RIASSUNTO:
Quinn Mallory, Rembrandt Brown e Maggie Beckett, durante uno dei loro viaggi
tra mondi paralleli, si ritrovano al Crashdown Cafè. Sarà l’inizio di una
magica storia.
DATA DI CREAZIONE:
dal 6 al 9 gennaio 2004
ADATTO A: tutti
DISCLAIMER: Tutti i diritti dei personaggi di
“Roswell” appartengono alla WB e alla UPN; tutti i diritti dei personaggi di “I
viaggiatori” appartengono alla St. Clare Entertainment, in associazione con gli
Studios Usa, e sono stati creati da Robert K. Weiss e Tracy Torme; mentre Sir
Jonathan Harp e Mary sono nati dalla penna della scrittrice. Il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
La mia e-mail è
rapiro84@libero.it
Quinn Mallory, il “cervellone”,
attivò il timer per aprire il tunnel dimensionale che avrebbe permesso a lui,
Maggie e Rembrandt di viaggiare tra i mondi paralleli. A qualche metro da terra
si aprì l’inizio del tunnel e i tre “viaggiatori” vi saltarono dentro. Per
qualche secondo furono sballottati qua e là come foglie al vento, e finalmente
vi furono sputati fuori, chissà in quale dimensione spazio-temporale.
- Oooh! – urlarono atterrando per terra.
- Ragazzi, che viaggio! Sono tutta rotta! – esclamò Maggie alzandosi.
- Ahiahiahi – disse Rembrandt massaggiandosi il braccio che aveva sbattuto a
terra.
- Bene, dobbiamo restare qui tre giorni – annunciò Quinn consultando il timer.
Erano talmente impegnati a massaggiarsi le parti del corpo dolenti, che non si
erano resi conto di essere all’interno di un bar, e soprattutto di essere
squadrati da sei ragazzi a bocca aperta.
- Chi siete? – chiese Max, come il solito, da leader.
Alzarono gli occhi e si sentirono male. Nessuno doveva vederli!
- Noi… ehm… Ma dove siamo? – chiese Rembrandt guardandosi intorno.
- Le domande le facciamo noi – disse Michael minaccioso.
- Siete skin? Quella era la vostra navicella? Provenite da un pianeta con
tecnologia avanzata? – Max si era scatenato.
- Un attimo. Una domanda per volta. Io sono Quinn Mallory – disse il ragazzo.
- Io sono Maggie Beckett –
- E io Rembrandt Brown –
- Bene, da dove venite? Cosa volete da noi? – l’interrogatorio era
ricominciato.
- È un po’ difficile da spiegare… prima però devo sapere dove siamo – disse
Quinn.
- Ma che domande! Siamo a Roswell, New Mexico… – disse Isabel, come se quella
fosse la cosa più ovvia del mondo.
- Che cosa?!? – esclamarono tutti e tre spaventatissimi.
- Cervellone, perché non siamo nella nostra città? – chiese Rembrandt.
- Non ne ho idea. Probabilmente alcuni campi magnetici hanno interferito col
viaggio; oppure… - cominciò a ragionare il ragazzo.
- Ehi, ehi, cosa stai dicendo? – si intromise Maria non capendo una parola di
quello che Quinn stava dicendo.
- Noi siamo viaggiatori interdimensionali – spiegò Maggie.
- Cioè? –
- Ho inventato una macchina in grado di creare un tunnel dimensionale che ci
permette di viaggiare per mondi paralleli. Noi siamo terrestri, solo che ora ci
troviamo in un mondo parallelo al nostro, che è la vostra casa – spiegò Quinn.
- Oh mio Dio, che casino! – esclamò Maria.
- È più semplice di quanto sembra. Il timer ci dice quanto manca alla prossima
apertura del tunnel, e noi non dobbiamo fare altro che saltarci dentro; ma se
perdiamo il viaggio, come lo chiamiamo noi, restiamo confinati nel mondo in cui
ci troviamo per ventinove anni – continuò Quinn.
- State dicendo che un ragazzo ha inventato la macchina del futuro, aprendo
milioni di possibilità al genere umano e sfidando le infinite possibilità
create dall’universo? – chiese Alex.
- Più o meno – rispose Quinn.
- Ah… – disse Alex, assolutamente senza parole.
- Prima avete parlato di skin e navicelle aliene. È per caso il nome che usate
per chiamare i Cromag? – chiese Rembrandt
- Chi? No, gli skin sono… nemici – disse Max restando sul vago.
- Nemici? Ma voi siete viaggiatori? – chiese Maggie.
- No… Io sono Max Evans, lei è mia sorella Isabel e lui e Michael Guerin –
cominciò a presentarsi Max.
- Io sono Liz Parker, lei è Maria De Luca e lui Alex Withman – continuò Liz.
- Ecco, noi… siamo alieni – disse Max.
- Eeeeeh?!? – esclamarono i tre viaggiatori in coro.
- Sì. Io, Michael e Isabel veniamo da Antar, un pianeta in un’altra galassia.
Diciamo che siamo mezzi umani, visto che abbiamo anche DNA umano – spiegò Max.
- E cosa fate sulla Terra? - chiese Maggie.
- Siamo qui per scoprire il nostro destino. Siamo totalmente innocui, tanto più
che siamo fidanzati con loro tre, che sono terrestri – disse Michael.
- Sapevo che i Cromag non gli unici alieni sulla Terra! – esclamò Rembrandt
contento.
- Già. E per fortuna non tutti sono cattivi come loro – esclamò Maggie.
- Ma chi sono i Cromag? – chiese Maria.
- Alieni. In alcuni mondi che abbiamo visitato loro avevano sottomesso la razza
umana. Sono orribili – disse Quinn.
- Cioè, ogni mondo che visitate è diverso da un altro? – chiese Liz.
- Certo. In alcuni mondi gli umani sono poveri, in altri ricchi, in altri ci
sono delle guerre, in altri ancora hanno strane credenze, strane tecnologie.
Abbiamo vissuto milioni di esperienze diverse – spiegò Quinn.
- L’unico problema è che non riusciamo a trovare la nostra casa, il nostro vero
mondo – disse Rembrandt.
- E mio fratello – concluse Quinn triste.
- Deve essere terribile! – esclamò Liz.
- Già. Non è molto piacevole –
- Voi dovete restare qui per tre giorni e qui non ci sono guerre. Cosa farete?
– chiese Alex.
- Prima di tutto dobbiamo capire perché siamo qui e soprattutto trovare le
coordinate per la nostra città, perché noi Roswell non la conosciamo. Sapremo
di essere a casa solo quando riconosceremo la nostra città, la città di cui
sono partito – disse Quinn.
- Vedete, io e Maggie veniamo da un altro mondo, non da dove Quinn è partito;
solo che è stato distrutto dai Cromag, perciò il mondo di Quinn sarà anche il
nostro – spiegò Rembrandt.
- Che storia! – esclamò Maria.
- Io ho un computer abbastanza potente. Se volete potete usarlo – si offrì Alex.
- Molte grazie. Ci sarà molto utile – acconsentì Quinn.
Così si recarono a casa di Alex.
Quinn inserì il CD che portava sempre con sé nell’apposito dispositivo e
cominciò a digitare sulla tastiera.
- Bene, bene ,bene – disse Quinn dopo un po’, - Ho rilevato un forte campo di
energia – controllò le coordinate del timer e costatò che non combaciavano con
quelle che apparivano dopo un viaggio.
- Qualcosa ha modificato la nostra rotta –
- Guarda! Le ultime tre cifre combaciano con quelle del viaggio precedente –
gli fece notare Alex.
- Ma è impossibile! Quelle sono le uniche a cambiare! –
- Ciò significa che siete sul mondo di prima – disse Alex.
- Sì. Non abbiamo viaggiato attraverso il tunnel; qualcosa deve averci
rispedito indietro, oppure ha interrotto il flusso di energia creato dal nostro
dispositivo – ragionò Quinn. Digitò ancora per qualche tempo sulla tastiera,
poi esclamò: - Un buco nero! –
- Ma com’è possibile? –
- Non è un buco nero come quello che conoscete voi. Noi non viaggiamo nello
spazio aperto. Il buco nero che ho riscontrato è un grosso ammasso di energia
che racchiude in sé altra energia e la devia – spiegò Quinn.
- Quindi siete stati rispediti sul mondo di partenza da energia pura –
- Esatto. Il buco nero ha inglobato l’energia prodotta dal tunnel e ha creato
una deviazione, che non ci ha permesso di lasciare il mondo, ma ci ha solo
fatto cambiare città –
- Cavolo! –
- Già. Il fatto è che ora devo rimettere a posto le coordinate, altrimenti
finiremo sempre a Roswell – disse Quinn.
Mentre Quinn e Alex erano intenti a sistemare il timer, Rembrandt e Maggie si
trattennero al Crashdown con gli altri, a fare quattro chiacchiere.
- Come vi siete conosciuti? – chiese Maria ai nuovi ospiti.
- Quinn ha iniziato a viaggiare con il suo professore di scienze e sono
atterrati sul nostro pianeta. Io ero un’aviatrice, ma ho smesso per stare con
mio marito che era stato ferito. Sono arrivati i Cromag e hanno distrutto
tutto: mio marito è morto e il nostro mondo è esploso – spiegò Maggie.
- Io stavo andando a lavorare: sono un cantante e musicista, quando sono stato
investito dal tunnel e così ho iniziato a viaggiare con Quinn – spiegò
Rembrandt.
- Cavolo, non deve essere stato facile per te – disse Liz rivolta a Rembrandt.
- Già, praticamente mi ha sradicato dal mio mondo, però ne è valsa la pena.
Sono felicissimo ora – continuò Rembrandt.
- E voi come vi siete conosciuti? Noi siamo tutti terrestri, mentre qui ci sono
sia alieni che terrestri – disse Maggie.
- Max mi ha salvato la vita proprio qui e da quel momento ci siamo innamorati –
spiegò Liz.
- Poi abbiamo scoperto che erano alieni, ma non ci importava niente – continuò
Maria.
- Quindi vi comportate come se niente fosse? – chiese Maggie.
- Sì, loro sono come terrestri per noi. Sono qui dalla nascita e hanno tutte le
nostre abitudini –
- Capisco – disse Rembrandt.
- Certo che Quinn deve essere un genio… - disse Max.
- Lo è. Per questo io lo chiamo cervellone – disse Rembrandt.
- Non avrei nemmeno immaginato che potesse esistere una macchina simile, e
invece sto parlando con persone che la usano e ho conosciuto anche l’ideatore –
disse Isabel.
- È veramente un onore essere amici suoi – disse Maggie.
- Ma c’è per caso qualcosa tra voi due? – chiese Maria maliziosamente.
- Be’… no, non proprio… - disse Maggie imbarazzata.
- Non si decidono a farsi avanti. Mi sa che uno di questi giorni toccherà a me
il grande passo – disse Rembrandt ridendo.
- Renmy! – esclamò Maggie paonazza.
- Be’, andiamo a vedere come se la cavano i nostri due geniacci – propose
Isabel.
- Okay –
Così si recarono anche loro a casa di Alex. Trovarono il padrone di casa e
Quinn intenti a esaminare le coordinate dei precedenti viaggi, per
riprogrammare il timer in modo che non li portasse più a Roswell.
- Disturbiamo? – chiese Max entrando nella camera di Alex.
- No, venite pure. Credo che una mano non possa farci male – disse Alex.
- Avete capito cosa è successo? – chiese Maggie.
- Sì, un buco nero – disse Quinn.
Maggie e Rembrandt non fecero alcuna domanda, perché conoscevano la maggior
parte dei termini che Quinn utilizzava per spiegare la meccanica quantistica
dei viaggi interdimensionali, ma gli altri proprio non capirono cosa intendesse
dire; così Alex spiegò loro quello che poco prima gli aveva riferito Quinn.
- Forte! – esclamò Michael.
- Mica tanto! Cioè, in un certo senso sì perché ti fa capire quanto sia potente
la materia inanimata, quanta energia si possa sprigionare durante un viaggio
interdimensionale, però se dovesse esserci un buco nero ogni volta che facciamo
un viaggio, la mia macchina sarebbe inutile perché saremo sempre sulla stessa
Terra – disse Quinn.
- Già, hai ragione – disse Alex, l’unico forse che aveva seguito il suo
discorso.
Dopo quella distrazione, i due geni della situazione si rimisero al lavoro, con
l’aiuto di tutti gli altri, anche se in realtà questi non facevano altro che
fare domande su domande. Finalmente, dopo aver trascorso tutta la giornata a
riprogrammare il timer, il loro compito era finito.
- Evviva! – esclamò Alex, alzandosi e stiracchiandosi.
- Ce l’avete fatta? – chiese Maggie.
- Sì. Al prossimo viaggio ci ritroveremo su un’altra Terra e a San Francisco –
decretò Quinn sorridendo.
- Buchi neri permettendo! – scherzò Maria.
Tutti la guardarono con gli occhi spalancati: non doveva succedere di nuovo una
cosa del genere!
- Bene, anche se è già passata l’ora di cena, cosa ne dite se andiamo comunque
al Crashdown a mangiare qualcosa? – propose Liz.
- Ci sto! – esclamarono in coro tutti gli altri, che stavano morendo di fame.
Giunti al locale Liz, Michael e Maria andarono a preparare la cena e poi
sedettero con gli altri.
- Buono! – esclamò poco dopo Maggie, masticando un pezzo di cibo.
- È la famosa esplosione di Marte del Crashdown! – esclamò Liz sorridendo.
- Esplosione di Marte?! –
- Sì, qui tutti i nomi dei cibi ricordano gli alieni. Ricordate che state
mangiando con tre di loro! – rispose Maria.
- Già, gli unici e autentici alieni atterrato nel 1947! – esclamò Max.
- Uau, che onore! – scherzò Rembrandt.
- Ma siete così vecchi? – chiese Quinn.
- Diciamo di sì, anche se, fortunatamente, siamo rimasti chiusi nelle capsule
per molti anni – rispose Michael.
- Ma, quando siete usciti dalle capsule eravate neonati. Come avete fatto a
sopravvivere? – chiese Maggie.
- No, avevamo sette anni – rispose Isabel.
- Certo che il mondo è pieno di cose strane! – esclamò Quinn, suscitando le
risate di tutti.
Dopo aver terminato la cena, giunse il momento per i ragazzi di andare a letto,
visto che il giorno dopo ci sarebbe stata la scuola.
- C’è un albergo in questa città? – chiese Maggie.
- Un albergo, perché? – rispose Liz.
- Dobbiamo rimanere qui per altri due giorni e… - iniziò a dire Quinn.
- È fuori discussione – disse Liz con un tono che non ammetteva repliche.
- Io abito da solo e ho un divano letto a due piazze, perciò… - disse Michael.
- Mia madre è fuori città, perciò uno di voi può venire a casa mia – disse
Maria.
- Grazie ragazzi, ma non vogliamo crearvi disturbo – si affrettò a dire
Rembrandt.
- Nessun disturbo. Finalmente abbiamo trovato qualcuno che crede negli alieni,
conosce altri alieni e che fa cose strane come noi. E chi vi lascia scappare!
Saremo le vostre guide per i prossimi due giorni – disse Maria sorridendo.
- Veramente, non sappiamo come ringraziarvi – disse Quinn.
- Allora, chi viene da me? – chiese Maria.
- Io – rispose Maggie.
- Okay, allora voi due venite con me – disse Michael rivolti ai due uomini.
Dopo i saluti tra coppiette, tutti si recarono alle loro abitazioni.
La notte però fu lunga a passare, perché tutti erano eccitatissimi dalle
conoscenze fatte quel pomeriggio: viaggiatori interdimensionali e alieni. Che
accoppiata!
La mattina seguente i magnifici sei si recarono a scuola, mentre il trio
viaggiatore si riunì a casa di Michael, che aveva lasciato le chiavi a Quinn e
Rembrandt.
Quella mattina non fecero assolutamente niente, se non, finalmente, rilassarsi
e guardare la tv. Avevano proprio bisogno di atterrare in un luogo tranquillo
come Roswell. In quasi tutti i mondi in cui erano stati ne avevano passate di
tutti i colori, ed erano veramente stanchi di dover scappare, nascondersi,
lottare. Avrebbero fatto due giorni di vacanza coi fiocchi! Con questo ottimo
programma, la mattina passò in fretta.
Pranzarono tutti al Crashdown, raccontando molte storie divertenti. Dopo pranzo
i ciceroni accompagnarono i turisti a fare il giro della città.
- È una città molto caratteristica – disse Maggie.
- Già, sembra quasi di essere tornati nel far west – concordò Rembrandt.
- Sì, effettivamente è come se fossimo un po’ fuori dal mondo, però è stupendo
vivere qui perché è una cittadina molto tranquilla… skin permettendo – rispose
Maria.
- Gli skin sarebbero i vostri nemici? – chiese Quinn.
- Sì, sono abitanti di Antar, una volta nostri sudditi, che ora si sono alleati
con l’usurpatore del nostro trono e che quindi ci vogliono morti – rispose Max.
- Certo che avete un bel daffare! – esclamò Maggie.
- Non sai quanto –
- Allora, dove volete andare? – chiese Maria.
- Abbiamo visto un Ufo Center. Potrebbe essere interessante – disse Quinn, che
proprio non ci riusciva a stare lontano dalla scienza.
- Okay, andiamo –
Così, passarono il resto del pomeriggio visitando il museo degli ufo,
sommergendo di domande i loro nuovi amici mezzi terrestri e mezzi alieni.
Chiesero dello schianto, delle testimonianze, si fecero spiegare bene perché
erano sulla Terra e come ci erano arrivati; insomma, vollero sapere proprio
tutto.
Cenarono nuovamente al Crashdown, e poi si recarono a casa di Michael, dove
continuarono a parlare.
- Dato che oggi avete soddisfatto la vostra sete di conoscenza aliena, ora
tocca a noi – disse Isabel.
- Chiedete pure quello che volete –
- Bene, bene… com’è viaggiare? – chiese Maria.
- È una sensazione stranissima. Noi saltiamo nel tunnel e veniamo risucchiati
da un’energia immensa. A volte il viaggio è piacevole, tutto lineare, senza una
curva, senza nessuna giravolta, mentre altre volte è davvero massacrante:
veniamo sballottati dappertutto e giriamo su noi stessi. Però quando siamo
dentro al tunnel sentiamo una grande energia tutt’intorno a noi e sappiamo che
ne facciamo parte – disse Quinn.
- Deve essere bellissimo – disse Alex con aria sognante.
- Non avrai mica intenzione di provare? – chiese Isabel.
- No, stai tranquilla! –
- E i mondi che visitate? Come sono? –
- Sono uno diverso dall’altro. Siamo stati su un pianeta dove la gente credeva
di doversi sacrificare per togliere agli altri le sofferenze; un altro dove
c’erano i dinosauri; un altro ancora dove era in corso una guerra tra terrestri
e Cromag; un altro completamente deserto; un mondo dove c’erano delle strane
malattie. Non riesco neanche più a ricordarmeli tutti – disse Rembrandt.
- E se non riusciste a trovare il vostro vero mondo? Cosa pensate di fare? –
chiese Max.
- Probabilmente ci fermeremo in un mondo tranquillo e sereno, ma non è detto.
Magari qualcuno di noi si fermerà, mentre qualcun altro continuerà a viaggiare.
Chi lo sa! – rispose Maggie.
- Com’era essere un pilota? – chiese Michael.
- Fantastico. Mi sentivo la padrona del mondo quando pilotavo il mio Caccia.
Ero addestrata e forte. Ero capitano e combattei in prima linea quando i cromag
ci attaccarono. Mio marito fu ferito gravemente e io rinunciai alla carriera
per stargli vicino. Poco dopo morì e io mi ritrovai sola e debole. Resistemmo
ancora agli attacchi, ma, poco prima che il mio pianeta venne completamente
distrutto, iniziai a viaggiare. Sarei morta altrimenti – rispose, con lo
sguardo triste.
- Non volevo farti ricordare brutte avventure… scusa – le disse Michael.
- Non scusarti. Stai tranquillo. È passato tanto tempo –
- Sì, ma quel genere di ferite sono dure a rimarginarsi – rispose Liz.
- Su, niente sentimentalismi, niente piagnistei o che altro. Siamo qui per
riposarci prima di ripartire per chissà quale pianeta. Perciò su col morale –
disse Rembrandt.
- Grazie Renmy – disse Maggie abbracciando il suo amico.
- Ragazzi, si è fatto tardi. Io devo andare – disse Liz, guardando l’orologio.
- Già. Domani mattina dobbiamo andare a scuola – rispose Max.
Si salutarono e andarono a dormire.
L’ultimo giorno di permanenza dei tre viaggiatori iniziò, e quella mattina
restarono ad oziare un po’ di più nel letto, tanto non avevano niente da fare.
Beati loro! Si incontrarono con i loro nuovi amici al Crashdown e quella sera
decisero di andare a ballare. Era venerdì, perciò il giorno dopo non avrebbero
avuto scuola.
Si prepararono e andarono in una discoteca vicina a Roswell. Quella sera si
divertirono veramente moltissimo, dimenticando di essere alieni, di dover
continuamente guardarsi alle spalle, di dover proteggere i loro cari;
dimenticarono di dover continuare a viaggiare per trovare la loro casa, di
dover stare attenti a chiunque non fosse un componente del gruppo, di rischiare
di morire praticamente su ogni mondo visitato. Quella sera non pensarono a
niente, solamente a ballare e a scaricare tutta la tensione accumulata nei
giorni, mesi, forse anni.
E così arrivò il giorno della partenza. Erano tutti un po’ tristi perché non
volevano lasciare i loro amici: si erano trovati veramente bene con loro, ma
dovevano continuare il loro viaggio. Mancavano pochi minuti allo scoccare del
gong.
- Ragazzi, sono stati tre giorni fantastici. Non vi dimenticheremo mai – disse
Maggie abbracciando tutti i presenti.
- Nemmeno noi. Ci mancherete molto – disse Liz con le lacrime agli occhi.
- Su, Liz, non fare così – la consolò Rembrandt, il papà di tutti.
Dopo una serie di baci e abbracci, Quinn attivò il timer e il varco si aprì.
- Uau! – esclamarono tutti, tutti tranne i tre viaggiatori.
Soffiava un vento fortissimo e dovevano urlare per farsi sentire. Il tunnel
creava uno squarcio azzurro con striature verdi, ma di una tonalità inesistente
in natura. Era uno spettacolo fantastico. Quinn stava per saltare nel tunnel,
quando arrivò di corsa Isabel.
- Ehi, aspettatemi! –
- Ma dov’eri finita? – le chiese Max.
- Ero andata a comprare questi – disse, mostrando una valanga di pacchi e
pacchetti.
- Ma cosa te ne fai di tutta quella roba? – le chiese Michael.
Isabel continuava a correre, perché sapeva che i suoi amici se ne sarebbero
andati da un momento all’altro, perciò doveva salutarli prima che saltassero.
Guardava nella loro direzione e non si accorse di una sedia spostata. Inciampò
e, sbilanciata dal peso dei pacchi che portava, cadde… nel tunnel! La ragazza
fu risucchiata dalla forza del campo dimensionale e sparì.
- Isabeeeeeeel! – esclamarono tutti all’unisono.
- Oh mio Dio! È sparita nel tunnel! – urlò poco dopo Max.
- E adesso? Cosa succederà? Quinn! – urlò Michael.
- Non le succederà niente di brutto. Dovrà solo continuare a viaggiare, e
sperare di trovare nuovamente un buco nero o le coordinate di Roswell. Ragazzi,
non vi preoccupate, noi la aiuteremo. Lei sta andando dove andiamo noi e ve la
riporteremo – promise Quinn.
- Sì, ma quando? – chiese Alex.
- Non ne ho idea. Ragazzi, è stata veramente una fatalità –
- Quinn, si sta chiudendo – disse Maggie.
- Arrivederci. È una promessa – disse Quinn, poi tutti e tre saltarono nel
tunnel.
Andati. E Isabel era con loro. I ragazzi rimasero qualche minuto ad osservare
il punto in cui tutti erano spariti e, a poco a poco, cominciarono a rendersi
veramente conto di ciò che era successo.
- Isabel è partita con loro! – urlò Max, quasi preso da una crisi isterica.
- No, è solo un sogno. Un incubo coi fiocchi! – esclamò Alex.
- Ragazzi, cosa facciamo? – chiese Liz.
- Cosa dobbiamo fare! Dobbiamo aspettare. Dobbiamo sperare che trovino le
coordinate. Dobbiamo avere fiducia in Quinn – disse Maria.
- Sì, ma è in un’altra dimensione spazio-temporale sola – disse Alex.
- Non è sola, ci sono Quinn, Maggie e Rembrandt con lei – precisò Michael.
- Ma non ci siamo noi! Non ci sono io. Io sono suo fratello. Io dovevo
proteggervi, e invece… Oddio, cosa dirò a mamma e papà? – ora Max stava
piangendo.
- Max, ti prego non dire così. Tu non centri. Tu ci hai protetti tutti fino a
questo momento. Non è stato uno skin a spingerla nel tunnel – cercò di
consolarlo Liz.
- Quanto ai tuoi genitori…dobbiamo inventare una scusa che regga per non so
quanto tempo – disse Alex.
- Ma cosa diciamo? Che è partita per studi senza nemmeno fare le valigie? Che è
andata a fare una gita con le sue amiche per vent’anni? – chiese, retoricamente,
Max.
- La verità – esclamò d’un tratto Maria.
- Sei impazzita? – ringhiò Michael.
- No. Nessuna scusa potrà reggere per più di un mese, se non meno. I tuoi
genitori non si daranno pace; perciò è meglio che sappiano che è con amici, con
persone che la aiuteranno e che faranno di tutto per rimandarla da noi –
continuò Maria, ferma nella sua idea.
- Sì, ma non ci crederanno mai – disse Max sconfortato.
- Gliela diremo insieme. Tutti noi – disse Liz abbracciandolo.
- Mi manca già da morire – disse Alex con le lacrime agli occhi.
- Manca anche a noi. Ma non poteva stare attenta? – disse Michael tirando un
pugno contro al muro.
- Su, è l’ora della verità – disse Max alzandosi, con uno sguardo talmente
indecifrabile che quasi fece paura agli altri.
Ci vollero due ore, una buona dose di pazienza e di lacrime per far capire ai
genitori di Max e Isabel quel che era successo, e soprattutto perché credessero
a ciò che era accaduto, ma alla fine ci riuscirono. Erano sconvolti, ma almeno
sapevano che loro figlia stava bene e che non era sola, e che forse un giorno
l’avrebbero rivista.
Isabel si era già preparata a sentire le risate dei suoi amici, vedendola
franare a terra come una pera cotta, quando si accorse che nessuno stava
ridendo. Intono a lei c’era un silenzio innaturale, interrotto di tanto in
tanto da qualche lieve scarica elettrica. Aprì gli occhi e quel che vide fu una
scia azzurra-verde che le passava accanto ad una velocità incredibile. Aveva
ancora tutti i pacchi in mano, ma non li sentiva nemmeno, erano talmente
leggeri… lei era talmente leggera, che le sembrò di stare volando. Cercò di
muoversi, ma una forte energia la teneva inchiodata in una posizione scomposta.
In quel momento capì di essere all’interno del tunnel dimensionale, e per poco
non svenne.
Atterrò poco dopo, bruscamente, in una città completamente diversa da Roswell,
ma non sapeva qual era. Era sola. Subito si spaventò, ma poi pensò che molto
presto Quinn, Maggie e Rembrandt l’avrebbero raggiunta. E così fu.
- Ragazzi, cos’è successo? – chiese, non appena li vide atterrare.
- Isabel, sei caduta nel tunnel e hai viaggiato con noi – le rispose Quinn.
- Oh mio Dio! Come farò a tornare a casa? – chiese, piangendo disperatamente.
- Faremo il possibile per trovare le coordinate della tua Roswell, non ti
preoccupare – le disse Rembrandt abbracciandola.
- Non ti preoccupare?! Non so dove sono e non so cosa troverò qui. I miei
amici, la mia famiglia, la scuola, la mia vita sono in un’altra dimensione e io
non dovrei preoccuparmi? Io sono terrorizzata! Ho paura di non tornare più a
casa. Ragazzi, io vi voglio bene, però non avrei mai intrapreso questo viaggio
di mia spontanea volontà – disse.
- Lo sappiamo. All’inizio è stato bruttissimo anche per noi, ma poi ci fai
l’abitudine. Fai finta che sia un lungo viaggio di studi, in cui imparerai
tantissime cose nuove, in cui vedrai altri luoghi, altre culture. So che è
veramente banale come consolazione, ma non puoi fare niente per cambiare ciò
che è successo – le spiegò Maggie.
- Perché non vai a ripescare le coordinate di Roswell dal tuo cd? – chiese
Isabel a Quinn.
- Perché, quando abbiamo riprogrammato il timer, si sono cancellate. –
- E non te le ricordi? –
- È un numero di sedici cifre. Non posso ricordarmelo. Mi dispiace da morire. –
- Non è colpa tua. Sono io che non sono capace a comportarmi come le persone
normali. Volevo farvi una sorpresa… e mi sa che ci sono riuscita! – disse,
ridendo tra le lacrime.
- Parli dei pacchi? –
- Sì. Sono andata al centro commerciale e vi ho comprato cibo a volontà, libri,
cd, vestiti… insomma, un po’ di tutto –
- Questo è stata la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per noi – disse
Quinn abbracciandola. Subito dopo anche gli altri due si unirono all’abbraccio.
- Vedrai, non riuscirai a pensare molto alla tua Roswell. Qui non ci si annoia
mai! – esclamò Rembrandt.
- Lo immaginavo. Spero solo che non mi dimentichino –
- È impossibile. E poi noi ti riporteremo da loro, costi quel che costi –
decretò Quinn.
- Grazie –
- Comunque, questa è San Francisco. Non l’hai mai vista, vero? – chiese
Rembrandt a Isabel.
- Già. Sembra una bella città – rispose Isabel guardandosi intorno.
- Lo è, lo è – disse Maggie, conducendo il gruppo di amici per una via molto
trafficata.
- Sembra che qui la vita sia normale. Niente dinosauri o Cromag – esclamò Quinn.
- Forse siamo stati fortunati –
Ma non fecero in tempo a terminare le loro supposizioni, che si accorsero che
tutte le persone erano… strane.
- Ehi, ma che hanno tutti? Guardate come si muovono! – esclamò Isabel.
- Sembrano degli automi – concordò Rembrandt.
- E mi sa proprio che lo siano – disse Maggie, guardando bene un “uomo” che si
stava avvicinando.
Questi aveva gli occhi rossi, la mascella rettangolare e la pelle era
bianca-grigiastra. I capelli erano molto folti e indossava un lungo mantello
nero. Si accorsero che tutti gli “uomini” avevano lo stesso aspetto, mentre
tutte le “donne” avevano lunghi capelli biondi e gli occhi verde smeraldo.
Quello che le distingueva dagli uomini, inoltre erano due gote rosa.
Indossavano anch’esse una tunica nera, solo che questa aveva un piccolo spacco
sulla destra.
- Sembra che li abbiano fatti in serie – esclamò Maggie.
- Ragazzi, siamo troppo riconoscibili. Dobbiamo camuffarci – disse Rembrandt
guardingo.
- Hai ragione. Dobbiamo rimanere qui due giorni, perciò vediamo di non farci
rinchiudere da qualche parte – disse Quinn, consultando il timer.
- Ehi, ragazzi, ci sono sempre i miei poteri! – esclamò Isabel.
- Non ci avevi detto di avere dei poteri – disse Rembrandt, euforico.
- Sì, ma ve li mostrerò solo in caso di necessità – disse Isabel sorridendo.
I quattro si avviarono in cerca di un posto dove acquistare parrucche e
mantelle. Entrarono in un negozio e subito la commessa-robot fu da loro: -
Posso esservi utile? – chiese con una voce metallica.
- Sì, vorremmo due parrucche bionde, due castane e quattro mantelle. Sa,
veniamo da fuori… - disse Maggie, cercando di comportarsi come un robot.
- Certo. Nella vostra sezione vi permettono di diversificarvi? – chiese il
robot.
- Sì. facciamo parte di un programma dove è d’obbligo essere diversi – disse
Quinn.
- Capisco – la commessa si allontanò, sotto lo sguardo stupito dei quattro
forestieri, e tornò poco dopo con quello richiesto.
- Ecco qui. Perché volete essere come noi se siete stati progettati per essere
diversi? – chiese, logicamente, il robot.
- Siamo qui per conto del progetto. Siamo una squadra speciale operativa
incaricata di svolgere studi sull’omogeneità imposta – spiegò Isabel,
stupendosi di aver avuto un’idea così brillante. I suoi tre compagni la
guardarono allibiti.
- Allora credo che sia d’obbligo che vestiate come noi quando andrete a far
rapporto da Sir Jonathan Harp – continuò la commessa.
- Esatto. Accetta carte di credito? – chiese Isabel.
- Carte di credito!? No. Il denaro verrà preso direttamente dal vostro conto
attraverso i vostri codici – spiegò la negoziante.
- Ci aspettavamo che anche il vostro modo di vivere fosse diverso dal nostro.
Il mio codice è 00357285 – disse Maggie, sperando che quello non fosse il
codice della commessa.
- Il mio è 00383839 – disse Rembrandt.
- Il mio è 00375582 – disse Isabel, ridendo.
- E il mio è 00353943 – disse Quinn.
La commessa digitò i numeri su una tastiera e, dopo qualche momento di suspance,
disse: - Perfetto. Il conto è stato addebitato. Buona permanenza e buona
ricerca – disse, facendo un sorriso metallico.
- Grazie, arrivederci –
I quattro avventurieri uscirono dal negozio ridendo.
- Uau! Isabel, dovevi cadere prima nel tunnel! Ci avresti risparmiato un sacco
di guai – esclamò Maggie.
- Sono abituata a dire frottole. A Roswell per me dire la verità è un suicidio
– disse, con aria triste.
- Immaginiamo – rispose Rembrandt, passandole un braccio intorno al collo, per
tirarle su il morale.
Isabel era triste per aver lasciato i suoi amici e la sua famiglia, ma nello
stesso tempo era contenta per la seconda opportunità che aveva. Finalmente
poteva avere una vita normale, non doveva più nascondersi dall’FBI e non doveva
più preoccuparsi per Kivar e i suoi scagnozzi. Era libera di essere se stessa,
coi suoi pregi e i suoi difetti, e sapeva che Quinn, Maggie e Rembrandt le
avrebbero voluto bene comunque.
- Ragazzi, abbiamo avuto una fortuna incredibile! – esclamò Rembrandt.
- Già. Immaginati se uno dei nostri codici coincidesse proprio con quello del
robot-commessa. Non oso immaginare cosa sarebbe successo – concordò Quinn.
Quando furono pronti, uscirono da un vicolo e si mescolarono tra la strana
popolazione.
- Credete che quel Jonathan Harp sia un umano? – chiese, d’un tratto Isabel.
- Molto probabile. Deve essere il capo di questa città. Magari è uno
scienziato, o semplicemente un pazzo, che ha voluto omologare la razza umana –
ipotizzò Quinn.
- Va be’, dobbiamo farci notare il meno possibile, perciò lasciamo perdere lo
scienziato pazzo – disse Isabel, che se ne intendeva di piani per passare
inosservata.
Non erano però passati inosservati, perché nel giro di qualche ora, la cassiera
si accorse che i codici non combaciavano con le fotografie contenute nel
database. La notizia fu presto diramata e Sir Jonathan Harp prese
provvedimenti.
Nel cuore della notte, mentre i quattro viaggiatori dormivano in un albergo,
quattro poliziotti-robot fecero irruzione nella stanza.
- Ma cosa… - esclamarono, sentendo un gran frastuono.
- Dovete venire con noi – disse uno dei poliziotti.
- Perché? Cosa volete? – chiese Isabel, credendo di essere nel suo peggior
incubo.
- Avete dato codici non corrispondenti. Questo è un grave reato –
- Oh-oh! – sussurrò Rembrandt.
- Non abbiamo alcuna intenzione di venire con voi. Noi non abbiamo fatto niente
– urlò Maggie, pronta a opporre tutta la resistenza necessaria.
- Niente storie – intimò un poliziotto prendendola per un braccio. Maggie cercò
di liberarsi, ma il robot era troppo forte. Era praticamente impossibile
sfuggire alla sua presa.
Così, nel giro di pochi minuti, furono condotti in un enorme castello, che non
avevano mai visto a San Francisco prima d’ora.
Li fecero accomodare in una sala e, dopo qualche minuto, entrò il proprietario
dell’edificio. Aveva capelli biondi e occhi di un azzurro glaciale. Si capiva
immediatamente che era umano.
- Sono Sir Jonathan Harp e da quanto ho capito voi non fate parte della serie
003 – disse l’uomo. I quattro annuirono.
- Bene. Sarei grato di conoscere i vostri nomi, dato che, anche se camuffati si
riconosce che siete umani –
- Siamo Quinn Mallory, Rembrandt Brown, Maggie Beckett e Isabel Evans –
- E cosa siete venuti a fare qui? –
- Siamo visitatori –
- I turisti sono robot, come tutti gli altri. Io sono l’unico umano rimasto –
spiegò Jonathan.
- Ma com’è possibile? – chiese Quinn sconvolto.
- Dopo la guerra contro i Cromag la razza umana è stata cancellata dalla faccia
della Terra. Io mi sono salvato solo perché ero stato nascosto in un bunker
antiatomico dai miei genitori, appena iniziò il conflitto. Quando sono uscito
ero solo, così ho ripopolato la Terra – spiegò.
- Tutta la Terra? Da dove veniamo noi ci sono umani – disse Isabel.
- Ne dubito. I miei genitori erano due scienziati, così, grazie ai loro appunti
di genetica e di robotica io ho potuto creare i nuovi terrestri –
- E come sono strutturati? Voglio dire, hanno anche DNA umano o solo bulloni? –
chiese Isabel.
- Hanno anche DNA umano, il mio. È bastata una cellula e il miracolo si è
compiuto. Purtroppo non ho potuto diversificarli, ma almeno si riconoscono gli
uomini dalle donne – disse ridacchiando.
- E il sistema nervoso? – chiese Quinn.
- Hanno uno pseudo cervello. Sono in grado di pensare con la loro “testa”, ma
non sono umani: hanno chip, non nervi e ovviamente non hanno un cuore.
Conoscono solo ciò che io ho insegnato loro e fanno solo ciò che ho detto loro
di fare. Vivono normalmente, ma non sono in grado di formulare pensieri
autonomi. In poche parole, non potranno mai fare gli inventori – continuò a
spiegare.
- E lei quale ruolo ha in tutto questo? – chiese Maggie.
- Nessun ruolo. Io controllo che tutto sia in ordine. Ma parliamo di voi: come
siete arrivati qui? –
- Abbiamo viaggiato – disse Quinn, trovandosi puntati addosso tre paia di occhi
sbarrati.
- E come? Da dove? –
- Da Roswell – disse Isabel.
- Quella città non esiste più –
- Così vi hanno fatto credere. Esiste eccome! – esclamò Isabel.
- Non mi convincete –
- Cosa dobbiamo dirle per farci credere? – chiese Rembrandt.
- Solo veri abitanti di Roswell sanno come si chiamavano gli alieni caduti nel
1947 –
- Dice i loro nomi alieni? – chiese Isabel, felicissima che quella fosse la
domanda.
- Sì. E anche il nome del loro pianeta d’origine –
- Niente di più facile. Zan, Rath, Vilandra e Ava. Il pianeta è Antar – rispose
Isabel, con un grande sorriso.
- Scusi, ma non vedo perché solo noi possiamo sapere quei nomi. Se lo sapete
anche voi… - disse Quinn.
- Come ben sapete, Roswell non ha permesso alle autorità di rivelare notizie
sugli alieni –
- Non credo che possiamo ricordarci, dato che eravamo bambini quando è successo
– disse Isabel.
- Bambini? –
- Sì. Io e Quinn eravamo bambini, mentre loro due si sono trasferiti a Roswell
poco prima che scoppiasse la guerra – mentì ancora Isabel.
- Ammetto che le vostre storie reggono, anche se non sono del tutto convinto –
- Noi non sappiamo cosa farci. Ci dispiace per aver detto quei codici al
negozio, ma non volevamo farci vedere, dato che eravamo gli unici umani.
Credevamo che i robot si fossero accaniti contro di noi – disse Rembrandt.
- Comunque stia tranquillo, domani togliamo il disturbo. Torniamo a Roswell –
disse Maggie.
- Credo che mi abbiate nascosto ancora qualcosa: signor Mallory, per piacere,
tolga quel coso che ha nella tasca destra dei pantaloni – disse Jonathan.
- Ma come… -
- Come ho fatto? I robot hanno la vista a raggi x e mi hanno informato di un
oggetto sconosciuto –
Quinn estrasse il timer.
- Cos’è? – chiese Jonathan, guardando l’oggetto molto intensamente.
- È… una specie di macchina. La attiviamo e andiamo da un posto all’altro della
Terra. È semplicemente più veloce di un aereo – inventò Quinn, non andando poi
troppo lontano dalla verità.
- E dove l’avete preso? –
- L’ho costruito io – disse ancora Quinn.
- Geniale. Veramente geniale. Sarebbe di grande utilità questo oggetto. Potrei
spostarmi da un posto all’altro in un batter d’occhio – già fantasticava
Jonathan.
- Lei ha creato una Terra popolata da robot e si stupisce per una cosa così
banale? – cercò di distrarlo Maggie.
- Sì, effettivamente potrei costruirne uno, però è molto più comodo prendere il
vostro –
- Non ci pensi nemmeno! Questo è mio! – urlò Quinn rimettendosi il timer in
tasca.
Sir Jonathan non si fece scoraggiare; infatti pochi minuti dopo entrarono nella
stanza cinque soldati, che immobilizzarono i quattro e presero il timer.
- Bene. Voi resterete qui come miei ospiti. Il suo aiuto potrebbe servirmi –
disse Jonathan, rivolto a Quinn.
Non fecero in tempo a replicare, che furono tramortiti e condotti in un’altra
stanza. Quando ripresero conoscenza si trovavano in una stanza con quattro
letti, bagno e cucina. Erano in un mini appartamento con ogni comfort.
- E crede anche di trattarci bene! Siamo chiusi qui da chissà quale sistema di
sicurezza – disse Rembrandt.
- E qui entrano in gioco i miei poteri – disse Isabel.
- Manca poco alla partenza. Sono passate cinque ore da quando ci hanno
tramortito. Entro due ore dobbiamo partire – disse Quinn guardando l’orologio.
- Ce la faremo – promise Isabel.
La ragazza sedette su un letto e chiuse gli occhi. Si concentrò ed entrò nella
mente di Jonathan che, dopo qualche momento di esitazione, le mostrò dove si
trovava il timer. Qualche minuto dopo Isabel tornò alla realtà.
- Allora? Ti sei fatta un pisolino? –
- No! Sono entrata nella mente del nostro gentile ospite e mi ha fatto vedere
dov’è il timer –
- Che bel potere! –
- Ha i suoi lati positivi. Adesso dobbiamo uscire di qui e andare nella stanza
con la cassaforte, aprirla e prendere il timer –
- E ti sembra così facile? –
- Ho altri poteri – così dicendo, Isabel fuse la maniglia della porta che li
teneva bloccati.
Sgattaiolarono fuori dalla stanza e, seguendo Isabel, arrivarono alla
cassaforte. Isabel digitò il codice segreto e l’apertura scattò, mostrando il
timer.
- Ma sei un fenomeno! – esclamò Rembrandt.
- No, semplicemente un’aliena – scherzò Isabel.
La ragazza, coi suoi poteri, rimise tutto in ordine e, senza fare alcun rumore,
tornarono nella loro stanza. Nessuno si era accorto di niente e, mezz’ora dopo,
attivarono il timer e il tunnel li portò su un altro mondo.
- E ancora una volta abbiamo salvato la pelle – esclamò Rembrandt, appena tutti
furono usciti dal tunnel dimensionale.
- Già, e tutto per merito di Isabel – esclamò Quinn, abbracciando la ragazza.
- Per sdebitarci ti offriamo il pranzo –
- Ci sto! –
Naturalmente si trovavano ancora a San Francisco, perciò per Isabel non era
ancora giunto il momento di tornare a casa.
Dopo quell’avventura nel mondo popolato da robot, Isabel si accorse che amava
il rischio e soprattutto amava viaggiare con Quinn, Maggie e Rembrandt. Erano
delle persone magnifiche.
[Roswell – New Mexico – Terra di partenza]
Anche a Roswell il tempo il tempo passava e a poco a poco si stava affievolendo
in tutti la speranza di rivedere la loro amata Isabel. Il tempo trascorreva
diversamente a Roswell e, se per i quattro viaggiatori erano trascorsi solo
pochi giorni dalla partenza, per gli abitanti della città degli alieni erano
già trascorsi dei mesi.
Max, Michael e Alex erano quelli che stavano peggio, perché avevano perso una
sorella e una fidanzata. Inoltre ora erano solamente due alieni e sarebbe stato
veramente difficile dover affrontare un giorno il loro destino. Come avrebbero
potuto sconfiggere i loro nemici contando solo sui loro poteri? Ma quello
comunque era un problema ben più trascurabile rispetto al dover vivere senza la
prima persona che avevano conosciuto appena usciti dalle capsule. Come si sa,
loro tre erano pressoché inseparabili e ora a Max e Michael era come se
mancasse una parte. Per non parlare di Alex, il quale era innamorato perso di
Isabel, e non vederla più era uno strazio. Finalmente era riuscito a far aprire
il cuore a quella ragazza irraggiungibile, le aveva permesso di vivere
un’esistenza pressoché normale, si erano fidanzati ed ora puf, lei era sparita
nel nulla, dato che sulla Terra che loro abitavano di lei non c’era traccia.
Era come se il momento tanto odiato di vedere i loro alieni partire per Antar
fosse giunto. Certo, sapeva che stava bene, sapeva che non era sola, però non
era con lui.
Inutile parlare della disperazione dei signori Evans che, per colmare il vuoto
lasciato dalla loro amata figlia, rivolgevano tutte le attenzioni su Max, quasi
soffocandolo. Sapevano che prima o poi sarebbe tornata, ma non potevano non
pensare a quanto fosse crudele il destino a volte. Avevano trovato quei due
bambini abbandonati nel deserto, e per loro era stata una grazia di Dio, li
avevano cresciuti, li avevano aiutati ad uscire dal loro quasi impermeabile
guscio, ed ora che tutto andava per il meglio, ora che erano cresciuti e
avevano degli amici e dei fidanzati, ora che avevano quasi terminato la scuola,
ecco che il loro sogno di crescere per sempre quei due pargoletti viene
infranto da uno stupido tunnel dimensionale. Se avessero avuto tra le mani quel
Quinn Mallory! Comunque si facevano forza e tiravano avanti, con la certezza di
riabbracciare, un giorno, la loro Izzy.
Maria e Liz erano molto dispiaciute per quello che era successo, soprattutto
perché era straziante vedere Alex, Max e Michael ridotti in quelle condizioni.
Loro erano amiche di Isabel, ma non avevano mai avuto con lei la confidenza che
invece avevano con i tre ragazzi del gruppo.
Comunque, tra un brutto pensiero e l’altro, i cinque ragazzi continuavano le
loro vite.
Tutti si diplomarono, Max, Liz e Alex con il massimo dei voti, e poi
intrapresero la vita universitaria. Max, Liz e Alex si iscrissero
all’università di Albuquerque, mentre Maria fu notata da un talent scout e le
fu proposto un contratto discografico. Ora lavorava a Phoenix e teneva concerti
per tutto il New Mexico. Nonostante i suoi numerosi impegni, non si era
allontanata dal resto del gruppo e, appena poteva, andava a trovare i suoi cari
amici. Michel invece non aveva proseguito gli studi e lavorava come agente alle
dipendenze dello sceriffo Valenti. Aveva frequentato la scuola di polizia con
Kyle, il quale faceva nuovamente parte del gruppo.
Dopo cinque anni Max, Liz e Alex si laurearono, ovviamente col massimo dei
voti, e tornarono a vivere a Roswell, dove anche Michael e Kyle vivevano. Maria
continuava a fare concerti, ma non solo nel New Mexico. Era diventata una star
della canzone e aveva aperto una casa discografica, ovviamente con sede a
Roswell.
Terminata l’università Max e Liz si sposarono e comprarono una casetta molto
accogliente proprio di fronte al Crashdown dove Liz, appena i numerosi impegni
di lavoro glielo permettevano, si recava per aiutare i suoi genitori.
Alex non aveva più avuto la forza, o forse il coraggio, di fidanzarsi
nuovamente, sempre nella speranza che la sua Isabel sarebbe tornata presto e
avrebbero ripreso da dove avevano interrotto. Proprio non riusciva a vedersi
con un’altra ragazza; così rimase single.
Michael e Maria, dopo anni di lotte furibonde e litigate, soprattutto a causa
del lavoro di Maria, si lasciarono, ma rimasero amici.
La novità fu che Maria e Kyle si fidanzarono e, dopo pochi anni, si sposarono.
Questo per gli altri fu del tutto inaspettato, ma loro due stavano veramente
bene insieme, soprattutto perché Kyle capiva l’importanza che per Maria aveva
cantare e non l’aveva mai ostacolata.
Così tutti a Roswell continuavano le loro vite, così come faceva Isabel, in
chissà quale mondo.
[San Francisco – Terra parallela]
I quattro viaggiatori percorsero ancora infinite volte il tunnel dimensionale e
affrontarono molte avventure. Atterrarono su una Terra dove dovettero
affrontare decine di vampiri. Quella fu un’esperienza traumatica per tutti,
perché facevano veramente ribrezzo e soprattutto perché per poco non
morsicavano il loro collo. Dopo mille peripezie riuscirono a partire da quel
mondo infernale e si trovarono in una San Francisco del futuro, dove vi erano
macchine volanti, dove dei robot spazzavano le strade, dove vi erano solo
grattacieli infiniti e dove persino le persone sembravano degli automi. Avevano
strani abiti e strani capelli e una tecnologia super avanzata, che nemmeno
Quinn aveva mai immaginato potesse esistere. Per quella popolazione i viaggi
interdimensionali attraverso un tunnel erano obsoleti e le scoperte nel campo
della genetica erano avanzatissime. Per Quinn fu una tortura partire da quel
mondo, perché lì avrebbe potuto imparare veramente molto. Il pianeta che
visitarono subito dopo non era molto diverso da quello appena abbandonato,
perché la popolazione era geneticamente modificata, segno di una tecnologia
avanzata. Erano tutti bellissimi, fortissimi e velocissimi. La popolazione non
era solo geneticamente modificata, ma più che altro era geneticamente
perfezionata. Furono sollevati di allontanarsi da quel posto perché si
sentivano imperfetti sotto ogni punto di vista.
Viaggiarono e viaggiarono, senza mai trovare le coordinate di Roswell, e Isabel
si era rassegnata all’idea di stare per sempre con loro senza mai riabbracciare
i suoi amici. Non le dispiaceva del tutto, dato che tra lei e Quinn era
scoccata la scintilla, però voleva sapere come andavano le cose a Roswell, cosa
avevano combinato gli altri in quel periodo e soprattutto voleva dare delle
spiegazioni ad Alex, perché in un certo senso lo stava tradendo, anche se lui
probabilmente si era rifatto una vita con qualcun’altra.
Erano finalmente giunti su una Terra pacifica, dove tutti erano felici e
gentili, dove il sole splendeva alto nel cielo e gli uccellini cantavano
allegri sui rami degli alberi in fiore, dove le nuvole non oscuravano mai la
luce del sole, dove la pioggia non bagnava mai i campi verdissimi, dove il
tramonto si tingeva di colori spettacolari, dove tutto era perfetto. In quel
luogo, e proprio in uno dei fantastici campi, fu celebrato il matrimonio di
Isabel e Quinn. Fu una giornata fantastica per tutti: quasi tutta la
popolazione di San Francisco partecipò al loro matrimonio e regalò baci e
abbracci ai novelli sposi; inoltre regalarono loro un banchetto favoloso e
pagarono una notte nella suite presidenziale dell’hotel più caro della città.
Dopo quella fantastica giornata, Quinn e Isabel decisero di continuare a
viaggiare e, se non avessero trovato Roswell, allora si sarebbero trasferiti in
quella San Francisco.
Il giorno dopo, purtroppo, furono costretti a ripartire e visitarono numerosi
altri mondi, alcuni strani, altri un po’ più “normali”, fino a che Quinn non
trovò le esatte coordinate della Roswell di Isabel.
[Roswell – New Mexico – Terra di partenza]
Erano passati ben dieci anni dalla partenza di Isabel e quel giorno era uguale
agli altri: tutti si recarono a lavorare e, alla sera, andarono al Crashdown
per festeggiare la gravidanza di Liz.
Stavano parlando allegramente, quando il portale si aprì e Quinn, Isabel,
Rembrandt e Maggie fecero “irruzione” nel locale. Tutti rimasero a bocca aperta
e non realizzarono immediatamente ciò che era successo: Isabel era tornata!
- Ragazzi! – urlò Isabel gettandosi tra le braccia di Max, che si era
avvicinato a loro.
- Izzy! – esclamarono tutti, felicissimi di rivederla.
- Mi siete mancati da morire – disse Isabel facendo un giro di baci e abbracci.
- Ci sei mancata anche tu –
- Allora, devi raccontarci tutto – disse Maria.
- La solita Maria. Ragazzi, non siete cambiati moltissimo – disse Isabel,
guardando i suoi amici.
- Voi non siete cambiati minimamente. Sembra che il tempo per voi non sia
passato – osservò Max.
- Effettivamente è così. Viaggiando continuiamo a spostarci attraverso lo
spazio e il tempo, perciò non invecchiamo – spiegò Quinn.
- Però! –
I ragazzi di Roswell erano cambiati di poco, nonostante fossero passati dieci
anni: Max aveva un taglio di capelli molto simile a quello di dieci anni prima,
e il suo viso era più maturo, ma per il resto non aveva fatto cambiamenti
drastici. Michael portava i capelli più lunghi e i suoi muscoli erano molto più
evidenti, dopo tutta la palestra fatta alla scuola di polizia. Kyle portava i
capelli sparati, pettinatura che lo ringiovaniva molto e, come Michael, i suoi
muscoli erano più marcati. Alex era lo stesso di sempre, solo coi capelli più
lunghi. Liz aveva tagliato i capelli, ora li portava fino alle spalle ed erano
leggermente mossi. I suoi abiti erano cambiati invece, come quelli del resto
del gruppo; abiti da adulti e non più jeans e scarpe da ginnastica. Maria aveva
i capelli lunghi e ricci, ma i suoi abiti erano sempre molto provocanti.
D’altronde col lavoro che faceva erano quasi necessari!
- Allora, cosa è successo durante la mia assenza? – chiese Isabel, impaziente
di sapere.
- Io, Alex e Liz ci siamo laureati e viviamo qui. Io sono cosmologo, Alex
informatico e Liz biologa – cominciò Max.
- Bei lavori -
- Io sono agente di polizia – disse Michael.
- Ah ah ah! Proprio tu?! –
- Cosa c’è da ridere? È un lavoro come un altro –
- Certo che il tuo caratteraccio non lo perdi mai! – esclamò Isabel ridendo.
- Io invece sono cantante. Ho coronato il mio sogno – disse Maria con gli occhi
lucidi.
- Sono contenta per te. La cosa che hai sempre voluto era cantare –
- E io sono vice sceriffo – disse Kyle.
- Da quando sei entrato a far parte del gruppo? – chiese Isabel.
- Da quando io e Michael abbiamo frequentato la scuola di polizia insieme –
spiegò.
- E ditemi, state ancora insieme voi quattro? – chiese, rivolta alle due
vecchie coppie.
- No – rispose Maria.
- Cosa è successo? –
- Io e Maria non stiamo più insieme da… saranno cinque anni – disse Michael.
- Sì, più o meno. Io mi sono sposata – continuò Maria.
- Sposata? E chi è quel pazzo? – chiese Isabel.
- Io – rispose Kyle.
- Oh mio Dio! Quinn, siamo sicuri che siamo finiti nella mia Roswell e non in
una parallela? –
- No, no, siamo nella tua Roswell – rispose Quinn, ridendo.
- O porca… Va be’, voglio sperare che Liz non stia con Michael! – scherzò
Isabel.
- No, noi due ci siamo sposati sei anni fa e stavamo festeggiando la gravidanza
di Liz – disse Max, con un sorriso enorme.
- Congratulazioni! Sono così felice! Diventerò zia! – esclamò Isabel andando ad
abbracciare i futuri genitori.
- E tu Alex, hai fatto strage di cuori? – chiese ancora Isabel.
- No. Io non mi sono mai fidanzato con nessun’altra – rispose il ragazzo.
Isabel sentì una fitta al petto. Come poteva dirgli che era sposata con Quinn.
Ma avrebbe dovuto farlo.
- E tu? Cosa hai fatto? Cosa hai visto? – chiese Max, curioso.
- Noi siamo stati su tantissimi mondi, uno diverso dall’altro. In alcuni ci
siamo divertiti un casino mentre in altri per poco non rischiavamo la pelle,
comunque siamo ancora qui. Siamo finiti in mezzo ai robot, ai vampiri, a
persone geneticamente modificate, in una San Francisco completamente allagata,
in un’altra deserta, in mezzo a piante parlanti, gnomi e chi più ne ha più ne
metta – raccontò Isabel.
- Uau! E alieni? Ne avete visti? –
- Sì, i Cromag naturalmente – rispose Maggie.
- Ah, i famosi alieni assassini. Avete combattuto contro di loro? – chiese Max.
- Fortunatamente no. Nel mondo dove li abbiamo incontrati non era possibile
combatterli perché la popolazione era già sotto il loro controllo. Ci siamo
limitati a fare per due giorni quello che volevano loro e così siamo potuti
partire senza attirare la loro attenzione – spiegò Rembrandt.
- Meno male… Isabel, quella che hai al dito è una fede nuziale o solo un bell’anello?
– chiese Michael.
- È una fede nuziale – rispose Isabel, guardando Alex.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi.
- Ti sei sposata? E chi è quel pazzo? – chiese Maria.
- Io – rispose Quinn.
- Quinn Mallory, il geniaccio della scienza che ha incastrato mia sorella!
Complimenti! – rispose Max, ridendo.
- Sono felice per te – disse Alex, ma senza nemmeno un velo di felicità che gli
attraversasse gli occhi.
- Alex, mi dispiace ma io non sapevo se sarei tornata qui e sapevo anche che
voi avreste continuato a vivere, perciò quando mi sono resa conto di essere
innamorata di Quinn non ho rinnegato il sentimento che provavo – spiegò Isabel,
molto triste perché sapeva di averlo ferito.
- Non te ne faccio una colpa. Posso immaginare quello che hai provato
trovandoti in un altro mondo. Tu non sapevi se saresti tornata e noi non
sapevamo se ti avremmo rivista. Io non ce l’ho con te. L’unica cosa che voglio
è che tu sia felice, perciò non essere triste per me – rispose il ragazzo.
- Avrei voluto dirtelo prima, ma non mi era possibile. Avrei voluto chiarire
con te quando la storia tra me e Quinn era agli inizi, ma era impossibile. Non
mi piace mostrarti il fatto compiuto, ma non ho potuto fare altrimenti –
continuò la ragazza.
- Lo so, lo so. Izzy, non preoccuparti, è giusto così. Tu hai tutto il diritto
di innamorarti, di vivere e io non posso impedirtelo – la rassicurò Alex.
- Spero che le tue parole siano sincere, perché ti credo – rispose Isabel,
dando l’ultima possibilità ad Alex di dire ciò che pensava.
- È quello che credo, è quello che penso. Non fartene una colpa e non essere
preoccupata per me. Me lo prometti? –
- Te lo prometto – disse Isabel, andando ad abbracciare Alex.
- E quanto tempo restate qui? – chiese Liz.
- Due giorni – rispose Quinn, consultando il timer, cosa che faceva
spessissimo.
- Isabel, tu hai intenzione di rimanere qui o partire con loro? – chiese Max.
- Credo che sia giusto fare quello che fa mio marito, e so che lui partirà –
rispose Isabel, guardando Quinn con adorazione.
- Certo, certo, anche se non so se è una cosa saggia – disse Max.
- Perché? –
- Perché siamo due contro l’esercito di Kivar. Fortunatamente in questi anni
non si sono fatti vivi, ma se un giorno dovessero attaccarci, noi cosa faremo?
E poi, ora che ci eravamo abituati a vivere senza di te, tu sbuchi
all’improvviso, ci dai la speranza di poter stare nuovamente insieme, e poi ci
dici che ripartirai. – rispose Max.
- Max, quello che dici è ingiusto. Se Kivar non si è fatto vedere in tutti
questi anni, non c’è ragione che lo faccia adesso. Inoltre, cosa preferivi, che
io non venissi qui? Preferivi vivere solo con il mio ricordo, senza avere
l’opportunità di vedermi un’ultima volta? Volevi che io vivessi senza
riabbracciarti, senza stare con voi anche solo per due giorni? –
- Certo che volevo riabbracciarti! È solo che così è molto più doloroso. Mi
sono dovuto separare da te già una volta, e rifarlo sarà straziante. Certo, so
che stai bene, che sei innamorata e che mai nessun alieno potrà farti del male,
ma saprò che tu sarai lontana da me – rispose Max.
- Max, è doloroso anche per me, ma non posso restare. Io voglio e devo restare
con Quinn. Lui ora è la mia casa, lui è la mia famiglia e non posso
abbandonarlo. Chi sceglieresti tra me e Liz?
- Hai ragione. Scusa Izzy –
- Niente, è tutto a posto – poi Isabel si rivolse a Michael: – Hai detto che
non stai più con Maria, ma hai una fidanzata o fai strage di cuori? –
- Faccio strage di cuori, ovviamente. Io e Maria siamo rimasti amici e,
nonostante continui a farmi conoscere sue amiche, finora non ho avuto molta
voglia di impegnarmi seriamente –
- Be’, Alex è disponibile! – scherzò Maria.
- Magari un pensierino ce lo faccio. Cosa ne dici, Alex? – disse Michael,
facendo l’occhiolino all’amico.
- Sai Michael, sei molto simpatico, ma non sei il mio tipo. Non ti offendere,
ma preferisco i bruni ai biondi – rispose Alex, stando al gioco.
- Vedi Is? Nemmeno Alex mi vuole! – disse Michael, scuotendo la testa e
scoppiando a ridere, trascinando tutti gli altri.
Isabel poi si recò dai suoi genitori, che furono felicissimi di rivederla e
riabbracciarla. Loro sapevano che prima o poi la loro bambina sarebbe tornata.
Furono ancora più contenti quando Isabel presentò loro Quinn come suo marito.
Sua madre scoppiò a piangere e il padre si affrettò a stringere la mano del
ragazzo e dire: - Benvenuto in famiglia, figliolo -. La gioia della bella
notizia, però si tramutò in tristezza quando Isabel comunicò loro la sua
decisione di partire alla prossima apertura del tunnel. Spiegò che non poteva
lasciare Quinn e loro, anche se a malincuore, lo capirono ed accettarono.
Isabel rimase a casa sua, con Quinn che dormiva nella stanza che una volta era
stata del fratello. Isabel si sentì strana quando andò a dormire, perché era
abituata a dividere il letto con lui e non averlo vicino quella notte la fece
tornare indietro nel tempo, quando era ancora un’adolescente convinta che non
avrebbe mai lasciato Roswell. Ora, nonostante mostrasse ancora diciassette
anni, ne aveva ventisette e aveva delle responsabilità a cui non si poteva
sottrarre. Con tutti questi pensieri che le ronzavano in testa, dopo molto
tempo si addormentò.
La mattina si svegliò, e fu ben lieta di fare colazione coi suoi genitori, i
quali non potevano credere di averla seduta a tavola con loro. Durante il
pomeriggio si incontrarono con gli altri e passarono molte ore a chiacchierare
e a ricordare i vecchi tempi. Erano talmente presi dalla discussione che non si
accorsero dell’improvvisa assenza di Michael e Maggie.
Quando arrivò, la sera successiva, il momento della partenza, Maggie stupì
tutti. Tutti si salutarono e, mentre stavano per saltare nel tunnel, la donna
disse: - Io resto –
- Ma cosa ti salta in mente? – le chiese Rembrandt.
- Voglio fermarmi. Sono stanca di viaggiare. Il mio mondo non esiste più,
perciò uno o l’altro per me non fa differenza. Non posso continuare a viaggiare
non sapendo se troveremo il vero mondo di Quinn, perciò ho deciso di fermarmi
qui, dove conosco loro e dove starò bene –
- Maggie, sei sicura? – le chiese Quinn.
- Sì, ragazzi vi voglio un bene dell’anima e mi mancherete tantissimo, ma
questa è la mia decisione. Spero di rivedervi un giorno – e così dicendo Maggie
abbracciò fortissimo i suoi tre amici di avventura e scoppiò a piangere,
prontamente consolata da Michael. Ai ragazzi sorse un piccolo dubbio: rimaneva
solo perché era stanca oppure perché un certo Michael Guerin l’aveva fatta
cadere nella sua rete? Dopo ancora qualche lacrima, i tre saltarono nel tunnel,
lasciando ai loro amici un senso di vuoto.
[San Francisco – mondo parallelo]
Naturalmente Quinn aveva programmato il timer in modo che si trovassero a San
Francisco. Isabel era triste ma stava bene, sapeva di avere fatto la cosa
giusta. Non pensando più al passato e a quello che aveva lasciato a Roswell,
continuò a viaggiare con Quinn e Rembrandt per molto tempo, visitando
tantissimi altri mondi, uno più strano dell’altro. Dopo anni di viaggi si
resero conto che non era possibile trovare la San Francisco di Quinn, o forse
vi erano già andati ma senza accorgersene, perciò decisero di stabilirsi in
quel mondo fantastico dove si erano sposati.
Dopo poco tempo Isabel si accorse di essere incinta e per Quinn e Rembrandt fu
la notizia più bella che potessero ricevere. Dopo nove mesi nacque un
bellissimo bambino coi capelli biondi della madre e gli occhi azzurri del
padre. Per rispetto e per ricordo lo chiamarono Alex, Alex Mallory. Isabel
sapeva che così una parte di Alex Withman sarebbe stata sempre con lei.
In quella San Francisco vivevano come comuni mortali, senza più avventure fuori
da ogni logica.
Rembrandt trovò una brava donna, più o meno della sua età, di nome Mary e in
poco tempo si sposarono, anche se non ebbero mai dei figli.
Erano veramente due belle famigliole: vivevano insieme in una casa bifamiliare
a due piani. In quello a pian terreno vivevano Rembrandt e Mary e in quello al
primo piano Quinn e Isabel.
Il fatto di non dover più viaggiare e correre pericoli fece sì che Isabel
rimase nuovamente incinta, questa volta di una bambina, una splendida bambina
dai capelli castani come il padre e gli occhi nocciola come la madre. La
chiamarono Maggie, Maggie Mallory; così un pezzo di Maggie Beckett sarebbe per
sempre stato nei cuori di Quinn, Rembrandt e Isabel.
[Roswell – New Mexico – Terra di partenza]
Otto mesi dopo la nuova partenza di Isabel, Liz partorì una splendida bambina
dai capelli castani come la madre e dagli occhi fantastici del colore
indefinito del padre. La chiamarono Isabel, Isabel Evans. Isabel era sempre nei
loro cuori ma quella bambina, avendo il nome e il cognome della loro adorata
amica e sorella, dava loro la speranza di rivederla ancora.
I ragazzi non avevano sbagliato sulle loro impressioni al momento della
partenza: Michael e Maggie ormai facevano coppia fissa. Erano una bella coppia,
entrambi con un carattere molto forte e battagliero. Era un po’ come rivedere
Michael con Maria, anche se Maggie, ovviamente, era molto più matura della
Maria diciassettenne e Michael ora era un uomo, non più un ragazzino impaurito.
Le cose tra loro procedevano a meraviglia, tanto che un anno dopo la nascita di
Isabel, si sposarono. Andarono a vivere nell’appartamento di Michael e, dopo
qualche mese anche Maggie rimase incinta. Nacque un maschietto, coi capelli
neri della madre e gli occhi marroni del padre. Gli fu dato il nome di Quinn,
Quinn Guerin, ovviamente in ricordo dell’amico di avventura Quinn Mallory.
Come si dice: tutto è bene quel che finisce bene. I ragazzi di Roswell avevano
trovato l’amore e la stabilità economica. Avevano dei magnifici bambini da
accudire e una vita da vivere, con il fantastico ricordo di una vita passata.
Sì perché, soprattutto per Isabel, la loro vita a Roswell fino al momento della
partenza della ragazza, era come una vita separata da quella che avevano
vissuto dal giorno dopo fino a quel momento.
Le loro vite ora era cambiate, erano quelle di persone adulte, ma tutti avevano
nel cuore le magnifiche persone che avevano conosciuto: Isabel aveva nel cuore
tutti i suoi amici, il suo adorato fratello e i suoi genitori, mentre il resto
del gruppo di Roswell aveva nel cuore Isabel, Quinn e Rembrandt.
L’unica cosa che sapevano era che, nonostante si trovassero in due realtà
parallele, separati da una barriera invalicabile, erano comunque vicini, erano
comunque insieme, e lo sarebbero stati per sempre.
Scritta
da Kassandra |