Riassunto:
Ancora una volta i tentativi di un’esistenza tranquilla di Max & Co. vengono
frustrati dall’improvviso attacco di un nuovo, inaspettato nemico.
Data di stesura:
dal 26 luglio al 3 settembre 2003.
Valutazione:
adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
E-mail:
ellis@roswellit.zzn.com
Diane Evans sorrise piacevolmente sorpresa quando, nell’aprire la porta di
casa, si trovò davanti non solo Max e Liz ma anche Isabel e Morgan, nonché i
loro amici Michael e Maria. - Venite, venite dentro! Stasera fa molto freddo! -
Aspettò che fossero tutti entrati poi strinse in un rapido abbraccio i figli. -
Com’è andata la partita? - chiese con una certa ansia.
Max scrollò le spalle. - Hanno perso per quattro punti, ma hanno giocato molto
bene e mi è sembrato che l’allenatore fosse piuttosto soddisfatto di Jason... -
- Ne sono contenta. Peccato, però, che non abbiano vinto. -
- Non preoccuparti, sono andati lo stesso a festeggiare al Crashdown! - Max si
chinò a prendere in braccio Ethan, che si era avvicinato camminando gattoni con
tutta la rapidità di cui era capace.
- Il bello delle partite di beneficenza è proprio questo: alla fine si fa
comunque festa... - Isabel si volse per salutare il padre, sopraggiunto in quel
momento, poi tornò a guardare la madre con espressione soddisfatta. - Sono
stati raccolti quasi ventimila dollari, e domani mattina ci sarà la consegna
ufficiale all’orfanotrofio. -
- Ma è fantastico! - esclamò la donna, colpita dall’ingente importo della
cifra.
- E Shiri? -
Max sorrise al padre. - E’ andata a casa di Tanya, con altre amiche. Avevano
già previsto di festeggiare per conto loro, e hanno deciso di farlo ugualmente
anche se la squadra è stata sconfitta... -
- E’ prudente? Voglio dire, in fin dei conti sono soltanto due bambini... - si
preoccupò l’uomo.
- Hanno imparato molte cose, andando a scuola e stando con gli altri ragazzi, e
mi fido di loro. Stai tranquillo, papà, sono in grado di cavarsela, ormai -
Piegò il capo per dare un bacio al figlioletto. “Almeno lo spero...” aggiunse
fra sé.
- Perché non rimanete a cena? - propose speranzosa Diane.
Isabel lanciò una rapida occhiata al marito prima di annuire. - Sì, va bene. -
Max guardò Michael, che fece una spallucciata, e Maria, sentendosi a disagio
per il suo atteggiamento indifferente, si affrettò a rispondere per entrambi. -
Volentieri, grazie. -
- Ottimo! Allora vado subito in cucina! Phillip, ti spiace andare a prendere un
paio di bottiglie di Tabasco nell’armadietto in garage? In casa me n’è rimasta
soltanto una... -
Mentre l’uomo si allontanava si udì uno strillo acuto seguito da un leggero
battere ritmico sul pavimento.
Liz alzò gli occhi al cielo. - Claudia! Ti pare questo il modo di comportarsi?
- Vide la figlia portarsi la manina alla bocca e si affrettò a bloccarla prima
che vi riuscisse. - E’ sporca, hai toccato per terra! Vieni, andiamo di
sopra... - La sollevò mettendosela in collo. - Max, ti spiace portare Ethan?
Tanto fra una decina di minuti comincerà anche lui a reclamare la poppata... -
- No, certo - Il giovane si affrettò a seguirla su per le scale, scortato da
Maria. - Vengo anch’io. Anche Mathias si sta agitando per la fame... -
A quelle parole Michael fece per accodarsi ma la ragazza lo fissò puntandogli
contro un dito con decisione. - No. E neppure tu, Max! Porta su Ethan ma poi
lasciaci sole! Non ho alcuna intenzione di dare spettacolo... -
Realizzando il significato di quelle parole Max arrossì. - Sì, hai ragione...
Scusa... -
Maria scosse la testa esasperata e si affrettò a salire gli ultimi gradini poi
entrò con Liz in quella che era stata un tempo la camera da letto del giovane
e, non appena questi ebbe deposto il figlio al centro del materasso, gli intimò
con gesto perentorio di uscire e richiuse la porta alle sue spalle.
Mentre si attaccava Claudia al seno Liz guardò sconcertata l’amica. - Maria, va
tutto bene? -
- Bene? Mi chiedi se va tutto bene?!? - Maria si slacciò il golfino con dita
tremanti per l’agitazione. - Ma ti rendi conto? Insomma, Mathias ha soltanto
tre giorni, e quell’idiota di Michael ha voluto portarlo a vedere la partita!!!
-
- Beh, in effetti mi è sembrato un po’ strano vedervi arrivare in palestra... -
La ragazza sbuffò inviperita. - Io volevo restare a casa perché oggi fa davvero
un freddo cane, ma lui no! Lui doveva uscire! Crede forse che Mathias si sia
divertito? Che abbia capito qualcosa di quell’accidenti di partita? Hai visto
che faccia ha fatto quando si è reso conto che si era addormentato? -
- Ah, ecco perché aveva quell’aria delusa... Me lo ero chiesto, dato che Jason
aveva appena fatto canestro e lui era schizzato in piedi ancora prima di Max...
- Liz corrugò la fronte perplessa. - Perché non glielo hai detto, che non era
il caso di andare alla partita? -
- Hai una vaga idea di quante volte glielo abbia ripetuto?!? - La ragazza
scosse decisa la testa. - No, certo che non ce l’hai, non eri lì! Sai, io credo
che Mathias finirà col soffrire di vertigini, perché è più il tempo che passa
in braccio al padre che non nella sua culla! Quel disgraziato di Michael
insiste perché dorma là dentro anziché a letto con noi, però non appena finisco
di allattarlo lo prende e non lo molla più! Lo sai che ti dico? Non vedo l’ora
che Morgan riapra l’ufficio, così tornerà al lavoro e noi due potremo stare un
po’ in santa pace! -
Davanti a quella sfuriata Liz si mise a ridere. - Oh, Maria, si comporta
davvero così? Non oso pensare a cosa farà quando Mathias sarà più grandicello e
potrà giocare con lui!... -
- Vorrà dire che andranno all’asilo insieme - Diede uno sguardo speculatore ad
Ethan, completamente assorto nello studio del morbido cuscino che era riuscito
a recuperare da sotto il copriletto. - Ho paura che non sarà un bambino
tranquillo... Sono sicura che assomiglierà a Michael, e mi farà disperare! -
Liz si girò un attimo verso Ethan e sospirò. - Non è lui a preoccuparmi, ma
Claudia. Ogni giorno che passa diventa sempre più indipendente e decisa. Ha
molto carattere, come hai potuto constatare poco fa, e tremo all’idea di cosa
riuscirà a combinare fra un paio d’anni... Forse dovrei chiedere a Jason di
parlarle come ha fatto con Ethan... -
- Deleghi tuo figlio nel compito di educare i gemelli?!? Liz, non è da te! -
La ragazza sospirò sconfortata. - E io come avrei potuto far capire a un bimbo
così piccolo che non deve usare i poteri speciali di cui è dotato? -
- Vuoi dire che... che è già...? -
- Infatti. Finora né lui né Claudia hanno fatto cose strane al nido, ma ti
assicuro che ogni volta che vado a riprenderli ho il cuore in gola... -
- Forse sarebbe meglio tenerli in casa, almeno finché non saranno abbastanza
grandi per andare alle elementari. Per allora dovrebbero aver imparato a
comportarsi come si deve... -
- E a chi potrei affidarli, secondo te? Quando eravamo ad Albuquerque, prima
che l’FBI ci attaccasse, portavo Jason da una signora che si prendeva cura di
altri bambini, e in ogni caso aveva già cinque mesi. Poi è successo quello che
sai, e non c’è stato più bisogno di una baby sitter... -
Maria studiò gli occhi chiusi del suo bambino mentre succhiava avidamente, poi
si scosse. - Che ne dici se provassi a chiedere a mia madre? Fra le torte che
prepara per il Crashdown e i gadgets per i negozi di souvenirs passa in pratica
tutto il suo tempo dentro casa, e potrebbe tenere d’occhio sia Mathias sia i
gemelli. E io potrei darle una mano, quando non ho impegni... Allora? -
- Sarebbe meraviglioso - Liz la fissò con sguardo sognante. - La soluzione di
tutti i nostri problemi... - Poi scosse decisa la testa. - Ma no, non posso
farlo. No, Maria, ti ringrazio ma proprio non è possibile! Non è giusto che tua
madre, con tutto quello che ha da fare, stia anche dietro ai miei figli!
Continuerò a portarli al nido sperando che non combinino guai... -
- Mmm, forse hai ragione... - Maria passò il figlio dall’altra parte sorridendo
nel vedere Claudia staccarsi dalla madre e protestare vivacemente perché la
mettesse giù. Sì, hai ragione, ha proprio un bel caratterino! Mia madre
finirebbe con l’impazzire... -
Con una smorfia Liz pulì la bocca della bimba con un fazzoletto di carta e la
depose a terra dopodiché prese Ethan e se lo sistemò in grembo.
Claudia, sentendo il terreno solido sotto i piedini, gorgogliò felice e si
afferrò al copriletto, poi sollevò le sopracciglia delicatamente arcuate e fece
un impercettibile ruttino.
- Wow! Una vera lady! Mi domando da chi abbia preso... Che ne dici, Isabel era
così, alla sua età? -
- Immagino di sì. - Liz sorrise divertita. - Comunque, credo che lo scopriremo
quanto prima. Ormai manca poco alla nascita di Natalie... -
- La invidio, sai? Quasi non si vede che è incinta mentre io, nelle ultime
settimane, sembravo una botte! -
- Ecco uno degli aspetti positivi dell’essere per metà alieni... Ma ad essere
sinceri, non so dirti se siano più i vantaggi o gli svantaggi -
- Liz, la tua razionalità finirà con l’uccidermi! - scherzò Maria.
La ragazza le fece una linguaccia poi sgridò Claudia, che nel frattempo si era
avvicinata alla sedia davanti alla scrivania e stava cercando disperatamente di
arrampicarsi. - Smettila o finirà col caderti addosso e ti farai male! -
La piccola la guardò incerta poi tornò a concentrarsi sulla sedia. Dopo alcuni
secondi batté entrambe le manine sul bordo di legno e, sorridendo orgogliosa,
vi salì sopra.
- Oddio, Claudia! - Liz scattò su dal letto e corse ad afferrare lo schienale
della sedia ma, con suo enorme stupore, si rese conto che non ce n’era bisogno.
La sedia sembrava inchiodata al pavimento. Restò per un attimo come paralizzata
poi tornò a sedersi accanto a Maria. - Ricordami di avvertire Max, altrimenti
Diane non potrà più pulire lì sotto... -
- Cosa vuoi dire? -
La ragazza si girò a guardare l’amica con un’espressione quasi comica dipinta
sul volto. - Credo che quell’accidenti di sedia peserebbe di meno se fosse di
marmo... -
- Oh oh... -
- Già, oh oh! -
Maria scoppiò in una risata e osservò Claudia toccare curiosa tutti gli oggetti
che stavano sopra la scrivania. - Secondo me ha l’istinto della scienziata.
Guarda con quanta attenzione osserva ogni cosa, come se... se la stesse
memorizzando e catalogando! Non ha preso da Isabel, sai? Quella monella
somiglia tutta a te! - Si mise di nuovo a ridere, incurante delle occhiate
inceneritrici di Liz.
Quando tornarono in soggiorno Morgan interruppe di colpo quello che stava
dicendo e Isabel, che stava apparecchiando, alzò perplessa lo sguardo su di
lui. - Allora? - lo sollecitò.
- Sto per avere un infarto - L’uomo si slanciò verso le scale, deciso ad
agguantare Claudia prima che potesse rotolare di sotto, ma la bimba protestò
con vivacità agitando il pugnetto mentre cercava di scendere da sola.
Saldamente aggrappata con una mano alla ringhiera, riprese a sospingersi in
avanti abbastanza da saltellare seduta da un gradino all’altro. Di sicuro non
doveva essere un sistema molto piacevole, ma la piccola non aveva voluto
saperne di stare in braccio alla madre e rifiutò qualsiasi aiuto finché
intervenne Max. - Avanti, adesso vieni qui! - Si protese verso di lei e
l’afferrò nonostante le sue rimostranze. - Sei ancora troppo piccola per
questo! -
- Ti spiace andare a vedere se puoi fare qualcosa per la tua sedia? - Liz
accennò verso l’alto con la testa e Max, colpito dal suo tono rassegnato, si
affrettò ad obbedire.
- Cosa è successo? - volle sapere Isabel.
- Claudia voleva esplorare la scrivania e così ha pensato bene di appesantire
la sedia perché non si muovesse mentre ci saliva sopra. E’ una bambina molto
obbediente: Liz le aveva detto di fare attenzione perché poteva caderle
addosso, e lei ha fatto in modo che non succedesse!... - Maria provava ancora
un’irrefrenabile ilarità al ricordo dell’accaduto, e sorrise a Morgan con
condiscendenza. - Vuoi un consiglio, ragazzo mio? Comincia a prendere medicine
per il cuore! -
Michael, che stava dando una mano a Diane in cucina, annusò con cura il
contenuto del mestolo. - Mm, forse è il caso di aggiungere un po’ di tabasco...
-
- Alto là, giovanotto, a tavola potrai aggiungere tutta la salsa che vuoi, ma
siccome dobbiamo mangiare anche noialtri sei pregato di tenere le mani lontane
da quella bottiglia! - lo minacciò la donna. - Ti assicuro che lo stufato è
saporito al punto giusto! -
- Allora preparo l’insalata - si offrì lui.
- Va bene, ma non condirla: me ne occuperò io -
Il giovane ridacchiò scuotendo la testa. - D’accordo, se proprio insiste... -
- Insisto! -
Più tardi, mentre Mathias dormiva beato sul divano sotto lo sguardo attento di
Ethan e Claudia continuava a costruire e buttar giù torri con i cubi di gomma,
i coniugi Evans interrogarono i figli su come intendessero trascorrere le
vacanze di Natale.
- A dire il vero, dato che abbiamo cominciato a lavorare da pochissimo, abbiamo
solo un paio di giorni di ferie e... non so... mi piacerebbe andare fuori... -
disse Isabel.
- Stiamo cercando di convincere Max e Liz a venire con noi. - intervenne
Morgan.
- Oh, sì! Potreste andare al mare! Ai bambini piace, e poi gli fa bene! -
commentò Diane entusiasta.
- Beh... potrebbe essere un’idea... - mormorò Liz voltandosi a guardare per un
attimo i figli, che almeno per il momento se ne stavano buoni e tranquilli.
- Michael, tu che ne pensi? - chiese Max.
- Io che c’entro, scusa? Siete voi che partite! -
- Guarda che non abbiamo alcuna intenzione di andarcene senza di voi - Liz
spiegò a Maria, - Il capodanno lo dobbiamo festeggiare tutti insieme... -
La ragazza la fissò negli occhi. - Hai dimenticato quello di cui abbiamo
parlato prima? Mathias è solamente un neonato! Non posso portarlo in giro come
se niente fosse! Anche se qualcun altro, invece, non si crea problemi a
farlo... - aggiunse indirizzandosi a Michael, che corrugò la fronte senza
capire.
- Sì, hai ragione, ma... ma se si trattasse di un posto caldo sarebbe diverso.
- Liz guardò Max e poi Isabel. Potremmo davvero andare al mare!... -
- Non saprei... - Isabel giocherellò pensosa con la forchetta, poi fece una
spallucciata. - Perché no? Non ci siamo più stati da quando avevamo dodici
anni... -
- Allora siamo tutti d’accordo? - Liz attese impaziente che Maria cedesse,
dopodiché sorrise a Diane. Verrete anche voi, vero? -
- Tesoro, ti ringrazio ma... credo che Phillip ed io saremmo di troppo... -
- Mamma, questa è una vera sciocchezza! - protestò Isabel, e Max si affrettò a
sostenere la sorella. - Dai, anche voi meritate una pausa! E Jason sarà felice
di stare un po’ con te, papà! -
- D’accordo... - L’uomo scosse lentamente la testa. - Allora? Dove vorreste
andare? -
Da quel momento fu un susseguirsi di proposte e controproposte, fin quando Liz
si rese conto dell’ora. Santo cielo, sono le undici passate! E quei due
ragazzacci non si sono ancora fatti vivi!... - Guardò ansiosa il marito, che si
affrettò ad alzarsi per prendere il cellulare dalla sua borsa. Al quindicesimo
squillo interruppe la chiamata e rimise a posto l’apparecchio. - Vado a
cercarli - disse teso.
- Vengo con te! -
- No, resta qui con Ethan e Claudia. Non mi pare il caso di svegliarli e
portarli in giro a quest’ora... -
Riconoscendo la fondatezza della sua osservazione Liz si alzò e lo raggiunse. -
Ti prego, chiamami non appena li avrai trovati! - lo implorò.
- Certo, stai tranquilla... - Max le sfiorò il viso con una carezza gentile poi
le diede un bacio sulle labbra e uscì di casa.
Maria fu la prima a cercare di spezzare il pesante silenzio che si era creato.
- Vedrai che si stanno divertendo così tanto da non essersi accorti di quanto
si sia fatto tardi! - cercò di consolare l’amica, ma Liz era molto turbata. Sì,
forse Shiri e le sue amiche potevano aver perso la cognizione del tempo, ma
Jason era con i compagni di squadra e l’allenatore. L’uomo aveva la
responsabilità di tutti quei ragazzi: possibile che li tenesse fuori fino a
notte fonda?!?
- Ti va di darmi una mano a sparecchiare? - cercò di distrarla Diane.
Dopo aver guardato ancora una volta i figli più piccoli Liz tornò verso la
tavola e aiutò la suocera a riordinare.
Isabel diede un’occhiata interrogativa a Morgan, che scrollò silenziosamente il
capo. Sì, in fin dei conti non aveva senso vagare per le strade di Roswell nel
cuore della notte quando c’era un altro modo per verificare cosa stesse
succedendo... Un modo di sicuro più semplice e rapido! - Ehm... Io salgo in
camera mia. Vorrei... provare a contattare Jason. Che ne dici, Liz? -
La ragazza le sorrise riconoscente. - Sì, te ne sarei molto grata! -
- Perfetto! Allora... vado! -
Notando l’espressione apprensiva di Morgan Phillip invitò lui e Michael a
seguirlo. - Che ne dite di bere un goccetto? - mormorò chinandosi a rovistare
nel piccolo mobile bar alla ricerca di qualcosa di adatto.
- Io... la ringrazio, signor Evans, ma non posso bere... -
L’uomo si raddrizzò di colpo e guardò sorpreso l’alieno. - Già! E’ vero! Tu,
come Max e Isabel, non hai ancora compiuto ventun anni! Con tutto quello che
avete fatto mi sembra incredibile che non abbiate l’età per bere questa roba! -
Michael prese in mano una bottiglia di scotch e la studiò distrattamente. - Non
è per quello... Il nostro organismo non è in grado di sopportare l’alcol. Basta
un sorso per farci ubriacare - Parlava per esperienza diretta, dato che una
volta Hank, il suo padre adottivo, lo aveva costretto a fare colazione con una
lattina di birra.
- Bene... allora... che ne dici di un po’ di caffè? -
- Sì, forse è meglio, grazie. Magari... corretto con del tabasco, se non le
spiace. -
Phillip spalancò gli occhi sbigottito poi annuì e, dopo aver versato il liquore
per Morgan e per sé, andò in cucina e accese sotto il bollitore elettrico.
I tre uomini non dissero nulla nel vedere Liz immersa fino ai gomiti nell’acqua
saponata. Comprendevano la sua angoscia, e sapevano di non poter fare niente
per aiutarla. Soltanto Max, e forse Isabel, erano in grado di farlo, così si
limitarono ad aspettare in silenzio che il caffè fosse pronto poi, seguiti
dallo sguardo ansioso di Diane, tornarono in salotto.
Max conosceva l’indirizzo di Tanya Carter. Era dall’altra parte della città, e
quando arrivò davanti alla casa, incastonata in una serie di villette a schiera
senza troppe pretese, sospirò sollevato nel vedere le luci ancora accese. Aveva
preferito non telefonare per non disturbare i Carter nel caso stessero
dormendo, e per l’intera durata del tragitto aveva continuato a domandarsi
cos’avrebbe trovato.
Fu Tanya stessa, ad aprirgli, e la ragazza sgranò gli occhi nel trovarselo
davanti. - Salve! - Esitò un attimo, poi aggiunse: - Jason? -
- Sono Max Evans. Shiri è qui? -
- Sì, sì... Prego, entri pure... - Aspettò che varcasse la soglia poi si
precipitò in camera sua dove cinque adolescenti, sparpagliate fra il letto ed
il tappeto, stavano ancora mandando giù patatine fritte e pop corn mentre in
televisione scorrevano i titoli di coda del film che avevano appena finito di
vedere. - Shiri, c’è tuo padre. Almeno, credo sia tuo padre... E’... identico a
Jason!!! -
- Sì, si somigliano molto. Ma... che ore sono?!? -
- Mezzanotte e cinque -
Agitatissima, Shiri si precipitò all’ingresso. - Papà, mi spiace, non avevo
idea che fosse tanto tardi! E Jason non mi ha chiamata... -
- Quindi non sai dove si trovi? -
- No. - Ebbe un attimo di incertezza poi si volse per salutare frettolosamente
le amiche augurando loro buon Natale e seguì il padre fino alla macchina. -
Immagino che tu e mamma vi siate preoccupati... Davvero, papà, sono così
dispiaciuta!... -
- Ne riparleremo a casa. Adesso dobbiamo trovare Jason... Chissà dove si sarà
andato a cacciare... -
- Magari sono ancora al Crashdown... - suggerì la ragazzina.
- No, è impossibile. Chiude a mezzanotte - Max cercò di farsi venire in mente
tutti i posti che Roswell aveva da offrire a dei ragazzini per divertirsi ma,
dato che lui per primo non li aveva mai frequentati, non era un compito tanto
facile.
Alla fine decise di percorrere metodicamente le vie dell’area centrale della
città, intanto che Shiri continuava a provare a contattare il fratello col
cellulare che Liz aveva dato a Max.
- Ancora niente, eh? - domandò ad un tratto quest’ultimo.
- No. Forse non sente lo squillo... -
- Già... Magari è in un posto molto rumoroso, oppure... oppure non lo ha più
con sé... -
- Lo avremmo sentito, se fosse in pericolo - osservò subito Shiri, spaventata
per il significato implicito delle ultime parole del padre.
Max non disse nulla, ma quando vide l’insegna luminosa e coloratissima di una
discoteca ancora aperta rallentò e cercò un parcheggio. - Vieni, andiamo a
vedere lì... -
Il locale era molto affollato, il volume della musica assordante e l’aria quasi
irrespirabile per i getti di pseudonebbia che continuavano a inondare il
pavimento. Luci psichedeliche ed enormi sfere sfaccettate che pendevano un po’
ovunque dal soffitto irregolare rendevano l’atmosfera quasi magica e Shiri si
guardò attorno incantata, mentre Max, che la teneva saldamente per mano,
scrutava con attenzione i volti accesi e sudati delle decine e decine di
ragazzi che ballavano come scalmanati.
Concentratosi, il giovane fece ricorso ai suoi poteri per tentare di
individuare la presenza di Jason. Era l’unico modo per poter essere certo se si
trovasse lì oppure no, e il respiro gli si mozzò in gola quando percepì la sua
familiare aura di energia. Lentamente volse la testa nella direzione in cui
sapeva trovarsi il figlio e per un attimo sembrò che tutto, intorno a loro, si
fosse fermato.
Jason incontrò lo sguardo del padre e impallidì. - Accidenti, dev’essere
tardissimo! - Si girò verso gli amici. - Ragazzi, devo andare. Buona notte -
poi si diresse svelto incontro a Max. Nel vedere anche Shiri si sentì ancora
più in colpa. Fece per parlare ma vi rinunciò e li seguì fuori in silenzio.
Una volta a bordo del fuoristrada Max prese il cellulare e chiamò Liz. - Sono
tutti e due con me, stanno bene e ora torniamo a casa -
“- Io... Isabel aveva provato a comunicare con Jason ma... ma non ci è
riuscita... Sentiva soltanto che era vivo... -” La voce di Liz era sommessa,
incrinata dal pianto.
- Stava ballando in discoteca - Il giovane diede un’occhiata imperscrutabile al
ragazzo seduto al suo fianco, poi tornò a fissare dritto davanti a sé. - E’
tutto a posto, stai tranquilla... - terminò con dolcezza. Chiuse la
comunicazione e cancellò ogni traccia della chiamata prima di infilarsi in
tasca il cellulare e mettere in moto.
- Papà, sono davvero mortificato... Non avevo idea che... -
- Dopo, Jason, dopo - Max non aveva la forza di ascoltare le spiegazioni del
figlio, non in quel momento, quando tutto il suo essere era ancora in preda
all’ansia. Non potevano continuare così... sforzandosi di vivere in maniera
normale e poi sprofondando nella paura ogni volta che Jason e Shiri facevano
qualcosa autonomamente... Non era giusto per nessuno di loro. Né per lui stesso
e Liz, che non avrebbero mai vissuto in pace, né per i ragazzi, che sarebbero
cresciuti nel terrore. Ma cosa potevano fare? Come potevano fingere che fosse
tutto a posto quando il nemico era sempre in agguato?
Maledizione!
A casa Evans c’erano ancora tutti. Maria aveva insistito per rimanere a far
compagnia a Liz, nonostante Mathias si fosse svegliato circa mezz’ora prima e
da quel momento non avesse più chiuso occhio. Anche Claudia e Ethan erano
vispissimi, e Isabel subiva rassegnata gli infiniti calci di una Natalie
insolitamente attiva. Consapevole di essere la causa di tutto quel trambusto,
Jason chinò la testa sulla spalla di Liz, che era corsa ad abbracciarlo. - Mi
dispiace tantissimo... Quando il party è finito Mark e Glen hanno convinto i
loro genitori a lasciarci in discoteca e... mi sono completamente dimenticato
dell’appuntamento con Shiri... - mormorò.
- Sì, posso capirlo... Era... un’esperienza del tutto nuova, per te... - Liz si
sforzò di sorridere, di annullare così la tensione di quella lunga attesa, ma
la verità era che avrebbe voluto gridare al figlio di non fare mai più niente
senza prima farglielo sapere. Però... non poteva farlo. Non doveva. Lei e Max
avevano dato fiducia a lui e Shiri, e sapevano che quella fiducia era ben
riposta. Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per poterli tenere sempre accanto a
sé... Avvertì il calore del corpo di Max, che si era avvicinato a lei e le
aveva cinto la vita. Si sentì un po’ rinfrancata e sfiorò la guancia di Jason
con una carezza affettuosa. Saluta i nonni e gli zii, adesso, così ce ne
andiamo... -
Il ragazzino annuì e fece come gli era stato detto, mentre Shiri guardava
imbarazzata la madre. - A dire il vero - iniziò esitante, - neppure io avevo
realizzato che era ormai mezzanotte finché non è arrivato papà...
- Sono sicura che la prossima volta farete più attenzione. Potete star fuori
quanto volete: l’importante è che ci avvertiate, così non ci preoccuperemo,
d’accordo? -
- Sì, certo. Grazie, mamma - Shiri la strinse in un rapido abbraccio, poi
salutò a sua volta tutti i presenti.
Una volta a casa, Max fece segno ai figli di precederli in salotto. - Noi
andiamo a mettere a letto Ethan e Claudia. Aspettateci qui -
Rimasti soli i due ragazzi si guardarono incerti negli occhi.
L’attesa durò solo pochi minuti, poi Max e Liz furono di ritorno e sedettero
davanti a loro.
- Noi... siamo consapevoli del fatto che abbiate il diritto di vivere come ogni
altro adolescente, nonostante tutto... - esordì Max. - Il problema è che,
purtroppo, ci sono persone che vogliono eliminarci e non si fanno scrupolo di
provarci a dispetto delle promesse fatteci. Siete entrambi in grado di
difendervi con i vostri poteri e con la lotta a mani nude che vi ha insegnato
Lou, ma... avete visto cosa può succedere se qualcuno vi viene abbastanza
vicino da iniettarvi i neuroinibitori... In quel caso... non c’è nulla che
possiate fare... - Senza distogliere lo sguardo dai loro volti attenti coprì
con la propria la mano che Liz, a quelle parole, gli aveva poggiato sulla
gamba. - E’ per questo che voglio che siate sempre in contatto fra di voi.
Basta un semplice tocco mentale, qualcosa che vi dia conferma che l’altro sta
bene. E’ una grossa responsabilità, lo so, ma, dal momento che non possiamo
sapere da quale parte verrà il prossimo attacco, questo è tutto quello che
posso fare per lasciarvi liberi di stare coi vostri amici e, allo stesso tempo,
avere la possibilità di intervenire in fretta nel caso finiate nei guai... -
- E tu sarai collegato con noi? - domandò Shiri.
- No, non intendo tenervi sotto controllo. Però, basterà che vi concentriate su
di me ed io saprò che avete bisogno di aiuto. Vorrei non dover ricorrere a
tutto questo, ma siamo quello che siamo... -
- Non preoccuparti, papà, lo capiamo perfettamente. Mamma, scusaci ancora per
averti fatto stare in pensiero... Noi... staremo più attenti... -
- Lo so, tesoro. Adesso andate pure a dormire... - Liz si alzò in piedi e
lasciò che i figli l’abbracciassero e le dessero il bacio della buona notte,
poi si volse verso Max. - Perché mi sento così vecchia, in questo momento? -
chiese con tristezza.
- Perché, in un modo o nell’altro, abbiamo appena detto ai nostri figli di non
comportarsi come invece abbiamo spesso fatto noi. Ma la verità è che sei una
bellissima giovane donna... - Accennò un mesto sorriso. - E’ stata... una
strana esperienza... In fondo è passato così poco tempo da quando i nostri
genitori ci facevano lo stesso genere di predica... Jason e Shiri sanno quanto
abbiamo sofferto, quanto male ci è stato fatto... Dovevano solo aver chiara la
situazione. Non esiste un posto, da nessuna parte, in cui potremo dirci davvero
al sicuro, ma non per questo dobbiamo lasciare che la paura ci schiacci.
Questo, me lo hai insegnato tu... - Max era di fronte a lei, adesso, e le prese
il volto fra le mani. Tu mi hai insegnato a vivere... - Si chinò a baciarla.
Dolcemente, dapprima, poi con passione, e alla fine la sollevò in braccio e
salì fino alla loro camera da letto.
Il pranzo di Natale, quella volta, lo aveva preparato Amy con l’aiuto di Nancy,
e la casa dei Valenti aveva risuonato a lungo di voci allegre e di acuti
ciangottii infantili.
Il giorno successivo, invece, avevano organizzato una gita a Santa Fe per stare
un po’ con Kyle, che ormai aveva quasi ultimato i corsi all’accademia di
polizia. Il giovane aveva molto apprezzato quell’iniziativa perché, a causa dei
pesanti segreti di cui era suo malgrado custode, non era riuscito a legare coi
suoi nuovi compagni e sentiva la mancanza di qualcuno con cui poter parlare
senza timore di tradirsi.
Poi arrivò il trenta dicembre ed il gruppo, cui si erano aggiunti anche lo
sceriffo Valenti e la moglie, si ritrovò all’aeroporto, in attesa del volo per
Miami, in Florida.
Era stata Isabel ad occuparsi di tutto, scegliendo un albergo tranquillo ma
raffinato, con una bellissima spiaggia privata in cui i bambini avrebbero
potuto giocare liberamente. Aveva mostrato i dépliants anche alla madre, prima
di fare la prenotazione, volendo conoscere il suo parere, e la donna non aveva
potuto che approvare con entusiasmo. Il posto era davvero splendido, e
abbastanza vicino da permettere un soggiorno piuttosto breve.
Una volta a Key Biscayne si affrettarono a sbrigare le pratiche alberghiere
dopodiché si cambiarono e scesero subito al mare. L’acqua era limpida, di un
colore digradante dal turchese al blu profondo, e la sabbia sottile e morbida
come velluto.
Claudia, con le sue gambette incerte, un po’ corse un po’ si trascinò ridendo
contenta sull’arenile, seguita con più calma dal fratello sotto lo sguardo
indulgente di Liz. I due bambini erano affascinati da quel mondo del tutto
nuovo e continuavano ad esplorarlo incuranti del sole cocente.
Non fu facile per la ragazza e Max spalmargli addosso la crema protettiva ma
alla fine vi riuscirono e rimasero poi a guardare divertiti Maria e Isabel
passarsene in grande quantità sulla pelle chiarissima.
- Magari di un fattore più basso, però credo che dovresti metterla anche tu,
sai? - mormorò ad un tratto il giovane prima di allontanarsi per tornare poco
dopo con un altro flacone e una luce sensuale negli occhi.
- Oh... - Liz si morse leggermente le labbra e si girò dandogli le spalle. -
Sì, hai ragione. -
Distesa sul lettino sotto l’ombrellone Maria li osservava con curiosità. -
Michael, secondo te quanto ci metteranno a tornare in camera? -
- Chi? - Michael era tutto assorto nel guardare Mathias che dormiva tranquillo
fra le sue braccia e fu costretto a voltarsi quando lei lo prese con fermezza
per una spalla. - Ah!... Vuoi dire sua altezza reale e la mia signora... No,
non abbandoneranno i gemelli! Però... certo che se continuano a quel modo... -
- Non pensi che siano carini? -
- Troppe moine - fu il drastico commento di Michael.
- Però io ho dovuto implorarti perché mi mettessi la crema sulla schiena! -
Per tutta risposta lui socchiuse gli occhi. - Prima dovevo metterla a Mathias -
- E dopo? -
Il giovane fece una spallucciata. - Ormai avevi fatto da te... -
- Ah!... - Maria si chinò in avanti dandogli una leggera spinta e Michael,
ridendo, le passò una mano dietro il collo e le diede un bacio mozzafiato.
Nel frattempo Isabel e Morgan erano entrati in acqua insieme a Jason e Shiri e
nuotavano godendosi la piacevole frescura.
Ad un tratto Jim si alzò dal telo su cui era sdraiato e si passò una mano fra i
capelli. - Vado a fare un bagno anch’io. Voi non venite? -
- No, adesso no, grazie. - Amy gli sorrise e lo guardò allontanarsi.
- E’ davvero un brav’uomo... -
- Oh sì. Maria lo stima moltissimo. -
Diane guardò tutti quei ragazzi e i bambini ed il suo volto s’illuminò. - Sono
così contenta per questa vacanza... E’ talmente bello vederli insieme,
sereni... -
- Però ho paura che faccia troppo caldo per Mathias. - La donna si girò ad
osservare la figlia e Michael col neonato, seduti a pochi metri da loro.
- Abbi fiducia in Maria: sono sicura che starà attenta... -
- Certo, sì... - Un po’ stupita Amy tornò a concentrarsi sui coniugi Evans. -
Sono diventata nonna! -
- Fa impressione, vero? -
Lei fissò Diane ed annuì, incapace di parlare.
- Ha i suoi lati divertenti... - Le batté gentilmente sul ginocchio poi si mise
a ridere. - Scusa ma adesso è il caso che vada a recuperare Claudia prima che
entri in acqua! - e si affrettò dietro la bimba.
Vedendo che Max e Liz non si erano ancora accorti della fuga della piccola
Phillip scosse la testa. Benedetti ragazzi... Ah, ecco, l’hanno vista... -
E in effetti proprio in quel momento Liz aveva lanciato un’esclamazione
soffocata ed era corsa a prendere la figlioletta ormai sul bagnasciuga mentre
Max raggiungeva Ethan, che stava giocando con alcune conchiglie portate a riva
dalla leggera risacca.
- Forse è il caso che mi occupi io di questi angioletti! Voi andate pure a
nuotare un po’, va bene? -
- Mamma! Aehm... sì, d’accordo. Grazie... -
- Ma figurati, tesoro... - Diane tese le braccia per ricevere Claudia poi
sedette accanto a Ethan e si mise a giocare coi due bambini.
Una volta in acqua la coppia cominciò a fendere l’acqua con lente bracciate
dirigendosi verso il largo.
Quando tornarono accanto agli altri Jim corrugò la fronte incuriosito. - Ehi,
Liz, c’è della luce accanto a te! -
La ragazza abbassò di scatto la testa mentre Isabel scoppiava a ridere. - Oh
no, Max, anche in acqua!!! -
Imbarazzatissima, Liz guardò supplichevole il marito, che con un sorriso di
scusa le pose la mano sul fianco e fece scomparire il brillìo dorato.
- Credo sia meglio tornare a riva, adesso... - commentò Morgan tirandosi dietro
Isabel, ancora in preda al riso. - Donna crudele, non hai un briciolo di
compassione - borbottò a voce bassissima.
- Ma... - La giovane aliena dovette agitare forte i piedi per mantenersi a
galla ed evitare di bere mentre era ancora in preda alle risa - hai visto la
faccia di Liz? E Max? Ah, è stato troppo divertente!... -
Morgan non rispose continuando a nuotare, e lei si sforzò di tornare seria e
seguirlo senza altri problemi.
Alcuni minuti più tardi giacevano entrambi sdraiati sull’asciugamano, i corpi
bagnati luccicanti sotto i raggi del sole.
Isabel indossava un bellissimo costume intero arancione coi profili color
cioccolato e l’uomo non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. - Mio dio,
sei... semplicemente splendida... - mormorò ad un tratto.
Lei accennò un sorriso ironico. - Anche con questa pancia? - disse mettendosi
una mano sullo stomaco.
- E hai il coraggio di chiamarla pancia?!? Amore mio, a volte ho paura che
Natalie sarà così piccola che rischierà di perdersi nella culla!... -
- No, non preoccuparti. E’ del tutto formata e Max ha detto che sta crescendo
in maniera regolare. -
- Ah, se lo dice Max... - la prese in giro lui. Le circostanze lo avevano
costretto a riconoscere le incredibili capacità del fratello di Isabel, ma
sapeva che si sarebbe sentito molto più tranquillo se l’avesse visitata un vero
medico... E non solo non era possibile, doveva perfino accettare l’idea che
partorisse in casa! D’accordo, né Liz né Maria avevano avuto problemi, però
Isabel era sua moglie, dannazione! Natalie era sua figlia!
Isabel sembrò avvertire il suo disagio perché si volse sul fianco e lo guardò
intenerita. - Andrà tutto bene, vedrai. -
- Lo spero per Max. Perché, re o non re, se dovesse succedere qualcosa a te o
alla nostra bambina non troverà un buco abbastanza profondo dove nascondersi! -
Isabel si rabbuiò. - Non ce ne sarebbe bisogno -
- Che vuoi dire? Oh, sì, potrebbe scappare su Antar. E lì non potrei certo
raggiungerlo... -
- Quello che intendevo è che, se le cose dovessero diventare difficili, lui non
esiterebbe a ricorrere a tutta la sua energia per salvarci. Anche a costo di
rimetterci la pelle! Max è fatto così -
Dopo un breve silenzio Morgan sospirò. - Dev’essere stato duro crescere accanto
ad un tale modello di virtù... -
La ragazza fece una smorfia. - Virtù? Credo che solamente Liz lo consideri in
questo modo... Forse anche mia madre - si corresse. - No, Max è stato un
adolescente come tutti gli altri, solo più riservato e con un’unica ossessione
segreta: Liz Parker. In ogni caso, nessuno di noi due desiderava attirare su di
sé l’attenzione della gente e così abbiamo sempre rigato dritto -
- E Michael? -
- Beh, è Michael. Insomma, una mina vagante. Finché non si è arenato contro
Maria. Non che sia stata una cosa semplice, la loro storia, ma se non altro è
servita a costringerlo ad accettare l’idea che non tutti gli umani fossero
nostri nemici... Sai, Michael tende ad essere paranoico, quando si tratta della
nostra sicurezza... -
- Me ne sono accorto - Morgan scosse un poco la testa, poi si sollevò sul
gomito per cercare con lo sguardo il giovane. - Però, come si fa a dargli
torto? Avete così tanti nemici... -
Isabel sospirò sconfortata e si mise a sedere. - Lo so, ma... a volte vorrei
poter credere che sia tutto finito, che ormai possiamo vivere normalmente,
poi... poi succede sempre qualcosa che distrugge ogni illusione... - Accennò un
piccolo sorriso nel vedere Maria e Michael che giocavano in acqua con Mathias.
- In ogni caso, non ci arrendiamo mai - aggiunse piano, con un certo orgoglio
nella voce.
- No, ed è questo che mi piace di voi. Di te. La forza e la lealtà con cui
continuate a lottare... - L’uomo si chinò leggermente verso di lei per coprirle
una mano con la propria. - Sono stato molto fortunato ad incontrarti, quel
giorno... -
- Anche io - confessò Isabel, ed il volto le si illuminò in un sorriso solare
che gli fece battere forte il cuore. Dio, era così bella... Come sarebbe stata
la sua vita senza di lei? Sicuramente monotona e solitaria dato che, fino a
quando non aveva perso la testa per quella ragazzina, non era mai andato oltre
il terzo incontro con la stessa donna... Un tempo aveva creduto che il motivo
fosse il suo lavoro, che lo costringeva ad agire spesso in incognito, ma poi
aveva capito la verità. Non voleva legami, non voleva sentirsi costretto a
rinunciare ad una vita che amava per una persona che, era sicuro, lo avrebbe
annoiato dopo pochi mesi... Ma poi sulla sua strada era apparsa Isabel, e aveva
subito sentito che accanto a lei non sarebbe stato proprio possibile annoiarsi!
L’improvviso scoppio di grida e risate attirò l’attenzione della coppia, che si
volse di scatto in direzione del mare.
- Non posso crederci... - mormorò Isabel scuotendo lentamente la testa.
Liz, Max ed Amy erano impegnati in un’accanita lotta con gli schizzi contro
Jason, Shiri e Jim, ed era difficile stabilire chi stesse avendo la meglio
finché Liz alzò le braccia. - Ok, basta, non ce la faccio più, io esco! -
- Dai, mamma, non puoi essere già stanca! - protestò Jason ridendo e sollevando
con la mano uno spruzzo d’acqua verso di lei.
- Mi dispiace ma dovrete continuare senza di me... -
Il ragazzo si fece serio e si raddrizzò in tutta la sua altezza. - Questo vuol
dire che abbiamo vinto? -
A quelle parole Max diede una rapida occhiata alla moglie e ad Amy, poi scrollò
le spalle. - Sì - disse semplicemente.
- Evviva! - Jason batté le mani contro quelle della sorella e di Jim e avanzò
verso Max, che gli passò un braccio intorno al collo prima di dargli un bacio
sui capelli. - Io e tua madre andiamo a recuperare le piccole pesti. Voi potete
rimanere in acqua quanto volete... -
- D’accordo - Gli sorrise grato, poi Max lo lasciò andare e lui fece un cenno a
Shiri. - Un’altra nuotata? -
- Mm - La ragazza annuì ma proprio in quel momento un pallone leggero cadde
davanti a lei.
Sorpresa, lo prese in mano e si guardò intorno.
- Ehi, ce lo tiri? - gridò qualcuno da un gruppetto poco distante da loro.
Shiri fece come richiesto e, dopo una silenziosa consultazione col fratello, si
avvicinò sorridendo. Possiamo giocare anche noi? -
- Certo! -
Erano in sei, di età comprese fra i tredici e i diciotto anni, e si
affrettarono ad allargarsi per far posto ai nuovi arrivati.
Giocarono a lungo, mentre il sole si abbassava sempre di più all’orizzonte,
finché Jason trattenne la palla senza rilanciarla. - Scusate, noi dobbiamo
andare. Ci vediamo domani... - Passò la sfera di gomma alla ragazza che gli
stava accanto e si allontanò seguito da Shiri, che continuava a voltarsi per
salutare i nuovi amici.
Inginocchiata davanti a Ethan, intento a rimestare nella sabbia con un
bastoncino, Liz sorrise ai figli più grandi. Li aveva visti mescolarsi a quei
ragazzi ed aveva sentito una grande gioia in fondo al cuore. Perché, a dispetto
di tutto, Jason e Shiri stavano imparando a vivere come normali adolescenti e
questo era quello che aveva sempre sperato per loro, fin da quando li aveva
visti insieme a Lou e Thien dopo la fuga dall’Area 51.
Jason sollevò in aria il bambino, che rise contento agitando le braccia e le
gambe. - Abbiamo il tempo di fare un ultimo bagno? - chiese guardando la madre.
- Però che sia breve, ok? Fra poco comincerà a reclamare la cena... -
- Stai tranquilla, te lo riporterò prima che mi faccia venire il mal di testa!
- e corse verso l’acqua.
Con un sospiro Shiri si sedette accanto a Liz. - Fra un po’ gli cresceranno le
branchie... -
La giovane donna scoppiò in un’allegra risata. - Aveva soltanto poche settimane
quando lo portai al mare per la prima volta, insieme a Michael e Maria, e fu
subito amore! -
- Dov’è papà? -
- Dai nonni, con Claudia. - Nel dire così Liz accennò col mento verso la sua
sinistra e Shiri si tese leggermente all’indietro. - Ah, sì, eccoli là... E zia
Isabel e Morgan? -
- Sono andati a fare una passeggiata. Isabel mi ha chiesto di ricordarti
dell’appuntamento di stasera. Di cosa si tratta? - domandò incuriosita.
Shiri sorrise con aria birichina. - Vuole portarmi a far compere. Un vestito
nuovo per domani! -
- Ma... non ti sei già portata un completo? -
- Sì, ma lei ha detto che è il primo capodanno che festeggio e quindi devo
indossare qualcosa di speciale! -
Liz le scostò la frangia dalla fronte con una carezza leggera. - Ha ragione.
Dev’essere una serata perfetta, e lei troverà di sicuro l’abito adatto per te:
ha un ottimo gusto... -
- Perché non vieni anche tu? E’ così divertente girare per i negozi! -
Dopo una brevissima esitazione Liz annuì. - D’accordo - rispose con voce
decisa. Sì, quel capodanno sarebbe stato memorabile!
Fu così che, subito dopo aver cenato nel grazioso ristorante dell’albergo,
Isabel, Shiri, Liz e Maria, lasciatasi convincere senza troppa difficoltà ad
unirsi a loro, andarono in esplorazione dei raffinati negozi di Miami Beach.
Anche gli Evans e i Valenti decisero di fare un giro nei dintorni mentre
Michael, Max e Jason sarebbero rimasti in camera coi bambini. Morgan,
nonostante l’invito dei suoceri, preferì restare insieme ai tre alieni.
- Sei curioso di vedere come si tiene a bada un neonato? - lo prese in giro
Michael mentre il giovane osservava la dubbia abilità con cui stava cambiando
il pannolino a Mathias. - Io sto ancora imparando, mentre Max è un vero mago,
credimi! Però non me la cavo poi tanto male, visto che Maria si è fidata a
farmelo fare... -
- Veramente non le hai lasciato molta scelta, dato che l’hai praticamente
cacciata dalla stanza! - rise Max.
Michael scrollò le spalle poi si sedette sul letto tenendo il bimbo in braccio
mentre Ethan cercava disperatamente di arrampicarsi stringendo nelle manine la
coperta di cotone che ricadeva fino a terra.
Claudia guardò il fratello con un certo distacco e tornò a giocare con
l’orsacchiotto di peluche che le aveva regalato la nonna.
- In tutta sincerità, sono un po’ preoccupato. Voglio dire, io non so niente di
bambini!... -
- Neppure noi, all’inizio. E’ solo questione di pratica. Vedrai, non è poi così
difficile... - Max si chinò ad aiutare il figlio a salire sul materasso prima
di mettersi in grembo Claudia, che aveva preso a sbattere l’orsacchiotto sul
pavimento lanciando strilli acuti. - Ehi, signorina, cos’è questo chiasso? -
Morgan corrugò la fronte nel seguire i suoi tentativi di calmare la bambina e
si passò una mano fra i capelli quando, infine, le proteste si ridussero ad un
tranquillo borbottìo. - Come ci sei riuscito? - chiese ammirato.
Il giovane fece un piccolo ghigno. - Poteri alieni! - Il sorriso gli si
allargò. - Scherzavo. E’ solo stanca, e fra poco si addormenterà come un
angioletto... -
- Ah... Bene... bene. -
Due ore e mezza più tardi Maria, seguita dalle altre ragazze, entrò nella
stanza cercando di non far rumore e si fermò di colpo davanti alla scena che le
si presentò. - Santo cielo, che spettacolo... -
Liz si dovette portare una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere.
Michael dormiva seduto sul letto, un braccio sopra la schiena di Mathias
sdraiato sul suo torace ed immerso in un sonno altrettanto profondo. Jason era
sdraiato accanto a lui con Ethan accoccolato contro il fianco, entrambi
addormentati. Claudia, invece, riposava fra le braccia del padre, che
chiacchierava a voce bassa con Morgan. I due si erano comodamente sistemati
sulle poltroncine ed avevano disteso le gambe appoggiandole sopra il letto.
Nell’udire il commento di Maria Max si volse di scatto e tirò giù le gambe. -
Ciao! Com’è andata? -
- Bene. A voi non c’è bisogno di chiederlo... - Liz gli si avvicinò in punta di
piedi e diede un’occhiata al visetto roseo della figlia. - Spero non ti abbia
fatto disperare prima di crollare... -
- No, è stata abbastanza brava. -
Morgan si alzò in piedi, si stiracchiò poi andò verso Isabel. - Come stanno le
mie ragazze? - chiese dandole un piccolo bacio sulle labbra.
- Benissimo, grazie. Abbiamo trovato un bel vestito per tutt’e due!... - La
giovane donna mostrò con orgoglio la capiente busta che teneva in mano poi gli
passò un braccio intorno alla vita. Andiamo a dormire anche noi, è stata una
giornata piuttosto faticosa... -
- Già. Buona notte, gente. -
- ‘Notte - Maria li salutò con un allegro cenno prima di andare a sedersi
vicino a Michael. - Dio, come sono teneri... - mormorò sfiorando con la punta
delle dita i suoi morbidi capelli castani. Sorrise nel guardare la boccuccia
semiaperta di Mathias. - Li lascio dormire così, sembrano stare talmente
bene... -
Liz scosse dolcemente la spalla di Jason finché il ragazzino aprì gli occhi. -
Ehi, mi spiace svegliarti ma dobbiamo andarcene. Questa è la stanza di Michael
e Maria... -
Jason batté le palpebre insonnolito. - Ciao, mamma... - bisbigliò con voce
impastata, poi si alzò e fece per prendere in braccio il fratello ma lei lo
trattenne. - No, tesoro, ci penso io. Tu va’ pure... -
L’adolescente annuì e se ne andò con Shiri mentre Max sistemava più comodamente
Claudia contro il proprio petto per non farla cadere mentre si rimetteva in
piedi. - Buona notte, Maria. A domani -
- A domani - La ragazza attese che Liz le passasse davanti e le fece
l’occhiolino. “- Sì, a domani! -” disse muovendo solamente le labbra.
L’amica le rispose con una buffa smorfia prima di uscire chiudendosi la porta
alle spalle.
Una volta nella loro camera Liz e Max adagiarono i gemelli nei loro lettini,
senza cambiarli per la notte per evitare di svegliarli, poi il giovane tese una
mano e afferrò con delicatezza il polso sottile di Liz. Lei lo guardò
interrogativa ma subito dopo sorrise e si lasciò condurre fuori.
La spiaggia era deserta e la luna piena si rifletteva in mille specchi
d’argento sull’acqua appena increspata del mare. L’aria era piuttosto fresca e
la sabbia soffice piacevolmente tiepida sotto i loro piedi nudi.
Max attirò a sé la moglie tenendola per il fianco ed insieme avanzarono fino al
bagnasciuga. - Avevo... avevo voglia di stare un po’ da solo con te... - disse
piano, gli occhi fissi nei suoi. - Fra una cosa e l’altra abbiamo così poco
tempo per noi, e... mi manchi molto. -
Con un sorriso incredulo Liz fece scivolare la mano sotto la sua maglietta e la
insinuò tra il bordo della cintura e la pelle, causandogli un lungo brivido di
piacere. - Max, viviamo insieme! E’ vero, lavoriamo in posti diversi, ma... il
resto del tempo è tutto nostro! -
- E di Jason e Shiri, Claudia e Ethan - Sospirò e volse lo sguardo al mare. -
Io voglio molto bene ai nostri figli, farei qualsiasi cosa per loro... -
- Lo so, lo hai fatto - lo interruppe dolcemente lei.
Il giovane chinò per un attimo la testa poi si girò a fronteggiarla e per un
attimo trattenne il respiro. Liz non aveva tolto la mano da dietro la sua
schiena e quindi ora era praticamente premuta contro di lui. - Mi manca tutto
questo, amore... Stare così, da soli... a parlare con te... a guardarti... A
sentire il profumo della tua pelle... dei tuoi capelli... - Sollevò una mano e
la infilò fra quelle ciocche morbide e setose che lo facevano impazzire. -
Vorrei che il tempo si fermasse in questo momento... - Sorrise, un sorriso
timido e quasi impacciato. - Vorrei che le giornate fossero più lunghe per...
per averti così... Tutta per me... -
Liz lo fissò intensamente. - Lo sono, Max... Sempre e comunque... anche quando
non siamo vicini... Tu sei tutto il mio mondo... -
- E tu il mio. Ma... ho bisogno di momenti come questo... - Le prese il volto
con entrambe le mani e Liz si sentì proiettata nel passato, come quando erano
due adolescenti e il tocco delle forti dita di Max sul suo viso era tutto
quello che poteva avere di lui. - Solo... di questo...? - bisbigliò sorridendo
a sua volta.
- No, naturalmente... - Max si chinò a baciarla, e dopo un attimo erano
entrambi persi nella passione che li univa da quando i loro occhi si erano
incontrati per la prima volta un pomeriggio di settembre al Crashdown.
Continuarono a baciarsi mentre i flash si susseguivano vorticosi nelle loro
menti, dimentichi di tutto tranne che del loro amore.
Poi, quando si staccarono per riprendere fiato, senza bisogno di parlare si
presero per mano e cominciarono a camminare incuranti dell’acqua fredda che gli
bagnava le caviglie.
Era trascorsa poco più di un’ora quando tornarono nella loro stanza. Dopo aver
controllato che i bambini dormissero tranquilli andarono in bagno per fare una
rapida doccia insieme dopodiché si infilarono sotto le lenzuola addormentandosi
strettamente abbracciati.
L’indomani trascorsero la giornata giocando con Claudia ed Ethan e poi, dopo
averli affidati ai nonni, nuotarono con Jason e Shiri sotto lo sguardo
divertito di Jim Valenti.
- Quei due ragazzi sono davvero... unici! - commentò ad un tratto mentre Amy
passava un biberon pieno di acqua a Maria. - Cioè? -
- Cioè riescono a far finta di niente quando invece vorrebbero starsene in
santa pace da soli su un’isola deserta - rispose per lui Maria mentre
avvicinava la tettarella alla bocca di Mathias. - Si vede lontano un miglio, ma
sono tutti e due così responsabili che non ne faranno niente e si limiteranno a
sbaciucchiarsi ogni tanto in attesa di tempi migliori... -
- Maria, falla finita - la riprese Michael avvicinandosi a lei per fare un po’
di solletico sotto i piedini del neonato.
- Perché? E’ la verità! Quei due si amano talmente che vederli insieme mi fa
molta tenerezza!... - La ragazza fissò con finta severità il giovane alieno. -
Dopo tutto quello che ci avete fatto passare, e soprattutto quello che Max ha
fatto passare a Liz, non posso fare a meno di essere felice per loro. Lo trovi
così difficile da capire? - Il suo cipiglio divenne più serio. - Michael, non è
stato facile stare accanto a voi, amarvi contro ogni logica, fare cose
pazzesche per proteggere il vostro segreto... La sai una cosa? Siete stati
molto ma molto fortunati ad incontrare due ragazze come noi! -
Michael la guardò dritto negli splendidi occhi verdi. - Lo so - disse
semplicemente, poi si alzò e andò a tuffarsi.
- Wow - Amy DeLuca Valenti lanciò un’occhiata alla figlia e sorrise fra sé. Sì,
tutto sommato Michael era la persona giusta per Maria.
- Wow un corno. Quel disgraziato mi farà morire di crepacuore... - borbottò
guardandolo allontanarsi.
- Meglio per lui che non lo faccia - Irrigiditasi, Amy si aggiustò gli occhiali
da sole sul naso. - Se solo si azzarda a farti soffrire dovrà vedersela con me!
-
- Ti ringrazio, mamma, ma non credo che ce ne sarà bisogno. A volte il suo modo
di fare mi manda in bestia, però ha un cuore d’oro... Non è vero, piccolino? -
aggiunse cullando Mathias, che per tutta risposta alzò una manina per toccare
il biberon.
Non troppo convinta la donna si sistemò meglio sulla sdraia e prese a sfogliare
una rivista.
Verso le sei tornarono tutti in albergo per prepararsi per la serata,
operazione che richiese un bel po’ di tempo. Soprattutto per Liz che, dopo aver
allattato Claudia ed Ethan, con l’aiuto di Max fece loro il bagnetto e gli mise
i bei vestitini portati per l’occasione. Claudia non era troppo soddisfatta di
dover restare relegata nel passeggino col fratello, finché Max riuscì a
calmarla dandole il suo peluche preferito.
- Questa bimba comincia a diventare capricciosa... - commentò Liz passandole il
pettine fra i soffici capelli scuri.
- No, è solo un po’ perentoria nell’affermare i suoi diritti. Vero, amore? -
disse Max inginocchiandosi davanti alla figlioletta. - Voleva l’orsacchiotto,
tutto qui... Ma adesso è di nuovo tranquilla e si comporterà come una vera
signorina! - Si piegò in avanti per baciarla sulla fronte, poi fece lo stesso
con Ethan. Questo giovanotto, invece, per adesso sembra abbastanza bravo... -
Cercò di sottrarre alla presa del bambino il pupazzetto di gomma che stringeva
fra le mani e lui emise un allegro gorgoglìo.
Liz corrugò la fronte. - A volte ho l’impressione che sia solo la calma che
precede la tempesta... -
- Non è un po’ troppo presto per dirlo? - obiettò Max guardandola perplesso.
- Ho paura di no, ma... spero di sbagliarmi! Avanti, ragazzi, ora state buoni e
lasciate che il papà e la mamma si facciano belli, ok? -
Claudia sorrise felice guardandola ed agitando il suo peluche, e con una
scrollata di spalle Liz si avviò verso il bagno. - Sarò veloce, promesso! -
disse sfilandosi nel frattempo il copricostume con inconsapevole sensualità.
Max deglutì a fatica. Quella ragazza gli faceva battere forte il cuore ogni
volta che la guardava, era la sua ragione di vita, e ancora lo stupiva il fatto
che lei lo avesse scelto come compagno. Come faceva ad amarlo così tanto? Come
aveva potuto perdonarlo per averla dimenticata, e aver sposato un’altra?
Cos’aveva fatto, lui, per meritare una persona tanto meravigliosa? Rimase
immobile, perduto nei suoi pensieri, finché l’improvviso interrompersi dello
scroscio dell’acqua lo scosse. Allora si affrettò a tirar fuori dall’armadio
l’abito scuro e la camicia bianca che avrebbe indossato quella sera e sorrise a
Liz, apparsa sulla soglia del bagno avvolta in un grande telo di spugna. - E’
vero, hai fatto presto! -
Quando finì a sua volta di farsi la doccia lei si stava appuntando i capelli
dopo essersi truccata con molta cura.
- Come sto? - gli chiese Liz voltandosi leggermente nella sua direzione.
- Sei... splendida! - mormorò Max ammirato dalla snella figura in un elegante
vestito lungo fino ai polpacci. Il tessuto dai riflessi metallici aveva una
delicata fantasia verde e oro e sembrava brillare sotto la calda luce del
lampadario.
- Grazie -
Il giovane annuì e si affrettò a vestirsi poi prese a spingere la carrozzina e
lasciò che Liz gli si aggrappasse al braccio. - Pronta? -
- Mm -
- Non hai bisogno di uno scialle? - E davanti al deciso diniego di lei
aggiunse: - Bene, allora andiamo! -
Quando furono nel corridoio Liz fece un respiro profondo. No, decisamente non
aveva bisogno dello scialle, quella sera! Non dopo aver visto Max con quel
microscopico asciugamano intorno ai fianchi... Non era la stessa cosa che
guardarlo in spiaggia nei suoi ridotti calzoncini da bagno, dove erano
circondati da gente seminuda: lì era... normale... Ma in camera, con il letto
dietro di lui, la vista di quel torace liscio e muscoloso l’aveva fatta
letteralmente sciogliere! Sentiva ancora le gocce di sudore solleticarle
l’incavo del seno. Di sicuro si sarebbero divertiti di più se fossero rimasti
nella loro stanza... Cercando di distogliere il pensiero dai fianchi asciutti
del marito infilò la chiave nella graziosa borsetta nera che teneva in mano e
tornò a stringere il braccio di Max. - Fatto! -
Per un attimo lui si perse nella dolce luminosità dei suoi occhi marroni e
pensò che, forse, sarebbe stato meglio tornare indietro e passare la serata da
soli nella tranquillità della loro camera. Ma in fin dei conti avevano fatto
quel viaggio proprio per stare tutti insieme e non sarebbe stato corretto
sparire la notte di Capodanno...
Mentre entravano in ascensore vennero raggiunti da Diane e Phillip, che fecero
i complimenti ai nipotini e poi sorrisero a Liz. - Sei un vero splendore, mia
cara! -
La ragazza sorrise e indietreggiò per far loro posto. - Siete troppo gentili...
-
- Liz, ti prego di sentirti libera di lasciarci questi angioletti tutto il
tempo che vorrai. -
- Ti ringrazio, Diane, ma vedrai che fra non molto si addormenteranno e non
creeranno problemi! -
- E Shiri e Jason? - s’informò Phillip.
- Hanno fatto prima di noi e ci stanno aspettando di sotto... -
Giunti al pianterreno si spostarono nella hall per aspettare gli altri e si
ritrovarono ben presto circondati dai numerosi clienti che si apprestavano a
raggiungere la sala riccamente addobbata per l’occasione. Il brusio delle loro
conversazioni faceva da gradevole sottofondo e Max si stupì di sentirsi così
coinvolto dall’atmosfera di festa che regnava nell’intero albergo. Poi guardò
Liz, il suo viso illuminato di gioiosa aspettativa, e comprese che lei era la
vera ragione delle sensazioni che stava provando. Il saperla al suo fianco,
bella e desiderabile come sempre, gli fece scorrere il sangue più veloce nelle
vene.
- Santo cielo, Shiri, sei semplicemente splendida! - Diane si affrettò a
prendere una mano della nipote e le fece fare un lento giro su se stessa. La
ragazzina era radiosa ed elegantissima in un completo scarlatto di seta il cui
ridotto top, unito alla linea notevolmente bassa dei pantaloni aderenti, dava
risalto alla seducente snellezza del suo giovane corpo.
Orgoglioso di lei, Jason le stava accanto come un fedele cavalier servente.
Anche lui stava molto bene con i jeans neri, la camicia bianca portata
slacciata intorno al collo e una giacca leggera di cotone dal taglio semplice
ma raffinato, del tutto ignaro degli sguardi ammirati di una torma di ragazzine
che stava passando in quel momento.
Diane ammiccò divertita verso di lui. - E tu, Jason, stasera infrangerai molti
cuori! Ragazzi, siete davvero chic! -
Anche Max era rimasto colpito dall’abbigliamento della figlia, e non ebbe
alcuna difficoltà ad intuirne la provenienza. - Lo avete comprato ieri sera,
vero? - mormorò infatti tra i denti a Liz. - Certo che fra te e Isabel non
avete avuto un grammo di buonsenso! -
- E’ vero, la prima a vederlo è stata Isabel, ma a Shiri è piaciuto subito e
non ho avuto il coraggio di negarglielo... - rispose altrettanto piano lei. “E
comunque, come avrei potuto farlo dopo quello che avevamo preso io e Maria?”
aggiunse fra sé senza riuscire a trattenere un sorrisetto divertito.
Facendo buon viso a cattivo gioco Max cercò di assumere un’espressione
rilassata poi intravide la sorella e Maria e borbottò: - Ormai siamo quasi
tutti... -
- Sì, ecco anche Amy e Jim! - Diane, ignara della sotterranea tensione venutasi
a creare, si diresse sorridendo verso di loro e Phillip ne approfittò per
impadronirsi del passeggino. - Posso? - chiese speranzoso rivolgendosi al
figlio.
- Certo, papà, fai pure. - Max scosse leggermente la testa e passò un braccio
dietro la schiena di Liz per scortarla verso i nuovi arrivati. Nel sentire la
pelle nuda della ragazza sotto le dita si bloccò per un istante e lanciò
un’occhiata alle sue spalle. “O mio dio...” pensò impallidendo. Il vestito di
Liz aveva davanti una normale scollatura, formata dal morbido ripiegarsi del
tessuto sul decolleté, e due sottili bretelle sparivano sul retro. Ma mai
avrebbe potuto immaginare che quelle bretelline servissero a trattenere i lembi
del tessuto prima che si riunissero in un punto poco sotto la base della spina
dorsale. Di solito Liz usava un abbigliamento pratico, comodo, per quanto
avesse degli abiti molto carini per le occasioni particolari, ma non l’aveva
mai vista indossare qualcosa di così sexy... Come avrebbe fatto a resistere
fino al termine di quella serata che, ormai, sapeva sarebbe stata la più lunga
della sua vita?
Notando la sua espressione sconvolta Maria fece un piccolo segno di vittoria a
Liz, la quale dovette schiarirsi la gola per trattenere una risata.
Michael guardò interrogativo dall’una all’altra senza che Maria si degnasse di
dargli una spiegazione, allora riprese a spingere la carrozzina verso il
gruppetto.
Fu solo quando si diressero verso la sala per la cena che si rese conto di cosa
doveva aver turbato Max. In effetti anche l’abito che aveva messo Maria era
particolarmente suggestivo, con le sue trasparenze strategiche, ma quello di
Liz era davvero formidabile! Trattenne a stento un ghigno, pieno di
compatimento per l’amico. “Eh, Max, vecchio mio, ho paura che per la vera festa
dovremo aspettare un po’!...”
La cena a buffet si rivelò un vero spettacolo, con enormi quantità di pietanze
artisticamente disposte e dall’aspetto appetitoso, e la musica tenuta ad un
volume discreto consentiva sia di ballare sia di chiacchierare.
Jason e Shiri videro i ragazzi con cui anche quel pomeriggio avevano giocato in
spiaggia e, ottenuto il permesso dei genitori, si allontanarono per unirsi a
loro.
Quando si avvicinò la mezzanotte venne distribuito lo champagne mentre gli
animatori iniziavano il conto alla rovescia.
Liz osservò preoccupata Max prendere il calice che gli veniva offerto. - Max,
ti prego, fai attenzione... -
- Mi bagnerò soltanto le labbra, stai tranquilla! -
Ma lei gli mise una mano sul petto scuotendo la testa. - Per favore, non farlo.
Il vostro organismo non tollera minimamente l’alcol, lo sai! -
Il giovane le coprì la mano con la propria. - Mi bagnerò le labbra e basta. Te
l’ho detto. Fìdati!... - Ebbe un fuggevole sorriso. - E poi, mi basta il tuo
tocco per farmi sentire... strano... - Spostò il suo palmo contro il cuore, che
aveva cominciato a battere più in fretta.
La ragazza lo guardò negli occhi e si sentì la testa leggera. - La cosa è
reciproca - disse in un sussurro, prima di voltarsi per seguire il conteggio.
Nel momento in cui le lancette del grande orologio segnarono le dodici un grido
festoso si levò dalla folla e tutti brindarono mentre una pioggia di coriandoli
scendeva dal soffitto.
Max si limitò ad inghiottire una sola goccia di champagne poi posò il calice
sul tavolo più vicino e trascinò Liz in un romantico lento al ritmo della
melodia diffusa in quel momento dagli altoparlanti.
Mentre ballavano passarono vicino ad Isabel, che si sentì afferrare da Morgan.
- Avanti, balliamo anche noi! - disse sospingendola fra le coppie che stavano
danzando. La ragazza indossava un abito blu notte di pizzo che le fasciava
morbidamente il corpo, nascondendo tuttavia l’appena accennato turgore della
pancia grazie ad una serie di sapienti cuciture, e lui ringraziò ancora una
volta il cielo per quella sobrietà. Non avrebbe avuto davvero la forza di
resistere accanto ad Isabel per l’intera durata della festa se lei avesse
portato qualcosa di più sexy...
Dopo essersi assicurata che Mathias stesse dormendo Maria guardò Diane con una
muta implorazione negli occhi.
La donna finì in fretta il suo champagne e le sorrise. - Andate pure, non credo
proprio che questi monelli si accorgeranno dell’assenza dei loro genitori! -
Michael corrugò la fronte nel realizzare che, nonostante il frastuono, i tre
bambini continuavano a dormire come se nulla fosse e si lasciò condurre nella
mischia senza opporre resistenza.
Quando la musica divenne più sincopata i giovani si ritrovarono a ballare tutti
insieme. Isabel, tuttavia, preferì ritirarsi dopo pochi minuti e tornò dai
genitori con Morgan.
- Mi sembri un po’ stanca... - commentò la madre studiando il suo volto
accaldato.
- Sì, infatti credo che andrò a dormire. E’ stata una bellissima serata, vero?
-
- Già! - Diane Evans si alzò per abbracciarla poi sorrise a Morgan. - Buona
notte, allora. -
- Buona notte. Phillip... -
- Buona notte, ragazzo, e felice anno nuovo! -
- Grazie - L’uomo cinse la vita di Isabel e si allontanò tra la folla.
- Che ne dici se ci ritiriamo anche noi? Possiamo portare i bambini nella
nostra stanza: guarda come dormono sodo... - suggerì Diane al marito.
- In effetti comincio a desiderare un bel letto morbido! Vado a dirlo a Max e
poi andiamo. -
- D’accordo -
In quel momento arrivarono anche James Valenti ed Amy, che si affrettò a
rassicurare la coppia che anche loro avevano deciso di andarsene e quindi si
sarebbero occupati di Mathias.
Nel vedere Phillip Evans avvicinarsi Maria si rese conto che era molto tardi e
con un profondo senso di colpa salutò gli amici e, seguita da Michael, si
affrettò a tornare indietro. In effetti il bimbo non si era mai svegliato ma la
ragazza era sconvolta al pensiero di averlo lasciato alle cure di altre
persone, piccolo com’era, e s’impadronì del passeggino con una tale energia da
mandarlo quasi a sbattere addosso a una coppia che stava passando lì accanto.
Preoccupato, Michael le si affiancò e salutò velocemente gli altri prima di
sospingerla con cautela verso l’uscita.
La ragazza continuava a borbottare contro se stessa mentre si dirigeva agli
ascensori e l’alieno alzò gli occhi al cielo. - Maria, si è trattato solo di
venti minuti! Non credi di stare esagerando? Mathias non se n’è neppure
accorto! -
- Resta il fatto che l’ho abbandonato. Sono una madre snaturata, questa è la
verità! Non sono capace di occuparmi di lui! Prima lo soffoco di attenzioni e
mi arrabbio con te perché lo porti a una partita di basket e poi... e poi lo
lascio da solo per andare a ballare! -
- Maria, frena! Non lo hai lasciato da solo! Eravamo a pochi metri da lui, e
c’erano sempre tua madre o la signora Evans a tenere d’occhio le carrozzine! -
- Però non c’ero io! Io, sua madre! -
- Tesoro, per favore, calmati! Non è successo niente! Adesso smettila o finirai
con lo svegliarlo... -
- Non riuscirò mai ad essere una brava madre, questa è la verità! Ma come
diavolo fa Liz con tutti quei figli?!? -
- Semplice, lei ha fiducia in se stessa, e si fida di Max. - fu la secca
risposta di Michael.
- Anche io mi fido di te, Michael - protestò Maria, poi emise un sospiro. - E’
solo che ho una paura folle di sbagliare... Un bambino è una tale
responsabilità!... -
- Lo so, ma insieme riusciremo a crescerlo nel migliore dei modi, credimi! - Il
giovane le accarezzò la spalla cercando di calmarla poi, una volta davanti
all’uscio della loro stanza, fece scattare la serratura senza perdere tempo a
cercare la chiave.
Mentre Michael si spogliava Maria cambiò il pannolino a Mathias ed aveva quasi
finito quando lui aprì gli occhioni verdeazzurri cominciando ad agitarsi. - Sì,
ho capito... - mormorò prima di indietreggiare di un passo, sfilarsi il vestito
e mettere la camicia da notte. Prese il bimbo in braccio e si avvicinò al
letto, dove Michael la stava già aspettando. - Ha fame? -
- Sì - Maria si sdraiò sistemandosi fra le braccia del giovane poi lasciò
scivolare di lato una bretella e si attaccò Mathias al seno.
Incantato, Michael rimase a guardare suo figlio che succhiava con avidità
finché si rese conto che Maria si era addormentata. Allora rinforzò la stretta
intorno a lei e a Mathias, a sua volta scivolato nel sonno, e sorrise. “Vi
amo... Vi amerò e vi proteggerò finché avrò vita...” A poco a poco anche le sue
palpebre si abbassarono e la testa gli ricadde sui biondi capelli della
ragazza.
- E’ bellissimo! - Liz guardò emozionata gli splendidi fuochi d’artificio che
illuminavano a giorno il cielo, le mani posate su quelle di Max, strette sopra
il suo stomaco. Seguiva sorridendo come una bambina le scie multicolori sopra
di lei ma allo stesso tempo era perfettamente consapevole del tessuto della sua
giacca contro la schiena nuda, del battito rapido del suo cuore, del suo
respiro tiepido sulla tempia destra. Della salda pressione della sua forza
maschile. Con un sospiro fece scivolare verso il basso quelle mani calde e
fremette. C’era molta gente sulla spiaggia, ad ammirare lo spettacolo
pirotecnico, ma nessuno prestava loro attenzione. Arditamente afferrò uno dei
polsi di Max e lo spostò fin sul proprio petto.
Sentì il suo ansito e trattenne a stento un gemito quando lui insinuò le dita
nella scollatura. - Max... - sussurrò rabbrividendo.
- Vieni, andiamo in un posto più tranquillo... -
Il rauco mormorio al suo orecchio aumentò l’eccitazione di cui era già preda e
sentì le gambe farlesi deboli.
- Vieni! - Max la sciolse a malincuore dal suo abbraccio e, presala per mano,
si diresse senza esitare verso la riva. Sapeva che Liz si era tolta le scarpe
non appena uscita dall’albergo, e sul bagnasciuga avrebbero potuto correre
senza alcuna difficoltà. Stava impazzendo dal desiderio di far l’amore con lei
e dovevano assolutamente allontanarsi da quella folla finché era ancora in
grado di ragionare!
Quando furono al sicuro in un punto della spiaggia del tutto deserto si
avvicinarono ad un ciuffo di palme e Max fece un gesto con la mano tenendo il
palmo rivolto verso il basso. - In questo modo staremo più comodi, e
soprattutto non ti sporcherai quello splendido vestito... -
Liz sorrise nel vedere il sottile scudo di energia, il cui alone verde
scintillava debolmente contro il chiarore della sabbia, e vi si distese
tendendo le braccia verso la chiusura lampo dei pantaloni di Max. - Io... non
ho nulla, sotto... - bisbigliò guardandolo dritto negli occhi.
- Oddio, Liz... -
La luminosità perlacea di quel primo mattino del nuovo anno prometteva un’altra
splendida giornata ed il silenzio era rotto solo dai versi acuti dei gabbiani e
dal leggero mormorio del mare. Gli unici esseri umani presenti erano i due
addetti alla sorveglianza costiera che, come di consueto, percorrevano la lunga
distesa di sabbia per controllare che non ci fossero problemi.
- Ehi, guarda qui! Guarda cos’ho trovato! - Il più giovane dei due lanciò un
richiamo al compagno, fermatosi qualche metro più indietro a controllare la
superficie dell’acqua nel tutt’altro che improbabile caso ci fosse qualche
bagnante ubriaco in difficoltà, e l’uomo lo raggiunse correndo. - Cosa c’è? -
Poi vide quel che aveva attirato l’attenzione dell’altro e sospirò. Santo
cielo, che brutto modo di finire l’anno!... -
I due corpi giacevano uno accanto all’altro, in posizioni leggermente
scomposte, come se fossero stati portati fin lì da altrove. Mostravano entrambi
ferite alla testa, e macchie di sangue rappreso segnavano anche le braccia e le
gambe della ragazza, il cui vestito sollevato lasciava intravedere buona parte
della coscia sinistra piena di lividi.
- Avrà cercato di violentarla e lei si è difesa finché hanno avuto tutti e due
la peggio? -
- No, non credo. Vedi come quel braccio è teso verso di lui? E anche la testa è
girata nella sua direzione... Secondo me erano insieme e qualcuno li ha
sorpresi. Non è sicuro appartarsi di notte sulla spiaggia, ma la gente continua
a farlo, purtroppo... - Si chinò a controllare se fossero ancora vivi e
un’espressione di sollievo gli rischiarò il volto. Fece un gesto al collega,
che tornò alla loro unità mobile e con la radio chiamò la base perché
mandassero al più presto un’ambulanza.
Quando vide i paramedici avvicinarsi con le barelle l’addetto alla sorveglianza
costiera si alzò in piedi scrollandosi la sabbia dai calzoni. - Non hanno
documenti, niente che possa farli riconoscere, ma forse sono ospiti di qualche
albergo della zona. Vado a fare la denuncia alla polizia e poi mi metterò in
contatto con l’ospedale, nel caso ci fossero novità. Ma ho paura che ci vorrà
un po’ di tempo: li hanno conciati veramente male... -
- D’accordo, Tyler. Ah, felice anno nuovo! -
- Sì, felice anno nuovo. Dillo un po’ a questi poveretti... - Tyler rimase a
guardare i volti dei due ragazzi mentre venivano distesi sulle barelle. Erano
così giovani... Potevano avere all’incirca vent’anni, e qualcuno aveva deciso
di spezzare per sempre le loro vite. Si rivolse poi al compagno. - Penso che
siano marito e moglie. Portano lo stesso tipo di fede all’anulare sinistro... -
- Questo dovrebbe rendere più semplici le ricerche -
- Non ne sono sicuro. Ci sono migliaia di turisti per il capodanno, e se questi
due sono venuti da soli ci vorrà del tempo prima che qualcuno ne segnali la
scomparsa... -
- Pessimista come al solito, eh? -
- Ho solo più esperienza, e so come va il mondo. Un vero schifo! - rispose
Tyler Brown con amarezza.
Poco più tardi l’infermiere di turno al pronto soccorso registrò i due nuovi
pazienti prendendo nota di tutti i dettagli rilevati dal personale
dell’ambulanza mentre le barelle venivano affidate ad uno staff medico.
Un dottore si chinò sul giovane e gli aprì la camicia con decisione, lacerando
un poco il sottile tessuto e scostando allo stesso tempo i risvolti della
giacca, e spalancò gli occhi. - E questo cos’è? - Fissò incredulo l’impronta
argentata che segnava la pelle proprio all’altezza del cuore e vi passò sopra
la punta delle dita. E’... calda... - Non sapendo cosa pensare collegò alcuni
elettrodi e controllò un piccolo monitor. - Il cuore sta cedendo. Forse la
causa è proprio quel segno... - Si rivolse all’assistente. - Passami il
defibrillatore, presto! -
Sotto il potente stimolo elettrico il corpo del giovane s’inarcò verso l’alto.
Un’altra scossa, e il segnale si stabilizzò.
- Ok, è fuori pericolo, almeno per il momento... - Sollevò le palpebre del
ferito e studiò la reazione delle pupille alla luce della piccola torcia che
aveva preso dalla tasca del camice. - E’ sotto choc - Mise via la pila e fece
un rapido controllo di tutto il corpo. - Non ci sono ferite, a parte le
contusioni sulla fronte e quel segno sul petto. Va bene, fategli una lastra
alla testa e poi portatelo in corsia. Lo controllerò di nuovo non appena avrò
visto i risultati... - L’uomo mosse lentamente la testa e ruotò le spalle
cercando di rilassare i muscoli tesi mentre qualcuno spostava il lettino e
un’altra squadra si faceva avanti coi feriti coinvolti in un incidente d’auto
accaduto pochi minuti prima.
La dottoressa che si stava occupando della ragazza, invece, dovette impegnarsi
parecchio intorno a lei per medicare le decine di ferite che segnavano il suo
corpo sottile. - Non ha subìto violenza, ma certo non ci sono andati leggeri...
- disse ad un tratto, poi le fece un’iniezione di adrenalina e diede ordine che
venisse a sua volta trasferita in corsia. - Vorrei che qualcuno mi spiegasse
perché il primo giorno dell’anno è sempre quello più faticoso! Ma che diavolo
ha, la gente, per accanirsi in questo modo su una sventurata ragazzina? - Si
passò un braccio sulla fronte madida di sudore e sospirò. - No, non c’erano
impronte argentate su di lei... - mormorò in risposta alla domanda del collega.
- Magari quello era solo un tatuaggio, e mi sembra inutile starci a perdere
tempo. Al tuo posto eviterei anche di segnarlo sulla cartella clinica,
altrimenti potresti rischiare di tornare a casa tardi pure oggi! -
- Addirittura?!? Per un tatuaggio? -
Laura Baker fece una spallucciata. - Tu dammi retta: tieni la bocca chiusa. -
L’uomo si grattò pensieroso la mascella. - Forse hai ragione... - borbottò
prima di tornare a concentrarsi nel suo lavoro.
Mentre gli ultimi feriti venivano portati via tornò l’assistente con la lastra
e il medico riscontrò un leggero trauma cranico. - Niente di grave, per
fortuna, ma preferisco andare a dargli una controllatina. Puoi farcela da sola?
-
- Certo, non ti preoccupare! -
- Bene -
Con la coda dell’occhio la donna si accertò che fosse uscito poi tirò fuori il
cellulare dalla tasca del camice e compose un numero, mormorò poche parole in
tono appena udibile dopodiché, con fare casuale, mise via l’apparecchio e tornò
al suo lavoro.
Protetto dagli sguardi indiscreti da divisori di tessuto bianco il giovane
giaceva ancora incosciente nel suo lettino e il dottore gli tastò il polso
prima di sfiorargli la fronte. Prese di nuovo la torcia e gli controllò gli
occhi. - Beh, sembra che, tutto sommato, te la sia cavata con poco, ragazzo
mio... Alla tua amica, invece, è andata peggio. Sempre ammesso che sia tua
amica, perché altrimenti sei in un mare di guai! -
Fece per andarsene quando si accorse che il paziente si stava svegliando. -
Ehi, come ti senti? -
Lui lo fissò per alcuni secondi senza capire, poi guardò intorno a sé con una
certa agitazione. - Dove... dov’è? - disse con voce fioca, spezzata, ma prima
ancora che l’uomo potesse rispondere si portò una mano al petto, i lineamenti
contorti per il dolore, e perse di nuovo conoscenza.
Il dottore si chinò sconcertato per un rapido esame delle sue condizioni, e nel
misurare la temperatura sbarrò gli occhi incredulo. “Maledizione!” Premette un
pulsante accanto al lettino e di lì a poco arrivò un’infermiera. - Porta dei
sacchetti di ghiaccio, subito! Tutti quelli che riesci a trovare, e mettiglieli
attorno: dobbiamo abbassare la temperatura immediatamente o i suoi organi
interni si cuoceranno! -
Nel giro di dieci minuti il corpo del giovane era circondato da una dozzina di
sacchetti di plastica e ad una prima verifica sembrò che la cosa avesse
funzionato. La temperatura corporea era diminuita di otto gradi e tendeva a
calare.
Momentaneamente rassicurato, l’uomo si fece portare alcune apparecchiature e
applicò gli elettrodi sul torace del paziente, dopodiché diede incarico al
personale di turno di avvertirlo subito nel caso fosse scattato l’allarme. -
Chiamate me, capito? Non il dottor Russell o Kettridge, o qualcun altro, ma il
sottoscritto, è chiaro? - E tornò quasi correndo al pronto soccorso. - Forse
avrei fatto meglio a segnalare quella dannata impronta, accidenti! - imprecò
fra sé e sé.
Trascorse circa un quarto d’ora prima che il paziente si svegliasse di nuovo.
Sulle prime si sentì confuso, non riusciva a capire dove si trovasse, poi mise
a fuoco le pareti di tessuto, i macchinari collegati al suo corpo, e un ansito
gli portò via il respiro. Con un gesto violento si strappò di dosso i cavi e si
alzò dal letto barcollando. Rischiò di cadere contro la candida barriera che lo
separava dal resto del reparto ma con un enorme sforzo di volontà si raddrizzò
e corse via. Vagò come un pazzo per i corridoi finché, come guidato da un faro
invisibile, la trovò. Giaceva pallida e inerte, coperta da un lenzuolo leggero
che pietosamente celava le sue ferite. Si avvicinò ansimando sempre più forte.
Sentiva la sua sofferenza come se fosse la propria, sentiva il suo silenzioso
richiamo, e mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime le sfiorò una guancia
con mano tremante. Per un attimo ebbe l’impressione che si fosse mossa, che
avesse girato il volto verso di lui, ma doveva essersi sbagliato. Era così
immobile... così dolorosamente lontana... Trattenendo a fatica un singhiozzo
spinse indietro il lenzuolo e fece scorrere il palmo dell’altra mano lungo una
coscia sottile, angosciato per gli innumerevoli lividi e le escoriazioni che
spiccavano contro la pelle chiara. Continuò a risalire oltre il fianco
fermandosi poco sotto il seno e focalizzò tutto il suo essere sul tepore che
filtrava attraverso il tessuto dell’abito. - Ti prego... ti prego... - Si curvò
su di lei, il respiro affannoso, lo sguardo fisso sulle folte ciglia scure di
quegli occhi tanto amati. - Ti prego... - sussurrò ancora, e ancora una volta
lei cedette alla sua appassionata richiesta. Le palpebre fremettero e si
alzarono, il corpo si arcuò leggermente sotto quel tocco leggero, un gemito
sommesso sfuggì dalle labbra ceree mentre con fatica le dita raggiungevano e
coprivano la mano poggiata sul torace.
Tremando per lo sforzo il giovane la prese in braccio e si allontanò, alla
disperata ricerca di una via d’uscita.
La ragazza teneva la testa reclinata contro la sua spalla, una mano abbandonata
in grembo e l’altra che dondolava lungo il fianco ad ogni passo che facevano.
Finché, con una certa difficoltà, la sollevò posandola dietro la sua nuca. -
Tu... bruci... - bisbigliò.
Invece di rispondere lui cominciò a correre, mentre gli infermieri lo
inseguivano gridando perché si fermasse.
Ad un tratto Jackson Monroe gli si parò davanti bloccandolo. - Mettila giù!
Avanti, mettila giù prima di farla cadere! - Dal momento in cui lo avevano
chiamato perché tutti i monitor collegati al paziente avevano fatto scattare
l’allarme si era dato da fare per rintracciarlo. E ora era lì, con quella
ragazzina tra le braccia, sul punto di crollare trascinandola con sé. Il che
non sarebbe stato un bene per nessuno dei due, date le loro condizioni. -
Coraggio, lasciala andare... La prendo io, stai tranquillo! Non la faccio
cadere, puoi credermi... -
- No... No! - Con un ultimo sprazzo di energia il giovane si liberò e riprese
la sua fuga, schivando inservienti e agenti della sicurezza. Poi,
inaspettatamente, si ritrovò davanti alle porte aperte di un ascensore. Riuscì
a premere il bottone del pianterreno prima che qualcun altro potesse entrare e
si appoggiò pesantemente contro una parete. - Ce la faremo... Ce la faremo,
vedrai... - disse come per farsi coraggio.
Quando le porte si riaprirono scivolò con cautela all’esterno, controllò che la
strada fosse libera e riprese a correre verso le vetrate scorrevoli
dell’ingresso principale.
- Ehi, fermatelo! Qualcuno fermi quell’uomo! -
La voce stentorea di Monroe fece scattare i poliziotti di guardia, che si
slanciarono verso il fuggiasco.
Sentendosi in trappola, il giovane rafforzò la presa attorno alla figura esile
che si teneva aggrappata a lui e con un’espressione decisa negli occhi lucidi
di febbre affrontò gli uomini che lo separavano dalla libertà.
Nessuno, a cominciare da Monroe, avrebbe potuto immaginare che il giovane
avesse sufficiente forza per sottrarsi a quella caccia, ma fu proprio ciò che
accadde. Sfuggendo per un soffio alle mani tese a bloccarlo, si tuffò
letteralmente verso l’entrata travolgendo due donne e continuò a correre fino
ad aver messo una discreta distanza fra sé e l’ospedale. Allora s’infilò in un
vicolo e cadde sulle ginocchia, i polmoni in fiamme per lo sforzo.
La ragazza abbassò il braccio che gli teneva intorno al collo e lo costrinse a
lasciarla andare poi, un po’ faticosamente, si mise in piedi, la schiena
appoggiata alla ruvida parete dietro di lei. Chinò lo sguardo sulla testa del
giovane, premuta contro il suo stomaco, e coprì con le proprie le mani grandi e
calde con cui lui le cingeva i fianchi nel tentativo di reggersi dritto. - Stai
bruciando... - mormorò desolata.
A quelle parole il giovane abbozzò un sorriso e reclinò indietro il capo fino
ad incontrare i suoi occhi di velluto. Non parlò, ma tornò ad abbassare la
testa posandole la guancia sul ventre e aprì le mani girandole all’insù.
Lei gli afferrò i polsi con tutte le sue forze, cercando di trattenerlo contro
di sé, e con un sospiro che somigliava di più ad un singhiozzo si concentrò
fino a sprofondare nel mistero che era la mente del suo compagno. Sentì
l’energia scorrerle dentro come un fuoco freddo, percepì l’esatto momento in
cui si fuse con lui, e un attimo dopo fu tutto finito. Ma nelle mani, ora, il
giovane teneva due oggetti ovali.
Il suo respiro affannoso, quasi rantolante, la spaventò. Senza mai lasciargli i
polsi si mise lentamente in ginocchio e lo attirò ancor più contro di sé, e lui
posò la fronte nell’incavo del suo collo. Sono qui con te... - disse piano. -
Non ti lascio andare, stai tranquillo... - Scivolò un poco all’indietro
sedendosi sui talloni e trasalì nel sentire il terribile calore che emanava dal
suo corpo. Volse il capo e premette le labbra in un tenero bacio su quei
morbidi capelli ora intrisi di sudore, poi chiuse gli occhi e di nuovo si
lasciò sprofondare nei meandri più nascosti della sua essenza. Quella volta
l’effetto fu quasi immediato. Una bolla di forza psichica nacque dentro di
loro, e con disperata energia la diresse nel petto del giovane, dove esplose
diffondendosi come una ragnatela di luce azzurra. Trovando. Guarendo.
Quando tornò a percepire se stessa come un’entità separata, la ragazza circondò
con entrambe le braccia la sua schiena e lo strinse forte a sé.
Con un lamento soffocato lui si abbandonò a quell’abbraccio lasciando che la
tenerezza cancellasse l’odio e la paura che lo avevano sorretto fino a pochi
momenti prima.
Rimasero così finché la ragazza sentì che si erano entrambi calmati. - Ok,
adesso... adesso dobbiamo andare via di qui... Va meglio, vero? -
- Sì - Non aveva risposto subito, ma poi si era scostato un poco da lei e
l’aveva guardata serio negli occhi. Ti devo la vita - disse in un sussurro.
La giovane donna sorrise prendendogli il volto fra le mani. - Ti amo troppo per
permettere a qualcuno di ucciderti... - Gli sfiorò le labbra con un bacio e
tornò ad abbracciarlo. - Come farei senza di te? - bisbigliò.
Lui infilò le dita nei morbidi capelli che le ricadevano sulla nuca ed aspirò
il suo profumo. - Noi due siamo nati per stare insieme. Per questo non
riusciranno mai a separarci... -
La sua voce bassa, roca, risuonò sensuale nell’orecchio della ragazza, che
rabbrividì. Di piacere e ansia. No, non sarebbero mai riusciti a separarli, ma
a volte ci andavano terribilmente vicino! Sentì improvviso il bisogno della
conferma che stesse davvero bene e si sciolse dall’abbraccio per poter
controllare coi propri occhi che non ci fosse più alcuna traccia dell’impronta
d’argento. Con mano tremante scostò i lembi della camicia e toccò il petto
liscio e abbronzato. Il sollievo che provò nel constatare la totale assenza di
segni luminosi le fece quasi girare la testa. - Bene... - Cercò di scherzare. -
Solo io posso far brillare la tua pelle... Tirò su col naso e si asciugò una
lacrima solitaria. - Solo io... - ripeté in un soffio curvandosi a baciarlo sul
cuore.
Lui le accarezzò il collo, poi, di colpo, si irrigidì. Le labbra della ragazza
avevano cominciato a tracciare umidi sentieri ovunque, sul suo torace,
insistendo nei punti più sensibili. Provò uno sconvolgente senso di perdita
quando lei interruppe quella lenta esplorazione e sedette di nuovo sui talloni
ripetendo con voce sommessa che dovevano andare via di lì. - Ma prima fa’
qualcosa per i tuoi vestiti, sono ridotti a brandelli... -
La guardò un attimo sconcertato, poi annuì leggermente e si sfiorò la camicia
ripristinando il normale aspetto del tessuto. L’aiutò allora a rialzarsi in
piedi e, tenendola stretta per mano, s’incamminò di nuovo per le strade di
Miami, sempre più affollate man mano che si avvicinavano alla zona alberghiera.
Pur sapendo di essere ormai fuori pericolo non poterono fare a meno di
guardarsi costantemente attorno temendo un attacco improvviso, e ripresero a
respirare con una certa normalità soltanto quando furono nei pressi del loro
hotel.
Dovettero compiere un notevole sforzo per mantenere un passo tranquillo mentre
entravano nella hall, pur sentendosi addosso gli sguardi di tutti.
“Cosa c’è? Non avete mai visto nessuno festeggiare il capodanno fino al giorno
dopo?!?” pensò lei risentita, passando a testa alta davanti alla reception. Non
era una cosa facile, però, a piedi nudi e coi capelli che le ricadevano in
ciocche disordinate intorno al viso. Sentì le dita del giovane rafforzare la
loro presa, quasi lui avesse compreso il suo disagio. Inghiottì a vuoto un paio
di volte, poi raggiunsero le scale e si affrettarono a salire al primo piano,
dove si trovava la loro stanza.
Non appena furono all’interno dell’ampia camera vennero quasi aggrediti da una
giovane donna. - Max! Liz! Ma dove diavolo eravate finiti?!? Quando ho trovato
questi sulla spiaggia mi sono spaventata a morte! - Tese di scatto un braccio
facendo dondolare un paio di eleganti sandali neri col tacco alto. - Ho provato
a stabilire una connessione senza riuscirci! Avete tenuto fuori perfino Jason!
-
- Eravamo impegnati a cercare di rimanere in vita. Non potevamo permetterci
alcuna distrazione... - rispose Max per entrambi.
A quelle parole Isabel impallidì. - Cosa vi è successo? -
- Dove sono i ragazzi? - chiese invece Liz.
- In spiaggia con mio padre e mia madre. Ho detto a tutti che eravate andati a
fare il giro dei locali di questa dannatissima città, e Jason e Shiri mi hanno
tenuto il gioco. Non so se Michael mi abbia creduto, ma a questo punto poco
importa! Allora, si può sapere che cos’avete combinato? -
- Chiama Michael - disse stancamente Max prima di dirigersi verso il bagno
senza mai lasciare andare la mano di Liz. - Torniamo fra un attimo, il tempo di
fare la doccia... -
- Adesso?!? - protestò lei.
Il fratello non rispose e richiuse delicatamente la porta dietro di sé.
Quando tornarono indietro coi capelli bagnati e soltanto l’accappatoio addosso
la ragazza si girò stizzita verso Michael, appena arrivato, con un’espressione
eloquente negli occhi. “Che ti avevo detto?...”
Liz e Max sedettero davanti a loro, sul bordo del letto, e si scambiarono delle
rapide occhiate da cui si poteva facilmente intuire il disagio che provavano. -
Noi... eravamo andati sulla spiaggia per vedere i fuochi d’artificio... -
iniziò a raccontare il giovane.
Dieci ore prima.
Liz socchiuse per un attimo gli occhi, il respiro ancora accelerato, e passò le
dita fra i capelli di Max accarezzandogli gentilmente la nuca. Il giovane
teneva il viso premuto nell’incavo del suo collo, sopraffatto dal piacere che
aveva condiviso con lei, poi, con un certo rimpianto, mosse piano le mani per
tirarle giù il vestito. - Amarti così è il sogno della mia vita, tesoro... -
bisbigliò toccandole la pelle con le labbra tiepide.
La ragazza sorrise. - Oserei dire che sei quasi monotono... Ieri mi hai detto
più o meno la stessa cosa... -
- Perché è quello che provo in ogni momento. - Si sollevò un poco sui gomiti e
le sfiorò le labbra con un bacio. - Non riesco a stancarmi di dirtelo -
- Né io di ascoltarlo. - confessò lei alzando la testa per ricambiargli il
bacio, poi gli tirò su la cerniera indugiando in una provocante carezza che lo
fece tremare. - Sarebbe bello restare qui ma forse è il caso di rientrare. I
tuoi sono stati fin troppo gentili a tenere Claudia e Ethan fino adesso... -
- E tu vorresti svegliarli a quest’ora per riprendere i bambini?! Tanto vale
lasciarglieli per l’intera notte! - Max ricadde su di lei facendole sentire
tutta la sua eccitazione e Liz lo abbracciò ridendo. - Hai ragione, credo... -
Fece per baciarlo quando una colonna di luce sembrò materializzarsi dal nulla
unendo mare e cielo. - Max! -
Nell’udire il suo grido soffocato il giovane comprese che qualcosa non andava e
accennò a voltarsi ma non ne ebbe il tempo. La colonna luminosa si era spostata
su di loro avvolgendoli in un campo di forza.
L’alieno sospinse con violenza Liz lontano da sé per impedire che venisse
trascinata via insieme a lui ma la ragazza si gettò in avanti e lo afferrò per
il braccio. - No! Con te, sempre! - lo implorò lasciando che la luce bluastra
la inghiottisse di nuovo. - Con te... - bisbigliò abbracciandolo stretto.
L’energia che li teneva prigionieri era di un’intensità spaventosa e impiegò
solo pochi istanti per condurli a destinazione. Un luogo freddo e desolato
avvolto nella penombra, che fece rabbrividire Liz. - Sembra... un sepolcro -
sussurrò tesa. “Il nostro?” si chiese con angoscia. - Dove siamo, secondo te? -
domandò sotttovoce voltandosi a guardare Max mentre, quasi senza rendersene
conto, poggiava un piede sopra l’altro per limitare al massimo il contatto col
pavimento gelido.
- Non ne ho idea. Però non sembra un’astronave. E’... troppo grande... - Il
giovane avanzò di qualche passo cercando di capire in che razza di posto
fossero finiti e Liz, colta alla sprovvista, inciampò nei propri piedi. -
Scusa! - bisbigliò imbarazzata. Max le sorrise, un piccolo sorriso veloce, che
la fece comunque sentire un po’ meglio.
All’improvviso l’ambiente si animò. Una violenta luce bianca venne concentrata
su di loro accecandoli momentaneamente, e quando tornarono a vedere scoprirono
di non essere più soli.
- I signori di Antar! L’informazione era giusta, dunque... Certo, avrei
preferito la famiglia reale al completo, ma bisogna imparare ad accontentarsi.
Sempre meglio di niente, giusto? Zan e la sua regina sono comunque una gran
bella preda... La preda per eccellenza, oserei dire... - La figura avanzò di
qualche passo divenendo ben visibile. Un uomo alto e robusto, dai capelli e gli
occhi neri come il carbone, vestito di un completo dal chiaro taglio militare.
Parlava con tono basso e vibrante, in cui si avvertiva vagamente l’accento
delle estreme terre settentrionali della regione dove sorgeva Antar, la
capitale del pianeta.
Liz si pietrificò per la sorpresa, mentre Max si eresse in tutta la sua statura
e lo fissò con gelido disprezzo. Nell’attimo stesso in cui aveva udito la
familiare cadenza della pronuncia dell’uomo la sua mente aveva lasciato il
posto all’entità aliena che era stata Zan di Antar, cominciando ad assorbire ed
elaborare ogni dettaglio di quel nuovo sviluppo della situazione.
Al suo fianco, Liz si rese immediatamente conto della differenza. Quando era
Zan, a prevalere, dal giovane sembrava quasi emanare un senso di freddo
distacco che a volte la spaventava. Sapeva che, anche quando l’essenza di Max
veniva relegata in un angolino remoto, i suoi sentimenti per lei rimanevano
immutati, eppure non poteva fare a meno di sentire la mancanza del profondo
calore umano del ragazzo che a sedici anni l’aveva strappata alla morte. Zan
era fin troppo consapevole dell’estrema complessità dell’essere signore di un
intero pianeta per potersi permettere il minimo cedimento, la minima
distrazione. In molti erano caduti per la salvezza di Antar, e lui doveva far
ricorso a tutto quello che aveva per cercare di difendere ciò che era stato
pagato a caro prezzo. Max doveva cedere il passo a Zan, e lei non poteva che
accettarlo. Perché anche quello era uno degli aspetti che rendevano il suo
compagno l’uomo meraviglioso che amava con ogni fibra del suo essere.
E Zan non aveva avuto nessuna difficoltà a comprendere l’origine di
quell’attacco. Alcune delle grandi famiglie di Antar che, per meri interessi
economici, avevano stretto sotterranee alleanze con Volnis quando questi aveva
dato il via alla sua subdola guerra di conquista, risiedevano nel nord di
Kèyra, il continente su cui si trovava la capitale. Il leggero accento
dell’uomo che li aveva catturati lo aveva fatto pensare subito a quelle
alleanze: evidentemente non tutti avevano accettato di buon grado
l’estromissione del defunto presidente di Zoltar, e adesso volevano eliminare
lui. Dopo, avrebbero dato la caccia anche ai suoi figli, a Isabel e a Michael,
perché soltanto così avrebbero avuto la certezza dell’impunità. Il Consiglio
non sarebbe rimasto a guardare senza reagire, e a quel punto Antar sarebbe
piombato in un caos spaventoso da cui nessuno, più, avrebbe potuto
risollevarlo. Ma ciò che non poteva permettere in assoluto, quello che doveva
combattere con tutte le sue forze, era l’attacco a Liz. L’altra parte di sé. Le
mise una mano sulla spalla attirandola con dolce fermezza contro il proprio
fianco. Stammi vicino, mi raccomando! - mormorò in inglese a fior di labbra.
Lei lo guardò di sfuggita, l’attenzione concentrata sul gruppo davanti a loro.
“Puoi contarci...” pensò, il cuore che le batteva furiosamente e la gola secca.
L’uomo che aveva parlato fece un piccolo gesto con la mano e quattro soldati si
fecero avanti per prendere Liz e Max. Quest’ultimo, prima ancora che qualcuno
potesse solo sfiorare la ragazza, tese in avanti il braccio libero e proiettò
uno scudo di energia costringendo il drappello ad una pronta ritirata.
- Vorrei farle notare, Altezza, che siete in due contro l’intero contingente di
questa base. Le conviene arrendersi senza fare storie -
Max/Zan si limitò ad ampliare la circonferenza dello scudo mentre scrutava
attento tutto intorno a sé, prendendo nota di ogni particolare che potesse
essergli utile. Vero, erano soli e circondati da nemici, ma non appena avesse
scoperto dove si trovava il comando dell’impianto di controllo dei sistemi di
energia avrebbe potuto sfruttarlo a proprio vantaggio. Non voleva distruggere
la base e causare la morte di tutti i suoi occupanti, ma non intendeva neppure
consentire a quella gente di fare del male a Liz e ai sui familiari e amici.
“Quello che cerco non è qui, e non ci sono indicazioni che possano aiutarmi...
Dobbiamo muoverci.” Tolse la mano dalla spalla della ragazza e l’afferrò per il
gomito girandosi impercettibilmente di lato mentre faceva dissolvere il campo
di energia che li proteggeva.
Liz afferrò al volo le sue intenzioni slanciandosi senza esitare verso la
parete dietro di loro.
Mentre il comandante dava immediati ordini ai suoi uomini Zan diresse una sfera
di luce bianca contro la parete, che si squarciò nel centro lasciando spazio
sufficiente per passare oltre.
Inseguiti da presso i due non ebbero il tempo di fermarsi per studiare
l’ambiente in cui si trovavano e continuarono a correre per gli ampi corridoi
semideserti finché andarono quasi a scontrarsi con un manipolo di altri
soldati. Zan lanciò un’imprecazione sommessa poi, incurante delle conseguenze,
proiettò un piccolo sciame di globi luminosi che esplosero causando danni di
varia entità a persone e cose.
Senza fermarsi a controllare il risultato del suo attacco il giovane riprese a
correre trascinandosi dietro Liz, costretta a piegarsi di frequente per evitare
il fuoco avversario.
Più di una volta furono colpiti di striscio dai detriti causati dai proiettili
sparati contro di loro, e ben presto le braccia nude della ragazza si coprirono
di graffi e tagli. Ad un certo punto Zan rallentò il passo cercando di sfilarsi
la giacca per darla a lei perché le fornisse un minimo di protezione, ma poco
mancò che venissero raggiunti e così dovette rinunciare.
All’improvviso si ritrovarono in un’enorme sala piena di uomini in completo
assetto da battaglia e si fermarono di colpo, il respiro ansante ed una luce
disperata nello sguardo.
- E adesso? - bisbigliò Liz.
Ancor prima che Zan potesse rispondere un lampo di luce li scaraventò con
violenza contro i soldati che li fronteggiavano e mani dure come roccia si
impadronirono di loro separandoli.
- Noooo! - Il giovane si divincolò con rabbia cercando di raggiungere Liz, che
giaceva svenuta contro il braccio di un uomo che la teneva solidamente stretta
a sé. Era quasi riuscito a farcela quando venne colpito alla testa dalla canna
di un fucile ad energia e crollò a terra di schianto. Non perse i sensi ma, per
alcuni preziosi secondi, la vista gli si oscurò e quando riuscì a mettere di
nuovo a fuoco le immagini si rese conto di essere tenuto sotto tiro da più
gente di quanta ne avrebbe potuta eliminare con i suoi poteri, a meno che non
decidesse di far saltare in aria l’intera base, e quindi causare lui stesso la
morte di Liz... Lentamente si rialzò in piedi e fissò con aria di sfida i due
soldati che si erano avvicinati per prenderlo.
- Non lasciatevi incantare da lui... dall’aura di leggenda che lo circonda... -
disse una voce ironica, che Zan riconobbe come quella del comandante. Il
giovane serrò i pugni e spostò l’attenzione su Liz, che stava riprendendo
conoscenza.
- Il re di Antar possiede il segreto dei graniliti, ma è prima di tutto un
essere... come dire... umano... - Con una risatina maligna avanzò fino ad
osservare il volto impolverato e con tracce di sangue di Zan. Prendete sua
moglie, e sarà in vostro completo potere... - Accennò alla ragazza prigioniera,
e il soldato che l’aveva in custodia serrò la presa facendola gemere di dolore.
Zan impallidì per la furia e scattò in avanti ma venne immediatamente bloccato.
In maniera del tutto inaspettata l’uomo diede ordine al guardiano di Liz di
lasciarla andare. Sorpresa, lei barcollò un poco prima di riuscire a recuperare
l’equilibrio ma poi si riprese e fece un passo in direzione del suo compagno.
- No, signora, questo non posso permetterglielo! - L’antariano l’afferrò con
malagrazia per il gomito e la sospinse di lato così forte da farla cadere a
terra.
Trattenendo a stento un grido di sofferenza Liz si raddrizzò faticosamente.
Doveva avere delle costole incrinate perché respirare le faceva un male
terribile ma, con fredda determinazione, volse lo sguardo a Max, una muta
domanda nelle sue iridi vellutate.
Lui ricambiò l’occhiata con fare inespressivo. “Mi spiace, amore, non so
cos’abbia in mente... Ma approfitta di questa occasione! Corri! Va’ via! Cerca
un posto sicuro e concentrati su Jason! Lui ti riporterà a casa...”
La ragazza ansimò nel percepire il suo pensiero. “No, non ti lascio! Non posso
farlo!”
- Vai! - gridò allora Zan.
Disperata, Liz si guardò intorno cercando qualcosa che potesse aiutarla a
liberare Max e se stessa ma trovò soltanto visi duri e chiusi, che la
scrutavano senza pietà. Allora cominciò a indietreggiare, non sapendo bene cosa
fare, dove andare, finché un uomo la strattonò gettandola di nuovo a terra.
- Sei ancora qui, signora di Antar? Hai perso la tua occasione... -
Non appena il comandante ebbe pronunciato quelle parole alcuni soldati
cominciarono a percuotere la ragazza con le canne delle loro armi e Zan, pazzo
di odio, lanciò un urlo e gli si scagliò contro, ma l’uomo, con un ghigno
malvagio, si volse verso di lui e gli premette una mano sul petto.
Un dolore atroce gli ghermì il cuore prima di diffondersi in tutto il torace, e
sapendo di lottare per la sua vita cercò di sollevare le braccia nel tentativo
di strapparsi di dosso quella mano.
Nel vedere ciò che il loro aguzzino stava facendo a Max Liz emise un gemito e
perse il controllo di sé. No, maledetto! - Fece leva sulle braccia e sulle
gambe, senza più sentire i colpi che continuavano a ferirla, e si gettò in
avanti per aiutare il giovane a sottrarsi alla presa. - Basta! - gridò. -
Lascialo andare! - Un chiarore dorato apparve sotto le sue dita e una potente
quanto inattesa scarica di energia ridusse in cenere il comandante.
Sbigottiti, i soldati rimasero per alcuni preziosi attimi a fissare il
mucchietto di polvere ai piedi dei reali, che ne approfittarono per fuggire.
Zan cercava di non pesare troppo sulla sua compagna e si sforzava di recuperare
abbastanza lucidità da capire se stessero andando nella giusta direzione, poi
dovette fermarsi per riprendere fiato. - Io... non sono del tutto sicuro...
Credo... credo che dovremmo andare da quella parte... - e con un piccolo
movimento del capo indicò verso sinistra.
Il corpo un unico grumo di dolore, Liz si morse le labbra e annuì speranzosa. -
D’accordo... - disse con un filo di voce.
- Come va? -
- Insomma... - La ragazza cercò di sorridergli ma si sentiva mortalmente
stanca. - E tu? -
- Insomma... - Zan le sfiorò il volto con una leggera carezza. - Prima o poi
riusciremo a trovare quei comandi... - sussurrò.
- Lo so - Lo guardò con l’incrollabile fiducia che aveva sempre riposto in lui,
finché la sua attenzione venne attirata dal debole luccichìo fra gli strappi
della camicia. In preda ad un improvviso sgomento fece per scostargli i lembi
di tessuto ma lui le bloccò il polso a mezz’aria. - E’ tutto a posto - disse un
po’ rudemente.
- Quell’uomo era un mutaforma! Ti ha toccato come... come faceva Nasedo per
uccidere! -
- Grazie a te sono riuscito a liberarmi di lui prima che fosse troppo tardi. Va
tutto bene, Liz, stai tranquilla! -
La ragazza lo fissò scuotendo leggermente il capo. - No, non va tutto bene...
Tu stai male... -
Il giovane fece una smorfia. - E’ inutile parlarne adesso. -
- Hai ragione. Prima dobbiamo metterci in salvo... -
Senza ribattere Zan si avviò di nuovo per i labirintici corridoi di quella
enorme base, un po’ correndo un po’ camminando, e alla fine si ritrovò davanti
l’accesso alla sala di controllo. - Ci siamo! - Socchiuse gli occhi. - Non è
vuota - disse con voce tesa.
- C’era da aspettarselo... - borbottò Liz avvicinandoglisi. Un pensiero
improvviso le fece corrugare la fronte. - Max, prima... -
- Cosa? -
In fretta, quasi timorosa, lei continuò: - Quando il mutaforma ti ha
attaccato... io... non so, ho avuto come l’impressione di... - Scosse la testa
quasi a voler sottolineare l’irrilevanza di quello che aveva confusamente
accennato, incapace di trovare le parole giuste per spiegarsi. - Mi è sembrato
di sentire il flusso di energia scorrere da te a me... e poi... - Ancora una
volta le vennero meno le parole.
Il giovane fece un mezzo giro su se stesso per fronteggiarla. - Sì, forse -
disse semplicemente.
Lei spalancò un poco gli occhi, sorpresa perché, nonostante tutto, aveva
capito. E ancora di più perché sembrava confermare i suoi sospetti.
Zan le pose una mano sulla guancia e si chinò a baciarla.
Con un sospiro Liz gli passò un braccio intorno alla vita abbandonandosi per un
attimo contro di lui, che si raddrizzò e fece scivolare la mano libera lungo la
sua schiena fino ai glutei sodi. - Adoro questo vestito... - bisbigliò con un
piccolo sorriso.
Liz sollevò un poco le sopracciglia mordicchiandosi il labbro inferiore, la
bocca delicatamente incurvata all’insù in un’adorabile smorfietta che, sempre,
aveva il potere di accelerare i battiti del cuore dell’alieno.
Rimasero a guardarsi negli occhi per un secondo lungo un’eternità, poi Zan si
scosse. - Pronta? - le chiese stringendole forte le dita.
- Veramente no, ma... non abbiamo molta scelta... - Ricambiò la stretta e,
cercando di farsi coraggio, fece un profondo respiro e lo seguì oltre la
pesante porta blindata dietro la quale si trovava, forse, la loro libertà.
Sotto la spinta della scarica di energia emanata dalla mano del giovane, il
doppio battente si spalancò verso l’interno.
La stanza non era molto grande, un’intera parete era ricoperta di monitor e
quadranti, e cinque uomini dall’aspetto minaccioso stavano a guardia di quello
che aveva tutta l’aria di essere un tavolo di controllo.
Liz sbiancò. “Perché, mio dio? Perché tutto questo?” pensò disperata.
Poi, inaspettatamente, un sesto uomo si fece avanti superando gli altri soldati
e scattò sull’attenti portandosi una mano al cuore. - Altezza, mia signora, vi
stavo aspettando. Mi occorrono solo pochi secondi per attivare il sistema di
trasferimento... - Abbassò la mano indicando i pannelli alle sue spalle, su cui
occhieggiavano pulsanti variamente colorati. Davanti allo sguardo indagatore di
Zan arrossì un poco. - Io sono fedele alla famiglia reale, Altezza, e farò
tutto quanto è in mio potere per aiutarvi a fuggire. Il comandante era ai
diretti ordini di Jender Khar e aveva dato disposizioni per la vostra
soppressione. Il mio incarico consisteva nel tenere d’occhio la sala di comando
- Dal suo tono il giovane dedusse come, in realtà, l’ufficiale avesse fatto in
modo di essere assegnato a quel settore e sentì un barlume di speranza
nascergli nel cuore.
Mentre parlava, uno dei due tecnici di turno aveva avviato le procedure di
controllo dell’energia sotto l’attenta supervisione di un militare.
- Prego, Altezze, potete prendere posizione lì - L’ufficiale indicò un punto
sul pavimento, in corrispondenza delle coordinate predisposte per la colonna di
energia.
Mentre Zan si spostava come suggerito, sempre stringendo forte la mano di Liz,
un rumore di passi rapidi e voci concitate si avvicinò sempre di più fino ad
arrestarsi proprio davanti all’ingresso della sala.
- Eccoli! Fuoco! -
- Altezza, ci siamo! E’ tutto pronto! -
Nonostante il grido di avvertimento Zan si fermò girandosi per fronteggiare i
militari che stavano entrando sotto la protezione di un piccolo inferno di
raggi al plasma. Istintivamente aprì la mano ed apparve uno scudo di luce
verde. - Vai, Liz! Voglio che tu vada via! Per una volta fai come ti dico, per
favore! - esclamò senza voltarsi.
- Non ci penso nemmeno! - fu la pronta risposta della ragazza, incurante sia
del tono imperioso di Zan sia delle sollecitazioni dell’ufficiale dietro di
lei. - Attento! - Si protese ad afferrare il polso del marito spingendolo di
lato per difenderlo da un raggio luminoso ma in q uesto modo espose se stessa
al fuoco nemico.
- Mia signora! - Un soldato si slanciò verso Liz sparando all’impazzata e lei,
nel vedere due uomini cadere davanti a sé, emise un gemito di orrore.
- Mia signora, la colonna di energia è regolata per riportarvi nello stesso
posto in cui siete stati prelevati: deve fare soltanto pochi passi indietro! -
Liz fece per protestare quando avvertì, più che sentire, il proprio nome
pronunciato con tono supplice da Zan.
- Liz, vai... Io... non ce la faccio più... - Un’espressione triste sul
bellissimo volto madido di sudore, il giovane scivolò a terra senza avere la
forza di aggiungere altro.
La ragazza si chinò disperata su di lui, subito imitata dal soldato che l’aveva
protetta pochi attimi prima. Max!... -
- Ci penso io, mia signora! La prego, mi segua! - L’uomo si rialzò e, afferrato
Zan per le spalle, prese a trascinarlo fino al punto in cui la colonna di
energia scintillava turbinando su se stessa.
Liz riuscì a fare solo un passo prima di sentirsi agguantare con forza ad una
caviglia. Gridò spaventata mentre cadeva battendo violentemente il busto. Pur
stordita dal dolore alle costole incrinate tentò di sottrarsi alla stretta
scalciando come una forsennata ma l’uomo che l’aveva placcata prese a risalire
lungo la sua gamba affondando crudelmente le dita nella carne morbida.
Non appena si rese conto di quello che stava succedendo l’ufficiale si affrettò
a deporre il corpo inerte di Max all’interno del campo luminoso e tornò
indietro per dare un colpo di taglio con la mano alla gola dell’assalitore. -
Come osi, verme?! -
Il soldato si accasciò con un sordo gorgoglìo, la trachea sfondata.
Troppo sconvolta per riuscire a concentrarsi su qualsiasi altra cosa che non
fosse l’urgenza di portare in salvo il marito, la ragazza si rimise in piedi e
fece per correre verso la colonna ma poi, sfidando i colpi degli attaccanti,
s’immobilizzò. - Grazie! Ma... cosa farete, ora? - chiese angosciata.
- Non ero al corrente delle intenzioni del comandante, e adesso bisogna che
qualcuno lo faccia sapere al Consiglio. Khar dev’essere fermato! -
Liz annuì con le lacrime agli occhi. Sì, Jender Khar era un pericolo mortale
per tutti loro...
- Vada da lui, mia signora. Qui ci pensiamo noi - L’uomo scattò sull’attenti, e
proprio in quel momento un proiettile lo ferì al braccio. - Presto! Dewi,
tienti pronto! -
Ma il militare che teneva d’occhio il tecnico addetto ai comandi non aveva
bisogno di essere sollecitato. Dividendo la propria attenzione fra la colonna
di energia e la tastiera, appena vide il suo superiore sospingere con fermezza
la regina di Antar all’interno del cerchio di luce blu schiacciò in rapida
sequenza cinque pulsanti e i reali scomparvero.
Nello stesso momento una raffica di raggi al plasma colpì Dewi e l’ufficiale
alle gambe. Quest’ultimo si curvò a recuperare un mitra sfuggito ad uno dei
soldati caduti e sparò con impressionante precisione ma non poté impedire che
gli altri uomini ancora vivi rimasti ai suoi ordini venissero uccisi. In preda
ad una gelida collera guardò il vicecomandante farsi largo tra i cadaveri con
un ghigno di sprezzo sul viso scarno.
- Ha fallito, giovane idiota. Zan e sua moglie saranno fatti fuori, e lei non
potrà impedirlo -
L’ufficiale rimase in silenzio mentre l’uomo continuava ad avanzare, ma le sue
dita trasmisero un segnale al fedele Dewi il quale, stando attento a non farsi
scorgere da nessuno, programmò di nuovo la colonna secondo le indicazioni
ricevute. Dopodiché si tuffò verso l’ufficiale e con lui si dissolse in un
bagliore di scintille di energia.
Il vicecomandante ebbe uno scatto d’ira. In quel modo i suoi piani, e quelli di
Khar, sarebbero falliti e lui non poteva assolutamente permetterlo! Si
precipitò al tavolo di controllo e diede una rapida occhiata ai monitor.
“Maledetti bastardi! Sono tornati su Antar!” Cercò di modificare i codici di
traiettoria ma era ormai troppo tardi: i due militari erano già arrivati a
destinazione. Imprecando sottovoce si chinò sui comandi per mandare un
messaggio all’aristocratico e non si accorse subito del sommesso rombo che
aveva coperto i segnali elettronici della delicata apparecchiatura davanti a
lui. Quando se ne rese conto si volse di scatto e rimase inorridito a fissare
le due estremità della colonna di energia, ormai prossime a sovrapporsi.
“Maledetti bastardi...” ripeté fra sé. Poi, una spaventosa esplosione distrusse
completamente la base.
A diverse centinaia di miglia di distanza, al centro aerospaziale di Cape
Canaveral, i sistemi di allarme registrarono una tempesta elettronica di
violenza inaudita con origine nelle profondità marine dell’arcipelago delle
isole Bermuda.
Isabel chinò la testa nel cavo della mano ed emise un sospiro sconfortato. -
Tutto questo è assurdo... -
Stringendosi al petto Liz, Max guardò la sorella. - Bisognerà controllare come
vanno le cose su Antar. La famiglia Khar è molto in vista e potrebbe creare
gravi problemi al Consiglio. Se davvero si sta dando da fare per eliminarci
deve avere agganci molto solidi e ramificati nell’intero sistema di potere del
pianeta. Credo che dovrò fare qualcosa in proposito, e molto presto. -
- Da solo? - indagò la giovane donna, sospettosa.
- Isabel, tu stai per avere una figlia, e Michael deve occuparsi di Maria e
Mathias - fu la ferma risposta di Max.
- Scòrdatelo - Michael scosse deciso la testa. - Non andrai da nessuna parte
senza di me, è chiaro? -
Il ragazzo sorrise suo malgrado. - Mi sembra di sentire Liz... - Depose un
bacio sulla fronte della moglie e le passò una mano fra i capelli. - E’...
successo qualcosa, mentre eravamo in quella base... - Chiuse gli occhi,
riandando col pensiero a quei drammatici eventi. - Liz... è entrata in
connessione con me e... ha usato i miei poteri. -
- Che cosa?!? - esclamarono Isabel e Michael all’unisono.
A disagio, Liz si girò a guardare i suoi amici. - Io... non so con esattezza
come ho fatto, ma... ho percepito l’energia presente nel suo cervello, l’ho...
fatta fluire... dentro di me e l’ho usata per fare quello che... quello che
dovevo fare... Confesso di avere un po’ paura... -
- Beh, mi sembra normale, direi... - Michael cominciò a passeggiare avanti e
indietro. - E’ semplicemente pazzesco... -
- Il fatto è che Max è dovuto intervenire più di una volta su di te, Liz, e poi
hai avuto tre gravidanze. Sapevamo già che tutto questo ti aveva cambiata, in
qualche modo, ma a quanto pare non avevamo capito fino a che punto... -
commentò Isabel studiando pensosa la cognata.
- L’importante è che tu sia in grado di controllare l’energia. Puoi farlo? -
Liz sollevò lo sguardo sul giovane. - Non ne ho idea. In realtà... è stata una
cosa istintiva. Il comandante della base stava per uccidere Max, ed io gli ho
afferrato il braccio pensando solo ad allontanarlo da lui... -
Michael la scrutò perplesso. - Sei sicura di aver avuto una qualche parte
nell’uso dei poteri di Max? Voglio dire, magari hai solo creduto di farlo
mentre in realtà è stato lui stesso a... -
La ragazza scosse piano la testa. - No - lo interruppe - io l’ho sentita. Ho
sentito l’energia scorrere dentro di me... E’ stata una sensazione...
stranissima... Allo stesso tempo esaltante e spaventosa... -
Sentendo il corpo di Liz tremare impercettibilmente Max le accarezzò la nuca
irrigidita per la tensione. Vi spiace se riprendiamo il discorso un’altra
volta? Adesso vorremmo andare a vedere i ragazzi -
Isabel fece per protestare, l’intera faccenda era troppo importante per
lasciarla cadere così, ma poi si rese conto dell’intima stanchezza del fratello
e di sua moglie. - Certo, hai ragione. Allora... vi aspettiamo in spiaggia... -
Rimasti soli, Max sistemò Liz sulle proprie gambe e si premette gentilmente il
suo capo contro la spalla. Io vorrei poterti promettere che non accadrà più...
che non sarai costretta ad affrontare altre situazioni del genere, ma non
posso. - Fece un mesto sorriso e la strinse a sé - Antar e la Terra hanno molte
cose in comune, tutto sommato... -
La giovane gli passò le braccia intorno al collo. - Questo non mi fa sentire
meglio - mormorò, la voce soffocata dalla morbida spugna dell’accappatoio.
- Lo so. - Per l’ennesima volta Max si maledisse per averla coinvolta nella
propria vita, esponendola così a rischi continui, ciononostante non riusciva ad
immaginarsi senza di lei. Non dopo aver conosciuto l’appassionata forza della
sua anima, la dolcissima resa di quel corpo assolutamente perfetto... - Mi
dispiace - Non riuscì a trattenersi dal dirlo, anche se sapeva che lei odiava
sentire quelle parole. E prima che potesse protestare la baciò sulla testa. -
Shh, è vero, mi dispiace - ripeté, - ma ti ringrazio per avermi scelto come
compagno. -
A quelle parole lei si calmò quasi per incanto. - Così va meglio... - disse
sollevando gli occhi scuri ad incontrare i suoi. Gli prese il volto fra le mani
e lo attirò verso di sé per baciarlo.
La bocca di Liz era dolce e decisa, e Max si arrese senza condizioni.
- Liz! - Maria sorrise sollevata nel vedere l’amica. - Cominciavo a
preoccuparmi, sai? D’amore si può morire, non te l’ha mai detto nessuno? -
- Maria, ma che sciocchezze vai dicendo? - esclamò Liz chinandosi a prendere in
braccio Ethan. - Eccolo, il mio angioletto!... - Baciò il bimbo sulla punta del
naso, evitando accuratamente di guardare verso Max.
- Vieni, andiamo a fare una passeggiata. - Senza attendere la risposta Maria si
incamminò in direzione della riva mentre Liz, dopo essersi chinata a dare un
bacio sulla soffice guancia di Claudia intenta a giocare con la sabbia insieme
a Shiri, accarezzava con tenerezza il viso della figlia maggiore. - Tutto bene,
tesoro? -
- Sì, mamma, è tutto a posto. Sono contenta di rivedere te e papà... -
Liz sentì gli occhi riempirlesi di lacrime. Aveva rischiato di non vederla più,
di non poterle più dire... - Ti voglio tanto bene... - mormorò.
Shiri si sollevò in ginocchio e l’abbracciò. - Anch’io, mamma -
Liz andò poi accanto a Jason e lo strinse per un attimo a sé. Il ragazzino
emise un impercettibile sospiro di sollievo. Con la discrezione che era
diventata una seconda natura per lui aveva provato ad intervalli regolari a
sfiorare la mente dei genitori, riuscendovi per la prima volta poco meno di
un’ora prima. Sapeva quindi che non correvano più alcun pericolo, ma vederli,
constatare di persona che erano vivi, era tutta un’altra cosa. Sorrise sentendo
le braccia forti di Max circondarlo da dietro e reclinò la testa di lato. Pensi
che potremo fare il bagno insieme, oggi? - chiese distogliendo lo sguardo dalla
madre.
Il giovane rafforzò la stretta dandogli allo stesso tempo un piccolo bacio
sulla tempia. - Certo, coniglietto! Anche subito, se vuoi... -
- Grande! - Il ragazzino si aggrappò ai suoi polsi. - Papà, perché mi chiami
sempre così? -
- Perché sei il mio cucciolo. Non ti piace? -
- Sì - Jason sentì il calore del padre avvolgerlo come una morbida coperta. Lo
adorava, e adorava la madre. Una volta credeva che fosse così per tutti poi, a
scuola, aveva scoperto che le cose erano molto diverse. La maggior parte dei
suoi compagni non aveva una grande confidenza coi genitori, e alcuni li
vedevano addirittura come nemici da combattere. Anche Alexandra, che pure
viveva con la zia dopo la morte dei suoi, gli aveva dato l’impressione di non
aver avuto un buon rapporto con loro...
Con un po’ di rimpianto Liz si allontanò per raggiungere Maria, le braccia
teneramente strette intorno al corpicino tiepido di Ethan.
- Speravi di sfuggirmi, eh? Confessa! - disse subito la ragazza, per poi
concentrarsi sulle piccole dita di Mathias che si erano impadronite di una
ciocca dei suoi lunghi capelli color miele.
- Non dire stupidaggini, Maria. Lo sappiamo benissimo tutte e due che una cosa
del genere non sarebbe possibile... -
- Allora raccontami tutto! E non dirmi che siete andati in giro fino all’alba
per locali, perché non ci credo! Tu non sei il tipo che lascerebbe da soli due
bambini di pochi mesi per spassarsela ballando una notte intera!... -
- Infatti - replicò Liz serrando leggermente le labbra.
Il gesto non sfuggì a Maria, che continuò a stuzzicarla. - Quindi... si è
trattato di sesso!?! Tu e Max avete deciso di iniziare alla grande il nuovo
anno? -
- Non esattamente. Maria, ti rendi conto di quello che stai dicendo? -
- Naturale! Vorresti forse negare che ti piace far l’amore con lui? Liz, fra
tutti e due non saprei proprio decidere chi sia il più affamato!... -
- Ma insomma!!! La vuoi smettere?! - Liz si fermò di colpo e fissò l’amica
seccata e divertita allo stesso tempo. - Non mi pare che fra te e Michael le
cose vadano in maniera molto diversa! -
- In effetti no. Però noi non... -
- Senti, Maria, posso assicurarti che io e Max non abbiamo trascorso la notte
facendo l’amore, anche se devo ammettere che stavamo... ecco... - La ragazza si
impappinò e riprese a camminare. - Beh, volevamo farlo, ma poi ci hanno rapito
e abbiamo rischiato di essere uccisi. Non direi proprio di aver iniziato alla
grande il nuovo anno... -
- Santo cielo, Liz, e me lo dici così? Ah, avevo ragione a non fidarmi di
Michael! Avrei dovuto dar retta al mio istinto... Me lo sentivo che nascondeva
qualcosa! - Guardò preoccupata l’amica. - Ve la siete vista brutta, immagino...
E... sono stati...? -
Liz si limitò ad annuire, e Maria sospirò. - Accidenti... - Deglutì a fatica. -
Devo dedurre che la scelta di quel costume intero non sia casuale? -
Liz annuì di nuovo, lasciandola ancora più sconvolta. Camminarono a lungo in
silenzio, poi Maria riprese a parlare. - Siete tornati stamattina? - chiese.
- Sì. E abbiamo trovato Isabel che ci aspettava in camera. Era furiosa perché
ce n’eravamo andati senza dire niente a nessuno, ma non è stato per nostra
scelta... -
- Già, dubito che abbiate avuto il tempo di lasciare un biglietto di
spiegazioni - La ragazza corrugò la fronte riflettendo. - Hai detto che Isabel
vi stava aspettando... Quindi presumo che, quando se n’è andato senza dirmi
niente, Michael sia venuto da voi, giusto? - E davanti al suo cenno affermativo
proseguì con sicurezza. - Per cui, dal momento in cui Isabel e Michael sono
scesi di nuovo in spiaggia, tu e Max siete rimasti da soli... Mmm... Liz,
cos’avete combinato? Avete cercato di rilassarvi un po’ dopo quello che vi era
successo? - la prese in giro.
- Maria! -
- Stai tranquilla, ti capisco, sai? Con tutte le tensioni cui siamo sottoposte
per colpa loro, il minimo che i nostri maritini possano fare è sollazzarci di
quando in quando, non credi? -
- Senti, sei come una sorella, per me, è vero, però se continui di questo passo
finirò con lo strozzarti con le mie mani! Ti prego, piantala! - Liz cominciava
a sentirsi sinceramente irritata con Maria ma poi, ripensando ai rochi sospiri
di Max sotto di lei, sorrise. - Comunque, sì. Ci siamo... rilassati un po’... -
Il sorriso divenne più aperto, e poco dopo scoppiarono a ridere entrambe.
Diane Evans seguì con lo sguardo le due ragazze fin quando si confusero con gli
altri bagnanti poi tornò a scrutare Max, che nel frattempo era entrato in acqua
insieme ai figli. Jason e Shiri nuotavano lentamente accanto al padre mentre
Claudia, che lanciava gridolini eccitati, si teneva stretta con tutta la forza
delle sue braccia paffutelle al collo del giovane. Un’ombra le velò per un
attimo gli occhi. - Isabel... - disse piano voltandosi verso la ragazza - tu
sai dove hanno trascorso la notte Max e Liz? -
Seduta sulla sabbia con la schiena appoggiata al torace di Morgan Isabel si
irrigidì un poco. Non voleva dare ulteriori preoccupazioni a sua madre, però
non desiderava neppure mentirle. Esitò incerta, scegliendo con cura le parole,
poi annuì. - Sì, Max me lo ha detto. Oddio, non è sceso nei dettagli ma sì, mi
ha spiegato cos’è successo. - Fece un profondo respiro e la fissò dritta negli
occhi. - Hanno avuto dei problemi, che alla fine sono riusciti a risolvere. Non
era loro intenzione stare fuori fino a stamattina - tenne a precisare, nel
timore che la donna giudicasse Max un irresponsabile per essere sparito senza
dire niente a nessuno.
Un brivido gelido corse lungo la schiena di Diane, che automaticamente si volse
a cercare l’appoggio del marito. - Dei... problemi? - chiese con voce sommessa.
- Esatto. Mamma, ti prego, stai tranquilla! Ora è tutto a posto! - Si protese a
carezzarle una mano. - E’ il nostro destino, e nessuno può farci niente... Né
tu, né papà... e neppure Max... -
- Tesoro, ma voi siete... siete i miei figli... Come posso stare tranquilla
quando le vostre vite sono continuamente in pericolo?!? -
- Lo so che è difficile, però... Vedi, fin dalla prima volta in cui siamo
tornati... a casa... ci siamo resi conto che le cose erano molto complesse, più
di quanto avremmo potuto immaginare... E’ un’eredità pesante quella che ha
ricevuto Max, ma si tratta della sua gente... della nostra gente... Non
l’abbandonerà mai, per quanto questo possa rendere complicata la vita di tutti
noi... -
- Tipico di Max, direi. Anzi, del nuovo Max, visto che all’inizio la sua parola
d’ordine era: invisibilità! - sbuffò Michael.
Davanti all’espressione perplessa del padre Isabel lanciò un’occhiataccia
all’amico. - A quel tempo non sapevamo nulla, né chi fossimo né da dove
venissimo, e tutto sommato quella era la cosa migliore che potessimo fare! Ma
una volta scoperta la verità sarebbe stato da vigliacchi fare finta di niente!
-
- Io non intendevo dire di fingere che le cose fossero come prima, però devi
ammettere che da quel momento i guai ci sono piovuti addosso come... come...
Ah, dannazione, come quei maledetti fuochi d’artificio! -
- Miliardi di persone sono state liberate dalla schiavitù. Secondo te non ne è
valsa la pena? - ribatté freddamente lei.
- Non ne sono sicuro - La voce del ragazzo risuonò sarcastica e Isabel lo fissò
scioccata, ma poi vide l’orgoglio nel suo sguardo e gli tirò una manciata di
sabbia. - Michael, sei sempre il solito! -
Diane e Phillip Evans li fissarono allibiti mentre Morgan levava gli occhi al
cielo. - Signori, vi presento la principessa e il grande generale... -
Scritta da Elisa |