Riassunto: E’
il giorno del diploma. Il giorno in cui, secondo le premonizioni di Liz, si
compirà il loro futuro, e Max cerca di guadagnare il tempo necessario perché la
ragazza che ama più di se stesso ed i suoi amici possano salvarsi. Ironia della
sorte, sarà la rivelazione dell’ennesimo tradimento a consentire la
sopravvivenza del gruppo.
Data di stesura:
dal 6 maggio al 28 giugno 2005.
Valutazione:
adatto a tutti. Magari, i più piccoli è meglio mandarli a giocare da qualche
parte...
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla Jason Katims Productions / Regency
Television - 20th Century Fox, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
Indirizzi e-mail:
ellis@roswellit.zzn.com
Nota dell'autrice:
Trattandosi di una versione alternativa a quanto avrebbe potuto accadere
rispetto a ciò che abbiamo visto in televisione, ho inserito alcuni riferimenti
all’episodio originale.
Max stava ancora parlando davanti al
pubblico attento e incuriosito. I suoi genitori e Jesse Ramirez ascoltavano con
l’angoscia nel cuore, mentre Amy DeLuca era distratta e perplessa, non sapendo
come interpretare lo strano comportamento di Isabel e degli altri ragazzi.
Appena fuori della sala Kyle, Maria e Liz si liberarono dei loro abiti da
cerimonia per non dare nell’occhio mentre lasciavano l’edificio scolastico.
Seguirono la giovane aliena senza fiatare, consapevoli del mortale pericolo che
stavano correndo.
Si addentrarono per le vie di Roswell finché furono sicuri di non essere
pedinati poi Isabel prese la direzione di casa sua. Lì avrebbe potuto
recuperare il denaro che teneva sempre di scorta per le emergenze e le chiavi
dell’auto. Certo sarebbe stato preferibile usare la macchina di Jesse, molto
più spaziosa, ma non aveva osato arrischiarsi a prenderla, al parcheggio della
scuola. E poi... e poi avrebbero dovuto trovare il modo di sopravvivere... Non
voleva pensare a Max, non poteva!
Stavano per entrare nell’appartamento quando Liz si portò le mani alle tempie
gridando disperata. - Nooo! -
Isabel la udì e corse fuori dalla camera da letto per andare a controllare.
Trovò Liz singhiozzante e Maria che la stringeva a sé per confortarla. Rimase a
guardarle ammutolita finché incontrò lo sguardo desolato di Maria, e comprese.
Il viso le si rigò di lacrime. Si fece forza per mantenere ferma la voce. - Ok,
non possiamo più restare qui. Andiamo! -
- Dammi le chiavi, guido io. - Kyle tese una mano verso di lei.
Per un attimo Isabel sembrò non vederla poi, senza dire nulla, lanciò il
piccolo mazzo che stringeva convulsamente fra le dita.
Facendo ruggire la moto Michael affrontò la breve scalinata che portava
all’interno della West Roswell High School e percorse i corridoi bui e
silenziosi fino ad arrivare all’auditorium. In tempo per scorgere Max
scaraventato all’indietro. Come al rallentatore vide il suo corpo accasciarsi a
terra e urlò di rabbia e dolore. - Nooo! - Era giunto troppo tardi! Per una
manciata di stupidi secondi, quanto aveva impiegato a riflettere sulla cosa più
giusta da farsi, non era riuscito a salvare il suo migliore amico. Suo
fratello. Il suo re.
Il cuore spezzato, gli occhi lucidi di lacrime a malapena trattenute, fece
compiere alla motocicletta un mezzo giro e distese il braccio destro in
direzione dei cecchini visibili oltre la balaustra di protezione sovrastante la
platea. Bastardi! - gridò liberando energia dalla mano. Un’energia distruttiva
che polverizzò letteralmente gli uomini armati cui la rapidità del suo
intervento non aveva dato modo di mettersi al riparo.
Con l’esplosione dei primi colpi, quelli che avevano stroncato la vita di Max,
gli studenti e gli invitati, colti dal panico, si erano dati alla fuga. Fuga
che, quando i muri cominciarono a sgretolarsi sotto la furia incontrollabile di
Michael, si trasformò in caos totale.
Soltanto quattro persone erano rimaste immobili ai propri posti, annichilite da
quanto avevano appena visto.
Il primo a reagire fu Phillip, il quale sospinse Amy verso Jesse. - Portala via
di qui! Anche tu, Diane! Presto! Andatevene! Qui sta crollando tutto! -
La donna accennò un moto di protesta. - Max! Santo cielo, hanno sparato a Max!
Potrebbe... potrebbe... - Non riuscì a finire la frase perché scoppiò in
singhiozzi, ed il marito la strinse in un rapido abbraccio. - A lui ci penso
io, tesoro. Tu va’ via, mettiti in salvo! - Fece poi un cenno d’intesa al
genero, che senza perdere altro tempo la prese con fermezza per un braccio e la
trascinò fuori da quell’inferno.
Phillip Evans si slanciò allora verso il palco mentre Michael, dopo essersi
accertato che non fosse sopravvissuto nessuno di coloro che avevano ucciso Max,
per la prima volta abbassava lo sguardo sul suo volto pallidissimo. Già una
volta era morto. Alla Meta Chem. Ma allora era stato diverso. Non ne aveva
visto il cadavere, e l’essersi dovuto occupare di Isabel, gravemente ferita,
gli aveva impedito di abbandonarsi al dolore. Poi c’era stato quel breve
periodo di follia dovuto all’inattesa acquisizione del sigillo reale, ma
stavolta niente poteva proteggerlo dall’orribile realtà. Appoggiò un piede a
terra reclinando la moto così da poter raggiungere il corpo dell’amico.
- Max? -
La voce dell’uomo giunse inattesa. Rialzò di colpo la testa e lo guardò
attraverso la fessura del casco.
- E’ morto? -
Il giovane rimase immobile, e lui si chinò a controllare. Il foro sulla fronte
era pulito, dai contorni netti, mentre quello all’altezza del cuore era quasi
invisibile, mimetizzato dal tessuto della toga impregnato di sangue. Il respiro
gli mancò per un attimo.
- Lo sollevi e lo sistemi dietro di me - Aveva la gola stretta per le violente
emozioni che stava provando e le parole gli uscirono soffocate.
Davanti all’espressione sbigottita dell’avvocato fece una smorfia. - Non
intendo lasciare che mettano le mani su di lui. Non permetterò che ne facciano
scempio per i loro schifosi esperimenti! -
L’uomo sussultò. Non era al corrente delle torture cui Max era stato sottoposto
in passato, ma non ebbe alcuna difficoltà a capire quello che intendeva. - Hai
ragione. -
Con un po’ di fatica riuscì a fare quanto richiesto da Michael poi, presi
alcuni degli striscioni di stoffa che avevano decorato la sala, li passò dietro
la schiena del figlio per annodarli intorno ai suoi fianchi.
- Così non dovrebbe cadere... - mormorò alla fine.
- Vegli su Amy, e stia attento anche lei -
- Puoi contarci, Michael. Buona fortuna -
Con un’abile torsione del polso diede gas e lanciò la motocicletta attraverso
il varco irregolare lasciato dalle sedie capovolte.
Mentre l’acuto stridore delle sirene di polizia ed ambulanze si avvicinava
sempre di più Phillip Evans si affrettò a dileguarsi prima che qualcuno potesse
vederlo.
Fu l’istinto a guidarlo fino all’abitazione di Isabel e Jesse e, dopo aver
nascosto la moto nel garage, si sfilò il casco e lo appese al manubrio. Con
entrambe le mani afferrò poi gli avambracci di Max mentre, muovendosi cauto,
scendeva dal veicolo. Solo allora disfece il nodo della stoffa e, giratosi, lo
sollevò di peso.
Quando varcò la soglia dell’appartamento Liz era lì, davanti a lui. Vedendo il
corpo esanime chiuse gli occhi e svenne.
Mentre Kyle si prendeva cura della ragazza, Michael distese il suo triste
fardello su un divano.
Lottando per trattenere i singhiozzi, Isabel si inginocchiò accanto al fratello
e gli accarezzò i morbidi capelli scuri. Era salito sul palco per attirare
l’attenzione su di sé, in modo che noi potessimo allontanarci... - spiegò con
voce soffocata. - Perché non ha usato lo schermo di energia per proteggersi? -
chiese poi, senza aspettarsi davvero una risposta.
- Forse non si aspettava che avrebbero agito così allo scoperto e non ha avuto
il tempo di attivarlo prima di venire colpito... - Michael si passò una mano
sul volto teso. - Gli hanno sparato davanti a tutti -
- Ma sapeva che sarebbe successo questa sera! Sapeva cosa rischiava salendo su
quel palco! - obiettò lei.
- Sarà stato colto di sorpresa. Voglio dire, era pieno di militari, e non era
possibile prevedere da dove sarebbe arrivato il colpo...
L’aliena lo guardò implorante. - Non puoi fare niente per lui? -
- Io... non lo so... - Così dicendo si accovacciò al suo fianco e sfiorò la
ferita sulla fronte dell’amico. Sentiva già il sigillo reale premergli nel
petto, come era successo in passato quando Max si era disintegrato alla Meta
Chem, e come allora doveva averne ereditato i poteri specifici. Forse... Si
concentrò con tutto se stesso, e dopo qualche istante il foro lasciato dal
proiettile scomparve lasciando la pelle di nuovo liscia.
A pochi passi da loro, Maria osservava in silenzio la scena. Per un attimo
sentì il cuore batterle con violenza. Sì, Michael ci stava riuscendo! Poi, con
suo grande sgomento, lo vide ricadere all’indietro sui talloni, un’espressione
disfatta sul viso. Lo chiamò piano, interrogativa.
- Devono aver mirato alla testa apposta... - mormorò il ragazzo serrando i
pugni. - Non c’è nulla da fare. E’... è definitivo... - Trasse un profondo
respiro mentre una lacrima solitaria gli scivolava lungo il viso. - Dobbiamo
distruggere il suo corpo perché quei maledetti assassini sarebbero capaci di
trafugarlo e ridurlo a brandelli per scoprire il più possibile su di noi. -
Isabel annuì quasi impercettibilmente. Sapeva che era la cosa migliore da
farsi, ma metterla in pratica era tutta un’altra faccenda. Non avrebbe più
visto quel viso tanto amato... Oh sì, c’erano state delle occasioni in cui lo
aveva odiato dal profondo dell’anima, però, con quel che era successo in
seguito, aveva capito il perché del suo atteggiamento e si era data della
stupida per non aver saputo riconoscere i segni. Max era stato manipolato con
suprema abilità da quella vipera di Tess, e né lei né Michael se ne erano resi
conto. Anzi, si erano allontanati da lui, lasciandolo in balìa del piccolo
mostro...
Con la coda dell’occhio colse un movimento al suo fianco. Liz. Allora si tirò
un poco indietro per farle spazio e la osservò mentre si sedeva sul bordo del
divano.
Un’espressione straziata nei grandi occhi umidi, la giovane si abbassò per
deporre un bacio sulle labbra esangui dell’amore della sua vita, con la segreta
speranza che anche questa volta l’energia che scorreva dentro di lei operasse
il miracolo. Ma non accadde nulla, nessun fremito delle palpebre, nessun
sospiro, nessun risveglio.
- Non abbiamo tempo da perdere. Mi dispiace, Liz... - Così dicendo Michael le
mise una mano sulla spalla e l’aiutò a rialzarsi, poi appoggiò il palmo aperto
sul torace dell’amico e fissò con intenzione Isabel, che lo imitò.
Subito dopo la ragazza tolse la mano scuotendo la testa. - No, non posso
farlo... - bisbigliò.
- Isabel, dobbiamo! Avanti, coraggio! -
Liz fissò i resti mortali di Max un’ultima volta prima di girarsi verso
l’amica. - Fallo per lui, ti prego... Lo hanno ucciso - Quasi si strozzò su
quella parola, ma si costrinse a proseguire. - Non devono anche profanare il
suo corpo...
Piangendo in silenzio Isabel tese di nuovo il braccio e stavolta mantenne il
contatto.
Poco dopo, sotto lo sguardo attonito di Kyle e Maria, rimase solo un mucchietto
di cenere impalpabile. Questione di secondi, e anche quella si dissolse del
tutto.
Resosi conto che Liz stava ondeggiando pericolosamente, Valenti si affrettò a
passarle un braccio intorno alla vita per sostenerla mentre perdeva di nuovo i
sensi. Mormorando un’imprecazione chiamò ad alta voce Michael, che si volse e
imprecò a sua volta vedendo la ragazza svenuta.
- Prendile tu -
L’alieno afferrò il mazzo di chiavi che l’altro gli tendeva e senza dire una
parola si diresse verso il garage.
Dietro di lui, Isabel sgranò gli occhi. - Michael! -
Udendo l’urgenza nella sua voce si fermò. - Cosa c’è? - chiese brusco.
- Sei ferito!? -
Maria, che gli camminava al fianco, lo fissò sconvolta. - Oddio... -
- No - fu la pronta risposta.
- Hai... hai il giubbetto sporco di sangue... - spiegò allora lei, incapace di
distogliere lo sguardo dalle macchie scure.
Michael serrò le mascelle. - Non è mio - disse soltanto.
A quelle parole Isabel divenne bianca come un lenzuolo e nuove lacrime le
rigarono il viso. Tese una mano tremante per sfiorare il sangue del fratello.
“Max...” Con un sospiro chiuse gli occhi e si concentrò. Le macchie
scomparvero.
Pochi minuti più tardi erano tutti e cinque a bordo dell’automobile, Isabel
seduta al posto del passeggero, Maria e Kyle dietro, con Liz abbandonata contro
la sua spalla.
Il giovane era preoccupato. - Ha le mani gelide - mormorò ad un tratto.
L’aliena guardò Liz di sfuggita. - Dev’essere lo choc... -
- Puoi fare qualcosa? -
- No, mi spiace. Tieni, coprila con questo. - Così dicendo gli porse un golfino
che, insieme a poche altre cose, aveva gettato alla rinfusa in una sacca di
tela.
Riconoscente, Kyle lo prese e con l’aiuto di Maria le infilò l’indumento.
Lasciatisi alle spalle la città, avevano imboccato la strada per il deserto
quando, nell’attraversare un tratto boscoso, Michael si accorse di essere
seguito. Stringendo il volante così forte da far sbiancare le nocche, non
appena l’ampiezza della carreggiata lo permise frenò mettendosi di traverso e
scese dall’auto con la ferma intenzione di eliminare chiunque li minacciasse.
Tutto avvenne in un attimo. La macchina inseguitrice si arrestò di colpo a
pochi metri dalla loro e, nonostante la luce dei fari l’abbagliasse, Isabel
riuscì a distinguere parte della targa. Mentre Michael si preparava ad
attaccare spalancò lo sportello. - Fermo! E’ Jesse! - urlò correndo verso di
lui.
Non del tutto convinto, Michael abbassò leggermente il braccio mantenendo tutti
i sensi all’erta per cogliere il benché minimo segno di pericolo.
Ma si trattava proprio del giovane avvocato il quale, immaginando che avrebbero
cercato di abbandonare Roswell il prima possibile, aveva deciso di tentare la
sorte e aveva puntato verso il deserto. Un luogo per cui sua moglie sembrava
nutrire una particolare predilezione. E aveva vinto la scommessa: Isabel era
lì, a pochi passi di distanza, lo splendido viso una maschera d’angoscia.
Poi lei gli si precipitò fra le braccia sussurrando il suo nome.
- Vengo con voi. -
- No... Jesse, non puoi... -
L’uomo protestò, cercò di farle capire che non gli importava il lavoro a
Boston, la carriera e una vita normale, perché l’amava e quella era l’unica
cosa che contasse, ma Isabel, non volendo coinvolgerlo ulteriormente, lo
supplicò e lo pregò di partire, di ricominciare daccapo.
Fu una prova molto dolorosa, per l’aliena, e alla fine Jesse capitolò. Un
ultimo disperato abbraccio, un ultimo bacio, poi i due si separarono, forse per
sempre.
- Aspetta! - Accennando alla propria vettura, lui le sorrise. Un piccolo
sorriso triste. - Perché non prendete questa? Viaggerete più comodi... -
Isabel esitò. Da un lato era quello che aveva desiderato: in tre, sui sedili
posteriori, dovevano stare davvero stretti. Dall’altro, temeva che l’Fbi
avrebbe potuto fare del male a Jesse per averli aiutati nella fuga. Poi si
diede della stupida. L’Fbi aveva già cercato di eliminarlo. Per il solo fatto
di averla sposata non sarebbe mai stato veramente al sicuro... Inspirò a fondo,
mentre le lacrime le pungevano dietro le palpebre. - Grazie. - disse sottovoce.
Fece poi un cenno a Michael, che si affrettò ad aiutare Kyle con Liz. La
ragazza stava cominciando a riprendere i sensi, ma era debolissima e si
appoggiò pesantemente all’amico.
Jesse Ramirez rimase in silenzio mentre avveniva lo scambio dopodiché, a testa
china, raggiunse l’auto della moglie e sparì nella notte.
Avevano percorso poche miglia quando la vista di luci lampeggianti strappò una
smorfia a Michael. “E adesso?”
Stavolta fu Kyle ad andare incontro al nuovo potenziale pericolo, preferendo
che l’alieno rimanesse a protezione del gruppo.
Si trattava però di Jim Valenti che, non avendo potuto presenziare alla
cerimonia del diploma del figlio, era stato messo al corrente da Evans del suo
tragico epilogo.
I due si scambiarono solo poche frasi, poi l’uomo si offrì di scortarli fino in
Arizona. Si abbracciarono con forza, consapevoli che ormai le loro vite erano
ad un bivio.
Quando ripresero il viaggio, nella macchina regnava una grande tensione.
L’enorme gravità della perdita subita pesava come un macigno su ciascuno degli
occupanti, in particolar modo su Liz. Annientata dal dolore, lo sguardo vuoto e
spento, aveva reclinato il capo sulla spalla di Maria e non aveva pronunciato
una sola parola dal momento in cui era tornata in sé.
In ansia per lei, la ragazza aveva intrecciato le loro dita cercando di darle
un po’ di conforto ma non riusciva a liberarsi della terribile sensazione che
la sua anima fosse altrove, lontana mille miglia da quell’abitacolo immerso
nell’oscurità, persa in un mondo interiore fatto di sofferenza infinita. E non
si accorse del leggero tamburellare della sua mano sinistra sul sedile, nel
ristretto spazio che la separava dallo sportello.
Michael continuò a guidare fino alle prime luci dell’alba.
Avevano puntato a nord, poi deviato verso ovest percorrendo strade secondarie.
Oltre trecento miglia, finché il confine fra il New Mexico e l’Arizona aveva
costretto Jim Valenti a fermarsi. Era rimasto a lungo in piedi accanto alla sua
auto seguendo con lo sguardo la sagoma dell’altra vettura proseguire la sua
corsa rimpicciolendosi sempre di più fino a scomparire del tutto. Mentre il
sole iniziava a fare capolino smorzando i colori lividi del cielo si passò una
mano sulla fronte. Quel che era successo il giorno precedente era semplicemente
spaventoso. Max Evans era stato un bravo ragazzo, degno del massimo rispetto,
pieno di attenzioni per le persone che facevano parte della sua famiglia. Una
famiglia che non si limitava alla sorella e ai genitori, ma comprendeva
l’intero gruppo di amici che, piano piano, erano entrati a far parte della sua
vita. Come lui stesso, e Kyle. Dio, non avrebbe mai dimenticato il giorno in
cui glielo aveva restituito. Il giorno in cui, nel tentativo di proteggere lui
e Michael, aveva involontariamente colpito a morte il suo unico figlio. Poteva
intuire come dovevano sentirsi Diane e Phillip e, non appena fosse stato di
nuovo a Roswell, sarebbe andato a trovarli. Non solo perché era suo dovere, ma
anche per tranquillizzarli sul buon esito della fuga dei ragazzi.
Un’ombra gli velò lo sguardo. Kyle gli aveva accennato quel che era successo a
Liz e lo aveva avvertito di fare molta attenzione quando si fosse reso conto
che qualcosa, dentro di lui, stava cambiando: probabilmente prima di un paio
d’anni gli effetti collaterali dell’intervento di Max non si sarebbero
manifestati, ma alla fine sarebbe successo e allora anche lui avrebbe dovuto
guardarsi dall’Fbi. Aveva provato una strana sensazione nel sentirsi mettere
sull’avviso da lui, ed in quel momento aveva realizzato come Kyle fosse
cresciuto. Non era più un adolescente ma un uomo responsabile, di cui essere
fieri. Sperò con tutto se stesso che riuscisse a cavarsela insieme agli altri.
Con un profondo sospiro si calcò il cappello e risalì a bordo dell’auto di
pattuglia.
Sentendo la stanchezza cominciare a farsi sentire, Michael pensò di chiedere ad
Isabel di dargli il cambio ma una rapida occhiata al suo viso disfatto gli fece
cambiare idea. Allora mise la freccia ed accostò. - Kyle, ti spiace? - domandò
osservandolo dallo specchietto retrovisore.
- Affatto - Il ragazzo scese e si affrettò a sostituirlo al posto di guida. In
silenzio reinserì la freccia e si concentrò sulla strada. Quello era l’unico
modo per non pensare a Liz, al suo respiro rallentato, al suo corpo
innaturalmente rilassato in un sonno comatoso. Sarebbe mai riuscita a superare
il trauma della morte di Max?
A metà mattinata, dopo una rapida consultazione con Michael ed Isabel, si fermò
in un punto di ristoro e andò a comprare qualcosa da mangiare per tutti. Era
meglio che si facessero vedere il meno possibile, e da solo non avrebbe dato
nell’occhio...
Mentre sbocconcellava controvoglia una ciambella Maria si guardò intorno. Il
panorama era brullo, come quello che si erano lasciati alle spalle, e
all’improvviso pensò che non voleva più saperne del deserto. - Dove si va,
adesso?
- Che ne dite dello Utah? E’ un posto abbastanza tranquillo. Potremmo
attraversarlo con calma e vedere dove sistemarci. Voglio dire, non è che
possiamo passare il resto della nostra vita vagando da una città all’altra... -
propose Kyle.
- Assolutamente no! Max e Liz erano finiti nelle prigioni di Salina, tempo fa,
e non ho alcuna intenzione di rimettere piede in quello stato! - obiettò con
veemenza Isabel rischiando di rovesciarsi addosso il bicchiere di plastica
pieno di caffè bollente.
- Già. Colorado? - suggerì Michael.
- Ok - accettò di buon grado il giovane Valenti.
- Qualcuno è interessato alla mia opinione? - borbottò Maria poco dopo, visto
che nessuno le chiedeva nulla.
Michael sbuffò. - Allora? -
Lei strinse con forza la ciambella sbriciolandola. - Va bene ovunque, purché
sia presto! Liz sta male, ve ne siete accorti? -
Entrambi gli alieni si voltarono ad osservare il volto pallido della loro
amica, ancora sprofondata nel sonno, e gli occhi di Isabel si incupirono. -
Vada per il Colorado - mormorò tesa. Ora che Max non c’era più spettava a lei
il compito di prendersi cura della ragazza che suo fratello aveva sempre amato.
L’unico essere vivente che, in un certo senso, le facesse sentire ancora la
presenza di Max. Aveva perso i suoi genitori, Jesse... Se avesse perso anche
Liz, cosa le sarebbe rimasto? Michael aveva Maria, ma lei? Cercò di allontanare
quei pensieri morbosi, tuttavia era perfettamente consapevole di trovarsi ad un
passo dal baratro...
Continuarono a spingersi verso nordest fin quando giunsero a Montrose, una
cittadina senza troppe pretese, nei pressi del parco nazionale del Black
Canyon. Avevano bisogno di riposo e di pianificare bene il da farsi. La piccola
riserva di denaro di Isabel non era inesauribile e, mentre era possibile
ricorrere ai poteri di cui sia lei che Michael erano dotati per trasformare
l’acqua in benzina per la macchina, per i pasti la faccenda era ben diversa.
Dovevano trovare quanto prima un luogo in cui stabilirsi e cercare un lavoro.
Nascondersi in piena vista, come diceva Kyle, per non destare sospetti nella
gente, per non attirare l’attenzione su di loro.
Rimasero a Montrose un paio di giorni. Avevano preso due stanze nel motel più a
buon mercato che erano riusciti a trovare, e Michael aveva addirittura dato una
mano nelle cucine di un fast food in sostituzione di un cuoco malato,
raggranellando così qualche spicciolo.
Ma quello che li preoccupava davvero era Liz. La giovane rispondeva se
interpellata, mangiava quando le mettevano davanti il cibo, faceva tutto ciò
che le veniva detto di fare, ma in un modo così automatico, distaccato, assente
che faceva dolere il cuore. E la notte rimaneva sveglia a lungo, lo sguardo
fisso nel buio, paventando il momento in cui sarebbe stata vinta dal sonno. Più
di una volta, infatti, Maria aveva dovuto scuoterla con forza per strapparla
agli incubi che la tormentavano, ma bastava che chiudesse gli occhi perché
questi ricominciassero.
Il terzo giorno, quando si destò, Liz era pallidissima e ricoperta di sudore
gelido. - Max! - gridò con voce strozzata.
Isabel, che divideva il letto con lei e Maria, schizzò a sedere e le mise una
mano sulla bocca. - Zitta! Shh, non gridare! -
La ragazza la fissò, chiaramente in preda allo choc, il petto che si alzava ed
abbassava convulso nel respiro affannoso. - Max... - ripeté, stavolta in un
sussurro. E si mise a piangere.
Soffrendo per lei, Isabel la sollevò e la strinse a sé cullandola. - Shh...
Calmati... Calmati... - bisbigliò con voce rotta.
Maria, anche lei svegliatasi di colpo per l’urlo dell’amica, si ritrovò ad
accarezzarle la schiena per confortarla.
In quel momento la porta si spalancò ed apparvero Kyle e Michael. - Cosa c’è?
Che è successo? - chiese quest’ultimo osservandole preoccupato.
- Liz ha avuto un altro incubo - spiegò semplicemente Isabel continuando a
cullarla.
Con sua grande sorpresa, tuttavia, la giovane reclinò appena la testa
all’indietro e fece un respiro profondo e tremulo. - Non... non era un
incubo... Io... io credo che... sia successo davvero... -
Un lampo di dolore attraversò gli occhi scuri di Michael. - E’ così, Liz. Max...
è morto. - bisbigliò.
Deglutendo con sforzo, incapace di trattenere le lacrime, mosse il capo in
segno affermativo. - Lo so - Lo disse pianissimo, sentendo il gelo ghiacciarle
il sangue nelle vene. - Ma... ora... ora comincio a ricordare... -
Maria le strinse con affetto una spalla, e lei abbassò le palpebre lottando
contro la debolezza che minacciava di sopraffarla. - C’ero io,
all’osservatorio, quella notte... - Cercò di riprendere fiato quel tanto che le
serviva per continuare. - Max... ha fatto l’amore con me... non con Tess... -
Singhiozzando sconvolta si aggrappò ad Isabel. Lui... lui non mi ha mai
tradita... -
Le sue parole furono accolte da un silenzio incredulo.
Maria fu la prima a riprendersi, e diede un lungo sguardo eloquente a Michael.
Liz doveva essere impazzita. La sua mente aveva ceduto e ora sragionava! Sì,
non poteva essere altrimenti!
Tess guidò Max all’interno dell’osservatorio. Adesso veniva la parte più
difficile del piano... Cercando di agire con naturalezza cominciò ad
accarezzarlo e baciarlo finché lui rimase avvinto nella sua rete di seduzione.
Liberatisi delle magliette che indossavano, si adagiarono sul pavimento. E fu
allora che l’aliena fece ricorso alle sue particolari abilità. Socchiuse gli
occhi per concentrarsi e fece cadere il compagno in un sonno artificiale, poi
richiamò a sé altra energia. Adesso toccava a Liz...
Quest’ultima, sconvolta da quanto aveva appena appreso dall’addetto
all’ambasciata svedese, era sul taxi che la stava riconducendo in città. La sua
mente era piena di pensieri confusi e fu facile, per Tess, manipolarla.
Fornita all’autista la nuova destinazione, la ragazza rimase a guardare dritto
davanti a sé fin quando giunsero all’ingresso dell’edificio.
Dopo essere intervenuta sull’uomo perché tornasse a Roswell e non rammentasse
nulla di quel che aveva fatto, Tess indusse Liz a sdraiarsi al posto suo
accanto a Max. Sedutasi a gambe incrociate a poca distanza dai due, chinò un
poco il mento e si portò le mani alla testa. Doveva far continuare a credere a
Max di stare insieme a lei, mentre Liz doveva pensare di stare sognando. Era
più che sicura che non fosse la prima volta che faceva sogni di quel genere, il
che avrebbe reso relativamente semplice convincerla a cooperare...
Lo sforzo rimaneva comunque notevole, tuttavia non desistette. Aveva troppo
bisogno dell’erede di Max per portare a compimento la sua missione, la missione
che aveva avuto inizio con Nasedo, su Antar! Ma, per quanto desiderasse tornare
su quel pianeta, non era affatto disposta a contaminare se stessa lasciandosi
toccare a quel modo... Persino i pochi baci che si erano scambiati erano stati
una vera tortura... E Kyle, quello sciocco illuso... Per fortuna aveva potuto
liberarsi in fretta di lui, altrimenti... Rabbrividì al solo pensiero. Anche se
in un certo senso gli era grata perché era stato proprio mentre lo persuadeva a
pensare a lei come ad una sorella che le era venuta quell’idea. Complicata a
realizzarsi, certo, ma proprio per questo più interessante... e divertente,
doveva ammetterlo...
Trascorse un’ora o poco più prima che Max esaurisse le proprie energie. Liz, in
quel momento sotto di lui, aveva gridato più volte il suo nome, travolta dalla
passione che li aveva uniti.
A quel punto Tess si raddrizzò e lì guardò con occhio clinico. Fece loro
perdere conoscenza dopodiché gli si chinò accanto e, sospinto il giovane di
lato, mise una mano sull’addome di lei. Una smorfia soddisfatta le stirò le
labbra. “Sì!” Racimolando ogni briciola di potere che ancora possedeva utilizzò
un trucco che aveva imparato da Nasedo. E l’ovulo fecondato passò nel suo
corpo.
Sorrideva ancora mentre, grazie alla sua abilità nella manipolazione mentale,
destava Liz e la faceva rivestire prima di accompagnarla a casa con la macchina
di Kyle, la stessa con cui si era recata all’osservatorio. Poi tornò indietro e
si occupò di Max. Lo fece uscire dal suo stato di torpore il tempo sufficiente
per fargli indossare di nuovo i jeans, dopodiché si tolse ancora una volta la
maglietta e, trattenendo a stento il disgusto, si distese contro di lui.
“Vedrai che bella sorpresa ti aspetta domani...” pensò compiaciuta prima di
scivolare nel sonno, provata dalla fatica.
- Che vuoi dire, eri tu all’osservatorio? Hai fatto l’amore con Max...? -
Isabel la guardò dritta negli occhi cercando di capire.
- Sì. Tess... Tess ha deviato la nostra mente... - Liz si scostò dall’amica e
si passò le mani tra i capelli, affranta. Io ero convinta di aver sognato... -
Al ricordo della pena di Max per quel che aveva fatto, che pensava di aver
fatto, per non parlare delle conseguenze che ciò aveva avuto nelle loro vite,
si sentì soffocare. - E a lui ha fatto credere di essere stato con lei... -
disse in un mormorio appena udibile. Si volse a guardare gli altri. Zan... è
nostro figlio. Mio e di Max! - affermò con disperata certezza.
Isabel scosse la testa. - Non può essere... -
- Prova a connetterti con me! Vedrai tu stessa! - la supplicò lei.
Esitante, l’aliena si girò verso Michael cercando il suo sostegno.
Lui fece un’alzata di spalle. - Tanto vale provare -
Con un sospiro Isabel chiuse gli occhi e in un attimo fu nella mente di Liz. E
vide. E seppe che ciò che aveva detto era vero. Interruppe il contatto e
gemette forte. - O mio dio... - sussurrò.
Maria si coprì la bocca per trattenere un grido. No, Tess non poteva essere
stata capace di tanto! Senza volerlo si volse a controllare Kyle. Sembrava
annichilito... Tess aveva tradito tutti loro, ma quell’ultima rivelazione era
qualcosa di... di davvero orribile!
- In questo caso Liz non avrebbe dovuto...? - intervenne inaspettatamente il
giovane. - Non c’era quel... - corrugò la fronte. - Sì, quella faccenda delle
dita?... - e accennò il movimento contro la propria gamba.
Michael gli rivolse un’occhiata interrogativa. - Intendi dire il tamburellare?
-
- Esatto! -
- Beh, ho visto Liz farlo, durante il viaggio... -
Liz divenne ancora più pallida. - E Max? - chiese con un filo di voce. -
Qualcuno di voi ha notato se anche lui...? -
Scossero tutti il capo, poi Maria osservò che forse per gli alieni era diverso,
forse loro non reagivano allo stesso modo quando subivano quella specie di
lavaggio del cervello. - Nessuno poteva immaginare che Tess avrebbe osato
intervenire sulla mente di Max... Non è colpa tua se non ti sei accorta di
nulla... - cercò di consolarla.
Ricordando come aveva risposto a Max la volta in cui gli aveva rivelato le
strane sensazioni che provava quando era vicino a Tess, Michael digrignò i
denti. - Preparatevi: si va a New York - Detto questo, girò sui tacchi e tornò
nella stanza che divideva con Kyle.
- Su, Liz, sbrigati! Va’ tu per prima a fare la doccia! - Maria sospinse
l’amica in direzione del bagno poi, con gesti furiosi, aiutò Isabel a radunare
le loro poche cose. - Quel verme schifoso! Quel lurido, piccolo verme schifoso!
- continuava a borbottare ripensando a colei che si era dimostrata il peggiore
dei loro nemici.
Dal canto suo l’altra ragazza continuava a rivivere il momento in cui Max, il
giorno dopo, era venuto a cercare il suo sostegno e lei lo aveva trattato
malissimo. Se solo avesse saputo... Perché? Perché il destino era stato così
crudele? Max sarebbe impazzito di gioia sapendo che Liz aspettava il suo
bambino, e invece...
- Come faremo a rintracciarlo? New York è enorme, e noi non sappiamo dove viva
la famiglia che ha adottato Zan. fece notare Kyle quando, mezz’ora più tardi,
furono di nuovo in viaggio.
- Max lo ha segnato. Voleva che... voleva che sapesse chi era in realtà... -
confessò Liz senza smettere di guardare fuori dal finestrino.
- Come? Ma... in questo modo non lo ha messo comunque in pericolo?!? - si stupì
Maria.
- Erano solo... ricordi... Sepolti profondamente in lui... Non ne avrebbe mai
avuto coscienza, ma per Max... era importante che ci fosse almeno quel legame,
fra di loro... -
- Questo renderà le ricerche molto più facili. Potrò sentire la sua presenza
anche tra migliaia di persone - disse Isabel con un sospiro di sollievo.
- Perfetto - Michael si rilassò contro lo schienale, le dita ben salde sul
volante. - Sarà un viaggio lungo. Cercate di dormire un po’: ci alterneremo
alla guida così da non dover fare soste. -
- Nessun problema - mormorò Kyle, subito imitato dalle ragazze. Anche Liz si
offrì di guidare. Qualsiasi cosa pur di raggiungere suo figlio il più presto
possibile...
Era notte fonda, a New York. Erano passati tre giorni, durante i quali si erano
fermati soltanto per mangiare un boccone e usare i bagni dei fast food, ma non
si sentivano affatto stanchi. Anzi, erano pieni di energia. Perché non appena
avevano fatto il loro ingresso in città Isabel aveva usato le sue particolari
doti individuando subito la mente del piccolo.
Si erano addentrati nell’ordinato intrico di strade della metropoli e ora erano
lì, davanti all’edificio in cui viveva.
Usando la massima cautela i due alieni si intrufolarono all’interno del palazzo
e raggiunsero un appartamento situato al nono piano.
Zan dormiva tranquillo e Isabel si sentì stringere il cuore quando lo prese fra
le braccia. Con delicatezza formò una connessione con lui per controllare che
non si agitasse poi seguì Michael fino all’esterno, ma non prima di aver
deposto nella culla un biglietto con su vergate poche parole. “Ho deciso di
riprendermi mio figlio. Grazie per esservi occupati di lui.” Era tutto quello
cui erano riusciti a pensare per cercare di guadagnare un po’ di tempo,
augurandosi che la coppia che lo aveva adottato non decidesse di rivolgersi
alla polizia e scatenare una caccia all’uomo.
Aveva gli occhi colmi di lacrime mentre porgeva il tenero fagottino a Liz.
- Grazie. - sussurrò lei stringendosi il bimbo al petto.
La giovane abbozzò un sorriso. - Grazie a te. Adesso, una parte di Max è di
nuovo con noi... -
- Su, andiamocene. Ho bloccato le telecamere di sicurezza, ma se qualcuno ci
sorprende siamo in guai seri! - Così dicendo Michael le sospinse all’interno
della vettura e fece cenno a Kyle di rimettere in moto. - Svelto! -
- E ora? - chiese Maria.
- Canada - La laconica risposta del suo compagno la fece sorridere malgrado la
drammaticità della situazione in cui si trovavano. In passato si sarebbe
infuriata: odiava quando lui le parlava con un tono del genere. In quel caso,
tuttavia, era soddisfatta. Il Canada era molto diverso dal New Mexico, ed era
un grande paese, dove sarebbe stato impossibile per l’Fbi inseguirli. Era
semplicemente la soluzione ideale.
Dal suo posto accanto a quello di guida Isabel continuava a lanciare occhiate a
Liz e al bimbo placidamente addormentato che le giaceva in grembo. Da quando
glielo aveva consegnato la ragazza sembrava rinata. Lei stessa, si sentiva
rinata... Quel piccino era un dono del cielo, un angelo venuto a salvarle...
Alla fine si stabilirono a Vermilion Bay, vicino all’Eagle Lake, nell’Ontario.
Era un posto incantato, immerso nei boschi, e le acque del lago erano del blu
più intenso che avessero mai visto.
Lo aveva scelto Michael, dopo una rapida consultazione con i compagni.
In realtà, senza quasi rendersene conto, l’alieno aveva finito con l’assumere
il ruolo di leader che era stato di Max e gli altri si adeguavano di buon grado
alle sue decisioni. Era il ragazzo spigoloso e brusco di sempre, ma cominciava
a lasciar affiorare in superficie il lato più gentile del suo carattere. Forse
la ragione era da ricercarsi nella presenza di Zan, per il quale provava un
enorme affetto e che viziava al pari degli altri. Solo una volta aveva ceduto
al profondo dolore per la morte dell’amico, e Maria lo aveva tenuto stretto fra
le braccia fino a quando si era calmato, dopodiché aveva cercato di fare del
suo meglio per dimostrarsi degno della fiducia che i compagni riponevano in
lui.
E Zan era un frugoletto davvero delizioso. Liz lo amava con ogni fibra del
proprio essere, lo accudiva come se non avesse fatto altro nella vita, e gli
parlava di continuo del padre, della persona meravigliosa che era stata.
Vivevano tutti insieme in un grande cottage che avevano affittato da un’anziana
coppia che aveva deciso di trasferirsi a Brandon, nel vicino stato del
Manitoba, dove era andata ad abitare la loro figlia.
Per fortuna c’erano stanze a sufficienza, anche se di dimensioni ridotte, così
ognuno aveva il proprio spazio mentre la camera padronale, con tacito accordo,
era stata assegnata a Michael e Maria. Per contro, la cucina era enorme e
dotata di caminetto, ed era lì che trascorrevano buona parte del tempo libero.
Non avevano incontrato troppe difficoltà a socializzare con gli abitanti della
cittadina, sulle prime rimasti perplessi nello scoprire che erano un gruppo di
amici e non un nucleo familiare.
Un po’ più complicato era stato trovare lavoro, ma dopo qualche mese ciascuno
aveva un impiego. Maria in un bar, Michael in una tavola calda, Kyle presso
l’unico meccanico della zona. Isabel era stata assunta in un asilo nido. Liz
aveva invece deciso di rimanere a casa per dedicarsi interamente al suo
bambino, non avendo alcuna intenzione di affidarlo ad estranei.
E quando, un giorno, si accorse che quegli occhioni allegri avevano perduto
l’azzurro indefinito dei primi mesi per acquisire un caldo color nocciola
ambrato, scoppiò in una risata di gioia che si trasformò subito dopo in un
pianto dirotto. Oh, Max...
Quella sera stessa, per la prima volta da che erano partiti, Isabel entrò nei
sogni dei suoi genitori. “Mamma, papà... Volevo farvi sapere che siamo al
sicuro. Abbiamo scoperto che... che Liz è la vera madre di Zan e... siamo
andati a New York a riprenderlo. E’ un bellissimo bambino, e ha gli stessi
occhi di Max. Vi voglio bene... Mi mancate, mi mancate tanto... Forse un giorno
potremo incontrarci di nuovo, ma fino ad allora... sappiate che sarete sempre
nel mio cuore...”
L’indomani, a Roswell, Diane e Phillip Evans si recarono al cimitero con un
enorme mazzo di fiori, che deposero sulla tomba del figlio.
Il fatto che fosse vuota era noto a tutti, in città, dato che, per quanto si
fosse dato da fare, lo sceriffo Hanson non era stato in grado di recuperare il
corpo del ragazzo, ma accanto alla lapide di marmo bianco non mancavano mai
fiori freschi. A volte li portava Amy DeLuca, a volte Jim Valenti, ogni giorno
lo faceva Diane.
Ma quella era un’occasione speciale, e meritava un mazzo speciale.
Dopo averlo sistemato a dovere la donna si raddrizzò e lasciò che il marito le
cingesse forte le spalle. - Zan è di nuovo con la sua mamma. Veglia sempre su
di loro, tesoro mio... - Lente lacrime le solcarono le guance, e Phillip si
chinò a baciarle la testa. - Ciao, Max. - bisbigliò poi.
Si voltarono e se ne andarono lasciando dietro di loro quella semplice lapide
priva di foto, su cui spiccava un’iscrizione in lettere dorate.
“1983 - 2002
Max Evans
Amatissimo figlio e fratello,
immolatosi per proteggere i suoi cari”
Scritta da Elisa |