Riassunto: Questa
storia, in 37 capitoli, è la prima di cinque fanfiction collegate tra loro. La
vicenda ha luogo dopo 17 anni dall'episodio "Four Aliens and a Baby".
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: Ogni
riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori
protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.
Introduzione dell'autrice: Amo il personaggio
di Max e le dolci sfaccettature del suo carattere: la sua insicurezza, il
suo senso di responsabilità, la sua generosità nel pensare sempre prima agli
altri. Lui non sarà il protagonista di questa ff, ma sarà presente al pari
di tutti gli altri personaggi che abbiamo imparato ad amare, così da non
fare torto a nessuno. I protagonisti saranno Nate e Alyssa. Non voglio
anticiparvi nulla, per non togliervi il gusto della scoperta ma, come dice
l'autrice, questa storia ha luogo dopo 17 anni da ‘Four Aliens and a Baby’ e
con questa informazione non ci vuole uno scienziato spaziale per capite chi
è Nate, mentre sarà più difficile immaginare perché avrà vita difficile col
futuro suocero. Quello che abbiamo visto in ‘Graduation’ non è mai accaduto.
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitolo 31
Nemmeno l'altruista presenza di Alyssa
riuscì a fare da sedativo alla mente sovraccarica di Nate. Molto dopo che
lei si fu addormentata, lui era ancora privato dello stesso piacere. Invece,
la guardò dormire in silenzio, il suo petto che nel respiro si alzava e si
abbassava dolcemente contro il suo braccio, il profumo di lei che gli saliva
alle narici. Nel sonno sembrava ancora più giovane di quanto non fosse, più
fragile di quanto lui sapesse che era.
Ma, ad un certo punto, il sonno doveva essere arrivato perché Nate si era
svegliato solo, il sole che sbirciava attraverso le tende della stanza di
Alyssa. Lei era riuscita a scivolare via, senza dubbio per paura della
reazione che uno o tutti e due i suoi genitori avrebbero potuto avere se
l'avessero trovata a letto con lui. Lui si stirò, sentendosi ancora stanco,
e si alzò per cominciare quella giornata.
Mentre si avvicinava in cucina, fu sorpreso dal profumo di cibo che
aleggiava nell'aria. Si fermò fuori della porta e trovò Liz e Max seduti a
tavola, in silenzio, che si tenevano per mano in mezzo a due piatti vuoti.
C'era qualcosa di insolito, nel modo in cui si guardavano l'un l'altra, come
se quello che provavano fosse in qualche modo sacro e nessuno dovesse
interferire. Nate guardò in silenzio Max portarsi alle labbra la mano di Liz
e posarvi un bacio sul dorso. Lei gli sorrise, come un'adolescente
innamorata, non come una trentenne professoressa di Harvard.
Sentendosi come un guardone - e ricordandosi che Max Evans aveva un udito
sovraumano e che probabilmente sapeva che lui era in corridoio – Nate entrò
in cucina e si schiarì la gola.
Liz fu la prima a voltarsi verso di lui, sorridendogli immediatamente. "Buon
giorno, Nate." gli disse. "Ti sei svegliato presto."
Lasciando la mano di Max, si alzò indicandogli la sua sedia. "Siediti."
"Non è necessario." rispose lui, sentendosi come se avesse interrotto
qualcosa, grattandosi dietro un orecchio, come faceva sempre quando si
sentiva a disagio.
"Sciocchezze." ribatté Liz dirigendosi ai fornelli. "La padella è ancora
calda. Ti preparo la colazione."
Nate capì che non era il caso di litigare con lei – quando Liz Evans si
metteva in testa qualcosa, lo faceva. Allora, piuttosto a disagio, scivolò
nella sedia di fronte a Max, che sembrava non aver dormito da giorni. Max
prese la sua tazza e bevve un sorso di caffé, fece una smorfia e passò la
sua mano sopra la tazza per scaldarlo, per poi riprendere a bere,
soddisfatto.
"Come ti senti?" gli chiese, rimettendo la tazza sul piattino.
"Tutto bene." rispose pacato Nate.
"Io, uh, sono venuto a controllarti, quando sono arrivato, ieri notte."
Nate gli lanciò un'occhiata, in silenzio, con gli occhi spalancati, mentre
si chiedeva cosa avesse trovato Max quando era entrato nella stanza.
L'espressione di Max fu la sua risposta.
"Non ti dirò cosa devi o non devi fare." disse Max guardando suo figlio con
un luccichio di comprensione negli occhi. "Ma dovresti stare attento. Non
credo che tu voglia che Michael o Maria vedano quello che ho visto io."
Nate abbassò la testa, vergognandosi per … non aver fatto niente, in realtà.
Ai fornelli, Liz nascose una risatina.
Un angolo della bocca di Max si sollevò in un sorriso furbo, che si
trasformò in una risata. Le orecchie di Nate erano rosse.
"Io non ho … noi non abbiamo … fatto niente." disse, sentendosi in colpa.
Max gli diede una pacca sulla spalla. "Non mi interessa." disse, sporgendosi
sul tavolo. "Sto solo dicendo che a Michael e a Maria potrebbe interessare.
E allora non vorrei essere nei tuoi panni per quello che potrebbe
succedere."
Nate annuì. "Capisco." Debitamente avvertito, si guardò attorno e chiese
"Dove sono gli altri?"
Max bevve il suo caffé. "Maria e Alyssa sono ancora a letto. Isabel è
tornata a Boston. Michael è a casa sua."
Nate sollevò un sopracciglio. Tutto qui? Erano tornati alla loro solita vita
come se non fosse successo niente?
Max indicò col mento il piatto che Liz aveva messo davanti a Nate. "Mangia
la tua colazione prima, Nate. Ci saranno molte cose di cui parlare, quando
avrai finito."
Il resto della colazione trascorse senza molte parole. Nate si concentrò sul
cibo – Liz era una grande cuoca, anni di esperienza in un ristorante avevano
dato il loro frutto - e Max e Liz passarono la maggior parte del tempo a
guardarsi.
Nate si chiese se stessero comunicando in qualche modo, perché ogni tanto
lei sorrideva senza una ragione apparente, puntualizzando il sorriso con un
bacio o stringendo la sua mano.
Nate decise che se avesse frequentato le superiori con loro e li avesse
incontrati tutti i giorni, alla fine gli sarebbe venuta la nausea.
Dopo che la tavola fu sparecchiata, Max prese del caffé fresco per sé e per
Nate e lo condusse nel portico anteriore. Quella mattina, l'aria del deserto
era frizzante e un leggero velo di rugiada copriva i cespugli davanti casa
Deluca. Max gli indicò il dondolo, dove Nate si mise seduto, mentre lui si
appoggiò al parapetto che circondava il portico.
"Possiamo cominciare dall'inizio." disse, la sua voce morbida che echeggiava
nell'aria del mattino. "William Dwyer era un collega di mio padre, un uomo
onesto e rispettabile." Max si morse le labbra, come se stesse affrontando
una conversazione penosa. "Mio padre lo contattò a New York per controllare
che tu fossi adottato da una brava famiglia ma, a quanto pare, mia madre e
mio padre furono seguiti quando si recarono lì. Subito dopo, William Dwyer
contattò un suo collega – il nonno di Annie."
Lo sguardo di Nate si perse in lontananza, il ricordo dell'anziano signore
ancora vivido nella sua mente.
"Il nonno di Nate accettò di occuparsi dell'adozione, ma prima ancora che
potesse cominciare, fu contattato dall'FBI. Gli fecero un'offerta che lui
non poté rifiutare, minacciando probabilmente la sua famiglia o la sua
reputazione. Accettò le loro richieste e ti sistemò con gli Spencer." Max
fece un profondo respiro. "Da quello che ho saputo, era un uomo perbene che
si era trovato in una situazione difficile. Fece quello che doveva fare."
Nate annuì comprensivo.
"Così," continuò Max "il governo continuò a controllarti mentre crescevi.
Nello stesso tempo, reclutarono il padre di Annie per farlo unire alla loro
squadra."
La faccia dell'agente O'Donnell si profilò nei ricordi di Nate e lui
rabbrividì involontariamente. Non avrebbe mai più potuto ricordare quell'uomo,
senza che un'ondata di ansia si riversasse su di lui.
"Stai bene?" chiese Max aggrottando le sopracciglia.
Nate annuì. "Si, si, sto bene."
Max non ne sembrò interamente convinto ma, ad ogni modo, proseguì. "A quel
punto divenne l'agente O'Donnell, con l'unico scopo di catturarti. Che è
esattamente quello che è successo."
Lo sguardo di Nate tornò al pavimento. Era successo perché lui si era
consegnato – la sua era stata una decisione avventata, a dir poco.
"Nate." disse Max, attirando la sua attenzione. "Negli ultimi diciotto anni,
io ho lavorato per tenere sotto controllo situazioni come questa. Abbiamo
altri modi per uscirne. Non avevi bisogno di fare quello che hai fatto."
Un senso di colpa imperversò in Nate e non riuscì a sostenere lo sguardo di
Max. Lui li aveva messi tutti in pericolo.
"Non sto dicendo che io non avrei fatto altrettanto." chiarì Max. "Io so
perché lo hai fatto, ma avrei voluto solo che ne parlassimo prima." La sua
voce era sommessa, quasi addolorata. "So che genere di cose possono averti
fatto."
Nate alzò la testa e guardò serio Max. "E io so che genere di cose hanno
fatto a te."
Max sollevò un sopracciglio, sorpreso da quella rivelazione. "Lo sai?"
Nate annuì. "Hanno le riprese della tua cattura, Max. Me le hanno fatte
vedere."
Max chiuse gli occhi, il dolore ovviamente vecchio ma ancora molto vivo.
"Non riesco a credere che tu sia sopravvissuto a quello che ti hanno fatto."
L'espressione di Nate esprimeva tutta la sua incredulità. "Io non riuscirei
ad essere così forte."
Max gli indirizzò un sorriso. "Ma tu hai avuto quella forza, Nate."
"Che vuoi dire?"
Max si guardò la punta delle scarpe, quasi pensando che lì ci fossero tutte
le parole che stava cercando di trovare. "Quando guarisco qualcuno, io posso
vedere delle cose."
"Vedere delle cose?"
"Posso sentire le loro sensazioni, vedere cose che sono successe nel loro
passato. Quando ho tirato fuori quel dispositivo dal tuo collo, ho visto
quello che ti hanno fatto, e ti posso dire – nessuna persona debole avrebbe
mai potuto sopportarlo. Tu sei un guerriero, Nate – solo che non concedi a
te stesso abbastanza credito."
A quella dichiarazione, Nate sentì un misto di umiltà e orgoglio.
"Mi dispiace soltanto che tu abbia dovuto sopportare tutto quello." disse
Max, appoggiando la sua tazza di caffé sul parapetto del portico. "Sono un
po' preoccupato – okay, sono molto preoccupato sugli effetti collaterali di
quello che ti hanno fatto."
Il terrore attorcigliò lo stomaco di Nate. Effetti collaterali? Ad esempio –
lui, un domani, avrebbe potuto ancora avere le convulsioni senza una ragione
apparente?
"Non effetti fisici." chiarì Max. "Di quelli posso prendermene cura. Mi
preoccupa quello che sta succedendo nella tua testa, Nate. Come sai, io ci
sono passato. Non posso dire che superare quello che mi hanno fatto sia
stato facile. Ancora adesso, non sono sicuro di essermelo lasciato del tutto
alle spalle. Hai bisogno di quelli che ti stanno intorno. Hai bisogno del
nostro aiuto."
Nate gli lanciò uno sguardo di assoluta frustrazione. "Io voglio tornare a
casa, Max. Io non appartengo a questo posto." I suoi occhi vagarono sopra il
bruno paesaggio desertico e il suo cuore si dolse dal desiderio della sua
bellissima, vibrante New York.
"Lo so." disse pacato Max. Tacque per un momento, grattandosi il lato del
collo, e Nate si chiese se non l'avesse offeso. Poi Max fece un lungo
respiro e ricominciò a parlare. "Credo che tu sia cosciente che la vita,
come la conoscevi prima, ormai è finita."
Un morso di dolore pugnalò Nate all'addome; l'aveva sospettato, ma era
differente sentire Max dare voce alle sue paure.
"Mi dispiace per questo." disse Max, gli occhi pieni di rammarico. "L'FBI sa
di te e ora hanno le prove di chi sei. Ti daranno la caccia per il resto
della tua vita."
Nate guardò il pavimento di legno del portico, mentre la speranza moriva
dentro di lui. "Stai dicendo che non potrò più tornare a casa?"
Max scosse la testa. "No, tu potrai tornare a New York, ma ti suggerisco di
fermarti ancora qui e di permettermi di insegnarti qualcosa, prima di
partire. E' un gioco completamente nuovo per te – ci sono regole nuove da
seguire. Ho paura che se non impari a conoscere i tuoi avversari, non
durerai a lungo, Nate. E io non voglio che succeda questo."
Nate deglutì. Non voleva essere in quella posizione. Non voleva imparare un
nuovo modo di vivere. Voleva ritornare ad una vita che ormai era sparita,
che non avrebbe mai più avuto.
"Sono curioso." cominciò a dire Max lentamente. "Come ha fatto Annie a
scappare dalla camera dei bozzoli?"
Nate alzò lo sguardo, preoccupato della direzione presa dalla conversazione.
"Voglio dire, avevo creato quello scudo," continuò Max "e so quello che ci
vuole per toglierlo. E so di non essere stato io quello che l'ha lasciata
scappare …"
Un rossore coprì le guance di Nate – era stato scoperto.
"Lo hai fatto tu, vero?" chiese Max, senza alzare la voce.
Nate annuì.
Ci fu un momento di silenzio, poi Max scoppiò a ridere, facendo abbassare
completamente la guardia a Nate.
"Tu hai i poteri, non è vero, tu, piccolo impostore."
Con tutto quello che era successo, Nate aveva completamente dimenticato di
essere stato capace di liberare Annie dalla trappola di Max. Tutto si era
svolto così in fretta che l'enormità di quello che aveva fatto si era persa
in lui, fino a quel momento.
Imbarazzato, Nate si strinse nelle spalle.
Max scosse la testa e fece un'altra risata "Cento per cento umano un corno!"
Capitolo 32
Prima che Nate potesse chiedere a Max
la sua teoria sul fatto che lui avesse i poteri, la porta d'ingresso de casa
Deluca si aprì e ne uscì Alyssa, con i capelli biondi legati sopra la testa,
un paio di occhiali da sole poggiati sul naso e una borsa a tracolla.
"Buona mattinata, zio Max." disse, camminando verso di lui e dandogli un
bacio sulla guancia. Poi si rivolse a Nate e gli fece un bel sorriso.
"Alzati."
Lui sollevò un sopracciglio, incuriosito.
"Andiamo, non posso aspettare tutta la giornata, alzati." lo incitò
scherzosamente.
Lui fece quello che gli aveva chiesto e lei immediatamente gli poggiò le
mani attorno alla vita, mormorando "Hmmm". Poi lo fece girare, mentre le
mani di lei risalivano dalla vita alle spalle e poi giù lungo le braccia.
Nate afferrò lo sguardo di Max oltre le spalle di lei e il sorriso
dell'alieno gli fece diventare di nuovo le orecchie rosse.
"Okay." disse Alyssa allontanandosi bruscamente. "Può bastare."
"Può bastare cosa?" chiese Nate, tornando a sedersi sul dondolo nel portico.
Lei lo guardò oltre il bordo degli occhiali da sole. "Dovevo controllare le
sue misure."
Dietro di lei, Max si nascose il viso dietro le mani per coprire una risata.
Nate cercò di ignorarlo.
"Di cosa stai parlando?" le chiese.
"Sto andando a fare spese." gli annunciò. "Per prenderti dei vestiti nuovi."
"Oh, non devi preoccuparti!" protestò Nate.
"Credimi, devo." Il suo sguardo si posò sugli abiti che lui indossava ormai
da due giorni, i vecchi abiti di Michael. "Non posso farmi vedere con te
vestito in quel modo. Inoltre, ho la carta di credito di mamma." Un sorriso
diabolico le passò sulle labbra. "Ciao ciao, a più tardi." E con questo,
scese impettita le scale e si diresse verso la sua rossa macchina sportiva.
Max la vide allontanarsi, poi si girò a guardare suo figlio. "Sei sicuro di
riuscire a tenere sotto controllo tutto questo?" lo canzonò.
Nate scosse la testa. "No."
La verità era che lui non voleva tenere sotto controllo nessuno – il
tradimento e la morte di Annie erano ancora troppo freschi nella sua mente,
per cominciare qualcosa con Alyssa in quel momento, non sarebbe stato giusto
nei confronti di nessuna delle due.
Nate scosse la testa per liberarsi dal pensiero di Annie e di Alyssa.
"Facciamo un passo indietro per un attimo." disse a Max. "Perché credi che
non sia umano?"
"Oh, ma io credo che tu sia umano." disse Max, gettando quello che rimaneva
del suo caffé nel prato. "Forse penso che sei super-umano."
Nate alzò una mano col palmo in alto, aspettando una spiegazione.
"Per quello che ne so," cominciò Max. "i tuoi poteri non sono affatto poteri
alieni. Nascono da un cervello umano, da quella parte del cervello alla
quale la gente normale non può accedere. Evidentemente, tu non sei così
normale come certa gente pensava che fossi."
Nate, per il momento, si accontentò – in fondo era la stessa spiegazione che
gli aveva dato Alyssa nella camera dei bozzoli. Improvvisamente, un ricordo
legato sua fuga gli tornò alla mente e lui guardò Max confuso. "E che mi
dici di Liz?"
Max sollevò un sopracciglio. "Che ti devo dire di lei?"
Nate si accigliò, mentre cercava di chiarire il ricordo. "Mi sembra di
ricordare che lei … non lo so – ha fatto saltare qualcuno?"
Max ghignò. "Si, l'ha fatto. In effetti, è anche diventata piuttosto brava a
farlo."
"Ma tu mi hai detto che lei è umana – o almeno che è nata umana. Com'è che
può fare certe cose? Anche lei è aliena, dopo tutto?"
Max scosse la testa. "No. Io ho cambiato Liz tanto tempo fa. Non
intenzionalmente, intendiamoci. Quando eravamo alle superiori e ci
conoscevamo appena, ci fu una sparatoria al Crashdown – e Liz fu colpita.
Allora, l'ho guarita. In qualche modo, mentre la guarivo, ho cambiato la sua
struttura molecolare e, col passar del tempo, lei ha sviluppato la capacità
di fare alcune delle cose che posso fare io."
"Tu hai guarito un' estranea?" Nate trovò il fatto molto strano,
considerando la paranoia che sembrava crescere incontrollata nel gruppo
degli alieni – sembrava inverosimile che Max avesse rischiato di esporsi per
qualcuno che non conosceva.
"Non proprio." rispose sottovoce Max. "Io, um … io amavo Liz da tanto
tempo." Fece un sorriso imbarazzato. "Da tanto tempo."
"Oh." Nate fece un cenno di comprensione. Un altro ricordo gli risalì alla
mente, l'agente O'Donnell che gli chiedeva del segno che aveva sull'addome.
Curioso, si alzò la maglietta, ma dell'impronta della mano non c'era
traccia.
"Scompare dopo qualche tempo." disse Max, sapendo cosa stava cercando.
"Cosa scompare?" chiese Nate, tirando giù la maglia.
"L'impronta. La lascio quando guarisco qualcuno. Ho cercato, nel corso degli
anni, di impedire che succeda, ma ancora non ci sono riuscito."
Nate si guardò il pollice risanato e si rese conto che emanava un leggero
alone argentato. Non l'aveva notato, fino a che non l'aveva guardato in
piena luce. "Max, ancora non ti ho ringraziato. Per tutto quello che hai
fatto per aiutarmi."
Max fece un cenno con la mano. "Non ti preoccupare. Un giorno, ho detto che
non avrei condannato nessuno al destino che avevo avuto nella Stanza Bianca,
e la penso ancora così. Avrei solo voluto arrivare prima, in modo da non dar
loro il tempo per fare quello che ti hanno fatto." I suoi occhi erano pieni
di rimorso e Nate si rese conto che non era solo una dichiarazione che Max
faceva per scusare se stesso.
"Come hai fatto a trovarmi?" domandò. "Voglio dire, ho visto il posto dove
eravamo quando abbiamo lasciato la base e trovo difficile credere che ero
nell'Area 51."
"Non eri lì." convenne Max. "Ti avevano detto una bugia."
"E, allora, come hai fatto a trovarmi?"
"Hai detto ad Alyssa che c'era un alieno che ha fermato i battiti del tuo
cuore senza toccarti."
Nate rabbrividì, mentre al ricordo il suo cuore saltò un battito. "Si, è
vero."
Max si morse un labbro. "L'agente Darmon – come lo chiami tu – lavora per
me."
Le sopracciglia di Nate si sollevarono per la sorpresa. "Cosa?"
"Ti ho detto che è quello che faccio. Sono in contatto con altre forme di
vita aliene nel paese per contrastare le minacce alla nostra esistenza. Per
fare questo, ho amici in molti posti. Posti che tu non potresti immaginare –
e si dia il caso che l'FBI è uno di quelli. Quando Alyssa mi ha detto del
tuo incontro con l'agente Darmon, ho capito immediatamente dove ti trovavi."
La sorpresa si trasformò in indignazione quando Nate ricordò il dolore e il
terrore che l'agente gli aveva inflitto. "Il tuo amico mi ha quasi ucciso."
ricordò a Max.
"Il mio amico è la ragione per cui tu sei vivo." gli rispose duro Max.
"Senza il suo aiuto, non saremmo mai arrivati lì senza essere scoperti.
Senza il suo aiuto, le cose non sarebbero andate come sono andate."
Nate inclinò la testa da un lato, curioso di capire cosa intendesse dire.
"Ti senti al sicuro?" lo sfidò Max.
No, Nate non si sentiva completamente al sicuro, ma non si sentiva agitato a
stare seduto all'aperto nel portico di Maria.
"Se hai la possibilità di godere dell'aria aperta, lo devi al lavoro di
persone come l'agente Darmon. Lui è un mutaforma e viene da uno dei cinque
pianeti del nostro sistema solare. Per anni, si è sbarazzato di minacce nei
nostri confronti, prendendo il posto di alti ufficiali dell'FBI. Abbiamo
usato, con successo, la stessa tattica con un altro mutaforma, quando sono
fuggito dalla Stanza Bianca, vent'anni fa. Michael, Isabel e io abbiamo
passato gli ultimi due giorni a porre fine al pericolo, rimuovendolo dalla
nostra strada, mettendo l'agente Darmon in grado di controllare l'unità che
ti aveva catturato."
Il tono della voce di Max non lasciò alla mente di Nate alcun dubbio sul
fatto che avesse appena avuto una mini-paternale e il messaggio era arrivato
forte e chiaro – portare rispetto. Vergognandosi un po', Nate fissò il
pavimento del portico.
"Per adesso siamo al sicuro." concluse Max, il cui tono stava tornando ad
essere quello a lui più congeniale. "E lo saremo almeno per un po'"
"Cosa mi dici del padre di Annie?" chiese Nate.
Max fece una pausa, facendo sì che Nate lo guardasse. "Non è più una
minaccia."
Quello fu tutto ciò che intendeva dirgli e Nate poté solo presumere che gli
O'Donnell, padre e figlia, fossero riuniti in qualche altra dimensione di
esistenza. Non sembrava comunque essere una cosa facile con cui convivere, a
giudicare dallo sguardo perso nel vuoto che per un momento comparve negli
occhi di Max.
"Dobbiamo trovare una storia credibile." disse Max alla fine.
"Quale storia?" chiese Nate.
"Su dove sei stato e perché non hai chiamato i tuoi genitori."
Con uno spasimo, Nate realizzò che Emma e Jonathan dovevano essere molto
preoccupati per lui – non era da lui stare tutto quel tempo senza farsi
sentire. "Qual è la mia storia?"
"Tu ed io siamo andati a Carlsbad, a visitare le caverne." disse Max. "E tu
hai dimenticato a Roswell il tuo cellulare."
Non ci avrebbero mai creduto – al giorno d'oggi, tutti hanno un cellulare e
due turisti che si recano in un posto selvaggio, certamente ne hanno uno con
loro. Se Nate lo aveva dimenticato, c'erano possibilità che Max avesse il
suo.
"Mia madre è a New York." aggiunse Max.
Nate si ricordò della sua eccessivamente affabile nonna e dei suoi modi
amorevoli. Gli piaceva quella donna – anche se era un po' soffocante.
"Perchè?"
Max fece una risatina. "E' stata un elemento di distrazione. Lei è
bravissima in quel ruolo. E' volata lì appena abbiamo saputo quello che ti
era successo, con la scusa di voler conoscere i tuoi genitori. Ormai è lì da
una settimana, spostando la loro attenzione dal fatto che tu non li avevi
chiamati."
Nate si morse l'interno della bocca. Avrebbe funzionato veramente?
"Credimi." gli assicurò Max. "E' veramente molto brava."
Non ci fu tempo di chiedere dettagli, perché la porta si aprì ancora ed
apparve Liz, con la faccia piena di rammarico; l'espressione di Max si
adeguò immediatamente alla sua.
"E' già ora?" le chiese, con tono di rifiuto.
Liz annuì. "Ho chiamato un taxi. Sarà qui tra cinque minuti."
Max la raggiunse con un paio di lunghi passi, stringendo il suo corpo minuto
contro il proprio. Lei appoggiò il viso contro la sua camicia, lasciando
andare un lamento, il dolore quasi visibile sui suoi lineamenti. Nate li
guardò stupito, come se il loro dolore fosse diventato il suo. Max la
abbracciò forte, tenendo gli occhi fermamente chiusi. Dopo pochi istanti si
separarono e lui le diede un lungo bacio.
"Entra in casa." le disse. "Sarò lì tra un minuto."
Lei annuì, asciugandosi gli occhi con la punta delle dita, poi scomparve
nella casa. Max si girò verso Nate.
"Ho bisogno che tu mi scusi." disse, con voce tesa. "Mia moglie non sopporta
che io l'accompagni all'aeroporto – dice che non le piacciono gli addii lì.
Così devo entrare per salutarla qui."
Nate annuì. Okay."
Max entrò in casa e Nate rimase solo, cercando di assimilare tutte le
informazioni che aveva ricevuto. Erano tante, e troppe tutte insieme.
L'indeterminatezza di Max su quello che aveva fatto negli ultimi giorni era
alquanto sconvolgente, a dir poco. Qualcuno era morto, Nate ne era sicuro, e
non era sicuro che fosse giusto che qualcuno morisse perché Nate e gli altri
potessero continuare a vivere. Gli sembrava ingiusto scambiare una vita per
un'altra.
D'altro canto, forse quella era ora la sua nuova vita. Forse la vita si
basava sul sacrificio – Max che si dilaniava il cuore ogni volta che doveva
dire addio a Liz, Nate che si lasciava alle spalle la vita che aveva avuto.
Forse la sua vita non sarebbe mai più stata semplice.
Capitolo 33
"Guarda – ho preso dei film!" disse
orgogliosamente Alyssa, porgendogli un pacco di DVD.
Seduto sul divano, Nate la guardò e lei sorrise. Da quando Liz era partita,
la casa gli era sembrata fastidiosamente silenziosa; Max trascorreva la
maggior parte del suo tempo in cucina, a leggere giornali, sebbene Nate non
lo avesse mai sentito girare una pagina. Ora che Alyssa era tornata, un po'
della tensione era svanita e un piccolo raggio di sole aveva rimpiazzato la
malinconia.
"Davvero? disse lui. "Cosa hai preso?"
Lasciandosi cadere sul divano, lei cercò tra la manciata di film che aveva
noleggiato – tutti film dell'orrore. Nate alzò un sopracciglio nella sua
direzione.
"E' quasi Halloween." disse Alyssa in sua difesa. "E mi piacciono i film che
mettono paura." Gli fece un timido sorriso.
Nate allungò una mano e prese il primo della pila – l'ormai vecchio 'Halloween'
con Jamie Curtis.
"Si, lo so che è vecchio." disse lei. "Ha quasi trent'anni, ma è ancora uno
dei migliori, non credi? Ho pensato che avremmo potuto ordinare una pizza e
guardarli stasera, visto che siamo solo io e te."
Questa era nuova per Nate. "Veramente? Dov'è andata tua madre?"
Alyssa si adombrò. "Mi ha detto di avere un appuntamento." Nate credette di
sentire un po' di amarezza, ma lei si riprese subito. " Dovrei esserci
abituata, ormai, non credi? Voglio dire, lei è una donna sola e ancora
giovane – relativamente parlando – e dovrebbe poter uscire, no?"
Nate annuì senza dire nulla.
"Così siamo solo io e te." concluse con una smorfia.
"Okay." convenne lui. "Mi sembra un buon programma." I suoi occhi si
girarono verso il bancone che li separava dalla cucina, per posarsi sulla
testa di Max che era seduto al tavolo. "E che ne facciamo di lui?"
Alyssa seguì il suo sguardo e si accigliò immediatamente. "Può rimanere, se
vuole, ma sono sicura che tornerà a casa di sua madre."
"Sta bene?"
Alyssa si strinse nelle spalle. "Lo spero. Reagisce sempre così quando deve
separarsi da zia Liz. La separazione lo uccide."
Nate ripensò all'interazione tra Max e Liz, quella mattina a colazione. "Il
loro legame è molto forte, vero?"
Alyssa fece una smorfia. "Non ne hai idea. Nessuna idea. Sembra che
respirino la stessa aria." lei inclinò la testa da un lato. "Loro credono di
essere destinati a stare insieme."
Lui le sorrise. "Credi nel destino?"
"Mi piace crederci. E' terribilmente romantico." lei rise, poi gli dette una
pacca sulla gamba. "Ti ho comprato un po' di vestiti. Che ne pensi di
provarli, prima di ordinare quella pizza?"
Nate dovette dare credito ad Alyssa – aveva comprato una varietà di vestiti,
tutti della taglia giusta e nello stile che a lui piaceva. C'erano vestiti
casual, vestiti più eleganti, vestiti per stare in casa. Dopo che li ebbe
provati, guardò la pila sul letto di Alyssa e immaginò quanto fossero
costati.
"Come ti stanno?" gli chiese improvvisamente dalla soglia della porta.
Nate si volse di scatto nella sua direzione, non avendola sentita arrivare.
"Alla grande. Hai fatto un buon lavoro."
Alyssa, era praticamente radiosa.
Nate si grattò la testa. "Non so come farò a ripagarti, però …"
Alyssa fece un gesto con la mano. "Non ti preoccupare dei soldi."
"Alyssa, non posso accettare un regalo come questo."
"Non te l'ho fatto io." chiarì lei. "E' stata mamma a dirmi di farlo. Devi
vedertela con lei."
Prima che Nate potesse protestare ulteriormente, Max apparve sulla porta
alle spalle di Alyssa. La sua espressione straziava il cuore, ma i suoi
occhi erano asciutti. Quando parlò, comunque, la sua voce sembrò venir fuori
dal naso e Nate capì che, ad un certo momento, doveva aver pianto.
"Sto andando a casa." disse, schiarendosi la gola.
Alyssa gli accarezzò un braccio. "Oh, zio Max – non vuoi restare e mangiare
una pizza con noi? Ho noleggiato anche qualche film."
Lui scosse la testa, scusandosi. "No, dolcezza, credo che tornerò a casa dei
miei genitori. Non dormo da un paio di giorni e vorrei andarmene a letto."
"Okay." Lei gli diede un'occhiata di simpatia, poi gli passò un braccio
attorno e lo strinse. "Ti voglio bene, zio Max."
"Anche io ti voglio bene, tesoro." rispose lui, sciogliendosi dall'abbraccio
e dandole un bacetto sulla guancia. "Nate, passerò a prenderti domani."
Nate annuì, poi vide Max sparire nel corridoio, fermandosi solo per dire
ciao a Maria. Dopo che ebbero sentito chiudersi la porta di ingresso, Alyssa
sospirò e girò il suo viso triste in direzione di Nate.
"Povero Max." disse "Mi spezza il cuore."
Nate dovette concordare. Se ogni volta che Max e Liz si separavano dovevano
sopportare tutto questo, erano veramente gente molto forte.
La pizza arrivò poco dopo e Nate guardò incredulo nella scatola – la
piccola, sana Alyssa Guerin aveva ordinato tutti i sapori che c'erano sotto
il sole. Nate non fu nemmeno sicuro che ci fosse una pizza sotto tutta
quella confusione.
"Mmmm." fece lei. "Che profumino!"
"Santo cielo, che cos'è questo odore?" domando Maria dalla porta della
cucina.
Nate guardò nella scatola e si strinse nelle spalle. Lei si avvicinò e dette
un'occhiata per conto suo. Nate non poté fare a meno di notare con quanta
cura si fosse preparata per il suo appuntamento – era assolutamente
stupefacente, la diva che era stata una volta. Alyssa sembrò tutto fuorché
impressionata.
"Lo sai che mi piace un sacco di roba sulla mia pizza." disse Alyssa
risentita.
"Si, ma forse Nate non ha i tuoi stessi gusti." rispose Maria, incrociando
le braccia sul petto.
Lo sguardo di Nate si posò su Alyssa, che aveva l'espressione della persona
sorpresa a fare pipì in un posto pubblico.
"Dannazione, Nate, mi dispiace." disse.
"Che modo di parlare." la riprese Maria, indicando la guarnizione della
pizza. "Vuoi che ti prepari qualche altra cosa per cena?"
Alyssa, praticamente, si era umiliata davanti ai loro occhi – Nate sapeva
che aveva avuto buone intenzioni – e la critica di Maria, unita al suo
appuntamento, stava ferendo i sentimenti di sua figlia.
"No grazie, signora." disse lui. "Anche a me piace un sacco di roba sulla
pizza."
Un largo sorriso si aprì sul viso della ragazza, la vittoria nei suoi occhi.
Maria si strinse nelle spalle.
"Okay, allora. C'è del bicarbonato nella cassetta dei medicinali."
Alyssa e Nate tornarono in soggiorno con la scatola della pizza e un paio di
piatti. Lei prese un film e lo inserì nell'apparecchio, poi si sedettero per
terra, con le schiene appoggiate alla parte anteriore del divano. Maria
chiese scusa e si allontanò per rifarsi il trucco e Nate notò che Alyssa
stava cercando di non esplodere – Nate si disse che avrebbe dovuto
complimentarsi per il suo sforzo.
Dopo mezz'ora dall'inizio del film, la porta d'ingresso si aprì e tutti e
due guardarono per vedere chi si era permesso di entrare senza bussare.
Quando Michael Guerin apparve sulla soglia della porta del soggiorno, Nate
si sentì sprofondare nel tappeto – era arrivato il momento di fare i conti.
Cosa gli avrebbe fatto questa volta? Spaccato la mascella? Provocato la
rottura della milza? Sperò che Max Evans fosse a portata di telefono, perché
presto Nate avrebbe avuto bisogno di riparazioni.
"Papà!" squittì Alyssa, saltando in piedi e correndo verso il padre. Lo
prese tra le braccia e lo strinse forte.
"Ciao, gattina." gli disse lui, ricambiando il suo abbraccio.
Lei si tirò indietro, col viso illuminato come un albero di Natale. "Che ci
fai qui, papà?" Le luci dell'albero si spensero e la sua espressione si
rabbuiò. "Mamma ha un appuntamento." annunciò scontrosa.
"Lo so." rispose Michael, posando gli occhi su Nate, che immediatamente
guardò altrove.
"Ma … " cominciò a dire Alyssa. "Non sei geloso? Nemmeno un po'?"
Michael scosse la testa. "No."
Lei si scosse dalla sua delusione. "Perché no?"
"Perché sono passato a prenderla … per il nostro appuntamento."
Alyssa fece un largo sorriso, il viso colmo di incredulità e di felicità
allo stesso tempo. "Oh, papà!" disse, abbracciandolo di nuovo.
Lui le accarezzò la schiena, poi la spinse via dolcemente. "Ora, non
cominciare a sperare troppo, okay?"
Lei annuì, ma Nate capì che la sua speranza era già arrivata ad un livello
così alto che le sarebbe stato impossibile salire ancora.
Gli occhi scuri di Michael si posarono su Nate ed increspò le labbra. "Nate,
ho bisogno di parlarti, in cucina."
Il cuore di Nate cominciò ad impazzirgli nel petto, gli occhi spalancati.
Alyssa lo guardò con compassione.
"Papà, per favore … " mormorò
"Nate, adesso!" ordinò Michael.
Avendo deciso di accettare le conseguenze delle sue azioni, Nate si
costrinse ad alzarsi e fissò il pavimento, mentre si dirigeva in cucina.
Sentì Michael salutare sua figlia, poi i due uomini rimasero soli, il cuore
di Nate che batteva così forte da minacciare di scoppiargli nel petto.
"Quello che hai fatto è stato veramente stupido." cominciò Michael.
Nate annuì, lo sguardo fisso per terra.
"Avresti potuto farci uccidere tutti."
Lui annuì ancora. Dai, colpiscimi e facciamola finita!
"E' stato uno dei più sconsiderati atti di incoscienza che ho mai visto
nella mia vita."
Nate si morse un labbro, chiedendosi se sarebbe riuscito a raggiungere la
porta prima che Michael potesse agguantarlo.
"E anche uno dei più coraggiosi."
Nate alzò la testa di scatto, con un'espressione di assoluta incredulità.
Non c'era animosità negli occhi di Michael Guerin. "Lo so perché hai fatto
quello che hai fatto. Ci vogliono palle grandi come proiettili di cannone
per fare una cosa del genere." Spostò lo sguardo per un attimo. "Forse mi
sono sbagliato sul tuo conto, Nate."
Nate era rimasto senza parole, ancora incapace di credere che non ci fossero
altre violenze nascoste nel suo futuro.
"E quando mi sbaglio, lo ammetto." Si strinse nelle spalle. "Inoltre, sembra
che tu piaccia a mia figlia e lei è sempre stata un giudice di caratteri
migliore di quanto lo sia io." Poi tese la mano. "Tregua?"
Nate guardò la mano tesa, chiedendosi dove fosse la trappola – forse gli
tendeva la mano solo per afferrarlo e sbatterlo al muro. Esitante, tese la
sua e le due mani si strinsero.
"Tregua." rispose cautamente.
"Bene." disse Michael, dando a Nate una pacca sulle spalle così forte da
fargli uscire tutta l'aria dai polmoni. Poi rise, un suono strano per una
persona così scontrosa. "Bene, credo che non ci sia più alcun dubbio sul
fatto che sei figlio di Max, non dopo questa piccola prodezza."
Nate non riuscì a chiedere cosa volesse dire, perché Maria entrò in cucina e
Michael si dimenticò completamente di lui.
In soggiorno Alyssa lo aspettava preoccupata. Quando vide che Nate non stava
sanguinando, sorrise immediatamente.
Dopo che Michael e Maria se ne furono andati, i due ragazzi si sedettero sul
pavimento per finire la loro cena e vedere il film che avevano noleggiato.
Una volta finita la pizza, si sdraiarono sul pavimento e alla fine Alyssa si
accoccolò contro di lui, poggiando la testa sul suo petto.
Nate cercò di ignorare il fatto che erano così vicini, che lei aveva un
profumo meraviglioso e che era stato attratto da lei fin dalla prima volta
che l'aveva vista al Crashdown, antenne argentate e tutto il resto. Sarebbe
costato un grande sforzo ignorare tutto quello, ma ce l'avrebbe fatta.
Fino a che lei lo baciò sul collo.
Nate chiuse gli occhi, assaporando le piccole scariche elettriche che il
tocco di lei gli procurava. Le sue labbra morbide gli sfiorarono la gola,
poi trovarono la sua bocca. Riprovò tutte quelle meravigliose sensazioni che
aveva provato nella lavanderia e ricambiò il bacio di lei, confortato dalle
sue carezze.
Senza staccarsi da lui, Alyssa fece scivolare la mano sotto la sua t-shirt,
sfiorando la pelle sopra le costole. Nate sentì un innegabile bisogno
crescere dentro di lui, un bisogno di conoscere tutto di lei. Lei si tirò
indietro e scivolò giù lungo il suo corpo, baciandogli l'addome. Nate lasciò
andare un gemito, abbassando la guardia davanti ai suoi movimenti. Gli
sollevò la maglia e spinse la sua lingua contro uno dei suoi capezzoli,
facendogli provare una sensazione nuova ed inaspettata. Nate rimase senza
fiato per la sorpresa – cosa che non gli era mai successa con Annie.
Spalancò gli occhi. Annie. Visioni della sua fidanzata, morta da poco, gli
riempirono la mente e lui si raffreddò istantaneamente. Abbassando lo
sguardo, vide Alyssa che cominciava a slacciargli il bottone dei jeans. Lui
la prese per i polsi.
"No, Alyssa." le disse scuotendo la testa. "Non possiamo."
"Certo che possiamo." sorrise lei. "Mamma e papà passeranno fuori la notte,
ne sono sicura. Anzi, probabilmente faranno la stessa cosa che stiamo
facendo noi."
Nate scosse ancora una volta la testa. "Non è per questo, Alyssa. Non
possiamo … Io non posso farlo."
Gli occhi scuri di Alyssa si rabbuiarono. "Tu non mi vuoi." gli disse
sottovoce.
"No, non è nemmeno per questo." Indicò con gli occhi il visibile
rigonfiamento nei suoi pantaloni. "E' ovvio che non è per questo. E' solo
troppo presto. Non posso farti questo. Non voglio usarti."
Alyssa si allontanò da lui, mettendosi a sedere sul pavimento. Lui si tirò
su appoggiandosi su un gomito. "Pensi che sia una bambina?" gli disse.
Lui scosse la testa e allungò una mano per spostarle i capelli dal viso.
"No, non sei una bambina." le disse, benché lui fosse maggiorenne e lei no.
"C'è una cosa che non sai, Alyssa."
Lei incrociò le braccia sul petto. "Cosa?"
Nate girò lo sguardo, respirando profondamente. Lo sapeva che sarebbe finita
male. "Annie non era solo la mia ragazza." cominciò a dire, poi la guardò
negli occhi. "Era la mia fidanzata. Dovevamo sposarci."
Alyssa si accigliò e distolse lo sguardo da lui; Nate credette di vedere
lacrime nei suoi occhi scuri. "Credevo che fra noi ci fosse qualcosa di
speciale." gli disse.
Carezzandole un braccio, Nate cercò di farle comprendere. "Anche io credo
che ci sia. E' solo troppo presto. Ho bisogno di tempo per smaltire il
dolore. Non voglio cominciare qualcosa con te e sprecarlo perché non sono
pronto." Le sfiorò la guancia morbida con il dorso della mano e lei chiuse
gli occhi, in agonia. "Ti prego, cerca di capire."
"Capisco." gli sussurrò, poi si alzò in piedi.
Nate la vide scoppiare a piangere e scappare nella sua stanza. Nella sua
scia, il vaso sopra la televisione esplose in mille pezzi – i piccoli
frammenti di vetro stavano ancora ricadendo sul pavimento, quando Nate sentì
sbattere la porta della camera.
Sospirando, guardò la televisione, senza realmente vederla. Perché aveva
l'impressione che ultimamente non ne faceva una giusta?
Capitolo 34
L'acqua gelida impregnava la giacca
di Nate, togliendogli il respiro. Ansando contro il dolore, strisciò verso
l'apertura, l'oscena fenditura nel ghiaccio. Riusciva quasi a toccare la
mano del bambino.
"Dammi la mano!" gridò Nate, con la voce tesa. Intorno al perimetro del
lago, si era raccolta una folla di genitori ansiosi che cercavano i loro
bambini, sperando che non fosse il loro figlio quello che stava per essere
inghiottito dalla tomba gelida. L'aria era piena di voci, nervoso sottofondo
dell'incerto.
"Allungati." ordinò Nate.
Il ragazzo lo guardò supplicante, la pelle già pallida di morte – non
avrebbe resistito ancora a lungo.
"Puoi farcela!" lo incoraggiò Nate.
Guardando dietro alle sue spalle, si accertò che suo padre reggesse ancora
un capo della corda che era legata intorno alla sua vita, per impedirgli di
cadere nel ghiaccio a sua volta.
Il bambino cercò un'ultima volta di afferrare la mano di Nate … poi scivolò
sotto la superficie.
"No!" urlò Nate, mentre cercava il ragazzino nell'acqua scura.
Improvvisamente dalla fenditura del ghiaccio apparvero dei capelli rossi,
che emergevano lentamente dall'acqua gelata. Nate sentì il silenzio, mentre
guardava orripilato la creatura che prendeva forma a rilento, torreggiando
sopra di lui, la testa chinata verso il basso. Le braccia alzate ai lati, le
davano l'aspetto di una versione perversa del crocifisso.
Con movimenti deliberati, sollevò la testa per guardare Nate e lui cadde sul
ghiaccio del fiume. Era Annie, tornata per perseguitarlo. Con un'espressione
indifferente, raggiunse l'acqua e tirò fuori il bambino, prendendolo per il
colletto; la sua pelle era blu, le sopracciglia e gli occhi incrostati di
ghiaccio.
"Ci hai ucciso tu." gli disse con voce piatta.
Nate scosse la testa. "No. Non ne avevo l'intenzione."
Un sorriso le curvò le labbra. "Verrà il giorno che ci vendicheremo. Verrà
il giorno … che ti uccideremo." Con questo, allungò una mano verso di lui,
le dita gelide lo strinsero alla gola …
Nate lasciò andare un grido d'angoscia, battendosi furiosamente contro la
sua avversaria. Doveva allontanarsi da loro, sfuggire ai demoni che lo
avrebbero tormentato per sempre, se glielo avesse consentito. Si agitò
freneticamente, cercando di allontanare la persona che lo aveva afferrato.
"Nate! Fermati!" La voce acuta di Alyssa lo raggiunse.
Lui si fermò, intontito, e la guardò senza vederla. Dentro di sé, sentiva i
suoi organi bruciare, i polmoni e la gola che ardevano, il cuore che gli
pulsava nelle orecchie. Tutto era scuro e non sapeva dove si trovava.
"Va tutto bene." gli disse Alyssa. "Stavi solo sognando."
Lui si mise a sedere e batté lentamente gli occhi, poi l'orrore del sogno
ritornò e lui cominciò a piangere. Ora ricordava dov'era – stava dormendo
sul divano di Maria Deluca dopo che Alyssa si era chiusa nella sua camera da
letto, vittima del suo rifiuto.
Non che questo le avesse impedito di tornare da lui. Sentiva le braccia di
lei intorno alle sue spalle e la sua voce morbida vicino al suo orecchio.
"Shh." gli disse. "Va tutto bene. Era solo un sogno."
"Li ho uccisi io." mormorò lui singhiozzando.
"Tu non hai ucciso nessuno." disse lei, cercando di confortarlo.
"L'ho fatto." la contrastò lui. "Annie e quel bambino."
Alyssa si tirò indietro e si appoggiò su un fianco, lo sguardo perplesso.
"Quale bambino?"
Nate si asciugò furiosamente le lacrime. Odiava piangere – lo faceva sentire
un codardo. "L'anno scorso. Un bambino cadde nel ghiaccio Ho cercato di
prenderlo, ma – ma non ho potuto." Nate strinse forte gli occhi, cercando di
impedire che le lacrime scorressero ancora.
Alyssa gli prese la mano e ne accarezzò il dorso, ascoltando in silenzio.
"E poi Annie." Nate incontrò lo sguardo di Alyssa, pieno di scuse per dover
parlare della sua ex fidanzata. " Le ho detto io di correre, Alyssa. Se lei
non fosse corsa via …"
Senza parole, Alyssa posò la sua mano e lo abbracciò. Quel semplice gesto lo
fece ricominciare a piangere. Lei non lo giudicò – si limitò a cullarlo tra
le braccia fino a che il suo dolore non fu scemato.
"Tu porti il peso del mondo sulle tue spalle, Nate." gli sussurrò oltre la
spalla. "E anche ingiustamente. Non è colpa tua se quelle persone sono
morte." Lei si tirò indietro e prese tra le mani il suo viso bagnato di
lacrime. "Qualche volta succedono cose brutte e noi non sappiamo perché.
Forse non siamo destinati a saperlo."
Lui deglutì e fece un profondo respiro, cercando di calmarsi.
"So che non ti conosco da molto tempo." continuò lei. "Ma niente di quello
che ho visto mi ha lasciato credere che tu possa essere capace di uccidere
qualcuno. Non sei stato tu a spingere quel bambino nel ghiaccio. Per quanto
riguarda Annie … " Le parole le vennero meno e lei dovette distogliere lo
sguardo.
Nate strinse la mascella. Alyssa era proprio come tutti gli altri. "Ha avuto
quello che si meritava." finì lui con amarezza.
Ma Alyssa lo sorprese e scosse la testa. "No. Non la penso in questo modo.
Penso che sia stata vittima delle circostanze, vittima delle proprie azioni.
Non credo che nessuno meriti quello che le è successo." Gli spostò i capelli
dalla fronte e studiò i suoi occhi azzurri. "C'è molto più di questo."
osservò.
"Ho avuto un incubo." ammise lui. "Loro erano tornati … per farmela pagare."
Lei gli sorrise dolcemente e gli diede un bacio sulla fronte. "Nessuno verrà
a prenderti, Nate. Inoltre, dovrebbero prima vedersela con me."
Lui cercò di ridere, un po' imbarazzato dal fatto che una ragazza volesse
difenderlo.
Alyssa dette uno sguardo allo schermo della TV, ormai diventato a
effetto-neve. "Brutto momento per scegliere un film dell'orrore, eh?"
Lui fece un cenno di assenso, con un leggero sorriso sul viso.
Lei distolse lo sguardo per un attimo, poi si morse il labbro inferiore. "Se
vuoi … um, potrei rimanere … qui, con te." Il suo sguardo si spostò ancora,
la paura di essere rifiutata evidente sotto la superficie. "Voglio dire, non
mi aspetto niente … non più …"
Nate avvertì un senso di colpa. "Alyssa …"
Lei scosse bruscamente la testa. "Domani, ne parleremo domani. Me ne torno a
letto -" Lei si alzò in piedi, pronta ad andarsene, ma lui allungò una mano
e la prese per un braccio.
"No." le disse dolcemente, scuotendo la testa. "Rimani."
Lei lo guardò diffidente, poi annuì e si stese sul divano accanto a lui. Si
sistemarono, adattandosi perfettamente uno all'altra e stettero in silenzio.
Alla fine, proprio quando il ticchettio dell'orologio stava per farlo
impazzire, Alyssa ruppe il silenzio.
"Certo." gli disse prendendolo in giro " Ora vuoi stringermi."
Nate sogghignò, lieto che la tensione tra loro si fosse allentata. Ma il
sorriso si disintegrò quando gli tornò in mente il sogno, la visione che lo
aveva tormentato …
Quando Nate aprì gli occhi, il soggiorno era invaso dalla luce del giorno e
Maria Deluca era in piedi davanti a lui, le braccia incrociate sopra il
petto ed un'espressione poco sorridente. Per un attimo Nate si chiese se una
notte con Michael Guerin avesse in qualche modo trasferito un po' della
scontrosità di Michael in Maria e lei stesse per prenderlo a calci nel
sedere. Poi si rese conto del perché lei lo stesse guardando in quel modo …
Alyssa era ancora raggomitolata contro di lui, la testa sul suo petto. La
colpevolezza corse attraverso l'intero corpo di Nate, un evento che sembrò
avere il potere di svegliare la sua compagna di crimine. Stringendo gli
occhi per luce del sole, Alyssa sollevò la testa e gli sorrise, poi seguì lo
sguardo di Nate oltre le proprie spalle e si staccò da lui immediatamente.
"Ohdannazioneoraciammazza." disse, le parole un'unica stringa ininterrotta.
Nate cambiò posizione, mettendosi a sedere di scatto, con Alyssa che al suo
fianco si sistemava la camicia da notte.
"Non voglio nemmeno sapere cosa sia successo qui." disse Maria lentamente.
"Tutto quello che so é che non voglio mai più arrivare a casa mia e trovare
un'altra volta voi due che dormite insieme."
"Mamma." cominciò a dire Alyssa. "Noi non abbiano neppure …"
Maria alzò una mano, per ridurre al silenzio sua figlia. I suoi occhi verdi
trafissero prima su Nate, che distolse lo sguardo per la vergogna, poi la
figlia, che incrociò le braccia sul petto e girò gli occhi al soffitto.
"Questa volta la passate liscia," li mise in guardia Maria. Poi si schiarì
la gola e si raddrizzò. "E' risaputo che capisco cosa significhi per il bue
dare del 'cornuto' all'asino." E dopo aver lanciato loro un'occhiataccia, si
allontanò in corridoio.
Nate stava cercando di dare un significato a quella dichiarazione, ma Alyssa
aveva già capito. La sua bocca rimase aperta per lo stupore, mentre i suoi
occhi si posavano sull'orologio.
"Che putt…!" sussurrò, con la voce piena di sgomento.
Nate la guardò sorpreso.
"Io stavo scherzando, ieri sera, quando ho detto che lei e papà
probabilmente avrebbero …" Sembrava che si stesse sforzando per trovare le
parole giuste, poi alla fine sollevò una mano chiudendo l'indice ed il
pollice per formare una O e ci infilò dentro l'altro indice per diverse
volte.
Le sopracciglia di Nate si sollevarono di colpo. I Guerin erano divorziati
da poco – amaramente, per quello che aveva potuto vedere. Michael era una
specie di uomo delle caverne e con tutto ciò avevano ancora voglia di
togliesi dei capricci al loro 'primo appuntamento' insieme. Nate ebbe
l'impressione che la relazione Michael/Maria fosse ancora più complicata di
quello che sembrasse.
Dopo una doccia veloce e una colazione leggera, Nate ricevette una chiamata
da Max, che lo sarebbe passato a prendere poco dopo. Mentre lo aspettava sui
gradini dell'ingresso, Alyssa lo raggiunse, sedendosi spalla a spalla
accanto a lui. Stettero per un momento in silenzio, poi lei si girò verso di
lui, guardando di traverso il sole che si alzava.
"Mi sento stupida." gli confessò.
"Perché" le chiese lui. "Per aver fatto così" – e mimò il gesto che aveva
fatto per indicare il rapporto sessuale - "invece di aver detto solo che
avevano fatto del sesso?"
Alyssa rise, evidentemente imbarazzata, ma anche eccitata che lui stesse
scherzando. Scosse la testa e si morse un labbro. "No, per essermela presa
con te ieri sera."
Nate avrebbe voluto dirle di non preoccuparsi, ma se l'avesse fatto sarebbe
stato come nascondersi, e lui voleva parlarne. "Non hai bisogno di sentirti
stupida." le disse. "Mi è dispiaciuto solo di aver ferito i suoi
sentimenti."
Lei si guardò tra le scarpe, fissando un'incisione nel cemento dei gradini.
"Non riusciresti a capire quello che sento."
Lui le diede una piccola spinta con la spalla. "Mettimi alla prova."
Facendo un profondo respiro, lei rifletté per un attimo, poi disse "Sento
che è una cosa giusta. In un modo che non ho mai sentito prima nella mia
vita." Si guardò le mani, criticando lo smalto sulle unghie. "Pensavo che
anche tu sentissi la stessa cosa. Ero così concentrata su questo, che ho
dimenticato Annie e quello che avevi appena passato." Gli lanciò un'occhiata
di scusa. "Vedi, quando aspetti qualcosa da tutta la vita e finalmente pensi
che si sia avverata … bene, lasciati dire che tutto il resto intorno a te
scompare."
Nate la studiò in silenzio – lei aveva aspettato tutta la vita. Per lui. Per
qualche ragione, lo aveva giudicato degno, speciale … il vero significato
delle parole di Alyssa lo colpì all'improvviso e fu sorpreso da quello che
lei stava cercando di dirgli. Alyssa non era mai stata con nessuno.
Lei arrossì e fece una risatina nervosa. "Si … tu pensi che sia una bambina,
vero?"
Nate le sorrise dolcemente e prese la mano di lei nella sua. "No. Tu non sei
una bambina. Ma penso che tu sia speciale. Non so perché mi sento così.
Dammi il tempo di chiarirmi le idee. E' tutto così nuovo per me. Cose che tu
conosci da sempre – alieni e poteri e FBI – queste cose non hanno mai fatto
parte della mia vita. Sono un semplice ragazzo di campagna della parte
occidentale di New York."
Lei fece un largo sorriso e lui si rese conto che gran parte della sua ansia
si era sopita. Allora Alyssa fece una smorfia.
"Non so gestire molto bene un rifiuto, vero?" si lamentò.
Nate sorrise. "Bene, sei caduta nello stereotipo che gli uomini sono tutti
uguali – non ti eri aspettata che dicessi di no."
L'espressione dei suoi occhi scuri si addolcì mentre copriva la mano di lui
con le sue. Sospirando, gli appoggiò la testa sulla spalla. "Spero che un
giorno tu dica di si." gli sussurrò.
Nate sorrise e chiuse gli occhi, godendosi il profumo dei suoi capelli
appena lavati.
Dopo un po', Max parcheggiò la SUV di suo padre ed uscì. Indossava una
t-shirt e un paio di pantaloncini da ginnastica, abbigliamento leggero per
una mattinata di Ottobre.
"Buon giorno." li salutò, un po' della sua tristezza del 'dopo-Liz' sparita.
Alyssa e Nate gli risposero buon giorno, mentre lui camminava sul
marciapiedi. Alyssa si alzò e lo baciò sulla guancia, abbracciandolo forte.
Max si girò verso Nate.
"Tu corri?" chiese.
Nate scosse la testa. La sua attività fisica consisteva soprattutto nel fare
… niente.
Max ghignò. "Lo farai ora."
Capitolo 35
"E' importante," cominciò Max,
parlando ad intermittenza, mentre correva. "che tu ti mantenga in forma."
Nate gli trottava al fianco, troppo a corto di respiro per rispondere, e si
limitò ad ascoltarlo. Stavano correndo sulla pista dello stadio di calcio
della scuola superiore, il sole ormai alto sulle loro teste. Pur non essendo
un giorno torrido, faceva abbastanza caldo e Max era rimasto in calzoncini,
durante l'ultimo giro. Nate notò che, nonostante si avvicinasse alla
quarantina, Max aveva ancora il fisico di un ventenne. Nate,
sfortunatamente, aveva ancora il corpo di un adolescente – e non c'era modo
di stare alla pari di qualcuno con quel fisico.
"Non solo per la velocità," continuò Max "ma per la resistenza. Avere una
forte capacità di resistenza potrebbe aiutarti un giorno ad salvarti la
vita."
Mentre si avvicinavano alle tribune, fece un cenno con la testa. "Questo è
il tuo ultimo giro. Io ne farò qualcun' altro. Quando smetti di correre, non
sederti subito – continua a camminare per un po'."
Nate annuì, le gambe e i polmoni che gli bruciavano per i giri che aveva già
fatto.
"Ci vediamo tra un po'." ghignò Max, lasciandosi indietro Nate, mentre
continuava la sua corsa.
Nate si mise le mani sui fianchi ed ansimò alla ricerca di aria. Era sempre
stato magro, ma aveva appena scoperto che essere magro non significava
necessariamente essere in forma. Max si comportava come se i giri di corsa
non gli pesassero e Nate ebbe la sensazione che avrebbe potuto correre per
tutto il giorno, se fosse stato necessario. Nate, d'altro canto, avrebbe
voluto che qualcuno gli fornisse un nuovo paio di polmoni, perché sembrava
che i suoi non funzionassero bene.
Comunque, mentre Max terminava il suo secondo giro da solo, Nate cominciò a
riprendersi, il suo respiro un po' più lento e il battito del suo cuore un
po' più regolare. Ora si sentiva quasi bene. E quando Max ebbe terminato i
suoi quattro giri in più, Nate era seduto, sudato ma rilassato, sulla
tribuna.
Max si fermò e guardò verso il cielo, facendo lunghi, purificanti respiri.
Poi poggiò un tallone sul primo gradino della tribuna e distese i tendini
del ginocchio.
"Da quanto tempo corri?" chiese Nate.
Max si strinse nelle spalle, usando la maglia che si era tolta per
asciugarsi il sudore dal viso. "Da quando avevo quindici anni, credo. Isabel
cominciò a correre con me alcuni anni dopo. Ora corriamo tutti."
Nate fece un mezzo sorriso. Nella sua testa, immaginò una intera banda di
creature dall'aspetto alieno che correva, come una sorta di passeggiata in
famiglia.
Max si sfilò la maglia dalla testa e cadde a sedere accanto a suo figlio. "Woo!
Bella sensazione, vero?"
Nate scrollò nelle spalle, piuttosto imbarazzato.
Max gli fece una smorfia. "Ti ci abituerai. Dopo un po' potrebbe anche
cominciare a piacerti. Tieniti in forma, Nate. Cerca di mangiare cibi sani,
fai abbastanza esercizio." Guardò le braccia di Nate. "Dovresti prendere in
considerazione un serio allenamento di qualche genere."
Nate arrossì leggermente. "Ho già cercato di fare sollevamento pesi, ma
questo è il risultato finale."
Max rise. "Non succede tutto in una notte. Dai tempo al tempo. Alla fine ne
sarai contento."
Sedettero per un po' in silenzio. Era strano, in realtà, starsene seduti lì,
insieme, nel posto dove Max aveva frequentato le superiori, dove aveva
incontrato la madre di Nate, dove il piano di lei era andato in porto. Tre
mesi prima, non era così che Nate aveva pensato la sua vita.
"Max?" chiese cautamente.
Max si girò verso di lui, socchiudendo gli occhi ai raggi del sole. "Si?"
"Cosa pensi che voglia significare quel simbolo? Quello che era sul mio
petto? E' andato via."
Un angolo della bocca di Max si sollevò leggermente. "Non è andato via. Non
credo."
Nate sollevò un sopracciglio. "No?"
Max scosse la testa. "No. E' ancora dentro di te. Lì, da qualche parte."
Inconsciamente, la mano di Nate si posò sul suo petto, dove una volta aveva
brillato il simbolo. "Perché?"
Guardando in basso tra i suoi piedi, Max prese a calci dei sassolini,
cercando di trovare le parole adatte. "Quando Tess ti ha portato a casa …"
Si fermò, sospirò e ricominciò da capo. "Quando Tess lasciò la Terra, era
incinta di te – come già sai. Quando sei nato, sei stato rifiutato come
erede perché eri biologicamente umano. Per questo motivo Tess è tornata qui
– è fuggita per salvare la sua vita e la tua." Max scosse la testa. "Ma
credo che fuggire non sia servito a niente – a dispetto della tua formula
genetica, resti sempre mio figlio, sei ancora l'erede del mio trono."
Nate lo ascoltò in silenzio, chiedendo se tutto ciò, alla lunga, avesse
importanza. Non era come se dovesse prendere la prima astronave
intergalattica che passava, per volare su Antar e organizzare un colpo di
stato.
"Credo che il significato del simbolo sia questo." continuò Max. "Credo che
in un modo o nell'altro, qualunque sia la cosa che ci rende quello che
siamo, loro sanno che tu sei di nuovo tra quelli della tua specie e il
simbolo è il modo di identificarti tra di noi. Ora che ha ottenuto lo scopo,
si è inattivato di nuovo."
"Vuoi dire che lo porterò per tutta la vita?"
Max annuì. "Credo di sì."
Nate si grattò la testa. "Uh, e cosa si suppone debba farne?"
Max rise di soppiatto, alla preoccupazione del ragazzo. "Niente. E' solo lì.
Forse un giorno, se avrai dei bambini, lo passerai a loro. Per adesso, la
cosa più importante è farci una doccia, così potremo andare a pranzo."
Nate si stupì. "A pranzo?"
"Mia madre è tornata da New York." Max inclinò da un lato la testa. "Hai
chiamato i tuoi genitori?"
Nate scosse la testa. "Non ancora."
"Dovresti farlo. Ormai si aspettano che siamo tornati da Carlsbad."
Nate si accigliò. "Non so cosa dire loro di Annie."
"Niente." gli consigliò Max, alzandosi in piedi. "Aspetta un mese, poi di'
loro che Annie ti ha lasciato."
"Ma non dovrebbero sapere che è morta?" Gli faceva male dire quelle parole.
Max scosse la testa. "No. La sua morte sarà – anzi, già lo è stata –
coperta. Così, in un mese, lei ti ha scaricato. Io non la conoscevo bene –
dovrai essere tu a trovare un motivo plausibile."
Nate annuì solennemente.
"Ad ogni modo," continuò Max "visto che abbiamo parlato di Carlsbad, io e te
dovremo andarci veramente."
"Dovremo?"
"Abbiamo bisogno di qualche prova che siamo stati insieme."
"Prova?"
"Fotografie." chiarì Max. "Prove che siamo stati lì."
Con tutti i progressi fatti nella tecnologia digitale, Nate si chiese perché
non limitarsi semplicemente a 'costruire' qualche prova, invece di fare il
viaggio.
Max sembrò leggergli nel pensiero; fece un sorriso e si strinse nelle
spalle. "Lo so a cosa stai pensando – perché non creare le nostre le prove.
La verità è che vorrei trascorrere un po' di tempo insieme."
Per qualche ragione, Nate si sorprese.
"Voglio dire, all'inizio ho passato il mio tempo con te mentendoti, poi
scappando con te dall'FBI, poi prendendo provvedimenti per impedire un tuo
nuovo rapimento. Non è esattamente un normale rapporto padre / figlio."
Nate sorrise a quelle parole.
"Non deve essere un viaggio lungo." concluse Max. "Un paio di notti. Ci
verrai?"
"Certo che verrò."
Max era raggiante e Nate capì che era preoccupato da un suo rifiuto. "Bene!
Adesso andiamo a lavarci, prima che a mia madre venga un colpo perché siamo
in ritardo."
***
Diane Evans rimase fedele a se stessa – abbracciando Nate fino a togliergli
il respiro e dicendogli quanto fosse stata spaventata per lui. Lui, tutto
sommato, accettò tutto di buon grado, aspettando che la tempesta passasse e
che i doveri della cucina la richiamassero. Sembrò passare un secolo, prima
che questo accadesse – lei dava un suo parere su tutto. Nate aveva un
aspetto stanco. Era troppo magro. Gli avevano fatto molto male? Max era
stato capace di aiutarlo a guarire?
"Mamma." disse alla fine Max, facendo un passo avanti e portandola via dal
nipote. "Nate sta bene, ma non lo starà per molto se tu continui a
soffocarlo."
Le guance di Nate bruciavano e lei si sentì un po' in colpa.
"Mi dispiace, tesoro." gli disse, allungando una mano per accarezzargli il
viso. "E' solo che sono stata così preoccupata per te."
"Grazie, signora." disse lui timidamente.
"Se penso di cosa è capace certa gente …" disse lei, con gli occhi lucidi e
portandosi una mano sulla bocca.
"Diane." la interruppe Parker. "Cosa posso fare in cucina per aiutarti?"
Nate guardò con gratitudine l'avvocato allontanare sua moglie. Max
ridacchiò.
"E' sempre così?" gli chiese Nate.
Max annuì. "Tu non ne hai un'idea. Io le ho detto solo una parte di quello
che ho passato – se non avessi fatto così, mi avrebbe chiuso nella mia
stanza e non mi avrebbe più fatto uscire."
Insieme, Max e Nate, apparecchiarono la tavola, poi la famiglia si sedette
per mangiare.
"Com'era New York, mamma?" chiese Max, bevendo un sorso d'acqua dal suo
bicchiere.
"Sai, era bellissima." rispose lei, gesticolando con le posate. "L'autunno
laggiù è incredibile." Il suo sguardo si posò su Nate. "Hai dei genitori
meravigliosi, Nate. Persone stupende."
Lui si pulì la bocca con il tovagliolo. "Grazie, signora."
"Oh, e il lago! Assolutamente sorprendente!" continuò Diane. "Che posto
perfetto per crescere."
Con una fitta di malinconia, Nate ricordò che una volta anche lui la pensava
così, quando la sua vita era semplice. I pensieri di casa erano dolce-amari.
Voleva tornare indietro a quello che gli era familiare, ma aveva la
sensazione che la familiarità sarebbe stata una magra consolazione. Ora che
erano successe tante cose, ora che tante cose erano cambiate, come poteva
tornare alla vita che aveva avuto una volta?
"Mi piacerebbe andarci, un giorno." stava dicendo Max, mentre Nate si
voltava a guardarlo.
Nate fu sorpreso, sorpreso che Max fosse interessato. "Ti piacerebbe?"
Lui annuì, guardando il suo piatto. "Sembrerebbe un posto meraviglioso.
Inoltre, mi piacerebbe vedere dove tu sei cresciuto." Un piccolo cipiglio
sfigurò l'attraente faccia di Max. "Io non so molto di te, Nate."
Nate avvertì la sua tristezza, il suo rimorso e gli restituì uno sguardo di
rimpianto.
"Oh, tesoro, ti piacerà." si intromise Diane, avvertendo il cambiamento di
stato d'animo.
"Magari, dopo che mi sarò fermato a Boston per un po'." disse Max, la sua
voce remota, le sue parole che venivano fuori come un pensiero a voce alta.
"Non è lontano da Boston, vero?"
"No, non molto." fu d'accordo Nate.
Max spostò lo sguardo per incontrare quello del figlio. "Tu vuoi che io
venga?"
Nate sorrise. "Certamente!"
Max ricambiò il suo sorriso e continuò a mangiare la sua cena.
Dopo aver sparecchiato e dopo che gli Evans più anziani si furono
allontanati per la loro passeggiata serale, Nate e Max si sedettero in
soggiorno, accendendo il grande video TV.
"Che genere di sport ti piace?" chiese Max.
Nate si strinse nelle spalle. "Baseball. Calcio. A te?"
Max fece un sorriso compiaciuto. "Pallacanestro."
Nate rise. A quanto sembrava, non condividevano la passione per gli stessi
sport.
"Oh!" disse Max, lasciando bruscamente il suo posto sul divano ed
avvicinandosi al camino. "Quasi dimenticavo." Prese una busta da dietro la
fila di foto e la porse a Nate.
Nate la guardò con curiosità. "Che cos'è questa?"
"Un biglietto aereo – aperto. So che il tuo furgone è stato sequestrato,
così hai bisogno di un altro mezzo per tornare a casa. Non voglio che ti
senta prigioniero, Nate. Puoi partire quando vuoi."
Detto questo, Max si risedette sul divano e cambiò canale alla TV per vedere
una partita di play off di pallacanestro.
Nate guardò il biglietto che aveva in mano. Non era ancora pronto per
partire e non poté fare a meno di sentirsi in ansia. Alla fine della linea
di quel biglietto c'era qualcosa che avrebbe dovuto essergli familiare ma
che ora gli pareva insicura.
Capitolo 36
Nate fu sorpreso di scoprire che
Carlsbad era a poca distanza da Roswell – a circa un'ora di viaggio. Lui e
Max caricarono sulla SUV l'attrezzatura da campeggio e le provviste per un
breve soggiorno, una sola notte. Sarebbero stati via due giorni, passando
l'unica notte in una tenda. Diane preparò loro abbastanza cibo per saziare
dieci persone – cosa che Max accettò alzando gli occhi al cielo.
Prima della partenza, Nate chiamò i suoi genitori a New York e parlò con
loro per quasi mezz'ora, cercando di mantenersi sul vago per non farli
insospettire. Fu durante quella conversazione che si rese conto che la sua
vita ora consisteva in mezze verità se non in evidenti bugie; stava
cominciando ad abituarsi.
Poi furono sulla strada, solo lui e Max. All'inizio fu un po' imbarazzante,
stare da solo con una persona che aveva avuto tanta importanza nella sua
esistenza, ma che era niente di più di un amichevole estraneo. Poi Nate
scoprì che lui e Max amavano lo stesso genere di musica, un interesse comune
che ruppe il ghiaccio.
Dirigendosi verso Carlsbad, Nate scoprì che Max era molto bravo a scuola, ma
senza eccellere in nulla, specialmente in disegno. Nate se l'era cavata
bene, ma non tanto da vincere una borsa di studio e si era fatto molti
amici, più di quelli che sembrava avesse avuto Max. Max non era mai uscito
con una ragazza, fino a che non aveva incontrato Liz, poi era stato per un
po' con Tess, prima di ritornare ancora con Liz. Nate era stato solo con
Annie. Max aveva sempre saputo di essere differente, ma Nate non aveva avuto
alcun sospetto.
Il turismo sembrava essere l'industria principale del New Mexico – non solo
avevano monetizzato il mito degli alieni caduti sulla terra, erano riusciti
a far rendere persino Madre Natura. Mentre si avvicinavano all'ingresso
delle caverne, Nate notò ogni specie di negozi di souvenir costellare il
panorama e un angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso incredulo.
"Almeno, qui non ci sono disegni di alieni." rise Max, entrando nell'area di
parcheggio.
Zaini in spalla, gli uomini cominciarono il loro viaggio nelle caverne.
Simili nell'aspetto e nel comportamento, avrebbero potuto essere presi per
fratelli, separati da una generazione, piuttosto che per padre e figlio.
Max aveva già visitato le caverne, così fece da guida non ufficiale per un
giro che sbalordì Nate – la sua bocca era rimasta aperta per tanto di quel
tempo, che ebbe paura di non riuscire più a chiuderla. Le caverne erano
piene di bellissime stalattiti e stalagmiti, un vero prodigio della natura.
Di una cosa era certo – a New York non aveva mai visto nulla di simile. E
pensare che qualcosa di così fantastico, era nascosto sotto un paesaggio
brullo e senza attrattive. Forse era vero il detto che non si deve giudicare
un libro dalla copertina e forse era il caso di applicarlo alla Terra.
Quando cominciò il tramonto, Max e Nate montarono la loro tenda nel deserto
e accesero il fuoco in una buca: quella sarebbe stata una nottata fredda.
Quando ebbero finito con la tenda, Nate guardò scettico il sottile tessuto
di nylon.
"Cosa c'è che non va?" chiese Max, infilando i loro sacchi a pelo nella
tenda.
"Um, non dovremmo preoccuparci dei dingo?" chiese Nate, guardando alle sue
spalle la sterminata distesa di sabbia e roccia.
"Cosa?" chiese Max, aggrottando le sopracciglia confuso.
"I dingo. Non dovremmo temere che ci attacchino?"
Max scoppiò a ridere. "Non ci sono dingo nel New Mexico, Nate." Fece una
pausa, pensando per un attimo. "Anzi, credo che non ci siano dingo in tutto
il Nord America."
"Ma il vicesceriffo Valenti mi ha detto …" la voce di Nate si affievolì,
rendendosi conto solo in quel momento che l'agente, quando l'aveva
incontrato la prima volta, lo aveva preso in giro.
Max rise quando il viso di Nate mostrò che era arrivato alle sue stesse
conclusioni.
"Quel tipo è … strambo." disse alla fine Nate.
"Non hai una idea di quanto." fu d'accordo Max, sistemando la legna nella
buca che avevano preparato. "Comunque è un uomo che è bene avere dalla tua
parte. Hai fame?"
Accanto alla buca, Max guardò prima da una parte e poi dall'altra, prima di
alzare una mano sul fascio di legna. Appena questa cominciò a bruciare, lui
abbassò la mano. Nate lo guardò perplesso – ecco una cosa che non gli
avevano insegnato quando aveva fatto lo Scout.
"Sarò capace di farlo anche io, un giorno?" chiese, mentre prendeva il
refrigeratore dal portabagagli della SUV.
"Forse." gli disse Max, sedendosi accanto al fuoco. "Non so quali poteri
potresti sviluppare. Però, quello che è importante, è che se dovesse
succedere tu mi chiami subito. Okay?"
Nate annuì e si sedette con il refrigeratore accanto a lui.
"Intendo proprio questo, Nate." disse serio Max. "In qualsiasi momento,
giorno o notte, non importa per quale motivo – se stai sviluppando un nuovo
potere, se sei perplesso per qualcosa, anche se vuoi solo parlare. Chiamami
– io risponderò."
Nate gli rivolse un luminoso sorriso. "Okay." Si strinse nelle spalle. "La
stessa cosa vale per te. Sarai sempre il benvenuto a casa nostra."
Questo sembrò far piacere a Max, che ricambiò il sorriso con affetto, poi
allungò una mano verso il frigo. Dentro c'erano diversi tipi di carne –
hotdogs, hamburgers, bistecche, petti di pollo. Max guardò sconfortato in
direzione di Nate.
"Okay, chiuderemo il frigo nella SUV, questa notte." lo informò. "Perché se
non abbiamo i dingo, abbiamo i coyotes – e mia madre ha preparato loro un
banchetto."
Nate rise alla vista del vero e proprio festino che Diane Evans aveva
preparato. "Ha sempre cercato di farti mangiare come se tu fossi una dozzina
di persone, invece che una?"
Max annuì. "Pressappoco. Non può farne a meno – è nata per fare la madre."
Il pensiero di Nate corse ad Emma Spencer – a modo suo, era pressappoco la
stessa cosa. Infatti, l'ultima cosa che gli aveva dato, prima che partisse
per Roswell, era stato un refrigeratore con qualcosa da mangiare. "Si."
disse lui concorde "Anche mia madre."
Max gli lanciò un'occhiata pensosa, poi gli fece un mesto sorriso, mentre
prendeva la griglia per le bistecche. In quell'occhiata, Nate lesse pensieri
differenti – la vera madre di Nate non era stata la migliore persona del
mondo, era stata una traditrice e un'assassina. Ma la persona che era stata
veramente la madre di Nate, la moglie gradevolmente paffuta del proprietario
di un negozio, era stata più che fantastica per lui. Forse le decisioni
prese in quei momenti difficili erano state prese per il meglio, forse
l'angoscia che Max aveva sopportato nel dare via suo figlio, alla fine, era
valsa a qualcosa.
"Um, Nate, avrei una notizia da darti." disse Max, mettendo le bistecche
sulla griglia.
Nate lo guardò in silenzio, chiedendosi che bomba stesse per scoppiare.
Max fece una risata, quasi incredulo. "Abbiamo voluto che tu fossi il primo
a saperla, perché non eravamo sicuri di come l'avresti presa."
Nate deglutì. Non doveva essere una bella notizia.
Max scosse la testa, un piccolo sorriso che appariva all'angolo dei suoi
occhi. "Sembra che tu stia per diventare un fratello."
Nate spalancò improvvisamente gli occhi.
"Liz è incinta." Era ovvio che Max non riuscisse a contenere il suo
orgoglio.
La mente di Nate tornò ad un paio di giorni prima, agli occhi dolci che Max
e Liz si erano fatti a colazione. Lui li aveva trovati un po' nauseanti, ma
ora si rese conto che loro non erano sempre così, ma che stavano celebrando
una notizia molto speciale.
Ma era una buona notizia? Quando si erano incontrati la prima volta, Max gli
aveva detto che Liz non voleva bambini per la paura di doverli allontanare
da loro. Forse, dopo tutto, non era una buona notizia.
"So cosa puoi pensare, Nate." continuò Max, con espressione un po'
colpevole. "Voglio dire, non abbiamo potuto tenere te, e ora stiamo per
avere un altro bambino …"
Nate scosse la testa, realizzando che Max aveva frainteso il suo silenzio.
"No." disse, scuotendo la testa. "E' una grande notizia, veramente.
Congratulazioni." Gli porse la mano, facendogli i migliori auguri per il
nuovo bambino.
Max lasciò andare il respiro che aveva trattenuto, prese la mano e la
strinse. "Grazie, Nate."
"Ho sempre desiderato un fratellino." disse Nate, sorridendo per dissipare
il disagio di Max. Poi si strinse nelle spalle aggiungendo "Diavolo, mi
andrebbe bene anche una sorellina!"
Max rise ancora, ovviamente sollevato che Nate avesse preso la notizia così
bene. Poi scosse la testa. "Non so come possa essere successo." Diede uno
sguardo a Nate e colse la sua espressione divertita. "Cioè, so come è
successo, fisicamente parlando. E solo che non capisco dove è successo
l'incidente. Siamo sempre stati così attenti – stiamo insieme da vent'anni
senza uno scivolone." Sorrise al pensiero. "E ora questo."
A Nate fece piacere vedere Max così felice per il nuovo arrivo, anche se
tutti i suoi piani erano saltati. Cosa aveva detto Alyssa? Forse le cose
dovevano succedere. Forse, nonostante tutti i piani di Max, c'era un grande
piano al lavoro e lui era destinato ad avere un altro bambino. Forse tutto
il suo accurato programma era stato inutile.
"Sarà una sfida." disse Max, girando le bistecche. "Fare quello che faccio
e, nonostante ciò, essere un genitore per lui." Posò uno sguardo pieno di
sentimento su Nate. "Mi dispiace che per te non ho potuto essere un
genitore, Nate."
Nate scosse la testa. "Va tutto bene. Ho dei bravi genitori. Ora so perché
hai dovuto fare quello che hai fatto. Io avrei fatto la stessa cosa, Max. Ma
questo non significa che non possiamo essere amici, vero?"
Max sorrise. "E' vero." Poi rise sollevato. "I tuoi genitori dovrebbero
essere orgogliosi del lavoro che hanno fatto nel crescerti. Sei una brava
persona, Nate Spencer."
Nate fece una smorfia, leggermente imbarazzato. Poi indicò la griglia dove
le bistecche stavano diventando nere. "Sembra che siano cotte."
Quando ebbero finito di mangiare, era già notte e il paesaggio intorno a
loro era buio. Fuori, nel deserto, udirono l'ululato di un coyote,
l'occasionale spostamento di sabbia e roccia che indicava la presenza di
qualche specie di serpente. Attratto dalle stelle, Nate prese il suo sacco a
pelo e lo aprì per terra.
Mentre erano distesi a guardare i milioni di stelle sopra di loro, Nate
lasciò andare un piccolo sospiro.
"Ora credo di essere pronto a tornare a casa." disse cautamente, timoroso
della reazione di Max.
Dopo un attimo di silenzio Max gli rispose "Okay."
"Mi mancano i miei genitori. Mi manca New York."
Ci fu un'altra pausa, durante la quale Nate si chiese se Max sarebbe
ritornato subito a Boston, perché Nate sapeva che sentiva la mancanza di
Liz.
"Lascerai un cuore infranto dietro di te." gli disse pacatamente Max.
Nate girò la testa dal disco di stelle sopra di loro e guardò suo padre.
"Cosa vuoi dire?"
"L'ho capito." disse Max. "Si è presa una bella cotta per te."
Nate si morse un labbro, al pensiero di ferire Alyssa.
"Per lei è differente." spiegò Max. "Proprio come è differente per me e Liz.
Non è un' amoretto da adolescente, Nate. Lei sa che tu sei l'unico. Non ci
sarà mai un altro per lei."
"Io non voglio ferirla."
"Lo so." convenne Max, riportando lo sguardo al cielo. "Cerca solo di
ricordarlo, quando le dirai addio."
Capitolo 37
"Non sei obbligato ad andare via –
potresti rimanere con me – con noi."
Alyssa si guardò le scarpe, mentre pronunciava queste parole. Fermo, davanti
a lei, Nate le teneva tutte e due le mani tra le sue.
"E' ora cha vada via." le disse dolcemente. "Il mio posto è con la mia
famiglia."
Lei sollevò lo sguardo su di lui, gli occhi gonfi e il naso rosso per le
lacrime. "Potremmo essere noi la tua famiglia."
Lui la guardò con gratitudine. "So che lo sareste. Ma la mia casa è a New
York."
Lei tirò su col naso e gli occhi le si riempirono di speranza. "Potrei
venire con te."
Librando una delle sue mani, Nate le spostò una ciocca di capelli dal viso.
"La tua casa è qui. Devi ancora finire la scuola e fare tutte quelle cose
che vi sono legate – andare alle partite di calcio, andare ai balli."
Lei scosse la testa. "Non voglio fare quelle cose senza di te."
"Ma i tuoi genitori sono qui, Alyssa." le disse dolcemente. "Se tu venissi
con me, non potresti litigare con tua madre o pattinare con tuo padre." Nate
le prese il viso tra le mani, la pelle soffice e liscia sotto le sue dita.
"Rimani qui, finisci la scuola. Vivi spensierata e divertiti per un po'.
Poi, se sarai ancora interessata a me, sai dove trovarmi."
Le sue parole causarono una nuova ondata di lacrime silenziose e lei chinò
la testa per nasconderle.
Nate odiava vederla in quello stato. Dal momento che aveva incontrato Alyssa
Guerin, lei l'aveva intricato, a dir poco. Anche se era ancora legato ad
Annie, si era trovato a pensare ad Alyssa più di una volta. Quando Max aveva
parlato di Alyssa dicendogli che lui era l'unico per lei, si era reso conto
di non essere sicuro dei suoi sentimenti – almeno non ancora.
C'era ancora un turbine di emozioni nella sua testa, a partire dai dolorosi
ricordi della sua fidanzata morta. Forse quei sentimenti gli impedivano di
provare quello che Alyssa sentiva nella sua interezza.
Non è che non provasse qualcosa per lei. Piuttosto il contrario – staccarsi
da lei si stava dimostrando più duro di quello che aveva immaginato e questo
da solo era sufficiente a provargli che aveva bisogno di dare alla loro
relazione un'altra possibilità.
"Posso chiamarti?" gli chiese, le sue parole soffocate. "O, almeno, mandarti
email?"
Prendendole il mento con l'indice, le sollevò la testa perché potesse
guardarlo. "Certo che puoi."
Il suo labbro inferiore tremò, mentre gli prendeva la mano e se la posava
sul petto, sopra il cuore. "Si è spezzato." riuscì a dirgli.
Nate sentì una fitta di dolore percorrergli il corpo. Togliendo la mano dal
petto di lei, l'abbracciò, tenendola stretta contro di lui. Per un momento,
chiuse gli occhi e si permise di annusare il suo profumo, la sua luminosa
fragranza. Contro di lui, il corpo di Alyssa tremava, mentre continuava a
piangere sulla sua spalla.
"Non c'è motivo che il tuo cuore si spezzi." le sussurrò in un orecchio per
rassicurarla. "Perché ci sarà un giorno per noi." Tirandosi indietro, Nate
le prese il viso tra le mani, i suoi occhi azzurri dentro quelli scuri di
lei. "Dico sul serio, Alyssa. Credo che arriverà il momento giusto per noi."
Concedendosi un ultimo regalo, si chinò e sfiorò le labbra di lei con le
sue, assaggiando il sapore salato delle sue lacrime. Sei si lasciò andare ad
un gemito doloroso e lui, solo per un momento, intensificò il suo bacio.
Quando si staccò, posò la sua fronte su quella di lei e sentì che la sua
gola aveva cominciato a stringersi; Alyssa non era la sola ad avere problemi
a dire addio.
"Vieni all'aeroporto?" le chiese.
Lei scosse la testa e fece una risata stentata. "Dannazione, no, ragazzo. Mi
ucciderebbe. Ora so come si sente zia Liz, ogni volta che zio Max deve
partire."
Nate annuì. "Lo capisco." La prese tra le braccia un'ultima volta, per
ricordare ogni dettaglio di quell'abbraccio.
"Nate?" la voce di Max arrivò dalla porta d'ingresso della casa di Maria.
Nate e Alyssa si separarono. Lei si asciugò automaticamente le lacrime con
la punta delle dita, lui deglutì per ricomporsi.
"Mi dispiace." disse Max, sentendosi in colpa. "Ho interrotto qualcosa?
Siamo quasi pronti ad andare."
Nate scosse la testa, e con una mano prese quella di Alyssa. "No, va bene.
Arrivo subito."
Max annuì e tornò fuori, dove gli Evans stavano aspettando per accompagnare
Nate all'aeroporto.
Nate si girò verso Alyssa e le prese l'altra mano. "Fidati di me." le disse
dolcemente.
Lei annuì, poi liberò le mani dalle sue. "E' meglio che tu vada." gli disse
senza guardarlo. "Non voglio farla tanto lunga."
Nate sospirò, poi si chinò a baciarla sulla guancia prima di dirigersi verso
la porta. Si voltò, solo una volta, per catturare l'ultima visione di lei e
quello che vide lo spezzò in due. Max aveva avuto ragione solo in parte –
non solo lasciava un cuore infranto dietro di sé, ma se ne portava via anche
uno con lui.
Una volta fuori, si lasciò cadere sul sedile posteriore del fuoristrada
accanto a Max. Poi si diressero all'aeroporto, con Diane che parlava
incessantemente – aveva preparato dei regali per i suoi genitori, per
ringraziarli dell'ospitalità quando era andata a trovarli.
Al cancello di imbarco, Nate dovette sopportare un'altra ondata di commiati,
un altro tentativo di Diane di soffocarlo. Philip fu più riservato, si
limitò a dargli una virile pacca sulla spalla ed un breve, goffo abbraccio.
Dare l'addio a Max si rivelò la cosa più difficile.
"Quo c'è un elenco di numeri telefonici." gli disse, porgendo a Nate un
foglietto piegato. "Tutti i miei numeri – cellulare e casa – quelli di
Isabel, di Michael, di Maria. In qualsiasi momento, giorno e notte, chiamaci
se hai bisogno di noi."
Nate annuì in silenzio e infilò il foglio in tasca. Max gli sorrise e lo
strinse forte a sé. In quel momento, Nate si rese conto che era troppo
presto per dirgli addio, che ancora non ne sapeva abbastanza di quelle
persone. Ancora più paralizzante fu la consapevolezza che una volta salito
su quell'aereo, sarebbe stato ancora solo; se l'FBI l'avesse catturato,
sarebbe stata la sua fine.
Max si tirò indietro e tenne suo figlio distante con le braccia. "Nate, tu
sei un uomo forte. Ce la farai."
"Grazie." gli disse lui. "Per tutto."
Max gli rivolse un largo sorriso, poi la fila di Nate fu chiamata per
l'imbarco. Un altro giro di abbracci, e salì sulla rampa di imbarco,
lasciandosi Roswell dietro di lui.
Dopo un lungo volo in direzione di Chicago, Nate cambiò aereo salì su uno
diretto a Erie, Pennsylvania. Era stanco per il viaggio, ma il sonno lo
sfuggiva, in parte anche perché sapeva che l'ultimo tratto del suo viaggio
sarebbe stato breve.
E che viaggio era stato. Era scesa la notte e, mentre guardava fuori dal
finestrino, si ricordò che da ora in poi tutto sarebbe stato diverso. Era
partito per avere una risposta ad un paio di semplici domande sulle sue
origini, senza avere la minima idea che quello che avrebbe scoperto lo
avrebbe cambiato per sempre.
Sarebbe stato così facile per Max Evans riempirlo di bugie e rispedirlo a
casa – dopo tutto, Max aveva trascorso la sua intera vita a mentire solo per
rimanere vivo. Se non fosse stato per la comparsa del simbolo sul petto di
Nate, il piano avrebbe potuto funzionare.
Incuriosito, Nate si sbottonò la camicia per guardare il suo petto intatto –
il simbolo doveva ancora ricomparire. Si chiese quando sarebbe ricomparso,
se mai l'avesse fatto. Era possibile che qualsiasi cosa aveva programmato la
comparsa del simbolo su di lui, avesse percepito che Max stava per
abbandonare quella sciarada? Era possibile che Nate avesse un nuovo destino,
da cui non c'era modo di fuggire?
Sotto di lui, Nate sentì l'aereo abbassarsi e vide accendersi l'avviso
'Allacciare le cinture'. Riabbottonata la sua camicia, guardò le luci sotto
di lui. Da qualche parte, laggiù, Jonathan ed Emma Spencer stavano
aspettando di riabbracciare il loro ragazzo. Poteva vedere le loro facce –
Emma rotonda ed allegra, Jonathan stoico e gentile nello stesso tempo.
Dentro di sé, avvertì una fitta di rimorso, sapendo che avrebbe dovuto
cominciare a mentire loro da subito.
Ma ora era questa la sua vita. Per proteggere se stesso e quello che sapeva,
ora era legato ad un codice di silenzio e di inganno. Non era certo quello
che voleva dalla vita, ma col cuore pesante accettò che quello era il modo
in cui le cose dovevano andare. Andava contro il suo carattere, contro al
modo in cui era stato educato, ma c'erano delle cose che non poteva cambiare
e lui sapeva di dover fare quello che era necessario fare.
Non poteva sottrarsi al fatto che un Nate Spencer era partito per Roswell –
e che uno differente ne era ritornato.
F I N E
Scritta
da Karen (MidwestMax)
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice
dall'originale in inglese,
a cura di Sirio |