala di dare ordini! Questa storia riguarda tutti noi, quindi
dobbiamo agire insieme! -
- Michael ha ragione - intervenne Isabel.
Max socchiuse gli occhi. - Devo solamente prendere i graniliti. Non occorre che
ci andiamo tutti quanti -
- Mi dispiace, Max, ma ho qualche dubbio in proposito! - disse Michael.
- Che cosa vorresti insinuare? - Il tono di Max divenne freddo, distante.
- Niente, niente… Ma forse, non so, potresti essere tentato di usare i
trasmettitori per teletrasportarti sul Black Range… - Il ragazzo si chinò
leggermente in avanti. - Anche se non conosci l’area potresti cercare di
utilizzare le coordinate e lasciarci indietro. Così, giusto per tenerci fuori
dei guai… Ma ricordati che solo restando uniti possiamo sperare di cavarcela! -
Max serrò il volante fino a far diventare bianche le nocche, poi annuì
lentamente. - D’accordo, vieni con me - Aprì lo sportello ed uscì, subito
seguito dall’amico.
Rimaste sole Liz si girò per guardare Isabel. - Ti prego, Isabel, fate
attenzione! Io… ho paura che Max sia disposto a correre più rischi del
necessario pur di proteggerci… -
La ragazza sorrise suo malgrado. - Cerca di capirlo, lui ha bisogno di te, di
saperti al sicuro, ed è naturale che cerchi di proteggerti! -
- Ma non a prezzo della sua vita! Anche io ho bisogno di lui quindi, per
favore, vedi di farlo ragionare… -
- Non sarà facile ma… ci proverò, stai tranquilla! -
Maria incrociò sbuffando le braccia sul petto. - Fra lui e Michael avrai il tuo
da fare… -
Isabel si strinse nelle spalle. - Farò del mio meglio. Ma conoscendoli… -
Con un sospiro Liz si abbandonò contro lo schienale. “Mio dio, Max, perché non
ti lasciano in pace?”
Di lì a qualche minuto i due giovani furono di ritorno e Max riavviò subito il
motore.
- Tutto a posto? - chiese timidamente Liz.
- Sì - Max ingranò la retromarcia poi fece un’ampia inversione a U e procedette
con cautela sulla pista dissestata fino a raggiungere la statale. Allora
aumentò la velocità fino al limite consentito dirigendosi verso ovest.
Alle loro spalle, Maria si era appoggiata contro Michael e si stava
appisolando, mentre Isabel guardava assorta fuori del finestrino.
Viaggiarono per tutta la notte alternandosi alla guida e quando finalmente
giunsero in vista del Black Range Michael puntò deciso verso il passo. - Le
astronavi sono nascoste da questa parte. Tenete gli occhi bene aperti, io devo
controllare la strada -
La serie infinita di tornanti costrinse il giovane a mantenere una velocità
piuttosto bassa ma tutto sommato era preferibile così: sarebbe stato più facile
verificare eventuali presenze indesiderate.
Superato il passo si ritrovarono davanti una piccola vallata e Michael
abbandonò la strada per costeggiarne il lato orientale.
- Sicuro che sia qui? - domandò perplessa Maria. Il luogo era troppo tranquillo
e allo scoperto per i suoi gusti.
- Sì, ma l’accesso è dall’altro lato. Arrivando da qui abbiamo la possibilità
di tenerci fuori vista da chiunque ci abbia preceduti - Senza più parlare
rallentò ulteriormente ed infine trovò un buon posto per nascondere il
fuoristrada, tra la parete rocciosa ed un rialzo del terreno abbastanza elevato
da non renderlo visibile a meno che non ci si passasse davanti. - Ok, siamo
arrivati! -
Scesero tutti dalla vettura. Faceva molto freddo, si trovavano ad una notevole
altitudine, ma nessuno sembrò farci caso. Imboccarono un sentiero che si
inerpicava fino al crinale e lo percorsero badando a non fare rumore.
Arrivati in cima Max si sporse leggermente e studiò la distesa di rocce e
avvallamenti che si stendeva sotto di lui. - Si direbbe che non ci sia nessuno…
Da che parte dovrebbe essere l’accesso? -
Michael gli si avvicinò e fece un cenno col mento. - Laggiù, tra quelle rocce.
Dobbiamo scendere fino là, ma preferirei che Maria e Liz ci aspettassero qui… -
- Sì, anch’io. Sembra tutto a posto ma non mi fido… Ok, vediamo cosa possiamo
fare… -
Si guardarono un attimo negli occhi, e con un sorrisetto malizioso Michael
tornò indietro seguito dal compagno.
Non ci fu bisogno di parole. Le espressioni decise di Liz e Maria furono fin
troppo eloquenti, e tutti e cinque i ragazzi avanzarono cautamente verso il
punto indicato da Michael.
Davanti alla parete di roccia il giovane esitò un attimo prima di posare la
mano sulla pietra, e l’apparire di un’impronta argentata fu il segnale che
avevano trovato quello che cercavano.
Il passaggio nella caverna era stretto e buio ma i tre alieni sembravano sapere
esattamente dove andare ed in breve raggiunsero l’enorme hangar naturale in cui
erano state celate le due astronavi.
- Sono di Antar… - mormorò Isabel.
- Sì, certo. Sono quelle usate dagli agenti di Nasedo - Michael guardò di
sfuggita Max ricordando la caccia di alcune settimane prima, poi si avviò verso
il portello d’accesso.
L’interno era totalmente buio, non c’erano neppure le luci d’emergenza, ma un
debole ticchettìo proveniente dalla cabina di pilotaggio rivelò lo stato di
stand by dell’apparecchio.
Senza esitare Max fece strada ai suoi amici ed in breve raggiunse il ponte di
comando. Alcuni monitor erano in effetti accesi ed i grafici segnavano
chiaramente la loro presenza. - Sono ancora puntati su di noi -
- Sì, ma nessun federale, per quanto in gamba, potrà mai decifrare il segnale.
- Michael si sedette in una delle due poltroncine e studiò i comandi in
funzione. - Guarda, Max! - disse all’improvviso indicando un piccolo riquadro
al centro.
- Che cos’è? - chiese Maria alzandosi in punta di piedi per vedere meglio.
- E’ il radar di bordo. Sta registrando l’avvicinamento di un’altra astronave -
Max controllò rapidamente tutti i monitor attivi e si accomodò accanto
all’amico. - Ok, spegniamo tutto e filiamocela prima che ci sorprendano qui
dentro! - Le sue dita presero a sfiorare veloci il quadro comandi.
- Io vado nell’altra astronave - Isabel strinse la spalla del fratello in segno
di saluto e corse via.
- Liz, Maria, uscite anche voi. Ce la fate a ritrovare la strada? -
- Certo! - Maria diede una spinta leggera a Liz, che annuì e precedette l’amica
fuori della cabina di pilotaggio.
Una volta fuori della caverna Liz si guardò intorno. - Devo allattare Jason. Ti
va di tornare alla macchina? -
- Sì, certo… - Maria le si mise a fianco e scese con lei lungo il sentiero.
- Come vanno le cose con Michael? -
La ragazza sorrise con una buffa smorfia. - Bene. Ogni tanto litighiamo, tutto
sommato abbiamo tutti e due un bel caratterino, però mi piace vivere con lui. E
credo che a lui piaccia vivere con me. Solo che… -
- …che? - la sollecitò Liz.
- Che lavorare in quell’ospedale non è come mi aspettavo. Voglio dire, io ho
solo frequentato un corso serale mentre lì sono tutti medici laureati. In
pratica faccio la segretaria, trascrivo le ricette, prendo gli appuntamenti…
Insomma è un vero strazio! -
- E allora cosa pensi di fare? -
- Non lo so. Oddio, ad essere sinceri stavo pensando di… - Si fermò e si voltò
per incontrare il suo sguardo. - Cosa ne diresti se mollassi tutto e mi
dedicassi esclusivamente alla musica? -
- Oh, Maria, fallo, se è questo che davvero desideri! E’ così importante fare
qualcosa che dia veramente soddisfazione! Ne hai già parlato con Michael? -
- No, non ancora, ma penso che lo abbia capito. O perlomeno ha capito che non
sono troppo soddisfatta del lavoro -
- Beh, allora datti da fare! Ti prometto che comprerò tutti i dischi che
inciderai! -
A quelle parole Maria scoppiò a ridere e riprese a camminare a passo svelto. -
Grazie per l’appoggio, Liz, sei una vera amica! -
Poco dopo sedevano all’interno della jeep e Maria si incantò ad osservare Jason
che succhiava avidamente. - Cresce che è una bellezza! -
- Sì, è vero. E voi due cosa aspettate? -
- Scherzi?!? Per adesso non ci pensiamo proprio! Forse fra qualche anno,
chissà… -
Dopo aver disinserito ogni dispositivo di entrambe le astronavi Max, Michael ed
Isabel si avviarono lentamente verso l’imbocco del tunnel che li avrebbe
portati all’esterno.
- Che cosa avete fatto a Roswell? - chiese ad un tratto Isabel guardando
alternativamente i due giovani.
- Abbiamo spento tutto e… - Max diede una rapida occhiata ai due velivoli per
nascondere un certo imbarazzo.
- …e attivato il meccanismo di autodistruzione nel caso qualcuno riuscisse a
superare lo schermo di energia. - concluse per lui Michael.
- Da soli? Perché non mi avete detto niente? - protestò la ragazza.
- Senti, Isabel, eravamo lì e tanto valeva farlo subito! -
- Sì, capisco, però dovete smetterla di agire per conto vostro! Noi siamo una
squadra, e vorrei che non lo dimenticaste! -
- Ok, ok… - Michael si girò a guardare a sua volta le astronavi. - E adesso
cosa facciamo? -
- O le distruggiamo o le nascondiamo con uno schermo di energia. Non ci sono
altre alternative… -
Max estrasse dalla tasca interna del giaccone un granilite e Michael prese il
secondo dalla tasca dei suoi pantaloni.
Davanti a quella scena Isabel sorrise fra sé, comprendendo perfettamente
cos’era successo nella caverna nei pressi di Roswell, poi si mise a lato del
fratello.
I tre ragazzi si concentrarono e ben presto un guscio luminoso di colore verde
sembrò racchiudere tutto lo spazio intorno a loro.
- Per ora proviamo con questo. Forse sarà sufficiente… - mormorò Max.
Michael fissò inespressivo l’emanazione di energia. - Immagino di sì. In ogni
caso il sistema di autodistruzione può essere attivato anche con un comando
mentale -
- I codici? -
Il giovane chiuse un attimo gli occhi e i due fratelli percepirono il suo
messaggio.
- Bene, ora possiamo andare! - Max si addentrò per primo nel corridoio scavato
nella roccia ma non appena fu all’aperto s’immobilizzò di colpo.
Intanto Liz, dopo aver pulito il figlioletto, era riuscita a convincere l’amica
a tornare indietro. Giunte sul crinale si bloccarono inorridite. Cinque uomini
armati stavano avanzando verso Isabel e gli altri, mentre due sopraggiungevano
alle loro spalle.
Le due ragazze non ebbero il tempo di decidere cosa fare perché una voce
imperiosa risuonò improvvisamente dietro di loro. - Chi diavolo siete? -
Liz si volse di scatto spaventata e spalancò gli occhi. Davanti a lei c’erano
tre uomini vestiti di scuro con la pistola in pugno. - Maria… -
La ragazza fece un passo avanti cercando di nascondere il tremito che la
scuoteva. - Chi siete voi, piuttosto! -
Quello che sembrava essere il capo fece un piccolo gesto con la mano sinistra
senza abbassare l’arma che teneva puntata su di loro. - Su, venite qui… -
Liz avrebbe voluto provare a scappare ma un uomo l’afferrò bruscamente per un
braccio rischiando di far cadere Jason. Con un piccolo grido la ragazza quasi
gli finì addosso e Maria si precipitò in suo aiuto.
- Ferma! -
Vedendo l’arma a pochi centimetri da lei Maria trattenne il respiro e si
arrestò ad un passo dall’amica.
- Allora, chi siete, e cosa state facendo qui? -
- Noi… noi siamo venute… a fare un pic-nic… sì, un pic-nic! -
- Quassù?!? - L’evidente scetticismo dell’uomo fece saltare la mosca al naso
alla ragazza, che riprese coraggio e fece un ampio cenno con la mano. - Sì, è
un posto bellissimo! -
- Adesso basta con le sciocchezze! Avanti, camminate! -
Riluttanti, le due amiche si avviarono voltandosi di tanto in tanto a guardare
quello che nel frattempo stava succedendo sotto di loro.
Quando ebbero raggiunto la vallata l’uomo al comando del piccolo gruppo
sollecitò le ragazze ad avvicinarsi agli altri agenti.
Nel notare l’improvviso cambio di espressione di Max l’agente davanti a lui si
volse e vide i nuovi arrivati. - Ah, abbiamo degli ospiti… Liz Parker, se non
ricordo male… E che bel bambino, è tuo?… - Tornò a guardare il giovane mentre,
ad un suo impercettibile segno, Liz veniva sospinta verso di loro. - Non ti
conviene ribellarti, ragazzo. Potrebbe andarci di mezzo lei… -
Max serrò i pugni e arretrò di un passo mentre Isabel e Michael, preoccupati,
gli si affiancarono in silenzio.
Un altro agente si avvicinò da dietro e afferrò Max per una spalla
costringendolo ad inginocchiarsi poi gli puntò la pistola alla nuca.
Michael tentò di avvicinarsi ma l’uomo che teneva sotto tiro Max premette
maggiormente l’arma contro la sua testa. - Fermati o gli sparo! -
Liz, pallidissima per lo shock, emise un gemito sommesso. - Vi prego,
lasciatelo andare… - supplicò.
L’uomo si volse un attimo per guardarla poi tornò a studiare Max. - Sono il
capitano Gabriel Ross. Ti ricordi di me? -
Max lo fissò impassibile. Ricordava perfettamente il suo aguzzino, le gambe
spezzate, il pestaggio. A quanto pareva l’FBI aveva trovato un degno sostituto
di Pierce…
- Non è stato facile recuperare tutto il materiale dalle macerie in cui
riducesti il nostro laboratorio, ma io so essere molto paziente… Dopo che i
satelliti hanno individuato qualcosa di molto insolito qui, nel Black Range,
abbiamo deciso di diffondere le foto sperando che prima o poi le avresti
trovate. Sapevo che saresti venuto a controllare, e tutto quello che ho dovuto
fare è stato aspettarti… A Roswell non era più possibile agire, ma qui… E hai
portato perfino i tuoi compagni! Adesso ho a mia disposizione tre alieni e un
ibrido. Stavolta tutti i segreti saranno svelati… - Fece un cenno col mento ed
il ragazzo venne tirato bruscamente in piedi mentre uno degli uomini toglieva
Jason dalle braccia di Liz.
- No! -
Udendo il suo grido disperato Max cercò di slanciarsi in avanti ma fu fermato
dalla voce dura di Ross. - Fai un solo gesto e la ragazza muore! E lo stesso
vale per voi due: fate quello che vi dico o sarete responsabili della morte del
vostro amico! -
Max, tremando per la rabbia e l’angoscia, fissò Liz negli occhi. Sentiva Jason
piangere convulsamente e avrebbe voluto colpire il federale ma sapeva di non
poter fare nulla. Perlomeno non in quel momento. - Liz… Liz!… -
L’uomo che aveva in custodia la ragazza si mosse trascinandosela dietro e lei
cercò inutilmente di liberarsi. - Max! -
“Mai più separati, Liz, mai più… Ma io non posso permettere che ti facciano del
male, o che ne facciano a Jason… Almeno voi dovete salvarvi… Ti amo…”
Il pensiero di Max si proiettò forte e deciso nella mente in subbuglio di Liz,
che riuscì a voltarsi per vedere il giovane immobile accanto a Michael. - Max…
- sussurrò con il viso rigato di lacrime.
Lui le sorrise con dolcezza poi fece un piccolo movimento con la testa, il
segno che Michael aspettava. Insieme, i due ragazzi attinsero all’energia dei
graniliti e in un istante Jason, Liz e Maria scomparvero.
- Maledetto, ti avevo avvertito! - Infuriato, Ross estrasse la pistola dalla
fondina sotto la giacca e sparò colpendo Max in pieno petto.
- Max! - L’urlo di Isabel riecheggiò a lungo mentre d’istinto tendeva le
braccia per sostenerlo.
Il giovane si accasciò contro la sorella, un rivolo di sangue dalla bocca e gli
occhi spalancati a fissare il cielo limpido.
- Max… - Isabel lo adagiò delicatamente sul terreno tenendogli la testa
sollevata con una mano. - Ti prego, fai qualcosa… - disse con voce spezzata
premendo il palmo destro sulla ferita. - Ti prego… -
Davanti a lei il federale fece una smorfia. - Andiamo, lascialo perdere! Su,
forza, voglio vedere quello che hanno segnalato i satelliti! -
Tremando per la rabbia la ragazza si raddrizzò lentamente. Sentiva il sangue
defluire copioso tra le sue dita ed il battito irregolare del cuore di Max.
Prima ancora che Ross si chinasse per afferrare Isabel e costringerla ad
alzarsi il giovane s’inarcò aprendo la bocca in cerca d’aria. Con una
subitaneità sconvolgente tutto il sangue di cui era intrisa la maglietta che
indossava si dissolse lasciando in evidenza il foro del proiettile, e
sospirando Max si rimise in piedi. Si passò una mano sul tessuto strappato, che
si ricompose all’istante, poi fece mezzo giro su se stesso per guardare la
sorella e Michael. Isabel gli sorrise radiosa, consapevole della paura che ora
serpeggiava tra gli uomini che li circondavano.
- Tutto bene? - domandò piano Michael, ottenendo in risposta un cenno
affermativo del capo.
Il capitano dell’FBI alzò deciso il braccio tornando a puntare l’arma contro
Max. - Conoscevamo già le tue doti di autorigenerazione e quindi tutta questa
messa in scena non è servita proprio a niente! Su, avanti, tornate indietro e
riaprite il passaggio: voglio vedere quelle astronavi! -
Le labbra stirate in un sorrisetto sarcastico Max volse le spalle all’uomo e si
diresse di nuovo verso la parete rocciosa, seguito da vicino da Isabel e
dall’amico. Con noncuranza si appoggiò di schiena contro la roccia, le mani
infilate in tasca. - E adesso? Come pensi di convincermi a darti quello che
vuoi? -
- Potrei uccidere i tuoi amici. O torturarli così lentamente da farli urlare
per avere pietà... Dipende solo da te... -
- E io dovrei mettere nelle tue mani qualcosa di così prezioso? Qualcosa che
potrebbe sovvertire gli equilibri di questo pianeta? Non lo farò mai! - Si
raddrizzò e fece un passo verso di lui. - Il modo in cui continuate a
perseguitarci è la conferma che non siete pronti per incontrare altre razze, ed
è meglio per tutti se rimarrete confinati qui! -
- Chi diamine credi di essere? Anzi, chi sei esattamente? -
Max lo guardò con velato disprezzo. - Non occorre che tu lo sappia. Ma non
possiamo consegnarvi quegli apparecchi, quindi è inutile che tu insista! So che
ci studiate da cinquant’anni, e anche se Pierce credeva di sapere tutto di noi
la verità è che ci sono ancora molte cose che ignorate... Abbiamo protetto
l’intera caverna con un campo di forza che non riuscirete a distruggere neppure
usando una bomba nucleare... -
Gabriel Ross reclinò la testa per studiare l’espressione impenetrabile del
ragazzo. - Ci sono pur sempre i tuoi amici umani, la tua compagna, tuo
figlio... Non potrai difenderli sempre... e non ci sono posti abbastanza remoti
dove possiate nascondervi... Prima o poi dovrai cedere! -
Il giovane serrò i pugni fino ad avere le nocche sbiancate. - Tu prova
solamente ad avvicinarti a loro e ti assicuro che non avrò alcuna pietà! Finora
ci siamo solo difesi ma se ci costringerete a farlo passeremo all’attacco! -
- Usando l’energia dei trasmettitori? -
Il tono sarcastico dell’agente fece sorridere Michael. - Non solo quella...
Uomo, tu non hai la più pallida idea di quello con cui hai a che fare... -
- Io vedo solo tre piccoli alieni appena usciti dall’adolescenza. Dovrei averne
paura? Oh, sì, certo, tu, Max, hai distrutto il vecchio ospedale militare di
Roswell, ma qui non stiamo parlando di un luogo: stiamo parlando dell’intera
struttura di sicurezza degli Stati Uniti d’America! Puoi anche ucciderci tutti,
adesso, ma alla fine dovrai arrenderti! L’hai studiata la storia, no? Hai visto
che fine hanno fatto i pellerossa!... -
- Già, bell’esempio di civiltà... - Isabel si avvicinò al fratello e alzò il
mento con fare altero. - Questa è una ragione in più per fermarvi! -
- Se io adesso ordinassi ai miei uomini di spararvi tutti i colpi che hanno a
disposizione non resterebbe di voi di che riempire una bara -
- Provaci, Ross... provaci... -
Prima ancora che l’uomo potesse fare un cenno agli agenti dietro di lui Max
tese il braccio destro e dalla mano scaturì un muro di energia. - Te lo ripeto
ancora una volta: lasciateci in pace! -
All’improvviso una figura comparve su un rialzo del terreno a pochi metri da
loro.
Michael la scorse per primo e la indicò ai suoi amici con un cenno del capo. -
Abbiamo visite... -
A quelle parole il federale si volse e socchiuse gli occhi. - Al diavolo!
Avanti, aprite il passaggio, svelti! - disse tornando a guardare i ragazzi, la
pistola sempre puntata su di loro.
- Mi dispiace, ma non abbiamo alcuna intenzione di scatenare una guerra
interstellare: ci basta quella di casa nostra... - e senza aggiungere altro Max
s’infilò la mano sinistra in tasca per toccare il granilite, facendo scomparire
se stesso, Isabel e Michael.
Furibondo, Ross diede immediato ordine ai suoi uomini di seguirlo. Voleva
raggiungere la vettura con cui i fratelli Evans e Guerin erano arrivati fin
laggiù perché era certo che lì avrebbe trovato le sue prede, e allo stesso
tempo voleva mettere le mani addosso all’intruso. Fece un gesto col braccio e
subito tre agenti si distaccarono dal gruppo per dirigersi verso l’altura sulla
cui sommità ancora sostava l’inopportuno visitatore, mentre lui e gli altri
correvano verso le auto lasciate in un posto sicuro a qualche centinaio di
metri dalla vallata.
Vedendo gli umani avvicinarsi Klahr Doryann sorrise tra sé poi controllò il
display che portava al polso, su cui brillava una piccola traccia luminosa.
- FBI, mani in alto! - gridò l’agente al comando del piccolo gruppo.
Senza mostrare alcuna emozione l’alieno estrasse dalla tasca della giacca che
indossava un’arma dalla foggia insolita e sparò disintegrando letteralmente i
tre federali. Con calma si avviò allora verso l’automobile rimasta e salì a
bordo. Pose una mano sul cruscotto causando la messa in moto del veicolo
dopodiché seguì le tracce dei pneumatici fino alla strada oltre la valle per
poi dirigersi verso est.
Con un gemito Maria si avvicinò barcollando al divano a pochi passi da lei e vi
si lasciò cadere sopra. - Oddio, Liz, dove diavolo siamo? - chiese portandosi
una mano alla testa, ancora in preda ad una leggera vertigine.
Guardandosi attentamente intorno Liz corrugò la fronte perplessa. - Sembrerebbe
la casa di Morgan... Ma non capisco perché Max ci abbia mandate qui anziché a
San Diego... -
- Forse ha pensato che qui fossimo più al sicuro... Non ci vuole molto a
scoprire che frequenti l’università in California, mentre nessuno può
ricollegarti a questo appartamento... -
- Sì, hai ragione... - Stringendo dolcemente Jason per calmarlo fece un rapido
giro delle stanze poi tornò nel saloncino. - Lui non c’è... -
- Meglio così. Non credo che sarebbe stato contento di vederci piombare in
questo modo in casa sua... - Maria tese le braccia per prendere Jason. - Dallo
a me e siediti, hai l’aria stravolta! -
- Oh, Maria, cosa avranno fatto a Max e agli altri? - chiese la ragazza cedendo
il figlio all’amica e sedendosi accanto a lei.
- Niente, stai tranquilla! Max ormai ha il pieno controllo dei suoi poteri
quindi non devi preoccuparti... In fin dei conti mandarci via è stata la cosa
migliore: ora quel capitano non può più ricattarlo, e lui è libero di agire! -
- Sì, ma gli tenevano una pistola puntata alla testa!... -
- Liz, credimi, sono alieni: sanno quello che fanno -
Con una smorfia Liz si lasciò andare contro il morbido schienale. - Vorrei
avere la tua stessa fiducia -
In quel momento qualcuno suonò il campanello e le due ragazze si fissarono
smarrite negli occhi. - E chi può essere? - sussurrò Maria.
- Non ne ho idea... Cosa facciamo? - rispose altrettanto piano Liz.
- Senti, io vado di là in camera da letto con Jason, e tu apri. Se hai bisogno
di aiuto grida, mi raccomando! -
- Ah, puoi contarci!... - Liz si chinò sul bambino che, finalmente placato,
ciucciava assorto un lembo del bavaglino. - Jason, se io penso a nonno Phillip
tu vai da lui, va bene? Hai capito? Nonno Phillip! -
- Liz, ma cosa gli stai dicendo? E’ troppo piccolo, non può capirti... -
- Ti sbagli, Maria, lui mi capisce perfettamente. Potranno avere Max e me, ma
non Jason. Lui mai!... -
- E come pensi che possa andare dagli Evans? In aereo? - le chiese scettica
Maria.
Liz la guardò con un sorriso triste poi si raddrizzò e andò ad aprire, mentre
l’amica si dileguava nell’altra stanza.
- Buongiorno, sto cercando il signor Coltrane - L’uomo era alto e magro,
indossava un soprabito blu e sorrideva con aria accattivante.
Qualcosa, tuttavia, mise in allarme Liz che abbozzò un sorriso di risposta e
scosse leggermente la testa. - Ah, mi dispiace ma non c’è... - Cercò di
richiudere la porta, tuttavia lui fu più svelto e tese la mano destra
premendola deciso contro l’uscio. - Posso entrare? Sa, ho fatto un viaggio
piuttosto lungo per arrivare fin qui e ho assoluto bisogno di parlare con
Morgan -
- Morgan? -
Il tono perplesso della ragazza fece allargare il sorriso dell’uomo. - Sì,
Morgan Coltrane, vive in questa casa. E’ mio fratello -
- Veramente... non... - Liz non sapeva se Morgan avesse davvero un fratello, ma
ricordava perfettamente che Isabel una volta aveva detto che quella casa era
sicura perché nessuno, neppure l’FBI, ne conosceva l’esistenza. E lei non si
fidava di quell’uomo.
- Mi scusi, non mi sono presentato: sono David Coltrane. E lei è...? -
Liz non cadde nella trappola. - Mi dispiace - ripeté. - Lei deve aver sbagliato
indirizzo. Qui non abita nessun Coltrane. Buongiorno... - Tentò di nuovo di
chiudere la porta e s’irrigidì nel sentirlo opporre resistenza. - La prego, ho
molte cose da fare - disse seccamente.
L’uomo non sorrideva più. - Senta, signorina, io so che questa è la casa di mio
fratello, quindi la prego di farmi entrare. E voglio sapere chi è lei! Che io
sappia, Morgan non convive con nessuno! - Spinse con maggior forza e riuscì ad
entrare. - Allora, chi è lei? -
- Ma come si permette? Questa... questa è casa mia! -
- Non dica sciocchezze... - David Coltrane si guardò attentamente intorno, come
in cerca di indizi che potessero confermare la presenza di Morgan. - Dov’è mio
fratello? -
- Le ho detto che... -
- Per favore! - Infilò una mano nella tasca interna del cappotto per estrarre
un piccolo astuccio di pelle nera che mise davanti agli occhi sgranati di Liz.
- Sono dell’FBI, come Morgan, e voglio sapere dove si trova -
La ragazza trattenne a stento un gemito e, sforzandosi di apparire disinvolta,
gli fece cenno di accomodarsi sul divano. - Ecco... vede, io e Morgan... in
effetti sono soltanto una sua amica e lui mi ha prestato questa casa per
qualche giorno... Non mi ha mai parlato di lei, per questo non le ho creduto,
ma... -
- ... ma il mio distintivo l’ha rassicurata, giusto? - concluse per lei l’uomo,
tornando a sorridere.
- Sì, giusto - Liz annuì sorridendo a sua volta. “Accidenti, e ora cosa
faccio?”
- Senta, sono appena arrivato da Salt Lake e sono molto stanco, ecco perché
sono stato così brusco con lei, e le chiedo scusa... Pensavo di restare qui da
Morgan, ma penso sia meglio che vada in albergo. Così la prossima volta mi
ricorderò di telefonare prima di presentarmi all’improvviso!... - Si alzò in
piedi, sovrastandola di un bel po’, e tese la mano verso di lei. - Mi spiace
averla spaventata, in genere sono un tipo molto socievole... Spero che avremo
modo di conoscerci meglio... -
- Sì, io... sì, certo... - Liz ricambiò la stretta poi lo accompagnò alla porta
d’ingresso.
- Lo sa che non mi ha detto come si chiama? - disse David bloccandosi sulla
soglia.
- Ah... Liz... mi chiamo Liz - gli sorrise ed aprì decisa l’uscio.
Scuotendo divertito la testa l’uomo se ne andò e Liz si affrettò a richiudere.
- Oddio... Maria! -
L’amica la raggiunse immediatamente stringendosi al petto Jason. - Questa casa
ha le pareti così spesse che non sono riuscita a capire niente! Allora, chi
era? -
- Il fratello di Morgan. David. Lavora anche lui per l’FBI! - Liz era pallida
per l’angoscia. Non sapeva se credere o meno a tutto quello che l’uomo le aveva
detto e avrebbe voluto poter parlare subito con Morgan, ma solo Isabel aveva il
suo numero di cellulare.
- Non sapevo che Morgan avesse un fratello. Pensi che abbia detto la verità? -
Liz si avvicinò alla finestra che dava sulla strada e scostò leggermente la
tenda per seguire l’allontanarsi dell’uomo. - Non so che dirti... non mi fido
di lui... - Lasciò andare il pesante pizzo bianco e si girò verso la ragazza. -
Non eravamo così, quando avevamo quindici anni... Allora credevamo a tutto
quello che ci dicevano... Che cosa è successo, Maria? Come abbiamo potuto
cambiare in questo modo? -
Maria si strinse nelle spalle e si sedette sul divano. - Ci siamo innamorate di
due alieni mettendo in pericolo la loro e la nostra vita. E da allora siamo
state costrette a crescere in fretta per sopravvivere... - Emise un profondo
sospiro. - Che cosa facciamo, adesso? Restiamo qui ad aspettare che qualcuno si
faccia vivo? -
- No, finirei con l’impazzire! Io... Che ne dici di tornare a Roswell? Forse
anche loro sono andati lì... -
- Forse, ma non credi che sarebbe il primo posto dove l’FBI andrebbe a
cercarli? -
- Maria, laggiù, nel deserto, c’è la loro astronave. Se riuscissero a
raggiungerla potrebbero mettersi in salvo tornando su Antar... -
- Lasciandoci qui?!? Liz, tu sei completamente pazza! Oddio, forse Michael lo
farebbe pure, ma Max non ti abbandonerebbe mai, nemmeno se ne andasse della sua
vita! - Vedendo l’espressione depressa dell’amica le passò il bimbo. - Tieni,
credo che abbia bisogno di un bel bagnetto - Dopodiché, senza lasciarle il
tempo di ribattere, si alzò per andare in cerca dell’occorrente per lavare il
piccolo. Quando tutto fu pronto si girò e scoprì che Liz era dietro di lei. Le
sorrise dolcemente indicando la grande bacinella colma d’acqua nel piatto della
doccia. - Credo che l’acqua sia calda al punto giusto... Adesso tu lavi Jason
mentre io vado a cercare qualcosa da mettergli al posto del pannolino,
dopodiché riprenderemo il discorso, che ne dici? -
La ragazza annuì. - Sì, ok. Maria... grazie... - Senza aggiungere altro si
inginocchiò davanti alla bacinella, depose il figlio sul morbido asciugamano
appoggiato in terra e lo spogliò mentre lui scalciava allegramente
ciangottando.
Maria scosse piano la testa vedendo Liz assorta nel suo compito. Il suo legame
con Max era sempre stato molto profondo, troppo, forse, e a volte le aveva
procurato più dolore che gioia, come in quel momento. L’anno prima era riuscita
a trovare la forza per andare avanti senza di lui, ma dubitava che ci sarebbe
riuscita di nuovo... Dio, sperava davvero che non gli fosse successo niente di
brutto, per il suo bene e per quello di Liz. Perché lei avrebbe avuto bisogno
di Liz nel caso Michael... No, non voleva neppure pensarci! Girò di scatto su
se stessa e tornò in camera da letto alla ricerca di qualcosa di adatto per
fasciare il bambino.
- Guido io! - esclamò Michael posando con fare deciso la mano sulla maniglia
dello sportello. - Tu siediti dietro e cerca di riposare, sei pallido da far
paura... -
- Ha ragione lui, vieni! - Isabel aprì la portiera posteriore e sospinse il
fratello all’interno della jeep prima di salire a sua volta. - Avanti, Michael,
andiamocene! - e mentre la vettura scattava in avanti passò faticosamente sul
sedile del passeggero. - Scendiamo da queste montagne e torniamo a Roswell: è
l’unico posto dove possiamo rifugiarci! -
- No, Isabel... - Max si raddrizzò faticosamente e cercò lo sguardo della
sorella nello specchietto retrovisore. - Dobbiamo andare ad Albuquerque, è lì
che ho mandato Liz e Maria... -
- E poi lì che cosa faremmo? - Isabel tese un braccio per sostenersi meglio
mentre la jeep sobbalzava violentemente sul sentiero dissestato. - Se invece
raggiungessimo la nostra astronave potremmo allontanarci dal New Mexico e
aspettare che le acque si calmino di nuovo! -
- Io non ho alcuna intenzione di lasciare Maria - s’intromise con tono freddo
Michael.
- Guarda che neppure io voglio abbandonare Morgan, e mio padre e mia madre, ma
finché non avremo escogitato un piano per liberarci una volta per tutte
dell’FBI non c’è nessun posto dove saremo al sicuro! Lo hai sentito anche tu,
Ross, no? -
- Infatti - rispose sarcastico il ragazzo. - E proprio per questo non me la
darò a gambe lasciando Maria in un mare di guai! E non credo che Max accetterà
di separarsi da Liz e Jason... -
Isabel si voltò esasperata verso l’amico. - Ti ho detto che non sarà per
sempre! Michael, anch’io odio l’idea di partire, ma non so cos’altro potremmo
fare! -
- Per favore, smettetela... - Max parlò sottovoce mentre si massaggiava una
tempia con fare assente.
Sorpresa, la ragazza infilò una mano sotto la cintura di sicurezza per
allentarla e cercò di girarsi per controllare il fratello. - Max, stai bene? -
chiese ansiosa.
- Sì... Io... - S’interruppe bruscamente per guardare dal vetro posteriore. -
Ci stanno seguendo. Michael, cerca di andare più veloce: dobbiamo arrivare alla
strada statale il prima possibile... -
- Chi è che ci segue? - domandò Michael perplesso.
- Non lo so. Ma si sta avvicinando. Isabel, puoi entrare nella sua mente? -
La ragazza lo fissò sgranando gli occhi. - Senza averlo mai visto?!? Come
faccio a concentrarmi su di lui? No, non credo di poterlo fare... -
- Isabel, ti prego, provaci - Ad un tratto indicò la strada davanti a loro. -
Michael, lì il sentiero si allarga un po’: fermati! -
- Come? - Michael aprì e richiuse la bocca un paio di volte, troppo sorpreso
per protestare, poi fece come richiesto e parcheggiò sul ciglio del dirupo. -
Spero che tu sappia cosa stai facendo... - borbottò.
Non appena il ragazzo ebbe tirato il freno a mano Max spalancò lo sportello e
scese, immediatamente seguito da Isabel. Con una smorfia Michael li seguì per
fermarsi a pochi passi da loro.
Pochi minuti dopo una vettura apparve da dietro la curva, accompagnata da una
nuvola di polvere, e Isabel fissò in silenzio il fratello domandandosi come
avesse fatto ad accorgersi di essere seguito. Il sentiero che stavano
percorrendo era molto tortuoso e il loro stesso passaggio annullava la già
scarsa visibilità. Possibile che...?
In quel momento l’uomo alla guida scese dall’auto e avanzò fino a trovarsi
davanti ai tre ragazzi. Era piuttosto alto e magro, il viso dai lineamenti duri
e gli occhi neri che tradivano una forte personalità. I folti capelli castano
chiaro ricadevano in ciocche scomposte sulla fronte alta, in aperto contrasto
con il perfetto ordine dell’abito grigio che indossava. La sua mano destra
stringeva un oggetto metallico che aveva tutta l’aria di essere un’arma. - Voi
siete i reali - disse. Un’affermazione, più che una domanda. - Finalmente vi ho
trovati - Alzò la sinistra, e lo sguardo di Michael cadde sul minuscolo
bagliore dorato emesso dal bracciale che portava al polso, serrò per un attimo
le dita a pugno poi riaprì la mano col palmo verso la testa di Max.
Il giovane sussultò impercettibilmente mentre un piccolo lampo azzurro
sprigionatosi dal nulla gli sfiorava la fronte.
Isabel lanciò un grido di orrore quando Michael sollevò di scatto il braccio
scagliando un lampo di energia contro l’uomo. - Perché? - mormorò nel vedere il
corpo ricadere inerte ad una trentina di metri da loro.
- Ha fatto qualcosa a Max - Il giovane serrò per un attimo le mascelle prima di
voltarsi verso l’amico, rimasto immobile come se fosse divenuto di pietra. -
Entra nella sua mente e cerca di scoprire cosa gli è successo! -
- O mio dio... - Sconvolta, Isabel si pose davanti al fratello e deglutì
penosamente. “Max...” Cominciò a sudare nel tentativo di penetrare le sue
barriere, poi emise un gemito di sollievo. “Max?”
Nella sua prigione mentale il ragazzo stava immobile al centro di un’enorme
sala le cui pareti si perdevano nel buio. Sul suo petto brillava il sigillo
reale e davanti stavano Volnis, il presidente di Zoltar, e Hornem, il suo
braccio destro. Il loro non era un atteggiamento sottomesso, tutt’altro, e
l’espressione con cui fissavano Max era quasi famelica.
Isabel apparve nello spazio tra i due e Max e corse subito davanti al fratello.
- Max, cosa c’è? Perché resti qui? Che cosa ti ha fatto quell’uomo? -
Max la fissò con occhi colmi di sofferenza. - Vilandra, la nostra gente è in
pericolo... ha bisogno di me, di tutti noi... dobbiamo tornare su Antar... -
- Mai più, Max! No! - La ragazza scosse decisa la testa poi gli pose una mano
sul volto. - Max, mi hai sentito? -
- Io sono... Zan... - C’era rassegnazione, nella sua voce, e paura, e dolore.
Un dolore senza fine.
- Tu sei Max! E non è vero che Antar ha bisogno di te! Tu hai liberato il
pianeta dalla tirannia di Tess e Nasedo, e ora lo statuto federale è valido a
tutti gli effetti, me lo hai detto proprio tu! Questo è un trucco di Zoltar per
farti tornare ed ucciderti! -
- Volnis ha fatto eliminare i primi consiglieri e Antar è insorto. La guerra
sta distruggendo di nuovo il nostro mondo... -
- Chi te lo ha detto? L’uomo che ci inseguiva? Chi è, Max? -
- Lui è... il messaggero del Consiglio di Antar... -
- Che cosa?!? Oh, Max!... - Isabel indietreggiò in preda all’orrore. - Michael
lo ha ucciso... -
- Troppo tardi... -
- Come? Cosa vuoi dire? -
- Lui... mi ha... -
- Cosa, Max? Cosa? - Lo sguardo della ragazza venne attirato dalla violenta
luce blu emessa dal sigillo reale che sembrava palpitare sul petto di Max.
Con un certo sforzo il giovane sollevò una mano fino a sfiorare il gioiello, la
cui forma a V rappresentava la costellazione dei pianeti di cui faceva parte
Antar. - Il messaggio... nascondeva un segnale... collegato al sigillo...
Sono... sono costretto a tornare... -
- Questo vuol dire... che ti stanno aspettando su Antar? -
- Sì... -
- No, Max, non è possibile! Deve esserci qualcosa che... -
- ... che metta in pericolo la vita di Liz? Se io non vado, loro verranno a
prendermi... -
- E l’FBI? I cacciatori sono ancora in cerca di noi, e ora sanno anche di lei e
di Jason! Vuoi abbandonarli al loro destino? -
- No... Io... - Chinò lentamente la testa e le sue dita si strinsero intorno al
sigillo per un attimo, poi ridistese il braccio e nelle mani comparvero i
graniliti. - Io eliminerò per sempre quel pericolo... Questo... lo posso
fare... ma ho bisogno di te e di Michael... -
- Non credo che potrai far molto in questo momento... - ribatté Isabel quasi
piangendo.
Max, per tutta risposta, rialzò il capo e le sorrise con tenerezza. - Abbi
fiducia... - sussurrò, poi chiuse gli occhi ed il contatto con Isabel si
interruppe.
La ragazza emise un ansito e si scosse faticosamente. - Andiamo, dobbiamo
portarlo fino a quell’uomo... - borbottò a Michael prendendo il fratello per
mano.
- Perché? Cos’hai scoperto? -
- Non ora, Michael, ti prego... - Mordendosi le labbra per la furia che
l’animava riuscì a trascinarsi dietro Max.
Il giovane aveva fatto solo pochi passi quando sentì esaurirsi l’effetto
bloccante dell’impulso mentale dell’alieno e seguì la sorella con andatura più
rapida fino a giungere accanto al corpo privo di vita.
- Cosa diamine sta succedendo? - insistette Michael osservando Max tendere una
mano fino a toccare la testa del cadavere.
- Si chiamava Klahr Doryann, ed era stato mandato dal Consiglio che governa su
Antar - Max rispose con voce assente. - Doveva avvertirci dei disordini che
sono scoppiati di nuovo in tutto il pianeta, ma qualcuno è riuscito a
programmarlo per uccidermi. Io... ti devo la vita, Michael... - Allontanò la
mano dall’uomo e ricadde stancamente a sedere sui talloni. - Però nel messaggio
che mi ha trasmesso era inserito un segnale -
Cogliendo la tensione nel tono dell’amico, Michael incrociò le braccia sul
petto. - E quindi? -
Il giovane rialzò il capo per fissarlo negli occhi. - E quindi devo tornare su
Antar e farla finita con il Consiglio di Zoltar una volta per tutte -
- Perché prendersi tutto questo disturbo? -
- Perché questo è un invito in piena regola, e io sono costretto a
rispondere... -
- E come la mettiamo con l’FBI? -
Max si alzò in piedi e mostrò i graniliti che stringeva nelle mani. -
Colleghiamoci, e potrò cancellare ogni traccia dalle menti dei cacciatori e dai
loro computer -
- Tu sei pazzo - fu il commento di Michael.
Con un sorriso appena accennato il ragazzo tese in silenzio le braccia e sia
Michael sia Isabel, quasi a malincuore, posarono le mani sui graniliti.
Non ci fu nessun segno evidente di reazione, a parte un leggero riscaldamento
dei trasmettitori di energia, eppure tutti e tre si resero conto dell’attimo in
cui il loro sforzo congiunto ebbe l’effetto desiderato.
Allora Max si sedette in terra e guardò i graniliti senza vederli.
Isabel e Michael lo imitarono, anche loro troppo stanchi per fare qualsiasi
altra cosa, e lo fissarono per un po’ in silenzio. Alla fine la sorella non
resse alla curiosità. - Max, perché sei così angosciato? Ci siamo liberati per
sempre del pericolo rappresentato dall’FBI! Ci siamo riusciti! -
Il ragazzo emise un profondo respiro poi scosse lentamente la testa. - Io... ho
paura... -
- Di morire? - domandò sottovoce Michael.
Max fece una piccola smorfia. - No... Morire è facile... Ma quello che...
quello che loro possono farmi... fare a tutti noi... Credetemi, se dovessimo
essere catturati ci converrà suicidarci... Sarà la cosa migliore... -
A quelle parole Isabel trattenne per un attimo il fiato. - Ma questo è da
vigliacchi! Max, non puoi essere proprio tu a dirlo! Se anche venissimo fatti
prigionieri potremmo sempre cercare di fuggire e di riprendere la lotta! Poco
fa mi hai detto che la gente di Antar sta soffrendo, e che vuoi aiutarla: come
sarebbe possibile se ci uccidessimo? -
Lui la guardò con tristezza. - Io... non credo che sopravvivrei di nuovo a
tutto quello... - Tornò a fissare le mani intrecciate in grembo, ormai libere
dei graniliti.
- Neppure per Liz e Jason? - insistette Isabel.
- Io... No... - Con un movimento rapido si alzò in piedi e si allontanò a testa
bassa in direzione della jeep.
Rimasti soli la ragazza e Michael si fissarono per un attimo negli occhi poi
Isabel si strinse nelle spalle e seguì il fratello.
- Oh, al diavolo! - Camminando svogliatamente il giovane le andò dietro e salì
in macchina senza dire più una parola.
Sentendo bussare con discrezione alla porta Maria trasalì e lanciò un’occhiata
all’orologio appeso al muro. - Chi sarà mai a quest’ora? Pensi che sia di nuovo
David Coltrane? -
- Spero proprio di no! - Esitando, Liz si avvicinò alla finestra per sbirciare
fuori ma il lampione davanti alla porta d’ingresso era spento e non riuscì a
distinguere le figure immerse nel buio di quella sera invernale. - Maria, tieni
un attimo Jason, per favore... - mormorò consegnando il figlio all’amica, poi
si fece coraggio e andò ad aprire.
- Ciao, Liz -
Con un grido di gioia Liz gettò le braccia al collo di Max lasciandosi baciare
e ricambiandolo con tutta la passione che provava per quell’incredibile
ragazzo. Max la cinse alla vita stringendola a sé, avido del suo calore e della
sua forza. Dietro di lui Isabel e Michael si guardarono con espressione
vagamente esasperata, poi gli girarono attorno per entrare in casa.
- Michael! - Maria si affrettò verso il giovane e sollevò il volto per ricevere
il suo bacio. - Allora ce l’avete fatta! - disse poi sorridendo contenta. -
Devo dire che fra me e Liz non sapevamo più cosa pensare... Perché non ci avete
telefonato? -
Michael scrollò le spalle. - Non ci abbiamo pensato. Veramente Max voleva
venire qui a riprendervi e così ci siamo alternati tutti e tre alla guida per
fare prima... -
- Capisco... Ah, Isabel, tu conosci David, il fratello di Morgan? -
- Chi?!? - Isabel fissò allibita la ragazza. - Morgan... non ha fratelli! -
- Oh oh... Liz!... Liz, hai sentito? - Reclinò leggermente la testa per
guardare oltre la spalla di Michael. - Liz, Isabel ha detto che Morgan non ha
fratelli! - ripeté a voce più alta nella speranza che l’amica questa volta la
udisse.
Ma Liz era persa nelle mille sensazioni che i baci di Max stavano suscitando in
lei e non avrebbe sentito una cannonata. Il suo corpo tremava contro quello del
marito, avrebbe voluto rimanere tra le sue braccia per sempre, per lei Max era
tutto. Ed era perfettamente consapevole di quello che gli era successo quel
giorno. Lo aveva visto nei flash, quegli scambi di ricordi, emozioni,
sentimenti profondi che il loro legame rendeva possibili, e inevitabili. Sapeva
che gli avevano sparato, che per una frazione di secondo aveva cessato di
vivere, e che aveva deciso di tornare su Antar. Con lei. Con lei ed il loro
bambino. La paura di perderlo era un guanto d’acciaio che le stringeva il cuore
in una morsa inesorabile, e non avrebbe permesso più a niente e nessuno di
separarli. Sarebbe rimasta sempre con lui, ovunque fosse. A Roswell, o New
York, o Londra. O Antar...
E Max percepì la sua ferma decisione. Le sorrise con dolcezza e le circondò il
volto con entrambe le mani. - Insieme, Liz? - disse sottovoce, più una conferma
che una domanda.
La ragazza annuì sorridendo in risposta.
Max si chinò a baciarla sulla fronte. - Bene... - bisbigliò prima di
sospingerla gentilmente in casa e seguirla. - Ciao, Maria - salutò l’amica, e
sorrise tendendo le braccia perché lei gli passasse Jason.
- Come sta, questo coniglietto? -
- Ah, lui benissimo! E’ stato lavato, nutrito, coccolato... Sai, è ancora
troppo piccolo perché possa rendersi conto di quello che succede!... - Maria
incrociò le braccia sul petto e lo fissò con aria bellicosa. - Allora, perché
nessuno di voi ha avuto la gentilezza di avvertirci che stavate bene? Ci avete
lasciato tutto il giorno sole in questa casa, a riflettere su quello che poteva
essere successo, e ad immaginare il peggio... -
- Scusa, Maria... -
Davanti alla sua espressione impacciata la ragazza sbuffò alzando gli occhi al
cielo. - Ah, Max, tu... tu... - Scosse rassegnata il capo e sorrise agitando la
mano. - Ok, siete perdonati... Comunque, Liz, hai sentito cos’ha detto Isabel?
Morgan non ha fratelli! -
Liz si girò di scatto verso la ragazza. - Ne sei proprio sicura, Isabel? -
Lei incrociò le braccia al petto. - Sentite, Morgan è figlio unico. Però so che
i suoi genitori divorziarono poco dopo la sua nascita e il padre si è
risposato. Probabilmente avrà avuto altri figli, non lo so, e comunque non ne
abbiamo mai parlato... -
- Beh, vedi... - Maria si sedette sul divano e accavallò graziosamente le
gambe. - Stamattina si è presentato questo tizio, un uomo alto e magro, capelli
castani e occhi chiari, e cercava Morgan. Ha detto di essere suo fratello. Liz
non voleva farlo entrare ma lui ha mostrato il tesserino dell’FBI, e a quel
punto... -
- Già, sarebbe sembrato strano tenerlo fuori... Comunque, so che Morgan ha
affittato questa casa usando un nome falso proprio perché nessuno potesse
risalire a lui... Oddio, non so che pensare... -
- Ma sarà davvero suo fratello? -
Isabel frugò nella borsetta e ne estrasse il cellulare. - Lo chiamo subito... -
La telefonata fu molto breve, e al termine la ragazza chiuse gli occhi
esasperata. - Bene. Ottimo! David è davvero il fratello di Morgan, anzi, il suo
fratellastro, e lavora nella sicurezza interna -
- Cioè...? -
- Cioè indaga sul corretto comportamento degli agenti, fra le altre cose... Non
lo vedeva da due anni, non è che si amino alla follia, però il fatto che sia
venuto a cercarlo può significare che abbia saputo che vogliono indagare su di
lui e volesse avvertirlo... -
- Pensi che sia perché ci ha coperti quella volta a Roswell? - domandò Liz.
- Sì, forse... Comunque mi sembra il caso che ce ne andiamo via di qui. E alla
svelta!... - Serrando le labbra si guardò intorno notando per la prima volta
l’anonimità dell’arredamento. “Questo posto non è più sicuro... e credo che non
lo sia mai stato davvero... Forse... forse Morgan lo sperava soltanto...” Il
cuore le si strinse. Quel posto racchiudeva tanti bei ricordi e ora le pareva
che fosse stato profanato, che qualcuno avesse violato i suoi pensieri più
intimi... Per un attimo si sentì piena di collera nei confronti di David
Coltrane, un uomo che non conosceva e di cui, fino a pochi minuti prima,
ignorava perfino l’esistenza, poi gli occhi le si posarono sul fratello e vide
l’amore con cui stringeva al petto il figlio. “Oh, Max, sei così... così...”
Lacrime inopportune le apparvero sulle ciglia e sbatté forte le palpebre per
scacciarle. “Va bene, faremo come vuoi tu” Si scosse ed aiutò Liz a radunare le
poche cose di Jason che la ragazza aveva sempre con sé e che in quel momento
erano allegramente sparpagliate sul tappeto: qualche minuscolo indumento, un
paio di giocattoli di gomma ed un biberon pieno a metà di acqua. “Abbiamo tutti
il diritto di vivere in pace, con le persone che amiamo. Qui, e su Antar...”
Di lì a poco i cinque ragazzi erano a bordo della jeep, diretti verso Roswell.
Nessuno parlava, e Jason dormiva tranquillo tra le braccia della madre.
Il viaggio si svolse senza incidenti ed era quasi l’alba quando arrivarono
finalmente davanti alla casa degli Evans. Max, che era alla guida in quel
momento, parcheggiò ed attese qualche secondo prima di scendere. Phillip e
Diane erano stati dei genitori fantastici, e avevano saputo accettare con
notevole coraggio la verità su di loro. Gli avevano dato tanto e, nonostante il
dolore che sapeva di aver loro arrecato nel passato, sperava di essere riuscito
a fargli capire quanto anche lui li amasse. Non voleva tornare su Antar, non
voleva ricominciare a combattere, ma sapeva di doverlo fare. Perché proteggendo
il suo mondo natale avrebbe protetto anche la Terra. E lui non avrebbe mai
sopportato di vedere distrutta quella piccola città nel deserto. Roswell. Il
posto che il destino gli aveva assegnato. E dove aveva trovato Liz. L’amore. La
vita. Con un sospiro profondo aprì lo sportello, ignaro degli sguardi perplessi
di Isabel e Michael. Liz, invece, sembrava aver sentito i suoi pensieri e si
affrettò a seguirlo e ad infilare una mano nella sua.
Fu Diane Evans la prima a rendersi conto del discreto bussare alla porta della
sua stanza da letto e si affrettò ad alzarsi. - Ma cosa...? Max! - Si rese
subito conto dell’espressione un po’ tesa del figlio e tornò indietro per
svegliare il marito. - Phillip, c’è Max! Vieni, credo che... debba parlarci...
Non è così, caro? - aggiunse rivolta al ragazzo.
Di lì a poco sedevano tutti in salotto.
- Mi spiace avervi svegliato a quest’ora ma... -
- E’ successo qualcosa di grave? - domandò preoccupata la donna.
- Beh, non esattamente... -
A quel punto intervenne Isabel. - Dobbiamo... dobbiamo tornare su Antar. Ma
questa volta andremo tutti quanti insieme -
- Intendi dire anche... Liz e Maria? - chiese sorpreso Phillip Evans.
Michael guardò in silenzio Maria. Non ne avevano parlato. Lui non voleva che
rischiasse la vita seguendolo ma... sarebbe stato così bello averla accanto...
Però doveva essere lei a decidere... e lui avrebbe accettato la sua scelta.
Comunque ed in ogni caso. Perché lui non sapeva esprimere i propri sentimenti
come Max, non aveva la tranquilla disinvoltura di Isabel, ma amava Maria con
tutto se stesso.
Maria lasciò scorrere lo sguardo sui presenti, vide l’espressione degli occhi
di Liz, fissi in quelli di Max, e sorrise. - Sì, certo - disse semplicemente.
Michael fece una buffa smorfia di sollievo e tornò a studiare gli Evans. Sapeva
quello che Max stava per chiedere loro e si domandò se sarebbero stati in grado
di farlo.
- Non sappiamo per quanto tempo staremo via, ma l’importante è che tutto sembri
normale. Per favore, dovete prendere le cose di Liz rimaste a San Diego e
portarle ad Albuquerque, e ritirare i suoi documenti all’università. Non è
necessario che confermiate le nostre iscrizioni, sembrerebbe strano che poi non
frequentassimo i corsi. E avvertite lo sceriffo Valenti, è meglio che lui
sappia come stanno veramente le cose... -
- Liz, e i tuoi genitori? Cosa dobbiamo dirgli? -
Liz si scosse nelle spalle. - Io... non lo so... Loro... -
- Non preoccuparti, cara, ci penseremo noi! Ma... porterete con voi anche
Jason? - Phillip Evans fissò perplesso il figlio. - Pensi che sia sicuro? -
Max accennò un sorriso mesto. - Sicuro... Lui non sarà mai al sicuro... Ma farò
di tutto per proteggerlo. Grazie, papà... -
- Per cosa? -
- Per non averci abbandonato. Ti voglio bene... - Lo abbracciò forte prima di
salutare anche la madre, imitato da Isabel, poi Diane Evans si strinse al petto
Liz. - Siate prudenti, mi raccomando... -
- Sì, certo... - Liz chinò a disagio la testa e si volse per seguire Max e gli
altri. Avrebbe tanto voluto che anche sua madre fosse così comprensiva, e
invece... Lanciò un rapido sguardo a Maria. Pure per lei le cose non dovevano
essere facili. Sì, lo sceriffo sapeva la verità, ma sicuramente Amy non sarebbe
mai riuscita ad accettare il fatto che Michael fosse un alieno. La gente
pensava che a Roswell tutti avessero confidenza con gli extraterrestri ma la
realtà era ben diversa...
Poco più tardi si trovavano di nuovo a bordo della jeep, e Max era alla guida.
Ad un tratto Isabel si rese conto della direzione presa dal fratello e lo
guardò sorpresa. - Dove stai andando? -
- Torniamo al Black Range. Voglio usare l’astronave di Doryann: con quella sarà
più facile avvicinarci al pianeta -
- Giusto - commentò Michael annuendo. - Loro aspettano il suo ritorno... -
- Isabel, non pensi che dovresti avvertire Morgan? - domandò all’improvviso Liz
girandosi verso la ragazza.
Isabel si morse nervosamente le labbra. Sì, avrebbe davvero dovuto parlare con
lui ma... La verità era che aveva paura di come avrebbe reagito. Però non
poteva accusare Max di codardia e poi non avere il coraggio di fare una
semplice telefonata a Morgan... Con un sospiro prese il cellulare e compose il
numero a memoria. - Ciao, Morgan, puoi... puoi ascoltarmi per qualche minuto?
E’... importante... - Attese con ansia la sua conferma poi chiuse gli occhi
voltandosi verso il finestrino ed abbassando la voce. - Io... sto per
partire... Con mio fratello... Non so quanto tempo staremo via e... - No, non
poteva dirgli che non sapeva neppure se sarebbe tornata, che forse sarebbe
morta su di un altro pianeta, ma voleva che... - Ti amo, Morgan, e spero che tu
abbia fiducia in me. Stai attento con David, ti prego... - Si massaggiò una
tempia con aria stanca. - Mi dispiace... ti amo... - Interruppe bruscamente la
comunicazione e chinò la testa contro il vetro.
Maria, seduta al suo fianco, le batté affettuosamente sulla gamba. - Stai
tranquilla, Isabel, ti aspetterà... -
La ragazza si mordicchiò le nocche della mano annuendo. - Sì, certo... - disse
dopo un po’.
Max la guardò dallo specchietto retrovisore. - Pensi che... accetterebbe di
venire con noi? - chiese a voce bassa ma lei scosse piano la testa. - Non lo
so, non credo... Ma non voglio coinvolgerlo ancora di più... -
- Ok - Il fratello mise la freccia e imboccò l’interstatale senza aggiungere
altro.
Non ebbero alcuna difficoltà nel rintracciare l’astronave e Max e Michael
effettuarono il decollo senza problemi. Dopo aver nascosto la jeep nella
caverna dove si trovavano le altre astronavi, i cinque ragazzi si erano avviati
verso nord seguendo il segnale trasmesso dall’apparecchio che Michael aveva
sottratto al polso del messaggero prima di eliminarne il cadavere. Non avevano
bagaglio con loro, a parte lo zaino di Liz contenente alcune cose di Jason ed
un pacco di pannolini provvidenzialmente trovato a casa Evans.
Durante le prime ore di volo Isabel, seguita da Liz e Maria, esplorò l’interno
del velivolo realizzando come fosse più confortevole e attrezzato del loro.
Anche lì, tuttavia, c’erano solo due cabine, e Maria fece una smorfia all’idea
che non avrebbe potuto dormire con Michael. Non lo avrebbe mai ammesso con
nessuno, neppure con Liz, ma la verità era che si sentiva terrorizzata al
pensiero di quello che stava facendo e avrebbe tanto voluto stare sempre vicino
a lui...
Liz, invece, era tranquilla. Non le importava cosa sarebbe successo, le bastava
solamente sapere che questa volta era con Max.
Isabel, dal canto suo, trascorreva molto tempo insieme al fratello e a Michael,
cercando di capire cos’avrebbero trovato su Antar e quale fosse la strategia
migliore per eliminare una volta per tutte il pericolo rappresentato
dall’ambizione di Zoltar.
Erano in viaggio ormai da quasi un giorno quando finalmente Max poté andare a
riposarsi un poco ma quando si fu sdraiato scoprì che non riusciva a prendere
sonno. Gli sarebbe piaciuto stare con Liz, però, nel passare davanti alla
cabina occupata dalle ragazze, aveva socchiuso la porta e l’aveva vista
profondamente addormentata. Ad un tratto si ricordò del diario. Infilò una mano
all’interno del giubbotto di pelle abbandonato in fondo alla cuccetta e ne
estrasse il quaderno. Si sdraiò sul fianco e cominciò a leggere.
Quando Michael andò a chiamarlo per il cambio lo trovò profondamente
addormentato, la testa sul braccio ripiegato con la mano aperta sopra un libro.
- Ehi, Max, sveglia! Tocca a te, ora... - Lo scosse con vigore facendolo
trasalire. Sorrise nel vedere la sua espressione confusa. - Buongiorno, vecchio
mio, mi spiace ma è il tuo turno. Che cosa stavi leggendo? - Fece per prendere
il libro ma lui fu più veloce e si raddrizzò per rimetterlo nella tasca interna
del giubbotto. - Vado a farmi una doccia - borbottò scendendo dalla cuccetta.
- E cambiati, già che ci sei. Credimi, ne hai bisogno!... -
Seguito dalla risata dell’amico Max si sbatté dietro la porta e vide la sorella
uscire dalla sua cabina. La salutò con un cenno del capo e lei gli sorrise. -
Tutto bene? -
- Sì, certo. Liz dorme ancora? -
Isabel annuì. - Jason era un po’ irrequieto e lei ha passato buona parte del
tempo a cullarlo. Maria è andata a cercare qualcosa per la colazione, quindi
hai campo libero, se vuoi andare da lei... -
Max la fissò dritto negli occhi. - Grazie - Poi, rimasto solo, entrò e andò a
inginocchiarsi accanto al lettino dove Liz continuava a dormire. La guardò a
lungo prima di posarle delicatamente una mano sulla testa carezzandole la
fronte con il pollice. “Liz... il mio cuore è tuo... ma tu lo sapevi da sempre,
vero?... Io... spero di essere all’altezza del tuo amore...” Si curvò a
sfiorarle le labbra con un bacio e sorrise nel sentirla muoversi nel sonno,
sospirare e passargli un braccio intorno al collo. - Dormi, Liz, sei così
stanca... - sussurrò sottraendosi a malincuore a quel tenero abbraccio, poi
diede una leggerissima carezza sulla guancia calda e rosea di Jason,
placidamente addormentato contro il fianco della madre. Con un sospiro si alzò
e uscì richiudendo la porta senza far rumore.
Più tardi, mentre sedeva in cabina di pilotaggio assorto nella verifica dei
dati di rotta, sentì arrivare qualcuno e si girò di scatto. - Isabel! Come mai
qui? Non è ancora il tuo turno... -
- No, ma volevo parlare un po’ con te - La ragazza si accomodò sulla
poltroncina accanto a quella del fratello e lo guardò incuriosita. - Allora?
Sempre deciso al suicidio di massa? -
Il giovane chiuse per un attimo gli occhi, rassegnato. - Per quanto tempo hai
intenzione di rinfacciarmelo? E comunque devi credermi, non sarà facile
resistere se saremo catturati da Zoltar. Il Consiglio è fermamente convinto che
solo eliminandoci riprenderà il controllo del nostro mondo. E farà di tutto per
riuscirci... -
- Allora cerchiamo di non farci prendere. Max, smettila di essere così
pessimista! Ma cosa ti è successo? Non eri mai stato così, prima... -
- Non avevo così tanto da perdere - Si volse a guardarla, un’espressione
indecifrabile sul bel viso.
- Oh, Max!... - Isabel si alzò e andò ad abbracciarlo. - Ti voglio bene... -
- Tremi... -
Liz guardò Max e scosse piano la testa. - Max, ho appena posato i piedi su un
altro pianeta, ti rendi conto? Un pianeta di cui tu... tu sei il re! Cosa
pretendi, che cammini come se stessi facendo una passeggiata per le strade di
Roswell?!? -
Stavano attraversando l’ampio piazzale su cui erano atterrati pochi minuti
prima, e davanti all’ingresso dell’edificio che ospitava i sistemi di controllo
di volo li aspettava una piccola folla.
Maria, dietro di loro, stringeva convulsamente la mano di Michael e cercava di
darsi un contegno ma in realtà avrebbe voluto fare dietrofront e tornare
correndo a bordo.
Max fece scivolare il braccio intorno alla vita di Liz e le sorrise. -
Tranquilla, non ti lascerò mai sola... -
- Guarda che ci conto! -
Jason emise un piccolo strillo poi ridacchiò contento.
- Sembra che Antar gli piaccia - commentò Isabel, che camminava accanto al
fratello.
- Già. Beh, buon per lui... -
- Ci siamo... -
La voce sommessa di Michael provocò un brivido nella schiena di Liz, che si
morse le labbra. “Insieme per sempre, nel bene e nel male. Ok, Liz, lo hai
voluto tu...” Deglutì un paio di volte poi raddrizzò le spalle e alzò il mento
con fare deciso mentre la brezza leggera giocava con i suoi capelli.
Max le diede un’occhiata e sorrise fra sé. “Sei davvero speciale, amore mio...”
Quando infine furono davanti alle persone che li avevano tenuti sotto controllo
fin da quando erano apparsi nello spazio aereo del pianeta si fermarono e
l’uomo con i gradi di comandante s’irrigidì prima di chinare il capo in segno
di saluto. - Sono onorato di averla di nuovo con noi, altezza - Si volse poi ad
Isabel. - Principessa Vilandra. Comandante Rath -
Michael mise una mano sulla spalla di Maria e la strinse affettuosamente. -
Come vedi, certe cose non cambiano mai... - le sussurrò chinandosi un poco
verso di lei.
- Io... non ho capito una parola di quello che ha detto... -
- Come? Oh... - Pose il palmo di una mano sulla sua tempia e si concentrò per
una frazione di secondo. - Adesso non ti perderai neppure una puntata... -
disse con un sorrisetto ironico.
- Che cosa mi hai fatto? -
- Niente di grave, sta’ tranquilla. Anzi, sarà il caso che avverta Max: non
credo gli sia venuto in mente di fare la stessa cosa con Liz... -
La ragazza lo guardò di sottecchi poi tornò a fissare tutta quella gente che
stava lì, davanti a loro. “Perché non sono rimasta a Roswell, accidenti? Perché
sono così... così stupida?”
Intanto Liz si era sistemata Jason contro la spalla ed il bimbo osservava
affascinato ogni cosa intorno a sé.
- Questa è mia moglie. Viene dal pianeta dove sono state custodite le nostre
incubatrici -
L’uomo s’inchinò davanti a Liz. - Benvenuta su Antar, signora -
Lei accennò un sorriso. - Max... cos’ha detto? - chiese fra i denti senza osare
voltarsi verso il giovane.
- Scusami, non ci ho pensato... - Max le sfiorò gentilmente una tempia. - Ti ha
solo salutata. Ma adesso puoi capire la nostra lingua, e parlarla. Forse
dovrei... - Si girò verso Michael, che gli fece un cenno amichevole con la mano
ed una smorfia divertita. - No, non credo ce ne sia bisogno... - mormorò.
- Altezza, la prego di seguirmi. Il Consiglio si sta riunendo e una navetta è
pronta per portarvi nella capitale -
- Bene - Max prese Liz per mano e seguì il comandante dell’astroporto, mentre
gli altri si disponevano dietro e sui lati in un cordone protettivo.
Durante il tragitto nessuno parlò. Liz e Maria guardavano il panorama
sfrecciare davanti ai loro occhi, sconvolte da quello che vedevano ma entrambe
decise a non fare la figura di ragazze di provincia che vanno per la prima
volta in città, e quindi non osarono fare una sola domanda e si sforzarono di
apparire indifferenti. Michael, invece, osservava con attenzione i cambiamenti
sopravvenuti da quando era stato lì quasi due anni prima e si domandava cosa
sarebbe successo. A prima vista sembrava che le forze militari fossero rimaste
fedeli a Max, ma il Consiglio non era riuscito a superare la crisi dovuta
all’uccisione dei suoi uomini di punta e questo poteva voler dire solo due
cose: o Volnis era riuscito ad infiltrare i suoi agenti all’interno del
Consiglio stesso, oppure c’era una parte politica molto forte e determinata che
voleva mantenere il proprio potere grazie all’appoggio di Zoltar
infischiandosene altamente degli interessi di Antar. Di sicuro la situazione
non era delle più allegre, e Max avrebbe dovuto stare molto attento. Ma doveva
ammettere che aveva ragione, aveva sempre avuto ragione: finché non avessero
sistemato quella faccenda le loro vite sarebbero state in pericolo.
Max, dal canto suo, stava cercando di riflettere, di capire come fosse riuscito
Volnis a mettere le mani su Doryann. Perché lui aveva conosciuto personalmente
quelli che poi erano diventati primi consiglieri e sapeva che si trattava di
gente in gamba, leale, decisa a mantenere la pace senza tuttavia scendere a
pesanti compromessi. E avevano sicuramente scelto come messaggero del Consiglio
una persona di provata fedeltà. Doryann non era un traditore, ma era stato
tradito. Da chi? Di chi poteva fidarsi? Diede una veloce occhiata a Michael,
che lo ricambiò con uno sguardo intenso. Sorrise tra sé. Perlomeno aveva un
amico sincero e assolutamente fidato...
- Buongiorno, sceriffo... -
- Oh, signor Evans! Prego, si accomodi! - Jim Valenti fece un gesto col braccio
indicando la sedia davanti alla sua scrivania e l’uomo vi si avvicinò a passi
lenti. - Cosa posso fare per lei? -
Evans si passò una mano fra i capelli. - Veramente non lo so neppure io... Il
fatto è che è trascorso già un mese da quando i ragazzi... Forse lei ha modo di
contattarli? Mia moglie ed io siamo molto preoccupati... -
Lo sceriffo spostò alcune carte come a voler prendere tempo poi scosse piano la
testa. - Mi dispiace, purtroppo non posso aiutarla. Vede, loro hanno... hanno
quei... - Mosse significativamente la mano. Con tutto quello che era successo
non si fidava più a parlare di certe cose nemmeno nel suo ufficio, ma Evans
capì e lo guardò come ad incitarlo a proseguire. Allora si strinse nelle spalle
con aria di scusa. - Io credo che si faranno vivi non appena sarà loro
possibile. E fino ad allora è del tutto inutile che lei si angosci così... Mi
rendo conto che non è facile aspettare senza sapere... senza poter fare
niente... - Gli sfuggì una risatina amara. - Amy ha ormai rinunciato a
chiedermi notizie di Maria... - Si abbandonò contro lo schienale della
poltroncina fissandolo negli occhi. - Purtroppo è tutto quello che possiamo
fare: aspettare... -
L’uomo emise un profondo sospiro poi si rialzò. - Grazie, Jim. Senta, perché
non viene a cena con Amy da noi, una di queste sere? -
- Grazie, volentieri! -
I due si salutarono con una stretta di mano poi Phillip Evans tornò a casa, le
spalle incurvate per la tensione.
A Diane fu sufficiente guardarlo in volto per capire che non aveva saputo nulla
di nuovo. Gli occhi le si inumidirono e andò a prendere il cappotto. - Vado a
fare una passeggiata. Ci vediamo più tardi... -
- Diane!... -
- Scusami, caro, ma... ho veramente bisogno di prendere un po’ d’aria... -
Mentre camminava per le strade del centro, affollate di gente in giro per gli
acquisti del Natale ormai prossimo, si scoprì a cercare con lo sguardo la
figura slanciata del figlio e l’oro dei capelli di Isabel ma quando andò a
sbattere contro una persona s’immobilizzò e non riuscì più a trattenere le
lacrime. - Mi scusi... - balbettò, poi andò a sedersi su una panchina poco
distante e rimase a fissare, senza in realtà vederli, gli operai che
cominciavano a costruire il palco dove, di lì a una settimana, si sarebbe
svolta la tradizionale recita dei bambini. “Oh, ragazzi miei... dove siete?” Si
soffiò il naso e restò lì seduta finché non si sentì congelare. “Non importa.
Prima o poi tornerete, e vi farà piacere ricevere un bel regalo!” Con fare
deciso si alzò e cominciò a studiare le vetrine.
- Stanca? -
- Sì, un po’. Ma continuo a non capire come tu faccia a seguire tutte queste
cose... Ogni giorno c’è qualcosa di nuovo che ti costringe a rivedere quello
che avevi già organizzato e... e devi incontrare centinaia di persone
diverse... Perfino Isabel comincia ad avere le idee confuse... -
Max sorrise intenerito per l’analisi della ragazza e le passò un braccio sul
petto stringendosela più vicino. - E invece di Michael che mi dici? -
- Lui ti capisce al volo. E’... strano... c’è un’intesa molto profonda tra voi
due... -
- Gelosa? -
Liz gli diede un piccolo pugno contro la spalla. - Non essere sciocco! -
Il giovane mosse la mano libera fino a sfiorarle i capelli. - Mi piace stare
così... Ti rendi conto che è la prima volta che riusciamo a passare la notte
insieme? -
Lei strofinò il naso sul suo collo. - Già... Questo continuo cambiare
nascondiglio mi fa venire i nervi ma mi rendo conto che non possiamo fare
diversamente... Il presidente Volnis è proprio deciso a prenderti... -
- Non ci riuscirà, stai tranquilla - Max le diede un bacio leggero sulle
labbra. - Ti amo, Liz, e sono felice che tu sia rimasta con me... -
- Anch’io... - Liz gli sfiorò il torace in una carezza sensuale. - Adoro il tuo
nome... Max... -
La minuscola stanza in cui avevano trovato rifugio per quella notte,
scarsamente illuminata da qualche raggio di luna che riusciva a filtrare
attraverso le pesanti tende, si riempì dei loro sospiri mentre Jason,
comodamente rannicchiato in una ciambella di coperte, dormiva tranquillo.
Michael, gli occhi iniettati di sangue per la stanchezza, verificò ancora una
volta che tutto fosse a posto e diede gli ultimi ordini al comandante della
piccola squadra addetta al successivo turno di vigilanza poi, attento a non far
rumore, si ritirò per cercare di dormire un poco. Da quando erano arrivati su
Antar quella era la prima notte che riuscivano a passare tutti insieme. Fino ad
allora, infatti, avevano dovuto stare separati per maggior sicurezza, ma
finalmente erano riusciti a raggiungere una zona pulita e si erano organizzati
per dormire in quella casa, appartenente ad un fedele sostenitore di Max.
Sorrise al pensiero dell’amico e di Liz. Quei due si amavano alla follia, ed
era così evidente che aveva deciso di sua iniziativa di tenere sempre due
uomini alle spalle di Liz per impedire, per quanto possibile, ogni azione
contro di lei e Jason. La notizia della presenza sul pianeta della moglie e
dell’erede di Max si era infatti sparsa in un baleno e sicuramente Volnis
sapeva che avrebbero rappresentato un’arma potente da usare contro il legittimo
sovrano di Antar, se mai fosse riuscito a catturarli. Ma quella notte potevano
stare tranquilli. Quella notte apparteneva a loro. Quando entrò nella stanza
che avrebbe diviso con Isabel e Maria trovò la prima ancora sveglia.
- Michael? -
- Sì, dimmi... - Si lasciò cadere sul cumulo di coperte che costituivano il suo
giaciglio e cominciò a slacciarsi le scarpe. - Cosa c’è? -
- Tu... credi che ci riusciremo? -
- Scusa, Isabel, ma dobbiamo parlarne proprio adesso? Sono stanco morto, e non
vorrei svegliare Maria... -
Isabel scostò le coperte e andò ad accovacciarsi accanto a lui. - Senti,
Michael, tu... voglio dire, Max mi sembra molto deciso... Lui riesce a vedere
cose che a me sfuggono del tutto... Io mi fido delle sue capacità, della sua
forza, ma... Ho visto come guarda Liz... Ha... paura... paura di perderla,
di... non so, di vederla scomparire da un momento all’altro... Perché, Michael?
Ha scoperto qualcosa che non vuole dirci? -
A quelle parole il giovane emise un profondo sospiro. - Diavolo, Isabel, no...
Non che io sappia, almeno... -
- Ma tu... -
- Senti, sono il suo comandante in seconda. Ho il coordinamento di tutte le
forze armate fedeli alla casa reale e l’ultima parola in materia di sicurezza
personale. Se ci fossero delle novità, di qualunque genere, me lo avrebbe
detto. Stai tranquilla, è solo un po’ stanco... Tutti noi lo siamo, e lo saremo
ancora di più se non ce ne andiamo a dormire subito! E’ l’una passata e domani
dovremo sloggiare alle prime luci dell’alba! Mi dispiace, Isabel, non ho alcuna
idea di come andrà a finire, ma se cominci ad avere qualche dubbio in proposito
fammi un favore: tienilo per te... Buonanotte... - Si chinò a darle un bacetto
sulla guancia per farsi perdonare il tono brusco con cui le aveva risposto poi
scivolò sotto le coperte e si spinse contro il corpo di Maria cercando il suo
calore.
Non del tutto convinta Isabel volse lo sguardo alla finestra coperta da fitte
tende scure e sospirò. “Ma perché non possiamo avere una vita normale come
tutti gli altri? Oh, Alex, non sai quanto t’invidio...” Tornò al suo posto e si
rannicchiò per scaldarsi. “Fa un freddo cane, da queste parti...”
L’aurora aveva appena cominciato a sbiadire le stelle quando Max si svegliò e
vide Liz che si staccava Jason dal seno. Le sorrise con dolcezza, senza
parlare. L’amava così tanto... In quei giorni durissimi, di continui
spostamenti alla ricerca di qualcuno in grado di sostituire i primi consiglieri
uccisi, di stressanti deviazioni per evitare i soldati di Zoltar sempre alle
calcagna, solo la sua continua presenza gli dava la forza, e la voglia, di
continuare. Isabel aveva ragione, Liz era parte della sua anima. Una parte
vitale. Si sollevò su un gomito curvandosi a baciarla. - Buongiorno... - le
sussurrò.
La ragazza ricambiò il sorriso ed il bacio. - Buonanotte, vorrai dire... E’
ancora buio -
- Lo so, ma... -
- ... ma dobbiamo alzarci, sì, va bene. - Scostò le coperte e, tremando per il
freddo, si rivestì in tutta fretta prima di frugare nello zaino in cui teneva
il necessario per la cura del figlio ed estrarne delle salviette morbide che
inumidì con l’acqua ancora tiepida contenuta in una borraccia. Pulì con
delicatezza il corpicino soffice di Jason prima di infilargli una tutina calda
ed una specie di sacco appena sagomato che qualcuno era riuscito a procurarle,
l’unico modo di proteggere il piccolo dal gelo invernale mentre stava
tranquillamente incastrato nell’apposito marsupio che lei portava agganciato
davanti.
- Mi dispiace che tu sia costretta a vivere in questo modo... - Max parlò a
voce bassa, tesa, mentre si vestiva a sua volta, ma Liz interruppe quello che
stava facendo per sfiorargli il viso in una carezza tenera. - Max, tu non mi
hai costretta a fare proprio nulla... Io ho bisogno di starti accanto, di
vederti, di toccarti... - Sorrise divertita. - Maria si vergognerebbe di me se
mi sentisse in questo momento, ma è la verità: voglio restare con te, sempre, e
sono disposta a fare qualsiasi cosa. Quindi, ti prego, non pensarci più... -
Lui la fissò un attimo negli occhi prima di annuire. - Va bene. Grazie - E,
davanti alla sua espressione interrogativa, aggiunse - Per essere quello che
sei... - Poi si voltò e si mise a radunare le coperte in un piccolo mucchio
compatto che infilò nella sacca da viaggio in cui si trovavano tutti i loro
averi.
Usciti nello stretto corridoio incontrarono i loro amici e si scambiarono
sommessi saluti poi, come d’abitudine, Michael si avviò per primo, seguito da
Max e Liz, poi Maria ed Isabel.
Max, tuttavia, resosi conto che la sorella era quasi cupa in viso, fece un
piccolo cenno al compagno e le andò vicino. - Isabel, tutto bene? -
La ragazza si strinse nel pesante giubbotto militare che indossava, come tutti
i componenti del gruppo, e sbuffò per sollevare una ciocca dorata sfuggita al
berretto. - Sì. No, non va bene per niente. Io... mi sento inutile,
inadeguata... Michael si occupa di tutto quanto, tu tieni i contatti con le
forze politiche, io servo solo a fare da balia a Liz e Maria... Sento... che
sei preoccupato, ma non mi dici niente. Non hai nessun bisogno di me... - Aveva
parlato pianissimo, veloce, come se avesse aspettato da tempo quell’occasione
per potersi sfogare, ed intanto il suo sguardo continuava a sfrecciare
tutt’intorno, un’abitudine presa fin dai primi giorni del loro arrivo sul
pianeta e che più di una volta li aveva salvati dalle imboscate.
- Ti sbagli, sai? - Max le rivolse una di quelle occhiate intense che parevano
scavare nell’anima delle persone. - Io ho bisogno di te, ho bisogno di tutti
voi... Io... sapevo di non avere più un posto qui su Antar, ormai c’era il
Consiglio, e mi sono sentito inutile, esattamente come te. Però poi quell’uomo
è venuto a cercarci, e siamo tornati qui, su questo mondo che avevamo deciso di
abbandonare per sempre. Nessuno di noi è inutile, Isabel... Non ripeterò di
nuovo lo stesso errore, stavolta rimarremo uniti. E ce la faremo -
- Ma c’è qualcosa che ti turba, me ne sono accorta. Però continui a non
volermene parlare. Perché? -
Il giovane tacque a lungo prima di rispondere. - Non è per mancanza di fiducia
nei tuoi confronti, devi credermi... E’ solo che... - Una strana espressione di
impotenza gli si dipinse sul viso. - Sento la mente di Jason... Ogni giorno
diventa più forte e... lui è il mio erede, e Volnis lo sa. E lo sta cercando.
Se mai dovesse riuscire a prenderlo sarebbe la sua fine, e la nostra... -
Isabel lo guardò sorpresa. - Ma Jason è in grado di teletrasportarsi! Volnis
non avrebbe materialmente il tempo di fare nulla... a meno che... -
- A meno che. Già - Max serrò le labbra in una linea dura. A meno che lui, e
Liz, e Isabel e Michael fossero morti. Allora Jason non avrebbe avuto nessuno
da cui tornare e sarebbe rimasto nelle mani di Volnis per sempre. La storia si
sarebbe ripetuta e Antar sarebbe tornato ad essere lo schiavo di Zoltar, senza
più alcuna speranza di salvezza.
- Max... - Isabel tese una mano per prendere la sua, in un gesto di conforto
reciproco. Comprendeva ora le emozioni che lo dilaniavano. La gioia di avere
vicino Liz, e il terrore di quello che poteva succedere. Come faceva a
sopportarlo?
I pensieri di Michael non erano molto più allegri. Lui non aveva figli di cui
preoccuparsi, ma il suo cuore apparteneva a Maria e sapeva che se le fosse
successo qualcosa sarebbe impazzito. Non era di sangue reale, in quella vita
non aveva sposato Vilandra, eppure non sarebbe certo stato sufficiente quel
particolare ad impedire a Volnis di eliminarlo. E così anche Maria. A lui non
interessava certo un’umana che aveva seguito il suo amore attraverso le
stelle... Perché diavolo le aveva permesso di venire con loro? Cominciò a
voltarsi sempre più spesso per controllare che lei e Liz fossero dietro di lui,
e le due amiche, perplesse, si guardarono con una muta domanda negli occhi.
Fu in quel momento che uno degli uomini mandati in avanscoperta tornò per
riferire dei movimenti sospetti che avevano visto a pochi chilometri da lì.
Il gruppo si sparpagliò immediatamente, oltre ai cinque ragazzi c’erano sedici
soldati e tre uffciali, e grazie all’esperienza acquisita a caro prezzo nelle
settimane passate si dileguarono in un attimo tra i boschi circostanti.
All’inizio Liz aveva protestato con vivacità ma poi aveva dovuto riconoscere
che sarebbe stato più facile trovare riparo in quel modo che non restando tutti
insieme. Lei e Maria seguirono due soldati mentre Isabel si allontanava insieme
ad un altro soldato e Michael organizzava un piccolo cordone tutto intorno a
loro e dava istruzioni agli ufficiali per i gruppi di attacco. Max, intanto,
scortato a sua volta da un uomo, avanzò con cautela fino a raggiungere la
vedetta.
All’improvviso si scatenò l’inferno.
I soldati di Zoltar tentarono di circondare il primo gruppo d’attacco, dando il
via ad un fuoco serrato che causò molte perdite.
Max avrebbe voluto rimanere per usare i suoi poteri nel tentativo di difendere
gli uomini che stavano morendo per lui tuttavia Michael fu categorico. -
Vattene, Max, o tutto questo sarà stato inutile! -
Un ufficiale, colto il suo gesto, si fece avanti e fissò serio il giovane. -
Altezza, la prego, mi segua... - Poi chiamò un soldato e cominciò a sospingere
gentilmente Max verso un ammasso di rocce rotolate tra gli alberi qualche
migliaio di anni prima dal costone che sovrastava maestoso l’intera area.
Alcune centinaia di metri dietro di loro Liz e Maria avevano trovato rifugio
tra le rovine di un antico casolare. Uno dei due soldati che dovevano
proteggerle era morto e l’altro stava esplorando il terreno nelle immediate
vicinanze alla ricerca del cecchino. Maria, acquattata poco distante
dall’amica, respirava affannosamente tremando per la tensione. “Oddio, Michael,
dove sei?” Trasalì nel sentire Jason piagnucolare sempre più forte e si guardò
attorno. - Liz! Fallo stare buono o finiranno con lo scoprirci! - Ma il pianto
di Jason continuò aumentando d’intensità e la ragazza, spaventatissima, scivolò
accanto a loro. - Accidenti, Liz, fai qualcosa! - La scosse piano sulla spalla
e un grido strozzato le sfuggì nel vederla cadere all’indietro. - Liz! -
Liz aveva gli occhi chiusi e una chiazza di sangue sulla tempia sinistra.
Jason, il viso premuto contro il suo petto, piangeva disperato.
Senza rendersi conto delle lacrime che le rigarono improvvise le guance, Maria
si chinò a sciogliere le cinghie che bloccavano il bambino e lo prese in
braccio cullandolo per farlo calmare. - Buono, Jason, sta’ buono... Oh, Liz, ti
prego, non farmi questo... Liz... - Sentendo un rumore di rami spezzati alzò la
testa e vide il soldato cadere colpito a morte. - No, per favore... - Cominciò
a singhiozzare in silenzio. “Michael, ho bisogno di te... Michael...”
Tutt’intorno a lei si poteva udire il lugubre sibilo delle armi ma non si
vedeva nessuno. In preda alla disperazione si accovacciò con la schiena contro
la parete di pietra. “Isabel! Isabel, puoi sentirmi? Vieni, ti prego! Isabel!”
- Maledizione! - Michael fu il primo a ricevere il segnale radar sul bracciale
che, come tutti, portava sempre al polso. - Sta arrivando un’astronave!
Dobbiamo squagliarcela, e in gran fretta! - Fece un segno all’uomo più vicino,
che annuì e corse ad avvertire il suo ufficiale.
Max, guardato a vista dal soldato affibbiatogli dall’amico, serrava i pugni
impaziente. “Accidenti, non posso restare qui, nascosto come un coniglio!” Si
girò di scatto verso di lui. - Per favore, lasciami andare! Rath ha bisogno di
me! -
L’uomo lo fissò implorando in silenzio il suo perdono, poi socchiuse gli occhi
nel vederlo impallidire di colpo. - Altezza? -
Max si portò una mano alla testa. - Liz... Io... devo andare da lei! - Fece un
passo avanti con fare deciso. - Mi spiace, ma non posso restare qui un minuto
di più! - e corse via incurante dei proiettili ad energia che schizzavano
tutt’intorno a lui.
Il soldato avvertì immediatamente il suo ufficiale, il quale richiamò subito
gli uomini più vicini e li spedì dietro a Max per proteggergli le spalle, poi
raggiunse Michael e lo informò dell’accaduto.
Il ragazzo si morse a sangue le labbra per non imprecare. “Accidenti, Max!
Stanno per accerchiarci e tu te ne sei andato chissà dove!” - Ok, ok... -
Inspirò a fondo e si concentrò per monitorare la zona.
- Comandante? -
Michael si volse lentamente vero sud-ovest. - E’ laggiù... Bene, raduna tutte
le squadre e ritiriamoci in quella direzione! -
- E lei? -
- Io vado avanti per vedere che diavolo è successo... -
Intanto Max era arrivato alle rovine e aveva trovato la sorella inginocchiata
accanto a Liz. - Liz! -
Isabel si rialzò tenendo in mano la salvietta con cui aveva cercato di pulire
la ferita. Aveva le mani sporche di sangue e gli occhi lucidi di lacrime. -
Max... -
Il giovane si chinò sulla ragazza e le mise una mano tremante sul petto. - Il
cuore batte ancora... ma è molto debole... - Un ansito gli sfuggì improvviso
dalle labbra. Spostò la mano sulla tempia e serrò la mascella richiamando a sé
tutto il suo potere. Dalle dita si sprigionò una debole luminosità dorata, poi,
con un gemito sommesso, Max si tirò indietro aspettando che Liz riaprisse gli
occhi. Allora accennò un debole sorriso e la prese tra le braccia. - Amore
mio... - mormorò con voce spezzata.
- Max... - Liz nascose il viso contro la sua spalla. - Cosa... è successo? -
Le rispose Maria, ancora sconvolta per l’accaduto. - Ti hanno colpito alla
testa. E io me ne sono accorta solo quando ti ho toccata e tu sei caduta. E’
stato orribile! - Guardò Jason che ora riposava tranquillo contro di lei. - Lui
piangeva e io non capivo perché tu non facessi niente per calmarlo... - Si
portò una mano davanti alla bocca per trattenere i singhiozzi. - Vi prego,
andiamo via di qui... - supplicò guardando Max.
Max accarezzò con forza la schiena di Liz e per un attimo chiuse gli occhi. -
Liz... -
Alle sue spalle sopraggiunse in quel momento Michael. - Dobbiamo filarcela.
L’astronave di Zoltar è appena atterrata e tra poco avremo tra i piedi un bel
mucchio di gente. Liz, è tutto a posto? -
La ragazza annuì imbarazzata. - Sì, adesso sì... - Lasciò che il marito
l’aiutasse ad alzarsi in piedi poi lo fissò sorpresa perché lui continuava a
tenerla stretta a sé. - Cosa c’è? - gli chiese intimorita.
- Tu... - Max poggiò la fronte contro la sua. - sei stata mantenuta in vita
da... qualcosa che è dentro di te... o meglio... qualcuno... Sei incinta,
Liz... -
Liz rimase per un attimo senza parole dopodiché circondò il volto del ragazzo
con entrambe le mani. - Max, davvero io...? -
Il giovane sorrise suo malgrado. - Sì. E io non posso rischiare di perdervi
entrambi... Ti prego, vai con Maria... torna alla capitale con lei... -
- Ma io voglio restare con te! -
- Amore mio, io ho bisogno di te, della tua forza, per questo è importante per
me saperti al sicuro da Volnis e dal suo Consiglio... Non posso più rimandare
il confronto diretto, e non voglio che tu corra dei rischi, specialmente
adesso... Per favore... -
La ragazza sbatté più volte le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. -
Io non... - cominciò, ma poi vide l’angoscia nei suoi occhi e annuì. - Va bene.
Ma torna da me, Max, torna da me... - Lo baciò con passione prima di lasciarlo
andare. - Stai attento... - disse con voce soffocata prima di voltarsi per
riprendere Jason. - State attenti anche voi due... - mormorò ad Isabel e
Michael sforzandosi di sorridere, poi si avviò docilmente dietro i soldati
della scorta.
Maria, ancora accoccolata per terra, alzò uno sguardo triste su Michael, che le
si avvicinò e la fece rialzare. - Stai tranquilla, tesoro, ho la ferma
intenzione di tornare tutto intero! - Le diede un tenero bacio poi strizzò un
occhio con fare allegro. - Noi alieni siamo ossi duri! - Poi se ne andò con Max
ed Isabel e la loro scorta.
Guardandoli allontanarsi Maria tirò su col naso. “Ma anche gli altri sono
alieni...” pensò malinconicamente, dopodiché si girò e si unì al resto del
gruppo.
Isabel camminava veloce accanto al fratello e, quando furono in vista
dell’astronave di Zoltar, lo prese per un braccio costringendolo a fermarsi. -
Cosa intendevi dire con “confronto diretto”? Che cosa vuoi fare? -
Max guardò la sorella e poi Michael, mentre la loro scorta si arrestava a
rispettosa distanza sparpagliandosi tutt’intorno per proteggerli. - Sentite,
ormai è chiaro, no? Qui si tratta solo di politica: Antar è autosufficiente, e
finché non viene limitata la sua libertà d’azione al popolo non interessa chi
governa. La maggioranza del Consiglio preferisce evitare una crisi interna
piuttosto che ricomporre la sua struttura, e le forze armate non sopportano
l’ingerenza di Zoltar e sono disposte a scatenare una nuova guerra civile. Ma
io non voglio che la gente muoia per darmi un trono che non desidero! Che
nessuno di noi desidera... E Volnis vuole distruggere una volta per tutte la
famiglia reale di Antar perché questo è l’unico modo per essere sicuro di
mantenere il suo potere. Finché noi siamo vivi ci sarà sempre qualcuno, su
questo mondo, che cercherà di ripristinare lo status di regno libero, e lui lo
sa -
- Insomma, alla fine dobbiamo fare tutto noi!... - Michael guardò pensoso il
velivolo, che brillava sotto i raggi del sole di quella giornata tersa e
gelida. - Tranquillizzare il Consiglio di Zoltar e convincere la gente di Antar
che può contare su di noi... Un bel rebus davvero... -
Isabel fissò Max in silenzio per alcuni secondi poi scosse la testa. - Tu sai
già come fare... Te lo leggo negli occhi... -
Il giovane si strinse nelle spalle con aria di scusa e la sorella accennò una
risatina. - Ok, sentiamo... -
Per tutta risposta Max concentrò il suo sguardo su di lei, e Michael,
comprendendo al volo, si inserì nel circuito mentale. Fu questione di poco, poi
i tre ragazzi ripresero ad avanzare verso la piccola radura.
Non appena furono fuori della protezione degli alberi Max fece un cenno agli
ufficiali dietro di lui. - Voi restate qui, qualsiasi cosa succeda. E’ un
ordine. Non appena la nave ripartirà dovete tornare indietro e sorvegliare mia
moglie, mio figlio e la compagna del comandante Rath. La loro vita è nelle
vostre mani... -
L’ufficiale più anziano lo fissò preoccupato. - Altezza, la prego di
ripensarci. Volnis ha già cercato di ucciderla e... -
Max ricambiò lo sguardo senza dire una parola e l’uomo chinò il capo con
rassegnazione. - Ai suoi ordini, Altezza... - Si volse per dare secche e rapide
consegne prima di ritirarsi a sua volta nel folto sottobosco.
Rimasti soli, Michael emise un profondo sospiro. - Bene, la festa comincia... -
borbottò, poi riprese a camminare al fianco di Max.
Fu Isabel la prima ad accorgersi dell’arrivo dei militari di Zoltar. - Max... -
avvertì il fratello muovendo appena le labbra.
Max allora si fermò e attese che il comandante del drappello si facesse avanti.
Non diede neppure un’occhiata all’arma che l’uomo teneva spianata su di loro,
limitandosi ad aspettare in silenzio finché l’abbassò. - Sono Zan. Il
presidente Volnis desidera parlarmi -
Sorpreso, lo zoltariano si portò il comunicatore da polso alla bocca e impartì
degli ordini. Subito quattro sottufficiali si fecero avanti e scortarono Max e
gli altri all’interno del velivolo, mentre il resto del drappello controllava
che nessuno si avvicinasse alla zona.
- Signora, Jon e Vaar resteranno con lei fino a stasera, poi verranno Lou e
Dary. Nel caso dovesse succedere qualcosa, qualsiasi cosa, la prego di seguire
le loro indicazioni. Sua Altezza mi ha affidato la sua custodia, e quella della
signorina - Il colonnello Anders fece un piccolo inchino col capo verso Maria,
immobile accanto all’amica - ed io intendo assolvere il mio compito nel
migliore dei modi. Mi dispiace che sia venuta sul nostro pianeta in un momento
così difficile... -
Liz si morse le labbra e annuì leggermente. - Grazie, colonnello. Lei è...
molto gentile... -
L’uomo la salutò irrigidendosi sull’attenti e se ne andò, mentre i due soldati
assegnati al primo turno di guardia controllavano i punti strategici del
minuscolo appartamento.
- Santo cielo, Liz, vuol dire che non ci lasceranno mai da sole? Finché Max,
Michael ed Isabel non torneranno? Ma questo è un incubo! -
La ragazza guardò Maria con aria triste. - Sì, è un vero incubo. Neppure il
Consiglio sa che siamo tornate, ti rendi conto? E’ orribile, Max non può
fidarsi di nessuno... -
Maria avanzò di un passo per sfiorare il volto di Jason con una carezza
gentile. - Cosa ti ha detto, per convincerti a lasciarlo andare da solo? Devo
confessarti che mi ha sorpreso vederti cedere così, senza protestare... -
Liz arrossì involontariamente. - Lui... - Si schiarì la voce ed abbassò il tono
perché Vaar, poco distante da loro, non la udisse. - mi ha detto che sono
incinta -
- Ed è vero? Voglio dire, non l’avrà fatto solo per convincerti a... - Agitò
significativamente una mano.
- No! A parte il fatto che non farebbe mai una cosa del genere, quando mi sono
cambiata, poco fa, ho visto le prime macchie di luce. Maria, se lui non dovesse
ritornare io non ce la farò. Non questa volta... -
- Non dirlo neppure per scherzo, hai capito? Torneranno, tutti e tre! E tu ci
devi credere! - Maria fece un mezzo giro su se stessa incrociando le braccia
sul petto. - Michael tornerà... - mormorò, lo sguardo fisso al pavimento.
La scena era dolorosamente familiare agli occhi di Isabel. L’enorme sala del
Palazzo del Governo di Zoltar, i soldati schierati tutt’intorno alle pareti,
Volnis seduto dietro un’imponente scrivania dalla linea austera e Hornem in
piedi accanto a lui. L’espressione dei loro volti era seria ma gli sguardi
tradivano i loro pensieri. Di soddisfazione, di anticipazione, di odio.
Max stava tra lei e Michael, eretto e sicuro di sé.
Prima di entrare nella sala della presidenza si erano sbarazzati dei pesanti
abiti da battaglia ed ora indossavano i pantaloni e la tunica con i colori
della casa reale di Antar, eleganti nella loro semplicità. La snellezza di Max
nascondeva la potente muscolatura di cui era dotato, facendolo apparire giovane
e indifeso, ma Isabel era consapevole della sua forza interiore ed attese con
trepidazione che lo scontro avesse inizio. Michael, invece, stava con tutti i
sensi all’erta, pronto ad intervenire al primo segno di attacco.
- Allora, Zan di Antar, sei venuto a consegnarti... Hai finito di vagabondare
alla ricerca di sostenitori... Non credo che tu ne abbia trovati molti, giusto?
-
Max si portò una mano alla tempia. - Ho ricevuto il tuo messaggio -
- Oh, sì... Sei stato gentile a rispondere... - Si appoggiò con noncuranza allo
schienale imbottito della sua poltrona. - Ormai Antar ha il suo Consiglio.
Credo che la tua esistenza, e quella di tua sorella e del tuo fedele amico qui
presenti, siano del tutto superflue. In effetti, servono solamente a mantenere
acceso un piccolo focolaio di resistenza che, come sono certo converrai con me,
non serve a niente e a nessuno... Dopo tutti questi anni, quel povero pianeta
merita un po’ di pace, non lo pensi anche tu? - Fece un piccolo gesto con la
mano. - So che sei un ragazzo testardo, come tutti i tuoi antenati, del resto,
e ti ostini a non accettare questa semplice equazione. Dimmi, cosa devo fare
con te? Non posso ucciderti pubblicamente: diventeresti solo un martire... Se
ti uccido e distruggo il tuo cadavere, invece, i tuoi sostenitori non ci
crederanno e continueranno a combattere. Rinchiuderti in prigione mi sembra del
tutto inutile, come ho già sperimentato un’altra volta... - Tacque,
osservandolo pensieroso. - Ho saputo che ti sei sposato di nuovo, ed hai un
erede. Forse potrei... - aggiunse con fare speculativo.
A quelle parole Max s’irrigidì. - Posso darti io un suggerimento, Volnis. Tu
lascia in pace la mia famiglia, e la mia gente, ed io lascerò in pace la tua.
Non mi piacciono i ricatti, ma mi rendo conto che in certi casi siano l’unico
modo per risolvere situazioni complicate... -
Hornem sogghignò sprezzante. - Non sei nella posizione di fare minacce,
giovanotto. Anche se questa volta ti sei portato rinforzi... -
- Non sono minacce. Sono promesse - Max chinò leggermente la testa. - Io posso
convincere la gente di Antar ad accettare il Consiglio, ed il Consiglio sarà in
grado di governare nel migliore dei modi senza le tue interferenze. Non voglio
distruggere Zoltar: servirebbe solo ad estendere la guerra agli altri pianeti
della Confederazione, ma voglio che tu smetta di considerare Antar una tua
proprietà. Antar è il mondo da cui provengo, e intendo proteggerlo con ogni
mezzo - Vide che Volnis stava per parlare di nuovo e sollevò il capo ad
incontrare i suoi occhi. - Posso farlo, credimi... - Si concentrò facendo
apparire i graniliti nelle sue mani, e Michael ed Isabel vi posero sopra le
dita. La luce che se ne sprigionò illuminò i loro volti di riflessi azzurri.
Hornem spalancò la bocca per poi richiuderla imbarazzato mentre si voltava
verso il suo presidente.
Volnis, dal canto suo, era impallidito e fissava come ipnotizzato i due
oggetti. - Tu... tu possiedi... il potere dei graniliti... - mormorò incredulo.
Isabel gettò un’occhiata stupita a Michael, che si strinse nelle spalle.
- Perché sei così sorpreso, Volnis? -
La voce distaccata di Max fece trasalire l’uomo, che si raddrizzò
faticosamente. - Perché i graniliti sono la fonte di energia delle astronavi di
Antar, e la loro costruzione è il segreto più gelosamente custodito dalla
famiglia reale. Nessuno, in tutta la Confederazione, è mai riuscito a
riprodurli... -
- Allora è questo il vero motivo per cui hai cercato d’impadronirti di Antar...
Per i graniliti... - I lineamenti del volto di Max s’indurirono. - Tu eri
disposto ad annientare l’economia di un intero pianeta per averli... -
Volnis reagì con violenza. - Certo! La tua famiglia non ha mai approfittato di
quel potere, perché non avrei dovuto farlo io? - Con una mano indicò la luce
sempre più intensa emanata dai graniliti. - Una volta qualcuno disse che i
reali di Antar potevano usare personalmente la loro energia, ma non venne
creduto... Era solo una leggenda... E quando ci fu lo sterminio delle grandi
case e tuo padre morì sotto i colpi dei ribelli ne ebbi la conferma. Se davvero
fosse stato in grado di utilizzare la forza racchiusa nei graniliti, non
avrebbe permesso che i suoi figli venissero uccisi... -
- Forse mio padre non ha avuto il tempo di farlo. Ma io sì - Una cupola
verdastra apparve all’improvviso, racchiudendo Volnis, Hornem, lui stesso,
Isabel e Michael, e subito dopo il palazzo si sbriciolò in minuscoli frammenti.
Volnis schizzò in piedi. Tutt’intorno a loro poteva vedere le persone che fino
a poco prima si trovavano nel Palazzo del Governo e che, apparentemente, erano
state teletrasportate all’esterno.
- Come vedi io non voglio fare del male a nessuno - Max rafforzò la presa sui
graniliti mentre gocce di sudore apparivano sulla sua fronte. - Per l’ultima
volta: lascia in pace il mio pianeta -
Tremando per la tensione l’uomo ricadde a sedere sulla sua poltrona e rimase a
fissare il vuoto davanti a lui. “Zan... Maledizione a te!”
Ma Max, sua sorella e Michael erano ormai al sicuro a milioni di chilometri di
distanza, nella sala del Consiglio di Antar.
In quel momento era in corso una riunione. I consiglieri, come ormai fin troppo
spesso accadeva, litigavano piuttosto che esaminare con calma le questioni di
governo e Rodhya, il più pacato, cercava di fare da moderatore. Ma solo
l’improvvisa apparizione dei tre giovani riuscì a placare gli animi.
Il silenzio che regnò nella sala aveva qualcosa d’irreale, e Max fissò
l’assemblea con espressione intensa.
- Voi siete stati chiamati a governare e proteggere Antar. So che non è stato
facile. L’influenza di Zoltar ha portato molte famiglie a credere di potersi
impadronire delle ricchezze di questo mondo. Persone di cui vi fidavate erano
in realtà infiltrati di Volnis, che hanno spiato, tramato, ucciso per lui. Una
volta mia sorella ed io ci siamo sacrificati per il bene di Antar, e non è
servito a niente - Il suo sguardo passò da un consigliere all’altro. - Perché
davanti alla possibilità di acquisire potere molti si sono venduti, trascinando
l’intero pianeta nel caos. Non è dividendosi tra la fedeltà ai reali o a Zoltar
che Antar riuscirà a sopravvivere... - Scostò leggermente le braccia dai
fianchi ed Isabel e Michael tornarono a toccare i graniliti. - Noi siamo
l’anima di Antar, e Antar è la nostra anima. Non sono parole vuote, sono
l’essenza della nostra gente. Ma troppi di voi lo hanno dimenticato - Incontrò
gli occhi stanchi ma pieni di speranza di Rodhya. - Antar è unico, e libero. Io
non ho mai occupato il trono che mi spetta, è vero, però questo non vuol dire
che non abbia a cuore le sorti del pianeta. Io ho dato la mia vita per questo
mondo, come Vilandra, e Rath. E mio padre e mia madre. Ora tutto questo deve
finire. Antar ha il diritto di essere governato con giustizia da un Consiglio
leale. C’è qualcuno, qui presente, che non merita l’onore di far parte del
Consiglio, e spero che abbia sufficiente coraggio da alzarsi e andarsene. Lo
faccia adesso, perché poi sarà troppo tardi... - Attese per alcuni minuti, ma
nessuno si mosse. Allora serrò le labbra e mandò un segnale alla sorella e a
Michael. - Bene. Lo avete voluto voi! - Si concentrò profondamente lasciando
che l’energia dei graniliti fluisse in lui, poi penetrò nei pensieri di tutti
gli uomini riuniti nella sala e ne teletrasportò quattro al centro, bloccandoli
con un cerchio di luce blu. - Questi sono i traditori - disse allora, rivolto
agli undici consiglieri rimasti ai loro posti. - Io non cerco vendetta, e tutto
quello che chiedo è che non sia più permesso loro di occuparsi del governo del
pianeta. Zoltar non interferirà mai più negli affari di Antar, quindi potrete
lavorare senza ulteriori ostacoli - Attese che i mormorii suscitati dal suo
deciso intervento si placassero prima di continuare. - Affido nelle vostre mani
il pianeta, sono certo che riuscirete a riportarlo al suo antico splendore... -
Serrò la mascella per lo sforzo di tenere sotto controllo i suoi poteri e si
volse in direzione dei prigionieri. - Voi non avete più alcun diritto di
restare qui - disse, poi li mandò fuori del palazzo reale. Solo allora rilassò
la propria mente e chinando un poco la testa guardò per un attimo i graniliti
ancora stretti tra le sue dita. “La causa di tutti i nostri guai...”
- Altezza... -
Nell’udire la voce esitante di Rodhya Max si scosse e lo fissò in silenzio.
- Altezza, ritengo di poterle assicurare, anche a nome di tutti gli altri, che
il suo desiderio sarà esaudito. Ha ragione, avevamo perso di vista il vero
obiettivo di questo Consiglio: governare saggiamente il pianeta in nome della
famiglia reale. Ma oggi ci ha riaperto gli occhi e questa volta non
dimenticheremo perché siamo stati chiamati a farne parte... -
Max accennò un sorriso.
- Tornerà sul suo mondo adottivo? -
- Sì - Sollevò una mano mostrando il granilite. - Comunque sapete come
chiamarci, nel caso doveste averne bisogno... - Di colpo fece smaterializzare
entrambi i comunicatori. - Addio - Fece un piccolo inchino col capo, imitato da
Isabel e Michael, dopodiché si volse ed uscì a passi decisi dalla sala.
Liz notò subito l’espressione del soldato mentre riceveva il conciso messaggio
attraverso il comunicatore da polso e sentì il cuore batterle all’impazzata.
“Max!”
Ci fu un discreto bussare alla porta e l’uomo non fece in tempo ad aprirla del
tutto prima che Liz si precipitasse tra le braccia di Max.
Il ragazzo la strinse forte a sé, mentre Michael andava verso Maria ed Isabel
chiudeva l’uscio appoggiandovisi contro con la schiena, un’espressione
esasperata sul bel viso tirato.
- Com’è andata? - domandò Liz ansiosa.
- Bene - Max le sorrise ma poi crollò in terra semisvenuto.
Spaventatissima, Liz fece per inginocchiarsi accanto a lui ma venne preceduta
dal soldato rimasto accanto alla porta, che sollevò delicatamente il corpo di
Max e andò nell’altra stanza per adagiarlo sul letto più vicino.
- Stai tranquilla, Liz, è solo distrutto dalla stanchezza. Come noi, del
resto... - Michael si lasciò cadere su una poltroncina attirando Maria sulle
proprie ginocchia. - Ha dovuto usare i suoi poteri per convincere tutti a fare
come voleva lui, e ti assicuro che se avesse continuato in quel modo anche solo
per un altro minuto saremmo caduti stecchiti tutti e tre! -
- Adesso non esagerare... - Isabel andò a sedersi sul divano. - Però sì, Max ha
consumato un bel po’ di energia, ma non poteva fare diversamente. Adesso ha
solo bisogno di riposo, e anche io... - Si portò una mano davanti alla bocca
per nascondere uno sbadiglio.
Liz annuì con fare perplesso prima di andare a controllare come stesse Max, e
Maria guardò incuriosita Michael. - Allora si torna a casa? -
- Già. Contenta? - Il ragazzo sorrise e le accarezzò i capelli. - Non vedi
l’ora, vero? -
- Puoi dubitarne? - Maria fece una smorfia, poi alzò gli occhi al cielo:
Michael aveva reclinato la testa addormentandosi di botto.
Nella stanza da letto comune, invece, Liz si era seduta sul bordo del materasso
e sfiorava con tenerezza i capelli del marito mentre Jason, che l’aveva seguita
gattonando, la guardava con gli occhioni sgranati.
Il soldato, rimasto fino a quel momento a vegliare il giovane, chinò brevemente
il capo. - Io sono di là, se dovesse avere bisogno di qualcosa, signora -
Liz gli sorrise distratta. - Sì, grazie... - Poi tornò a chinarsi su Max.
Poco dopo entrò Maria. - Si è addormentata anche Isabel. Non vedo l’ora di
sapere cosa sia successo... Come sta? -
- Dorme - Liz depose un bacio sulla fronte del ragazzo e si alzò. - Avanti,
Jason, lasciamo riposare papà. - Prese in braccio il figlioletto e fece cenno
all’amica di seguirla. - Andiamo nella stanza della guardia, voglio vedere se
l’ufficiale di turno può raccontarci qualcosa... -
Ma l’uomo sapeva solo che Zan, Vilandra e Rath erano andati nella sala
consiliare del palazzo reale ed avevano estromesso quattro consiglieri,
riconfermando il mandato agli altri.
A quelle parole Liz si voltò verso Maria guardandola speranzosa e la ragazza
fece una spallucciata ridacchiando contenta. - Michael ha detto che torniamo a
casa... -
Liz chiuse gli occhi curvando la fronte sulla testolina di Jason.
“Finalmente...”
- Signora? -
- Sì? -
Davanti alla sua espressione assorta l’ufficiale accennò un sorriso
comprensivo. - Sua Altezza si riprenderà presto, vedrà. Mi dispiace che
partiate, ma capisco che lei desideri tornare sul suo pianeta... Zan è molto
giovane però è un grande sovrano e io sono fiero di averlo potuto servire. -
- La ringrazio. Lei è davvero gentile... - Imbarazzata, la ragazza andò verso
la finestra e guardò il giardino sottostante, bruciato dal gelo. - Antar è nel
suo cuore, e so che sarà sempre pronto a venire se ce ne sarà bisogno, che mi
piaccia o meno... - Abbassò ulteriormente la voce. - Ma è questa sua grande
disponibilità ad aiutare gli altri che lo rende la persona speciale che è -
Emise un piccolo sospiro prima di voltarsi a fissare l’uomo. - Lei conosceva
la... la versione originale di... Zan? -
- Non personalmente, no. Però so che era molto in gamba. Il re gli aveva
affidato la difesa del pianeta e il comando delle forze armate lo idolatrava.
Era un vero leader, e la sua morte ha provocato una rivolta che ha portato
Antar sull’orlo della distruzione. Quando il suo clone arrivò la prima volta
sul pianeta, due anni fa, ricordo perfettamente l’entusiasmo con cui fu accolto
dai capi ribelli... Io ero appena stato promosso colonnello, non facevo ancora
parte dello stato maggiore, e non ero molto convinto delle sue capacità. Ad
essere sinceri, non mi piaceva il fatto che il vero Zan non esistesse più e che
al posto suo ci fosse quello che ritenevo un pallido sostituto, ma mi ci è
voluto poco per cambiare idea. Sua Altezza è un uomo brillante, carismatico,
non ha perduto nessuna delle qualità del suo originale... E’ un vero peccato
che non intenda rimanere su Antar: sono sicuro che sotto la sua guida diretta
tornerebbe in pochissimo tempo forte e potente -
A quelle parole Liz si mordicchiò le labbra nervosamente. - Sì, forse, ma per
fortuna non è questo che desidera. -
- Già... -
Lei gli sorrise con aria di scusa poi fece un cenno con la testa a Maria. - Io
torno di là. Ci vediamo più tardi, colonnello. -
- Certo, signora - L’uomo le fece il saluto militare e la seguì con lo sguardo
finché non fu di nuovo solo. “E’ poco più che una ragazzina, ma sembra un tipo
deciso. E Sua Altezza la ama davvero. Anche Ava era un tipo deciso, perfino
troppo, ma la loro unione era... strana... Liz di Antar diventerà una gran
donna!” Sorrise tra sé e tornò al suo lavoro.
Quando Max si svegliò vide Liz e si sollevò a sedere. - Scusami, ero molto
stanco... - mormorò a disagio.
La ragazza si accomodò di nuovo sul bordo del materasso consegnandogli Jason,
che aveva subito teso le braccia paffute verso il padre. - Non preoccuparti.
Anche Michael ed Isabel erano sfiniti e sono crollati. Immagino che non sia
stato facile fare qualsiasi cosa abbiate fatto... -
Il giovane si sistemò il bimbo contro il petto senza osare incontrare il suo
sguardo. - Io... no, non è stato facile, ma l’importante è che ci siamo
riusciti. Volnis si dovrà accontentare del suo pianeta, e nel Consiglio di
Antar non siedono più i suoi fantocci per cui le cose dovrebbero finalmente
andare bene... -
- Ottimo! - Liz gli sfiorò dolcemente un fianco. - Quindi più niente FBI sulla
Terra, e fine del pericolo Zoltar. Questo vuol dire che vivremo come qualsiasi
coppia appena sposata? -
Max rise suo malgrado e girò il viso per fissarla negli occhi. - Sì, credo
proprio di sì -
- Evviva! - Si chinò su di lui baciandolo con foga nonostante le proteste di
Jason.
La sala consiliare era gremita. Max, con Liz ed Isabel alla sua sinistra e
Michael e Maria alla sua destra, stava in piedi davanti al Consiglio e
osservava affascinato tutta quella confusione. - Non riesco a crederci... -
disse piano, e Liz lo guardò divertita. - Sei un re molto amato, Max. Ma non
montarti la testa: ricorda che sei anche uno studente indietro con gli esami,
mio caro... -
Rodhya, in rappresentanza di tutta la popolazione, fece un breve discorso di
saluto al termine del quale Max socchiuse leggermente gli occhi. “E bravo il
nostro Rodhya... Non mi hai lasciato molta scelta, vero? Ma forse hai ragione,
è l’unico modo per essere certi che ognuno faccia la sua parte.” Si concentrò e
nelle sue mani apparvero i graniliti. Sentì il brusio della folla e comprese
che stava facendo la cosa giusta. - Io ho fatto tutto quello che potevo per
riportare la pace su Antar. Adesso tocca a voi. Dimostrate a voi stessi che
avete l’orgoglio e la forza di far rinascere un intero pianeta! La famiglia
reale è solo un simbolo, il vero potere risiede in tutti voi. Non dimenticatelo
mai... - Dai graniliti si sprigionò un alone luminoso, e tramite la sua energia
il giovane poté percepire le emozioni di tutti i presenti. Sentì che in quel
momento quella gente era disposta a morire per difendere il suo mondo e sperò
che l’entusiasmo che l’animava rimanesse vivo a lungo. Interruppe il contatto
poi si guardò lentamente intorno. - Ho sentito le vostre menti. Vi prego, non
cambiate. Non cambiate, e questo pianeta tornerà un posto bellissimo in cui
vivere... Vi sono grato per il sostegno che avete dato a tutti noi, e sono
certo che farete lo stesso per il Consiglio. Solo così riuscirete a realizzare
questo sogno. Addio... - Chinò un poco la testa per salutare la folla, poi si
girò verso i consiglieri, imitato da Liz e tutti gli altri, e ripeté il gesto.
Dopodiché lasciò la sala e il colonnello Anders li scortò personalmente fino
alla navetta che li avrebbe ricondotti all’astroporto.
- Addio, colonnello - Liz sorrise all’uomo, che scattò sull’attenti. - E’ stato
un onore conoscerla, signora. Faccia buon viaggio... -
- Grazie -
Anders si rivolse allora a Max. - Una squadra la seguirà fino ai confini dello
spazio aereo antariano. E’ sicuro di non volere che venga con lei fino al
pianeta Terra? -
- Sì, certo. Stia tranquillo, so come difendermi... -
- Non ne dubito. Addio, Altezza -
- Addio... - Max ricambiò il suo saluto poi prese Liz per mano e l’aiutò a
salire a bordo.
Dietro di lui Michael fece lo stesso con Maria prima di tendere il braccio ad
Isabel, che lo fissò incredula. - Michael, non ci posso credere! - sussurrò
sorridendo.
Il giovane accennò un inchino. - Mi piace sorprendere la gente... - Dopodiché
si volse e passò un braccio intorno alla vita di Maria. - Andiamo. Non vedo
l’ora di partire! -
- Non dirlo a me... - La ragazza si appoggiò contro la sua spalla e lasciò che
la guidasse verso la cabina di pilotaggio. - Tocca a te il decollo? - chiese
guardandolo un po’ preoccupata.
- Sì, tesoro. Ok, forse Max se la cava meglio di me, ma non sono poi così
male... -
Liz, invece, era andata subito a sistemarsi su una cuccetta perché Jason aveva
cominciato a reclamare la sua pappa. Max l’aveva seguita ed ora se ne stava a
guardare tranquillamente seduto ai suoi piedi. - Quando potrà cominciare a
mangiare altre cose? - chiese ad un tratto.
Lei lo guardò sorridendo. - Finché posso preferisco allattarlo io. Mi piace
molto... -
- Si vede. Sei una madre splendida, sai? -
Isabel si affacciò sulla soglia e si bloccò imbarazzata. - Scusate, non volevo
disturbarvi -
- Ma no, non disturbi affatto! - Liz la osservò meglio. - Sei preoccupata per
Morgan? - chiese gentilmente.
La ragazza cominciò a scuotere la testa poi si strinse nelle spalle. - Sì. Un
po’... -
- Ciao -
- Ciao, Morgan. Finalmente sono riuscito a trovarti! - David, seguendo il gesto
d’invito del fratello, entrò e si diresse verso il salotto.
- Sono stato molto impegnato per lavoro e sono tornato da Washington solo tre
giorni fa -
- Sì, l’ho saputo. Una volta saresti rimasto là, o saresti andato a New York.
Ricordo il tuo appartamento: ha una splendida vista su Central Park... Ma
sembra che negli ultimi tempi tu abbia sviluppato un notevole interesse per
Roswell. Come mai? Questa città non ha proprio niente, a parte una leggenda
vecchia di quasi sessant’anni! -
- Forse comincio ad invecchiare, e ad apprezzare la calma e la tranquillità -
Chinatosi davanti al mobile bar prese una bottiglia di brandy e un bicchiere. -
Non dire scemenze, Morgan, hai solo trentun’anni... Piuttosto, ho conosciuto
una tua amica. Liz, se non ricordo male... Carina, davvero, ma forse un po’
troppo giovane per te. Devi tenere davvero molto a lei per averle dato le
chiavi di casa tua. Sei sempre stato terribilmente geloso delle tue cose... -
- E lo sono ancora - Il giovane prese a sua volta un bicchiere e si servì una
dose ridotta di liquore.
- Perché sei venuto qui? Cosa vuoi? -
David si accomodò sul divano e sollevò il proprio bicchiere in un silenzioso
brindisi. - Nonostante tutto sei mio fratello, Morgan, e volevo parlarti di
persona... Vedi, io lavoro sempre nella sicurezza interna e... beh, diciamo che
mi è giunta voce di una possibile indagine su di te. - Bevve una lunga sorsata
di brandy poi alzò lo sguardo su di lui. - L’anno scorso fosti mandato qui, nel
New Mexico, per quegli ipotetici avvistamenti di oggetti volanti non
identificati, e dopo un paio di mesi presentasti un rapporto che ha lasciato
perplesse non poche persone... -
Morgan socchiuse gli occhi con espressione dura. - E ci è voluto tutto questo
tempo perché la commissione interna decidesse che era il caso di indagare? Il
mio rapporto era preciso, forse un po’ breve, ma conteneva tutto quello che
avevo scoperto e le conclusioni cui ero giunto. Io sono un investigatore, non
un romanziere... -
- Senti, non ti sto accusando, ti sto solo avvertendo che qualcuno, in alto, ha
deciso di verificare il tuo operato. E ha mandato me -
- Ma sei mio fratello! Non ha senso, non potranno mai essere certi che tu non
abbia cercato di coprirmi! -
- C’è qualcosa che dovrei coprire? -
Il tono mellifluo del giovane fece infuriare Morgan, che posò di scatto il
bicchiere sul tavolino davanti a sé. - No. Io ho fatto indagini molto accurate
e non ho niente da temere da un’indagine interna. Sono solo disgustato dal
fatto che uno stupido caso come quello stia mettendo in discussione la mia
professionalità! E tu, caro fratellino, ci sguazzi allegramente, ammettilo! -
- Beh, sì, l’idea di prenderti in castagna mi sorride, lo confesso... Ma non
voglio che venga cacciato dall’FBI, questo no, puoi credermi! -
“Addirittura cacciato?!? Al diavolo!”-
- Sorpreso, Morgan? - David accennò un sorrisetto agro. - Tu sei sempre andato
per la tua strada, senza guardarti troppo intorno. Non hai praticamente amici e
sul lavoro questo può essere fatale... Sei un ottimo agente, ma qualche volta
hai mancato di diplomazia e ora qualcuno ha deciso di approfittare di questa
tua... leggerezza? superficialità? Chiamala come ti pare, è comunque un osso
che sono decisi a non mollare, e io non intendo rischiare la mia carriera per
te quindi stai tranquillo: farò un lavoro molto molto scrupoloso! Sei
avvertito... - Si alzò bruscamente e depose con forza il bicchiere accanto a
quello del fratello. - Ci vediamo domani -
Morgan l’accompagnò alla porta senza dire una parola poi, voltandosi, vide il
telefono e corrugò le sopracciglia pensoso. Sollevò il ricevitore e compose un
numero che ormai sapeva a memoria. - Sì, buonasera, signora Evans, sono Morgan
Coltrane. Volevo sapere se... Isabel è lì da lei. Ah, non è ancora tornata...
Senta, ma dov’è andata? Possibile che il suo cellulare sia sempre
irraggiungibile? - Ascoltò con crescente risentimento le spiegazioni impacciate
della donna e dovette far forza su se stesso per non interromperla. - Va bene,
signora, grazie. Buona notte... - Riattaccò trattenendosi a stento dallo
sbattere l’apparecchio. “Vai al diavolo, Isabel! Non sei l’unica bella ragazza
del New Mexico, e io mi sono stufato di correrti appresso!” Andò a buttarsi sul
letto e si accese una sigaretta. “Ci mancava solo David! Maledizione, se scopre
la verità ci sarà proprio da ridere... Alieni... Bah!” Fece un anello di fumo e
lo guardò dissolversi lentamente nell’aria.
Intanto, a Roswell, Diane Evans stava cercando di tranquillizzare Nancy, la
madre di Liz. - Loro... sono andati in campeggio... Non so dirti esattamente
dove, pensavano di fare un giro nel deserto. Sai come sono i ragazzi... Amano
l’avventura... -
- Diane, non credo che Liz se ne andrebbe in mezzo al nulla per più di un mese
portandosi dietro un neonato! -
- Jason ha cinque mesi e mezzo, ormai. -
- Non me lo ricordare! - La donna passeggiò nervosamente per l’intera lunghezza
del salotto. - Sei proprio sicura che non abbiano fatto alcun cenno su dove
sarebbero andati con esattezza? Ho anche provato a chiamarla sul cellulare ma
non prende mai... Come fai, tu, ad essere così tranquilla? -
Diane scosse lentamente la testa. - Credimi, Nancy, anch’io sono molto
preoccupata per loro ma sono grandi, ormai, e hanno il diritto di fare quello
che vogliono. Che ci piaccia o meno non sono più dei bambini, e dobbiamo
lasciarli andare... -
- Forse Max e Isabel non sono più bambini, ma Liz lo sarebbe ancora se non
fosse stato per tuo figlio! -
- Ah, è così, allora... Tu... non hai ancora perdonato Max... -
- No. E non credo che riuscirò mai a farlo -
- Max è una persona speciale, perché continui a odiarlo? -
- Perché ha messo incinta mia figlia, e poi l’ha anche abbandonata! -
- Ma soffriva di amnesia! Non ricordava più niente del passato... - Al ricordo
di quei giorni terribili sentì gli occhi riempirsi di lacrime. - ...e quando ha
ritrovato la memoria, l’ha sposata. Questo dovrebbe farti capire quanto si
amino... Accettalo, ti prego... -
- Mai - Nancy incrociò le braccia sul petto in atteggiamento di difesa. - E’
vero, lui le ha salvato la vita quando quella macchina la travolse, ma questo
non gli ha dato il diritto di farle quello che ha fatto! -
- No, certo... Lui... non aveva nessun diritto... L’amore non si compra, si
dona liberamente. E io penso che dovresti avere abbastanza fiducia in tua
figlia da credere che abbia scelto di vivere con Max perché lo ama davvero... -
La signora Parker si arrestò nel bel mezzo della stanza. - Comunque resta il
fatto che Liz e Jason sono spariti dalla circolazione e io intendo fare una
denuncia alla polizia! -
- No, Nancy! Non farlo... - Diane, agitatissima, fece per andare verso di lei
ma la donna raddrizzò le spalle con espressione decisa. - Io sono stanca di
questa storia! Mi dispiace, ma domattina andrò dallo sceriffo. E al tuo posto
farei la stessa cosa: potrebbero anche aver avuto un incidente... -
In quel momento squillò il telefono. Facendo cenno all’amica di aspettare,
Diane andò a rispondere e quasi pianse per il sollievo nel sentire la voce
della figlia. - Isabel! Siete tornati! - Ascoltò con attenzione poi depose il
ricevitore e sorrise con labbra tremanti. - Arriveranno a Roswell domani
mattina... -
- Meglio così -
- Nancy! -
- Cosa c’è? - La donna strinse forte la maniglia della porta prima di voltarsi.
- Sono maggiorenni, e sono sposati. Lasciali in pace, Nancy. Non c’è niente che
tu possa fare per separarli, credimi... -
- Finalmente! - Isabel sorrise soddisfatta nel vedere il cartello che indicava
che mancavano meno di tre miglia a Roswell. - Tutto bene, là dietro? -
Max diede un’occhiata a Liz e Maria, placidamente addormentate l’una contro
l’altra, e annuì sistemando meglio Jason sulle proprie gambe.
Michael si stiracchiò sbadigliando. - Vuoi che ti dia il cambio? -
- No, non ce n’è bisogno, grazie. Piuttosto dimmi, dove preferisci che vi
lasci? -
- A casa dello sceriffo. Maria vorrà salutare sua madre... -
Isabel cercò lo sguardo del fratello nello specchietto retrovisore e ammiccò. -
Stai diventando davvero un bravo ragazzo, Michael! -
Questi fece una smorfia. - Piantala... - borbottò seccato.
Mezz’ora più tardi Isabel parcheggiò davanti casa Valenti. - Ci sentiamo più
tardi, va bene? -
- Sì, certo. A dopo... - Michael mise una mano sulla spalla di Maria e la
sospinse verso la porta d’ingresso.
Quando passarono nei pressi del Crashdown Café Liz si raddrizzò di scatto. -
Isabel, puoi fermarti qui, per favore? Faccio in un attimo... - E senza dare il
tempo a Max di seguirla corse nel locale.
Con una certa esitazione si diresse verso l’appartamento privato dove trovò la
madre intenta a controllare i registri. - Ciao, mamma... - la salutò accennando
un sorriso.
- Ciao, Liz. Finalmente ti sei rifatta viva. Tuo padre ed io siamo stati molto
in pensiero per te. Perché non hai mai telefonato? -
- Io... non potevo... - Liz si mordicchiò le labbra. Non si era aspettata una
simile reazione e non sapeva come fronteggiarla. - Mi dispiace che vi siate
preoccupati, ma il fatto è che... non mi è stato proprio possibile chiamarti...
Comunque siamo... siamo stati molto bene e... Penso che partiremo per
Albuquerque domani o dopodomani... -
La donna si alzò lentamente e fece il giro del tavolo per mettersi davanti a
lei. - Non hai telefonato neppure per farci gli auguri di Natale, e domani è il
trentuno dicembre. -
Liz spalancò gli occhi sorpresa, e sua madre la fissò duramente. - Vuoi forse
dire che non sapevi che giorno è oggi? Liz, dove diavolo sei stata in queste
settimane? -
- In giro. Davvero, mamma, ci siamo spostati di continuo e... e abbiamo perso
il conto dei giorni... Io... Mi dispiace... - Chinò la testa, a disagio, poi
s’infilò le mani in tasca. - Dov’è papà? - chiese con voce sommessa.
- Giù, nel retro. Sta facendo l’inventario -
La ragazza mormorò un saluto e se ne andò.
Anche Jeff Parker fu piuttosto rigido nei suoi confronti, e alla fine Liz lo
affrontò esasperata. - Ma insomma, papà, ho detto che mi dispiace! Non mi sono
resa conto di quanto tempo siamo stati via, e comunque non era possibile
telefonare! Io volevo tanto rivedervi, salutarvi, e invece mi state trattando
come se avessi fatto chissà che cosa! -
- Vedi, Liz, il fatto è che, a quanto sembra, quando stai con Max ti dimentichi
completamente di noi, e noi temiamo che lui ti abbia... plagiata... -
- Cosa?!? - Indietreggiando esterrefatta Liz tese le braccia quasi a frapporre
maggiore distanza tra lei e il padre. - Voi siete completamente impazziti!
Max... plagiarmi? Max? O mio dio... - Girò su se stessa e uscì sbattendosi
dietro la porta.
Risalita sulla jeep guardò dritto davanti a sé. - Ok, possiamo andare - disse
soltanto.
Isabel sentì il cuore batterle forte quando infine imboccò la strada di accesso
a casa sua. “Mamma, papà... Quanto mi siete mancati...” Scese tremando dalla
macchina e fece un profondo respiro. - E’ davvero finita, questa volta.
Potremo... potremo vivere qui per sempre... -
- E’ questo quello che vuoi, Isabel? -
A quelle parole la ragazza si volse di scatto. - Morgan! -
L’uomo si avvicinò lentamente. - Avevo deciso di lasciarti perdere, sai? Ma poi
qualcosa... chissà, forse il mio istinto... mi ha suggerito di venire qui,
oggi. E ti ho trovata - Guardò con espressione impassibile la coppia al suo
fianco. - Strano viaggio di nozze, il vostro... -
- Non è stato un viaggio di piacere. Credevo che lo avessi capito - Isabel era
incerta. Sentiva la sua rabbia, la capiva anche, ma non sapeva cosa fare.
- Veramente mi hai detto così poche cose, prima di andartene, che sarebbe stato
piuttosto difficile capirlo... E mio fratello mi ha informato che sono sotto
indagine interna per il caso dell’anno scorso, qui a Roswell. Credimi, Isabel,
neanche il mio è un viaggio di piacere! -
Sconvolta, la ragazza allungò una mano per suonare il campanello. - Forse è
meglio che tu venga dentro... - mormorò sentendo dei passi avvicinarsi, poi la
porta si aprì e lei quasi venne soffocata dall’abbraccio della madre. - Isabel,
finalmente siete arrivati! -
Anche Phillip Evans fu molto espansivo nei confronti dei ragazzi, poi
s’impossessò del nipotino e indicò il soggiorno. - Venite, Diane ha preparato
una colazione sufficiente per almeno dieci persone! -
Morgan seguì imbronciato il gruppo e Diane gli sorrise comprensiva. - Questi
ragazzi hanno molti segreti - mormorò prendendolo sottobraccio, - e credo che
non sapremo mai tutta la verità. Ma sono i miei figli, ed io li amerò sempre e
comunque. Se davvero ami Isabel, accettala così com’è: con le sue luci e le sue
ombre... -
L’uomo le diede un’occhiata poco convinta prima di guardare Isabel
destreggiarsi con grazia tra piatti e tegami. “C’è un futuro, per noi?” si
domandò mestamente.
- Liz, prendi un po’ di uova! - Phillip porse la scodella alla ragazza, che
tese la mano per prenderla ma poi la fissò sconcertata. - No, non mi vanno... -
Rimise giù la pietanza e deglutì con un certo sforzo. - Scusatemi... - Scostò
in tutta fretta la sedia e corse verso il bagno.
- Ma cosa...? -
Max si alzò per seguirla voltandosi un attimo verso la madre. - Aspetta un
bambino, ed ha appena concluso un viaggio di tre giorni nello spazio,
accidenti! -
La donna cercò lo sguardo di Isabel. - Liz è di nuovo incinta? - domandò mentre
il viso le s’illuminava tutto.
- A quanto pare - La ragazza appoggiò pensosa il mento nel cavo della mano. -
Mi domando se... -
- Se? - la sollecitò la madre, ma lei scosse la testa a disagio. - No,
niente... -
- Niente, Isabel? Perché non finisci quello che stavi per dire? - intervenne
Morgan con tono polemico.
Isabel lo guardò arrabbiata. - Perché non ho altro da dire! Accidenti, Morgan,
la mia vita è già piena di problemi, non mettertici anche tu! -
- Mi spiace, tesoro, ma non posso accontentarti. L’FBI vuole sapere perché nel
mio rapporto ho scritto che non era successo niente di strano, qui a Roswell, e
poco dopo i satelliti hanno scoperto delle astronavi tra i monti del Black
Range! Poi tu e tuo fratello sparite dalla circolazione per quasi due mesi.
Naturalmente, nel frattempo quelle astronavi sembrano essersi volatilizzate,
come la maggior parte degli agenti inviati sul posto per indagare... -
- Giovanotto, ti sarei grato se moderassi il tono! Isabel e Max sono quello che
sono, e se la cosa ti dà fastidio, beh, puoi anche andartene! -
- Phillip! -
- Alieni, signor Evans. Isabel e Max sono alieni -
- Ti sbagli, Morgan! - Isabel scattò in piedi abbassando la voce per la furia
che l’agitava. - Siamo ibridi. Parte alieni e parte umani. Perché hai paura di
noi? -
Davanti alla sua disperazione l’uomo si calmò di colpo. - Io non ho paura di
voi - disse piano, - ma per voi. Per tutti noi. Vogliono la mia testa, Isabel,
e per averla non esiteranno a distruggervi! -
- Perché vogliono la tua testa? - domandò la ragazza tornando a sedersi e
guardandolo attenta.
Morgan si passò una mano tra i capelli con fare stanco. - Vallo a sapere...
Forse do fastidio a qualcuno, oppure vogliono mettere un altro al mio posto,
non lo so... -
- E... sarebbe così grave se tu... lasciassi l’FBI? - chiese lei sottovoce.
L’uomo la fissò a lungo prima di rispondere, conscio dell’attenzione con cui
anche i coniugi Evans aspettavano la sua risposta. - No, in fin dei conti no.
Ma che cosa potrei fare, altrimenti? -
Isabel si mordicchiò pensosa le labbra. - Tu... sei un esperto informatico.
Potresti... non so, lavorare con lo sceriffo... -
- Qui, a Roswell? - Lui sorrise scettico e si appoggiò contro lo schienale
della sedia. - In questo... -
- ...buco nel deserto, sì. E’ un posto tranquillo e a suo modo ricco di
fascino. Ed è qui che si trova l’astronave con cui siamo arrivati sulla
Terra... -
- E tu non vuoi allontanartene, è così? -
- Sì - Isabel lo fissò molto seria. - Noi siamo legati a questo posto -
- Bene... Bene... - Morgan appoggiò il tovagliolo accanto al piatto e si alzò
in piedi. - Grazie per la colazione, signora Evans. Ciao, Isabel, ti chiamerò
io... -
Isabel lo guardò andarsene con gli occhi pieni di lacrime, e sua madre le coprì
la mano con la propria. - Stai tranquilla, tesoro, tornerà... Dagli solo un po’
di tempo... -
Intanto Max teneva dolcemente Liz tra le braccia e le passava un panno umido
sulla fronte. - Va meglio, ora? -
- Sì, grazie. Mi dispiace... L’altra volta non ho mai sofferto di nausee... -
- L’altra volta non ho dovuto guarirti da una ferita alla testa, e non hai
attraversato un’intera galassia... Liz, io... finisco sempre col farti
soffrire... -
- Non dirlo neppure! - La ragazza appoggiò la guancia contro la sua spalla e
chiuse gli occhi. - Stare con te è tutto quello che voglio. Devi rassegnarti,
Max... -
Rimasero così ancora per qualche minuto poi tornarono in soggiorno e sedettero
di nuovo a tavola.
Isabel giocherellò con il cibo nel piatto prima di affrontare di nuovo
l’argomento. - Max, Morgan è sotto indagine interna. Deve... deve decidere
ancora una volta se... tradirci o... lasciare l’FBI... -
Il fratello la guardò impassibile. - Dov’è, ora? -
- Sulla strada per Albuquerque, credo. Se n’è andato via così, senza neppure...
- Si morse le labbra trattenendo a stento un singhiozzo. Aveva tanto desiderato
che la baciasse, e invece...
- Mi dispiace, Isabel. -
La voce gentile di Liz fu come un balsamo per la sua anima. Anche l’amore tra
Liz e suo fratello non era stato privo di incertezze e sofferenza, ma poi aveva
avuto la meglio su tutto. Forse, se Morgan era davvero il suo destino, anche
per lei ci sarebbe stata una speranza di felicità...
- Sentite, ragazzi, lo so che Natale è passato ma... io avevo comprato dei
regali per voi e mi farebbe piacere darveli adesso! Venite, sono ancora sotto
l’albero! - Diane sorrise e li invitò ad andare in salotto.
Jason, che era stato messo nel passeggino, agitò le braccia e le gambe
ciangottando allegramente nel tentativo di chiamare la madre e il padre finché
Isabel lo sollevò per metterlo a terra. Il bimbo gattonò allora a tutta
velocità verso l’altra stanza e Max, guardandolo con affetto, si piegò su Liz.
- Il prossimo è una bambina... - le disse piano.
La ragazza trattenne per un attimo il respiro. - Ne sei certo? -
- Sì - Poi le diede un bacio sulla tempia e, presala per mano, la condusse in
salotto.
Il resto della giornata trascorse tranquillamente poi, dopo aver fatto mangiare
Jason, Liz propose di andare a fare acquisti. - Ho voglia di camminare per la
strada senza dovermi guardare le spalle ad ogni passo! - disse con tono allegro
senza accorgersi dello sconcerto apparso sui volti dei coniugi Evans.
- Ottima idea, così potrò cercare un vestito per la festa di Capodanno! -
Isabel sorrise alla madre. - Ti spiace se invito Michael e Maria a cena,
stasera? -
- Assolutamente, mia cara. E divertitevi! - La donna si chinò per prendere in
braccio Jason. - Tu resti qui, tesoro: non credo che ti piacerebbe andare per
negozi! -
Mentre passeggiavano per le strade affollate del centro Max cinse la vita di
Liz e cominciò a studiare le vetrine indicandole di tanto in tanto qualcosa di
curioso o di molto elegante. Spesso, poi, si chinava a baciarla, e Isabel si
sentiva commuovere nel profondo vedendoli così allegri e spensierati. “Avevo
sperato che Morgan...” Affrettò il passo infilandosi le mani in tasca poi si
fermò davanti a una boutique. “Eccolo!” Si volse per indicare al fratello che
sarebbe entrata in quel negozio, ma mentre varcava la soglia vide un giovane
uomo passarle accanto e bloccare la coppia.
- Salve... Liz, giusto? - David Coltrane fissò attentamente i due. - Ora
capisco perché Morgan è corso qui... -
- Cosa... cosa intende dire? -
- Che è stato per proteggere lei che Morgan si è messo nei guai con quel
rapporto. Una ragazzina che passa da un letto all’altro senza alcuno
scrupolo... -
- Guardi che io non sono mai andata a letto con Morgan! - esclamò alterata Liz.
- E lei farebbe meglio a smettere di tormentare suo fratello! -
- Mm, vedo che le ha raccontato tutto... Il che conferma la mia teoria -
A quel punto intervenne Max, infastidito dal suo atteggiamento. - Senta, lei è
libero di indagare per conto della commissione interna, questo è un problema
suo e di Morgan. Ma Liz è mia moglie e io non voglio che continui ad
importunarla! -
- Morgan finirà con l’essere espulso dall’FBI! -
- Allora lo convinca a dimettersi. Avrà meno noie... -
- Tu, piccolo... Che cosa ne sai, tu, di cosa significhi lavorare sodo per
dieci anni e poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano? -
I tre avevano parlato a voce bassa ma Isabel comprese, dalle loro espressioni,
che stavano litigando. Preoccupata per Max tornò indietro e toccò il braccio di
Coltrane per attirarne l’attenzione. - Salve, sono Isabel, la ragazza di
Morgan. O almeno, lo ero fino a stamattina... -
David spalancò gli occhi per lo stupore. - Wow! - Tese la mano per stringere la
sua. - Sei... sei fantastica! -
Il sorriso di Isabel divenne un po’ meno teso. - Grazie. - Con un piccolo gesto
della mano indicò il negozio in cui voleva entrare. - Liz, ho trovato un
vestito per Capodanno. Ti va di venire con me? -
- Sì, certo... - Liz guardò apprensiva Max, poi Coltrane. - Morgan e Isabel
hanno già tanti problemi, non ci aggiunga anche questo... -
- Isabel... - David si fece pensoso. - Isabel... - Inclinò la testa con fare
interrogativo. - E’ quella Isabel Evans nominata nel rapporto? -
Senza rispondere, Liz gli passò davanti per raggiungere l’amica e sparì con lei
all’interno della boutique.
Rimasti soli, David scrutò attentamente Max. - Perché Morgan ha consegnato un
rapporto così evasivo? Che cosa è successo davvero a Roswell? -
- Lo chieda a lui - Max accennò ad andarsene ma vide arrivare Michael e Maria e
serrò le mascelle.
- Ciao, Max - Michael alzò una mano in segno di saluto. - Anche tu da queste
parti? -
- Sì. Isabel e Liz volevano fare spese. A proposito, siete invitati a cena da
noi, stasera, così potrai riprenderti la jeep... -
Maria, riconosciuto David, spalancò gli occhi. - Ehm, dov’è Liz? - chiese
dondolando impaziente sui piedi.
- Là dentro, con Isabel. -
- Allora... io vado... Ciao... -
- Ciao, Maria. - Max le sorrise prima di voltarsi a guardare Michael. - Abbiamo
un problema -
- Ah sì? E... sarebbe lui? -
- Sentite, ragazzi, non mi piace che si parli davanti a me come se non ci
fossi! -
- Scusi tanto, mister... -
- Michael, falla finita! - Tornò a guardare Coltrane. - Non osi mai più
rivolgersi a mia moglie in quel modo, e per quello che riguarda la commissione
interna dell’FBI faccia come le pare! - Prese l’amico per un braccio e lo
sospinse verso l’interno della boutique.
Mentre varcava la soglia del negozio Michael lanciò uno sguardo di sottecchi a
Max. - Spero che stasera mi racconterai tutto per filo e per segno -
- Sta’ tranquillo... Ah, Liz, come procede? -
- Bene, bene... - La ragazza si strofinò un braccio sorridendo imbarazzata. -
Ehm... Veramente avrei visto un abito che... beh, mi piacerebbe provarlo ma...
ecco, io... -
Max le sfiorò con dolcezza una guancia. - Non ho molti soldi da parte, però
possiamo permetterci un bel vestito per te! Tieni, questa è la mia carta di
credito... - Le porse la tesserina di plastica ma lei scosse la testa. - No,
Max, sono soldi tuoi!... -
- Nostri, amore. Tutto quello che ho è tuo, lo sai... -
Comodamente sistemati nella camera di Max, Michael e Maria ascoltarono
perplessi quello che era successo con Morgan e David.
- Scusa, ma non avevate cancellato dalla mente dei federali ogni ricordo
relativo a voi? - Maria fissò interrogativa Max.
- Solo dei cacciatori. Monitorando la sede dell’FBI abbiamo cercato tracce
precise e lavorato solo su quelle. David Coltrane non ha mai indagato su di
noi, e nella sua mente non c’era nulla che richiedesse il nostro intervento. -
- Quindi, se qualcuno ora scoprisse cosa è successo qui nel 1947, e nel ’59 e
nel ‘99, ricomincerebbe tutto daccapo? -
- Esattamente -
Maria emise un sospiro sconsolato e si appoggiò contro la spalla di Michael. -
Ma che bella notizia! -
Liz guardò pensierosa Max. - Non si potrebbe agire su David? Voglio dire,
fargli dimenticare ogni riferimento ad Isabel contenuto nel rapporto di Morgan?
-
Il giovane le prese una mano tra le sue. - No, sarebbe inutile. Bisognerebbe
risalire ad ogni persona che ha avuto a che fare con quel rapporto, o che ne
conosce anche solo una parte, e non siamo in grado di farlo. Non abbiamo
sufficienti indicazioni da seguire... -
- Allora tutto dipende da quello che farà Morgan? -
Isabel si strinse le ginocchia al petto. - Sì, infatti. - Si mordicchiò le
labbra. - Forse dovrei entrare nei suoi sogni. Magari potrei indurlo a... No,
non posso farlo. Non posso fargli questo... - Chiuse gli occhi e una lacrima le
brillò sulle lunghe ciglia. - E’ tutta colpa mia... - mormorò con voce
spezzata.
Il fratello tese un braccio verso di lei e la prese affettuosamente per la
spalla. - Non è vero, Isabel. E’ solo una sfortunata coincidenza: qualcuno sta
cercando di silurare Morgan, e ha deciso di servirsi di quel rapporto. Tu non
c’entri affatto... -
- Bene, allora aspettiamo e vediamo cosa succede. Vorrà dire che se la
situazione volgerà al peggio cominceremo col ripulire la mente di David
Coltrane, e dopo... - Michael si strinse nelle spalle, poi si stiracchiò e
scompigliò i capelli di Maria. - Andiamo giù, adesso: ho una fame da lupi! -
Diane Evans sorrise nel vedere tutti quei ragazzi seduti alla sua tavola. Max
ed Isabel non avevano mai avuto molti amici, e a volte lei aveva sentito la
mancanza di ragazzini indiavolati che si rincorressero tra le mura di quella
casa fin troppo silenziosa. Ma adesso c’erano Liz, e Maria e Michael, e chissà,
forse un giorno ci sarebbe stato anche... Guardò con tenerezza sua figlia poi
si riscosse. - Allora, avete trovato quello che cercavate? -
Isabel sorrise passando alla madre il cestino con il pane. - Sì. Però non puoi
vederlo: dev’essere una sorpresa per tutti!... -
- E’ una bella iniziativa quella della West High, vero? -
- Sì, papà. Sarà divertente rivedere i vecchi compagni di scuola... Penso che
ci andrà la metà degli abitanti di Roswell... -
- Bene, sarà senz’altro una festa di Capodanno diversa dalle solite! -
- Michael, vuoi ancora dell’arrosto? -
- Sì, certo. Signora Evans, lei cucina divinamente! -
L’indomani sera Max e Michael rimasero sbalorditi nel vedere Liz, Isabel e
Maria scendere le scale interne di casa Evans. Indossavano tutte e tre un
vestito lungo, Liz di paillettes dorate, Isabel di velluto color granato e
Maria di seta verde scuro. Si erano pettinate in maniera simile, con i capelli
morbidamente raccolti sulla nuca e qualche ciocca sapientemente lasciata libera
intorno al viso.
- Ragazze, siete stupende! - Phillip Evans si avvicinò ad Isabel porgendole il
braccio sinistro. - Mia cara, spero mi concederai l’onore di accompagnarti!
Sempre ammesso che tua madre me lo consenta... -
- Ma certo, Philllip! - Diane sorrise al marito e guardò Max andare verso Liz
con occhi scintillanti. “Oh, tesoro, sono così felice per voi due...”
Quando arrivarono davanti alla scuola c’era già una quantità incredibile di
gente e il gruppo si mescolò subito alla folla. C’erano anche Jim Valenti e sua
moglie Amy, e Kyle in compagnia di una bella biondina che presentò come sua
collega di corso. Lo sceriffo salutò con affetto sincero i fratelli Evans e
Michael e fece molti complimenti alle ragazze, poi riconobbe le note del brano
che stavano suonando in quel momento e, chiedendo scusa, si allontanò con Amy.
Dopo un po’ anche Michael e Max invitarono le loro compagne a ballare e Isabel
si allontanò in cerca delle sue vecchie amiche.
Mancavano circa venti minuti a mezzanotte quando la ragazza si sentì prendere
per mano. Si girò sorridendo per vedere chi fosse ma trasalì e sentì una
vampata di calore salirle in volto. - Ciao... -
- Ciao, principessa - Morgan l’attirò a sé e cominciarono a ballare.
Mentre si muovevano al ritmo della musica il giovane riandò col pensiero ai due
giorni appena trascorsi. Dopo essere tornato ad Albuquerque aveva vagato a
lungo per la città, poi era tornato a casa dove lo aveva raggiunto il fratello.
Avevano parlato fino a notte fonda, dopodiché si era addormentato sul divano e
l’indomani mattina era andato di nuovo in giro per le vie del centro. Quando,
per la quinta volta, si era soffermato davanti alla vetrina di una gioielleria
molto rinomata aveva capito che il suo inconscio stava cercando di suggerirgli
qualcosa. Così era entrato, poi era tornato a casa e aveva messo un cambio di
abiti nel borsone da viaggio prima di prendere la macchina per dirigersi verso
sud.
Quando la canzone ebbe termine il giovane rimase fermo in mezzo alla pista poi
indicò un punto tranquillo. - Vieni, ho bisogno di parlarti... -
Isabel lo seguì sforzandosi di nascondere l’ansia che provava. - E’ per questo
che sei tornato a Roswell? Volevi... parlarmi? -
- Sì - Passando vicino ad un tavolo Morgan prese due bicchieri e ne porse uno
alla ragazza. - Per il brindisi di mezzanotte - le disse sorridendo.
- Grazie. - Isabel si guardò intorno fingendo noncuranza.
- Sei bellissima, stasera... - L’uomo le prese un ricciolo tra le dita. - La
prima volta che ti ho vista ho pensato che i tuoi capelli fossero d’oro fuso..
-
- Morgan... -
- Isabel - la interruppe lui cercando i suoi occhi, - io ti amo. Con tutto il
cuore. Ho chiamato il mio direttore, prima di tornare a Roswell, e ho
rassegnato le dimissioni. Non sono più un agente federale, e il tuo segreto è
al sicuro per sempre. -
Lei fece per parlare ma Morgan le mise un dito sulle labbra. - Shh, non ho
ancora finito... - Prese i bicchieri e li appoggiò sul bordo della finestra
alle sue spalle, poi s’infilò la mano in tasca per estrarne una scatolina. -
Io... desidero sposarti. Vuoi essere mia moglie? -
Troppo stupita per riuscire a dire una sola parola Isabel lasciò che le
infilasse l’anello, un cerchietto d’oro con uno smeraldo al centro, poi gli
gettò le braccia al collo. - Sì, Morgan. Anch’io ti amo con tutto il cuore... -
Mentre si baciavano qualcuno cominciò il conto alla rovescia e di colpo fu un
volare di coriandoli, grida festose e tintinnare di bicchieri. Inconsapevoli
del caos tutt’intorno a loro, i due giovani continuarono a baciarsi
appassionatamente finché furono interrotti da Max e Liz, con due bicchieri
ciascuno.
- Auguri di buon anno, Isabel! - Max porse sorridendo un calice alla sorella e
Morgan prese quello che gli porgeva Liz.
- Buon anno a te, Altezza... Signora... - Isabel sollevò il bicchiere brindando
con i due giovani e bevve un sorso di champagne.
- Auguri, Morgan - Liz toccò piano il calice dell’uomo. - Vedo che hai fatto la
tua scelta... -
- Già. - Morgan diede uno sguardo incuriosito a Max. - Problemi? -
- Affatto. Sono solo molto contento per Isabel - Il ragazzo sorrise alla
sorella, che lo abbracciò con affetto. - Ti voglio bene... -
Notando l’espressione con cui Morgan fissò Max mentre si allontanava insieme a
Liz, Isabel scoppiò in una risatina divertita. - Non essere geloso, non ce n’è
bisogno... E non pensare di competere con lui: perderesti di sicuro! - Bevve un
altro sorso di champagne e guardò il fratello baciare la mano di Liz. - E’
riuscito a fermare una guerra interstellare ed una planetaria nello stesso
momento. Max... è Max. -
Morgan vide il volto radioso di Liz e scosse lentamente la testa. - Sono...
incredibili... -
- Sono innamorati - Isabel gli tolse il bicchiere e lo mise accanto al suo. -
Vieni, balliamo... -
Era trascorso quasi un mese da quando Max, Liz ed Isabel avevano fatto ritorno
ad Albuquerque.
Morgan aveva comprato una villetta a Roswell e vi si era trasferito
stabilmente, in attesa che Isabel finisse gli studi e potessero sposarsi, poi,
con Michael, aveva aperto un’agenzia di investigazioni.
Isabel, invece, aveva preso una stanza nel campus ma andava spesso a cena da
Max e Liz, cui la gravidanza non aveva più dato problemi.
Una sera, mentre Max stava raccontando una favola al figlioletto per farlo
addormentare, Liz ripose il libro di fisica sul comodino e, aprendo il cassetto
per prendere una camicia da notte pulita, trovò il suo diario. “Oh! Deve aver
finito di leggerlo...” Si sistemò il cuscino dietro la schiena per stare più
comoda e sfogliò in fretta il quaderno. Giunta all’ultima pagina scoprì che lui
aveva scritto una frase. “Grazie per il tuo amore, Liz Parker Evans. Max” Con
la punta del dito sfiorò commossa quelle semplici parole, poi sorrise e
appoggiò la penna sul foglio.
“Caro diario, con il nuovo anno è iniziata un’altra fase della mia vita. Sono
sposata, adesso, e ho moltissime cose da fare, e il college è sempre più
impegnativo, ma sono felice perché con me ci sono Jason e Max, e la piccola
Shiri. Questa volta il nome lo ha scelto Max: ha detto che a lei è piaciuto...
Ora il mio amore è finalmente sereno. Lo vedo ogni giorno nei suoi occhi. E
ogni notte, quando si addormenta tra le mie braccia. Papà e mamma continuano a
non capire, e mi dispiace per loro. Perché Max è speciale, e conoscerlo,
conoscerlo davvero, ti fa diventare una persona migliore. Ti amo, Max. Con
tutta l’anima. Liz”
Scritta da Elisa |