Riassunto: Questa
storia, in 22 capitoli, è la seconda di cinque fanfiction collegate tra loro.
Sono passati tre mesi dalla fine di
"Il figlio di nessuno". Nate sta cercando
di adattarsi alla sua nuova vita, cercando di mantenere il segreto su quello
che ha scoperto.
In questa seconda parte c’è forse meno movimento, è una sorta di raccordo
tra la prima fanfiction e la terza, ma impareremo a conoscere meglio i
nostri personaggi, specialmente Nate ed Alyssa e il loro legame, e ne
scopriremo di nuovi...
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: Ogni
riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori
protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.
Capitolo 1
Lei gli arrivava in sogno.
O così lui voleva credere. Diverse volta la settimana una bionda molto
attraente entrava nel subconscio di Nate e a lui piaceva credere che lei gli
stesse veramente facendo visita, che non fosse unito a lei solo con la
fantasia. Naturalmente, qualche volta i suoi sogni erano un po' più sensuali
di altri e lui doveva riconoscere il fatto che questi derivavano solo dai
suoi desideri. Non solo quei sogni erano più sensuali, ma avevano una
esasperante mancanza di dettagli – lui poteva baciarla, ma non poteva
sentirne il sapore. Poteva toccarla, ma non poteva sentirla. E quando lei si
toglieva i vestiti, non riusciva a vedere nessun particolare intimo del suo
corpo – come se la stesse guardando attraverso il filtro opaco di una
telecamera.
La mancanza di tangibilità di quei sogni, portava Nate a credere che
effettivamente derivassero dalla sua immaginazione. Ma altre notti, quando
lei arrivava con decisa chiarezza e lui ne poteva quasi sentire il profumo
quando si risvegliava, era certo che lei era stata lì con i suoi poteri
mentali. Perché, dopo tutto, Alyssa Guerin non era una ragazza normale.
Erano passati tre mesi da quando Nate era tornato a casa da Roswell, New
Mexico. L'inverno era arrivato nel New York occidentale, facendo gelare il
lago Chautauqua, il vento freddo che soffiava dal lago Erie e scaricava la
neve sulla piccola città turistica. Era il momento più tranquillo dell'anno,
quando tutti i turisti se ne erano tornati alle loro case di città, quando i
cottages erano stati chiusi e Chautauqua era popolato solo dai nativi.
Nate aveva sempre amato il cambio di stagione, ma quest'anno la
claustrofobia fu tutt'altro che benvenuta. Faceva del suo meglio per
'comportarsi' normalmente, ma era quasi sempre bloccato in casa o al negozio
di suo padre per ore e senza nulla da fare. Se fosse stata estate, almeno
avrebbe potuto uscire se avesse cominciato a sentirsi a disagio, se avesse
cominciato a sentire che la sciarada si stava risolvendo.
Perché questo era quello che Nate aveva fatto negli ultimi tre mesi –
giocare a sciarada con i suoi genitori. Fino a qualche tempo prima, non
aveva mai nascosto loro nulla; non aveva mai avuto ragioni per mentire. Ma
il suo viaggio a Roswell, aveva cambiato tutto e per sempre. A quanto
sembrava, Nate era un discendente di ibridi alieno/umani, un fatto che
l'aveva quasi fatto uccidere per mano dell'FBI. Meno persone erano a
conoscenza di quel segreto, più sicuro lui sarebbe stato – e questo
includeva anche gli Spencer.
Jonathan e Emma Spencer erano persone semplici, che vivevano una vita di
campagna – ma non erano degli stupidi. Il cambiamento fatto da Nate dopo il
ritorno dal suo viaggio, sarebbe stato evidente anche ai ciechi. Pur essendo
stato da sempre un ragazzo quieto e riservato, ora era scivolato quasi in un
mutismo assoluto. Passava lunghe ore nella sua stanza, chiudendo fuori il
mondo. Lì dentro, non faceva nulla di particolarmente segreto – voleva
semplicemente stare solo.
Seguendo il consiglio di Max, aveva cominciato a correre tutte le mattine,
cosa che aveva sconcertato i suoi genitori, che lo sapevano molto pigro
quando si trattava di ginnastica. Per tutte le scuse ragionevoli che Nate
forniva, c'erano un'altra mezza dozzina di cose che faceva e che
sottolineavano il fatto che qualcosa era cambiato.
L'unica cosa alla quale non poteva sfuggire erano gli incubi. Quando i dolci
sogni di Alyssa Guerin lo rifuggivano, le sue notti erano riempite dall'FBI,
con scariche paralizzanti prodotte da dispositivi elettrici, impiantati
nella sua colonna spinale. Da Annie.
Nate aveva fatto quello che gli aveva suggerito Max – aveva aspettato un
mese, poi aveva detto ai suoi genitori che Annie l'aveva lasciato. Lo feriva
dover dire loro delle menzogne e si sentiva ancora peggio sapendo che il suo
inganno l'avrebbe per di più aiutato a giustificare il suo recente umore
tetro – tutti quelli che hanno problemi di cuore sono tristi, non è così?
Come aveva predetto Max, non ci furono annunci necrologici per la sua ex
fidanzata. Fu come se fosse sparita dalla faccia della terra.
La parte più difficile era stata lasciare la sua fotografia sul comodino
finché non fosse avvenuta la 'rottura'. Era la penitenza di Nate, la sua
punizione per aver mandato Annie a correre nel deserto, ad incontrare il suo
destino.
Tutte le sere, prima di andare a letto, doveva guardare la sua faccia
sorridente, le lentiggini che decoravano il suo naso, il tutto mentre sapeva
che il suo corpo era stato sistemato in un modo di cui non si era nemmeno
curato di avere dettagli.
Non che Annie fosse una santa, Nate lo sapeva. Sapeva che il suo tradimento
avrebbe potuto portare alla morte di tante persone innocenti, persone che
speravano solo di sopravvivere un altro giorno. Però, quello che gli dava
fastidio, era che lui non aveva mai potuto ascoltare la sua versione dei
fatti. A che età suo padre – che Nate ormai presumeva morto – l'aveva
costretta a lavorare per l'FBI? Aveva mai provato dei sentimenti per lui?
Lui non l'avrebbe mai saputo e questo, in sé e per sé, era devastante.
C'erano volte che Nate si chiedeva se aveva fatto bene a tornare all'est.
Una volta arrivato a casa, senza nessuno con il quale poter parlare
veramente, aveva pensato che forse avrebbe potuto fermarsi a Roswell o
trasferirsi a Boston per stare con Max. Naturalmente voltare la schiena ai
suoi genitori, avrebbe significato colpirli al cuore. Ma sentiva che stando
vicino a Max, avrebbe potuto attenuare le sue insicurezze. Qualche volta
Nate si sentiva completamente solo.
E poi, inaspettatamente, era arrivata lei.
Qualche volta era una email, qualche volta una telefonata, o quei sogni
meravigliosi che l'aiutavano a superare una notte agitata. Le sue parole
erano sempre amichevoli e confortanti, non gli rammentavano mai il dolore
che aveva mostrato quando lui l'aveva lasciata, al centro del soggiorno
della casa di sua madre, con un buco nel cuore.
Quando Nate si collegò per leggere la sua posta elettronica, sorrise alla
scoperta che lo spazio virtuale era il suo sistema di comunicazione per
quella sera. Pieno di aspettativa, cliccò sul messaggio, che si aprì davanti
a lui. Fu stupito di scoprire che era una foto di lei, con un vestito
scarlatto, i capelli raccolti sopra la testa ed arricciati, una composizione
di fiori bianchi e rossi fissata al polso. In piedi, dietro di lei, un goffo
adolescente - con un abito scuro e un sorriso idiota. Era andata ad un ballo
– proprio come Nate le aveva detto di fare.
Sotto la foto, c'era una frase-messaggio. Lui pensa di essere IL RE. HA!
Il suo sguardo si posò sulla testa di lei e Nate vide una piccola corona
posata sui suoi capelli. Un sorriso incurvava le sue labbra – era stata
eletta Regina di Natale o qualcosa di simile e il ragazzo nella foto (il suo
cavaliere?) doveva essere stato incoronato come Re. Invece della gelosia,
Nate provò un moto di orgoglio e di felicità … seguito da una fitta di
invidia. Non gelosia, invidia. Invidiava quel goffo teenager che aveva la
sua mano sul polso di Alyssa. Poi si accorse che il messaggio continuava,
così proseguì per leggere il resto.
Vorrei che fossi tu.
Nate si accigliò leggermente. Anche lui l'avrebbe voluto.
Una volta che il dolore per Annie aveva cominciato ad affievolirsi, Nate si
era reso conto che i suoi pensieri – consci ed inconsci – scivolavano su
Alyssa sempre più spesso. Ed era più che pensare a lei, era morire dalla
voglia di lei. Qualche volta, quando non riusciva a dormire, riviveva col
ricordo più e più volte i baci che si erano scambiati, cercando di riportare
alla mente i minimi dettagli – il suo sapore, i piccoli sospiri che faceva.
Ogni volta che sua madre faceva il bucato, il profumo dell'ammorbidente lo
riportava indietro nel tempo, a quella notte che lei aveva trascorso la sua
serata libera a guardare il bucato di Nate che girava nell'asciugatrice,
quando l'aveva baciato per la prima volta. Riusciva a tormentarsi pensando a
lei per ore, e cominciava a chiedersi se Max aveva avuto ragione sui
sentimenti di Alyssa – lui e Alyssa erano fatti l'uno per l'altra.
Chiusa a malavoglia la email di Alyssa, aprì la seguente che era di Liz
Evans. C'era anche una foto, che lo fece scoppiare a ridere. Liz era ora
incinta di cinque mesi e la foto la ritraeva mentre si sosteneva il
pancione, con uno sguardo sconcertato. La settimana precedente c'era una
foto di lei senza scarpe, con una maglietta troppo piccola, accanto ai
fornelli – scalza, incinta e in cucina. Nate stava scoprendo che, anche se
Liz era una professoressa di una boriosa scuola della Ivy League, aveva un
assurdo senso dell'umorismo.
L'espressione di Nate divenne pensierosa, riflettendo sul rapporto che si
era creato tra lui e la moglie di Max. Liz non aveva ragione di essere
gentile con lui, non dopo quello che sua madre le aveva fatto, non dopo che
loro avevano pagato lo scotto della sua esistenza. Ma lei aveva perdonato
tutto, offendo a Nate la sua amicizia e non giudicandolo per la sua
discendenza. Lui sapeva che una parte della sua apertura mentale derivava
dal fatto che Liz amava Max più del suo stesso respiro, ma doveva comunque
essere stato duro per lei essere così benevola con la testimonianza di una
precedente relazione di Max.
Scorrendo la foto di Liz, lesse il suo breve messaggio. Max era partito di
nuovo e lei sperava che sarebbe tornato a Boston in tempo per la nascita del
bambino, tra pochi mesi. Nate sentì un moto di simpatia – doveva essere
difficile sapere che Max poteva essere richiamato in ogni momento, che lei
avrebbe potuto partorire senza la sua presenza. Oh, Nate sapeva che Liz non
sarebbe comunque stata sola – probabilmente sarebbe stata attorniata da più
familiari di quelli che potesse sopportare – ma sapeva anche che l'unica
persona che Liz avrebbe voluto vicina era Max. Nate sperò che Max riuscisse
ad essere presente – nell'interesse di tutti e due.
Appoggiandosi alla spalliera della sedia, Nate sorrise. Sarebbe diventato un
fratello! Vero è che quel bambino avrebbe avuto diciannove anni meno di lui
e Nate aveva pressappoco la stessa età che aveva Max quando era diventato
padre, ma lui era ugualmente eccitato all'idea. Nate non aveva una famiglia
numerosa – non aveva fratelli, solo un paio di cugini che erano molto più
grandi di lui – così non aveva mai avuto la gioia di avere un neonato o un
bambino intorno. Per lui sarebbe stata un'esperienza nuova e non vedeva
l'ora di essere un fratello maggiore.
Mordendosi le labbra, risalì alla foto di Liz, chiedendosi se fosse un
maschio o una femmina. Ovviamente non lo sapeva, ma si chiese se Max avrebbe
invece potuto saperlo grazie ai suoi poteri. Non che a Nate importasse molto
– e lo pensava veramente quando aveva detto che non gli importava cosa
fosse, quanto che fosse suo fratello o sua sorella.
Incapace di resistere alla tentazione, Nate chiuse l'email di Liz e tornò a
quella di Alyssa. Come un ragazzino alla prima cotta, i suoi occhi
brillarono e tutto quello che riuscì a fare fu fissare l'immagine di lei.
Era la perfezione pura e semplice. Gli occhi di Nate si posarono sul suo
viso, su ogni curva, e si ricordò di come fosse morbida la sua pelle. Quei
giorni la desiderava così tanto che cominciò a pentirsi di averle detto di
fermarsi a Roswell, pur sapendo che era stata la scelta migliore. Se ora
fosse stata qui, l'avrebbe presa tra le braccia e non l'avrebbe mai più
lasciata andare.
Immagini di Alyssa nella sua stanza da letto sommersero la mente di Nate e
lui arrossì immediatamente – alcuni dei sogni che faceva su Alyssa erano più
lascivi di quanto poteva immaginare. Certamente, non aveva mai sognato Annie
in quel modo. Forse perché Alyssa sembrava più spontanea di quello che era
stata Annie, nonostante fosse ancora vergine. Forse era perché Alyssa aveva
avuto ragione dicendo che c'era una connessione tra lei e Nate. Tutto quello
che sapeva era che spesso sognava di fare cose con lei che Annie avrebbe
trovato assolutamente disgustose – ma che non gli sembravano tali se fatte
con Alyssa.
Guardando il calendario appeso sulla parete, Nate contò i giorni – tra 33
giorni Alyssa avrebbe compiuto 17 anni; lui ne avrebbe compiuti 19 solo due
mesi dopo. Straziantemente adatto, il compleanno di Alyssa cadeva nel giorno
di San Valentino. Nate ghignò, una quantità di giochi di parole gli ronzava
nella testa su quella coincidenza. Domani sarebbe andato a scegliere un
regalo che le avrebbe mandato per posta, qualcosa di bello e prezioso –
proprio come lo era lei.
Stirandosi, Nate guardò fuori dalla finestra e si rese conto che era sceso
il buio – la sera arrivava presto in quel periodo dell'anno. Tra poco
sarebbe stata ora di cena e lui sapeva che avrebbe dovuto ricostruire la
facciata, tirare fuori Nate l'attore a beneficio dei suoi genitori. In quei
giorni, gli sembrava di fare un grande sacrificio a comportarsi normalmente.
Nate decise di scendere e di sedersi accanto al camino con suo padre, che
senza dubbio stava finendo di leggere il giornale. Da quando Nate era
tornato da Roswell, le piccole passeggiate con Jonathan - a pesca, in barca,
a vedere le partite di hockey della squadra locale – avevano subito un
improvviso arresto. Sapeva che era colpa sua, che la sua necessità si
mantenere le distanze gli aveva rubato il piacere della compagnia di suo
padre. Ma quella sera sentiva il dolore dell'uomo e voleva cercare di
comportarsi normalmente, senza conversazioni filtrate.
Tuttavia, quando fu a metà della scala, capì che la serata non sarebbe stata
differente da quelle degli ultimi tre mesi. Si fermò ed ascoltò
attentamente. Poteva sentire le parole di sua madre, ma solo un mormorio da
parte di suo padre.
"Sono solo preoccupata per lui, Jon." disse Emma. "Non si è mai chiuso così
in se stesso."
La risposta di Jonathan fu corta e inafferrabile.
"Non lo so. Sembra come se ci stia nascondendo qualcosa."
Il cuore di Nate cominciò a battere un po' più forte. Forse doveva solo
entrare, fingendo di non aver sentito nulla …
"Passa un sacco di tempo nella sua stanza." continuò Emma. "I suoi amici non
vengono più – non credo che lui telefoni mai a nessuno. Credo che sia
successo qualcosa, quando era via, qualcosa che non vuole dirci."
Nate deglutì e Jonathan borbotto la sua risposta.
"Si, questo lo so." rispose Emma. "Ma tuo figlio è un cattivo bugiardo, Jon."
A queste parole, Nate dovette appoggiarsi contro la parete, sentendosi preso
in trappola come un coniglio. Aveva pensato di aver fatto un buon lavoro di
copertura, in tutti questi mesi, ma ora si rendeva conto di aver lavorato a
vuoto.
"Bene, non me ne starò seduta a guardarlo svanire davanti ai nostri occhi."
annunciò Emma. "Se non vuole parlare con noi, conosco qualcuno con cui
parlerà. Domani mattina chiamerò Diane Evans."
"Emmie, non puoi agire alle sue spalle in questo modo." replicò Jonathan e
Nate credette che si fosse avvicinato alla scala, perché ora lo sentiva
chiaramente.
"Non vorrei farlo." confessò Emma, con il pianto nella voce. "Ma non so
cos'altro fare, Jon. Non vedi? Ho paura che lo stiamo perdendo … e spero
solo che non l'abbiamo già perso."
Capitolo 2
"Stai calmo, Nate. Rilassati."
La voce di Max arrivava pacata e controllata, dal cellulare di Nate.
Nate aveva guidato lungo il lago per raggiungere il posto appartato dove lui
e Annie si incontravano per avere un po' di intimità. Il suo nuovo furgone
era migliore dell'ultimo che aveva avuto, ma non di molto. Quando era
tornato da Roswell, aveva dato ai suoi genitori la credibilissima scusa che
il vecchio furgone si era guastato e che sarebbe costato di più trainarlo e
ripararlo, piuttosto che abbandonarlo. Ma in realtà, Nate sapeva che ora il
furgone era proprietà del governo degli Stati Uniti, che c'era la
probabilità che una mezza dozzina di scienziati lo stesse passando al
setaccio per raccogliere quante più tracce potevano.
"Non ha chiamato mia madre." Max informò suo figlio.
"Come puoi esserne sicuro?" chiese Nate, guardando uno scoiattolo che
scorazzava sul ramo spoglio di un albero accanto a lui.
"Perché mia madre non sa tenere un segreto." rise Max. "Mi avrebbe già
chiamato. Allora calmati e fai un paio di profondi respiri. Va meglio?"
Max si accigliò, ma per il bene di Max si sforzò di dire un cauto "Si."
"Bene. Ora ascoltami. Sapevamo che sarebbe successo, giusto? Quello che ti è
successo nel New Mexico ti ha cambiato per sempre. Non c'è modo di evitarlo.
I tuoi genitori ti conoscono da sempre – io non avevo dubbi che avrebbero
notato il cambiamento."
Nate si stupì. "E tu mi hai lasciato tornare ugualmente a casa?"
"Io non ti ho lasciato fare proprio niente, Nate. Tu scegli la tua strada –
non devo essere io a dirti cosa devi fare. Inoltre, se tu non fossi tornato
a New York, cosa sarebbe successo? Cosa avrebbero pensato?"
Nate sospirò stancamente. Gli Spencer sarebbero rimasti feriti, all'inizio –
ma in seguito si sarebbero insospettiti. Max aveva ragione – sarebbe stato
peggio. "Cosa pensi che debba fare?"
"Comincia col non avere reazioni eccessive." gli consigliò Max. "Non hai
bisogno di diventare ancora più agitato di quanto già non lo sia. Torna a
casa, smetti di evitarli e cerca di parlare con loro."
"Dovrei dire loro la verità?" Le sopracciglia di Nate si aggrottarono per la
sorpresa.
Dall'altra parte della linea, ci fu una lunga pausa.
"Non voglio dire questo." disse Max alla fine. "Ma un giorno, dovremo
prendere questa decisione. Prima di farlo però, parliamone insieme, okay?"
Nate fece una smorfia. "Credimi, Max. Non lascerò che il gatto esca dal
sacco – non dopo quello che è successo l'ultima volta."
La voce di Max cambiò, passando ad un tono più caldo e meno autoritario.
"Quella volta pensavi di risolvere una situazione difficile. Hai sbagliato.
Tutti possiamo sbagliare. Una volta o l'altra, tutti abbiamo fatto qualcosa
che avrebbe potuto essere potenzialmente disastrosa."
"Si, ma è morta della gente per quello che ho fatto." Il tono di Nate era
cupo, pieno di scuse.
Seguì un'altra pausa. Quando Max parlò, Nate sentì una fitta di rimorso
nella sua voce. "Stai dando per scontate troppe cose, Nate. Non essere così
sicuro che noi non siamo già passati per quello che sei passato tu. Tutti
noi facciamo delle scelte – e qualche volta tutti noi ne paghiamo le
conseguenze."
Nate si guardò le scarpe, bagnate dalla neve appena sciolta. Naturalmente
Max aveva ragione sul fatto che Nate non sapesse tutto quello che c'era da
sapere – e Nate pensò che forse c'erano cose che sarebbe stato meglio che
non sapere.
"Tutto bene?" chiese Max.
"Si." replicò Nate. "Si, sto bene."
"Hai il numero del mio cellulare, se hai bisogno di me."
"Si."
"Nate?"
"Huh?"
"Chiamami a qualsiasi ora, giorno o notte."
Nate fece un lieve sorriso. "Grazie."
"Ora devo lasciarti – devo chiamare la mia ragazza." C'era un sorriso nella
voce di Max che immediatamente richiamò a Nate l'immagine di lui e di Liz al
telefono, senza dubbio entusiasti e sommersi da messaggi d'amore.
"Bene. Ci sentiamo più tardi." Nate chiuse il suo cellulare e lo guardò per
un momento. Devo chiamare la mia ragazza. In effetti, almeno ufficialmente,
lei non era ancora la sua ragazza, ma questo non significava che non poteva
chiamarla, no? Sperando che non fosse al lavoro, spinse velocemente un paio
di bottoni e il numero di Alyssa si compose automaticamente.
"Pronto?" disse lei poco dopo, la sua voce dolce come lo era lei.
"Ciao." disse Nate prudentemente. "Sono Nate."
"Oh, mio Dio! Aspetta un momento."
Nate sollevò un sopracciglio mentre pensava a cosa stesse facendo – correre
all'uscita? Spegnere un incendio? Dare un calcio al Re del Ballo di Natale e
buttarlo fuori dalla porta?
"Okay, eccomi." disse lei senza respiro.
"Va tutto … bene?" chiese lui con cautela.
"Si, tutto bene." Lei fece una risatina sciocca. "Appena ho sentito la tua
voce, il mio cuore è letteralmente balzato, Nate. Mi hai tolto il respiro!"
Un largo sorriso fiorì sul viso di lui, al pensiero che la sua voce aveva
quel potere.
"Mi hai colto di sorpresa." lo accusò allegramente.
"Mi dispiace." disse lui, ancora sorridendo.
"Non dispiacerti. E' … stupendo." Lei ridacchiò ancora. "Allora, cosa c'è?
Hai chiamato solo per farmi venire un infarto?"
Nate rise, sentendosi un po' meglio. "No, stavo solo gironzolando … e mi
annoiavo. Allora ho pensato che potessi essere a casa e magari ti andasse di
parlare un po'."
"Oh, il mio piccolo si annoia." tubò lei, poi rise. "Vorrei sapere cosa si
prova ad annoiarsi."
Nate sentì un colpo allo stomaco. Alyssa era troppo occupata per annoiarsi,
troppo occupata per sentire la sua mancanza.
"Ti stai preoccupando." disse lei. "Posso sentirlo anche da qui."
Nate rise, colto sul fatto. Lei lo conosceva già molto bene.
"Bene. Togliti dalla mente quell'idea assurda. Solo perché sono molto
occupata, non vuol dire che sono felice."
Nate si accigliò. Era infelice? Il pensiero che Alyssa fosse infelice era un
pensiero che lo faceva star male. "Cosa c'è che non va?"
"In realtà non c'è nulla che non vada. Sono solo stanca di scuola e lavoro e
di lavoro e scuola. Faccio solo quello. Inoltre, mamma è tornata ad
incidere, quindi non è mai a casa. Sono qui tutta sola – quando sono a
casa."
"Dov'è tuo padre?" chiese Nate. Forse a prendere a pugni qualche bambino al
campo giochi? Forse a rubare le caramelle a qualche ragazzino?
"Al lavoro." ci fu una pausa. "Ora è con zio Max. Dovunque lui sia. A
prevenire un'altra crisi." Alyssa sospirò.
"Ho appena parlato con Max."
"Veramente?" si lamentò lei "Anche zio Max mi manca. Cosa aveva da dirti?"
Nate prese la balzo l'occasione. "Ho dovuto chiamarlo … perché i miei
genitori stanno diventando sospettosi."
"Davvero? E perché?"
Lui sbuffò. Come faceva Alyssa ad essere così concreta e così ingenua nello
stesso tempo? "Credo di essere cambiato un po' da quando sono partito."
"Oh." Pausa. "In che modo? Ti è cresciuta un'altra testa?"
Nate rise. "No, non in quel senso. Io … Io trovo che sia molto difficile
mentire loro, Alyssa. Sono sicuro che si sono accorti che c'è qualcosa di
strano."
"Bene… Smettila."
Lui batté gli occhi. Smetterla? Come spegnere un interruttore?
"Tu ti preoccupi troppo." disse lei risoluta. "Cielo, sei proprio figlio di
tuo padre. Max Junior, ecco quello che sei!"
Nate si passò una mano sulla fronte. "Lo fai sembrare troppo facile, Alyssa."
"E' facile."
"Tu l'hai fatto per tutta la vita." le ricordò. "Per me è una cosa nuova."
"Prendi consiglio dai proverbi – più sei teso, più sbagli. Comportati
normalmente – ma stai attento a quello che dici."
Lui abbassò la mano e guardò verso il lago ghiacciato. Forse lei aveva
ragione – forse stava esagerando. Perché succedeva che Alyssa aveva sempre
la capacità di andare dritta al centro delle cose e di portarle a un livello
più fattibile?
"Ti ho vista nei miei sogni." le disse dolcemente, le parole che gli
uscirono dalla bocca mentre le pensava. Immediatamente sbiancò – lui non era
mai stato capace di 'stare attento a quello che diceva' quando cose come
quella gli venivano in mente.
"Cosa?" rise lei.
"Tu sei stata nei miei sogni." ripeté lui, decidendo che non gli importava
che lei lo sapesse.
"Cosa avrei fatto io? E che tipo di sogni erano, Nathan?" chiese lei
stuzzicandolo.
Di ogni tipo sarebbe stata la risposta giusta, ma non voleva dividere questa
informazione. "Sogni dolci." disse. "Sei venuta da me? O mi sono immaginato
tutto?"
Il silenzio dall'altra parte della linea gli confermò che qualche volta lei
era veramente venuta nei suoi sogni. Alla fine lei rispose, sottovoce "Si."
Nate ghignò.
"Sei arrabbiato?" gli chiese. "Perché se lo sei, io smetto."
"Non sono arrabbiato." replicò lui. "Tu non hai idea di qualcuno dei sogni
che hai interrotto." Nate rabbrividì, al solo pensiero delle torture che
aveva immaginato, del dolore che qualche volta sembrava così reale.
"Si, ce l'ho."
Lui si fermò, con la bocca aperta per la sorpresa. Allora le interruzioni
nei suoi incubi non erano una coincidenza o qualcosa che lui aveva
immaginato – erano tutte opera di Alyssa.
"Qualche volta mi sono limitata a guardare." spiegò lei. "Ho guardato quello
che c'era nella tua testa. E' simpatico, quando non ti accorgi che sono lì.
Se erano cose brutte, le mandavo via."
La mente di Nate corse immediatamente a qualcuno dei sogni più osé e
arrossì, anche se era solo. "Um, Alyssa, hai visto … um … "
"Sesso?"
Il rossore gli arrivò alle orecchie. Lei era così schietta – non la
imbarazzava niente. "Si." rispose lui flebilmente.
"Si." rispose Alyssa senza disgusto né indignazione.
Nate si coprì gli occhi. E quando hai visto i sogni sul sesso, um, hai …
interagito con loro?"
"No." disse lei semplicemente. "Non avrei saputo come fare. Inoltre, non
voglio fare del sesso con te, per la prima volta, in un sogno. Che
divertimento ci sarebbe?"
A quel punto Nate era completamente imbarazzato. "Mi dispiace." disse,
alzando una mano in aria. "So che qualcuna delle cose che ho sognato erano
…"
"Interessanti?" finì lei. "Non sono offesa – sono compiaciuta."
Nate sorrise debolmente, volendo veramente credere che lei si sentisse in
quel modo.
"Stai pensando che lo stia dicendo tanto per dire, vero? Tu sei troppo
serio, Nate. Ti verrà un ulcera prima che arrivi ai vent’anni."
Questa volta rise allegramente.
"Ascolta, ora devo andare." disse lei con rimpianto. "Ho un compito per
domani e tutti i poteri del mondo non lo faranno al posto mio."
"Okay." disse lui. "Um, grazie – per avermi aiutato durante gli incubi."
"Felice di essere stata utile." disse lei, con un sorriso nella voce. "Devo
andare ora – ma forse ci vedremo più tardi."
Nate ghignò, sapendo cosa volesse dire. Dopo averla salutata, chiuse il
telefono, poi si guardò in basso. Mentre ascoltare la sua voce faceva
impazzire il cuore di Alyssa, sentire quella di lei gli provocava una
reazione decisamente diversa.
Capitolo 3
Quando Nate tornò dal lago, trovò Emma
seduta al tavolo della cucina, dove stava pagando i conti della settimana.
Con le mani infilate nelle tasche, indugiò sulla soglia, guardando la donna
che l’aveva cresciuto. La sera precedente, aveva sentito un tono nella sua
voce che non aveva udito mai prima – stava praticamente gridando disperata.
Disperata per causa sua. Lui le voleva bene – per lui era sua madre e lo
sarebbe stata sempre – e odiava vederla in quello stato. Ora che aveva
parlato con Max, era più o meno arrivato alla conclusione che non aveva
chiamato Diane Evans per chiederle informazioni sul suo strano comportamento
– era solo incerta su quello che dovesse fare.
"Hey, mamma." le disse alla fine, muovendosi cauto verso la tavola.
Emma si girò sulla sedia, con gli occhiali per la lettura sulla punta del
naso e gli indirizzò un grande sorriso. "Oh, ciao Nate." gli disse. "Non
avevo visto che eri qui."
"Mi dispiace di averti spaventato." le disse, sedendosi accanto a lei.
"No, tutto bene." gli rispose, mettendo da una parte le buste che stava
preparando.
"Vuoi che te le porti all’Ufficio postale?" si offrì, tentando
disperatamente di agire normalmente.
Lei gli rivolse un sorriso gentile. "Mi faresti un favore."
"Già che vado in città, hai bisogno di qualche altra cosa?"
Emma ci pensò su un momento. "Se prendi delle mele potrei farti un dolce per
stasera."
Lui fece un largo sorriso, già con l’acquolina in bocca al pensiero dei
dolci di Emma. "Okay!"
Madre e figlio rimasero così per un paio di minuti, a guardarsi l’un
l’altra. Nello sguardo di lei, Nate lesse tanto amore e tanta confusione.
Odiava quello che le stava facendo. Allungando una mano sul tavolo, Emma gli
spostò una ciocca di capelli dal viso.
"Hai bisogno di tagliarti i capelli, Nate." disse, riflettendo ad alta voce.
Nate sorrise ancora e fece un cenno con la testa. Alzatosi dal tavolo, le
diede un bacio sulla guancia, cosa che sembrò sorprenderla, poi prese le
buste ed uscì per le sue commissioni.
Fece la sua prima sosta all’Ufficio postale. Mentre imbucava le lettere,
guardò il tabellone con le foto dei ricercati e fu contento di vedere che la
foto di Max Evans non c’era. Poi si diede metaforicamente un calcio al
sedere per essere stato così paranoico. Dopo un’altra fermata al mercato,
per comprare le mele, decise di accontentare sua madre fermandosi dal
barbiere. Se quella piccola cosa la faceva contenta, era il minimo che
potesse fare.
Quando fu tornato a casa, Nate salì a controllare la sua posta elettronica.
Pur sapendo che aveva parlato con Alyssa al telefono appena poche ore prima,
sperava di trovare comunque un suo messaggio.
Quando vide che non c’erano altri messaggi, si accigliò un po’ e sospirò di
disappunto. Ma lei aveva un compito da fare e lui sapeva che lei avrebbe
anteposto il dovere al piacere – o a qualsiasi altra cosa, se è per questo.
Gli occhi azzurri di Nate si posarono sulla barra degli strumenti e vide che
'MightyMouse' era in linea. Fissò quel nome per un po’ chiedendosi come Liz
aveva affrontato la faccenda degli alieni, quando aveva scoperto la verità.
Dopo tutto, lei non era nata con la consapevolezza come era stato per Max o
Alyssa - vi si era trovata dentro all’improvviso, proprio come Nate. E
allora, cosa aveva fatto?
Preso il mouse, Nate cliccò sul suo nome e si aprì una finestra di
messaggio. Digitò *Ciao, Liz.*
Dopo pochi attimi, sullo schermo apparve la sua risposta *Ciao, WonderBoy,(NdT:
Ragazzo Meraviglia) che stai facendo?*
Nate sogghignò - era stata Liz a dargli quel nick un mese prima,
inaspettatamente. *Ho visto il tuo nome e volevo vedere se avevi voglia di
parlare. Come ti senti?*
*Ugh. Ho i piedi gonfi. Cammino come un pinguino. Il piccolo mi prende a
calci nella vescica – ma solo da mezzanotte fino alle cinque di mattina.*
Nate fece una risata. *Avete scoperto cos’è?*
*No. Ma a questo punto comincio a pensare che abbia almeno un braccio in più
… e un piede in più. Altrimenti nessuno sarebbe in grado di dare tante botte
tutte insieme.*
Nate suppose che, se non fosse stato per la sua esistenza, gli altri si
sarebbero preoccupati di cosa avrebbero potuto generare. Ma lui era nato
normale. E Alyssa si era formata perfettamente, almeno secondo l’opinione di
Nate. Era un piccolo conforto, per lui, sapere che Liz almeno non avrebbe
dovuto preoccuparsi del profilo genetico del suo bambino.
*Posso farti una domanda?* digitò.
*Certo che puoi. Racconta al Dottor Liz i tuoi problemi.*
Nate sogghignò di nuovo. L’ironia era che Liz era veramente dottore – non un
medico, ma lungo la sua strada c’era stata una laurea. *I tuoi genitori lo
sanno?*
Ci fu una breve pausa, poi arrivò la sua risposta *Si, lo sanno che sono
incinta.*
Nate non poteva rischiare di essere troppo esplicito e nemmeno Liz. Questo
era il suo modo per fargli capire che non era sicura di cosa stesse
parlando. *Non di questo.* rispose lui. *Loro sanno di me?*
*Si, sanno che Max ha avuto un figlio da una precedente relazione.*
Nate fece una smorfia. Così non funzionava – doveva trovare il modo di farsi
capire da lei, ma da nessun’altro. *Sanno dove sono nato?*
Questa volta seguì una lunga pausa e, quando la risposta arrivò, fu molto
corta. *No.*
Gli occhi di Nate fissarono quella breve parola. No. Liz Parker stava
mentendo ai suoi genitori da vent’anni e, apparentemente, la cosa era
rimasta inosservata. O lei era molto brava o aveva un’abilità speciale che
lui non possedeva.
*Per me è una grande fatica.* digitò alla fine. *Tu come ci sei riuscita?*
Aspettò pazientemente durante il lungo silenzio. Aveva la sensazione che lei
stesse digitando ben più di una parola, di una sillaba, questa volta. Quando
finalmente il computer mandò il segnale di avviso, scoprì che aveva avuto
ragione.
*Sanno quello che devono sapere. Max lavora per l’Istituto Oceanografico
come ambientalista. Per questo viaggia molto. E’ una cosa ragionevole e loro
la accettano. All’inizio, non è stato così facile. Ho fatto diversi sbagli,
ho agito stranamente. Credo che pensassero fosse una normale ribellione
adolescenziale, dovuta agli ormoni o a qualcosa del genere. Poi mi sono resa
conto che non avevo nulla da nascondere. Non era un MIO segreto – da
sostenere o da divulgare. Quando ho accettato questo fatto – sono tornata a
comportarmi da persona normale. Mi ero comportata in maniera da sollevare
sospetti, senza alcun motivo.*
Nate si appoggiò alla spalliera della sedia e incrociò le braccia sul petto,
fissando lo sguardo su quelle parole. Per lui c’era una differenza – il
segreto non era di Liz, ma, nel caso di Nate, era decisamente il suo. Il
consiglio non poteva essergli di molto aiuto ... eccetto per una cosa. *Hai
mai pensato di dirglielo?* le chiese.
Dopo una breve pausa, la sua risposta apparve sullo schermo.
*Ci ho pensato, ma non ho mai avuto una ragione per farlo. Loro non sono mai
stati in pericolo. Io e Max viviamo lontano, così non abbiamo bisogno di
trovare continuamente delle scuse.*
A differenza di Nate, che viveva proprio sotto il naso dei suoi genitori.
Liz sembrò rendersi conto immediatamente della sua riflessione. *Tesoro.*
digitò lei. *So che è difficile. Nemmeno io sono contenta, quando debbo
farlo. Ha mai pensato di mettere un po’ di distanza tra te e loro?*
Nate ricadde sulla spalliera della sedia. Non poteva partire e lasciare i
suoi genitori – li avrebbe feriti troppo. *Come?* le chiese. *Non posso
certo partire all’improvviso per l’Europa.*
*LOL. Non tutta quella distanza! Allora saresti un po’ troppo lontano anche
da noi, penso! ☺ Voglio dire che magari hai bisogno di un tuo posto, di un
tuo spazio. Tra poco avrai 19 anni – sei grande abbastanza per vivere per
conto tuo. Cosa ne pensi di andare al college?*
Nate si adombrò. *Non credo di avere denaro sufficiente."
*Cosa ne pensi, allora, di andare in un appartamento per conto tuo?*
Nate si morse le labbra. Cosa ne pensava? I suoi genitori si sarebbero
sentiti terribilmente feriti se lui fosse andato a vivere per conto suo?
Sarebbero diventati vecchi e tristi in una casa vuota? Naturalmente, lui
sarebbe andato trovarli tutti i giorni, continuando a lavorare al negozio e
tutto il resto, ma forse Liz aveva ragione. Forse se avesse trovato un posto
tutto suo, non si sarebbe sentito così imbarazzato per le telefonate che
riceveva da una ragazza del New Mexico, o teso per aver lasciato aperto il
computer e per la paura che i suoi genitori potessero vedere una nota di Max
o di Liz. Forse lei aveva ragione …
*Ascolta, ragazzino, magari potresti rifletterci sopra per un po’. Qui
dentro, il mostriciattolo ha appena preso a pugni la mia vescica e devo
correre in bagno.*
Nate sorrise. *Un’ultima domanda.*
*Purché sia corta.*
*Cosa posso regalare ad Alyssa per il suo compleanno?*
*Non hai soldi per la scuola, ma per lei i soldi ce li hai, eh?*
Le orecchie di Nate divennero rosse per l’imbarazzo – Liz poteva leggerlo
come un libro aperto. *Ehm … si … *
*Quanto vorresti spenderci?*
*I soldi non sono un problema.*
*Bene allora. Lei ama gli smeraldi … e le macchine sportive.*
Nate rise. *Lei ha già una macchina sportiva.*
*Allora ti restano gli smeraldi! Oh, dannazione. Devo scappare –
letteralmente!*
'MightyMouse' scomparve all’improvviso dalla lista dei contatti di Nate e
lui sorrise. Povera Liz – alla mercé di un inquilino che le prendeva a calci
la vescica. Lui non aveva avuto intorno molte donne incinte, così si chiese
come doveva essere passare tutto quello, giorno dopo giorno. Gli era
sembrata di ottimo umore, ma era sempre così?
Chiuso il suo pc, si stese sul letto a pancia sotto. mentre uno stupendo
profumo di torta di mele saliva dalle scale. Gli piaceva stare lì, in quella
piccola casa, con la sua stanza nella mansarda. Gli piaceva, la sera,
sentire i profumi della cucina di sua madre – e anche mangiarla. Nate non
sapeva cucinare quasi nulla – se fosse andato ad abitare per conto suo
avrebbe mangiato spaghetti e formaggio tutte le sere. Dato che avrebbe avuto
pochissimi soldi a disposizione, anche i cibi precotti non sarebbero stati
una soluzione facile.
Girandosi sulla schiena, fissò il soffitto ancora grezzo, con le travi di
legno ancora da rifinire. Aveva quella stanza fin da dove arrivava la sua
memoria. Gli tornarono alla mente ricordi delle vacanze passate – quando si
svegliava col profumo del tacchino che si cuoceva nel forno, il giorno del
Ringraziamento; quando scendeva furtivamente le scale la vigilia di Natale
per vedere se babbo Natale era arrivato e poi sentiva un ‘Ho Ho Ho’ da fuori
la porta e tornava correndo sui suoi passi prima che lui lo vedesse. C’erano
tanti bellissimi ricordi in quel posto.
Nate sapeva che non sarebbe potuto restare lì per sempre. Sapeva che alla
fine lui e Annie si sarebbero sposati e avrebbero avuto dei bambini, e
allora andare via non era il vero problema.
Ora Annie non c’era più. Il futuro che Nate aveva immaginato per loro, non
c’era più. L’unica cosa certa che gli rimaneva era quel posto, i suoi
genitori. In tutto il trambusto che lo aveva circondato negli ultimi tempi,
aveva trovato conforto e sicurezza solo in quella casa. E ora aveva paura di
dover lasciarsela alle spalle.
Capitolo 4
Il campanello del piccolo negozio
suonò allegramente quando Nate vi entrò, accolto dall’odore della vernice
vecchia e della legna che bruciava nel camino. Pulitosi le scarpe dalla
neve, non poté fare a meno di sorridere – gli era sempre piaciuta quella
piccola bottega e il piccolo uomo che la gestiva.
Apparve subito, con passi corti e irregolari, ma con un grande sorriso sul
viso segnato dal tempo.
"Signor Spencer." disse con la voce lenta e roca, stendendo una mano in
direzione di Nate.
Nate ricambiò il suo sorriso e prese la mano del negoziante per salutarlo.
"Salve signor Wallace."
L’uomo scosse la mano. "La vita è troppo corta per le formalità." disse,
contraddicendo il saluto fatto poco prima a Nate. "Chiamami Joe."
"Se lei mi chiama Nate." concesse lui.
Joe alzò le spalle. "Certo, perché no. Sono felice di vederti."
"Anche io. Come sta la signora Wallace?" Formalità a parte, Nate sapeva che
a Joe piaceva che si portasse rispetto a sua moglie, più che a qualsiasi
altra persona.
"Sai," disse, pasticciando nello scaffale della gioielleria. "Ha una borsite
alla spalla, residuo dell’influenza di quest’anno."
"Mi dispiace di sentirlo."
"Eh, ma è viva. Cosa posso fare per te?"
Nate fece un grande sorriso. "Smeraldi."
Le sopracciglia grigie dell’uomo si alzarono. "Smeraldi, vero? E’ forse un
regalo per San Valentino?"
Nate sapeva cosa gli stava chiedendo – ormai tutte le conoscenze di Jonathan
sapevano che il fidanzamento tra Nate e Annie O’Donnell era finito. Joe
voleva sapere se c’era stata una miracolosa riunione … e sarebbe stato
veramente un miracolo se loro avessero potuto riunirsi. Era stato Joe a
vendergli l’anello di fidanzamento per Annie.
"Un regalo di compleanno." chiarì Nate.
L’anziano uomo fece una risatina soffocata. "Una nuova ragazza, vero?"
Nate cominciò a sentire le guance che arrossivano. "Un’amica."
Joe annuì, ma stava ancora sorridendo: anni di esperienza gli dicevano che
Nate stava mentendo. "Okay. Che genere di smeraldo vuoi per la tua amica?"
Puntò un dito tremante verso l’altro lato del negozio. "Sono lì."
Par traversare la stanza bastavano due passi, ma Nate, arrivò prima di Joe
di buoni cinque secondi. Dall’altra parte del vetro, c’era un mare di
smeraldi che brillava. C’erano anelli, braccialetti e collane. Nate fu
attirato subito dagli anelli, ma non conosceva la misura di Alyssa.
Naturalmente, lei avrebbe sempre potuto farlo adattare, ma perché imporle un
obbligo in più? I braccialetti erano belli – ma i cartellini del prezzo gli
fecero rizzare i capelli.
"Quanto hai sul tuo conto in banca?" gli disse scherzosamente Joe.
"Abbastanza per una collanina." decise Nate, piegandosi per guardare da
vicino.
Joe allungò una mano dietro al contenitore, ne aprì il retro, facendo
scorrere un pannello e ne trasse fuori il vassoio con le collane. Fuori dal
loro guscio di vetro, i gioielli erano ancora più belli. Lo sguardo Nate
cadde immediatamente su una che aveva una pietra così scura da sembrare
quasi blu.
"Bella, vero?" chiese Joe, con gli occhi increspati ai lati da un sorriso
d’intesa.
"Si, è bellissima." disse Nate, allungando una mano per prenderla. "Posso?"
"Certamente."
Nate la prese e la tenne per la delicata catenina d’oro. Era uno smeraldo
tagliato, con un piccolo cerchio di diamanti intorno; era bello senza essere
vistoso. Era quello che doveva avere, era inutile guardarne altri. Poi
guardò il cartellino del prezzo e quasi svenne. Accigliandosi per il
disappunto, riposò delicatamente la collanina sul vassoio.
Nate guardò le altre, ma nessuna sembrò essere all’altezza di quella che
aveva preso in mano. Joe aspettò pazientemente, appoggiando le sue vecchie
ossa sul bancone. Alla fine Nate si strinse nelle spalle e scosse la testa.
"Forse dovrò lasciare da parte gli smeraldi." annunciò, cercando di
nascondere la sua delusione.
"Si?" chiese Joe. Guardò la collana che Nate aveva posato. "Eppure pensavo
che questa ti piacesse."
Nate la guardò per un lungo momento, poi scosse la testa. "Si, è bella, ma
io non … "
Gli occhi di Joe brillarono birichini. "Non hai abbastanza sul conto in
banca?"
Nate lo guardò vergognoso e scosse la testa.
Joe prese i suoi occhiali da lettura, se li poggiò sulla punta del naso e
poi guardò il cartellino del prezzo. "Non può essere giusto … "
Nate lo guardò incuriosito, mentre cercava una matita. Joe cancellò il
prezzo, poi lo riscrisse, girandolo perché Nate potesse leggerlo.
"Questo doveva essere un quattro." spiegò.
Nate si fece leggermente indietro. "Oh, Joe, non è possibile …"
"Vuoi dirmi che non hai questa cifra?" lo interruppe il vecchio uomo.
"No, non volevo dire questo. Dico che non posso accettare … "
"Il prezzo giusto per questa?"
Nate si fermò. Forse non era il caso di litigare con l’uomo. Forse quell’atto
gentile che faceva per lui – per Alyssa – era qualcosa che l’uomo desiderava
fare e lui non poteva privarlo di quella gioia.
Joe ammiccò. "Cosa ne dici se faccio una bella confezione per questa?"
Nate si dette per vinto, ringraziandolo, ed aspettò pazientemente mentre
l’uomo impiegava almeno un’ora per trovare la scatola adatta e per farlo
pagare.
Guidando verso casa, con il prezioso pacchetto al sicuro nella tasca della
giacca, Nate non riuscì a togliersi dalla mente il pensiero di Alyssa. Le
aveva appena fatto un bel regalo e fremeva per darglielo. Naturalmente
avrebbe dovuto mantenere il segreto, fino a quando glielo avrebbe spedito
per il suo compleanno, ma stava letteralmente bruciando per l’eccitazione.
Arrivato a casa, corse di sopra e compose il suo numero di telefono. Quando
lei udì il suo tono felice, sorrise.
"Che cos’è che ti rende così felice?" gli chiese.
"Niente di particolare." mentì lui. "Sono soltanto di ottimo umore, oggi."
"Buona cosa, Nate." lei rise ancora. "Anche io sono contenta."
"Che stai facendo? Dimmi cosa stai facendo in questo momento." Nate voleva
sapere ogni dettaglio di quello che lei stava facendo, anche se si stava
solo pulendo i denti.
"Non sto facendo niente di particolare, ma ora che ho sentito la tua voce
nelle mie orecchie, stavo pensando di toccarmi."
"Cosa hai detto?" quasi soffocò, sicuro di aver capito male.
"Tu non ti tocchi mai?"
Nate sgranò gli occhi. Il solo fatto che lei fosse abbastanza sfacciata da
fargli quella domanda, lo eccitò e lo spazio nei suoi pantaloni divenne
all’improvviso un po’ ristretto.
"Lo fai, Nate?" La sua voce era suadente.
L’intero corpo di Nate prese vita, un fremito cominciò a salire dall’addome.
"Beh, si." rispose lui, la sua voce che si sentiva a malapena.
"E quando ti tocchi," disse ancora lei, la voce un sussurrò che viaggiava a
mille all’ora. "non pensi mai a me?"
Nate deglutì; all’improvviso respirare gli era difficile. Non riusciva a
credere alla direzione che aveva preso quella conversazione.
"Ti domandi mai come sarebbe stare con me?" gli chiese.
Guardò il telefono, chiedendosi cosa stesse facendo lei dall’altra parte,
poi annuì. Non c’era modo di mentirle – dopo tutto, quella ragazza aveva
visto tutti i suoi sogni sconvenienti. "Si."
"Quando mi tocco," gli disse con le labbra attaccate al telefono. "io penso
sempre a come potrebbe essere stare con te."
Nate credette di sentire un lieve gemito - con suo grande tormento, realizzò
che Alyssa aveva deciso di toccarsi, dopo tutto.
"Non l’ho mai fatto prima." continuò Alyssa. "Quando qualche volta mi sono
toccata, l’ho fatto solo perché era bello. Ma ora … no, ora lo faccio solo
quando penso a te."
Nate si portò le labbra dentro la bocca, mordendosele per reprimere
l’improvviso bisogno che si era impadronito del suo corpo. Qualche volta lei
era un mistero. Non aveva detto di essere vergine?
"Lo so quello che stai pensando." sospirò Alyssa nel microfono. "Sta
pensando che ho mentito sulla mia verginità."
Nate inarcò le sopracciglia – dannazione, come faceva a conoscerlo già così
bene?
"Non devi perdere la verginità per farlo." gli disse. "Io sono vergine, ma
so come dare piacere a me stessa. Me l’ha fatto vedere la mia amica Jenny …
" Dall’altro capo della linea ci fu un ansito, un brusco respiro trattenuto.
Nate chiuse gli occhi, rimanendo ad ascoltarla, desiderando che fosse
accanto a lui, le labbra di lei contro le sue. Aspetta un attimo – la sua
amica Jenny le aveva fatto vedere come raggiungere l’orgasmo? Il solo
pensiero della scena lo fece lamentare.
"Toccati, Nate." gli sussurrò nel telefono. "Non lo diremo a nessuno. Solo
io e te, divisi eppure insieme. Fallo per me."
Oh, mio Dio. Lei si stava veramente toccando. Nate cercò di ricostruire con
la mente l’immagine di Alyssa in quel momento. Era vestita o nuda? Dato che
Nate non l’aveva mai vista nuda, decise di immaginarla vestita, la sua agile
mano che esplorava tra i vestiti. Vide il suo viso, gli occhi chiusi, le
guance arrossate dal desiderio, le labbra aperte mentre gemeva.
Non ce la faceva più. Il suo respiro cominciò a prendere il passo dei
respiri irregolari che arrivavano dal telefono.
"Fallo." gli sussurrò ancora lei, le sue parole seducenti come un bacio.
La mano di Nate scivolò verso il basso, sui muscoli tesi del suo addome,
fino alla linguetta della lampo. Lo voleva, voleva dividere questa intimità
con lei, più di ogni altra cosa.
"Lo stai facendo?" gli chiese ansimando.
"Si." rispose lui, con la gola asciutta. Cominciò a tirare giù la zip,
mentre la scomodità dei suoi jeans diminuiva, man mano che si aprivano.
Alyssa ebbe un singulto dall’altro capo della linea. "Sbrigati."
Nate aprì completamente i pantaloni …
E l’avviso di chiamata squillò.
"Figlio di putt …!” disse ad alta voce e sentì Alyssa sussultare: lui non
imprecava mai.
"Mi dispiace." le disse, la mente schiarita e la voce tornata ai normali
decibel. "Aspetta un momento."
Mandando maledizioni sottovoce, spinse il bottone che dava accesso all’altra
chiamata. "Pronto?" abbaiò esasperato.
"Um, Nate?" disse la voce di Max, dopo una breve pausa.
Nate si passò una mano sul viso e lasciò andare il respiro. "Mi dispiace,
Max."
"Va tutto bene?"
"Si, bene. Aspetta un secondo. Ho qualcuno sull’altra linea." Tornando da
Alyssa, Nate sentì un senso di disappunto scendere su di lui. "Alyssa?"
"Si?" disse lei, la vibrazione del sesso sparito dalla sua voce.
"E’ Max. Devo lasciarti. Mi dispiace."
"Va bene." rispose lei e Nate la immaginò mentre alzava le spalle con
noncuranza. Proprio come se la gattina affamata di sesso fosse tornata nella
sua gabbia.
"No, sono veramente dispiaciuto." disse Nate, con le guance rosse. Avrebbe
voluto arrivare al piacere con lei, più di ogni altra cosa.
"Non esserlo." rise lei. "Puoi metterti in pari più tardi … solo non
dimenticarti di pensare a me."
"Si." concordò lui, imbarazzato.
"Ciao." lei fece una risatina, poi chiuse la comunicazione.
Nate tornò da Max. "Mi dispiace, Max."
"Ho interrotto qualcosa?" chiese Max, con la voce morbida e decisa come al
solito, ma che aveva un tono che fece credere a Nate che lui sapesse
esattamente cosa lui stesse facendo.
"No, niente." negò Nate, tentando di assumere un tono innocente. "Allora,
che c’è?"
"Ho finito il mio lavoro." spiegò Max. "Sto tornando a Boston per vedere
Liz."
"Veramente? Bella notizia."
"Ma mi sono accorto che sono molto vicino a Chautauqua.”
Il viso di Nate si illuminò. "Davvero?" chiese, incapace di nascondere
l’eccitazione nella sua voce.
"Pensi che potrei venire a vedere dove sei cresciuto? O non è il momento
adatto?" La voce di Max aveva un tono di scusa.
"No, è perfetto. Dove sei?"
"All’aeroporto."
Nate era già fuori dal letto e si stava infilando le scarpe, l’urgenza nei
suoi pantaloni ormai dimenticata.
"Sono già per strada!”
Capitolo 5
Nate camminò veloce per l’aeroporto,
gli occhi fissi sui cartelli indicatori. Ritiro Bagagli – era lì che Max
aveva detto di essere. Nate non poté fare a meno di sentirsi eccitato
all’idea di incontrarlo di nuovo – non si erano più rivisti da quando Nate
aveva lasciato Roswell. Non che non ci fossero stati contatti, piuttosto il
contrario – aveva ricevuto diverse email da Liz e aveva sentito Max almeno
una volta la settimana, di solito al telefono.
Ma c’erano cose di cui non si poteva parlare al telefono, cose che dovevano
essere evitate o non dette in termini chiari. Era duro per Nate fare domande
sul suo retaggio senza parlare in termini diretti e da quando era tornato a
casa, a New York, si era fatto un sacco di domande.
Nate vide Max prima che Max vedesse lui. Era poggiato contro una parete, una
gamba piegata al ginocchio, la suola della scarpa appoggiata ad un gradino.
I suoi occhi fissavano un giornale davanti a lui; i capelli erano più lunghi
di quando l’aveva visto l’ultima volta e portava la barba, ormai
completamente cresciuta, non corta come l’aveva a Roswell. Immediatamente
Nate fece un grande sorriso.
Quasi sentisse la presenza di suo figlio, Max lo guardò e lo ricambiò con il
suo sorriso, contagioso e innegabilmente attraente. Ridendo, i due uomini si
abbracciarono, Max che strinse forte suo figlio prima di liberarlo.
Vedendolo da vicino, Nate si accorse che l’abbronzatura di Max era scomparsa
– apparentemente il suo ‘lavoro’ lo aveva portato in un clima freddo, a
giudicare dagli abiti e dall’aspetto pallido.
"Come te la passi, ragazzo?" disse Max dandogli una pacca affettuosa sul
braccio.
"Potrei stare meglio." replicò Nate, ancora sorridente. Ma la verità era che
non si era sentito bene così da tanto tempo – aveva una potenziale ragazza
che lo molestava da lontano e ora Max aveva mantenuto la sua promessa
venendo a trovarlo. Si, Nate si sentiva piuttosto bene in quel momento.
"Ottimo." disse Max. "Hai un bell’aspetto – hai trovato una soluzione al tuo
problema?"
Nate scrollò le spalle. "Ho fatto quello che mi è stato detto. Dove sono i
tuoi bagagli? Sono certo che non vorrai rimanere in aeroporto per sempre."
"No, ho visto abbastanza aeroporti, negli ultimi due giorni."
Due giorni? Aveva viaggiato per due giorni? Clima freddo, due giorni … Nate
cercò di mettere insieme tutti i posti dove poteva essere stato.
"Il mio bagaglio e qui." disse Max prendendo un bagaglio sorprendentemente
piccolo. La mente di Nate volò stranamente a quei reality show ‘viaggi
intorno al mondo’ – dove le persone dovevano far entrare tutto quello di cui
avevano bisogno in un unico zaino. Era così che Max era abituato a
viaggiare?
Nate prese la valigia più grande e Max inclinò la testa nella sua direzione.
Nate alzò le spalle. "Sei mio ospite." precisò.
Max fece una risata divertita, poi seguì Nate fuori dall’aeroporto, nella
frizzante aria invernale.
Aveva cominciato a nevicare, i fiocchi grandi come quelli di ‘Un natale di
Charlie Brown’ che cadevano a terra.
"Così, questa è New York." disse Max guardando il cielo, mentre un fiocco di
neve proprio si posava proprio sulla punta del suo naso.
"No, è Buffalo." lo corresse Nate, puntando in direzione del furgone
parcheggiato. "Se non ce ne andiamo subito da qui, potremmo rimanere
bloccati dalla neve."
Max gli lanciò un’occhiata incredula.
"Giuro su Dio." rise Nate, aprendo la portiera e mettendo la valigia di Max
dietro il sedile. "Non sto scherzando – una innocente nevicata a Buffalo,
può trasformarsi in una tormenta solo un’ora più tardi."
Max rise e si sedette sul sedile del passeggero.
Nate alzò le spalle indifferente, mentre scivolava dietro al volante e
chiudeva la portiera."E va bene, non credermi. Spero solo che tu abbia
portato degli scarponi da neve." Non riuscì a trattenere una risata
impertinente, mentre uscivano dal parcheggio e si dirigevano a Chautauqua.
Dopo alcuni minuti di chiacchiere sul volo di Max e sulla corsa precipitosa
di Nate all’aeroporto, Max si tolse gli occhiali da sole e si guardò nello
specchietto.
"I tuoi genitori lo sanno che sto arrivando?" chiese a Nate, passandosi le
dita sulla barba.
Nate esitò abbastanza perché Max smettesse di guardarsi allo specchio e
desse a suo figlio uno sguardo sospettoso.
"Nate?"
Nate lo guardò, spostando per un attimo gli occhi dalla strada.
"Hai detto loro che stavo venendo?" si informò Max.
"Si." rispose Nate sottovoce.
Max batté gli occhi. "Oh. Io ho, um, la sensazione che non ho fatto bene a
venire."
Nate scosse la testa. "No. Non è questo. E’ che …"
"Cosa?" chiese Max dolcemente. "Cosa c’è? Se il mio improvviso arrivo può
causare dei problemi, dimmelo sinceramente e potrai riportarmi
all’aeroporto. So che sono arrivato inaspettato e che avrei dovuto avvisarti
prima. Non la prenderò male, se preferisci che io me ne vada."
Nate lo guardò e gli fece un sorriso di tregua. "No. Non voglio che te ne
vada. Sono felice che tu sia qui. Solo che la tua venuta sarà un po’ strana
per loro, non credi?"
Max annuì il suo accordo. "Posso capirlo."
"Erano tutti e due al negozio, quando hai chiamato." Nate, per sua
convenienza, tralasciò di dire quello che stava facendo lui, quando Max
aveva chiamato. "Mi sono fermato ad avvertirli e mia madre ha cominciato a
farsi prendere dal panico." disse con una risata che fece credere a Max che
il panico non fosse una cosa seria.
"Perché?" gli chiese.
Nate alzò gli occhi al cielo. "Lei non aveva fatto la spesa. Ti avverto che
mia madre ti rimpinzerà come il tacchino del Ringraziamento."
Max rise. "Bene – è passato un bel po’ di tempo da quando qualcuno ha
cercato di farmi mangiare."
Nate immaginò che l’ultima volta era stato quando Diane Evans si era
preoccupata per lui, l’autunno passato. "Ora, probabilmente, mamma è a casa,
cambiando le lenzuola al letto degli ospiti, cucinando e mettendo qualcosa
al forno e preoccupandosi, come fa sempre quando viene qualcuno. " Fece un
sospiro. "Così, non è che loro non ti vogliano – sono solo un po’
imbarazzati."
Max fece una pausa, poi disse "Allora, in questo caso … " Guardando prima
fuori dal finestrino, per essere sicuro di non avere come testimone qualche
automobilista di passaggio, Max si guardò allo specchio e si passò una mano
sul viso. Immediatamente la sua barba scomparve.
Le sopracciglia di Nate si sollevarono per lo stupore, chiedendosi se Max si
rasasse sempre in questo modo – sarebbe stata la manna dal cielo, se lui non
avesse mai più dovuto vedere un rasoio in vita sua.
Poi Max si passò le dita tra i capelli e quelli si scorciarono fino al
collo, un po’ più corti di quando Nate l’aveva visto la prima volta.
Sogghignando, girò lo specchietto e guardò Nate. "Sono più presentabile,
ora?"
Nate annuì, anche se ai suoi genitori non sarebbe importato che Max avesse
l'aspetto di uno che era appena rotolato giù dalla montagna. Riportò gli
occhi sulla strada e ripensò a quando era andato al negozio per avvertirli
che Max era a Buffalo. Negli occhi di suo padre aveva letto curiosità e
sorpresa, ma in quelli di sua madre aveva visto qualche altra cosa – paura.
Su quale fosse il motivo della paura, Nate poteva fare solo delle ipotesi.
Prima che lasciasse New York alla ricerca del suo vero padre, Jonathan gli
aveva raccontato i falliti tentativi di maternità di Emma e di come l'arrivo
di Nate fosse stata la cosa più bella che fosse loro capitata. Ora, vedendo
l'interessamento del suo vero padre, aveva forse paura di poterlo perdere,
un giorno? O era qualcos'altro?
Da quando Nate era tornato a casa, era stata Emma che aveva notato – e che
si era preoccupata – dei cambiamenti in lui. Incontrare la persona che gli
aveva dato la vita, poteva essere considerato un evento che gli avrebbe
cambiato l'esistenza, rispetto a quella che era stata prima la sua visione
del futuro.
Quei cambiamenti avrebbero potuto essere minimi e invisibili dall'esterno.
Ma Nate era stato torturato dall'FBI, la sua fidanzata era morta di una
morte inaspettata e lui aveva scoperto di appartenere alla seconda
generazione di ibridi umano/alieni. Tutte quelle cose gli avevano strappato
via parte della sua innocenza e avevano alterato il suo normale
comportamento, al punto da causare preoccupazione. E poiché Nate non poteva
raccontare ad Emma nessuna di quelle cose, era possibile che lei attribuisse
la colpa del suo cambiamento a Max? Era possibile che il timore di
incontrarlo fosse legato alla sua peggiore paura: che l'influenza che Max
poteva aver avuto su Nate fosse confermata.
"Naturalmente, a quell'epoca ho cominciato col radermi le palle, così il
problema è venuto via."
Nate batté gli occhi e si girò verso Max, che gli sorrideva con aria
maliziosa. "Cosa hai detto?"
"Lieto di aver finalmente ottenuto la tua attenzione." disse Max, alzando un
sopracciglio. "Sei sicuro che vada tutto bene?"
Nate annuì. "Andrà tutto bene. Mi spiace – la mia mente è stata altrove per
qualche minuto."
"Da qualcuno che conosco?"
Nate arrossì leggermente.
Max sogghignò e fece una smorfia. "Oh, Nate. Come ti ho già chiesto – ce la
farai a tenerla sotto controllo?"
Nate ripensò ad Alyssa e alla loro ultima telefonata – senza tanti
preamboli, gli aveva detto apertamente che voleva fare del sesso al
telefono. Annie ci avrebbe girato attorno, cercando di fare la timida … ma,
soprattutto, Annie avrebbe trovato disgustosa la masturbazione e non glielo
avrebbe mai chiesto. Alyssa era così schietta, così 'prendimi come sono' che
qualche volta lo sconvolgeva con la sua sincera onestà.
Max gli diede una pacca sulla spalla. "Non credo che siano molti gli uomini
capaci di farlo. Ti auguro buona fortuna."
"Grazie." rispose Nate, cercando di sembrare una vittima, ma c’era un
accenno di felicità nella sua espressione.
"Ho bisogno che tu mi faccia un favore." annunciò Max, girandosi a guardare
una casa che aveva ancora le luci di Natale, ed erano accese.
"Cosa c'è?" chiese Nate incuriosito.
"Ebbene, sai che ho un bambino in arrivo." Il sorriso di Max, che andava da
un orecchio all'altro, trasudava compiacimento.
Nate lo guardò con finto stupore. "Oh, davvero? Non lo sapevo."
"Si, e abbastanza presto." si vantò Max, il petto gonfio di orgoglio, prima
di cominciare a ridere di se stesso. "Ad ogni modo, cercherò di stare a casa
per un po'. E Liz non sarà in grado di viaggiare e c'è qualcosa che
dobbiamo, ma che non saremo in grado di fare."
Nate cominciò a preoccuparsi. Era qualcosa correlato con gli alieni? Doveva
cominciare ad introdursi negli affari di famiglia? "Che cosa è?"
"Vorrei che tu ci rappresentassi." disse Max, enigmatico.
Rappresentarli? E a cosa? A una conferenza intergalattica o a qualcosa del
genere? Nate non ne sapeva nulla di relazioni – santo cielo, non era nemmeno
stato capace di convincere un ottantenne a non praticargli uno sconto osceno
sul regalo di compleanno di Alyssa! Se Max e company si aspettavano che lui
fosse capace di negoziare tra fazioni aliene in conflitto, l'intero pianeta
avrebbe fatto una brutta fine.
"Rilassati." disse alla fine Max, cercando ostentatamente di non ridere. "Ti
stavo solo prendendo per i fondelli, in modo da godermi lo sguardo
preoccupato sulla tua faccia."
Nate gli lanciò un'occhiata irritata, ma senza animosità. "Idiota!" gli
mormorò.
Max scoppiò a ridere. "Il fatto è che Alyssa si diplomerà con un anno di
anticipo."
Tutti i pensieri sull'idiozia di Max scomparvero velocemente – lei aveva
trascurato di dirglielo.
Rendendosene conto, Max fece un cenno con la mano per placare la sua
sensazione di essere stato lasciato fuori. "Lei si sta comportando con
cautela, perché teme di non ottenere abbastanza crediti per farcela, ma io
so che ce la farà. In ogni caso, io e Liz non saremo in grado di assistere
alla cerimonia della consegna del diploma - il bambino dovrebbe nascere
proprio in quel periodo e noi non saremo in grado di viaggiare. So che
questo le dispiacerà, ma ho pensato che potresti andare tu – in
rappresentanza della nostra famiglia."
Per qualche motivo, quelle parole penetrarono nel cuore di Nate e lo
riscaldarono immensamente – Max e Liz lo consideravano parte della loro
famiglia. Non erano Max, Liz e un nuovo bambino – erano Max, Liz, un nuovo
bambino e Nate. In questo modo, gli avevano dimostrato di avergli offerto la
loro casa e il loro cuore.
"Inoltre," continuò Max, con un angolo della bocca sollevato in un mezzo
sorriso "qualcosa mi dice che, anche se sarà dispiaciuta per la nostra
assenza, vedere te la ricompenserà abbondantemente."
Nate arrossì ancora, ma sorrise, a dispetto di se stesso. Ma il sorriso si
trasformò in imbarazzo e il rosa delle guance in rosso cupo a quello che Max
aggiunse.
"E in più daremo un taglio alle bollette del telefono." C'era soltanto
un'ombra di consapevolezza nella sua voce, che lasciava intendere che lui
sapesse benissimo cosa stesse facendo Nate, quando lui l'aveva chiamato.
Fortunatamente per Nate, rimase poco tempo per sentirsi a disagio, perché
erano arrivati alla casetta degli Spencer. Dentro si sé, Nate fece un
profondo respiro, pregando che nei prossimi giorni filasse tutto liscio.
Capitolo 6
Dopo solo dieci minuti da quando Max e
Nate erano arrivati a casa degli Spencer, Nate si rese conto che le sue
paure che la serata sarebbe stata un disastro totale, erano del tutto
infondate. Fu, naturalmente, merito del lavoro di Max – e della sua vita –
che gli rendeva facile comunicare con persone che non aveva mai incontrato
prima. Affrontò la faccenda con pacatezza, disinvoltura e sincerità. Nate
ebbe l'impressione che la pacatezza e la disinvoltura gli fossero arrivate
con gli anni, che Max non fosse sempre stato così tanto sicuro di sé da
sentirsi a suo agio con estranei, ma la sincerità, probabilmente, era sempre
stata parte di lui.
Durante la cena, osservò sorpreso Max fare la giusta quantità di domande per
sembrare interessato, ma non invadente. Perfino Emma sembrò rilassarsi con
quell'estraneo che insisteva a chiamarla 'signora', un segno di educazione
che lei aveva instillato anche in Nate. Ma fu verso la fine della cena,
quando furono serviti il dolce e il caffè, che Max fece la cosa più
stupefacente – riuscì a far parlare il solitamente silenzioso Jonathan del
suo amore per la pesca. Nate rimase semplicemente ammutolito, nell'ascoltare
suo padre parlare ininterrottamente delle misure di sicurezza più adatte per
spostare la sua baracca sul lago o per fare un foro nel ghiaccio con una
sega.
E Max sembrò entusiasmarsi genuinamente – Nate non si sarebbe stupito nel
vedere entrambi i suoi padri, fare comunella ed alzarsi all'alba per andare
al lago.
"Questa è mia moglie." stava dicendo Max, mentre tirava fuori una fotografia
di Liz dal portafogli. "Questa è Liz."
Jonathan tenne la foto lontana quanto glielo permise la lunghezza delle sue
braccia, per dare un'occhiata alla graziosa donna dai capelli neri, senza
doversi infilare gli occhiali da lettura. Fece un grugnito di approvazione e
passò la foto ad Emma.
"Che bella ragazza!" disse lei, facendo un cenno con la testa per
sottolineare la sincerità del complimento.
"Grazie." disse Max raggiante.
"Che lavoro fa?"
"Insegna ad Harvard."
In quell'istante, Nate colse un rimpianto di qualcosa negli occhi di sua
madre, qualcosa che le fece pensare di non essere all'altezza, che gli
Spencer erano in qualche modo inferiori agli Evans. Dopo tutto, il padre di
Max era un avvocato, sua moglie una professoressa in una scuola della Ivy
League – e gli Spencer erano umili commercianti.
Max annuì e rimise la fotografia nel portafogli. "Le piace insegnare. Ha
lottato per arrivare dov'è." disse, prendendo la tazza del caffè. Nate ebbe
l'impressione che quello fosse un cerotto per l'orgoglio ferito di Emma.
"Non è stato facile per lei lavorare in una scuola come quella, ma la mia
Liz è coraggiosa – niente l'avrebbe trattenuta."
Gli occhi di Nate si posarono su sua madre, che sembrava aver apprezzato il
fatto che Liz Evans non fosse una snob, che non aveva avuto l'appoggio di
parenti ricchi per arrivare dov'era.
"E tu che fai?" chiese Jonathan, tagliando il suo dolce.
Max riportò l'attenzione sull'uomo che aveva cresciuto suo figlio. "Io
lavoro per l'Istituto Oceanografico. Sono un ambientalista. Sono appena
tornato dall'Alaska, dove sono stato per lavorare ad un progetto che è in
corso laggiù."
Un angolo della bocca di Nate si alzò in un mezzo sorriso. Max era veramente
stato il Alaska? Gli ci erano veramente voluti giorni per arrivare a New
York dall'Alaska? Ne dubitava.
"Ero diretto a casa." stava dicendo Max. "E ho pensato di fermarmi e fare
visita a Nate e per incontrare voi. Spero che non la consideriate una
intromissione – so di non avervi avvisati."
Mentre entrambi i suoi genitori negarono questa possibilità, Nate si rese
conto che Max aveva evitato di dire ai suoi genitori che Liz era incinta. A
giudicare dall'orgoglio che era traspirato da ogni fibra di Max lungo la
strada verso casa, Nate concluse che l'omissione era stata intenzionale. Ma
perché? Max aveva il timore di come avrebbero potuto giudicarlo se avessero
saputo che aspettava un altro bambino, quando ne aveva dato uno in adozione?
O forse c'era un'altra ragione. 18 anni prima, lui aveva 'nascosto'
l'esistenza di Nate mandandolo via. Era possibile che la paranoia che
l'aveva portato a quella scelta, esistesse ancora, che Max avesse ancora
paura per il bambino che doveva nascere? Era possibile che le minacce che
esistevano 18 anni prima, ci fossero ancora oggi e Max volesse tenere
segreta la nascita del bambino al mondo esterno?
Il resto della serata passò parlando in soggiorno, con il piccolo gruppetto
raccolto davanti al caminetto di mattoni. Nate non parlò molto – era seduto
a guardare i suoi genitori parlare con Max, notando che erano veramente
interessati a quello che lui diceva. Nate fu contento di vedere che le cose
stavano andando così bene, che i suoi genitori avevano accettato quello
straniero che aveva dato loro suo figlio.
Quando fu ora di andare a letto, Nate mostrò a Max la camera degli ospiti –
niente di più di una camera quadrata di tre metri per tre, con un letto, un
piccolo armadio e un comodino da notte. Ma aveva un piccolo bagno
comunicante, così gli Spencer l’avevano da sempre destinata ad accogliere
gli ospiti. Max lo ringraziò per averlo sistemato per la notte, poi Nate
salì nella sua stanza.
Fissò a lungo le travi del soffitto, trovando ancora strano che Max fosse in
casa sua. Un anno fa, non sapeva nemmeno che Max esistesse. Un anno fa Nate
era una persona completamente differente. Ora, tutti quelli che avevano
fatto parte della sua vita precedente, non c’erano più – non c’era Annie,
non c’erano i suoi amici. Ora aveva una nuova cognizione di quello che era,
delle sue origini. Era sbalorditivo quante cose potessero cambiare in un
anno.
Ma la verità era che non era passato un anno da quando tutte quelle cose
erano accadute – erano trascorsi appena tre mesi. Se in tre mesi potevano
succedere tutte quelle cose, cosa sarebbe successo nel resto dell’anno?
Ad un tratto Nate fu trascinato via dal sonno, scivolando nel buio per molto
tempo. Lentamente, un’immagine prese vita nel suo subcosciente, una
fluttuante apparizione di una ragazza morta, con i capelli biondo fragola.
La guardò affascinato, piuttosto che impaurito, prendere forma davanti a lui
– Annie.
"Cosa ci fai qui?" sentì se stesso chiederle, la sua voce che sembrava
provenire da una tubo di cartone.
"Sono venuta per vedere te." gli rispose, con un sorriso privo di tenerezza.
"Perché?" Nate si accigliò, confuso sul perché Annie volesse vederlo.
"Ti ho sentito. Ho sentito la tua piccola conversazione."
"Quale conversazione?"
"Con quella ragazza." Annie scivolò accanto a lui, appoggiando il palmo
della mano aperta davanti alla lampo dei suoi pantaloni.
Anche nel mondo dei sogni, il gesto non gli fece nessun effetto. Non gli
importava che lei lo toccasse lì.
"Devi stare attento a quello che fai." disse lei, facendo risalire lo
sguardo sugli occhi di Nate. "So quello che stavi per fare."
Lui si strinse nelle spalle. "Cosa stavo per fare?"
Lei si sedette, togliendo la mano, con un sorriso malizioso sulla faccia.
"Stavi veramente per masturbarti al suono della sua voce?"
Nate rimase in silenzio, mentre la rabbia cresceva dentro di lui.
"Stavi per farlo, vero?" Annie fece una risata incredula. "Dannazione, sono
contenta che tu non mi abbia mai chiesto di farlo. E’ disgustoso, Nate. Lo
sai."
Continuò a guardarla in silenzio, pensando che quello che lui faceva non
fossero affari suoi.
"Ma tu devi stare attento." lo mise in guardia, chinando la testa in avanti
e guardandolo minacciosamente da dietro le palpebre.
"Perché?"
Gli occhi verdi di lei tornarono a guardare le sue parti intime, poi si
rialzarono ad incontrare gli occhi di lui. "Fa attenzione quando spandi il
tuo seme, Nate. Non sai mai chi potresti incontrare."
Nate rimase perplesso. "Come potrei incontrare qualcuno in questo modo? E
cosa potrebbero farci? A proposito di cose disgustose … "
Annie si alzò, allungando le mani sopra la testa. Poi le fece scivolare
lentamente sui suoi seni, sull’addome, sulle cosce. "Ti sei mai chiesto
perché prendevo la pillola?"
Nate sbuffò. "Certo, per non rimanere incinta." Non ci voleva un gran
cervello.
Ma Annie scosse lentamente la testa. "Oh, no, Nate. Questa è solo una delle
ragioni. Perché se io prendevo la pillola, non avremmo dovuto usare
preservativi, vero? E se non dovevamo usare i preservativi, tu cosa potevi
fare?"
Nate deglutì. La cosa non sembrava buona.
"Tu cosa potevi fare?" ripeté lei. "Te lo dico io – saresti arrivato dentro
di me, vero?" Lui annuì in silenzio.
"E ti piaceva, vero?"
A quel tempo, si, gli era piaciuto.
"E cosa mi dici di tutto quel seme?" chiese ancora Annie, toccandosi un
labbro con l’indice. "Tu sai che mio padre sapeva quello che eri. Pensi
davvero che avrebbe lasciato … sprecare una prova così evidente?"
Nate spalancò gli occhi e sentì il cuore saltargli nel petto. Gli stava
forse dicendo che avevano raccolto il suo seme da Annie, dopo che avevano
avuto un rapporto?
Lei si chinò per avvicinarlo, il naso che quasi lo toccava. "E cosa pensi ci
abbiano fatto?"
Nate scosse la testa.
"Non ne hai idea, vero?" Lei si girò per guardare oltre la sua spalla e Nate
seguì la direzione del suo sguardo.
Dietro di lei, un gruppo di medici, tutti con un portablocco e l’espressione
concentrata, si muoveva in una stanza. Nate guardò le loro facce, ma non ne
riconobbe nessuna. Notò che gli uomini sembravano osservare qualcosa sul
pavimento. Seguì i loro sguardi.
Un bambino piccolo, ancora con il pannolino, era seduto in terra con le
spalle a Nate. I dottori prendevano appunti, poi si consultavano tra loro,
sussurrando dietro le mani, mentre studiavano il bimbo. Nate sentì un grosso
buco aprirsi nel suo stomaco – stavano discutendo cosa fare del bambino. E
lo loro opzioni non comprendevano dargli una calda, amorevole famiglia. Era
la loro cavia da laboratorio, la loro scimmietta da esperimenti. Se lo
avessero distrutto durante le loro prove, potevano sempre farne un altro.
Il cuore di Nate batteva così forte, che ora poteva sentirlo in gola. Non
riusciva a staccare gli occhi dal bambino, dalla sua testina di capelli
scuri.
Lentamente il bambino si voltò e incontrò lo sguardo di Nate, con gli occhi
azzurri ormai rassegnati al suo destino. Nate rimase senza respiro, alla
totale devastazione che vi lesse, alla completa distruzione dello spirito di
un essere così piccolo. Dita di ghiaccio gli strinsero il cuore e gli
gelarono il sangue. Cercò di alzarsi, di salvare il suo bambino, ma Annie lo
spinse indietro.
"E’ troppo tardi, Nate. Ormai sei nostro."
"Nate."
Gli occhi di Nate vagarono per la stanza, cercando di capire dove fosse,
dove fosse andata quella traditrice di Annie. Tutto era buio, tranne che per
il piccolo rettangolo di un raggio di luna che scendeva dall’abbaino.
Ricordò a Nate quella piccola striscia di luce sotto la porta della cella
dove era stato tenuto prigioniero dall’FBI - quel piccolo raggio che era
stato la sua sola speranza.
"Va tutto bene, Nate."
Era la voce di Max. Nate spostò lo sguardo alla sua destra e trovò Max
seduto tranquillamente sul bordo del letto.
"Va tutto bene." gli disse dolcemente. "E’ stato solo un sogno."
Nate si sedette di scatto. Aveva gridato? I suoi genitori lo avevano
sentito? Se lo aveva sentito Max, certamente lo avevano sentito anche Emma e
Jon.
Max gli poggiò una mano sulla spalla e lo spinse contro il materasso. "Io ti
ho sentito, ma loro no." disse rispondendo alla sua domanda non fatta.
Mentre la sua mente si schiariva, Nate ricordò che Max aveva un udito
superiore alle altre persone. Facendo un profondo respiro, cercò di calmare
i battiti del suo cuore, il nodo che aveva allo stomaco. Aveva ancora negli
occhi il viso del bambino, la morte e la disperazione che vi aveva letto. Lo
avevano ferito.
"Stai bene?" chiese Max, accendendo la lampada accanto al letto.
Nate strinse gli occhi, per difendersi dalla luce, e annuì.
Max guardò in terra, poi tornò a guardare suo figlio. "Ti succede spesso,
vero?"
Cosa – sognare Annie che gli rubava lo sperma ed aiutava l’FBI a creare un
porcellino d’India? No, questo era nuovo.
"Voglio dire gli incubi." chiarì Max, davanti al silenzio di Nate. "E’
normale che accada. Io lo so. Ci sono passato."
Nate continuò a guardarlo in silenzio. Aveva visto il nastro con le torture
che avevano inflitto a Max e quello che aveva passato doveva essere stato la
causa di incubi per diversi anni.
"Vorrei avere una cura miracolosa per i tuoi incubi." gli disse Max, con un
tono di scusa. "Ma non ce l’ho." Si chinò e aggiustò le coperte di Nate.
"Tutto quello che posso consigliarti è di parlare con persone che ti
vogliono bene, che ti possono capire. Non lasciare che i sogni ti facciano
impazzire." Posò una mano sulla spalla di Nate. "Non ti succederà niente,
finché sei qui, specialmente se ci sono io." Gli sorrise dolcemente, poi
spense la luce e tornò nella sua stanza.
Nate era completamente sveglio. Anche se sapeva che era da pazzi provarci,
cercò di razionalizzare il sogno. I sogni non vanno mai presi alla lettera,
così dubitò che Annie aveva veramente fornito un campione del suo seme
all’FBI. Dubitò che avessero creato dei cloni di Nate, da usare per gli
esperimenti.
Però, a volte, i sogni sono profetici.
Continua...
Scritta
da Karen (MidwestMax)
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice
dall'originale in inglese,
a cura di Sirio |