Riassunto:
Quanto accaduto nel palazzo reale di Antar perseguita Isabel, e Max, Jason e
Shiri, che si trovano costretti ad affrontare, in un modo o nell’altro, le loro
paure.
Data di stesura:
dal 19 marzo al 16 aprile 2003.
Valutazione:
adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
La mia e-mail è
ellis@roswellit.zzn.com
La piccola stanza era quasi completamente immersa nel buio. Solo la tenue luce
di un lampione filtrava attraverso la tenda di cotone a vivaci colori, creando
ombre livide sul letto. Nel silenzio della notte si udiva chiaramente il
respiro irregolare di una delle due figure addormentate.
Quando Isabel emise un gemito sommesso svegliandosi di scatto, madida di sudore
e tremante, Morgan aprì gli occhi e la fissò con attenzione. Le coperte erano
aggrovigliate intorno alle lunghe gambe della ragazza, muta testimonianza del
suo sonno agitato.
Poi lei si portò entrambe le mani sul viso mormorando qualcosa di
inintelligibile.
- Hai avuto di nuovo gli incubi? - le chiese l’uomo con voce sommessa.
Isabel trasalì impercettibilmente. Non si era resa conto che il marito fosse
sveglio, e quella semplice domanda ebbe il potere di acutizzare l’angoscia che
stava provando. - Lo so che non ha senso... perché è tutto finito, ma... -
Lasciò scivolare le mani fra i capelli, lo sguardo perso nel vuoto.
- Evidentemente non è finito per te - Morgan le si accostò girandosi sul fianco
e le sfiorò delicatamente le dita contratte. - Parlamene... - disse piano.
- No - Isabel scosse decisa la testa. - No, non voglio ripensarci - Un
singhiozzo soffocato le sfuggì dalle labbra pallide, poi si volse verso di lui
e nascose il volto nella sua spalla. - Sono così stanca... - bisbigliò
disperata. - Perché non possiamo vivere normalmente? Perché non ci lasciano in
pace? -
Morgan la strinse in un tenero abbraccio, cercando di infonderle calore.
Avrebbe voluto poterla rassicurare che niente le avrebbe più fatto del male,
che l’avrebbe protetta dalle brutture del mondo, ma sapeva che le cose,
purtroppo, non erano così semplici. Per quanto gli riuscisse ancora difficile
accettare quell’assurda realtà, Isabel non era completamente umana e, di
conseguenza, era esposta a rischi spesso mortali che avrebbero sfibrato
chiunque, figurarsi una ragazza di ventun’anni... Sentì che tremava ancora e le
accarezzò piano la schiena. - Ce la farai... ce la faremo... - sussurrò.
- Ma io non ne posso più... -
- Isabel, ti prego, dimmi cos’è successo... - insisté.
La ragazza sospirò sconfortata. La serata era stata fantastica, e lei si era
sentita perfetta nel suo elegante tubino nero, i capelli sapientemente
sollevati sulla nuca e gli occhi messi in risalto dal trucco leggero applicato
con cura. Dopo la cena in uno dei migliori ristoranti della città avevano fatto
una lunga passeggiata, dopodiché erano tornati a casa e si erano amati fino a
crollare in un sonno profondo. Ma poi i ricordi si erano riaffacciati in tutto
il loro orrore, ridestandola bruscamente da quel piccolo bozzolo di felicità.
Si sentiva ancora scossa dai brividi. Voleva dimenticare, voleva cancellare
dalla memoria ogni istante delle mille lotte combattute in quegli ultimi
anni... Non avrebbe mai voluto cominciare, e ora temeva che non sarebbe mai
finita... A poco a poco il dolce tocco delle mani grandi e gentili di Morgan la
calmò e riuscì a recuperare un po’ di lucidità, sufficiente per capire che lui
aveva ragione. Doveva parlare, o le sue paure avrebbero finito con l’acquisire
una forza capace di distruggerla. Ma non in quel momento, non quando nella sua
mente era ancora ben impressa l’immagine di... - No! - mormorò tornando ad
irrigidirsi.
La sofferenza di Isabel fece dolere il cuore di Morgan, che la strinse a sé con
maggior forza. - Io sono qui, amore... - La sua voce era roca per la pena. -
Sei mia moglie... e ti amo... e non sopporto di vederti così... - Depose una
scia di baci leggeri sulla sua tempia, sulla fronte. - Dividi con me il tuo
dolore... -
La ragazza accennò un diniego ma poi, all’improvviso, con un lamento profondo,
simile a quello di un animale ferito, crollò. Faticosamente, dolorosamente,
parlò di Jason e Shiri, dei loro corpi insanguinati stesi nel corridoio del
palazzo reale, un luogo ritenuto fino ad allora sicuro, di Max accasciato sul
cadavere di Lou, delle espressioni indifferenti sui volti degli uomini che
avevano ordinato quel massacro. Sollevò un poco la testa e lo guardò disperata
negli occhi. - Due bambini, e non gliene importava niente! Niente! Max si è
quasi ucciso nello sforzo di riportarli indietro! - Tornò a rannicchiarsi
contro di lui, scossa dai brividi. C’era tanto sangue... Credevo fossero morti
tutti...
Sconvolto dalle sue parole Morgan l’avvolse in un abbraccio protettivo. - No,
amore, adesso stanno bene... stanno bene... - sussurrò sfiorandole i capelli
col tepore del suo respiro.
Isabel si abbandonò alla sua tenera stretta, tentando disperatamente di reagire
al profondo senso di impotenza che quei ricordi le suscitavano.
Lui le diede un bacio sulla fronte. - Liz lo sa? - chiese in un sussurro.
Dopo un breve silenzio la ragazza scosse piano la testa. - Non ne ho idea.
Immagino di sì, perché tra lei e Max non ci sono segreti... - Un’altra pausa. -
Liz... Liz è incredibile... Ha una tale forza d’animo... All’inizio non la
sopportavo, mi sembrava insulsa, infantile... E invece è molto coraggiosa,
determinata, e salda come una roccia... Ha dovuto affrontare situazioni
durissime ma non si è mai lasciata abbattere... - Si morse leggermente le
labbra. Credo di essere sempre stata gelosa di lei, dell’amore che Max prova
nei suoi confronti, quando invece è stato proprio quell’amore a permettere a
mio fratello di sopravvivere nei momenti più disperati... - Un velo di lacrime
apparve nei suoi occhi. - A volte temo di somigliare a Vilandra più di quanto
vorrei... Finisco sempre col fare del male alle persone che amo... A Max, Liz...
a te... Mio dio, Morgan, io... ti ho ferito in un modo terribile... -
A quelle parole lui emise un profondo sospiro. - Sì... Ma non avresti potuto
farmi così tanto male se non ci fosse vero amore fra di noi... L’importante è
che tu ti sia finalmente liberata di quell’ossessione... - Le sfiorò la guancia
con la punta di un dito, fissandola con intensità. - Anche tu sei una persona
forte e coraggiosa... Guarda il modo in cui combatti per difendere la tua
famiglia, o anche soltanto quello che fai nella vita di ogni giorno!... -
Isabel accennò un piccolo sorriso triste. - Non vedo l’ora di laurearmi e
tornare a casa, a Roswell... In qualche modo tu riesci a farmi sentire...
normale... e io... ne ho terribilmente bisogno... -
Una smorfia apparve per un attimo sul volto di Morgan. - Neanche a me piace
saperti lontana... Vorrei svegliarmi tutte le mattine accanto a te, e non solo
un fine settimana ogni tanto... -
A quelle parole la ragazza strofinò la punta del naso contro il suo petto. -
Sto cercando di preparare gli ultimi esami in tempo per la sessione autunnale -
confessò esitante.
- Fantastico! - Il giovane si mosse un poco in avanti premendo leggermente col
proprio peso contro il morbido corpo di lei. Poteva sentire la morbidezza delle
sue cosce e la dolce pressione del seno, ed il sangue prese a scorrergli più in
fretta. - Adesso non pensare più a Jason e Shiri, o a Liz, o allo studio... -
le bisbigliò nell’orecchio. - Concentrati... su noi due... - Le posò una mano
sulla pelle sensibile sotto l’orecchio e cominciò a baciarla con foga mentre
sprofondava nel suo corpo caldo.
Colta alla sprovvista Isabel dischiuse automaticamente le labbra e strinse
d’istinto le braccia intorno alla sua schiena. Mentre si sentiva dissolvere in
lui venne travolta da un fiume di immagini nitide e velocissime, e serrando
forte gli occhi ricambiò il bacio con identica passione. Non aveva bisogno del
suo suggerimento: quando era fra le sue braccia riusciva a dimenticare ogni
cosa che non fosse l’amore che li univa. Un amore nato quasi per caso ma che,
come le aveva detto una volta Max, le dava tutta la forza che le serviva.
Molto più tardi, mentre l’aurora cominciava a rischiarare il cielo, Isabel e
Morgan si addormentarono l’una nelle braccia dell’altro.
Liz sollevò il bordo del bavaglino e pulì la bocca sorridente di Ethan. - Avevi
proprio fame, piccolo birbante! -
Il bimbo le strinse una ciocca di capelli nel piccolo pugno, sgambettando
allegro, e si lasciò mettere dritto contro la spalla della madre.
- Adesso fai un bel ruttino così posso cambiarti e metterti a dormire! Sono
quasi le undici, lo sai? A quest’ora i bravi bambini fanno già la nanna! -
Quasi in risposta alla sua preghiera Ethan emise un leggero suono e Liz sospirò
sollevata. Era stanchissima, dopo aver allattato e cambiato in precedenza
Claudia, e voleva andare da Max, che stava in soggiorno con Jason. Erano
tornati a casa da tre giorni, e da allora lui aveva trascorso gran parte del
tempo al college per cercare di riorganizzare il suo programma di studio ed
essere in grado di laurearsi entro la fine dell’anno. E nonostante l’aiuto di
Jason e Shiri, fra lo stare dietro i due gemelli, occuparsi delle faccende
domestiche e preparare l’ultimo esame che le mancava, finiva con l’andare a
letto e addormentarsi ancor prima di essere raggiunta da Max, così in pratica
non facevano l’amore da due settimane e a volte avrebbe voluto che lui fosse
meno rispettoso nei suoi confronti e la svegliasse anche quando dormiva come un
sasso! Le mancava così tanto... Aveva passato ore a fantasticare su come
avrebbe accolto la notizia della nuova casa che li aspettava a Roswell e
invece, non appena arrivati ad Albuquerque, aveva dovuto occuparsi dei bambini
che reclamavano la loro poppata serale mentre Max si industriava a preparare
una cena per quattro persone con i pochi avanzi nel frigo, e alla fine si erano
ritirati nella loro stanza stravolti, crollando dopo un semplice bacio della
buona notte. Cominciava a sentirsi davvero stufa, voleva stare un po’ con lui,
tanto per cambiare, e non con montagne di pannolini sporchi! Andò in bagno per
lavare e cambiare Ethan, poi lo sistemò nel passeggino e si passò una mano fra
i capelli. Con fare distratto si riallacciò la camicia, poi ci ripensò e la
sbottonò di nuovo. “Coraggio, Liz, ora tocca a te!” si disse avviandosi in
soggiorno con aria decisa.
Nel momento in cui si accostò al divano su cui erano seduti Max e Jason,
davanti alla televisione tenuta ad un volume così basso da rendere pressoché
impossibile seguire i dialoghi, sentì il cuore stringerlesi. Jason stava
semisdraiato contro il padre, il capo reclinato sul suo petto ed un braccio
abbandonato lungo il fianco. Max aveva gli occhi chiusi e la guancia poggiata
sulla sua testa, le mani intrecciate sulla schiena per impedirgli di scivolare.
Sulle sue folte ciglia scure brillava una lacrima.
Colpita dall’espressione di profonda tristezza che incupiva il viso del giovane
fece un passo avanti, e lui dovette rendersi conto della sua presenza perché
sollevò le palpebre e volse il capo per guardarla, la bocca segnata da linee di
dolore. Lentamente tese un braccio nella sua direzione e Liz si affrettò a
prendergli la mano. - Cosa c’è? - domandò sottovoce, soffrendo per lui. Avanzò
ancora, mettendosi alle sue spalle, e Max premette la nuca contro il suo
stomaco, senza lasciarle andare la mano.
Liz sentì le sue dita tremare e gli sfiorò la fronte in una carezza leggera,
desiderosa di capire ma non osando sollecitare una risposta.
Alla fine il giovane tornò a chiudere gli occhi e rivelò con voce sommessa e
tormentata quanto era accaduto durante la riunione coi signori del sistema di
Orialis.
Liz ascoltò inorridita il breve resoconto, mentre la sua mano serrava
inconsapevolmente quella di Max. Il cuore prese a batterle con violenza e lente
lacrime le scivolarono lungo le guance, poi si protese a toccare la pelle
morbida e tiepida del viso rilassato di Jason. - Povero tesoro... - sussurrò
sconvolta. Pensò a Shiri, che dormiva tranquilla nella sua stanza. Con un
ansito immaginò i suoi figli feriti a morte, e Max davanti a loro,
disperatamente determinato a salvarli o a morire nel tentativo. - Max, io... io
non avevo idea... -
- Avrei voluto non fartelo sapere ma... lo avresti scoperto comunque... e io
non ce la faccio più a stare lontano da te... - Le passò la mano libera dietro
il collo avvicinando le labbra alle sue e la baciò con desiderio.
Lo scambio di emozioni che, come sempre, li travolse li lasciò senza fiato. Liz
aveva potuto sentire tutta l’intensità dell’angoscia di Max per la terribile
esperienza, e lui aveva percepito il suo disperato bisogno. Liz... - mormorò
cercando i suoi occhi. Poi sembrò rendersi finalmente conto di quello che
indossava. La sua camicia preferita, grigia a maniche lunghe, con i primi
quattro bottoni slacciati. Già il solo sapere che portasse una cosa sua lo
faceva fremere, ma la rotondità del seno che si intravedeva sotto il morbido
tessuto di cotone gli fece perdere completamente la testa. Fece scivolare le
dita nella scollatura per toccare quella pelle tiepida, fremendo nel cogliere
l’immediata reazione di lei. - Liz... - disse ancora, con voce sorda, prima di
staccarsi da lei e adagiare Jason sui cuscini. Si alzò poi in piedi e spinse
deciso la ragazza contro la parete.
La teneva ancora bloccata al muro con tutto il peso del proprio corpo quando
lei sembrò ricordare qualcosa e raddrizzò la testa sorridendo. - Abbiamo una
casa nuova tutta per noi, a Roswell. L’ho pagata coi soldi vinti alla
lotteria... -
- Cosa? - borbottò Max riprendendo a baciarla su una spalla.
- Avevo accettato un biglietto come resto, e Maria ha scoperto che
corrispondeva al primo premio - Le sfuggì una risata soffocata e strinse
maggiormente le gambe intorno ai fianchi del giovane. - Ehi, fallo di nuovo!...
-
Lui obbedì dopo una breve esitazione e Liz emise un piccolo lamento. -
Ancora... - sussurrò, prima di essere sopraffatta dal piacere.
Poi la ragazza si accasciò letteralmente su di lui e Max dovette faticare non
poco per riallacciarsi i pantaloni usando una mano sola. - Vieni, lasciamo
dormire in pace Jason e andiamocene a letto. Non ho capito bene questa storia
della casa... -
- Oh, è bellissima... E’ una villa a due piani in South Lea Avenue, e Maria ne
ha trovata una per sé e Michael proprio all’incrocio tra la West 1st e Missouri
Avenue, vicinissima alla nostra... E’ un po’ più piccola, ma a lei piaceva
molto... -
Il giovane la prese in braccio. - Sei sicura di sentirti bene? - chiese
perplesso incamminandosi verso la loro stanza.
Liz gli passò le mani intorno al collo con un sospiro felice. - Benissimo... -
Poi piegò un poco la testa di lato. - E’ tutto vero, se n’è occupato tuo padre.
Chiedilo a lui, se non mi credi -
- Perché mio padre e non il tuo? -
- Perché è un avvocato, e io non volevo che i nostri nomi finissero sulla prima
pagina dei giornali. Si tratta di 850 mila dollari, non di bruscolini, sai? -
- E tutto questo sarebbe successo mentre io stavo su Antar e tu eri prossima al
parto, con Morrison e Gabriel Ross fra i piedi?! -
- Già - Liz lo fissò con occhi sognanti. - Vivere con te sembra aver fatto
diventare possibili le cose più pazzesche... - Un’ombra le attraversò lo
sguardo. - Non sempre belle, purtroppo... - aggiunse quasi fra sé.
Max la strinse con maggior forza. - Mi dispiace - disse mestamente.
- Smettila, ok? - La ragazza era diventata molto seria. - Tu sei la persona più
importante della mia vita, e non potrei rinunciare a te neanche se lo volessi!
- Gli sfiorò la guancia con la punta del naso. - Adesso sbrigati a portarmi a
letto: ho nostalgia delle tue braccia intorno a me... -
- Ma ti sto già tenendo in braccio! -
Con un sospiro reclinò la testa contro la sua spalla. - Sai cosa voglio dire...
In questo modo non siamo veramente uniti, e io ho bisogno di sentirti, come tu
hai bisogno di sentire me... E’ l’unica maniera per andare avanti. Nonostante
tutto e tutti... -
Mentre si girava di lato per aprire la porta della loro stanza Max accennò un
sorriso. - Sei molto saggia, amore mio... -
- No, sono soltanto innamorata di te - Liz gli baciò l’incavo del collo. - E so
che tu lo sei di me. -
Senza dire altro il giovane la depose sul letto e si spogliò con pochi gesti
veloci prima di chinarsi su di lei e stringerla a sé, poi tirò su le lenzuola a
coprire i loro corpi. Tremò interiormente nel sentire il fiducioso abbandono
con cui Liz si plasmò contro di lui. “Dio, quanto ti amo...” pensò scivolando
in un sonno sereno, come non era più successo da quando aveva sentito il grido
mentale d’agonia di Jason.
Il sole cominciava a far capolino dalla finestra quando Liz aprì gli occhi,
sentendosi meravigliosamente bene, e sorrise nel vedere Max ancora
addormentato. Con la punta di un dito gli scostò una ciocca di capelli dalla
fronte. Senza volerlo ripensò a Lou, al grandissimo affetto che aveva nutrito
per Jason e Shiri, alla dedizione con cui se n’era preso cura, e dovette
battere le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. “Sei stato un amico
prezioso per tutti noi, e ti ringrazio per aver cercato di proteggere fino
all’ultimo i miei bambini...” Con un sospiro si spinse un poco contro di lui
passandogli un braccio sul petto e abbassò le palpebre assaporando quei momenti
di totale relax prima del risveglio dei gemelli.
“Caro diario, in questi ultimi anni sono successe così tante cose che mi sembra
di aver vissuto non una ma due, tre, mille vite! A volte ripenso al mio primo
giorno di lavoro al Crashdown, insieme a Maria, quando avevo appena compiuto
quattordici anni. Mi sembrò una grande conquista: finalmente ero diventata
adulta, avevo il mio piccolo stipendio, e la scuola era il mio unico
pensiero... Poi Max entrò nella mia vita e tutto cambiò. Il tempo prese a
scorrere ad una velocità pazzesca e ne fui terrorizzata! Ogni cosa si succedeva
con una tale rapidità che non avevo modo di fermarmi a riflettere se non quando
mi ritiravo sul mio balcone, sotto le stelle, e riempivo queste pagine bianche
con una calligrafia che non aveva più niente d’infantile... Me ne sono accorta
solo adesso, sfogliandolo dall’inizio. Prima scrivevo con calma, costruendo le
frasi mentalmente e poi affidandole alla penna, finché un giorno,
all’improvviso, le parole cominciarono a premere per venire fuori, e la mia
mano tremava nello sforzo di star loro dietro... E’ stato come essere travolti
da una valanga... una valanga di sensazioni, pensieri, dubbi, che a volte mi
hanno fatto sentire esaltata, felice, piena di energia, e a volte mi hanno
sprofondata nella disperazione più nera, nel dolore, nel rimpianto. Questo è il
vero significato della vita, non mi stancherò mai di ripetermelo. Assaporare
pienamente ogni singolo attimo, buono o cattivo che sia, e non lasciarsi
fermare dagli ostacoli perché una soluzione si trova sempre. Così, anche se può
sembrare vero il contrario, perfino la morte ha la sua soluzione... il ricordo
dei momenti più belli vissuti insieme. Come quando vidi Lou, fermo su quel
marciapiede, che sospingeva verso di me mia figlia Shiri. Non potrò mai
dimenticarlo... come non dimenticherò la pazienza con cui ha insegnato
l’autodifesa a lei e a Jason, e l’affetto che ha sempre mostrato per loro.
Adesso capisco il perché di quell’espressione smarrita negli occhi di Shiri,
della tristezza di Jason: hanno perduto un caro amico... ed il motivo per cui
Max cercava di sfuggirmi. Voleva proteggermi dal dolore di sapere, ma la
sofferenza fa parte della vita, ci fa crescere, ci rende più forti... Prima di
conoscerlo ero una ragazzina come tante altre, poi sono diventata adulta. E ora
sono Liz Parker Evans, con un mondo pieno di insidie davanti a me e tante
persone che amo, e che mi amano, al mio fianco per aiutarmi ad affrontarle a
testa alta. Certo, sarebbe bello se la vita fosse più semplice e priva di
pericoli, ma avrebbe forse lo stesso fascino? Il fascino di due occhi magnetici
ed un sorriso tenero e sensuale insieme, che hanno arricchito la mia anima come
mai avrei potuto immaginare... Il fascino di qualcuno disposto a sfidare il
destino per me.” Liz chiuse pensosa il suo diario e lo ripose nel cassetto del
comodino. Quando ripensava a tutto ciò che le era capitato da quel lontano
settembre del 1999 si rendeva conto che Max aveva sempre avuto ragione, stare
insieme a lui aveva reso la sua vita terribilmente difficile e pericolosa, ma
allo stesso tempo le aveva dato più forza e amore di quanto avrebbe mai potuto
immaginare. Un piccolo sorriso segreto le illuminò il volto delicato. Se anche
avesse saputo prima a cosa sarebbe andata incontro quando aveva convinto Max a
rimettersi insieme a lei, lo avrebbe fatto di nuovo. Ancora e sempre. Perché
lui era parte della sua anima... Con un sospiro di piacere chiuse gli occhi e
si stiracchiò. La domenica era terminata e l’indomani sarebbe dovuta andare al
college per controllare che tutto fosse in ordine. In quei giorni aveva avuto
così tante cose da fare che temeva di aver combinato dei pasticci con la data
dell’esame. Era l’ultimo, finalmente, e non aveva alcuna intenzione di doverlo
rimandare per aver scritto male il giorno sul modulo d’iscrizione! Nell’udire
lo scroscio della doccia il sorriso le si allargò. Max aveva diviso il suo
tempo fra lo studio e i ragazzi, le pulizie di casa e la spesa al supermercato,
e quando si era ritirato in bagno sembrava un uomo in procinto di entrare in
paradiso. In quegli ultimi tempi sembrava che il bagno fosse diventato l’unico
posto in cui riuscivano ad avere un po’ di privacy, durante il giorno... Con un
sospiro si alzò ed infilò le pantofole. - Vado a prendere Claudia per
allattarla! - disse a voce alta prima di uscire.
Max la udì, nonostante il rumore dell’acqua, e sorrise. Adorava guardare Liz
mentre dava il latte ai gemelli. Quei momenti erano così tranquilli che lo
facevano sentire... normale... Un padre come tanti altri, e niente di più. Poi
scosse la testa, domandandosi chi volesse prendere in giro, si affrettò ad
asciugarsi e, rivestitosi, andò nella camera che dividevano Jason e Shiri. -
Ciao, pronti per andare a dormire? -
Jason mordicchiò pensoso la penna che teneva in mano. - Questi esercizi sono
troppo facili... Sei sicuro che rientrino nel programma giusto? -
- Sì. E non credere che siano poi così semplici: se sei appena un poco
distratto non riesci a risolverli neppure con la soluzione scritta accanto! -
Dette queste parole il giovane si avvicinò ai figli e li strinse in un
affettuoso abbraccio. - Non fate troppo tardi, d’accordo? -
- Mm... - Shiri tornò a rannicchiarsi nella sua posizione preferita, il libro
ben aperto sulle ginocchia, e riprese a leggere con attenzione.
Trascorsero così una ventina di minuti, poi Jason depose la penna e richiuse il
quaderno. Shiri lo seguì con lo sguardo mentre si alzava e andava a sdraiarsi
nel suo letto. - Jason? - lo chiamò allora, piano.
Lui si mise sul fianco e la fissò interrogativo. - Sì? -
- Io... vorrei vedere Bren... Mi accompagneresti nei suoi sogni? -
Il ragazzino si sollevò sul gomito e osservò attento il suo viso implorante.
Non era sicuro che fosse una buona idea perché Bren Alehnikar, per quanto
affezionato a sua sorella, poteva non essere contento di quell’intrusione
mentale. Ma si rendeva anche conto che, con tutto quello che era successo, lei
aveva bisogno di rassicurarsi sulle sue condizioni. Non ne avevano mai parlato,
fra di loro, però entrambi avvertivano un profondo dolore al pensiero di Lou, e
comprensibilmente Shiri voleva essere certa che Bren stesse bene. - D’accordo,
vieni qui! - rispose dando dei colpetti sul materasso.
Con un sorriso grato la ragazza si affrettò a raggiungerlo e lo prese per mano
mentre chiudeva gli occhi concentrandosi.
Shiri si guardò intorno senza riuscire a capire dove si trovasse. Sembrava un
labirinto di stanze incastrate l’una nell’altra, con pile e pile di carte e
armi sparpagliate un po’ ovunque, e ombre minacciose che nascondevano gli
angoli dando l’impressione di uno spazio al contempo soffocante ed infinito.
All’improvviso percepì un movimento e si voltò. Le labbra strette in
un’espressione di insofferenza Bren fece qualche passo in quel luogo tetro,
seguito a breve distanza da Lhara.
- Non sei costretto a farlo... - bisbigliò la ragazza.
Bren serrò le mani a pugno, il volto chiuso e impenetrabile. - Almeno uno di
noi sarà libero - Si volse di scatto verso di lei. - Tu hai fatto già molto.
Quando questa crisi sarà passata potrai tornare laggiù. E’ inutile che anche tu
resti a combattere con tutto questo... - Così dicendo indicò il caos che
regnava intorno a loro.
- Ma resterai solo! - protestò lei dispiaciuta.
Lui fece una spallucciata, tuttavia i suoi occhi avevano una luce quasi
febbrile mentre frugavano fra le ombre, come in cerca di qualcosa.
- Mi dispiace... -
- Non devi sentirti dispiaciuta, invece. E’ quello che voglio. Cancellare il
ricordo del suo tradimento -
- Nessuno ti accusa più di aver complottato con lui, e il popolo ha imparato ad
aver fiducia in te. Non c’è bisogno che ti annienti per rimettere tutto a
posto: è un lavoro immane, per cui non sarà sufficiente una sola vita!... -
Allora Bren fece un respiro profondo e si volse a guardarla. - Io ho bisogno di
farlo. Per me. Per il mio onore -
- Ma l’onore non può scaldarti il cuore, e non ti tiene compagnia la notte... -
Non era necessario che Lhara fosse più esplicita. Entrambi sapevano a cosa si
riferisse.
- No, è vero. Però, forse, non sarà sempre così... -
- Lo spero per te, Bren, lo spero con tutta l’anima! - La ragazza gli si
avvicinò fino ad abbracciarlo, poi se ne andò lasciandolo solo.
A quel punto Bren chiuse gli occhi e chinò la testa. Rimase immobile per
qualche secondo prima di rialzare il capo e slacciarsi il giubbetto, dopodiché
si accostò ad una pila di documenti e fece per prendere un fascio di fogli
quando si sentì osservato. Si volse e trattenne per un attimo il respiro. - Tu!
-
- E’ un sogno strano, il tuo... -
- Veramente è il mio incubo personale. Montagne di lavoro da fare, e sapere che
Lhara desidera fuggire via. Mi fa piacere che tu sia qui... - Le si accostò e
la prese per mano. - Vieni, andiamo in un altro posto! -
Un istante dopo erano sulla riva di un ruscello, riscaldati dai raggi del sole
che filtravano attraverso gli alti alberi.
- Quando ero bambino venivo spesso a giocare qui. E’ un luogo in cui mi sento
al sicuro, in pace... -
- E’ molto bello, infatti. - Shiri sorrise perché lui non le aveva ancora
lasciato andare la mano. Le piaceva stare lì, con il quieto mormorio dell’acqua
e il calore di quelle dita forti strette intorno alle sue. Bren sembrava un po’
triste ma stava bene, e questo era tutto ciò che desiderava sapere. Non avrebbe
sopportato l’idea di perdere anche lui...
- Non devi andare subito via, vero? - domandò Bren ad un certo punto.
- No -
- Bene! - Con un movimento del braccio la invitò a sedersi sull’erba, accanto a
lui, poi si sdraiò e se l’attirò contro il petto. - Lhara mi ha raccontato
quello che è successo su Antar. Avrei voluto essere lì, ma purtroppo non mi era
possibile lasciare Rènida... -
- Lo so. - La ragazza chiuse gli occhi contenta. Sentiva il lento battito del
cuore di Bren sotto il suo orecchio, e le sue dita fra i capelli. Voleva
rimanere così, fra le sue braccia, il più a lungo possibile, e sarebbe sempre
stata grata a Jason per averla aiutata...
Bren si mosse irrequieto nel letto, cercando di riafferrare il sogno che stava
facendo, poi si svegliò completamente e si passò le dita fra i lunghi capelli
castani. Era stato così piacevole starsene sdraiato sull’erba, con Shiri fra le
braccia... Di solito non ricordava i particolari, ma quella volta riuscì quasi
a sentire il profumo dei suoi capelli, e sospirò sconfortato. Shiri era fuori
della sua portata, e solo il cielo sapeva se e quando avrebbe potuto
rivederla... Si augurò di fare di nuovo quel sogno. Era stato l’unico momento
di gioia in una sequela interminabile di problemi e tensioni... Andò a fare una
rapida doccia fredda, poi indossò degli abiti puliti e si diresse verso la
piccola sala da pranzo dell’appartamento privato che divideva con Lhara,
nell’ala sud di una delle poche palazzine di rappresentanza sopravvissute alla
rivolta popolare.
Quando lo vide entrare la ragazza prese il bricco che aveva davanti e ne versò
il contenuto fumante in una tazza. - Tieni, ne hai decisamente bisogno! -
Bren bevve tutto con una sola sorsata. Il liquido era forte, aromatico, e ricco
di sostanze eccitanti che gli diedero una sferzata di energia. - Grazie... -
mormorò posando la tazza sul tavolo e riempiendola di nuovo. - Fra mezz’ora c’è
la riunione del Consiglio. Non ne berrò mai abbastanza, di questa roba... -
Lhara rise suo malgrado. In effetti neppure lei si divertiva alle riunioni del
Consiglio, ma purtroppo erano necessarie e così bisognava fare un accurato
lavoro preparatorio per sperare di sopravvivere a quelle estenuanti sedute...
Con una smorfia si versò a sua volta dell’altro caffè e poi sospinse un piatto
colmo di panini dolci e salati nella sua direzione. - Dai, serviti! Hai tutto
il tempo per mangiare qualcosa! -
Mentre prendeva un panino salato il giovane emise un piccolo sospiro. Gli era
appena tornata in mente la sensazione del corpo sottile di Shiri steso contro
il proprio, con i morbidi capelli scuri sparsi sul suo petto, la pelle delicata
della schiena sotto le sue dita... Accidenti, come avrebbe fatto a concentrarsi
se non riusciva a pensare ad altro che a quella ragazzina?
- Bren... quanto tempo credi ci vorrà prima che io possa... possa tornare sulla
Terra? -
La domanda di Lhara, posta con voce sommessa, colpì Bren come una frustata.
Cosa gli aveva detto, nel sogno? L’onore non ti scalda il cuore, né ti fa
compagnia la notte... Nonostante il desiderio di rivedere Shiri lui sapeva che
l’onore lo teneva incatenato a quel pianeta, ma almeno Lhara avrebbe avuto la
possibilità di vivere dove preferiva. E naturalmente sapeva già di quale posto
si trattasse. Roswell, la città dove aveva conosciuto Kyle e in cui abitavano
anche i reali di Antar... Inghiottì l’ultimo boccone e gli sembrò di aver
mangiato un sasso. - Forse un anno, o anche qualcosa di più. Sei a tutti gli
effetti la regina, e quindi dovremo muoverci con cautela per il passaggio di
poteri... -
- Se ti sposassi sarebbe tutto più semplice. Io abdicherei in favore di tua
moglie e così nessuno potrebbe fare obiezioni! Non c’è una ragazza che ti
piaccia? - chiese Lhara speranzosa.
- No - La risposta decisa di Bren arrivò dopo un lungo silenzio, poi il giovane
si girò per andarsene. - A più tardi - disse a mo’ di saluto.
- A più tardi... - lo salutò lei a sua volta, perplessa. “Oh, Bren, anche tu
vuoi bene a Shiri...” Un sorriso malinconico le sollevò gli angoli della bocca.
“Lei ti ama, sai? Ma non può raggiungerti... E se io scegliessi di restare qui,
consentendoti di andare da lei, come farei a governare questo mondo da sola? Ho
imparato moltissime cose, è vero, però sei tu quello che riesce ad intuire come
muoversi... Io non sarò mai in grado di fare quello che fai tu, per quanto mi
sforzi, mentre Shiri... lei sarebbe perfetta! Una vera regina!” Terminò
sovrappensiero il caffè e si appoggiò allo schienale della sedia. “Mi auguro
che un giorno o l’altro riuscirete ad incontrarvi di nuovo...”
- Salve! Come mai da queste parti, Amy? -
La donna si lasciò cadere sulla poltroncina di fronte alla scrivania e guardò
Michael con attenzione. - Io so che ami Maria e non vuoi che le accada niente
di male, però a volte succede che, con l’abitudine, certe cose non si notino
più finché non diventa troppo tardi per intervenire! -
Il giovane la fissò sconcertato, poi diede un’occhiata a Morgan, immerso nel
suo lavoro, e si schiarì la gola. - Scusa ma... cosa stai cercando di dirmi? -
Amy si chinò verso di lui. - Maria è incinta, Michael, e dato che tu sei... sì,
insomma, sei... - agitò imbarazzata una mano nell’aria - beh, lei ha rischiato
di morire! Per fortuna Liz l’ha aiutata, ma adesso è ad Albuquerque e io ho
paura che la prossima volta non riesca ad arrivare in tempo! -
- Senti, il problema era il sangue, giusto? Cioè, la presenza del bambino stava
avvelenando il sangue di Maria, finché Liz non le ha dato il suo, quindi ora è
tutto a posto! -
Amy non sembrava affatto convinta. - Io l’ho vista, Michael! Stava malissimo!
Un momento era un bagno di sudore, e poco dopo batteva i denti per il freddo!
Forse era soltanto il sangue, però io non sono tranquilla! Ti prego, fai
attenzione! -
- Aveva la febbre alta? -
- Sì - D’improvviso si rese conto della tensione sul viso di Michael e
s’irrigidì. - Michael, cosa c’è? -
- E... delirava? -
La donna annuì lentamente, sempre più tesa. - Sì. Che cosa le è successo? -
- Io... non lo so - Michael abbassò lo sguardo sulle proprie mani, strette a
pugno. - Max l’ha controllata, per cui sono certo che non ha niente che non
vada, però... però non capisco... - Tornò a fissare Amy. - Ti ringrazio per
avermi avvertito - Si alzò in piedi rivolgendosi all’amico. - Morgan, devo
andare a casa, ma tornerò appena possibile... -
- Certo, fa’ pure, e salutami Maria. Ciao, Amy... -
- Ciao, Morgan. - Amy abbozzò un sorriso incerto poi seguì Michael fuori
dell’ufficio. - Mi fido di te - disse prima di dargli un bacetto sulla guancia,
e rimase a guardarlo allontanarsi lungo la strada assolata.
Michael guidò nervosamente, il pensiero rivolto alla ragazza. “Eppure mi sembra
che non abbia niente che non vada... Ma perché la febbre?” Aveva un mucchio di
domande da farle e non vedeva l’ora di cominciare.
Trovò un parcheggio proprio davanti casa e si precipitò all’interno chiamando
la moglie a gran voce.
- Michael! Ma che ti prende? - Maria si affacciò dalla camera da letto con uno
spartito in mano e venne letteralmente travolta dal giovane, che le prese il
volto e le diede un bacio mozzafiato.
- Wow... - riuscì a dire soltanto quando lui la lasciò andare.
- Maria, adesso devi dirmi con esattezza cos’hai avuto prima che Liz ti donasse
il suo sangue! E’ importante, lo capisci? -
La ragazza corrugò la fronte, sorpresa. - Ma è tutto passato! Lo ha detto anche
Max! -
- Sì, ma lui non sapeva della febbre! Ti rendi conto di cosa significa? -
Michael le afferrò con dolce fermezza le braccia tenendola a pochi centimetri
da sé. - Non è solo questione di sangue, Maria! E’ lui, è Mathias! La sua
presenza ha provocato uno squilibrio, e forse è stato questo a farti stare così
male! -
- Non lo so, però so che adesso sto benissimo, e questo mi basta! -
Michael mosse lentamente la testa. - Non basta a me, però... Se dovesse
succederti qualcosa, Maria, io... io non lo sopporterei... Non me la sento di
rischiare... Tu, per me, sei più importante di tutto... -
- Cosa... cosa vorresti dire, con questo? - domandò lei, sentendosi a disagio
davanti alla sua evidente angoscia.
- Io... preferisco perdere Mathias che te... - sussurrò Michael con voce
spezzata.
Maria rimase per un istante perplessa, poi capì e spalancò gli occhi. - No. Oh,
no, Michael, non pensarci nemmeno! - Si scosse con forza liberandosi della sua
presa. - No, mai! -
- Non lo voglio neppure io, ma se è l’unico modo per... -
- Non puoi farmi questo, Michael! - Il volto di Maria si rigò di lacrime mentre
lei indietreggiava piano. - Io voglio questo bambino... E’ una parte di te...
Come può farmi del male? - Si toccò la pancia, ancora piatta. - Forse
all’inizio mi ha dato dei problemi, ma ormai è lì, tranquillo, e cresce un poco
ogni giorno... - Tirò su col naso, disperata. - A volte riesco a sentirlo, sai?
E’ come... come diceva Liz... Sono solo sensazioni... niente di preciso,
però... però so che è lui... Non posso ucciderlo, Michael... No... -
Michael tornò ad abbracciarla, e premette forte le labbra sui suoi morbidi
capelli biondi, combattuto. Poi, con dolcezza, la cullò piano contro di sé. -
Non voglio farlo neppure io, amore... e spero di non dover mai scegliere fra
lui e te... - Deglutì a fatica poi, a voce bassissima, continuò: - Per
favore... non appena sentirai qualcosa... qualsiasi cosa... dimmelo, va bene? E
quando Max tornerà a Roswell ti potrà controllare tutti i giorni... -
Maria si aggrappò a lui, sforzandosi di trattenere il pianto. - Allora...
allora non gli farai niente, vero? -
- No, tesoro, ma dovremo stare molto attenti... - Le mise una mano sulla nuca e
l’altra sulla schiena, stringendola forte. Aveva così paura di quello che
poteva capitarle...
- D’accordo - La ragazza tirò su col naso e premette il viso contro la sua
spalla. - Come hai fatto a sapere che ho avuto la febbre? - domandò quando si
fu un po’ calmata.
- Me l’ha detto tua madre. E’ passata in ufficio, stamattina, per chiedermi di
tenerti d’occhio. Era molto preoccupata per te... -
Maria accennò una risatina mesta. - Lei è sempre preoccupata per me! Ma sto
bene, davvero... E anche Mathias. Senti, toccalo! - Si scostò un poco da lui e
lo prese gentilmente per il braccio per poi spostargli la mano sul proprio
ventre. - Allora? -
Michael chiuse gli occhi e si concentrò finché riuscì a percepire il calore di
quella nuova vita. - E’... incredibile... - mormorò sorridendo emozionato.
- E’ il nostro bambino -
A quelle parole il giovane si arrese completamente. - Già... - La baciò di
nuovo sulla fronte, rabbrividendo al pensiero di quello che era stato sul punto
di fare.
- Michael? -
- Sì? - Scese a baciarle la bocca poi le prese il viso fra le mani e la fissò
con intensità negli occhi, aspettando che continuasse.
- Mathias correrà gli stessi pericoli di Jason e Shiri? -
Michael scosse piano la testa. - Loro sono gli eredi di Max... E poi, farò di
tutto per tenerlo lontano da Antar... Qui sarà al sicuro, almeno spero... -
- Finché l’FBI non deciderà di volerlo studiare, e con lui Claudia e Ethan -
osservò Maria con voce spenta.
- Non succederà. Ormai non ci sono più segreti da difendere e quindi né io né
Max o Isabel avremo problemi ad usare i nostri poteri per impedire che qualcuno
vi faccia del male. Credimi, amore, non ci faremo sorprendere un’altra volta! -
La ragazza fece una smorfia e gli circondò il collo con entrambe le braccia. -
Ok, grande generale, mi affido alle vostre superiori capacità aliene... -
Piccato, Michael le diede una pacca sul fondoschiena e lei lanciò un gridolino
di protesta. - Ehi! -
- Guai a te se osi prendermi ancora in giro! -
- Ma io... -
Il giovane la prese saldamente per i fianchi. - Le nostre capacità aliene sono
davvero superiori! Vuoi che ti rinfreschi la memoria? -
La sua voce divenuta di colpo roca suscitò un piacevole senso di calore in
Maria, che ridacchiò divertita prima di baciarlo sotto l’orecchio. - Sì, è
un’ottima idea... -
Michael se n’era andato ormai da quasi un’ora quando Maria si riscosse dai suoi
pensieri e andò a sedersi accanto al tavolino su cui campeggiava il telefono.
Rimase a guardare l’apparecchio per un tempo che le sembrò infinito, mordendosi
nervosamente le labbra, poi si decise e sollevò il ricevitore. Le sue dita
composero in gran fretta un numero ed attese con ansia che qualcuno
rispondesse. - Pronto! Pronto, Liz? -
Ma dall’altra parte risuonò la voce argentina di Shiri, che le spiegò che la
madre si trovava ancora all’università. Mentre parlavano, tuttavia, si udirono
dei rumori e Liz si sostituì alla figlia.
- Oh, Liz, per fortuna sei tornata! - La ragazza ripeté concitata quanto le
aveva detto Michael, rivelandole i dubbi e le paure che l’avevano assalita fin
dal momento in cui lui l’aveva lasciata sola.
Man mano che ascoltava l’amica Liz divenne sempre più pallida. - Ma questo è
pazzesco! - esclamò quando lei tacque. - Michael voleva...? No, non è
possibile! -
“- Liz, ma mi stai a sentire?!? Michael temeva che questa gravidanza potesse
uccidermi, e in fin dei conti se non fosse stato per te io sarei morta, lo sai
benissimo! In realtà sono riuscita a convincerlo che ormai sto bene, però...
però sto cominciando a ripensarci... Voglio dire, quella storia
dell’equilibrio... Forse è un problema di compatibilità fra me e il bambino...
oppure... -”
- Maria, adesso stai sragionando! - la interruppe Liz esasperata. - Come puoi
pensare tutte queste sciocchezze?!? Sì, in effetti i sintomi che hai avuto sono
molto simili a quelli che ebbe a suo tempo Michael, ma adesso ti senti bene,
no? Questo vuol dire che non ci sono più problemi, almeno per adesso, e quindi
cerca di stare tranquilla, ok? -
Dopo una lunga pausa si udì un leggero borbottìo. “- Ok -”
Liz chiuse gli occhi con un sospiro. - Maria, hai avuto la febbre prima che io
ti dessi il mio sangue, per cui probabilmente Michael aveva ragione, la
presenza del bambino ha causato uno squilibrio nel tuo corpo, ma poi è tornato
tutto a posto perciò ora smettila di preoccuparti... Avevi semplicemente
bisogno di quelle cellule per ristabilire l’equilibrio fra te e Mathias, un po’
come succede quando madre e figlio hanno il gruppo sanguigno diverso, solo che
nel tuo caso la situazione era molto più complicata... -
“- Direi proprio di sì! -” All’altro capo del filo Maria rabbrividì al ricordo
di quanto si fosse sentita male. “- Non avevo idea che potesse andare in questo
modo... Forse non... non... -”
Liz poté sentirla distintamente trattenere per un attimo il fiato, e un accenno
di sorriso le sollevò gli angoli delle labbra. - Lo avresti fatto lo stesso -
disse piano.
La risposta di Maria giunse dopo un breve silenzio. “- Già -” Poi la
comunicazione venne interrotta e Liz si lasciò cadere sul divano.
- Tutto bene, mamma? - Shiri si sedette accanto a lei fissandola con ansia. -
La zia mi era sembrata un po’ preoccupata... -
- Sì, infatti, amore, ma spero di essere riuscita a rassicurarla - La ragazza
tese una mano verso di lei per scostarle dal volto una ciocca di capelli. - E’
per via di Mathias. Sai, aspettare un bambino può essere molto stressante... -
- Mamma... - Shiri si mordicchiò pensosa le labbra, non sapendo come porre la
questione. - Cosa si prova, esattamente, quando si ama qualcuno? Voglio dire...
come vi amate tu e papà... -
Liz raccolse le gambe sotto di sé e si girò verso di lei. - Avevo sedici anni
quando Max mi salvò la vita. Fu allora che mi rivelò il suo segreto, e mi
permise di entrare in connessione con lui. - Sorrise con dolcezza. Mi resi
conto che era innamorato di me, così cominciai a guardarlo in maniera
diversa... Non era più uno dei tanti compagni di scuola, ma un ragazzo molto
riservato e molto solo che aveva scelto di rischiare di perdere tutto quello
che aveva per aiutarmi... Da quel momento ho cominciato a sentirmi più forte,
più viva... Vedevo ogni cosa con occhi nuovi... - Fece una piccola smorfia -
Comprese le ombre... -
- Cosa intendi dire? -
- Che ero terrorizzata all’idea che qualcuno potesse aver scoperto la verità e
volesse fare del male a Max, Isabel o Michael... - Tacque per un attimo,
pensosa. - Immagino che tu mi abbia fatto questa domanda pensando a Bren, vero?
Lo hai curato, e questo ha stabilito un rapporto molto profondo tra voi due...
-
- Io... sì... - ammise la ragazzina stringendosi le ginocchia al petto.
- Temo che dovrai avere tanta pazienza, tesoro... - Liz guardò la figlia con
un’espressione triste nei begli occhi scuri. - Voler bene a qualcuno, amarlo,
non è mai facile, qualsiasi età si abbia... Tu sei così giovane, e per di più
Bren è lontanissimo... So cosa vuol dire sentirsi uniti nell’anima per cui
posso capire quello che stai provando, e c’è solo un consiglio che posso darti:
fai un passo alla volta. Stai con gli altri ragazzi, guardati intorno e cerca
di imparare a vivere in maniera normale. Lui sarà sempre nel tuo cuore, ma tu
piano piano crescerai e alla fine potrai stare al suo fianco come una persona
adulta... Finora, con Jason, hai dovuto affrontare tante terribili esperienze,
ma vorrei che entrambi conosceste anche le cose belle della vita. Ne avete ogni
diritto... - Allargò un poco le braccia tendendole verso di lei. - Vieni qui,
tesoro, abbracciami... - disse piano, la voce incrinata. Mentre si stringeva
Shiri al petto pregò che almeno Claudia ed Ethan potessero vivere un’infanzia
serena, priva degli orrori che avevano travolto i loro fratelli maggiori.
Morgan chiuse il rubinetto della doccia e si strofinò vigorosamente con
l’asciugamano poi, in maniera del tutto automatica, si fece la barba. Aveva
dormito solo tre ore e mezza e lo specchio rimandò implacabile l’immagine
riflessa del suo volto pallido e teso. Indossò i blue jeans, una maglietta di
fitto cotone color avorio e il giubbetto di pelle abbandonato la sera prima
sulla cassapanca vicino alla porta d’ingresso poi uscì di casa senza
preoccuparsi di bere neppure il caffè. Le sferzanti gocce gelide di pioggia lo
colsero di sorpresa ma tutto quello che fece fu tirar su il colletto, così che
quando s’infilò in macchina era completamente fradicio. Arrivato davanti
all’ufficio tirò il freno a mano con gesto brusco e scese sbattendo forte lo
sportello dietro di sé. Ancora una volta lasciò che il violento acquazzone lo
investisse in pieno. Meccanicamente aprì la porta di vetro antiproiettile e
accese le luci e i due computers posti a lato della sua scrivania poi, sentendo
rumore di passi, si voltò di scatto.
- Accidenti quanta acqua! - esclamò Michael passandosi una mano sul torace, e i
suoi vestiti si asciugarono all’istante.
Gli occhi di Morgan s’incupirono ed un muscolo vibrò sulla sua mascella. - Devo
andare. Tornerò dopo pranzo -
- E’ successo qualcosa? - si preoccupò subito il giovane facendo un passo verso
di lui, ma l’ex federale non diede segno di essersene accorto mentre si
dirigeva verso la porta. - A più tardi - disse semplicemente prima di sparire
oltre la fitta cortina di pioggia.
Perplesso, Michael si sedette al suo tavolo ed avviò il computer. “Chissà che
diavolo gli è preso...” Poco dopo era immerso nello studio dei dati relativi ad
un nuovo caso ed il pensiero di Morgan venne accantonato.
L’uomo, nel frattempo, era risalito in macchina e si stava dirigendo verso
nord, il piede schiacciato sull’acceleratore nonostante la limitata visibilità.
Quando infine giunse a destinazione il gelo che gli aveva serrato il cuore dal
momento in cui il suo cervello aveva terminato di elaborare inconsciamente quel
che aveva assorbito si era tramutato in una sensazione di totale vuoto
interiore. Controllò l’ora sul display del cruscotto e si diresse senza esitare
verso il campus. Entrò poi nell’edificio principale, scrutando attento i volti
dei ragazzi che affollavano le scale ed i corridoi. Vide subito Isabel, che
chiacchierava animatamente con Liz, e la vista della moglie, radiosa nel suo
completino di seta rosso cupo la cui gonna cortissima lasciava scoperte le
lunghe gambe snelle, gli fece serrare i pugni. Anche Liz era vestita in un modo
che attirava gli sguardi ammirati di tutti quelli che passavano: aderenti
pantaloni grigioperla, dalla vita molto bassa, con un top dello stesso colore,
in realtà poco più di un francobollo di tessuto, ed una camicetta trasparente
nera tenuta slacciata, ma lui non se ne accorse neppure, concentrato com’era
sul volto sorridente di Isabel. “Stanotte piangeva disperata al ricordo dei
nipoti e del fratello, e adesso, invece...” Fece per raggiungerle quando vide
un giovane alto e bruno avvicinarsi loro e prenderle entrambe per la vita
stringendole forte contro di sé.
- E così le mie due donne hanno superato brillantemente i loro esami! Tu, Liz,
hai addirittura finito! Sei davvero in gamba... - Le sfiorò le labbra con un
bacio rapido ma sensuale, poi si girò un poco di lato in modo da potersi
premere addosso i fianchi di Isabel. - E tu, mia adorata, stai recuperando in
fretta il tempo perduto seguendo tuo fratello ovunque vada... - La baciò tra il
collo e la spalla, incurante del suo gemito di protesta. - Puoi dire a Max che
la sua teoria era esatta. Grazie al suo intervento nel mio DNA non c’è più
traccia della mutazione che avrebbe scatenato il cancro... Ringrazialo per
me... - Le ultime parole le pronunciò voltandosi verso Liz. Continuava a tenere
strette tutte e due le ragazze, divertito per il furore che avvertiva in loro,
poi scosse piano la testa. - Mi sarebbe piaciuto fare l’amore anche con te,
Liz, giusto per un confronto, ma dovrò accontentarmi del ricordo delle tue
cosce calde, Isabel... -
A quelle parole volgari Liz divenne pallida come uno straccio mentre Isabel
s’irrigidì e pose una mano sul cuore del giovane. - Ti avevo avvertito di non
avvicinarti mai più a me, per cui ora sparisci o te ne pentirai! -
Avevano parlato a voce bassissima e nessuno aveva sentito quello che si erano
detti, tuttavia Morgan non ebbe alcuna difficoltà a capire che il giovane che
stava ancora abbracciando le due ragazze non era Max Evans. L’espressione
scioccata di Liz era rivelatrice, così come lo era la maschera d’impassibilità
sul volto di Isabel. Quel tipo doveva essere Cole Morrison, e lui provò intenso
il desiderio di prenderlo a pugni. Con lunghi passi decisi raggiunse il
terzetto e afferrò Morrison per il colletto della giacca di cotone grezzo. -
Lasciale andare. Adesso - mormorò gelido tirandolo all’indietro, incurante
degli sguardi incuriositi dei presenti.
Il giovane lasciò ricadere le braccia e sorrise divertito nel vedere Isabel
abbassare a sua volta la mano. - A quanto pare il tuo desiderio è esaudito, mia
cara... Chissà, magari ci incontreremo di nuovo e forse, nel frattempo, avrai
cambiato idea su noi due... -
- Non ci sperare, bastardo - La ragazza arretrò di scatto, volendo allontanarsi
il più possibile da lui, mentre Liz si strofinava freneticamente la vita nel
tentativo di cancellare ogni traccia del tocco di Cole.
- Ti terrò d’occhio, Morrison. Guai a te se cercherai di avvicinarti ancora a
loro... - Morgan lo guardò un’ultima volta, sprezzante, poi si rivolse a Liz. -
Ti accompagno a casa - disse soltanto.
Sconcertata, Isabel si incamminò accanto all’amica. Come mai Morgan era lì? Non
che non fosse felice di vederlo, a maggior ragione dopo che le aveva liberate
dell’odiosa presenza di Cole Morrison, ma si era resa conto della profonda
rabbia che lo animava e aveva la netta sensazione che la causa non fosse
solamente quell’uomo... Non sapendo che pensare lo seguì fino alla macchina,
sempre più a disagio, soprattutto quando lui non fece alcun tentativo di
affrettarsi per evitare che si bagnassero troppo.
Morgan guidò in silenzio fino al piccolo appartamento di Liz e attese
impaziente che lei scendesse prima di reimmettersi nel traffico, senza neppure
darle modo di salutare Isabel o, se per questo, di ringraziarlo.
Deglutendo a fatica Isabel si volse a guardarlo ma lui teneva gli occhi fissi
sulla strada. - Come... come mai sei tornato ad Albuquerque? - domandò con voce
sommessa.
Morgan non rispose e continuò a guidare finché, con sua grande sorpresa, si
ritrovarono di nuovo davanti al campus. Senza dire una parola l’uomo accostò e
spense il motore poi scese dalla vettura.
Isabel trasalì quando lo vide aprirle lo sportello, curvarsi a slacciare la
cintura di sicurezza che la teneva bloccata al sedile e tirarla letteralmente
fuori, ancora una volta sotto la pioggia torrenziale. Morgan! Insomma, si può
sapere che diavolo ti succede? - protestò sbattendo forte le palpebre per
l’acqua che l’accecava.
Ma lui non disse niente finché furono nel parco che circondava il complesso
universitario. Non c’era nessuno, a parte loro, e aumentando la stretta sul suo
polso Morgan la spinse sul terreno impantanato per poi accovacciarsi sul suo
grembo. - Sei andata da Max, dopo aver fatto l’amore con Morrison? Sei andata a
chiedere che eliminasse il bambino che ti aveva messo dentro? Oppure lo hai
fatto solo con mio figlio, eh? Adesso ho capito cosa intendevi dire, quella
volta... “Avresti potuto diventare padre di un bambino alieno”... Sì, certo, se
tu non avessi abortito! - La completa inespressività del suo volto era
terribile, soprattutto se paragonata alla violenza del tono di voce, e Isabel
gemette sconvolta.
- L’altra notte ti sei lasciata andare un po’ troppo, amore mio, e mi hai
permesso di vederti con Max... Cosa c’è, hai qualche senso di colpa nei miei
confronti? - Le premette entrambe le mani sulle spalle, placcandola con tutto
il suo peso. - Come hai potuto farlo? Eri così disperata per quello che era
successo a Jason e Shiri, ma non hai esitato ad uccidere mio figlio! Che cosa
ti aveva fatto, eh? Che cosa ti aveva fatto?! -
Isabel scoppiò allora a piangere, le unghie conficcate nel fango, sentendo
ancora una volta tutto il dolore di quei drammatici istanti. - Io... io non
potevo avere un bambino... Non in quel momento... - Il petto le si sollevava
rapido per i singhiozzi che la soffocavano e la pioggia le scrosciava sul volto
sferzandola senza pietà. - Non potevo... - ripeté. - Non sapevo chi fossi, ero
certa che non ti avrei mai rivisto... e stavamo cercando di sopravvivere
nonostante i continui attacchi dei nostri nemici... Come avrei potuto
tenerlo?... Cos’avrei detto ai miei genitori? -
- La verità, tanto per cominciare! Che aspettavi un figlio da un perfetto
sconosciuto! Ma no, per te era più importante salvare le apparenze, vero?
Proteggere quella tua aria da regina di ghiaccio! - Si rimise in piedi
torreggiando su di lei come un dio vendicatore. - Siamo così uguali, Isabel...
Seppelliamo i nostri sentimenti per non essere feriti, ci buttiamo a capofitto
nella lotta per dimenticare la nostra solitudine, e quando ci abbandoniamo alle
nostre emozioni riusciamo soltanto a farci del male... Avevi diciotto anni,
poco più che una ragazzina... eppure ti ho presa, perché il tuo corpo mi aveva
affascinato... E non ho pensato alle conseguenze... - S’infilò le mani in
tasca, in preda alla tristezza. - Come hai fatto a tenermelo nascosto per tutto
questo tempo? Come sei riuscita a tenere rinchiuso in te così profondamente un
tale segreto?
Isabel si girò a fatica sul fianco cercando di sollevarsi a sedere. - Io ho
passato quasi tutta la mia vita nascondendo segreti... Il segreto delle mie
vere origini... di quello che ero in grado di fare... Segreti da cui dipendeva
la mia sopravvivenza... - Lasciò che la pioggia si mescolasse alle sue lacrime,
indifferente al fango che la ricopriva da capo a piedi. - Ho visto Max soffrire
per Liz... e dopo l’ho visto felice, ho visto i suoi figli... e ho sperato che
un giorno sarebbe toccato anche a me... vivere con qualcuno che mi amasse pur
sapendo la verità... da cui avere dei bambini... Poi... poi ti ho incontrato,
e... Solo che non era il momento giusto... Mi dispiace... - finì in un
sussurro.
- Dispiace anche a me... - Morgan serrò le labbra con forza, poi si volse e se
ne andò.
Rimasta sola, Isabel si strinse le ginocchia al petto e riprese a singhiozzare
mentre il cielo diventava sempre più scuro.
La pioggia non aveva perduto d’intensità ma la macchia di colore del vestito di
Isabel era perfettamente visibile e guidò Morgan come un faro quando, venti
minuti più tardi, tornò indietro. Non disse nulla, limitandosi a sollevarla in
braccio e a portarla al riparo all’interno della macchina.
Il pianto convulso della ragazza si era trasformato in un grumo di dolore che
cominciò a sciogliersi nel momento in cui la sua testa poggiò sfinita sulla
spalla dell’uomo.
- Perdonami, amore... - bisbigliò Morgan, stringendola a sé con tenerezza.
Aveva percorso solo pochi chilometri quando l’ingiustizia del proprio
comportamento lo aveva colpito in pieno costringendolo a rivedere ogni parola,
ogni gesto, e alla fine aveva fatto un’inversione a U scatenando una vivace
protesta di clacson da parte dell’autista della vecchia Chevrolet cui aveva
tagliato la strada.
Si era sentito quasi male nel vedere Isabel ancora immobile nel fango, sotto
l’acqua, e aveva sperato con tutto il cuore che non si ritraesse da lui quando
si era chinato per prenderla. Ma lei gli aveva passato le braccia intorno al
collo, e il suo cuore aveva ripreso a battere normalmente.
Dopo averla deposta sul sedile del passeggero le scostò i capelli dal viso e le
sfiorò le labbra pallide con la punta del pollice. - Tra poco saremo a casa...
- disse piano, guardandola intensamente negli occhi.
Isabel ricambiò lo sguardo scrutando dentro il cristallo azzurro delle sue
iridi, leggendo il suo dolore, la sua confusione, e incurvò la bocca in un
accenno di sorriso. - Va bene - mormorò, la voce resa roca dal lungo pianto.
A casa, Morgan l’aiutò a lavarsi sotto il getto bollente della doccia e, dopo
averla avvolta in un morbido accappatoio pulito, le asciugò i capelli col phon
poi, ripresala in braccio, la condusse fino al letto. Con mani tremanti la
spogliò e dolcemente, appassionatamente, si unì a lei. Avevano rivelato
entrambi una notevole difficoltà a fidarsi appieno l’uno dell’altra,
realizzando che, nonostante tutto, avevano mantenuto celata una parte di loro
stessi, ma era giunto il momento di aprirsi fino in fondo e così, per la prima
volta, annullarono ogni barriera fondendosi in modo totale.
Nella semioscurità la pelle di Morgan scintillò di un debole bagliore luminoso
sotto il tocco delle dita di Isabel, che spalancò gli occhi sorridendo di
piacere. - Oddio, adesso capisco perché a noi non era mai successo... -
sussurrò.
- Cosa? Cos’è questa luce? - chiese sorpreso lui.
- Non lo so. Credo... credo si tratti di una reazione biochimica che si scatena
quando tocchiamo qualcuno cui siamo particolarmente ricettivi... -
- Siamo? Vuoi dire... anche Max e Liz...? -
La ragazza annuì con un sospiro.
- Già, naturale... -
Il commento di Morgan suscitò una piccola risata in Isabel, che si rannicchiò
contro di lui posandogli la mano sul petto e osservando incantata la tenue
luminosità. - Significa che c’è ancora speranza per noi... -
- Ne sono felice - L’uomo le accarezzò il viso prima di baciarla, poi fece
scivolare un braccio lungo il fianco fino a posarle la mano nell’incavo della
schiena e la fece di nuovo sua.
Era quasi l’una quando Morgan salutò Isabel con un tenero bacio sulle labbra e
uscì dalla sua camera da letto, quasi scontrandosi con Jason fermo a pochi
passi da lui. - Ehi, e tu che ci fai qui? -
Il ragazzino lo fissò attento. - Zia Isabel non rispondeva al cellulare, e
mamma era inquieta. Lei e papà erano venuti a controllare dopo che tu l’avevi
riaccompagnata, ma non c’era nessuno. -
- No, infatti. Adesso Isabel sta dormendo... Vieni, ti riporto a casa -
Gli occhi di Jason divennero di un verde intenso, poi il ragazzo fece un
piccolo cenno col capo. Per un attimo si era insinuato nei sogni della zia per
controllare che davvero stesse bene, prima di seguire Morgan fino all’uscita, e
una volta giunti a destinazione si volse a fissarlo in volto. - Sono felice che
tu e zia Isabel vi siate chiariti. Lei ti vuole bene e ha bisogno di te, e mio
padre era molto preoccupato... Tutti noi lo eravamo... Sono poche le persone di
cui possiamo avere fiducia, e non possiamo permetterci di perderne un’altra...
-
A quelle parole l’uomo strinse le mani sul volante fino a sbiancare le nocche.
- Mi dispiace per quello che è successo su Antar - disse guardando fisso
davanti a sé.
- Grazie - Jason si morse le labbra. La morte di Lou era un dolore cocente che
faticava ancora ad accettare, e aveva percepito lo strazio di Isabel quando
aveva temuto il peggio, per cui desiderava che Morgan capisse davvero cosa
significasse per lei, per tutti loro, avere accanto qualcuno che li amasse a
dispetto di quel che erano... Come i nonni Diane e Phillip, e Jim ed Amy, e
Thien, Bren e Lhara... Qualcuno su cui poter contare anche nei momenti più
brutti... - Non siamo mostri venuti dallo spazio, e proviamo le stesse cose che
provate voi. Amore, odio, paura, sofferenza, gioia, tristezza... -
Morgan si girò verso di lui e ad un tratto sorrise. Un sorriso aperto, sincero.
- Lo so. Siete delle persone come tutte le altre, avete solo un campo di giochi
più grande... Sei un bravo ragazzo, Jason, e spero che un giorno incontrerai
una donna degna di te!... - Gli scompigliò con affetto i capelli poi scese
dalla vettura e lo accompagnò fino alla soglia di casa. Venne ad aprire Liz,
che arrossì nel vedere il figlio in compagnia di Morgan. - Mi spiace essermi
intromessa fra te e Isabel... - mormorò prima di invitarlo ad entrare ma lui
scosse la testa. - Non preoccuparti. Ne avevi tutte le ragioni, visto il modo
in cui mi sono comportato... Ma adesso devo tornare a Roswell. A presto... -
- A presto - Liz lo guardò sovrappensiero finché non fu di nuovo a bordo
dell’auto dopodiché si chiuse la porta alle spalle e affrontò Jason. - Cos’hai
combinato? -
- Tu e papà eravate in ansia per la zia, ed io sentivo che stava male. Volevo
controllare... -
- E...? -
Il ragazzino sorrise sollevato. - E ora è tutto a posto - disse soltanto, in un
tardivo desiderio di rispettare l’intimità di Isabel. Quando l’aveva incontrata
nei suoi sogni lei non aveva parlato, limitandosi a sorridergli ed abbracciarlo
forte, e quel contatto gli aveva rivelato quel che era successo. Allo stesso
modo aveva saputo ogni cosa dell’incontro fra Shiri e Bren, ma non aveva
bisogno che gli spiegassero come non fosse opportuno rivelare tutto quello di
cui veniva a conoscenza ogni volta che entrava in connessione con qualcuno: lo
sapeva da sé... Aveva imparato d’istinto a tenere separate le due realtà,
quella che vedeva con gli occhi e quella che percepiva con l’anima. Gli era
bastato vivere il profondo legame che univa i suoi genitori, toccare
nell’intimo l’amore di Liz per Max, rimasto intatto anche quando lui l’aveva
abbandonata, e la fiera determinazione con cui avevano combattuto fianco a
fianco per salvare un mondo che cercava di distruggerli... Lui sapeva di essere
più fortunato di suo padre, della zia Isabel e di zio Michael, che avevano
dovuto imparare a vivere in un ambiente per loro totalmente sconosciuto, e
desiderava fare tutto quel che era in suo potere per ricambiare l’amore di cui
era circondato.
Michael dovette fare un notevole sforzo su se stesso per trattenere la battuta
pepata con cui stava per accogliere Morgan quando, a pomeriggio inoltrato,
l’uomo fece infine ritorno in ufficio. Stare accanto a Maria aveva finalmente
cominciato a renderlo più sensibile allo stato d’animo altrui e così evitò di
infierire su di lui. Per quanto sembrasse molto più tranquillo rispetto a
quando lo aveva visto quella mattina, infatti, non aveva l’aria di gradire
eventuali osservazioni di carattere personale per cui si limitò a snocciolargli
le notizie che aveva racimolato. - Ah, e sei invitato a cena da Amy e Jim.
Dobbiamo essere da loro per le sette in punto. Non sono ammessi ritardi... -
Morgan non aveva alcuna voglia di uscire, quella sera, ma si limitò a scrollare
le spalle. - Ok - disse semplicemente.
La cena, come sempre succedeva a casa Valenti, fu un rito molto informale e
piacevole, anche se Maria minacciò scherzosamente sua madre nel caso avesse
osato dire di nuovo a Michael di spiarla ventiquattr’ore su ventiquattro.
- Tesoro, io desidero solo essere certa che non ti senta più male! -
- Mamma, sono incinta, non in punto di morte!... -
- Beh, non la pensavi così, qualche settimana fa - la sgridò la donna.
Jim cercò di fare da paciere, come al solito, mentre Morgan giocherellava
nervosamente con un pezzo di pane ormai ridotto in briciole.
- Senti, Amy, capisco la tua preoccupazione, e ti assicuro che la condivido in
pieno, però non credo sia opportuno far arrabbiare Maria... - intervenne ad un
certo punto Michael.
- Giusto, amore! Mamma, smettila o mi arrabbio sul serio! - Maria agitò un dito
contro la madre poi si volse a schioccare un bacio sulla guancia di Michael. -
Sai essere un vero tesoro, quando vuoi... -
- Non farmene pentire... - mormorò lui, scostandosi poi di colpo per evitare un
pugno nel fianco.
- Allora, Morgan, come vanno le cose? So che stai seguendo un’indagine per
conto dello sceriffo di Carlsbad... -
- Sì, è per una sospetta intrusione nei database della sede locale della First
National. Ma non mi va di parlarne adesso. Nell’FBI non smettevo mai di
lavorare, e vorrei che non succedesse anche qui... -
- Ti capisco, ragazzo, e hai perfettamente ragione! Come vedi, ogni tanto ci
casco pure io... -
Michel aggiunse altra salsa piccante alla sua insalata, poi prese una bustina
di zucchero dall’apposito contenitore e ne rovesciò il contenuto nel piatto.
- Santo cielo, Michael, ma davvero riesci a mangiare quella roba? - esclamò Amy
sconvolta.
- E’ squisita. Credimi! Dai, provala... - fece per passarle il piatto ma lei lo
fermò con un gesto deciso della mano. - Ti credo sulla parola, grazie! -
- Come vuoi... - Il giovane cominciò a mescolare il tutto badando a non far
cadere nulla sul tavolo fin quando Maria gli bloccò il polso e si servì di un
bel boccone d’insalata.
- Oddio, Maria, che cosa fai? -
- Sta’ tranquilla, dopo che avrò partorito disgusterà anche me! - La ragazza
fece un sorriso di scusa alla madre. - In realtà credo che piaccia a Mathias...
- Poi rubò al marito un altro po’ d’insalata. - Mmm, dovresti aggiungerci altro
Tabasco -
- Dici? -
Lei annuì, e Michael fece come suggerito prima di assaggiare a sua volta il
contorno e sorridere soddisfatto. Ehi, avevi ragione! -
- Come sempre... - Maria sorrise e gli diede una pacca affettuosa sulla coscia.
Stavano mangiando il dolce quando il telefono cominciò a squillare.
- Vado io - Jim spostò rumorosamente la sedia e andò a rispondere. - Sì,
pronto? -
“- Sceriffo, sono Hanson. Senta, dovrebbe venire qui. C’è... c’è un problema...
-”
- Di che si tratta? -
“- Io... preferirei dirglielo di persona... La prego, venga in ufficio... -”
- D’accordo... - Valenti riappese il ricevitore e si grattò pensieroso la nuca.
“E adesso che diavolo vorrà?” Sentite, mi spiace ma devo andare: Hanson ha
bisogno di me. Buona notte, ragazzi. Cercherò di non fare troppo tardi, Amy...
- Si chinò a baciare la moglie sulla fronte poi uscì di casa.
Non appena fu davanti al suo vice lo sceriffo aggrottò la fronte. - Che cosa
significa tutto questo? -
- Mi dispiace, non ho potuto fare altrimenti... - balbettò l’uomo imbarazzato.
- Capisco... - Jim Valenti osservò la faccia inespressiva dell’agente federale.
- Sono James Valenti, lo sceriffo di questa città. E non l’ho invitata. Quindi
si sbrighi a dire quello che deve e poi se ne vada -
- Non le consiglio di usare questo tono, sceriffo... Non è proprio il caso, mi
creda - L’uomo estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca interna
dell’impermeabile. - Non avrei mai immaginato che da queste parti potesse
piovere così tanto... - mormorò mentre aspirava una lunga boccata.
- Siamo nel deserto del New Mexico, non in quello del Sahara - Si appoggiò al
bordo del bancone incrociando le braccia sul petto. - Allora? Cosa l’ha portata
da queste parti? -
- E’ una questione delicata. Riguarda la base militare di Alamogordo -
- Las Cruces è più vicina... -
- Si tratta di uno dei nostri ispettori. E’ rimasto vittima di un incidente, ed
è stato lui a chiedermi di venire qui. Si chiama David Coltrane -
- Coltrane? Il fratello di Morgan Coltrane? -
- Infatti -
- Io non capisco... Perché ha fatto chiamare me e non Morgan? -
L’uomo fece una spallucciata. - Venga, la strada è piuttosto lunga... -
- Ah, non ne dubito, ma io non ho alcuna intenzione di venire fino alla base! O
mi spiega che diavolo succede o non mi muoverò da questo ufficio! -
- Per favore, mi segua senza fare altre storie! Non abbiamo molto tempo!... -
Jim socchiuse gli occhi riflettendo. - Hanson, si trattenga fino al mio
ritorno, per favore. Se per domani mattina non sono di nuovo qui avverta il
signor Coltrane - lo istruì, poi si avvicinò al bancone e prese il telefono per
avvertire la moglie che sarebbe stato fuori tutta la notte. - Ok, ora possiamo
andare -
Quando imboccarono la strada che portava all’aeroporto corrugò la fronte ma non
disse nulla. Sapeva che era perfettamente inutile fare domande, così attese di
vedere cosa sarebbe successo.
La risposta giunse meno di mezz’ora dopo, quando venne fatto salire su un
elicottero.
- Saremo a White Sands all’incirca alle dieci e un quarto - comunicò il pilota
facendo un cenno di saluto ai due uomini, dopodiché porse loro le cuffie
protettive ed avviò i motori.
L’elicottero li depositò nell’apposita area di atterraggio della base aerea,
dove vennero accolti da un ufficiale medico. - Sbrigatevi, ha ripreso i sensi
pochi minuti fa e rifiuta di prendere altri sedativi se prima non avrà parlato
con voi! -
- Maledizione! - Così dicendo l’agente si diresse a passo di corsa verso la
palazzina che ospitava l’ospedale dopo aver gettato un’occhiata quasi
intimidatoria a Valenti, che si affrettò a seguirlo.
L’uomo che giaceva nel lettino, immobilizzato da tubi per l’ossigeno e cavi
collegati ad una serie di monitor di controllo, era a malapena riconoscibile.
Il lato destro del volto era sfregiato da un taglio che lo solcava
dall’attaccatura dei capelli fino al mento ed il torace era un’unica piaga. Un
leggero lenzuolo lo copriva dai fianchi in giù, non permettendo di capire se
almeno le gambe fossero rimaste intatte.
- O mio dio... - mormorò Jim avvicinandosi esitante al ferito. - David? David
Coltrane? Sono Valenti, lo sceriffo di Roswell... Voleva vedermi... -
Il giovane aprì faticosamente gli occhi e cercò il suo sguardo. - Va...lenti...
- Mosse appena la mano, abbandonata lungo il fianco, e subito il federale si
accostò.
- Reeve, Valenti... lui sa del... progetto... Sceriffo... Sutton è riuscito...
a scoprire... che è una scheda... fantasma... Ho cercato di... di fermarlo...
Deynier è a Las Cruces... E’ andato... da lei... -
- Io non capisco... Chi sono Sutton e Deynier? -
Gli rispose Reeve. - Joel Sutton è l’assistente di Ivy Deynier, una
ricercatrice della base che adesso sta lavorando a Las Cruces. E’ lì che ha
conosciuto la moglie di Coltrane, e ha chiesto a Sutton di fare le solite
verifiche che si fanno sui civili prima che vengano assunti dal governo. Ma la
Deynier è un piccolo cane rognoso e a quanto pare non si è fermata quando le è
stato detto di lasciar perdere, così Sutton ha trovato il modo di ricostruire
le tracce informatiche della scheda ed ha scoperto che è stata creata dopo che
la Deynier aveva chiesto a Isabel Evans di lavorare per i militari. Quando
David lo ha saputo ha convinto il capo a mandarlo qui, ma Sutton ha mangiato la
foglia e se l’è data a gambe prima che potessimo interrogarlo. Si è coperto
chiedendo un periodo di ferie ed è partito lo stesso giorno del nostro
arrivo... Abbiamo cercato di esaminare il computer di Sutton, poi ieri mattina
c’è stata un’esplosione in uno dei magazzini adiacenti e l’ufficio di quel
bastardo è andato completamente distrutto. David si trovava lì ed è un miracolo
che sia ancora vivo... -
- Era solo? - domandò Valenti.
- Sì. Io ero appena uscito da quella stanza per andare a prendere un caffè
quando è saltato tutto in aria -
- Hanno trovato la causa dell’esplosione? -
- Ancora non ne sono certi, ma pare si sia trattato davvero di un incidente. Un
insieme di cause, una fatalità, e il risultato sono un morto, sei feriti di cui
due molto gravi, e David. E’ conciato davvero male...
- Non sono... ancora pronto per... l’obitorio... - cercò di scherzare lui,
tuttavia si vedeva che soffriva ed ogni respiro era una lotta.
- Perché non ha chiesto a Morgan di raggiungerla? Non pensa che debba essere
informato di quello che è successo? - gli chiese Jim.
- Si preoccuperebbe... inutilmente... Non può fare nulla... per me... e
tantomeno per Isabel... E’ stato un mio... errore... e io devo... devo
ripararlo... -
- A volte giocare all’eroe non serve a nessuno, ragazzo... -
- Io... non sto giocando all’eroe... Ho chiesto... il suo aiuto... -
- Per fare cosa? Rincorrere la gente fino a Las Cruces? E poi? Se c’è qualcuno
che può costringere la Deynier a mollare, questi è proprio Morgan! Io credo che
faremmo meglio ad avvertirlo, e lo stesso dovremmo fare con Isabel. Quella
ragazza deve sapere che stanno ancora indagando su di lei -
- Morgan impazzirà... Era... era così disperato... -
Intuendo a cosa si riferisse Valenti sospirò. - Stavolta non arriveranno ad
Isabel, può scommetterci! - Si volse a guardare Reeve. - Può organizzare il
trasporto di Coltrane a Las Cruces? Ma non in ambulanza, ci vuole qualcosa di
più discreto... -
L’uomo lo fissò perplesso, poi uscì dalla piccola stanza per interrogare in
proposito il medico che si era preso cura di David. - Si può fare - disse
soltanto, quando tornò pochi minuti dopo.
- Bene, allora se ne occupi subito. Io telefono al fratello e gli dico di
raggiungerci lì. - Si chinò a stringere con delicatezza la mano inerte del
giovane. - Stia tranquillo, vedrà che riusciremo a sistemare tutto... -
mormorò, dopodiché estrasse dalla tasca dei pantaloni il cellulare e fece
qualche telefonata. - Ok, ho prenotato una stanza al Day Inn e Morgan ci
raggiungerà lì. -
Non del tutto convinto Reeve guardò David, che mosse piano la testa in segno
affermativo, e solo allora si attivò per far preparare il furgoncino messo a
disposizione dall’ospedale.
Era ormai l’alba quando poterono adagiare il ferito su uno dei due letti
gemelli che occupavano la stanza. Reeve controllò che i tubi dell’ossigeno
fossero ben collegati alla bombola, e così quello della soluzione fisiologica
in cui erano stati aggiunti gli antibiotici. - Preferirei che ci fosse un
dottore... - borbottò alla fine.
In cuor suo Valenti temeva che quel viaggio non fosse stata una buona idea dato
che David Coltrane sembrava sul punto di esalare l’ultimo respiro, ma non disse
niente. Voleva che Morgan potesse vedere il fratello e decidere da solo cosa
fare, poi qualcuno bussò alla porta e lui andò ad aprire. Era proprio Morgan,
che si affrettò verso il letto e si inginocchiò accanto al giovane. - David!
David, santo cielo, puoi sentirmi? - Gli prese una mano e la strinse un poco,
nel tentativo di fargli capire che lui era lì, al suo fianco. - David... - Non
erano mai stati una vera famiglia, erano troppo diversi, ma da quando lo aveva
rivisto a Roswell, un anno prima, aveva imparato a conoscerlo meglio, a
rispettarlo, e adesso non sopportava l’idea di vederlo ridotto in quelle
condizioni.
- Morgan... Isabel... mi dispiace... - David cercò di ricambiare la stretta ma
riuscì a malapena a muovere le dita prima di perdere i sensi.
Gli occhi del giovane si riempirono di lacrime. “Oh, David, è tutta colpa
mia... Se non fosse stato per quella maledetta scheda fantasma tu non saresti
mai entrato in quell’ufficio...” - Cosa hanno detto i medici? Quanto ci metterà
a guarire? -
- Ha avuto una brutta lesione interna, diverse fratture e ustioni su quasi
tutto il corpo. Sarà una cosa lunga e dolorosa, ma dovrebbe farcela. Almeno, se
non sopraggiungono complicazioni -
Quelle parole si impressero nel cervello di Morgan come un verdetto di
condanna. Deglutì faticosamente più volte prima di poter parlare. - Jim... -
mormorò, girandosi a guardare l’uomo - pensi che... che potrei chiedere a...? -
- Provaci. Non credo ti dirà di no... - Valenti sorrise e lui, sentendosi un
po’ a disagio, prese il cellulare e compose il numero prima di cambiare idea.
Pochi minuti più tardi si udì un leggero trepestìo dietro la porta, che venne
subito aperta dallo sceriffo.
Morgan sollevò per un attimo gli occhi dal fratello poi si allontanò di qualche
passo. - Grazie... - riuscì soltanto a dire mentre Max si accostava al bordo
del materasso e poneva entrambe le mani sul corpo martoriato di David.
Come sempre l’emanazione di energia impiegò solo pochi secondi per riparare le
cellule danneggiate ma risucchiò gran parte delle forze mentali e fisiche del
giovane, che si lasciò scivolare ansimando sul pavimento.
L’ex federale fece per soccorrerlo ma l’alieno scosse piano la testa e si
rialzò barcollante per poi andare a sedersi su una delle due poltroncine che
arredavano l’ambiente. Aveva usato i graniliti per teletrasportarsi nei pressi
del motel, in un posto sicuro, poi aveva percorso a piedi le poche centinaia di
metri che lo separavano dall’anonima costruzione in muratura. Le stanze avevano
l’accesso esterno e, data l’ora mattutina, la zona era deserta così era stato
facile per lui giungere non visto fino al luogo dove lo stavano aspettando. La
richiesta di Morgan lo aveva sorpreso, ben sapendo come l’uomo non si sentisse
a suo agio con i poteri di cui lui e gli altri erano dotati, e i flash ricevuti
dalla mente del ferito lo avevano colpito sgradevolmente. - Isabel è in
pericolo - mormorò teso.
- Sutton dev’essere venuto qui per parlare con il suo superiore, ma a quei due
ci penso io. Isabel ne ha già passate tante, e non voglio che finisca di nuovo
nei guai per colpa della curiosità di un assistente qualunque... -
- Vengo con te. Posso cancellare dalla loro memoria ogni ricordo relativo a mia
sorella, così potremo stare certi che non ricominceranno daccapo - disse Max
con tono deciso.
- D’accordo. Jim, grazie per avermi chiamato... - Morgan staccò tutti i tubi
che ancora collegavano David alle attrezzature mediche. - Tornerò ad avvertirvi
quando tutto sarà finito. Si tratta di mia moglie, e intendo occuparmene io. -
Un poco alla volta David si sollevò a sedere e, tenendosi una mano
sull’impronta argentata che stava cominciando ad apparire sul suo petto, fissò
in silenzio Max.
Morgan gli diede una leggera pacca sulla spalla. Noi andiamo a casa della
Deynier. Adesso puoi startene tranquillo e riposare, te lo sei meritato... -
Mentre il fratello si avviava alla porta seguito da Max David si scosse. -
Evans, grazie per avermi salvato la pelle - disse piano.
- Grazie a te - Il giovane sorrise, poi uscì.
Il federale guardò allora Valenti con espressione di rimprovero. - Io volevo
risparmiare a mio fratello la preoccupazione per la moglie, per questo avevo
chiamato lei, sceriffo... -
- Lo so, ma vede, quando succede qualcosa che mette in pericolo anche uno solo
di quei ragazzi, è matematicamente certo che si muoveranno tutti. Benvenuto nel
gruppo - Jim si toccò la tesa del cappello a mo’ di saluto. - Ora devo tornare
a Roswell. Spero di rivederci presto, magari in un’occasione più allegra... -
Gli occhi chiarissimi di David sembrarono scintillare nella penombra della
stanza. - Nel nostro lavoro ce ne sono poche, di occasioni allegre -
- Vero. Ma nella vita non c’è solamente il lavoro, se lo ricordi! - Così
dicendo lo sceriffo se ne andò.
- Parla bene, lui, che fa lo sceriffo in una piccola città del Sud-Ovest... -
borbottò Reeve allentandosi il nodo della cravatta.
- Dal suo punto di vista ha ragione, ma non sono ancora pronto a lasciare il
caos di Washington D.C.! - Con un sospiro si alzò e si diresse verso il bagno.
- Ho bisogno di abiti. Ci pensi tu? -
- Morgan Coltrane! Perché non sono sorpresa di vederla? - Ivy Deynier arretrò
per farlo entrare, poi lanciò un’occhiata speculativa al suo compagno.
- Dica a Sutton di raggiungerci. Voglio che anche lui senta quello che ho da
dirle -
- Oh, intende forse fare ricorso alle minacce? -
- Non ce n’è bisogno -
Lei guardò di nuovo Max, ma neanche stavolta le venne presentato. Poi ci fu un
lieve rumore di passi e Joel Sutton fece la sua comparsa nel piccolo soggiorno.
L’ex federale scrutò attento il nuovo venuto. Doveva aver passato da poco la
trentina e la luce dei suoi occhi nocciola tradiva una pronta intelligenza.
Sutton non era certo un semplice assistente, e lo aveva già dimostrato
riuscendo a risalire all’origine fittizia della scheda fantasma di Isabel. -
Quando ha chiesto a mia moglie di lavorare per voi non è riuscita ad accettare
un no come risposta. Ha avviato lo stesso la prassi di verifica, e ha
continuato a indagare anche dopo che le è stato detto di smettere. Isabel Evans
Coltrane non ha alcuna intenzione di lavorare per nessun ente governativo. E
questo è tutto. Lasciatela in pace -
- Senta, quella ragazza ha una mente brillante, è davvero in gamba! Non vorrà
sul serio che si rinchiuda per sempre in quella... in quella cittadina sperduta
nel nulla!... - protestò Ivy.
- Vivere in una grande città non significa necessariamente essere liberi. La
libertà è scegliere di vivere dove si vuole, e Isabel ha scelto Roswell. E
questo è tutto -
- Ne è proprio sicuro? Allora... è stato lei a scegliere di ritirarsi a
Roswell! Era un agente operativo dell’FBI, eppure ha deciso di mollare tutto
per finire i suoi giorni nel deserto. Non lo trova strano? -
Morgan ripensò all’espressione di Isabel, inginocchiata sotto la pioggia,
quando era tornato da lei. - No - Poi si girò verso Max. - Possiamo andare,
ora. -
Il giovane assentì brevemente dopodiché guardò con intensità da Deynier a
Sutton, prima di voltar loro le spalle.
Quando furono all’interno dell’auto Max si passò una mano fra i capelli con
fare stanco. - Roswell è davvero un buco nel deserto, anche se è la nostra
casa... - commentò.
- Ma Isabel vuole vivere lì, e questo mi basta. -
- Ne sono contento - Sentendosi finalmente tranquillo il giovane reclinò la
testa contro il finestrino e rimase a guardare il paesaggio che scorreva.
“Casa... Casa è accanto a chi si ama...”
Scritta da Elisa |