Riassunto: Un
barbecue, una festa di compleanno, il ballo della scuola. Eventi che cercano
di colorare di normalità la vita dei nostri amici, fornendo anche spunti per
qualche necessario chiarimento...
Data di stesura:
dal 31 maggio 2005 al 26 maggio 2007.
Valutazione:
adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi della serie televisiva appartengono alla WB e alla
UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it. Shanee e Kalosh
Arkèdy appartengono a Shanti.
Indirizzi e-mail:
ellis@roswellit.zzn.com -
shanti_m@roswellit.zzn.com
- A me sembra ancora poco cotta. -
Michael guardò Shiri con fare seccato. - Hai fretta? No, perché se è così...
- e accennò a passare una mano sulla bistecca che stava rosolando sulla
graticola.
- No, no! - La ragazza fece un sorriso di scusa. Aveva già avuto modo di
mangiare un hot dog arrostito grazie alle loro particolari capacità ed il
risultato non era stato dei migliori. - Posso aspettare, zio, stai
tranquillo! -
Poco distante da loro Shanee stava sistemando su un vassoio le patate
accuratamente avvolte nella carta stagnola.
Michael la vide e corrugò la fronte. - E tu, invece, non crederai mica di
cavartela con quella roba lì, vero? -
Lei gli fece un sorriso smagliante. - Con un po’ di salsa acida sono
squisite. -
- Sì, e magari anche mezza bottiglia di tabasco. No, oggi dovrai assaggiare
almeno un hamburger! Altrimenti come speri di riuscire a trovare l’energia
per gli allenamenti? -
Shanee roteò gli occhi. Da un paio di settimane Michael si era assunto il
compito di istruirla nell’uso dei suoi poteri, rimanendo quasi sconvolto
nello scoprire la sua totale inadeguatezza. A malapena, infatti, era
riuscita a spostare alcune piccole rocce. Da qui la convinzione che il
motivo fosse legato alle sue abitudini vegetariane.
- In fondo si tratta solo di un piccolo hamburger... - insisté.
Shiri andò in soccorso dell’amica. - Zio, non pensi che potrebbe dipendere
dal fatto che il suo dna alieno sia quello di un mutaforma? -
In quel momento sopraggiunse Isabel con una pila di piatti di carta. - Siete
pronti? Mancate solo voi! -
Sbuffando, Michael preferì rinviare la discussione ad un altro momento,
quando nessuno li avrebbe interrotti, e porse a Shiri la sua bistecca.
Poco dopo erano tutti seduti attorno al tavolo e Maria diede una mano a
Shanee nel distribuire le patate al cartoccio.
Michael approfittò dell’occasione per mettere un po’ di carne nel piatto
della giovane indiana, guadagnandosi uno sguardo di rimprovero da parte
della nipote.
Dopo aver controllato che i gemelli stessero giocando senza combinare danni
all’interno dell’area appositamente predisposta per loro, Max prese la
cassetta di bottiglie di tabasco e la portò a tavola. Mentre gli passava
vicino Michael ne afferrò una e la sistemò davanti al piatto di Shanee.
“Quella ragazza deve imparare a mangiare come si deve!” pensò.
Quando tornò al suo posto lei rimase per un attimo interdetta poi sedette
con un sospiro di rassegnazione che non sfuggì a nessuno. - Devo proprio? -
- Sì, ti prego -
Maria guardò il marito esasperata. - Ancora con quella storia della carne?
Ma insomma, falla finita! - Si volse in direzione di Max. - Diglielo pure
tu! E’ una faccenda assolutamente ridicola! -
Il giovane scrollò il capo. - Potrebbe anche esserci un qualche fondamento.
Forse bisognerebbe fare una prova. -
- Un hamburger non basterebbe di sicuro, e se Shanee preferisce mangiare
vegetariano non vedo perché la si debba costringere a fare diversamente. -
fu la pacata osservazione di Liz.
A quel punto Isabel sorrise dentro di sé. Non ci voleva un genio per capire
che adesso Max ci avrebbe ripensato...
- In effetti Liz ha ragione. Ci vorrebbe una dieta lunga almeno un mese
prima di capire se funziona, e non mi pare giusto obbligarla ad andare
contro le sue convinzioni. -
Jason lanciò uno sguardo grato al padre, ma Shanee improvvisamente sbottò. -
Ora basta! - Prese la forchetta e la affondò con forza nella carne.
Tutti i presenti la osservarono in silenzio mentre masticava a fatica il
boccone poi, quando lo ebbe infine inghiottito, si misero a mangiare a loro
volta.
- Shiri, fra poco è il tuo compleanno. - esordì ad un tratto Isabel.
La ragazzina prese la bottiglia di salsa piccante rimasta intatta vicino al
piatto di Shanee. - Sì, è vero. Mi piacerebbe dare una festa, magari qui in
casa. O in giardino, come adesso. - Si rivolse ai genitori. - Mamma, papà,
sarebbe possibile? -
- Sì, perché no? - Liz si rilassò contro lo schienale della sedia. La
piccola dentro di lei stava crescendo a ritmo accelerato e spesso le premeva
sullo stomaco.
- D’accordo - Max passò il vassoio con gli hot dog a Morgan. - Ah, mi è
venuto in mente che ho un favore da chiederti. Potresti predisporre delle
difese per il mio computer perché nessuno possa rintracciarne la posizione?
E’ per quel lavoro di gruppo cui partecipava Kalosh, e preferirei che non si
sapesse da dove opero. -
- Certo, non c’è problema. Posso venire anche domani, se vuoi -
- Perfetto, grazie. Isabel, perché non ci raggiungi dopo il lavoro così vi
fermate a cena? -
- E Natalie? -
- Se vuoi la tengo io. - si offrì Shanee.
- Guarda che puoi portarla con te! Cosa vuoi che sia un bambino in più? -
disse Max.
- Niente, se non devi concentrarti su problemi di meccanica celeste... -
Lui fece una spallucciata.
- La mia offerta è sempre valida. - fu il tranquillo commento della ragazza.
- Ti ringrazio ma, a quanto pare, non è necessario. - La giovane donna
sorrise all’amica, poi si accorse del suo pallore. Stai bene? - le chiese
preoccupata.
- Non... non proprio... Scusatemi - Si alzò di scatto portandosi una mano
alla bocca e si precipitò in casa.
Kyle fissò torvo Michael. - Tu e le tue brillanti teorie! - Fece per
seguirla ma venne anticipato da Shiri. - Ci penso io
- Meglio essere in due. - disse Isabel affiancandola, ed insieme lasciarono
la tavolata.
Maria le guardò allontanarsi. - Non vorrei fosse stato l’hamburger... -
- Era soltanto uno, e per di più piccolo. - si difese Michael.
- Per chi non è abituato a mangiare carne non fa differenza -
- Senti, Maria, adesso... -
Venne interrotto da Liz. - Ormai è andata. Però, se davvero le ha fatto male
la carne, per favore non insistere più. Ci sono sempre le patate, in
fondo... Anzi, Morgan, ti spiace passarmene una? -
- No, affatto. -
- Non sarebbe meglio che mangiassi ancora un po’ di carne? - mormorò Max
guardandola preoccupato.
- Adesso cominci tu? - lo rimproverò lei. - Guarda che sto benissimo! E in
questo momento ho voglia di patate alla brace. - Sorrideva, ma si capiva che
non avrebbe tollerato altre discussioni. - Siamo ad un barbecue, non ad una
convention di dietologi -
A quell’uscita Morgan non riuscì a reprimere una risata. - Giusto! E al
diavolo il colesterolo! Cosa preferisci: burro o salsa acida? -
- Tabasco, grazie. - Liz prese la bottiglia che stava tra lei ed il marito e
cominciò a spruzzarne il contenuto all’interno della patata spaccata a metà.
- Come mai Alexandra non è venuta? Non le andava di stare con noi? -
Jason scosse la testa. - Era di turno al locale. - Ormai avrebbe dovuto
essersi abituato all’atteggiamento di Michael nei confronti della sua
ragazza, tuttavia avrebbe voluto che lui capisse.
- A dire la verità mi è sembrata sinceramente dispiaciuta di non poter
venire. - intervenne Kyle, quasi sorpreso lui stesso al ricordo
dell’espressione che le era apparsa sul viso quando aveva dovuto rinunciare
perché non aveva trovato nessuno che la sostituisse.
L’alieno non sembrava convinto ed il nipote lo guardò negli occhi. - Mi
rendo conto che per te resterà sempre una mocciosa insopportabile, ma è la
persona che amo. So che mi consideri un perfetto idiota per questo, però mi
farebbe piacere se provassi a vederla per come è realmente. Forse potresti
anche trovarla simpatica... -
- Impossibile - Ancor prima che Maria gli desse un calcio nello stinco
Michael comprese di avere parlato a voce alta e fece una smorfia. - Scusa. -
Cercò di rimediare alla gaffe. - Il fatto è che fino ad ora ha combinato
solo guai e ha cercato di ammazzarti non so più quante volte, per cui non mi
sento molto portato a volerla conoscere meglio. Insomma, io ci tengo alla
mia pelle... -
- Ti prometto che se dovesse cercare di nuovo di uccidermi, e so che non
succederà mai più, mi difenderò. Fra quel che mi hanno insegnato Lou e
Thien, e tu e papà, sarà difficile che possa anche soltanto farmi un
graffietto! -
Max lo fissò senza dire una parola, mentre Liz sollevò le sopracciglia. - Ne
dubito - disse piano.
Il figlio la sentì, tuttavia, e un violento rossore gli colorò le guance. -
Ci sono graffi e graffi... - borbottò.
- Sì, questo lo so. - Avrebbe preferito che Jason fosse molto più grande
prima di scoprirlo, purtroppo le cose erano andate diversamente e non si
poteva certo tornare indietro, che le piacesse o meno.
- Michael, ti hanno mai detto che sei un gran rompiscatole? -
Udendo la voce argentina di Shanee il giovane alzò sollevato lo sguardo e le
sorrise. - Ehi! Tutto a posto? -
- Mm, secondo te? -
Mortificato, lui le scostò la sedia. - Ok, niente carne. Se avessi saputo
che avresti finito col sentirti male avrei lasciato perdere... -
- Non credo. Ho l’impressione che non sia facile farti cambiare idea - ed
accennò a Jason.
- Effettivamente hai la tendenza ad essere più cocciuto di un mulo -
commentò Isabel sedendosi di nuovo. - Tu e Max vi siete scontrati
un’infinità di volte perché cercare di ragionare con te è impossibile! -
- Il che significa che dovrò aspettarmi qualche altro stupendo esperimento?
- chiese la ragazza fissando preoccupata i presenti.
- Dobbiamo essere sempre pronti a difenderci e quindi bisogna imparare a
gestire i nostri poteri. E in questo campo hai ancora molta strada da fare.
- cercò di spiegare Michael.
- Vuoi forse trasformarla in un soldato?!? - inorridì Kyle.
- Voglio solo che non le venga fatto del male. E’ così difficile da capire?
-
Shanee lo abbracciò di slancio. - Grazie! - Gli diede poi un bacio sulla
guancia. - Però non dimenticare che ognuno di noi ha le sue peculiarità.
Forse le mie non contemplano l’aggressione diretta... -
- E’ un’ipotesi da non scartare. - Max lo fissò pensoso. - In fin dei conti
il nemico può anche essere semplicemente neutralizzato e non ridotto per
forza ad un mucchietto di polvere. -
A quelle parole Isabel s’illuminò. - Visto che i metodi di Michael non hanno
funzionato si potrebbe provare con qualche esercizio mentale! -
- Tipo? - indagò la ragazza, non troppo convinta. - Cosa vorreste farmi
fare? -
- Non lo so con certezza. Dipende da quello che verrà fuori facendo pratica.
-
Una rapida occhiata intorno a sé fece capire a Shanee che non aveva molta
scelta. La consolava il fatto che Isabel fosse una persona decisamente più
tollerante di Michael e questo la tranquillizzò un poco. - Va bene, visto
che insistete... - Si volse in direzione di Morgan e gli sorrise con aria di
scusa.
Lui le sorrise di rimando. - Lo so che non è semplice avere a che fare con
loro, specie quando sono coalizzati. Ma vanno perdonati, dati i loro
trascorsi. -
- Hai ragione. Però a questo punto sento il bisogno di alleggerire un po’
l’atmosfera. - Così dicendo si alzò per prendere la chitarra che aveva
portato con sé e iniziò a suonare qualche accordo.
Com’era intenzione di Shanee, il delicato sottofondo musicale riportò i
discorsi ad un livello più rilassato ed il pranzo proseguì serenamente.
Finito di mangiare Maria, Shiri, Isabel, Morgan e Kyle si misero a
riordinare e gli altri andarono dai bambini.
Natalie dormiva tranquilla sulla copertina che la madre aveva steso per lei
mentre Mathias cercava di seguire i gemelli nei loro giochi senza riuscire
tuttavia a fare altro che ricadere seduto ad ogni tentativo di imitarli.
Jason si sistemò accanto a Ethan e Claudia e cominciò a giocare con loro.
Nel vedere la sua espressione serena Michael corrugò la fronte. Lo aveva
aiutato a venire al mondo, gli aveva fatto toccare per la prima volta
l’acqua dell’oceano, aveva costruito castelli di sabbia per lui, e adesso,
invece, per colpa di quella ragazzina...
Sentendosi osservato il giovane si volse. - Qualcosa non va? - chiese dopo
un po’, notando che lo zio lo studiava con attenzione.
- No, niente -
- Certo. - Diede un bacio sulla guancia del fratellino. - Scusami, torno fra
un attimo. - Raggiunse poi Michael e lo invitò con un cenno a seguirlo.
Si accomodarono sul dondolo, entrambi con le gambe distese incrociate alle
caviglie e lo sguardo fisso in avanti.
- Da quando sto con Alexandra le cose sono diventate difficili, fra noi -
esordì Jason - e mi dispiace moltissimo. Capisco che ti sia preoccupato, del
resto anche mamma e papà lo erano, ma adesso va meglio. Lei non ha più
cercato di farmi del male, e te lo possono confermare Shiri e Shanee se non
mi credi... -
- Fai lo spiritoso, adesso? -
- No, è solo che negli ultimi tempi non mi era parso che avessi molta
fiducia in me. Però, se parli con papà, ti confermerà che non c’è alcun
bisogno di continuare a temere chissà che cosa! -
- Questo lo dici tu - Forse Jason credeva che, soltanto perché da qualche
settimana lui e la sua bella non litigavano, Max e Liz si fossero
tranquillizzati ma la verità era che in un paio di occasioni Max gli aveva
rivelato quello che pensava di tutta la situazione. Ed era ben lungi
dall’esserne felice...
- Zio, per favore, cerca di capire. E’ vero, ho fatto una montagna di
sciocchezze con Alexandra, ne sono pienamente consapevole, così come sono
consapevole dei miei limiti. E sto imparando a superarli. -
- Mi sembra un’affermazione un po’ arrischiata, questa - ironizzò Michael.
- Ringrazia Shanee. E’ stata lei ad aprirmi gli occhi. - Con un sorriso
timido e allo stesso tempo speranzoso si girò verso di lui. - Mi sento
davvero bene. E vorrei che tu fossi felice per me. -
L’alieno emise un profondo sospiro. - Sarei più felice se tu fossi il
marmocchietto che dovresti essere, ma mi rendo conto che è pretendere
l’impossibile. Comunque... anche se hai deciso di non poter fare a meno di
Alexandra, ti voglio bene lo stesso. - Lo abbracciò con forza, socchiudendo
gli occhi per nascondere l’emozione. Aveva considerato la nascita di Jason
un miracolo, lo scopo per cui continuare a lottare, la possibilità concreta
di un futuro per loro, e sarebbe stato sciocco voltargli le spalle per una
semplice ripicca. “Del resto, sei figlio di tuo padre. Che altro ci si
poteva aspettare da te?”
- E come vorresti organizzarla, questa festa? -
Shiri infilò i piatti di carta nella busta che Maria teneva fra le mani. -
Non lo so bene, ancora. Di sicuro in giardino, se sarà una bella giornata.
Con la musica per ballare. Vorrei invitare i miei compagni di scuola e
Shanee. Credo che sarebbe divertente... -
Isabel fece una smorfia. - Io ho sempre odiato le feste di compleanno, ma
capisco che per te sia diverso. In fin dei conti si tratta della prima,
anche se... quante candeline pensi di mettere sulla torta? - chiese
incuriosita.
- Quindici. Secondo mamma è la quantità giusta. -
Morgan le sorrise. - Sì, dimostri proprio quindici anni. -
- A volte mi domando come sarò quando avrò realmente quell’età... Sembrerà
che abbia trent’anni? Oppure rimarrò così fino ad allora? -
- Mi spiace, tesoro, non so proprio cosa risponderti. - L’aliena studiò per
un attimo la nipote. Quello era un dilemma che poteva far venire i peggiori
incubi...
- Intanto pensa a questo diciotto aprile. Per gli altri c’è tutto il tempo
che vuoi! - Maria si avvicinò a Kyle per consentirgli di buttare le due pile
di bicchieri sporchi che aveva in mano. - C’è qualcosa in particolare che
desideri? O posso fare di testa mia? -
A quelle parole la ragazza si mise a ridere. - Mi piacciono le sorprese. -
- Perfetto. - L’idea di andare in giro per negozi alla ricerca di qualcosa
di adatto la elettrizzò e decise che il giorno dopo sarebbe passata a
prendere Liz in ospedale.
- Pensi di invitare anche Alexandra? - domandò Kyle.
- Sì, altrimenti Jason ci resterebbe male, e comunque devo dire che negli
ultimi tempi si è un po’ calmata. Insomma, con me si comporta abbastanza
civilmente. Con Shanee... Ecco, direi che fra loro c’è una specie di tregua
armata. -
- Cioè? - domandò Maria.
- Si limita ad irrigidirsi quando la incontra nei corridoi, e a mensa tende
a sedersi al tavolo più lontano dal suo. Di solito Jason la raggiunge, ma
ogni tanto riesce a farla rimanere con noi. -
- E come va, in quelle occasioni? - volle sapere Valenti.
- Non vedo l’ora di finire di mangiare -
La laconica risposta suscitò una risata generale.
Quando ebbero messo tutto a posto tornarono in giardino e si unirono agli
altri.
Michael e Jason erano di nuovo coi bambini, e Maria si accorse subito che
doveva essere successo qualcosa. “Forse si sono chiariti... Lo spero tanto!
Michael era diventato così severo con Jason, anche se è il suo preferito...”
- Ieri mi ha telefonato Alex. - Liz guardò Maria con aria di scusa. - Mi
stavo quasi dimenticando di dirvelo, comunque si è diplomato col massimo dei
voti e ha già trovato un lavoro per una multinazionale in Oregon. Purtroppo
non ce la fa a venire a Roswell per salutarci prima di trasferirsi. -
La notizia suscitò reazioni diverse. Maria si imbronciò, sentendosi tradita
dall’amico d’infanzia. - Sono forse dei negrieri, che lo costringono ad
iniziare a lavorare appena finiti gli studi? -
Isabel si oscurò in volto e non disse niente. Aveva sentito Alex molto di
rado, da quando era partito per Boston, e temeva che quello fosse un
semplice stratagemma per tenersi alla larga da lei.
Max e Kyle espressero il loro dispiacere per l’impossibilità di salutare un
vecchio compagno e la speranza che le cose gli andassero bene.
- A quanto pare lui non ha alcuna difficoltà a stare lontano da Roswell. -
commentò invece Michael, un po’ seccato per l’apparente insensibilità del
giovane. Poteva immaginare come Maria ci fosse rimasta male...
- Stai tranquillo: manterrà il segreto. - lo rimproverò Liz, fraintendendo
il motivo del suo risentimento.
- Non mi riferivo a quello. Solo che voi eravate amici per la pelle, e
adesso non si degna neppure di passare a salutarvi!
- Sono sicura che se avesse potuto lo avrebbe fatto. Non potrà salutare
nemmeno i suoi genitori. -
Michael alzò le spalle.
Shanee, che aveva smesso di suonare per giocare con Natalie, lo squadrò
esasperata. - Ti sei mai sforzato di comprendere le ragioni degli altri? -
gli chiese con un pizzico di impertinenza.
- Tempo sprecato. Tanto, fanno sempre tutti come gli pare... -
- Sei un vero testone! - Lo disse sorridendo. Aveva capito da un pezzo che,
sotto quell’aria burbera, si nascondeva un cuore tenero. Ma non sempre aveva
la forza di sopportare la sua prepotenza. Come in quel momento, quando
ancora si sentiva lo stomaco sottosopra per la carne che aveva dovuto
mandare giù. - Sentite, sono un po’ stanca. Liz, Max, vi ringrazio per
l’invito ma adesso vorrei proprio tornarmene a casa. - Si volse a guardare
Shiri. Aveva di nuovo quell’aria smarrita... - Che ne dici di venire con me?
Se vuoi puoi anche trattenerti a dormire. Mi farebbe molto piacere, davvero.
La ragazza sorrise dubbiosa. - Hai detto che sei stanca... -
- Appunto. Una tisana e quattro chiacchiere mi rimetteranno in sesto!
Allora? -
Ci pensò soltanto un attimo. L’idea della quiete del miniappartamento di
Shanee la attirava, per cui chiese il permesso ai genitori e, ottenutolo, si
alzò in piedi. - Vado a prendere il pigiama e lo spazzolino da denti. Torno
subito. -
- Ok -
- Sicura che non ti disturbi? - si preoccupò Max.
- Sì. La riaccompagno domani dopo la scuola, d’accordo? -
- Va bene. Grazie per essere venuta -
- Grazie a voi. - Salutò ognuno dei presenti, schioccò un bacio sulle guance
dei piccoli poi prese la chitarra e, sotto lo sguardo deluso di Kyle,
raggiunse Shiri, apparsa sulla soglia della porta che dava sul giardino.
Le due amiche erano sedute sul divano e sorbivano tranquille una tisana
profumata, godendosi finalmente un po’ di pace.
- Come ti senti? -
Shanee chiuse gli occhi con un sospiro di piacere. - Benissimo. Ma ti
assicuro che se Michael proverà di nuovo a farmi mangiare carne, sotto
qualunque forma, mi arrabbierò sul serio. -
- Sì, non è facile fargli cambiare idea. - Shiri sorrise. - Ha la tendenza a
muoversi con la delicatezza di uno schiacciasassi, ma è animato da buone
intenzioni. -
- Su questo non ho alcun dubbio, però vorrei che capisse che non può
trattarmi come se fossi una bambina di cinque anni! E’ da tempo che me la
cavo da sola... -
- Che vuoi farci? Sente molto il suo ruolo di comandante in seconda di papà
e, come tale, di protettore della famiglia reale. E quindi anche di te, che
ti piaccia o meno. -
La giovane indiana fece una smorfia. - Immagino sia un prezzo che posso
permettermi di pagare. - Bevve un altro sorso di tisana poi si spostò in
modo da poterla guardare in volto. - E tu, invece, come stai? -
Prima di rispondere l’aliena studiò l’anello che portava all’indice,
l’anello che le aveva regalato Bren. - Bene - disse poi con voce assente.
- Shiri, non credo di doverti ricordare che sono in grado di percepire le
emozioni di chi mi è vicino... E, anche se fai finta di nulla, lo so che
senti la mancanza di Bren. Ne hai parlato con qualcuno? Con Jason, magari? -
Le guance le si colorarono di rosa. Sì, dopo la sua partenza era andata dal
fratello, che l’aveva abbracciata e cullata mentre piangeva a dirotto, poi
doveva essersi addormentata perché l’indomani mattina si era svegliata nel
suo letto. Non c’era stato bisogno che gli dicesse cosa era successo. Lui
aveva capito perfettamente e le aveva dato il suo silenzioso sostegno.
- Allora? Nonostante lo scarso buon senso che ha dimostrato nell’innamorarsi
di Alexandra Cooper, è un ragazzo in gamba e ti è molto affezionato. Forse
ti sarebbe più facile parlare con lui che con tua madre. - le suggerì.
- Passerà. Devo solo avere pazienza. -
Shanee tenne per sé la riflessione che Bren avrebbe potuto aspettare ad
andarsene così da essere presente per il suo compleanno. Che differenza
avrebbero fatto due settimane in più o in meno? - Almeno hai avuto modo di
salutarlo come si deve? -
- Sì, quel giorno sono tornata subito a casa dopo la scuola, e con papà e
Jason lo abbiamo teletrasportato insieme a Nik a notte inoltrata. -
- Teletrasportato... dove? - volle sapere.
- Sull’astronave rimasta in orbita fuori dal sistema solare. Non c’era altra
soluzione, visto che la loro navicella è andata distrutta. - spiegò lei col
tono di chi sta dicendo una cosa ovvia.
- Dubito che mi abituerò mai a quello che riuscite a fare… - borbottò
scuotendo leggermente la testa.
Shiri non fece commenti. Per lei era naturale quasi come respirare. Bastava
che si concentrasse appena un poco e poteva sentire l’energia scorrerle nel
corpo e raggiungere il cervello, pronta ad esplodere al minimo comando.
L’importante era saperla tenere sotto controllo, ma questo ormai era
divenuto istintivo. Tranne quando... Si costrinse a pensare ad altro.
L’amica si avvide della sua lotta interiore ed ebbe un sospetto. - C’è
qualcosa che vorresti dirmi? - chiese gentile.
Dopo una lunga esitazione appoggiò la tazza sulle gambe incrociate davanti a
sé, stringendola con entrambe le mani quasi a cercarne il calore. - Hai...
hai presente il numero tre? -
All’inizio la domanda la colse alla sprovvista, poi capì. - “Amore, uomo
giusto e momento adatto”... -
- Esattamente. - Lo disse pianissimo, sul viso un’espressione di rimpianto.
- Il momento... ci è sfuggito fra le dita. -
- Cos’è successo? -
- Avevo perso completamente il controllo. Anzi, lo avevamo perso tutti e
due, ma poi... - Fece un sospiro sconsolato. Poi basta - Aveva gli occhi
umidi, e la ragazza le coprì una mano con la propria. - Vuoi parlarne? -
- Non c’è altro da dire, in realtà. - Si strinse nelle spalle fingendo una
noncuranza che non provava. - E forse è meglio che sia andata così. -
- Però a te dispiace, giusto? -
Le labbra le tremarono mentre annuiva piano, e all’improvviso si ritrovò fra
le sue braccia. - Vorrei che fosse ancora qui... -
In casa non c’era nessuno. Sapeva che Jason era impegnato con gli
allenamenti, ed il padre doveva essere uscito con i gemelli. Sentendo rumori
in cucina si era affacciata sulla soglia per scoprire che si trattava di
Holen. Allora si era diretta verso la propria stanza per posare lo zaino
prima di andare a cercare Bren. Non era stato necessario. Lui era lì, in
camera sua, e si stava sfilando la maglietta di cotone che gli aveva
comprato per sostituire l’uniforme con cui era arrivato a Roswell.
L’uniforme che ora era ben distesa sul letto, pronta per essere indossata. A
ricordarle che quello era l’ultimo giorno...
Cercò di non guardarla, quasi che, così facendo, potesse allontanare l’ora
della partenza, della separazione. Guardò invece Bren. E gli occhi le si
posarono come calamitati sul suo torace liscio e muscoloso, con una leggera
peluria dorata che sottolineava i pettorali e poi scendeva fino all’ombelico
e oltre. Senza volerlo trattenne il fiato e cominciò a sfiorarlo con la
punta delle dita studiando ogni linea, ogni curva, soffermandosi laddove il
cuore batteva calmo e forte.
Al delicato tocco della sua mano sentì il ritmo aumentare e sollevò il viso.
Bren la stava fissando intensamente, facendo un notevole sforzo su se stesso
per rimanere immobile.
Nessuno dei due sembrava in grado di dire una parola, ma non ce n’era
bisogno.
Tornò a guardare quel che stava esplorando. Scese a carezzargli l’addome,
piatto e solido. E d’impulso intervenne su di sé. Poi, avvicinandosi ancora
di più, gli slacciò il bottone da cui partiva la cerniera.
- Questa volta non siamo su un prato - mormorò lui con voce roca. - Questa
volta non mi fermerò. -
Un brivido le corse lungo la spina dorsale. - Non voglio che tu lo faccia. -
disse in un sussurro.
Si ritrovò saldamente sostenuta da un braccio d’acciaio mentre una mano le
bloccava la nuca. D’istinto lo strinse a sé mentre le loro labbra
s’incontravano in una lunga serie di baci torridi.
Poco dopo si sentì schiacciare contro la parete, le gambe sollevate intorno
alla sua vita, la sensazione di un fiume di fuoco che l’attraversava con
violenza, l’energia pulsante che sembrava dilatarsi come una bolla pronta ad
esplodere.
Poi Bren s’immobilizzò, e stavolta anche lei udì bussare alla porta. La voce
sommessa e chiara di Holen risuonò come acqua gelida su entrambi. “- Mio
signore, le loro Altezze Reali sono rientrate -”
Strappata di colpo al mondo di incredibili e meravigliose sensazioni che il
contatto intimo col suo corpo seminudo aveva creato, Shiri chiuse gli occhi
gemendo interiormente e posò la fronte contro la sua spalla madida di
sudore.
La notizia sembrava aver avuto lo stesso effetto su di lui, poiché si
affrettò ad aiutarla a rimettersi in piedi prima di allontanarsi di qualche
passo. - Gran brutto momento... - disse piano cercando di sorridere. Ma era
profondamente colpito dal senso di perdita che provava nel non averla più
fra le braccia.
- Già - Lo guardò con nostalgia. Aveva ancora il respiro ansante e avrebbe
desiderato riprendere da dove si erano interrotti, tuttavia sapeva che era
questione di minuti perché suo padre o sua madre venissero a cercarla.
Avrebbe dovuto andarsene, lasciare che Bren finisse di cambiarsi, però non
riusciva a muoversi.
A sua volta col fiato corto, l’alieno cercò di riguadagnare una parvenza di
controllo. In quei pochi giorni aveva conosciuto nuovi aspetti di quella
ragazzina innocente e sensuale allo stesso tempo, e le emozioni che gli
suscitava erano divenute ancora più profonde legandolo a lei in una maniera
che continuava a stupirlo. Shiri Elizabeth Evans di Antar era una persona
speciale, e separarsene, adesso, lo straziava. E non facilitava le cose il
sapere che anche lei stava soffrendo terribilmente. Lottando per tenere a
bada il folle desiderio di dimenticare il mondo esterno e stringerla di
nuovo perdendosi nello squisito piacere della loro connessione mentale, le
tornò accanto e le infilò le dita fra i capelli alla base della nuca. - Ora
è meglio che tu vada... - La baciò con dolcezza. Ho bisogno di qualche
minuto. Aspettami giù, va bene? -
- Sì. - No, avrebbe voluto invece gridargli. Solo che non era possibile e
così, con la morte nel cuore, si volse e se ne andò.
- Non so quando ci rivedremo e... questo mi fa impazzire... Però, adesso
capisco meglio quello che ha provato Jason quando gli è stato vietato di
vedersi con Alexandra... E’... - Cercò le parole giuste. - Ti senti
spaventosamente solo... - bisbigliò infine, desolata.
Con un sospiro l’amica la scostò da sé e le allontanò i capelli dal viso. -
Forse è stato meglio... A dispetto di quello che credi, non era il momento
adatto. - affermò risoluta. - Non guardarmi così! - aggiunse davanti al suo
sguardo storto. Pensa a come ti sentiresti adesso se fosse successo il
giorno della sua partenza. O a come si sarebbe sentito Bren lasciandoti di
lì a poco. Quel ragazzo ha dato prova di amarti davvero riuscendo a
mantenere il controllo. Poverino... - sorrise, immaginandosi la scena. - Non
deve essere stato per niente facile! -
Le sue ultime parole strapparono un mesto sorriso alla ragazza.
Shanee proseguì. - La prossima volta, se vi sentite pronti entrambi, sarà
meglio che vi decidiate all’inizio della vacanza. Almeno avrete tutto il
tempo per stare poi insieme... -
Shiri rifletté e ne convenne, cercando di nuovo conforto nel suo abbraccio.
Piangeva in silenzio, tentando di scacciare la nostalgia che aveva nel
cuore.
- Su... fatti coraggio. Sono certa che lo rivedrai prima di quanto pensi...
- cercò di consolarla.
- E ad un tratto mi è venuta in mente la vecchia Isabel, così altera,
sprezzante... E’ davvero cambiata moltissimo in questi anni! - Liz guardò
Maria quasi a cercare una conferma.
Stavano camminando tranquillamente lungo i marciapiedi della via principale
alla ricerca del regalo per Shiri dopo che Maria, come stabilito, era andata
a prenderla all’ospedale. Benché il cielo fosse coperto nell’aria non c’era
odore di pioggia ed era piacevole passeggiare senza una meta precisa.
- Hai proprio ragione. Ricordi quanta paura avevo di lei? -
La ragazza annuì lentamente. - Beh... in effetti era una situazione molto
difficile, sia per loro che per noi. Comunque sono davvero contenta di come
siano andate poi le cose. Lo avresti mai potuto immaginare? Sposate coi
cecoslovacchi, e con una nidiata di bambini?! - I suoi occhi brillarono di
malizia, e Maria accennò col mento al suo profilo arrotondato. - Per quel
che riguarda te e Max non ho mai avuto dubbi che, quando fosse successo,
avreste fatto le cose in grande... anche se non pensavo “così” in grande! -
Fece una smorfietta. - Per me e Michael, invece, credo che due figli
basteranno -
- Allora vi siete decisi?!? -
- Ehi, calma, che hai capito? - Un’espressione oltraggiata le si dipinse sul
viso, subito sostituita da una meditativa. Ci stiamo pensando, tutto qui. -
- Tutto qui? -
Con un sospiro Maria si aggiustò sulla spalla la cinghia della borsetta. -
Non stiamo facendo niente per evitarlo - concesse.
Liz si fermò il tempo sufficiente per stringerla in un veloce abbraccio. -
Ne sono felicissima! -
- Ad essere sincera, a volte ho qualche dubbio. Voglio dire, non ho ancora
finito di cambiare i pannolini a Mathias, e fra poco dovrò ricominciare
tutto daccapo... -
- Ma adesso sei allenata, quindi sarà più semplice, no? -
La guardò di traverso mordendosi la lingua per non darle una rispostaccia,
poi vide l’insegna del negozio poco più avanti e s’illuminò. - Vieni,
entriamo qui! -
- Da Victoria’s Secrets? - si stupì l’altra.
- Sono sicura che troveremo qualcosa di adatto per Shiri. E anche per te! -
Liz si toccò dolcemente il pancione. - Ne dubito. - Sorrise sbarazzina. -
Magari per dopo... Ok! -
Mentre passavano in rassegna il vasto assortimento di biancheria intima,
commentando divertite l’incredibile varietà di combinazioni di tessuti,
ricami, merletti ed altro, Maria si sentì felice per l’amica. Era da molto
tempo che non la vedeva così rilassata, tranquilla, in pace col mondo
intero. Tra gli effetti della gravidanza e i guai creati da quel ragazzaccio
di Jason doveva aver passato un gran brutto periodo, ma ora sembrava averlo
superato. Sì, stava decisamente meglio, altrimenti non avrebbe neppure preso
in considerazione il completo di impalpabile tulle nero che continuava a
rigirarsi fra le dita... Con un sospiro soddisfatto si guardò attorno e gli
occhi le brillarono nel notare il set verde scuro. Appena più consistente di
quello che stava esaminando Liz, era semplice e raffinato allo stesso tempo,
ed era assolutamente certa che sia Shiri che Bren lo avrebbero apprezzato
moltissimo. Controllò la taglia dopodiché porse soddisfatta il suo tesoro
alla commessa che nel frattempo si era avvicinata.
Come regalo per la figlia Liz scelse infine una camicia da notte di seta con
le bretelline sottili che si incrociavano sulla schiena. Di un bellissimo
punto di violetto, era piuttosto lunga e un poco a svasare, con un sottile
intarsio di pizzo intorno alla scollatura. Cercando di tenere a bada il
rossore che sentiva salirle al viso consegnò alla cassa anche il completino
di tulle nero, e Maria, nobilmente, finse di non accorgersene.
Poco dopo erano di nuovo in strada, ognuna col suo bel pacchettino in mano,
e continuarono a studiare le vetrine fin quando decisero che era giunto il
momento di prendersi una meritata pausa.
Il locale in cui si fermarono era un posto chiassoso e affollato e, non
appena vi ebbero messo piede, Liz si bloccò e fece per uscire di nuovo.
L’amica le diede allora una spinta gentile sulla spalla costringendola ad
avanzare. - Su, un po’ di confusione non ha mai fatto del male a nessuno! -
- Confusione mi sembra un termine piuttosto riduttivo... -
- Coraggio! Non vedi che è solo gente che sta chiacchierando? Al bancone non
c’è praticamente nessuno! -
Con una smorfia di disappunto la ragazza si lasciò condurre attraverso la
folla.
- Salve, cosa prendete? - Il giovane barista sorrise loro con gentilezza.
Maria si affrettò a fare la propria ordinazione, un aperitivo leggero e
ghiacciato per placare la sete. Notando l’incertezza di Liz la fissò
interrogativa. - Perché non lo prendi anche tu? -
Lei alzò gli occhi al cielo. - Sono incinta, te lo sei scordata? Una goccia
di alcol e vado in tilt... -
A quelle parole il sorriso del giovane si spense. - Mi dispiace, non abbiamo
latte -
- Una limonata andrà benissimo, grazie. Con molto zucchero. - Non appena lui
si volse per preparare le bibite si chinò verso Maria. - Perché sono tutti
convinti che una donna incinta debba bere latte? Io odio il latte, l’ho
sempre odiato! le sussurrò.
- Anche a me non piace. Però una volta Michael mi ha costretta a berlo e
devo dirti che, allungato col tabasco, non è malaccio. Certo, non ho più
ripetuto l’esperienza, ma se proprio dovessi farlo ti consiglio di ricordare
il tabasco. Aiuta, credimi! -
Liz non sembrò molto convinta, tuttavia non fece ulteriori commenti e sorbì
tranquilla la sua limonata.
Decise ad approfittare della sosta per riposarsi un po’, le due amiche
rimasero sedute sui loro alti sgabelli chiacchierando piacevolmente,
dimentiche del caos che le circondava, fin quando stabilirono che era giunta
l’ora di riprendere l’esplorazione dei negozi e, recuperati i pacchetti,
uscirono dal bar.
- Oh oh... - Senza volerlo Maria rallentò il passo e Liz, sorpresa, la imitò
per poi seguire il suo sguardo. E una strana espressione le passò sul viso.
- Sbaglio, o quei due laggiù sono Jason e Alexandra? -
- Sì, sono proprio loro. -
- Come ti sembra che vadano le cose? Michael è convinto che prima o poi lei
gli giocherà qualche altro brutto scherzo ed è preoccupato per Jason, anche
se non lo dà a vedere. -
- Ad essere sinceri anche io e Max abbiamo ancora delle riserve, però... Non
so cosa si siano detti, ma Jason è molto più sereno ed è questo che conta. -
- Non ti invidio, sai? - E davanti alla sua aria interrogativa spiegò: -
Diventerà tua nuora - calcando sull’ultima parola.
- Preferisco non pensarci. Comunque, grazie per avermelo ricordato -
- Figurati. - Ridacchiando la prese sottobraccio e la trascinò verso la
vetrina accanto cui si erano fermate. - Guarda quella maglietta! Non è un
amore? E la gonna? Sono sicura che ti starebbe divinamente! Dai, entriamo. -
Con fare rassegnato Liz si lasciò condurre nel negozio, incapace di frenare
la sua foga. Quando Maria entrava in modalità “shopping” non c’era altro da
fare che assecondarla, o mollarla sui due piedi. Cosa, questa, che non
avrebbe mai preso in considerazione. Maria era la sua migliore amica, la sua
compagna d’infanzia, e non poteva farle quel grave torto.
Il risultato fu che, al ritorno a casa, ebbe bisogno dell’aiuto di Max per
portare dentro tutti i suoi acquisti. - Avete fatto un bel po’ di spese,
vedo... -
Nel porgergli l’ultima busta Maria gli diede un buffetto sulla guancia. - E’
questo lo scopo dell’andare per negozi, lo sai? Comunque ci siamo divertite
moltissimo, quindi guai a te se fai anche solo un rimprovero piccolo piccolo
alla mia Liz, capito? -
- Non mi permetterei mai! - Le sorrise divertito dopodiché la guardò
risalire in macchina e uscire dal vialetto privato.
Attirata dal suono delle voci Isabel raggiunse il fratello e la cognata
nell’ingresso, e spalancò gli occhi. - Avresti dovuto avvertirmi: sarei
venuta molto volentieri con te! -
Sentendo il rammarico nella sua voce Liz fece un sorriso di scusa. -
L’intenzione era di scegliere un regalo per Shiri, poi Maria si è fatta
prendere la mano e non me la sono sentita di lasciarla da sola. -
- Certo, capisco... Ma la prossima volta non fatevi scrupolo a chiamarmi, mi
raccomando! -
- La prossima volta dirò a Maria di rivolgersi direttamente a te. Sono
sfinita. - Con abilità consumata si sfilò le scarpe strusciando il tallone
contro il collo del piede. - Datemi qualche minuto per riprendermi e
prometto che vi preparerò la cena. Mi dispiace, non pensavo che avrei fatto
così tardi... -
- Non c’è problema. Isabel, resta a farle compagnia mentre io vado in
cucina. - Max si curvò a dare un veloce bacio sulle labbra della moglie e,
senza lasciarle il tempo di protestare, le tolse la giacca e la fece
accomodare sul divano prima di allontanarsi.
- Dove sono i bambini? -
- In giardino con Morgan. - L’aliena fece una smorfia divertita. - Se ho
capito bene gli ci è voluta meno di un’ora per rendere il computer di Max
più sicuro di Fort Knox, e dopo si è offerto di tenergli alla larga i
gemelli per permettergli di lavorare un po’. Quando siamo arrivate io e
Natalie non ci è rimasto che unirci ai loro giochi. Credo che questo
pomeriggio sia stato il più proficuo, per lui, da quando ha deciso di
mettere mano agli appunti del padre di Shanee... -
- Lo so, i piccoli lo impegnano molto. Con grande soddisfazione di entrambe
le parti, direi. - Liz si volse a guardarla in viso. - Max è meraviglioso
con loro. -
- Dopo tutto questo tempo sei ancora nella fase di adorazione? - la prese in
giro.
Lei arrossì leggermente. - Non è vero! -
- Sì che è vero - insisté l’altra. - Ma va bene così... - Le diede una pacca
gentile sulla mano abbandonata fra di loro. Allora? Cos’hai comprato di
bello? -
Cominciarono a dissertare di abiti e boutiques finché Morgan rientrò coi
bimbi. - Ciao, Liz! Isabel, mi dai una mano a ripulirli? Vorrei proprio
sapere come fanno a sporcarsi in questo modo! -
- Credo sia una prerogativa infantile. - La giovane donna si diresse con
passo deciso verso il marito dopo aver fatto cenno a Liz di rimanere dove si
trovava. - Ferma! A te Max non direbbe niente, ma io dovrei sorbirmi
rimproveri a non finire per aver disobbedito ai suoi ordini! Quindi, sta’
seduta buona lì e non far caso agli strilli che sentirai: ho intenzione di
buttare questi monelli nella vasca da bagno e tenerceli finché saranno di
nuovo puliti e profumati! -
Più tardi erano tutti seduti a tavola, intenti a gustare il semplice ma
saporito pasto preparato da Max. I gemelli se ne stavano tranquilli nei loro
seggioloni e Natalie dormiva nel passeggino.
Jason era arrivato mentre stavano per iniziare a mangiare e si era profuso
in scuse ma l’aperto sorriso che gli illuminava il volto aveva impedito alla
madre di rimproverarlo. Era troppo contenta di vederlo così felice, e non
voleva rovinargli la serata.
- E tu, invece, Shiri? Com’è andata da Glen? - chiese ad un tratto Max alla
figlia, che era uscita un’ora dopo essere tornata a casa insieme a Shanee.
- Bene, direi. Dovrebbe riuscire a prendere una C, nel compito in classe di
domani. -
- Avevo capito che doveste studiare insieme, non che tu avresti dovuto
preparare lui! - esclamò Morgan.
- Vedi, zio, non è che Glen sia stupido, è solo che non ha voglia di
concentrarsi. Ma se qualcuno gli dà una mano è in grado di pensare
razionalmente -
La placida risposta di Jason suscitò un coro di risate, e da quel momento fu
un susseguirsi di battute e ricordi scolastici.
Verso le dieci la famiglia Coltrane se ne andò e Liz insisté per dare una
mano a pulire la cucina. - Mi sento bene, dannazione! - aveva esclamato ad
un certo punto, esasperata.
Quando poi si ritirò in camera insieme a Max lo affrontò con fermezza. - Non
intendo accettare un no, questa sera. Non sono diventata una bambola di
porcellana, e queste eccessive premure cominciano ad irritarmi! -
Lui la guardò senza capire, facendola infuriare ancora di più. Con un sordo
brontolio gli afferrò il bordo della maglietta e tirò verso l’alto
costringendolo a sollevare le braccia per non rimanere bloccato dalla
stoffa. Poi gli mise una mano sul petto spingendolo verso il materasso. -
Niente obiezioni, stavolta... - e si chinò in avanti per baciarlo.
- Vieni a mangiare qualcosa con me? -
Liz sorrise alla collega e batté leggermente su una tasca del camice. - Ti
ringrazio ma ho appuntamento con mio marito. Facciamo un’altra volta, ok? -
- Va bene. - La donna ricambiò il sorriso. E si allontanò con discrezione
quando la vide trasalire ed infilare la mano nella tasca. Doveva aver
ricevuto un messaggio...
Infatti, dopo aver estratto il cellulare e controllato il display, Liz
lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro. Allora io vado. -
- Sì, a dopo -
Senza perdere altro tempo si diresse verso l’ascensore più vicino e scese al
pianterreno, dove ad attenderla c’era Max. Ciao! - lo salutò allegra. E,
disdegnando il sacchetto di carta che teneva in mano, lo guardò maliziosa.
E’ arrivato il mio pranzo... - mormorò.
Cogliendo il sottinteso lui protese un braccio e le circondò la vita
avvicinandola a sé. - Sto morendo di fame... - bisbigliò con lo stesso tono
sensuale.
Si scambiarono un bacio che li lasciò del tutto insoddisfatti ma, dato il
luogo in cui si trovavano, non potevano concedersi nulla di più.
- Vieni, andiamo a cercare un posto tranquillo dove mangiare in santa pace.
- Liz lo prese per mano e lo condusse via con sé, beatamente ignara degli
sguardi perplessi delle tre o quattro persone che si trovavano nella hall in
quel momento ed avevano assistito alla scena.
Alla fine optarono per una delle uscite di sicurezza, che dava su un piccolo
terrazzo riparato, dove non li avrebbe disturbati nessuno.
Max non perse tempo nel prendere le labbra della moglie e baciarla come si
deve, le dita come sempre infilate nei suoi splendidi capelli scuri. - Odio
stare lontano da te tutto il giorno... - sussurrò quando la lasciò andare
per riprendere fiato. - Il pomeriggio ti devo dividere con i ragazzi, e la
notte è troppo breve. -
- Potresti portarmi il pranzo tutti i giorni - suggerì lei con un
sorrisetto. Poi un pensiero le fece corrugare la fronte. Dove hai lasciato
Ethan e Claudia? -
- Da mia madre. Li adora, e loro adorano lei, così non mi sono fatto
scrupolo a chiederle di tenerli per un paio di ore. - confessò tranquillo.
Liz scoppiò a ridere. - Sei incredibile, amore mio! - Gli diede un piccolo
bacio, poi prese la busta e vi frugò dentro per alcuni secondi. - Vedo che
sei passato al Crashdown... - Ne estrasse un panino con hamburger,
formaggio, lattuga e pomodori e una ciotola piena di patatine fritte. - Non
sono del tutto certa che sia l’alimentazione più adatta ad una donna incinta
ma di sicuro è quella che preferisco! - disse contenta. - Oh, c’è pure il
dolce! -
- Torta al cioccolato. Amy l’aveva appena portata e non ho potuto fare a
meno di prenderla... -
- Hai fatto benissimo. - Aspettò che anche lui si fosse servito poi iniziò a
mangiare. Dopo aver masticato con cura il primo boccone lo guardò
incuriosita. - Due ore, hai detto? -
Il giovane annuì. - Sono andato a comprare il regalo per Shiri. - Si toccò
la tasca interna del giubbetto jeans che indossava. - Isabel mi ha detto di
averle preso un paio di orecchini, così sono andato nella stessa gioielleria
e ho acquistato il girocollo abbinato. -
- Senza aver visto gli orecchini? - si stupì lei.
- Beh, ho fatto una descrizione di Isabel al commesso e lui si è ricordato
subito quali aveva scelto. -
Liz inclinò leggermente la testa di lato. - Chissà perché non ne sono
affatto sorpresa... - Diede un altro morso al suo panino. - Puoi venirmi a
prendere, più tardi, così andiamo a cercare le decorazioni? -
- D’accordo. - Si piegò un poco in avanti a sfiorarle la pancia arrotondata.
- Stai bene, vero? -
- Sì, e anche la piccola - Fece un sorrisetto rassegnato. - Max, ti giuro
che se non fosse così te lo direi subito. -
- Lo so, ma preferisco controllare lo stesso. Questa gravidanza ti ha creato
molti più problemi delle altre... -
- Adesso va meglio, te lo assicuro. - Gli accarezzò la mano che teneva
ancora su di lei. - Sarà una bambina bellissima. - disse con voce sognante
ricordando la fugace immagine che Shanee aveva donato loro.
Terminarono di mangiare in un piacevole silenzio poi, mentre infilava i
tovagliolini sporchi nel sacchetto di carta, Max le chiese le chiavi del
fuoristrada. - Ha bisogno di una bella ripulita e qui vicino c’è un
autolavaggio. Ci vorrà pochissimo e... -
- Perché invece non lo laviamo insieme stasera? - lo interruppe Liz con
vivacità. Erano troppo rare, per i suoi gusti, le occasioni in cui potevano
comportarsi come una qualsiasi famiglia americana, e non aveva alcuna
intenzione di lasciarsene sfuggire neppure una!
Quasi le avesse letto nel pensiero, il marito sorrise e le prese le mani
aiutandola ad alzarsi. - Va bene. Allora vengo a prenderti più tardi. -
- Grazie per il pranzo. - Lo guardò in quei meravigliosi occhi ambrati,
sentendo l’irresistibile desiderio di annegarvi. Ti amo così tanto... -
bisbigliò.
Le dita di lui si posarono con dolce fermezza intorno al suo viso. - Anch’io
- Lo disse pianissimo, con un’espressione terribilmente seria, poi la baciò.
Era ancora sotto l’influsso delle profonde sensazioni causate dai flash
ricevuti dalla mente di Max quando fece ritorno nel laboratorio, e per un
attimo sembrò confusa, quasi non capisse come fosse arrivata fin lì.
I suoi colleghi si scambiarono sguardi ammiccanti e Julianne si divertì a
stuzzicarla. - Sei proprio sicura che tuo marito non abbia un fratello
gemello? -
A quelle parole Liz sentì un brivido correrle lungo la schiena. -
Sicurissima - disse con voce sorda. Il ricordo di Cole Morrison riusciva
ancora ad angosciarla. Il suo aspetto poteva pure essere identico a quello
di Max ma di certo non lo era la spietata crudeltà, che sembrava connaturata
in lui.
- Peccato. Questo vuol dire che dovrò continuare a guardarmi intorno... -
Con filosofica rassegnazione la giovane donna tornò ad occuparsi del
microscopio che aveva davanti. - A cominciare da questa deliziosa coltura -
mormorò.
Una risatina involontaria sfuggì a Liz mentre le si avvicinava. - Come
procede? -
- Bene, direi. Avevi proprio ragione, sai? -
Le ore trascorsero veloci, poi giunse il momento di lasciare l’ospedale e il
vedere il marito attenderla come promesso accanto all’auto strappò un
sorriso felice a Liz. - Ciao, a domani. - salutò gli altri senza neppure
voltarsi a guardarli mentre si affrettava verso di lui.
Notando l’occhiata attenta di George Rovers, l’affascinante quarantenne
biochimico del loro team, Julianne sbuffò. Non credo che mister Evans sia
interessato ai maschietti, George! -
- Purtroppo no, a giudicare da come la sta abbracciando, però niente mi
impedisce di apprezzare lo spettacolo -
- Sì ma... guardare e non toccare. E soprattutto non commentare. Liz non
gradirebbe affatto, credimi... -
L’uomo si infilò le mani in tasca. Era vero, sentiva che lei non avrebbe
accettato neppure una battuta scherzosa. Non parlava mai molto della
famiglia però, quando capitava, era chiaro come il sole che amasse
profondamente il marito e i figli. Era la biologa più in gamba con cui
avesse avuto occasione di lavorare, e non era proprio il caso di rovinare
tutto per una sciocca fantasia.
Dopo quell’appassionato saluto Max si fece dare le chiavi dell’auto e di lì
a pochi minuti erano davanti ad un negozio specializzato in decorazioni di
carta. Gli acquisti non richiesero molto tempo e, una volta giunti a casa,
si occuparono insieme di preparare la cena mentre Jason e Shiri giocavano
coi gemelli in giardino.
C’era ancora parecchia luce quando, terminato di mangiare e rigovernare, Liz
e Max si armarono di secchi e spugne e cominciarono a darsi da fare intorno
al fuoristrada sotto gli sguardi incuriositi dei figli.
Preoccupata per il crescente interesse di Claudia per l’acqua, Shiri decise
che era giunto il momento di andare a vedere un cartone animato in
televisione e, presa in braccio la sorellina, si diresse decisa in
soggiorno. Ethan, incerto tra il restare ad osservare l’affascinante strato
schiumoso che ora ricopriva tutta la macchina e la prospettiva di
accoccolarsi sulle gambe di Jason, esitò a lungo poi, con una buffa smorfia
sul visetto, si affrettò a rientrare a sua volta.
- Il nostro pubblico si è stancato... - commentò divertito Max.
Liz, che stava sciacquando il secchio prima di riempirlo nuovamente con
dell’acqua pulita, gettò un’occhiata alle proprie spalle. - Già. Meglio
così, però. Ancora un poco e Claudia avrebbe preteso di darci una mano, col
risultato che si sarebbe ricoperta di fango dalla testa ai piedi! -
- Sì, ho già notato quanto le piaccia giocare con l’acqua... - Il giovane
scosse la testa poi si chinò a lavare la spugna insaponata.
- Devo ammettere che anch’io mi diverto a giocarci. - Studiò i riflessi
argentei del getto gorgogliante del tubo finché il secchio fu pieno
dopodiché si raddrizzò e con un movimento deciso delle braccia ne lanciò il
contenuto verso il cofano.
Max scelse proprio quel momento per raddrizzarsi a sua volta e venne colpito
in pieno. - Ehi! -
Nel vederlo inzuppato come un pulcino la ragazza lasciò cadere il secchio,
sgomenta. - Oddio, scusami! - Poi, improvvisa, una risata irrefrenabile la
fece quasi piegare in due.
Lui la fissò immobile per alcuni istanti. L’acqua gelida lo aveva lasciato
senza fiato e, anche se l’aria era tiepida, il contatto con gli abiti
bagnati non era affatto gradevole. - Spero che non l’abbia fatto apposta...
- borbottò.
- Oh no, credimi! Mi dispiace. Mi dispiace... - Portandosi una mano davanti
alla bocca per cercare di trattenere il riso si sforzò di tornare seria ma
non ci riuscì. - Scusa - ripeté, e girò attorno alla vettura per
raggiungerlo. - Sei fradicio -
- Lo so da me, grazie. - La guardò avvicinarsi, ancora non del tutto sicuro
che non lo avesse fatto di proposito.
- Dovresti andare a cambiarti -
- Perché? Stavo cominciando a sentire caldo, e adesso sto benissimo. -
Sorrise. - Anzi, sai che ti dico? Ora ti rinfresco un po’! -
- Non... non oserai, vero? Sono incinta... -
- Adesso ti fa comodo ricordarmelo, eh? - Con un sorrisetto malizioso
continuò ad avanzare e, prima che lei potesse capire le sue intenzioni,
l’abbracciò stretta bagnandola a sua volta.
- Sei ghiacciato! - protestò cercando di liberarsi.
- In effetti stavo meglio prima. Comunque... adesso non è poi così male... -
Lo guardò perplessa. - Cosa...? -
Le coprì le labbra con le proprie impedendole di completare la frase.
Senza più pensare al freddo contatto coi suoi abiti si alzò in punta di
piedi e gli si aggrappò al collo ricambiando quel bacio dolce ed
appassionato.
Continuarono a baciarsi con tenerezza dimenticando del tutto il fuoristrada
e la schiuma che stava lentamente scivolando lungo le fiancate.
Le dita di Max le accarezzavano i capelli, le guance, il collo, mentre le
labbra sembravano bruciarle la pelle. Non si sarebbe mai stancata di
baciarlo, di amarlo. Gli toccò la nuca, le spalle forti e muscolose, insinuò
una mano sotto la t-shirt e seguì per un breve tratto la linea della colonna
vertebrale, si plasmò contro di lui per quanto il ventre ingrossato le
permetteva, e trasalì nel sentirsi mordicchiare il lobo dell’orecchio.
Mormorò il suo nome, un suono dolce come un sospiro, una preghiera, e volse
il capo per incontrare di nuovo la sua bocca.
Nessuno dei due avvertiva più il disagio dei vestiti bagnati, il crepuscolo
stava lasciando il posto all’oscurità della notte, ma niente poteva
penetrare nel loro piccolo mondo privato. Non erano semplici baci quelli che
si stavano scambiando. Erano infinite dichiarazioni d’amore, promesse di
fedeltà, una connessione mentale così profonda ed intensa da farli sentire
indissolubilmente uniti. Una cosa sola. Un’anima. Un corpo.
Il dolore, l’angoscia, la sofferenza che avevano avvelenato le loro vite si
erano dissolti nel nulla, cancellati ancora una volta dalla forza di
quell’incredibile legame.
E sia Jason che Shiri sentirono il cambiamento, la pace riconquistata,
l’incrollabile fiducia reciproca. Per un attimo entrambi trattennero il
respiro poi, d’istinto, si voltarono a guardarsi. Un piccolo sorriso timido
aleggiava sulle loro labbra.
Ethan, semiaddormentato in grembo al fratello, si agitò un poco. - Andra...
- disse in un mormorio appena comprensibile.
Lo sguardo di Jason andò automaticamente all’orologio che aveva al polso.
Segnava le nove e quaranta. Corrugò la fronte. - Avevo... -
Il trillo del campanello d’ingresso fece sorridere la sorella. - ...un
appuntamento con Alexandra. Vai, a Ethan ci penso io. - Così dicendo tese le
braccia per ricevere il fratellino mentre Claudia, acciambellata contro il
suo fianco, seguiva con curiosità la manovra.
Non appena il giovane si fu chiuso alle spalle la porta di casa Alexandra
emise un sospiro e lo abbracciò. - Oggi il turno è stato massacrante e non
vedevo l’ora che finisse per venire da te... -
- Mi spiace, amore. - La cinse dolcemente per le spalle e le diede un bacio
sulla fronte poi, reagendo al suo impercettibile movimento, chinò la testa e
le prese le labbra in un bacio del tutto diverso. L’improvviso contatto con
i recessi della sua mente lo colse alla sprovvista. Mai, prima, lei gli si
era aperta in maniera così immediata, e non poté fare altro che abbandonarsi
con altrettanta fiducia. Forse con gli altri Alexandra aveva ancora qualche
problema, ma nei suoi confronti non dimostrava più alcuna incertezza. Era
questo che Ethan aveva avvertito, poco prima. L’inconscio protendersi verso
di lui, un muto richiamo che aveva rivelato la sua presenza. Un bisogno non
più soppresso, non più negato. Un bisogno cui lui avrebbe risposto sempre,
con tutto se stesso. Perché amava quella ragazza più della propria vita.
Quando si separarono per riprendere fiato si sorrisero e, camminando
affiancati, andarono verso la macchina.
- Che ne dici di un giro nel deserto, invece di rinchiuderci al cinema? E’
una serata così bella... -
Jason fece scivolare lo sguardo dalle sue labbra piene all’ampia scollatura
del golfino alle cosce lasciate abbondantemente scoperte dalla minigonna. -
Sì, e magari dopo potremmo anche parlare un po’. -
- Giusto, prima il piacere e poi il dovere! - Con un’allegra risata avviò il
motore e prese la strada che conduceva fuori città.
- Nonna! Ciao! - Shiri abbracciò con affetto Diane Evans, che si affrettò a
porgerle una grande scatola con un elegante fiocco di raso azzurro. - Buon
compleanno, tesoro. -
- Oh, nonna, grazie! -
- Spero che ti piaccia, altrimenti possiamo cambiarlo. -
- Sarà sicuramente bellissimo! - Piena di allegro entusiasmo aprì il pacco e
ne estrasse una sciarpa a rete sottile, multicolore, con fili metallici
inseriti nell’intreccio per dare maggiore luminosità. - Sì, è davvero
bella... - Se la drappeggiò addosso, e in effetti stava molto bene sul suo
vestito verde smeraldo.
Soddisfatta, la donna le diede un bacio sulla guancia e indicò verso il
giardino. - Torna pure dai tuoi amici, mia cara. -
Con una risatina si aggiustò il bordo della sciarpa sulle spalle e corse
via.
- Non stava fingendo, vero? Le è piaciuta davvero. - Diane guardò dubbiosa
il figlio, che le sorrise in risposta. - E’ il suo primo compleanno: ogni
regalo che riceve è importante, per lei. Persino questo! - Così dicendo
sollevò un libro appoggiato sul mobile vicino.
- Incontri ravvicinati del terzo tipo?!? -
Max sollevò le sopracciglia con fare ammiccante e rispose alla domanda
rimasta inespressa. - Gentile pensiero di Alexandra -
- Quella ragazza è davvero strana! -
- Sante parole... - Kyle, sopraggiunto appena in tempo per sentire lo
scambio di frasi, adocchiò la porta sul retro. La vera festa è di fuori,
giusto? -
- Giusto. Ciao, Kyle! - Jason accennò un saluto col capo e gli fece segno di
seguirlo, le mani occupate da un’enorme busta di carta piena di bottiglie
delle bibite più varie. - Non ho ancora capito se sia per il caldo o per la
musica, comunque ci siamo già scolati la metà di quello che avevamo
comprato... -
- Se vuoi vado a fare un po’ di rifornimento - si offrì lui.
- No, grazie, ci ha già pensato lo zio Morgan. Dovrebbe essere di ritorno
fra poco. -
Notando l’aderente abito scollato di Shiri il giovane spalancò gli occhi. -
Wow! -
- E’ quello che hanno detto anche Glen, Mark, Roger, e tutti gli altri -
Il suo tono divertito lo fece sorridere ma poi, guardando il pacchetto che
stringeva ancora fra le dita, si sentì un po’ a disagio.
- Va’ pure a salutarla, io devo sistemare le bottiglie. -
Shiri lo vide avvicinarsi con un sorriso incerto e, fatto un cenno di scusa
ai compagni, gli corse incontro. - Ciao! Sono così contenta che sia riuscito
a venire! -
- Buon compleanno. - Le diede un bacio sulla guancia poi le consegnò il suo
regalo.
- Che cos’è? - chiese lei incuriosita mentre strappava la carta. - Kyle... -
disse subito dopo, vedendo la foto racchiusa nella graziosa cornice di vetro
lavorato. - Grazie - sussurrò, la gola stretta.
- Qualche giorno fa stavo guardando le foto del matrimonio di Isabel e ho
visto questa. Me la sono fatta dare e l’ho fatta ingrandire al negozio. Ho
pensato che ti avrebbe fatto piacere averla. -
Gli occhi di Shiri erano velati di lacrime mentre osservava l’immagine di
lei e Bren che ballavano insieme. Ricordò il modo in cui l’aveva toccata,
quasi con deferenza, mentre la conduceva nella danza. Era stato un momento
strano, magico, che non avrebbe mai potuto dimenticare. Il viso di Bren, i
suoi occhi accesi dalla passione, erano impressi come un marchio dentro di
lei e non aveva certo bisogno di una fotografia per rammentarli. Tuttavia
l’idea di quel portaritratti sul comodino, la prima cosa che avrebbe visto
ogni mattina svegliandosi, le riscaldò il cuore. - Grazie, Kyle, è un regalo
meraviglioso... - Gli gettò le braccia al collo stringendolo forte. -
Grazie! -
La loro attenzione fu di colpo richiamata dal possente rombo di una moto che
si fermò proprio davanti al cancello di casa Evans.
- E’ arrivato lo zio Michael? -
Kyle studiò attentamente il conducente. La corporatura del centauro non
corrispondeva affatto a quella alta e possente dell’alieno. Il motociclista,
vestito completamente di nero, mise la moto sul cavalletto e scese. Era
piccolo e minuto e aveva le inequivocabili fattezze di una donna. Quando si
tolse il casco una massa fluente di capelli ondulati ricadde morbida lungo
la schiena. Alzò una mano in segno di saluto nella loro direzione.
- Ma è Shanee! - esclamò Shiri. - Santo cielo, che ha combinato? -
Diversi invitati si erano voltati per vedere la nuova arrivata, che aveva
varcato ormai la soglia del cancello e con un pacco sottobraccio stava
andando incontro alla festeggiata.
- Ciao tesora! Buon compleanno. - le augurò abbracciandola forte, poi le
porse il regalo. - Ciao Kyle... - aggiunse. Gettò una veloce occhiata in
giro e fece qualche cenno di saluto, ignorando i commenti che stavano
crescendo intorno a lei e al suo nuovo look.
Shiri per prima cosa estrasse il biglietto dalla piccola busta avorio. Era
l’unico regalo ricevuto da amici provvisto di un cartoncino di
accompagnamento. La calligrafia svolazzante dell’amica aveva redatto un
semplice pensiero.
Cara Shiri,
ho pensato moltissimo a cosa regalarti per questo compleanno così speciale
per te.
Ciò che ci rende forti e capaci di sopportare la nostra strana e complicata
vita sono
spesso i ricordi e le sensazioni che ci portiamo nel cuore come tante pietre
preziose.
Un giorno saremo costrette a vivere lontano perché ognuna seguirà la sua
strada…
allora attingi al tuo passato per vivere bene il presente e costruire il tuo
futuro accanto a Bren.
Ti voglio bene
S.
Stavolta la ragazza non riuscì a trattenere le lacrime e si gettò d’impeto
fra le braccia dell’amica.
- Su… su… che figura mi fai fare! Farti piangere il giorno del tuo
compleanno. I tuoi non me lo perdoneranno mai. - disse dandole delle
affettuose pacche sulla spalla.
La battuta smorzò l’emozione e Shiri cominciò a scartare il suo pacco sotto
gli occhi curiosi di Kyle che aveva seguito lo scambio fra le due amiche.
- Non posso crederci… - esclamò la festeggiata alla vista del piccolo album
in carta di riso, pieno zeppo di fotografie della sera del concerto. Di lei
e Bren, dei suoi genitori, degli zii e degli amici presenti. Di tutte le
persone che aveva più care. Nel risvolto dell’ultima pagina c’era anche il
cd con la canzone che Shanee le aveva dedicato in occasione della festa.
- Metà del merito va anche a lui - disse circondando la vita di Kyle con un
braccio - e a Michael, che hanno fatto le riprese quella sera. Io ho solo
avuto l’idea di raggruppare il tutto. Nel disco troverai anche un piccolo
filmato di voi due quando ballate. Lo so che non è come averlo qui, ma… -
aggiunse abbassando il tono in segno di complicità.
- No, no… sei stata… Grazie di cuore. - e abbracciò prima Shanee e poi Kyle,
gli occhi lucidi per la commozione.
- Magari ne faremo una copia anche per Bren, così potrà vederla pure lui
quando è lontano. - suggerì Shanee all’indirizzo del giovane uomo al suo
fianco, pregandolo con lo sguardo di fare qualcosa per risollevare il morale
della ragazza.
Rimasto letteralmente sorpreso dal gesto di affetto di Shaneee, Kyle si
riscosse dai suoi pensieri e cercò di riprendersi facendo un paio di battute
riguardanti il look di alcuni ospiti. A cominciare dalla giovane Cooper, in
un incredibile miniabito blu e scarpe col tacco a spillo, come se non fosse
già abbastanza alta. Certo che aveva delle gambe fantastiche...
- Attento, stai sbavando - lo riprese la giovane indiana.
- Spiritosa - In preda all’imbarazzo s’infilò le mani in tasca. - Vado a
prendere qualcosa da bere. Jason ha ragione: fa molto caldo, oggi. -
- Sì, davvero molto caldo... Ah, Kyle, potresti portarmi una birra, per
favore? -
- Ghiacciata e analcolica come piace a te? -
Lei annuì. - Sì, e… tieni! - aggiunse porgendogli il suo fazzoletto.
- Che ci faccio? Non sono mica raffreddato. -
- E’ per asciugare la bava… - gli rispose pungente, unendosi a Shiri in una
scoppiettante risata.
- Sei proprio spiritosa! - si risentì il ragazzo allontanandosi verso il
tavolo delle bibite.
- Non si è reso conto che gli ho salvato la vita? - mormorò lei con tono
scherzoso. - Alexandra e Jason lo avrebbero fatto a pezzetti, se avessero
notato il suo sguardo... -
- Però devi ammettere che Alexandra è molto sexy. -
- Anche tu lo sei. In una maniera più sottile, più discreta, ma hai fascino
da vendere, ricordatelo! - Le strinse affettuosamente un braccio. - Vieni,
andiamo a ballare -
- Va bene, ma prima devo portare questi nella mia stanza. - Nel pronunciare
quelle parole accennò ai regali che teneva in mano.
- Questo è di Kyle? -
Shiri annuì, e l’amica le si fece più vicina per vedere la foto. -
Accidenti, che bella! - Le labbra si incurvarono in un sorrisetto divertito.
- Mm, credo che dovrò rivalutare quel ragazzo... -
- Sì, ha avuto un pensiero davvero gentile. - Accarezzò la cornice con la
punta delle dita. - Torno subito - disse piano voltandosi e dirigendosi
verso la porta d’ingresso.
- Mi sembra che si stiano divertendo, là fuori... -
Max sorrise al padre. - Sì. Shiri e Jason si sono fatti molti amici, a
scuola, e il risultato è il giardino pieno di gente all’inverosimile. -
- E la cosa ti fa piacere -
- Certo. Claudia e Ethan stanno crescendo normalmente, ma loro... - Distolse
per un attimo lo sguardo, le spalle incurvate sotto un peso invisibile. -
Loro hanno dovuto imparare a vivere come adolescenti in pochi mesi, e se la
stanno cavando meglio di quanto Liz ed io osassimo sperare. - Non parlò del
drammatico inizio dell’amore di Jason per la sua compagna, o della tristezza
che ogni tanto velava gli occhi di Shiri, ma Phillip Evans sapeva. Sapeva,
come sua moglie Diane, che la situazione era ancora più complicata di quanto
si potesse immaginare.
- Ecco dove vi eravate nascosti! - Con un ampio sorriso Isabel li raggiunse
porgendo loro un vassoio colmo di minuscoli panini imbottiti. - Sono
riuscita a salvarli per miracolo dalle mani di quegli scalmanati... -
- A quell’età sembra che non si mangi mai a sufficienza. - L’uomo ammiccò al
figlio. - Tu sei una delle pochissime eccezioni a questa regola. -
- Max, Liz ha bisogno di te per la torta. Puoi andare in cucina? -
- Subito. -
- Credo che correrà da lei anche quando avrà novant’anni... - commentò la
ragazza seguendolo con lo sguardo mentre obbediva in gran fretta.
- E Morgan? - le chiese il padre.
- Lui camminerà dignitosamente -
- Ah, tesoro, sei davvero impagabile! - Ridendo la prese sottobraccio ed
insieme uscirono in giardino.
Dalla trapunta nel soggiorno Claudia sorrise nel vedere il padre. - Papà! -
lo chiamò allegra facendo il gesto di porgergli l’orsacchiotto con cui stava
giocando.
Senza rallentare il passo il giovane le fece l’occhiolino. - Pronta per il
dolce? -
La bimba annuì contenta. - Bacco! -
- Il dolce è la torta, Claudia, non il tabasco. - Le puntò un dito contro,
un grande sorriso sul volto. - Ma ti prometto che la tua parte nuoterà nel
tabasco! -
Nancy spalancò la bocca per lo stupore. - Stai scherzando, vero? Non puoi
farle mangiare quella salsa così piccante! -
- Stia tranquilla, a lei non la darò. - disse Max senza smettere di
sorridere, pur essendo molto seccato. A volte aveva l’impressione che i
Parker avessero deciso di risolvere la faccenda alieni semplicemente
dimenticandola... Poi, entrato in cucina, vide Liz e Maria impegnate a
disporre le candeline sull’enorme torta che troneggiava sul tavolo. Eccomi!
-
Liz rialzò di scatto la testa. Una ciocca di capelli, sfuggita all’artistica
pettinatura, le sfiorava la guancia sinistra.
Era davvero incantevole, e non poté trattenersi dal chinarsi a darle un
veloce bacio sulle labbra. - Isabel mi ha detto che hai bisogno di me. -
- Sì, ma solo per la torta, altezza reale... - lo prese in giro Maria. -
Avanti, solleva questo enorme vassoio e portalo fuori! -
- Non vuoi accendere prima le candeline? -
- Lo farei molto volentieri se Liz mi desse i fiammiferi, ma a quanto pare
non riesce a trovarli. Posso solo sperare che qualcuno degli invitati abbia
un accendino con sé. -
- Oh... - Si schiarì la gola. - Posso pensarci io. - Così dicendo fece
scivolare il palmo della mano sull’estremità degli stoppini, e quindici
fiammelle dorate brillarono all’istante.
- Grazie. - Liz gli accarezzò la schiena mentre l’amica sbuffava
spazientita. - Adesso dobbiamo darci una mossa o la cera colerà sulla panna
-
- E rovinare questo capolavoro?!? Non sia mai! - Senza indugiare oltre Max
prese il dolce e precedette le due giovani, che iniziarono ad intonare
“Tanti auguri a te” ancora prima di arrivare a destinazione.
Il terzetto venne accolto da fragorosi applausi e Shiri, in preda ad una
forte emozione, cercò le mani di Shanee e di Jason, in piedi accanto a lei.
- E’... è bellissima... - mormorò.
- Adesso esprimi un desiderio e poi soffia sulle candeline. Mi raccomando,
devi spegnerle tutte in una volta. - la istruì Kyle.
Socchiuse allora gli occhi e si concentrò intensamente prima di sporgersi un
poco in avanti e fare come le era stato detto.
Nuovi applausi seguirono lo spegnimento delle candeline, dopodiché si passò
al rito del taglio.
Come promesso, Claudia ebbe la sua piccola porzione di dolce annaffiata da
un’abbondante quantità di tabasco e, imitata da Ethan, si mise a mangiare
usando la forchetta. Ciò non impedì loro di imbrattarsi comunque gli abiti
di panna e salsa ma Isabel, accortasene, li ripulì con discrezione
sfiorandoli con la mano. - Che ne dite di stare più attenti? -
Poco distante, a sua volta seduto sull’erba, Mathias li osservava
dondolandosi avanti e indietro. - Io... - borbottò.
La bimba lo scrutò per un attimo prima di spingere il proprio piatto verso
di lui. - Tieni - offrì.
Lui ricambiò lo sguardo sospettoso, poi sorrise ed intinse una manina nella
panna. Iniziò a leccarsi le dita e, soddisfatto, le infilò di nuovo nella
torta.
- Ok, mi sembra che ve la stiate cavando molto bene tutti e tre! Non
muovetevi di qui, d’accordo? Torno fra qualche minuto. - La giovane donna si
alzò e andò ad aiutare a distribuire i piatti.
Mentre pasticciava felice con la sua forchetta Ethan si avvide della
presenza di Jason e, facendo forza su braccia e gambe, si mise in piedi e
corse da lui.
Il fratello lo sollevò ridendo. - Ciao, piccola peste! - Si avvicinò al
tavolo per prendere un tovagliolo di carta e pulirgli la bocca sporca di
dolce. - Ti piace questa musica? -
- Mm - Agitò una mano seguendo il ritmo. - Bello - Poi si volse ad osservare
Alexandra, che stava camminando verso di loro. - Andra! - Appoggiò la
testolina contro la sua spalla. - Andra ama Jay. - gorgogliò.
- Lo senti anche tu, eh? - sussurrò lui dandogli un bacio sui morbidi
capelli scuri.
Quando la ragazza li ebbe raggiunti il piccolo le fece un gran sorriso.
- Ciao, Ethan. Bella festa, eh? - Gli toccò la punta del naso. - Hai
mangiato la torta? -
- Sì -
- Vuoi venire in braccio? - fu la stupefacente offerta.
- Sì -
Con dolcezza si protese a prendere il bambino. - Ti va di ballare con me? -
Così dicendo cominciò a dondolarsi a tempo con la melodia, non prima di aver
lanciato un lungo sguardo a Jason. “A dopo...” disse limitandosi a muovere
le labbra senza pronunciare le parole ad alta voce.
L’alieno non rimase solo a lungo ma venne raggiunto dalla madre. - Tutto
bene, tesoro? -
- Benissimo, grazie. -
- Alexandra si sta comportando come si deve? -
- Forse dovresti chiedere se io mi stia comportando come si deve... - Fece
un sorriso malizioso. - Hai visto com’è vestita, no? - Scrollò il capo. -
Comunque stiamo facendo i bravi. Come avrai di sicuro notato non ci siamo
mai appartati, né abbiamo bevuto alcolici -
Avevano entrambi usato un tono leggero. Uno scambio di battute che accese di
allegria i loro occhi.
- Permetti? -
Liz prese la mano che lui le porgeva e si lasciò condurre nella danza. -
Spero che tu e Alexandra farete i bravi anche al ballo della scuola. -
- Di cosa stai parlando? -
- Di quello che è considerato il più importante evento della vita di ogni
studente. Santo cielo, Jason, non posso credere che nessuno te ne abbia
ancora parlato! - si stupì.
- Credo... mi pare di aver visto degli avvisi, ma non ci ho fatto molto
caso. -
Gli sorrise con affetto. - Invece avresti dovuto leggerli, e con grande
attenzione. Adesso Alexandra penserà che tu non voglia farle da cavaliere...
Cerca di rimediare il prima possibile, mi raccomando. -
Non del tutto certo di aver capito continuò a farla ballare finché la
canzone ebbe termine.
- Che ne dici di andare a recuperare Ethan, adesso? -
- Ottima idea, mamma. -
Dopo aver lasciato Jason con i suoi amici andò in cerca del marito e lo
trovò seduto sull’erba con Claudia, Mathias e Natalie. I bambini, come
d’abitudine, gli si stavano arrampicando addosso, e lei non perse tempo nel
chinarsi per mettere giù il figlioletto affinché li raggiungesse.
Si accovacciò poi davanti a lui e lasciò che Natalie cercasse rifugio tra le
sue braccia, sfinita dallo sforzo di imitare i cugini quando ancora era così
incerta sulle gambe. Il suo delizioso abitino giallo sole era macchiato
d’erba e le mani erano appiccicose di dolce ma ciò non impedì a Liz di
stringerla a sé. Era così tenera, paffuta e soffice... Al pensiero che
presto avrebbe avuto di nuovo un neonato da cullare al seno si sentì
sciogliere.
Percependo la sua commozione Max la guardò con intensità. - A volte ho paura
che tutto questo sia solo un sogno. Voglio dire, il fatto che tu sia mia
moglie... la madre dei miei figli... -
Quelle parole toccarono una corda profonda del suo cuore. - E invece è la
realtà. - disse con voce sommessa, le labbra distese in un tenero sorriso.
Lui le sorrise di rimando mentre afferrava Claudia prima che capitombolasse
giù dalla sua spalla. - Questa bambina è davvero terribile! - Le fece il
solletico sulla pancia suscitando uno scoppio di risa infantili.
- Anch’io! Anch’io! - Ethan si tuffò letteralmente contro il petto del padre
per unirsi al nuovo gioco. Mathias, invece, preferì andare ad accoccolarsi
contro il fianco di Liz e, dopo essersi stropicciato gli occhi, fece uno
sbadiglio e si addormentò.
La giovane donna lanciò uno sguardo divertito a Max e fu sul punto di dire
qualcosa quando si rese conto della sua espressione divenuta di colpo seria.
- Che c’è? - chiese preoccupata.
- Io... niente. - Guardò di nuovo verso il lato del giardino dove la festa
era in pieno svolgimento. - Niente... - ripeté.
- Max, mi stai spaventando. Ti prego, dimmi di che si tratta. C’è qualche
pericolo? L’FBI...? -
- No! - Scosse deciso la testa. - No, affatto. Anzi, Morgan mi ha insegnato
qualche trucco per penetrare nei loro sistemi informatici e tenere d’occhio
eventuali movimenti di dati che potrebbero riguardarci, e ora è tutto
tranquillo. E nessuna delle persone con cui sono in contatto per il lavoro
di ricerca ha il minimo sospetto di chi io sia in realtà. -
- Perfetto! Ma... allora cos’è che ti preoccupa? - insisté lei.
- Non sono preoccupato - si affrettò a rassicurarla. - A dire la verità... è
che mi sento a disagio. - Si schiarì la gola, non sapendo bene come
spiegarsi. - Quei ragazzi... i compagni di scuola di Shiri... sono solo di
pochi anni più giovani di me e di te... -
- E con questo? - si stupì Liz. - Certo, troveranno molto strano il fatto
che siamo quasi loro coetanei, però ciò non toglie che abbiamo il diritto di
divertirci anche noi! In fin dei conti è una festa di compleanno! - Il volto
le s’illuminò. - Dai, vai a cercare i tuoi genitori perché ci diano il
cambio a tenere i bambini, ok? -
Pur mantenendo qualche dubbio su come sarebbe stata accettata la loro
presenza, mise comunque giù i piccoli e si alzò in piedi. Ok. -
Lo guardò muoversi con una grazia che le fece accelerare i battiti, e pochi
minuti dopo era insieme a lui intenta a ballare con Maria, Michael, Isabel e
Morgan.
In effetti quella pacifica invasione venne accolta senza troppi problemi
dagli amici di Shiri e Jason, e i due gruppi finirono ben presto con
l’amalgamarsi cancellando definitivamente in Max il timore di essere causa
di imbarazzo per i suoi figli più grandi.
- Andiamo a bere qualcosa? Ho una sete tremenda... -
- Certo. - Jason scortò Alexandra al tavolo dei rinfreschi e le versò della
limonata ghiacciata. Aspettò che ne mandasse giù il primo, lungo sorso, poi
le sorrise un po’ intimidito. - Vuoi venire con me al ballo della scuola? -
tentò, non sapendo bene come porre la domanda.
Lei lo squadrò sorpresa. - Suona come un invito ufficiale! -
- E così deve essere - Roger, sopraggiunto inavvertito, mise una mano sulla
spalla dell’amico. - E bravo Jason, è così che si fa! Un bell’invito
ufficiale, fatto come si deve, e non puoi che avere un sì come risposta! -
Gli ammiccò sorridendo. Che tu sappia Shiri è ancora libera? -
- Perché non glielo chiedi? In maniera ufficiale, naturalmente. E se lo è,
vedrai che non potrà rifiutarti! - lo prese in giro la ragazza.
- Allora vado? -
- Vai -
L’incitamento di Alexandra risuonò un po’ troppo distaccato alle orecchie
del giovane, che tuttavia non riuscì a trattenere un ghigno divertito mentre
si affrettava ad obbedire. Sapeva che il fidanzato di Shiri non era di
Roswell e sperava con tutto il cuore che non potesse accompagnarla al ballo.
Con lei al fianco avrebbe senz’altro fatto un gran figurone e sarebbe stato
invidiato da un bel po’ di gente...
Jason non era del tutto certo della reazione della sorella alla prospettiva
di avere Roger come cavaliere ma, dato che le sarebbe stato impossibile
andarci con Bren, forse avrebbe colto quell’opportunità. Lo sguardo gli
cadde sui genitori, che stavano ballando teneramente abbracciati, e sorrise
dentro di sé. Era sicuro che la storia fra Shiri e Bren avesse molti punti
in comune con la loro, così come era sicuro che, al contrario, la sua storia
con Alexandra fosse totalmente diversa. Ma a lui piaceva, nonostante tutto.
Gli piacevano gli scatti, l’imprevedibilità, la passione, la luce che le
accendeva gli occhi quando la toccava... non avrebbe voluto che fosse
differente, mai! Tornò a fissarla. - Non mi hai ancora risposto... -
- Ti farò sapere di quale colore dovrà essere il mio bouquet -
- Quindi... è sì? - chiese incerto.
- Naturalmente. - Con noncuranza posò il bicchiere sul tavolo e lo prese
sottobraccio. - Questa canzone mi piace da morire. Andiamo! - Poi, senza
alcun preavviso, si protese verso di lui e gli diede un bacio sensuale
dietro l’orecchio.
Liz sorrise nel vederli insieme. Jason aveva un’espressione raggiante sul
viso, e la sua felicità le riscaldò il cuore. Era quel che aveva sempre
desiderato per i figli, per tutti loro, e d’istinto si strinse ancor di più
al corpo snello di Max, la testa reclinata sulla sua spalla. Quel momento
era semplicemente perfetto!
Shiri ascoltò perplessa la richiesta di Roger. Sentiva la sua intima
insicurezza e non ne capiva il motivo. In fondo si trattava soltanto di un
invito ad una festa da ballo, nient’altro...
- Posso quindi contare su di te? -
- Certo, perché no? -
- Ottimo! Posso portarti un’altra fetta di torta? -
Era così sollevato che dovette faticare per non mettersi a ridere. - No,
grazie, preferirei un’aranciata. Con molto tabasco e un pizzico di sale. -
Storcendo le labbra in una smorfia di disgusto il ragazzo riuscì comunque a
sorridere e indietreggiò di qualche passo. Ai tuoi ordini! -
Vedendola sola Shanee le si avvicinò. - Di cosa stavate parlando? - chiese
incuriosita.
- Del ballo della scuola. Roger mi ha chiesto di accompagnarlo. Sembrava
molto importante, per lui... - Si strinse nelle spalle. - Gli ho detto di
sì. E tu? Con chi ci andrai? -
- Io non ci andrò. -
- Ma come? È il ballo di fine anno e tu sei all’ultimo... -
- Non mi interessa, Shiri. Non lo dico per posa. Non mi interessa davvero.
Ne ho fatto già uno nella mia vecchia scuola ed è stato più che sufficiente.
E poi con chi dovrei andarci? - si guardò intorno - Non è che abbia questo
grande feeling con i miei compagni di scuola. -
- Potresti andare con Patrick. -
La ragazza sorrise dolcemente. - Povero Patrick... me l’aveva anche chiesto,
prima di sapere di aver vinto quella borsa di studio per la Julliard a New
York. La sua partenza è questione di giorni. Comunque non sarei andata
nemmeno con lui. Sono un po’ troppo grande per questo genere di cose. Ma
sono quelle esperienze che almeno una volta nella vita vanno provate. Tu fai
bene ad approfittarne. Stai solo attenta. I ragazzi tendono a bere un po’
troppo e ad allungare le mani in queste occasioni. Non che tu non sappia
difenderti... -
- Già. Però mi dispiace. Sarebbe stata una bella serata da passare insieme.
-
- Vedrai, ne verranno altre. -
- Sì, hai ragione. -
Notando Roger dirigersi verso di loro con due bicchieri in mano Shanee le
diede un colpetto sul braccio in segno di saluto. - A dopo... -
- Liz? - Con fare esitante Alexandra si avvicinò al dondolo su cui la donna
sedeva, Claudia addormentata in grembo e Ethan seduto ai suoi piedi intento
a giocare con la perfetta riproduzione di un camioncino. Era molto tardi, i
colori tenui del crepuscolo stavano sfumando nell’oscurità notturna e l’aria
era decisamente rinfrescata eppure Liz sembrava non accorgersene mentre le
sorrideva. - Vieni, siediti qui - la invitò battendo con la mano libera
accanto a sé.
- Desideravo salutarla prima di andare -
- Grazie, sei molto gentile. - Ripeté il gesto d’invito. - Vorrei parlarti
un attimo. -
“Già, c’era da immaginarselo!” Trattenendo a fatica un sospiro obbedì e si
accomodò accavallando le gambe con ostentata indifferenza. - Cosa c’è? -
- Non metterti sulla difensiva, non ne hai bisogno. - Abbassò per un attimo
lo sguardo sulla figlia, che si era mossa nel sonno ed aveva spostato un
pugnetto davanti alla bocca. - E’ vero, il saperti accanto a Jason mi
preoccupava. - Fece un sorrisetto più simile ad una smorfia. - Preoccupava
tutti, per la precisione - Con la punta delle dita scostò un ciuffo di
capelli dalla fronte della bimba poi cercò gli occhi di Alexandra. - Ora
sembra che abbiate chiarito le cose tra di voi... -
- Sì, infatti. Senta, scusi ma non mi va di parlarne. E’ una questione fra
me e lui. -
- Certo, capisco... però voglio che tu sappia che non siamo tuoi nemici.
Jason ti ama, e stasera ho visto quanto lo ami anche tu. Mi rendo conto che
scoprire la nostra realtà sia stato traumatico, per te. Io avevo sedici anni
quando Max mi rivelò di essere un alieno, e da allora la mia vita è stata un
susseguirsi di eventi spesso terribili. Ma non tornerei indietro per niente
al mondo, credimi! Amare sinceramente, con tutto il cuore, può essere
doloroso, può ferire... e tuttavia ti dà così tanto che, dopo, non è più
possibile rinunciarvi... -
La ragazza la fissò in silenzio prima di alzarsi con calma. - Mi pare di
capire che ho l’approvazione della famiglia Evans. Bene! -
Liz ricambiò seria il suo sguardo. - A volte non si può fare a meno di
rifugiarsi dietro una maschera. Ma ricorda che con noi non ne hai bisogno.
Soprattutto non con Jason -
A quelle parole l’altra serrò per un attimo le labbra poi scosse
impercettibilmente la testa. - Ha ragione, lui è in grado di leggerti
dentro. - Sorrise raddolcita. - E di accettarti per quello che sei. Buona
notte. - Reclinò il capo in direzione di Ethan. - Buona notte anche a te,
piccolo. -
Il bimbo la salutò agitando allegro una manina. - Ciao, Andra! -
- Che ne dici di andare a dormire a letto, amore? -
Liz piegò la testa di lato divertita. - Non credo che si accorgerà della
differenza... -
Mentre Max la sollevava delicatamente tra le braccia Claudia sbatté piano le
palpebre e accennò un sorriso beato prima di crollare di nuovo in un sonno
profondo.
- E’ stata una bella festa -
- Sì, hai l’aria piuttosto soddisfatta. - Il commento aveva un leggero tono
interrogativo e lei si stiracchiò con piacere prima di rispondere. -
Alexandra è venuta a salutarmi, poco fa. -
- Accidenti! E... immagino che tu ne abbia subito approfittato per parlarle,
giusto? -
- Esatto. - Si passò una mano fra i capelli con fare assorto. - Credo che
abbia cominciato a mettere un po’ d’ordine nelle sue idee. Voglio dire, mi è
sembrata molto più tranquilla e in pace con se stessa e con Jason... -
- Shiri mi ha rivelato che è stata gentile con tutti -
- Sorprendente, vero? -
Il giovane fece una piccola risata. - Si vede che alla fine la cocciutaggine
di nostro figlio l’ha avuta vinta anche su di lei!
- L’importante è che siano felici. E adesso mi sembra che lo siano. -
- Per me è importante che lo sia anche tu. - Si protese a baciarle la
fronte. - Porto Claudia in camera sua. Aspettami, torno fra poco... -
Liz annuì e si sistemò meglio contro lo schienale, dando sollievo alla
leggera tensione che il peso della bambina le aveva creato fra le spalle.
Jason, attento a non fare alcun rumore che potesse tradire la sua presenza,
si volse e tornò indietro.
- Li hai trovati? - gli chiese la sorella nel vederlo di nuovo.
- Sì, avevi ragione tu: sono con mamma e papà. -
- Allora rilassati e dammi una mano a portare fuori i sacchi
dell’immondizia! -
Prima di andare via alcuni fra gli ospiti avevano aiutato a rimettere ordine
in giardino e ora una serie di grosse buste di plastica attendeva solo di
essere messa negli appositi raccoglitori in strada.
Il ragazzo ne prese un paio e la precedette in strada. - Ti è piaciuta la
serata? -
- Sì, molto. Erano tutti rilassati e... normali, se capisci cosa intendo...
-
- Ah ah - la motteggiò lui.
- Guarda che non mi riferivo ad Alexandra! O almeno... non solo a lei. -
Liberatasi del proprio carico Shiri gli andò accanto e gli diede un bacio
sulla guancia. - E’ stata una festa bellissima, e lo sai pure tu! - Rise
allegramente e corse in cucina a prendere altri due sacchi. - Dai, sbrigati
o faremo giorno! -
- Non sia mai! Come farei, altrimenti, a darti il mio regalo? -
Lo sguardo ammiccante del fratello le fece trattenere il respiro. - Oddio,
Jason... - sussurrò emozionata. Nonostante tutto sarebbe stata con Bren,
alla fine...
Il ragazzo le tolse dalle mani le buste e si affrettò a portarle fuori. -
Finisco io. Tu va’ a cambiarti, ti raggiungo fra qualche minuto. -
Quando tornò indietro Max trovò Liz con la testa abbandonata sullo schienale
e gli occhi chiusi. - Vuoi che porti a letto anche te? - le chiese a voce
bassa.
Lei sollevò le palpebre e gli sorrise dolcemente. - Mi stavo godendo questa
pace. Si sta così bene... -
Vedendo che Ethan era sveglissimo e ancora preso dal suo giocattolo, il
giovane sedette a sua volta sul dondolo che, sotto la spinta del peso, si
mosse un poco.
Rimasero in silenzio a guardare il bimbo mentre muoveva avanti e indietro
sull’erba il piccolo camion studiando incantato il lento girare delle ruote
finché un rumore leggero di passi distolse la loro attenzione.
- Siete ancora qui? - si sorprese Jason, che subito dopo fece un cenno al
fratellino. - Ehi, birbante, che ne dici di fare una svolazzatina fino al
letto? -
A quelle parole Ethan si illuminò tutto. - Sì! - E davanti agli esterrefatti
genitori si strinse al petto il camioncino con una mano e con l’altra creò
un campo di forze grande a sufficienza per starci sopra.
Strizzato un occhio a Max e Liz, il ragazzo creò a sua volta un campo a
sostegno del primo e lo tenne sollevato a circa un metro da terra. - Pronto?
-
- Sì! - esclamò di nuovo Ethan.
- Allora... si parte! - E se ne andò a passo quasi di corsa sospingendo
davanti a sé la lente di energia pulsante.
- O mio dio... - mormorò Liz portandosi una mano al viso.
- Credo che dovrò fare una chiacchierata con Jason... - Max accennò ad
alzarsi, ma vi rinunciò nel sentirsi trattenere per un polso.
- No, lascia perdere. -
Si girò a guardare la casa. - Mi viene da chiedermi chi sia il bambino, fra
quei due... -
- Lo sono entrambi, in realtà. - Spostò la mano fino ad afferrargli con
gentilezza una spalla. - Su, sdraiati... -
- Sono troppo pesante. Sdraiati tu, invece - contropropose indietreggiando
per farle posto.
- L’ho detto prima io! Dai, mettiti giù! -
Con un sospiro si adagiò lentamente fino ad appoggiare il capo sulle gambe
di lei ed i piedi sul sedile.
- Grazie. - Ridendo piano gli passò le dita fra i capelli. - Non è stato poi
così difficile, no? -
La fissò senza rispondere. A dire il vero non c’era altro posto dove avrebbe
voluto stare, in quel momento. Quando le sue dita gli scivolarono leggere
sul viso, sul collo, sul petto, chiuse gli occhi. Si sentiva in paradiso...
- Ti amo -
Fu un bisbiglio, che percepì con tutto il corpo, e sorrise. Appena un
incurvarsi delle labbra, che tuttavia strappò il fiato a Liz. Max aveva un
viso bellissimo, di un fascino maschile e delicato allo stesso tempo,
sensuale e innocente, che non si sarebbe mai stancata di ammirare.
Poi quelle labbra morbide e piene si mossero compitando le stesse parole, ti
amo. E, subito dopo, le deposero un bacio sul palmo.
Nel farlo aveva voltato la testa offrendole alla vista il suo perfetto
profilo e, senza incontrare resistenza, si infilò quella piccola mano sotto
la camicia, all’altezza del cuore, e ve la tenne, coperta dalla propria, per
un tempo che gli parve infinito.
- Ciao, mamma, sono venuta ad augurarti la buona notte. -
Nell’udire la voce di Shiri Liz rialzò di scatto la testa. Sotto le sue
dita, la pelle di Max brillava ancora di una tenue luce dorata. D’istinto
cercò di tirar via la mano ma lui glielo impedì con dolce fermezza. - Ciao,
tesoro, buona notte, e di nuovo buon compleanno. - disse guardando la figlia
dalla comoda posizione in cui si trovava.
- Papà! Scusa, non ti avevo visto! Grazie... - Quasi eterea nell’elegante
camicia da notte nuova, si avvicinò maggiormente al dondolo sorridendo tra
sé nel notare la sua aria rilassata. Era sempre uno spettacolo guardare i
suoi genitori quando stavano insieme... Senza mostrare alcun segno di
imbarazzo si curvò a deporgli un bacio sulla guancia. - ‘Notte. - disse
piano, poi si protese verso la madre e fece la stessa cosa. - ‘Notte, mamma.
- Dopodiché, canticchiando sommessa uno dei suoi motivi preferiti, rientrò
in casa.
- Forse dovremmo andare dentro anche noi. - fu il quieto suggerimento di
Liz.
- No, non ancora. Mi piace stare così... - Le cercò lo sguardo mentre
intrecciava le dita alle sue, e si perse in quel luminoso velluto color
cioccolato.
- Va bene - concesse lei, incapace di negargli qualunque cosa.
Si scambiarono un tenero sorriso, inconsapevoli di essere osservati.
- Che diamine sta accadendo? - Julianne posò sul bancone il blocco su cui
stava annotando alcuni dati e si avvicinò alla porta ma dovette
indietreggiare in fretta per evitare di venire letteralmente investita da un
paio di uomini avvolti in tuta bianca con tanto di casco protettivo.
Liz e George si scambiarono un’occhiata ansiosa. Grazie ad una generosa
donazione alcuni anni prima un’ala dell’Eastern NM Medical Center era stata
ampliata e dotata di laboratori di ricerca di primissimo ordine. Al momento
erano in corso diversi esperimenti ma, per quel che ne sapevano loro,
nessuno che contemplasse l’uso di sostanze tossiche. O perlomeno, di
sostanze così pericolose da rappresentare un potenziale rischio di
biocontaminazione. Non ebbero tuttavia il tempo di fare domande. Dopo un
rapido controllo gli uomini fecero loro segno di restare all’interno del
locale e, prima di uscire, apposero uno spesso strato di plastica davanti
all’unica finestra di cui era dotato e lo sigillarono con del nastro
isolante. - Non muovetevi di qui finché non verranno a prendervi in consegna
-
Dai rumori che udirono poco dopo compresero che una identica protezione era
stata applicata anche all’uscio.
Sentendosi in trappola, Julianne cominciò a camminare avanti e indietro poi,
nel tentativo di calmarsi, si lasciò cadere su una sedia e fece un respiro
profondo. - Non so proprio di cosa possa trattarsi... - borbottò. - George,
tu che ne pensi?
Lui si strinse nelle spalle. - Non lo so. Comunque, prima di tutto si deve
pensare alla salvezza dei pazienti e quindi è logico che ci abbiano isolati
qua dentro. Sicuramente hanno chiuso l’intero reparto. Spero solo che non si
tratti di nulla di grave... -
- Un falso allarme? -
- O forse eccesso di prudenza. Che io sappia non era mai successo niente di
simile, in questo ospedale, e avranno deciso di non correre rischi. - Guardò
con espressione preoccupata l’addome di Liz. - Come ti senti? -
La ragazza impallidì un poco e si toccò la pancia. - Io... bene. -
Rovers le si avvicinò e la costrinse a sedersi. - Ok. Allora sta’ qui buona
e tranquilla: sono sicuro che si concluderà tutto molto presto... -
Suo malgrado Julianne scoppiò a ridere. - George, ti stai comportando come
una chioccia, te ne rendi conto? -
Sorrise anche Liz. - Perché non hai visto mio marito! Se solo sapesse che...
- si zittì di colpo. Già, Max. Si augurò che George avesse ragione e che la
faccenda si risolvesse in fretta. Per un attimo pensò di telefonargli ma poi
decise altrimenti. Non voleva farlo preoccupare senza motivo. O meglio, non
voleva che si facesse vedere lì in ospedale, non in quel momento. Sospirando
si rimise in piedi e cominciò a trafficare attorno al potente microscopio
elettronico. Credo sia meglio mettere al sicuro le colture, nell’attesa di
capire cos’è successo... -
- Hai ragione! Sarebbe un bel guaio se tutto il nostro lavoro andasse
perduto! - Animata da nuova energia anche l’altra cominciò a darsi da fare,
e a George non restò che imitarle.
Circa venti minuti più tardi la porta venne di nuovo spalancata ed apparvero
quattro uomini con indosso la tuta di protezione.
- Ora tocca a voi. E’ stata allestita una doccia decontaminante, in fondo al
corridoio, e poi verrete sottoposti alle analisi del sangue. Seguitemi - Il
capogruppo si accertò che ognuno dei medici fosse affiancato dai suoi
compagni e li precedette di qualche passo prima di farsi di lato. Come si
aspettava, Liz Evans accennò a divincolarsi. - Sentite, io non credo che ci
sia stato davvero un incidente con rischio di biocontaminazione, non c’è
nulla, nei nostri protocolli, che preveda l’uso di sostanze... -
- Preferisce rischiare la sua vita e quella del bambino che aspetta? - la
interruppe freddamente l’uomo che la scortava.
- No, io non... -
- Allora stia zitta e non ci faccia perdere tempo! Ogni secondo che passa
può rivelarsi fatale, se ne rende conto? -
- Coraggio, Liz, è questione di poco, ormai. - cercò di rassicurarla
Julianne.
“Sì, perché il disastro sia completo!” - Qual è il laboratorio coinvolto?
Sono stati individuati gli agenti tossici? -
- Non ancora. Sono trascorse meno di due ore, troppo poco tempo per avere
già tutti i risultati -
- Ma com’è possibile? Voglio dire, ogni gruppo di ricerca ha una lista
esatta del materiale con cui lavora. Non dovrebbe essere affatto difficile
fare una verifica, e per quello che riguarda la concentrazione, che poi è la
parte più importante... -
- Dottoressa Evans, conosco il mio lavoro, mi creda! E se la smettesse di
agitarsi renderebbe le cose molto più semplici, e tutti noi gliene saremmo
infinitamente grati! - Senza darle modo di ribattere ancora la sospinse con
fermezza verso una porta. - Entri e si spogli. Metta i suoi abiti nella
busta verde, e dopo la doccia indossi questi altri. - Le porse una delle
buste che giacevano impilate su uno sgabello contro la parete.
Liz cercò di protestare tuttavia non c’era nulla che potesse dire o fare
senza creare sospetti. L’unica cosa buona era che, apparentemente, si
sarebbe lavata da sola. Nessuno avrebbe visto le chiazze luminose...
Entrata nel locale osservò con cura ogni angolo alla ricerca di telecamere.
Non trovandone nessuna emise un piccolo sospiro e si affrettò a spogliarsi e
ad entrare nel piccolo cilindro trasparente. I violentissimi getti d’acqua
che la investirono non appena ebbe chiuso il portello scorrevole la fecero
barcollare e serrò gli occhi trattenendo a fatica un gemito. “Andrà tutto
bene... L’ho vista, nascerà! Andrà tutto bene... andrà tutto bene...”
Continuò a ripetersi le stesse parole finché l’acqua smise di flagellarle il
corpo e con un sospiro tremante uscì dalla doccia.
Si asciugò alla meglio con il telo che le era stato consegnato insieme al
ricambio d’abiti e, quando fu pronta, rimase per alcuni secondi a fissare il
cilindro da cui era uscita. Era chiaro che la doccia era dotata di impianto
idrico autonomo per evitare che l’acqua contaminata entrasse in contatto con
l’ambiente esterno, ma non aveva visto nulla che somigliasse anche
lontanamente ad un sistema di sterilizzazione per la stanza. “La verità è
che sono paranoica, ecco tutto...” pensò mordicchiandosi nervosa il labbro
inferiore. In quel preciso istante udì un segnale acustico seguito da un
leggero rombo, poi di nuovo il segnale acustico. “Per l’appunto!...” si
disse, disgustata.
Poco dopo vide la porta laterale aprirsi e vi si diresse con qualche
esitazione. Davanti a lei c’era un grande tubo trasparente di plastica
estensibile. Lo percorse fino alla fine per poi ritrovarsi in una specie di
sgabuzzino, dove trovò ad attenderla un uomo. - Infili questa e mi segua. -
Le consegnò una versione più semplice della tuta sigillata che lui stesso
portava e l’aiutò a indossarla.
Insieme passarono in un altro locale, dove vennero sottoposti ad una seconda
sterilizzazione ambientale, ed infine furono di nuovo nel corridoio esterno.
- Dove mi porta, adesso? - si preoccupò Liz.
- Al centro di analisi allestito per l’emergenza. Ecco, siamo arrivati! - La
sospinse all’interno di un altro sgabuzzino dove si liberarono in sicurezza
delle tute, e poi entrarono in quello che era il laboratorio più spazioso di
tutto il piano, ora affollato di lettini e attrezzature mediche di vario
genere.
C’erano già parecchie persone, diverse delle quali conosceva di vista, e
venne colta da un attacco di panico. Non poteva permettere che le
prelevassero campioni di sangue, ma come avrebbe fatto ad impedirlo?
- Fatele anche l’amniocentesi -
- No, non ce n’è bisogno! - esclamò, determinata e spaventata insieme.
- E’ necessario verificare che il feto non abbia subito danni. -
- Ma io non voglio farla! -
- La pianti, o dovremo somministrarle un sedativo! -
- Per favore, io non voglio... -
Esasperato, lui avvicinò la testa alla sua. - Non può farci niente, e lo sa
benissimo. Avremo comunque il dna del suo mostriciattolo! -
Scioccata, lo fissò impietrita. “Allora... è tutta una messa in scena...”
Senza più opporsi andò a sdraiarsi sul lettino indicatole, in un angolo, e
rimase a guardare impotente un’infermiera che, sorridendo comprensiva,
sistemava il paravento per darle un po’ di privacy mentre veniva sottoposta
all’amniocentesi.
Quando le sollevarono la camiciola scoprendo le macchie luminose sullo
stomaco lanciò un silenzioso grido di protesta.
Shanee batté rapidamente le palpebre e si guardò intorno con stupore. La
professoressa stava ancora parlando, ma la familiare interferenza mentale
era stata così forte e vivida da averle fatto dimenticare per un attimo di
trovarsi in classe. “Liz...?” Con una scusa chiese il permesso per andare al
bagno e si precipitò fuori dell’aula. Continuò a correre finché ebbe
raggiunto il parcheggio e, sforzandosi di rispettare il limite di velocità,
si recò a casa degli Evans.
- Max! -
Lui le sorrise, un po’ stupito nel trovarsela di fronte. - Ciao. -
- Posso entrare? -
- Prego, accomodati. -
Non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle la ragazza lo guardò con
disperata urgenza. - Hai notizie di Liz? -
A quelle parole Max divenne scuro in volto. - Cosa c’è? -
- Ho avuto un’altra delle mie premonizioni. L’ho vista, era in un letto
d’ospedale. Terrorizzata. -
- La bambina?! -
- No, non stava partorendo. - Si portò le mani alla fronte quasi a voler
richiamare meglio le immagini. - Soffriva, le stavano facendo del male...
Era come... come se fosse paralizzata... -
- Che vuoi dire? -
- Lei... desiderava chiamarti, e allo stesso tempo si costringeva a non
farlo... Io... mi spiace, non posso essere più precisa di così. -
La precedette in soggiorno. - E’ la prima volta che hai questa visione? -
- Sì. Da quando lavoro con Isabel spesso mi vengono anche senza bisogno di
sognare. Sembra che riesca a definire sempre meglio i miei poteri. Ma
purtroppo non so dirti se sia qualcosa che è già accaduto o che sta per
succedere. Con voi è tutto... confuso... presente, passato, futuro... -
- Non preoccuparti, hai già fatto molto. - Adocchiò il telefono. - Aspetta,
provo a chiamarla. - Lasciò squillare a lungo prima di rinunciare. Con una
smorfia compose il numero dell’ospedale, e quando seppe il motivo per cui
Liz non poteva parlargli si irrigidì. - Puoi rimanere coi bambini? - chiese
a Shanee mentre riagganciava.
- Sì, certo. -
- Grazie -
- Tieni, prendi la mia macchina. - Gli porse le chiavi e lui le sorrise
grato. - Sei un vero angelo! -
Aveva gli occhi velati di lacrime per il dolore che aveva provato mentre le
prelevavano il sangue ed il liquido amniotico tuttavia riuscì a mantenere la
voce ferma. - Come avete potuto farlo? Come avete osato mettere a soqquadro
l’intero ospedale con una finta biocontaminazione? - sussurrò.
L’uomo le batté affabilmente sulla mano. - Deve rimproverare solo se stessa,
Liz Parker Evans. Questo si è rivelato l’unico posto in cui fosse possibile
arrivare a lei. A casa non è mai sola. C’è sempre qualcuno, suo marito, o i
suoi figli. E noi sappiamo che anche quei mocciosi sono in grado di creare
guai... Così, alla fine abbiamo dovuto operare questa scelta. -
- Sì, mi rendo conto. - Serrò per un attimo le labbra. Si rendeva
perfettamente conto che l’FBI non avrebbe mai rinunciato alle sue indagini,
per quante proteste loro avanzassero alla Casa Bianca. Dovevano cavarsela da
soli. Come sempre. - Ma che bisogno avete di me, visto che sapete già tutto?
- insistette.
- Infatti non è lei, che ci serve. Ciò di cui abbiamo bisogno è qui... - le
sfiorò la pancia, ora nuovamente coperta dal camice. - La chiave dell’unione
di una razza aliena con quella umana. -
- Per farne cosa? - chiese, temendo la risposta.
- Trovare il punto debole che ci permetterà di eliminare questo abominio -
- Lei è pazzo! -
- Avervi lasciati liberi di continuare a vivere tra di noi è pazzia. Non
possiamo permettere che questa... colonia... dilaghi ulteriormente. - Un
sorriso gelido gli stirò le labbra sottili. - Procurarle un aborto sarebbe
un’ottima maniera di avviare il lavoro, purtroppo darebbe il via ad una
serie di domande che preferisco evitare. Quindi stia tranquilla: per ora il
suo mostriciattolo è al sicuro. Anche se è soltanto questione di tempo e...
- Si passò il dito indice sulla gola. - A presto, dottoressa. - disse poi,
andandosene.
Annichilita, Liz si passò le mani tra i capelli. “Oddio, cosa posso fare?
Come posso fermarlo?”
Cercò di calmarsi e pensare con lucidità ma era un’impresa pressoché
impossibile. L’idea che quei bastardi potessero far del male alla sua
bambina non ancora nata la faceva impazzire. E proprio per questo doveva
sforzarsi e trovare una soluzione! “Ok, ok... Allora... prima di tutto...”
Si massaggiò le tempie respirando lentamente “prima di tutto... devo
impedirgli di portare fuori le fiale, sì!” Scese dal letto e scostò il
paravento. Vide Julianne e George e fece loro un piccolo sorriso
rassicurante. - Scusate, ho assoluto bisogno di andare al bagno... - Così
dicendo si volse in direzione dell’uscita secondaria del laboratorio e,
incurante dei richiami dei presenti, la aprì quel tanto che serviva per
passare oltre. Non ebbe alcuna difficoltà a raggiungere il federale che le
aveva fatto i prelievi. - Voglio quelle provette -
- Non avrebbe dovuto lasciare il suo letto. L’amniocentesi non è uno
scherzo. -
- La ringrazio per avermi avvertita. Avanti, me le dia - Tese una mano, che
lui scostò con noncuranza. - Mi spiace ma queste servono a me... -
- No! - In preda all’ira gli afferrò il polso, e un’improvvisa scarica fece
sussultare l’uomo.
Liz approfittò della sua momentanea distrazione per impadronirsi del vassoio
col suo prezioso contenuto ma lui fu svelto a reagire liberando la mano e
dandole una spinta.
Furibonda, lei gli si aggrappò al braccio con tutte le forze. - Non le
permetterò di usarle! - Un grido roco le sfuggì dalla gola contratta mentre
una rete di filamenti di luce verde avvolgeva l’agente, il cui cuore non
resse alla violenta sollecitazione bioelettrica.
Con un singhiozzo soffocato lo guardò afflosciarsi a terra. Nell’impatto le
fiale si ruppero ed il loro contenuto si sparse sul pavimento. Si lasciò
scivolare contro la parete e si strinse le ginocchia al petto. “Oddio, che
cosa ho fatto?” pensò tremando. Nascose gli occhi contro i palmi delle mani
e pianse.
Fuori, a poche decine di metri dall’ospedale, Max appoggiò la testa al
finestrino. Era bastato che si concentrasse su Liz perché avvertisse tutta
la paura, l’angoscia che provava. Automaticamente si era proteso verso di
lei, desideroso di esserle accanto, di darle il suo sostegno. Non era
difficile capire il motivo per cui non lo avesse voluto all’interno
dell’edificio, era tipico di lei cercare di proteggerlo. Ma non avrebbe
permesso alla lontananza fisica di impedirgli di aiutarla. Niente poteva
fermarlo...
E quando la disperazione aveva sopraffatto Liz, distruggendo le sue
barriere, l’incredibile complesso legame che li univa aveva fatto sì che le
loro menti si fondessero. Col risultato che adesso era al sicuro, e
totalmente sconvolta. Con un’imprecazione uscì dalla vettura e si appoggiò
alla fiancata, lo sguardo fisso all’ingresso dell’ospedale. “Coraggio,
amore, sono con te...”
Mezz’ora dopo, non riuscendo più a sopportare l’attesa, compose di nuovo il
numero del centralino e chiese notizie sugli sviluppi dell’emergenza che
aveva coinvolto il settore dei laboratori.
“- E’ rientrata, grazie al cielo. Sembra che non ci sia stata alcuna
contaminazione, in realtà, e stanno già provvedendo allo smantellamento
delle infrastrutture mobili che avevano usato per isolare il reparto. Sua
moglie dovrebbe poter uscire fra non molto. -”
- Grazie -
“- Di niente. Buongiorno, signor Evans. -”
- Sì, buongiorno a lei. - Chiuse il cellulare e si dispose ad aspettare con
pazienza. Adesso, poteva farlo anche tutta la giornata...
Ad un tratto il telefono squillò. Era Liz. E pochi secondi più tardi correva
fuori dall’edificio per precipitarsi fra le sue braccia. - Max!... -
Si strinsero con forza, trovando conforto l’uno nell’altra.
- Ho avuto tanta paura... - bisbigliò lei. - Se non fosse stato per il mio
collega saremmo ancora tutti bloccati là dentro. E l’FBI avrebbe ottenuto
quello che voleva... -
- L’importante è che tu stia bene, tesoro. Quando Shanee mi ha detto
cos’aveva visto... Dio, mi sono sentito morire! Le diede un bacio sui
capelli. - Non farlo mai più, promettimelo! Non chiuderti per proteggermi,
ti prego! -
- Non volevo che ti prendessero. -
- Lo so, ma io devo sapere quando hai bisogno di aiuto! Anche se questo
significasse consegnarmi ai federali. Hai già sofferto abbastanza per colpa
mia... -
Lei non rispose. Non poteva. Perché, a sua volta, odiava l’idea di veder
soffrire Max. Ma lui aveva ragione. Dovevano stare sempre insieme. In quel
modo avevano maggiori possibilità di farcela. Lo abbracciò più stretto. Ti
amo, Max. - sussurrò.
L’alieno non poté fare altro che serrarla e baciarle lungamente e con
dolcezza i capelli.
Rientrarono a casa, Liz sul fuoristrada e Max dietro di lei con l’auto di
Shanee.
Quando li vide la giovane indiana fece un grande sorriso e si affrettò ad
andare a salutare l’amica. - Allora è andato tutto bene? -
- Grazie a te, Shanee. - Max la cinse in un rapido abbraccio.
- Quindi... non era un sogno premonitore... -
- Non proprio, ma sono comunque arrivato in tempo. - La guardò con
gratitudine. - Ti devo moltissimo. -
Lei fece un cenno di diniego. - No, non mi devi niente. E’ il mio potere, è
dentro di me, anzi - sorrise imbarazzata a volte prende il sopravvento, e io
non ho che da riferire ciò che vedo. Se non lo facessi tradirei quello che
sono. E mio padre. E’ la mia eredità -
- Comunque sia, grazie. - Liz le prese con affetto le mani tra le proprie. -
Sei una vera amica. -
- Sono contenta di esserti stata d’aiuto. Adesso, però, devo scappare. Devo
passare a scuola a riprendere le mie cose e ho un mucchio di compiti da fare
per domani. Ci vediamo, ciao! - Le diede un bacetto sulla guancia. Poi, come
spinta da un presentimento, pose un palmo sul suo stomaco arrotondato ed il
viso le si illuminò. - Ehi, questa piccolina è ansiosa di venire al mondo! -
- Sì, ha appena tirato un signor calcio... - Rise piano, dopodiché venne
colta da un sospetto. - Hai per caso visto quando nascerà? - chiese
incuriosita.
Shanee sollevò la mano mantenendo però lo sguardo fisso sul tessuto di
cotone pesante del suo abito. - Eri al fianco di Max, alla riserva, e avevi
tua figlia tra le braccia. Era così piccola... - aggiunse assorta.
- Alla riserva? -
- Sì. Sulla piccola altura a nord del villaggio dove sono nata, da cui si ha
una splendida vista del fiume. Il posto preferito di mio padre... - Corrugò
la fronte nello sforzo di dare voce alle confuse sensazioni che aveva
provato. Eravate lì per... per commemorarlo... -
- E’ comprensibile. Ci ha dato te. -
A quelle parole la ragazza arrossì leggermente ed arretrò imbarazzata. Chinò
la testa di colpo nel sentirsi tirare i jeans. Claudia! -
- Vai via? - La bimba la stava fissando implorante, e lei si curvò per
mettersi alla sua altezza. - Sì, tesoro, devo tornare a casa. Ma giocheremo
di nuovo insieme presto, va bene? -
- Domani? - insisté.
- Può essere. Vedrò cosa posso fare... Ciao. - Le diede un bacio sulla
testolina, e lo stesso fece con Ethan, sopraggiunto nel frattempo. Gli
accarezzò il visetto paffuto, dopodiché si rivolse di nuovo a Liz. - Ora
devo proprio andare, scusami. L’abbracciò con calore. - Sono davvero felice
che tu sia qui, sana e salva! -
Stava salendo in macchina quando sembrò realizzare qualcosa. - Era il
Memorial Day -
Liz, che con Max era rimasta sulla soglia a guardarla, accennò un sorriso. -
Quindi il lieto evento sarà entro la fine del prossimo mese. Bene, comincerò
a fare la scorta di pannolini! -
Con un’allegra risata Shanee si accomodò al posto di guida e mise in moto.
Quando l’automobile fu scomparsa alla vista Max attirò a sé la moglie.
Sentiva la sua stanchezza, il suo turbamento, e desiderava con tutto il
cuore poterle cancellare i ricordi di quello che era successo. Era la
seconda volta che uccideva, ma questo non significava che fosse più facile
accettarlo. Liz doveva sentirsi malissimo, per quanto cercasse
coraggiosamente di nasconderlo. - Andiamo, hai bisogno di riposarti un
po’... - La condusse in camera da letto e la fece distendere. - Non lo hai
fatto con intenzione. Lo so che questo non cambia le cose, ma... tu non ne
hai colpa. Sono stato io a darti l’energia che lo ha ucciso. -
- Oh, sì, adesso prenditi pure la colpa di quello che ho fatto! Santo cielo,
Max, sei sempre così... - Scosse la testa esasperata, alla ricerca della
definizione giusta - così Max! - Gli passò un braccio dietro il collo
costringendolo a sdraiarsi. - Resta con me. Ho bisogno di averti vicino... -
- Certo, amore. Vieni qui. - Se la sistemò contro, avvolgendola nel tepore
del proprio corpo. - Rilassati... -
Lei sistemò la testa nell’incavo della sua spalla. - Sì. - Col braccio
libero gli cinse la vita e chiuse gli occhi. Non si addormentò, né scivolò
in un dormiveglia ristoratore, ma la vicinanza di Max operò la solita magia.
Un poco alla volta i muscoli le si distesero, i battiti del cuore
rallentarono, l’anima ritrovò la pace.
A lato del letto Ethan e Claudia fissarono il padre con una muta domanda
negli occhi.
- Avanti, salite anche voi! - concesse loro.
I due piccoli si arrampicarono felici sul materasso e si accoccolarono
contro le gambe dei genitori.
- Ehi! Sei tornata prima, oggi! - esclamò Max con un sorriso smagliante nel
vedere Liz.
La giovane lo raggiunse alla sua postazione di lavoro e gli mise una mano a
coppa intorno al mento facendolo voltare verso di lei. Il bacio fu
lunghissimo e pieno di passione, ben diverso dal veloce sfiorar di labbra
che era stato nelle sue intenzioni. Ma tant’era: quando stava vicino a lui
le diventava molto difficile trattenersi... - Jason o Shiri sono in casa? -
chiese, costringendosi ad interrompere quello squisito tormento.
- Jason è uscito con Alexandra e Shiri sta leggendo in camera sua. Perché?
Vuoi che badi ai gemelli mentre noi ci ritiriamo nella nostra stanza? - La
bocca incurvata in un sorriso malizioso.
- Veramente dovrebbe badare ai gemelli perché voglio che tu venga a fare
compere con me. -
- Ok. E dove si va, di bello? -
- Mi è venuta un’idea grandiosa. Dato che tu stai a casa coi bambini è bene
che il fuoristrada resti a tua disposizione. Quindi, io ho bisogno di un
altro mezzo di trasporto. Devi aiutarmi a scegliere una macchina nuova! -
Max sollevò le sopracciglia divertito. - Beh, in effetti avere due auto
sarebbe molto più pratico. Ma... ammetto che avrei preferito ritirarci in
camera... -
- Non preoccuparti, compreremo delle pizze per cena e poi lasceremo i
ragazzi liberi di guardare la televisione quanto vogliono mentre noi ce ne
andiamo di sopra. Che ne dici? -
- Non male, come programma. D’accordo, andiamo. - Tornò a guardare il
monitor del computer. - Dammi solo cinque minuti, ti spiace? -
- Affatto. Sbrigati, mi raccomando! - Gli diede un altro bacio, stavolta
molto rapido, e corse a cambiarsi.
Il giovane concluse in fretta il passaggio cui stava lavorando e spense il
computer.
Il pomeriggio precedente, dopo il crollo iniziale, Liz aveva riposato a
lungo fra le sue braccia poi si era alzata e, insieme, avevano portato i
gemelli nei loro lettini, dopodiché era tornata ad accoccolarglisi contro e
gli aveva riferito ogni cosa che aveva detto il federale, concludendo con la
descrizione di come avesse messo termine alla sua vita. Era stata molto
precisa ed aveva analizzato con grande rigore scientifico ogni dettaglio
dell’emanazione di energia che aveva portato alla morte dell’uomo, alla
ricerca di una risposta soddisfacente a quanto accaduto. “- Non so dirti se
fossero tutti membri dell’unità speciale. Forse lo era soltanto
quell’uomo... -” aveva aggiunto in ultimo, incerta.
Si era reso conto che, in quel modo, lei aveva tentato di ridimensionare il
trauma dell’esperienza subita, e l’aveva ascoltata con attenzione.
L’oscurità della notte stava scolorendo nel grigio pallido dell’aurora
quando si era infine addormentata, stanchissima, tra le sue braccia. L’aveva
osservata a lungo, ammirando la morbida rotondità delle guance, le ciglia
folte e ricurve, la bocca vulnerabile, aveva aspirato il delicato profumo
dei capelli, e aveva ringraziato il cielo perché era lì, con lui. Poche ore
più tardi era di nuovo al lavoro, nonostante avesse cercato di convincerla a
prendersi un giorno di riposo, ancora un po’ pallida ma risoluta.
Non era stato facile lasciarla andare quando, al contrario, tutto ciò che
voleva era trattenerla al suo fianco ma sapeva anche che quello era l’unico
modo per andare avanti. Diversamente, avrebbe significato la vittoria
dell’FBI e la loro sconfitta, con le terribili conseguenze che ben
conosceva. Per questo, alla fine, si era fatto da parte, e la ricompensa era
la tranquilla sicurezza di sé che aveva appena visto trasparire da ogni suo
gesto. Sapeva bene che Liz era molto forte, solo che aveva la tendenza a
dimenticarlo, spinto com’era dal viscerale bisogno di proteggerla. Eppure,
fin dalla prima volta in cui si era trovata a confrontarsi con
un’impossibile realtà, aveva dimostrato di possedere un incredibile
equilibrio interiore. Doveva semplicemente esserle di supporto, non
bloccarla per la sua smania di avere tutto sotto controllo!
Jason guardò incuriosito la vettura di un lucente azzurro cupo, una Chevy
Aveo apparentemente nuova di zecca, parcheggiata nel vialetto privato. “A
quanto pare ci sono ospiti, stasera...”
Entrato in casa, dovette tuttavia ricredersi. - Pensavo ci fosse qualcuno a
cena. - commentò perplesso.
- Ah, ti riferisci all’auto qua fuori? - Max sorrise ammiccante. - E’ di tua
madre. - Lo disse con orgoglio, fiero per come Liz aveva condotto l’intera
faccenda. Il titolare dell’autosalone aveva infatti pensato di avere a che
fare con la classica donna indecisa e bisognosa dell’assistenza del marito,
quando invece il suddetto marito era lì soltanto per godersi la compagnia
della moglie... Già, perché, non appena messo piede nell’enorme locale, lei
aveva adocchiato subito quel modello, aveva verificato prestazioni e
sicurezza di altre vetture, aveva fatto un confronto, ed infine aveva
avviato un’abilissima trattativa che le aveva permesso di concludere un
ottimo affare. Ed era stato meraviglioso vederla così animata e allegra, con
gli occhi brillanti di entusiasmo, la sua splendida solita Liz...
- Lo zio Michael ne sarà felice. Secondo me cominciava a stufarsi di dover
fare da autista a papà... - scherzò Shiri.
- Si è forse lamentato con te? - chiese il giovane con tono divertito.
- No. E’ la zia Maria che trova molto seccante il fatto che accorra qui non
appena tu lo chiami, mentre lei deve telefonargli almeno tre volte prima che
le dia retta, e non fa altro che rimproverarglielo! -
- Maria e Michael amano battibeccare, e ogni scusa è buona per farlo. Lo sai
come sono, no? -
La ragazza ci pensò su un attimo. - Sì, hai ragione. Ma ciò non toglie che
una seconda macchina faccia comodo a tutti. E magari potreste anche
insegnarci a guidare. - propose speranzosa.
- Tesoro, per guidare bisogna avere la patente, e non mi pare il caso di
diffondere ulteriormente i vostri dati personali. Però... - sorrise ed annuì
- è bene che lo sappiate fare. Uno di questi giorni andiamo nel deserto e vi
faccio provare, purché mi promettiate di non portare mai la macchina in
città. E’ importante. Sarebbe un bel problema se lo faceste e qualcuno vi
fermasse... -
- Ok, promesso! - esclamò subito Shiri, eccitatissima.
Jason, al contrario, era rimasto tranquillo tuttavia, davanti allo sguardo
interrogativo del padre, si mosse a disagio sulla sedia. - Io... Shanee mi
ha fatto provare, una volta. - confessò.
A quelle parole la sorella spalancò gli occhi. - Oh! - “Che stupida... Io
non ho mai pensato di chiederglielo...”
- Comunque sia, un po’ di pratica non ti farà male. Allora? Che ne dite di
sabato pomeriggio? -
- Per me non ci sono problemi! -
- Va bene anche per me - rispose quieto Jason. In realtà l’idea di trovarsi
di nuovo al volante di un’auto lo elettrizzava. Quell’unica esperienza con
Shanee, superato il primo momento di sconcerto, gli era piaciuta molto, e
non vedeva l’ora di ripeterla. Chissà, magari alla prossima occasione in cui
fossero andati a fare un giro nel deserto avrebbe potuto scambiarsi di posto
con Alexandra e lasciare che fosse lei, per una volta, a godersi il
paesaggio...
- Direi di andare con entrambe le macchine: il fuoristrada è molto più
ingombrante dell’Aveo, e tanto vale che impariate a portare tutti e due. -
suggerì Liz.
- Sì, giusto. Bene... - Max sollevò la ciotola dei legumi - qualcuno ne
vuole ancora un po’? -
Un coro di sì fu la risposta, e la cena proseguì piacevolmente.
Tutte le donne della sua grande famiglia erano lì, davanti a lei, e la
guardavano sorridendo. - Che ne pensate? -
- Che non potresti essere più bella di così! - Isabel si avvicinò alla
nipote e le diede un bacio sulla guancia. - Sei stupenda, Shiri, davvero! -
Maria aveva gli occhi lucidi mentre incontrava lo sguardo altrettanto
emozionato di Liz. - La bambina è cresciuta in fretta, eh? - mormorò.
Lei annuì lentamente. - Mi sembra ieri quando partecipammo al nostro ultimo
ballo studentesco, e ora... E’ tutto così... così incredibile... -
- Devo dire che Shiri sa valorizzare gli abiti che indossa. -
- Pensi che sia eccessivo? -
- Scherzi? Sarà la più bella della scuola! -
Il vestito era semplice ma raffinato, di colore azzurro intenso, con una
delicata scollatura a cuore che metteva in evidenza la compattezza della
pelle chiara e liscia. Le bretelle, che scendevano appena sulle spalle, si
riunivano dietro la schiena dove la cucitura centrale sottolineava la linea
dei fianchi. Le scarpe erano un poco più scure, con un complicato sistema di
lacci per annodarle alla caviglia, ed i tacchi alti completavano l’effetto
mozzafiato.
Shanee le si avvicinò e l’aiutò ad allacciarsi al collo una sottile catenina
con il pendente. - Ecco fatto... - mormorò. Quell’unico punto di luce donava
ancora più profondità allo sguardo della festeggiata. - Allora... in bocca
al lupo! - augurò ammirandola compiaciuta.
Diane porse alla nipote la borsetta intonata e la sciarpa a rete. -
Divertiti, tesoro, goditi la serata... -
- Grazie, nonna. - Si chinò ad abbracciarla, poi si volse nel sentire rumore
di voci maschili. - Sei pronto, Jason? -
- Prontissimo -
Anche il giovane era splendido, in un elegante completo nero, la camicia di
un bianco abbagliante e la cravatta grigio argento. E come lei era
circondato da una piccola folla. Max, Michael, Morgan, Phillip e persino
Kyle erano lì, pronti a dargli il loro sostegno. Tra le mani stringeva la
scatola contenente la preziosa orchidea che presto avrebbe ornato il polso
della sua compagna.
- Sicuro di non aver bisogno di un passaggio? - gli chiese il padre.
- Sì, viene a prendermi Alexandra. -
- Un’altra dimostrazione di indipendenza, eh? - sghignazzò Michael,
beccandosi una gomitata nello stomaco dall’amico ed un’occhiataccia da
Jason.
In quel momento qualcuno suonò alla porta.
Fu Maria ad aprire, e con suo grande stupore si trovò davanti sia Roger che
Alexandra. - Beh, complimenti per la puntualità! - Scrutò la ragazza nella
speranza di cogliere i particolari del suo abito ma lei era strettamente
avvolta in una leggera mantella lunga fino ai piedi che non lasciava
intravedere nulla. Fu tuttavia colpita dalla strepitosa massa appena
ondulata che le circondava il volto. Per l’occasione aveva disfatto le
treccine e doveva aver passato l’intera giornata ad ungere e spazzolare i
capelli per renderli così brillanti e morbidi.
Jason e Shiri si affrettarono a salutare tutti i presenti ed uscirono
insieme ai loro partners.
La vettura di Alexandra era parcheggiata proprio davanti all’ingresso e i
quattro amici vi salirono senza attardarsi oltre.
- Beh... adesso che il rito è terminato - esclamò Shanee per smorzare la
tensione che aveva colto i nonni e i genitori dei due ragazzi - potremmo
andare a mangiare una pizza. Che ne dite? -
- Conta pure su di me! - esclamò immediatamente Kyle. - Dato che non sono di
turno non mi sembra vero di passare una serata a fare quattro chiacchiere...
-
- E dopo potremmo andare al minigolf! - propose Maria - E’ così divertente
vedere Kyle perdere. - Si voltò in direzione di Michael. - Ti prego,
tesoro... -
Lo sguardo di sua moglie era così supplichevole che l’uomo tutto d’un pezzo
cedette immediatamente. Inoltre non avrebbe mai lasciato Shanee da sola
nelle grinfie di quello sciagurato poliziotto. - Va bene - concesse
riluttante. Vedrai... ti straccerò in dieci colpi! - esclamò poi rivolto
verso l’amico.
Diane colse lo sguardo indeciso di Max e intervenne. - Se volete andare
anche voi restiamo noi con i gemelli. -
- Grazie, sarebbe magnifico... -
- Comunque si gioca “pulito” - precisò Shanee. - Niente trucchetti da
cecoslovacchi! -
- Non ne abbiamo bisogno - mormorò Michael guardando Valenti di traverso.
Per evitare l’inizio di una discussione Max prese l’amico per il gomito e lo
sospinse oltre la soglia di casa. - Grazie ancora, mamma. Non faremo troppo
tardi, te lo prometto. -
La palestra della scuola era stata addobbata con luci colorate e allegri
festoni, ed un enorme “2004” composto di un’infinità di boccioli rossi di
carta campeggiava su un telo verde che occupava l’intera parete davanti alla
quale già sedeva la band che avrebbe suonato per l’intera serata.
Dopo averle consegnato l’omaggio floreale, una delicata composizione di
roselline bianche, Roger condusse Shiri all’interno della sala. - Vieni,
andiamo a farci immortalare! - disse, accennando alla postazione del
fotografo ufficiale.
Jason e Alexandra, invece, si attardarono appena fuori dell’edificio.
- Sei bellissima, stasera. - Lui sorrise sfiorandole i capelli con una
carezza leggera. - Dev’essere stato faticoso... -
- Ne è valsa la pena? -
- Oh sì! - Si avvicinò fino a posarvi la fronte e ne aspirò il dolce
profumo, poi vi depose un piccolo bacio e finalmente si scostò da lei quel
tanto che servì per porgerle l’orchidea. - Questa è per te. - Gliela fissò
al polso con l’apposito nastro. Mi avevi detto sul rosa. -
- Sì. Grazie. - Le labbra le si incurvarono in un sorriso malizioso mentre
lo precedeva all’interno e si sfilava la mantella porgendogliela perché la
affidasse alla guardarobiera.
Il giovane trattenne per un attimo il respiro, e dovette lottare per tenere
a bada i battiti del cuore. L’abito era molto aderente e accollato, un
cerchio di metallo dorato faceva partire dalla gola il tessuto di lucido
satin di una cupa sfumatura bordeaux, tenuto unito su un lato da un
cordoncino che si intrecciava da sotto l’ascella sinistra fino a metà coscia
lasciando scoperta la pelle. Sandali e pochette neri completavano il tutto.
- Mi piace sorprenderti... - disse allegra.
- E a me piace essere sorpreso. Sei assolutamente meravigliosa! - Le prese
una mano e le baciò il palmo dopodiché intrecciò le dita alle sue e si
diresse verso il fotografo. - Voglio una foto con te. Non ne ho nessuna,
sai? - aggiunse subito dopo con un certo stupore.
- Allora dobbiamo rimediare -
Poco dopo ballavano insieme sull’affollata pista, ridendo e scherzando come
non avevano mai fatto prima.
- Sei fantastica... -
Shiri sorrise indulgente al suo cavaliere. - Grazie. Sei stato gentile ad
invitarmi. Mi sto divertendo davvero molto. -
- Sai, non ero sicuro che avresti accettato. Pensavo che... - Roger distolse
lo sguardo, imbarazzato - che il tuo ragazzo te lo avrebbe impedito. -
- E perché avrebbe dovuto? - chiese lei, meravigliata.
- Vuoi dire che non è geloso del fatto che tu sia qui con me, stasera? -
Tornò a studiare il suo bel viso. - Continuo a temere che appaia da un
momento all’altro e mi prenda a pugni... -
- Non hai alcun motivo di preoccuparti per questo! - Rise piano. - Bren non
farebbe mai una cosa del genere, quindi rilassati e goditi la festa! -
- Oh, se è per questo me la sto già godendo... - La strinse più forte contro
di sé ed insieme girarono vorticosamente finché le luci della sala divennero
scie multicolori. Quando urtarono contro un’altra coppia si scusò e rallentò
la rotazione per adeguarsi al ritmo della musica.
Continuarono a ballare finché la band dichiarò una pausa. Si diressero
allora al tavolo dei rinfreschi e Roger la osservò divertito mentre
mescolava coca cola, succo d’ananas e limonata. - Santo cielo, Shiri, hai
dei gusti a dir poco discutibili... -
- Questione di punti di vista. - Bevve un sorso e fece schioccare la lingua.
- Vuoi provare? -
- No, grazie. Preferisco questo! - e sollevò il proprio bicchiere colmo di
spremuta d’arancia. In realtà avrebbe gradito qualcosa di alcolico ma sapeva
che non c’era nulla del genere, dato che i rinfreschi erano stati presi in
gestione da genitori ed insegnanti.
- Ehi, tutto bene, voi due? - Glen ammiccò all’amico. Sapeva quanto Roger
avesse desiderato venire con Shiri ed era contento di vedere che, almeno in
apparenza, le cose tra loro stavano filando lisce.
Dopo aver posato il bicchiere ormai vuoto la ragazza sorrise. - Torno fra un
minuto - mormorò allontanandosi in direzione dell’uscita.
Stava ritoccando alcuni riccioli sfuggiti alla pettinatura quando, riflessa
nello specchio, vide Tanya uscire da una delle toilettes. - Ciao! - la
salutò.
- Ciao. Ho visto che Roger non ti ha mollata un attimo, stasera... -
- Sì, abbiamo ballato sempre. E tu? Ti stai divertendo? -
- Mm. - Le si accostò e, dopo essersi lavata le mani, frugò nella borsetta
alla ricerca del rossetto. - Certo che Alex ha davvero del fegato a
presentarsi con un abito del genere... Voglio dire, hai visto? Con
quell’allacciatura sul fianco non ha potuto mettersi nemmeno il tanga! -
- No, però sta benissimo. E’ un vestito molto bello. -
- Non dico di no, ma sicuramente io non potrei andare in giro vestita
così... -
Avvertendo la nota di disappunto nella sua voce Shiri la fissò incuriosita.
- Qualcosa non va? -
Tanya sembrò restia a rispondere, ma poi non riuscì a trattenersi. - Glen
non ha fatto altro che guardarla! Avrei voluto mollargli uno schiaffo,
invece mi sono limitata a pestargli i piedi ogni volta che si fermava. -
La ragazza scoppiò a ridere. - Non me lo sarei mai aspettato da te! -
- Beh, non è carino che il tuo cavaliere continui a fissare un’altra... Non
mi ha fatto nemmeno un complimento. E’ un vero idiota... -
L’aliena la studiò un attimo. - Sì, hai ragione - concordò. In effetti stava
molto bene con quell’abito di voile grigio perla ed una delicata fantasia
rosa pallido e nero, e Glen doveva essere proprio cieco per non essersene
accorto.
In quel momento sopraggiunse Alexandra, accaldata e sorridente. - Ciao! Come
va? -
- Alla grande... - mormorò Tanya. - Accidenti, Alex, non potevi scegliere
qualcosa di meno appariscente? - si lamentò.
- E’ il ballo della scuola, non della parrocchia! - Le diede un buffetto
amichevole sulla guancia. - Su, la prossima volta ti porto a fare spese con
me! -
- Sì, e poi dovrei nascondere tutto in fondo all’armadio. I miei genitori
non mi permetterebbero mai di farmi uscire vestita in quel modo... -
- Uffa, come siete patetici, tutti quanti! I miei genitori qui, i miei
genitori là! - sbuffò facendo un passo indietro. - E’ la vostra vita, non la
loro! -
Sapendo come quello fosse un tasto dolente per lei, Shiri non replicò.
Tanya, invece, alzò le mani coi palmi rivolti verso l’alto. - Vaglielo a
spiegare! - disse con foga.
- Ecco dove vi eravate nascoste! - Sabrina, seguita da presso da un’altra
ragazza, entrò nel locale ormai sovraffollato. Alex, il tuo vestito è
davvero incredibile! - Le sorrise allegramente prima di sparire all’interno
di una toilette.
- Grazie, Sabry. - Si passò una mano sul fianco nudo e fece l’occhiolino in
direzione di Shiri. - Anche Jason lo ha molto apprezzato... - disse entrando
a sua volta in uno dei cubicoli ancora liberi.
Parlando a bassa voce per non farsi sentire dalle altre, Tanya guardò
l’amica. - Ti invidio, sai? Tu sei così... così sicura di te! -
Shiri fece una piccola smorfia divertita. - Ho combattuto le mie battaglie e
sono sopravvissuta. Questione di allenamento, suppongo... - La prese
sottobraccio. - Su, dai, torniamo di là! I nostri compagni ci stanno
aspettando! -
A mezzanotte la festa raggiunse il culmine con la consueta elezione del re e
della reginetta del ballo, poi l’eccitazione andò man mano scemando. Verso
le due, quando il preside decretò la chiusura ufficiale della serata,
soltanto poche coppie erano ancora in pista. Molti avevano ceduto e si erano
accomodati intorno ai minuscoli tavolini disseminati qua e là, e qualcuno
era addirittura già andato via. Inaspettatamente, Jason e Alexandra erano
tra coloro che avevano continuato a ballare ad oltranza mentre Roger aveva
trascinato Shiri in un angolo, dove ben presto erano stati raggiunti da
altri amici, ed erano rimasti a chiacchierare finché quel discorsetto di
commiato aveva segnalato che anche per loro era giunto il momento di andare.
Un piccolo corteo di macchine lasciò il parcheggio della scuola e, poco alla
volta, si disperse per le vie silenziose della città.
- Grazie per la splendida serata. - mormorò Shiri a Roger quando lui la
scortò fino alla porta d’ingresso.
- Sono contento che ti sia divertita. - Le scostò una ciocca di capelli
dalla guancia. - Bren è davvero fortunato... - disse piano.
Lei accennò un sorriso birichino. - Credo che lo sappia. -
- Meritavi di vincere tu. Eri la più bella di tutte! -
- Ti ringrazio per il pensiero, ma... ho già una corona, ed è più che
sufficiente! - gli confidò in gran segreto.
Ridacchiò a quella che riteneva una semplice battuta, poi le prese una mano
e se la portò alle labbra. - Buona notte... -
- Buona notte anche a te, Roger. - Cercando di non apparire troppo brusca
liberò la mano e si volse per varcare la soglia.
A pochi passi da loro Jason diede un ultimo bacio alla sua compagna e seguì
la sorella in casa.
Rimasti soli, Alexandra e Roger fecero ritorno alla vettura. - Mi dispiace
costringerti ad attraversare di nuovo tutta la città... -
- Non preoccuparti, guidare mi rilassa. -
Cogliendo la sua rapida occhiata alla finestra del primo piano, illuminatasi
proprio in quel momento, il giovane non poté impedirsi di commentare: - Sei
proprio innamorata persa di lui, eh? -
- La cosa ti dà fastidio? -
- No, anzi! E’ divertente vedere come ti dai da fare per tenere la sua
attenzione concentrata su di te... -
- Roger, aggiungi solo un’altra parola e te ne torni a casa a piedi -
- Dai, scherzavo! Volevo semplicemente dire che stasera sei uno schianto. -
- Sì, grazie... Si può sapere cos’hai bevuto? Eppure non c’erano alcolici,
al ballo... -
- Già, purtroppo. - Lasciò andare un sospiro. - Maledizione, avrei proprio
bisogno di una bella birra! -
- Che c’è? Sei innamorato perso di Shiri? - gli rifece il verso.
- Non ti consiglio di ripeterlo in giro - La fissò tetro. - Secondo te ho
una qualche speranza che...? -
Lei scosse decisa la testa. - Assolutamente no. A dire la verità, non vede
l’ora di sposarsi. Che stupida! E’ ancora una ragazzina e già pensa a metter
su famiglia! -
- Perché, a te non piacerebbe mettere su famiglia con Jason? -
- Ci mancherebbe altro! - mentì, sapendo di mentire.
- Bugiarda - rise.
- Non dico che non sia un tipo interessante, ma da qui a volerlo sposare...
-
- Però se qualcun'altra si avvicinasse a lui le caveresti gli occhi, giusto?
-
Si unì alla sua risata. - Sì, giusto - ammise.
- Sei proprio una ragazzaccia! - la prese affettuosamente in giro.
- Faccio quello che posso - Gli dedicò un rapido sorriso. - Me la cavo bene,
eh? -
- Benissimo! - convenne divertito.
- Splendido - sussurrò fra sé con piacere. Sapeva che Jason adorava quel
lato del suo carattere...
- Però... è così strano... -
Il semaforo rosso la costrinse a rallentare, e ne approfittò per voltarsi a
guardarlo. - Cosa? - domandò incuriosita dal suo tono assente.
- Fino alla scorsa settimana ero convinto che Shiri dovesse compiere sedici
anni e invece... -
- E invece hai scoperto che è abbastanza intelligente da essere riuscita a
frequentare il primo senior a quattordici anni -
- Già... Ma... com’è possibile che gli Evans abbiano solo pochi anni più di
noi? -
- A quanto pare sei l’unico a non sapere che Shiri e Jason hanno un difetto
genetico che ha provocato la loro rapida crescita... - fu la tranquilla
risposta.
- E che razza di difetto sarebbe? Mi pare di aver letto da qualche parte di
un gene che causa l’invecchiamento precoce, ma una roba del genere... mai,
finora! -
- Glieli chiedi tu, i dettagli? -
- Vorresti dire che non ne hai parlato con Jason? Neanche una volta? -
Alexandra arcuò le sopracciglia divertita. - No. Abbiamo di meglio da fare
che parlare di malattie, quando siamo insieme. -
- Ah, non ne dubito! - Tornò serio. - Però devi ammettere che è una faccenda
molto strana... Insomma, se non hanno l’età che dimostrano, come ha fatto
Shiri a festeggiare quindici anni? -
- Santo cielo, come sei noioso... - Ingranò di nuovo la marcia e, con suo
grande sollievo, lui non replicò. Dopo qualche minuto di silenzio, tuttavia,
si sentì in dovere di avvertire l’amico. - Lascia perdere Shiri: con lei
sprechi solo il tuo tempo, credimi. -
L’unica risposta che ottenne fu un leggero grugnito. - Dammi retta, non sai
quante rogne ti risparmi... I suoi saranno pure giovani, ma sono dei veri
rompiscatole se appena appena non gli vai a genio! -
Lui scrollò le spalle e, immusonito, incrociò le braccia sul petto e rimase
a fissare dritto davanti a sé senza più dire una parola.
“Sì, sei decisamente noioso.”
Dopo una rapida doccia Shiri si preparò per andare a dormire ma, prima di
infilarsi sotto le lenzuola, si diresse verso la stanza del fratello. -
Jason? Posso entrare? - bisbigliò. Avuto il suo benestare, entrò e andò a
sedersi accanto a lui. - Su, racconta! Ho visto che tu e Alexandra avete
ballato praticamente tutta la sera! -
- Infatti. Mi fanno ancora male i piedi. -
- Povero coniglietto... - Si volse a guardare le scarpe, nere e tuttora
lucidissime, allineate in fondo al letto. - Pensa a come deve stare
Alexandra, con quei tacchi a spillo! -
Un’espressione preoccupata velò i suoi occhi. - Hai ragione... -
- Dai, stavo scherzando! Lei è abituata a quel tipo di scarpe! Secondo me ci
va anche a dormire. -
In quel momento la porta si aprì ed apparve Liz. - Cosa fate ancora svegli?
Sono quasi le tre del mattino! -
- Scusa, mamma, ti abbiamo disturbata? -
- No, tesoro, mi ero alzata per andare in bagno e vi ho sentito. - Sorrise
nel vedere le espressioni dipinte sui loro volti e si avvicinò. - Vi siete
divertiti? - chiese.
- Sì, un sacco! Avresti dovuto vedere come avevano sistemato la palestra!
Era... era incredibile! -
La donna sorrise davanti all’entusiasmo della figlia, memore della
trepidazione con cui lei stessa aveva atteso quello che era considerato uno
dei momenti più significativi nella vita di un adolescente.
- Ciao. Cosa state facendo? - Max, insonnolito, scalzo e con indosso solo i
pantaloni del pigiama, si affacciò sulla soglia soffocando uno sbadiglio.
- Siamo rientrati da poco - spiegò Shiri. - Mamma ci ha sentiti e... -
- Oh, capisco. Posso rimanere anch’io? - chiese appoggiandosi contro lo
stipite, curioso di sapere come fosse andata.
Con una risatina la ragazza iniziò a raccontare tutto quello che era
successo da quando, al braccio di Roger, aveva fatto il suo ingresso nel
locale già pieno di gente.
Di tanto in tanto interveniva anche Jason il quale, però, alla fine non poté
trattenersi dal dire: - Comunque continuo a non capire perché gli si
attribuisca tanta importanza. E’ soltanto una festa scolastica... -
- Forse qualcuno la vede così - la sorella reclinò il capo con fare
divertito - ma per altri è un’occasione per mettere in chiaro le cose.
Adesso non c’è proprio nessuno, a scuola, che non sappia che tu e Alexandra
state insieme! -
- E a chi interessa? - domandò lui, sinceramente stupito.
- Ad Alexandra, sciocco. - Shiri alzò gli occhi al cielo. A volte
l’ingenuità di Jason era davvero sconcertante...
- Ok, è ora di andare a nanna! - intervenne Liz prima che gli animi
cominciassero a riscaldarsi. Diede il bacio della buona notte al figlio poi
prese Shiri per mano e la portò via con sé.
Max si chinò a scompigliare con tenerezza i capelli di Jason. - Mi fa
piacere che sia andato tutto bene. Shiri ha ragione, per alcuni il ballo
della scuola riveste un significato molto particolare, e a quanto sembra
Alexandra rientra in questa categoria. -
Il ragazzo ci rifletté su un attimo. - Sì. Penso che abbia colto l’occasione
per rendere la cosa... ufficiale. -
- Già. Meglio di un annuncio in bacheca, eh? - Scosse la testa. - E adesso
cerca di dormire un po’... -
- Certo. ‘Notte, papà -
- ‘Notte, tesoro. -
“Come si sono fatti grandi...” Liz guardò immalinconita le foto che
ritraevano i figli con i rispettivi accompagnatori. Shiri le aveva ritirate
quella mattina e, non appena lei era rientrata dall’ospedale, gliele aveva
mostrate con orgoglio. Da allora le aveva riprese in mano una quantità
infinita di volte, e sempre vi aveva scoperto nuovi particolari. Con la
punta delle dita sfiorò il volto sorridente di Jason. Sembrava così
felice... Si mordicchiò pensosa il labbro inferiore. “Ho sempre odiato
quando i miei mi vietavano di fare qualcosa che desideravo dicendomi che era
per il mio bene, e poi ho finito col fare la stessa cosa con te... Una volta
nonna Claudia mi disse che dovevo seguire il mio cuore. Non è stato facile,
ma alla fine ne è valsa la pena. Tu hai dimostrato più coraggio di me
seguendo il tuo cuore fin dall’inizio, nel bene e nel male” Per un attimo il
ricordo di tutto quel che Alexandra aveva combinato quasi la soffocò, poi
emise un profondo sospiro. “Però non è più possibile negare la realtà dei
fatti: voi due vi appartenete, e tu lo hai capito prima di chiunque
altro...” Rimase assorta per alcuni secondi prima di tornare a studiare
l’immagine di Shiri. “La mia bambina... la mia bellissima bambina... Presto
anche tu te ne andrai per vivere la tua vita... Sono... sono così orgogliosa
di voi...”
- Mamma, ti spiace ridarmi le fotografie? Sto andando dalla zia Isabel e
vorrei mostrargliele. -
- Certo, amore. - Le rimise nella busta e gliele porse. - Jason viene con
te? -
- Sì. Dobbiamo anche passare in biblioteca a vedere se troviamo dei libri
che ci servono per una relazione, ma cercheremo di non fare tardi. -
- Bene. Allora a stasera... -
- Sì. Ciao! - Si protese a darle un bacio sulla guancia e, sentendo rumore
di passi in corsa, si girò e vide il fratello scendere le scale a due
gradini alla volta. - Eccomi! - Salutò la madre con un frettoloso abbraccio
e aprì la porta di casa lasciando galantemente che Shiri uscisse per prima.
- E’ difficile da accettare, vero? -
La voce sommessa di Max la fece voltare di scatto. - Cosa? - domandò.
Lui la raggiunse e le passò un braccio intorno alla vita. - Che nell’arco di
così poco tempo i nostri bambini siano diventati quasi adulti. - Pose una
mano sulla morbida rotondità del suo addome. - Ma ti prometto che farò tutto
il possibile perché lei, e Claudia ed Ethan, crescano normalmente. Te lo
giuro, Liz, loro non dovranno mai affrontare quello che è toccato ai
ragazzi, a costo della... - Non poté finire la frase perché lei gli coprì la
bocca con entrambe le mani. - No, non dirlo! Non devi dirlo! - Lo guardò
negli occhi, implorante. - Non potrei vivere sapendo che tu... - Spostò le
mani sulle guance circondandogli il viso ed attirandolo verso di sé. - Io
non voglio vivere in un mondo dove tu non sia con me, dove non possa vederti
e toccarti, dove non possa amarti... - Lo baciò con dolce passione prima di
tornare ad incontrarne lo sguardo, da cui trasparivano le profonde emozioni
suscitate dalle sue parole. Noi due insieme per sempre. E’ questo, il patto.
Io... io spero che tu non debba mai ricorrere a misure estreme per
proteggere la nostra famiglia, i nostri amici, ma se questo dovesse
accadere... io sarò al tuo fianco e ti seguirò ovunque andrai. Ovunque
andrai - ripeté con tono solenne.
Il reale significato di quelle ultime due parole fece fremere il giovane.
Liz era pronta a morire pur di non vivere senza di lui. Era una cosa che, a
livello istintivo, aveva sempre saputo ma sentirglielo dire così apertamente
gli causò una grande agitazione. - No, Liz, la tua vita è preziosa! Tu non
puoi pensare di... -
- Anche la tua vita è preziosa, Max! - lo interruppe di nuovo. - Volevo
soltanto ricordarti che non sono disposta a perderti. -
- Non accadrà - Le coprì le mani con le proprie. - Perché neppure io sono
disposto a perdere te. -
- Bene! Allora... ci siamo capiti. -
- Sì - Le prese le labbra in un bacio che fece loro dimenticare ogni cosa,
finché il suono del campanello li riportò di colpo al mondo che li
circondava.
Era Diane con i gemelli, che tornavano da una lunga passeggiata nel parco. I
bimbi continuavano a saltellare intorno ai genitori per farsi prendere in
braccio, ansiosi di raccontare quello che avevano fatto, e la donna non poté
trattenere una risata. - Non si sono fermati un attimo, e hanno ancora tutta
questa energia! -
- Perché non rimani a cena con noi? - Max le indicò il telefono. - Chiama
papà e digli di raggiungerci quando esce dall’ufficio. -
- D’accordo. A patto, però, che mi permettiate di dare una mano a preparare!
-
- Va bene. - cedette Liz, sapendo che non c’era altro modo per convincerla a
trattenersi.
- Com’è andato il ballo della scuola? -
Max sorrise alla madre. - Direi benissimo. Chiediglielo, a cena: vedrai che
non si riuscirà a parlare d’altro! -
- Dove sono? -
- Da Isabel, e poi dovevano fare un salto in biblioteca. - Controllò
l’orologio a muro. - Dovrebbero essere di ritorno fra non molto. -
- E tu, cara? Come procede la gravidanza? -
La ragazza prese l’occorrente per apparecchiare. - Magnificamente. Dovrei
partorire entro la fine di maggio. - Disposti i piatti sul tavolo, si
raddrizzò e si toccò la pancia con un sorriso radioso. - Non vedo l’ora che
questa piccolina arrivi! -
- Avete bisogno di aiuto per preparare la nuova cameretta? -
- No, non serve, grazie. Dobbiamo solamente spostare un po’ di mobili nella
stanza dei gemelli... -
- Dobbiamo? -
- Io, Jason, Michael e Morgan. Il prossimo fine settimana. Liz non farà
niente di più faticoso che decidere come vuole che siano sistemati. - Max
aveva parlato con tono deciso, quasi a voler ricordare alla moglie che non
le sarebbe stato consentito null’altro.
- Messaggio ricevuto - mormorò lei infatti prima di andare a controllare la
cottura dell’arrosto.
- Non te la prendere, mia cara. Lo sai come sono fatti gli uomini, no? -
cercò di consolarla Diane.
- Certo - Spense il gas e con gesto automatico rimise il coperchio sulla
pentola, poi fece un mezzo giro e si slanciò fra le braccia del marito. -
Soprattutto questo uomo in particolare... - Si rannicchiò felice contro di
lui. - Ma mi piace che sia così! -
Max la strinse forte e le diede un bacio sui capelli. - Ti amo -
- Lo so - Alzò il viso cercando le sue labbra per un bacio.
Con un sorriso comprensivo la signora Evans prese i nipotini per mano. - Su,
andiamo a lavarci le mani! Ci sono tante cose buone da mangiare, e scommetto
che non lascerete neppure una briciola, vero? -
Phillip, Jason e Shiri arrivarono contemporaneamente pochi minuti più tardi
e la cena, come previsto, fu molto vivace e allegra. Le argute descrizioni
dei due ragazzi suscitarono continue risate, e Claudia ed Ethan fecero la
loro parte per aumentare la confusione.
Dopo che gli ospiti se ne furono andati Max e Jason misero in ordine la
cucina mentre Liz e Shiri fecero il bagnetto ai gemelli e li prepararono per
la notte.
Quando finalmente poté infilarsi sotto le lenzuola Liz si stiracchiò con
voluttà. - Sono stanchissima... - Si mise poi di fianco e passò una mano sul
torace del giovane. - Anche tu hai l’aria distrutta. Sei molto pallido... -
L’alieno intrecciò le dita alle sue, gli occhi chiusi ed un sorriso
colpevole sulle labbra. Erano ancora a tavola quando aveva cominciato ad
avvertire quel sordo pulsare alle tempie, e aveva pensato che prima o poi
sarebbe scomparso da solo ma così non era stato. Si portò la mano libera
alla fronte concentrandosi finché le vene si dilatarono ed il sangue riprese
a scorrere normalmente, annullando a poco a poco ogni sensazione di dolore.
- Ti porto un’aspirina? - si preoccupò subito lei.
- No, sta già passando. - Le attirò la testa contro la propria spalla. -
Buona notte, amore - mormorò, scivolando nel sonno senza neppure
accorgersene.
- Buona notte a te, amore mio. - Si sistemò meglio contro il suo corpo
tiepido e continuò a guardarlo finché le palpebre le si abbassarono ed il
respiro si fece più lento.
Liz sostò un attimo sulla soglia del bagno per tirarsi su la cerniera del
vestito poi tornò verso il letto, da dove Max la stava osservando con occhi
insonnoliti. Con un sorriso si accovacciò sul bordo del materasso, una gamba
flessa sotto di sé. - Ciao, bell’addormentato... -
- Ciao -
Il tono rauco della sua voce le fece accentuare il sorriso. Lo prese
dolcemente per i polsi e gli sospinse le braccia oltre la testa. - Mi piaci
con i capelli un po’ lunghi, sai? -
- Allora niente barbiere? -
- Mm... no, per adesso no! - confermò. Si curvò a dargli un bacio leggero
sulle labbra. - Hai un’aria ancora più sexy... - Poi si raddrizzò e lo fissò
seria. - Anche se oggi c’è Maria vedi di non passare tutta la mattina al
computer. Non voglio che ti venga un’altra volta il mal di testa, stasera. -
- Non era un vero e proprio mal di testa... -
- Prometti? - insisté lei.
- Prometto - cedette dopo una breve esitazione.
- Bravo! - Gli diede un altro bacio, poi una strana espressione le apparve
sul volto e si raddrizzò. - Qualcuno vuole salutarti - Senza dare altre
spiegazioni si appoggiò una mano di lui sul ventre.
Nel sentire il delicato agitarsi della bambina Max si mise lentamente a
sedere, gli occhi lucidi. - Ciao, piccola... - bisbigliò commosso. Dopo
cercò lo sguardo della moglie e rimase a fissarla per alcuni lunghi secondi.
- Non esagerare neppure tu - si raccomandò. - Non voglio che succeda nulla
né a lei né a te. Promesso? -
- Promesso -
- Ti amo. -
- Anch’io - Gli sorrise e, con rimpianto, si alzò e uscì dalla stanza.
Lottando contro la sensazione di solitudine che d’improvviso sembrò
soffocarlo tirò via il lenzuolo e balzò giù dal letto. Mentre andava in
bagno per lavarsi cominciò a riflettere su uno dei quesiti che i suoi nuovi
colleghi avevano impostato. Era l’unica maniera per distrarsi dal pensiero
della lontananza di Liz...
Liz infilò le mani nelle tasche del camice e a testa alta attraversò i
corridoi che la separavano dal suo laboratorio. Era naturale che venissero
svolte delle indagini su quel che era successo ma non si era aspettata un
interrogatorio in piena regola. All’inizio l’argomento principale era stata
l’attività che svolgeva col suo gruppo ma poi i due militari avevano
cambiato tattica. Le domande si erano fatte pressanti, più personali, e solo
la rassicurante presenza di Jim, nella sua veste di sceriffo, l’aveva
trattenuta dall’esplodere. Era stato difficile mantenersi calma mentre
esponeva con fermezza la propria versione dei fatti, fingendo di non sapere
nulla dell’uomo di cui aveva causato la morte. Avrebbe voluto gridare che la
sua bambina non era un mostro, che non avevano nessun diritto di tormentarli
in quel modo, che loro volevano vivere in pace e non essere costretti ad
uccidere per difendersi, e invece aveva dovuto mostrarsi razionale,
distaccata. Come se non fosse stata lei a fermare per sempre il cuore di
quell’uomo. Ma quello era l’unico oscuro segreto che nascondesse. Il resto
era la normalità, ciò di cui poteva parlare senza timore, e aveva spiegato
fino alla nausea in cosa consistesse il suo lavoro. Per quel che la
concerneva, nessun plausibile motivo poteva aver scatenato la pronta
reazione della squadra di contenimento biologico. E questo era tutto ciò che
sapeva. Tutto ciò che avrebbe ripetuto fino a rimanere senza voce, se fosse
stato necessario. Né il team con cui lavorava né l’intero ospedale, per quel
che ne sapeva, avevano ragione di temere possibili incidenti di
contaminazione. Il perché di quell’incredibile malinteso andava oltre la sua
comprensione. Ecco. Era abbastanza sicura di averli convinti, ma dentro si
sentiva stremata. Non doveva lasciar trapelare nulla dell’ansia che la
divorava, doveva comportarsi normalmente, doveva continuare come se niente
fosse.
Quando entrò nel laboratorio il cuore aveva ripreso a battere con
regolarità, i palmi delle mani erano di nuovo asciutti e, con un piccolo
sforzo, riusciva anche a deglutire. Era ancora un po’ pallida tuttavia andò
a sedersi al suo solito posto e sorrise ai compagni. - Allora? Dove eravamo
rimasti? -
Julianne le passò vicino e le diede una pacca amichevole sulla spalla. -
Vado a prenderti qualcosa da bere, mi sembri stanca. Va bene del caffè? O
preferisci il tè? -
- Caffè, grazie. -
- Stanno facendo domande da prima dell’alba. Non vedo l’ora che se ne
vadano. - George si grattò dietro la nuca. E comunque mi piacerebbe proprio
sapere perché non è la polizia a seguire le indagini. Lo sceriffo Valenti
non mi sembrava molto contento quando l’ho visto arrivare, poco dopo le
sette... -
- Sentite, che ne dite di rimetterci al lavoro? Abbiamo già perso fin troppo
tempo con queste continue interruzioni! -
Liz prese il bicchiere che l’altra le porgeva e le sorrise con gratitudine.
- Sì, hai ragione. - Bevve un sorso della bevanda bollente e sentì che i
nodi di tensione cominciavano a sciogliersi. Quel posto era una specie di
seconda casa, per lei, e l’ambiente familiare la faceva sentire al sicuro.
Era una sensazione illogica, tenuto conto delle circostanze, eppure non poté
fare a meno di rasserenarsi. - George, mi passi quella lista, per favore? -
chiese indicando con un cenno del mento il blocco fermafogli alla sua
destra.
L’uomo glielo porse con un ghigno. - Curiosa di scoprire chi di noi due
aveva visto giusto? -
- Indovinato! - Sì, certo, aveva assoluto bisogno di concentrarsi su
qualcosa che non fosse il ricordo dei tragici eventi che l’interrogatorio
subito aveva riportato in superficie in tutta la sua orribile crudezza, fin
nei minimi particolari. Non voleva rammentare quei momenti di terrore, la
percezione dell’energia che fluiva nel corpo del suo aggressore causando
l’arresto cardiaco. Prese il blocco che il collega le tendeva e lo serrò con
entrambe le mani sforzandosi di mettere a fuoco quel che vi era scritto.
Costringendo la mente ad escludere ogni pensiero estraneo a ciò che non
fosse la lista dei reagenti chimici usati il giorno prima ed i relativi
risultati, s’immerse nello studio delle possibili soluzioni da provare sulla
nuova coltura cellulare. Ma il motivo per cui i militari avevano preso in
mano la faccenda era una cosa che avrebbe dovuto verificare quanto prima con
Jim. Ne andava della sua sanità mentale...
Quando la giornata di lavoro volse al termine era stremata per il costante
autocontrollo che aveva dovuto esercitare sui propri pensieri e, dopo un
saluto fugace ai compagni, salì in macchina e si diresse verso l’edificio
dove aveva sede la stazione di polizia.
Jim Valenti l’accolse con un sorriso comprensivo. - Sapevo che saresti
venuta qui non appena ti fosse stato possibile! - la salutò indicandole la
poltroncina davanti alla scrivania.
- Allora, ti prego, dimmi che sta succedendo. Perché non segui tu
l’indagine? -
- Liz, in casi come questo la polizia locale non è esattamente al vertice
della catena di comando - disse con tono ragionevole. - Quando la squadra di
contenimento è arrivata la direzione dell’ospedale si è data da fare per
capire il motivo dell’allarme e ha contattato gli uffici federali. Ma
nessuno sapeva niente di niente e così è stata avviata un’indagine. E
siccome non è la prima volta che a Roswell accade qualcosa di strano, hanno
pensato bene di fare le cose in grande. Però puoi stare tranquilla che non è
a voialtri che stanno dando la caccia. Stanno solo cercando di venire a capo
di una faccenda in apparenza priva di senso. Naturalmente, l’aver trovato
morto uno dei medici dello staff ha reso la questione più complicata. -
A quelle parole la ragazza impallidì e le labbra le tremarono. - Io non
volevo... - iniziò a dire, tuttavia lui si affrettò a zittirla. - Non dire
niente. Si è trattato di un attacco di cuore. L’autopsia lo ha confermato.
Le indagini non riguardano il personale interno, quindi non hai nulla di cui
preoccuparti. - Si alzò, invitandola a fare altrettanto. Adesso va’ a casa,
Max e i ragazzi ti stanno aspettando. -
Liz lo guardò per un lunghissimo istante negli occhi, poi annuì. - Sì.
Grazie, Jim, grazie di tutto. -
- Non c’è di che. Ciao -
- Ciao. - Sentendosi leggermente più tranquilla lasciò l’ufficio e, quando
fu fuori della palazzina, si toccò la pancia con fare protettivo. Doveva
davvero smetterla di farsi prendere dall’ansia. Non faceva affatto bene alla
piccola. E nemmeno a lei... Quasi in risposta alle sue riflessioni avvertì
una serie di piccoli calci e rise piano. - Sei d’accordo anche tu, eh? -
Una volta a casa fece un succinto resoconto di ciò che era accaduto per
evitare che Max si allarmasse nel venirlo a sapere da qualcun altro,
dopodiché lasciò che Shiri l’aiutasse a preparare la cena.
La previsione di Valenti si rivelò esatta. Per quasi una settimana l’intero
ospedale venne passato al setaccio dal personale militare incaricato
dell’inchiesta ma poi tutto tornò alla normalità. L’Eastern Medical Center
era risultato assolutamente pulito e le ricerche si erano spostate su altri
fronti, lasciando la direzione dell’ospedale del tutto insoddisfatta per la
mancanza di spiegazioni precise in merito a quello che era infine stato
presentato come un madornale errore.
Mentre consegnava a George Rovers il rapporto dell’ultima fase
dell’esperimento che aveva appena condotto a termine fece una smorfia. -
Credo che mi prenderò una breve vacanza. Ormai manca poco e mi sento come
se... - Si portò entrambe le mani dietro la schiena - come se dovessi
partorire da un momento all’altro... -
- Oddio, vuoi che faccia portare una sedia a rotelle? - si preoccupò subito
Julianne.
- Ehi, era solo per dire! - Inspirò a fondo. - Però è rimasto davvero poco
tempo... -
- Sicura di non volerti ricoverare? Posso chiamare la tua ginecologa, tuo
marito, o... -
- Julie, davvero, non sono in travaglio! - la interruppe ridendo. - Ho
soltanto bisogno di andare a casa. Mi sento molto... pesante. -
- Lo immagino! In questi ultimi giorni la tua pancia è cresciuta a vista
d’occhio! - George l’aiutò a sfilarsi il camice poi fece altrettanto col
proprio. - Andiamo, ti accompagno io. - E senza ascoltare le sue obiezioni
la prese gentilmente per il braccio e la condusse fuori dell’ospedale.
Aveva appena richiuso il portello dell’auto dopo aver aiutato Liz a scendere
quando vide un uomo rincorrere un bimbo, poi chinarsi e prenderlo in
braccio. Doveva trattarsi di Max Evans, dato che si trovava nel giardino
della casa di Liz, e lo fissò dimenticando per un attimo di respirare.
L’uomo portava solo un paio di jeans e aveva la schiena lucida di sudore, ed
il gioco dei muscoli sollecitati nel rialzarsi col piccino aveva totalmente
calamitato la sua attenzione.
- Max! - Il richiamo della ragazza al suo fianco lo riportò alla realtà.
Seguì con silenziosa reverenza l’avvicinarsi del giovane e dovette
raschiarsi la gola prima di parlare. - Salve, le ho riportato Liz. Non si
sentiva molto bene così ho preferito guidare io. -
L’alieno guardò intensamente la moglie. - E’ tutto a posto? - chiese con
apprensione.
- Sì, sono solo stanca. Penso che... non so, forse ancora un giorno o due...
- Gli sorrise, desiderosa di rassicurarlo, ma lui mise giù Ethan e si
affrettò a sollevarla da terra. - Grazie per averla accompagnata. Vuole
entrare, così può chiamare un taxi? -
- Non importa, non è una lunga camminata da qui all’ospedale... Ciao, Liz, e
riguardati! - Fece un cenno col capo e se ne andò. Se fosse rimasto ancora
un minuto nelle vicinanze di quello splendido esemplare d’uomo avrebbe
finito col mettere tutti in un terribile imbarazzo!
Attento a non fare movimenti bruschi Max salì le scale e depose Liz sul
letto. La spogliò con delicatezza poi le mise una mano sull’addome. - No,
non sta per nascere. Non ancora, almeno, però ci siamo quasi. Non muoverti
da qui e cerca di rilassarti, ok? Ti porterò su la cena. Non voglio che ti
alzi, intesi? -
- Senti, non ho le doglie, non si sono rotte le acque, non vedo perché... -
cercò di protestare ma, resasi conto che sarebbe stato del tutto inutile,
tacque sconfitta.
- Bene, sono lieto di vedere che ogni tanto fai quello che ti chiedo! - Le
diede un bacio tenerissimo sulla fronte e sulle labbra ed uscì dalla stanza
lasciando la porta aperta per qualsiasi evenienza.
L’indomani, alle quattro del pomeriggio, Audrey Gabrielle Evans venne alla
luce. Era una deliziosa cosina, con enormi occhi blu in cui già si
scorgevano tracce del verde intenso che avrebbero assunto poi, ed un ciuffo
di capelli color mogano che le ricopriva a malapena la testa.
- Possiamo entrare? - chiese Shiri impaziente. Al suo fianco, Jason faticava
a trattenere i gemelli dal precipitarsi verso la madre.
Michael, inginocchiato accanto a Liz con una mano sulla sua spalla per
assicurarsi che non ci fossero problemi di sorta, guardò interrogativamente
Max, il quale fece un cenno di assenso. - Per me va bene. Liz? -
- Certo! - Tese le braccia verso Isabel perché le porgesse la neonata e
sorrise mentre i figli più grandi entravano e si mettevano in fila per poter
guardare la nuova sorellina.
Nel frattempo Max aveva raccolto i teli sporchi ed era andato a portarli in
bagno, scortato da Maria con la bacinella dove Audrey aveva fatto il suo
primo bagnetto.
- E’... così minuscola... - mormorò affascinato Jason sfiorando le manine
della bimba.
Tornato accanto al letto Max sedette vicino alla moglie e posò le labbra sul
capo della piccina. - Hai visto quante persone erano ansiose di fare la tua
conoscenza, amore? -
Morgan si affacciò sulla soglia della stanza. - Sono arrivati i vostri
genitori. Li faccio salire? -
- Ehi, non penserete mica di lasciarci fuori?!? - Nancy e Jeff Parker, senza
attendere la risposta, entrarono seguiti a ruota dagli Evans.
Un coro di commenti estatici riempì l’affollatissima stanza finché Liz si
raddrizzò e, passata la figlioletta a Max, scese dal letto. - Se non vi
spiace vado a farmi una doccia - si scusò avvicinandosi al cassettone per
prendere della biancheria pulita e un comodo completo da casa, poi si
rifugiò in bagno.
- Su, dammi la bambina e va’ a controllare che stia bene! - borbottò Nancy
togliendogli la piccola dalle braccia.
Vedendo che la figlia continuava a dormire placidamente il giovane non si
fece pregare oltre e corse dietro la moglie.
- Liz? -
Lei aveva appena finito di spogliarsi e lo guardò mentre si sporgeva per
aprirle il rubinetto dell’acqua e regolarla alla giusta temperatura. -
Grazie - mormorò accennando un sorriso.
- Come ti senti? -
- Svuotata. Stanca. Felice - Gli passò le braccia intorno al collo
nascondendo il viso contro l’incavo della spalla. - E’ una bambina
bellissima, vero? -
- Sì, come la sua mamma. - La strinse piano a sé poi, a malincuore, la
sospinse nella cabina. - Adesso goditi la tua doccia! -
- Non vieni anche tu? -
Lui scosse piano la testa. - No, ma resto qui ad aspettare, nel caso avessi
bisogno di aiuto. -
- Ok - cedette di malavoglia avvertendo la sua risolutezza e, richiuso il
pannello di vetro martellato, si lasciò inondare dal getto di acqua e
vapore.
Un paio di ore più tardi era intenta ad allattare la piccola nella
riconquistata pace della camera da letto con la sola compagnia di Max,
quando udì dei passi concitati e vide una trafelatissima Shanee affacciarsi
sulla soglia. - Oddio, Liz, scusa per il ritardo! Shiri aveva chiesto al
proprietario del locale di avvertirmi ma quel disgraziato ha pensato bene di
aspettare che finissero le prove, altrimenti sarei arrivata prima! -
La giovane donna la guardò divertita. - E’ stato meglio così, credimi. Fino
a poco fa qui c’era una confusione incredibile e avresti dovuto metterti in
fila per avvicinarti! -
- In effetti giù ho visto una vera e propria folla... - Avanzò con cautela
verso di lei, non volendo disturbare la bambina. Santo cielo, che
meraviglia... - disse piano, incantata.
Audrey scelse quel momento per smettere di poppare e Liz, dopo essersi
accertata che non volesse più mangiare, gliela porse.
Un po’ intimorita ma allo stesso tempo desiderosa di stringere a sé quel
morbido fagottino, la ragazza tese le braccia. Ciao, principessa. - sussurrò
commossa.
La bimba batté lentamente le palpebre appesantite dal sonno e fece una
smorfietta che poteva sembrare un sorriso, conquistandosi così per sempre il
suo cuore.
- Vado a sentire che aria tira di sotto e preparo qualcosa da mangiare.
Shanee, hai impegni, stasera, o puoi fermarti a cena? -
- No, sono libera, ma non voglio assolutamente disturbarvi. Sarete distrutti
dalla stanchezza e non intendo crearvi altro lavoro! -
- Cosa vuoi che sia un piatto in più a tavola? - Max si alzò e le diede una
pacca amichevole sulla spalla prima di uscire dalla stanza.
- Ok, come non detto - Il tono rassegnato con cui pronunciò quelle parole
fece sorridere Liz. - Tranquilla, stamattina avevo avviato una pentola di
minestrone. Ci vorrà più tempo a convincere parenti e amici vari che abbiamo
tutto sotto controllo che a finire di cuocere la cena... -
Tornando a studiare il delizioso viso della piccina Shanee corrugò la fronte
pensosa. - Sai, è strano... Io non... non mi sono resa conto di quello che
stava succedendo... Voglio dire... non l’ho sentita nascere, non ho
sentito... nulla...
- Forse perché il parto è stato privo di inconvenienti, per una volta... -
La neomamma la guardò sorridendo, colma di tenerezza per l’evidente amore
che brillava nei suoi occhi.
- Mio padre mi parlava spesso della famiglia reale di Antar, ma dubito che
in tutta la storia del pianeta ne sia mai esistita una come la vostra...
Voi... voi siete la risposta alle speranze di un intero popolo... -
Sulle prime Liz non seppe cosa dire poi si rese conto che la ragazza aveva
semplicemente pensato a voce alta. Allora rimase in silenzio, godendosi la
vista della sua bimba addormentata e sforzandosi di ignorare il leggero
sussulto che quelle parole avevano suscitato in lei. Perché, in fondo al
cuore, sapeva che un giorno il destino avrebbe reclamato i suoi figli e
niente e nessuno avrebbe potuto impedirlo. Per quanto difficile fosse, quel
giorno avrebbe dovuto lasciarli liberi di seguire la loro strada. Ma con Max
al suo fianco non si sarebbe sentita sola. Mai.
Scritta da Elisa
e Shanti |