Riassunto:
Liz si ritrova all’ improvviso in
una Roswell deserta e disabitata. Tutti gli altri, infatti, sembrano essere
svaniti nel nulla…
Data
di composizione: 9 gennaio 2001
Valutazione:
Adatto a tutti
Disclaimer:
Tutti i diritti dei personaggi descritti nel racconto appartengono alla casa di
produzione Warner Bros, il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.
La
mia E-mail è gioicar@tin.it
“Sono
Liz Parker e questa è la mia vita, almeno da quando ho conosciuto Max. Niente
è più lo stesso, neppure questa casa, questa città. Da quando lui mi ha
salvata sento che qualcosa in me è cambiato. Sono diventata ad un tratto più
sensibile, più predisposta a vivere e ad accettare le cose più assurde.
A volte mi chiedo che ne sarà di noi, del nostro amore. Quando credo di aver
finalmente raggiunto qualche certezza accade qualcosa che sconvolge tutto, che
mi porta a dubitare di lui e perfino di me stessa.
Quello che è accaduto tra Max e Tess resta un mistero per me. Continuo ad
essere combattuta tra quello che mi dicono i miei occhi e ciò che vede il mio
cuore. Non so se è la realtà a superare la fantasia o viceversa.
Non so più a cosa credere…”
“Ciao
Liz, ti senti meglio oggi?” ha esordito ad un tratto Maria con un sorriso
compiacente.
“Ancora non lo so. Comunque ti ringrazio per essere venuta a trovarmi
l’altra sera. Non so cosa avrei fatto senza di te!”
“Modestamente potrei fare la consulente sentimentale. Con l’esperienza che
ho…” ha aggiunto l’amica proseguendo verso l’aula e gettando uno
sguardo provocatorio in direzione di Michael, che stava sistemando qualcosa nel
proprio armadietto.
“Ti serve qualcosa?” ha chiesto lui cogliendo al volo il riferimento.
“Sì, un fidanzato nuovo!” ha risposto Maria con aria di sufficienza, ma
senza fermarsi.
Michael, allora, ha cominciato a
seguirla per continuare il discorso.
“Guarda che non sono poi tanto male. In fin dei conti io non prendo fuoco
facilmente come certa gente…”
“Michael!” l’ha rimproverato silenziosamente Maria, sottintendendo con lo
sguardo molto più di quanto le parole avrebbero mai potuto esprimere.
“Scusa, hai ragione, non dovevo scherzare su una cosa tanto seria. Mi
dispiace, Liz. Capisco come ti senti” ha aggiunto lui addolcendo il tono
della voce.
“Non credo che nessuno possa capirlo. Non ci riesco neppure io…”. Dopo
aver pronunciato queste parole Liz si è portata una mano alla testa.
“Stai bene?” ha chiesto Maria premurosa.
“Sì…credo di sì. È solo che…oggi mi sento un po’ strana. Mi gira la
testa…”
“Ehi, parli del diavolo…” ha detto Maria sotto voce indicando Max che
stava sopraggiungendo nella direzione opposta.
Michael e Maria si sono immediatamente defilati per lasciare i due ragazzi da
soli.
“Ciao Liz!” ha esclamato Max con voce remissiva.
“Ciao Max. Non ti ho ancora ringraziato per avermi tirato fuori da quella
casa. Se non fossi arrivato tu non so proprio come me la sarei cavata”.
“Sono io che devo ringraziarti per quello che hai fatto e per aver creduto
alle mie parole. Ti giuro che con Tess…”
“Lascia stare. In questo momento sarebbe inutile parlarne; ho bisogno di
tempo per chiarirmi le idee. Ora scusa ma devo proprio andare”.
“Ci vediamo più tardi?” ha chiesto Max con tono preoccupato girandosi
verso di lei, che si era già allontanata di qualche metro.
“Oggi sono di turno al Crashdown. Forse domani…” ha risposto Liz con
decisione, nel tentativo di far capire al ragazzo che non era ancora riuscita a
perdonarlo per il modo in cui si era comportato nei confronti di Tess.
Poi Liz ha svoltato l’angolo ed è entrata nei bagni. Sentiva il forte
bisogno di bagnarsi il viso per rinfrescarsi le idee e far sbollire la rabbia
che ancora la pervadeva. Un altro giramento di testa, più forte del
precedente, l’ ha costretta ad appoggiarsi allo specchio per non cadere.
“Che giornata infernale…” ha mormorato tra i denti.
Una volta uscita si è diretta all’aula di scienze, che era insolitamente
deserta.
“Che strano, sono tutti in ritardo oggi!” ha pensato tra sé e sé.
Poi è entrata e si è seduta al suo solito banco. Dopo cinque minuti non era
ancora arrivato nessuno.
“Che abbia sbagliato ora? No, è impossibile!” si chiedeva consultando la
tabella delle lezioni. “È proprio l’ora giusta. Non capisco”. Fino a
quel momento non aveva neppure fatto caso al fatto che nel corridoio non
passava nessuno e non si sentiva il consueto vociare proveniente dalle aule
vicine.
Ad un certo punto, insospettita dal silenzio persistente, Liz si è alzata
dirigendosi verso la porta. A destra e a sinistra i corridoi erano
assolutamente deserti. Non solo non c’era apparentemente anima viva nelle
immediate vicinanze ma probabilmente in tutto il piano.
“Questa faccenda è decisamente strana!” si è detta allora incamminandosi
verso l’uscita.
L’ufficio del Preside era deserto, ma il fatto non era di per sé
particolarmente preoccupante. A causa delle numerose riunioni che si tenevano
nell’Istituto non era raro vedere il suo ufficio vuoto e chiuso a chiave. Ma
la porta stavolta era socchiusa.
“Permesso? Signor preside?” ha chiesto timidamente Liz dopo aver bussato
due volte sulla porta.
Non ricevendo risposta si è affacciata per vedere solo la scrivania coperta di
scartoffie e la sedia riposta accuratamente in un angolo.
“Che strano! Non c’è neppure lui!”
Poi Liz è andata nel laboratorio, anch’esso completamente deserto. Sui
banchi facevano bella mostra di sé gli strumenti necessari per gli esperimenti
di biologia ma di persone neanche l’ombra.
“Sembra di vivere in un incubo! Ma dove sono finiti tutti?”
La ragazza ha accelerato il passo per la crescente agitazione e ha aperto, una
dopo l’altra, tutte le porte delle aule. Regnava ovunque la stessa spietata
desolazione.
“Non è possibile: qualche minuto fa ho parlato con Maria, Michael e Max.
Almeno loro dovrebbero esserci! Che si tratti di una esercitazione antincendio
di cui non sono stata informata? Forse mentre ero nei bagni hanno evacuato la
scuola!” si ripeteva, nel tentativo di dare una spiegazione logica allo
strano fenomeno.
Sempre a passo veloce è arrivata all’uscita, da dove si dominavano il
cortile e la strada antistante. Nonostante fosse ora di punta non circolavano
veicoli e i marciapiedi erano desolatamente vuoti. Neppure una persona che
portasse a spasso il cane o qualcuno che passeggiasse per i negozi.
Il cortile della scuola, dal canto suo, era deserto, anche se sui tavoli
c’erano libri, quaderni, zaini e snacks lasciati incustoditi dai ragazzi che
evidentemente si erano seduti lì.
“O sto impazzendo oppure qui sta accadendo qualcosa di molto strano!” ha
esclamato ad alta voce. Sentiva l’acuto bisogno di udire una voce, un rumore
qualsiasi, un segno di vita che rompesse quell’ostinato silenzio.
“Chiamerò mia madre per sapere se è successo qualcosa in città”.
Rientrata nell’edificio Liz ha cercato il primo telefono. Solitamente
bisognava fare la coda per telefonare ma ora c’era solo l’imbarazzo della
scelta.
Dalla cornetta proveniva il consueto suono che indicava che il telefono,
dall’altra parte, era libero.
“Rispondi, mamma! Avanti!” mormorava Liz tra i denti, mentre continuava a
guardarsi intorno come se si fosse aspettata di veder comparire qualcuno o
qualcosa da un momento all’altro.
“Non risponde. Che sia uscita? O che sia accaduto qualcosa anche a lei?” si
chiedeva mentalmente con crescente preoccupazione.
“Adesso basta! Torno a casa per vedere di persona cosa è successo”.
Liz si è incamminata lungo il viale deserto, in direzione del Crashdown.
Neppure negli altri quartieri sembrava esserci nessuno. Neppure un bambino o un
cane.
“È impossibile che siano scomparsi tutti in pochi secondi. O mio Dio: e ora
che faccio? E se fossi veramente l’unica persona rimasta? Magari l’unica
sopravvissuta a qualche evento catastrofico? No, ci sarebbe qualche traccia.
Qui sembra tutto in ordine, salvo che la gente è svanita nel nulla. Liz cerca
di stare calma!” ripeteva tra sé e sé, nel tentativo di non farsi prendere
dal panico.
“Proverò ad entrare in un negozio!” ha esclamato ad un certo punto.
“Permesso? C’è nessuno?” ha chiesto dopo aver bussato alla porta chiusa.
Nessuna risposta.
Attraverso il vetro Liz poteva vedere chiaramente il bancone ordinato, coperto
di articoli da regalo, ma rigorosamente deserto. Il registratore di cassa era
aperto ma i soldi erano al loro posto, come se la commessa fosse uscita in
tutta fretta dimenticandosi di chiuderlo.
Dopo pochi metri Liz è entrata in un bar. Cambiava la cornice ma il quadro era
sempre lo stesso: tavoli vuoti, piatti abbandonati con del cibo ancora fumante,
un rubinetto aperto.
“Devono essere usciti da poco…e di corsa!” ha esclamato la ragazza
chiudendo istintivamente il rubinetto.
Tante volte aveva desiderato che per qualche minuto sparissero tutti per
godersi in pace la città vuota ma mai avrebbe pensato di essere un giorno la
protagonista di un’avventura così allucinante. Ora rimpiangeva di aver
talvolta espresso quello stupido desiderio.
Una volta giunta al Crashdown si è resa conto che anche il suo locale era
deserto. In cucina degli hot dogs stavano bruciando sulla piastra emettendo un
forte odore di cibo carbonizzato.
“Accidenti!” ha esclamato, precipitandosi a toglierli dal fuoco e
scottandosi un dito.
“Beh, ora almeno so che non sto sognando! Purtroppo è tutto vero… Come
vorrei che ci fosse Max!” ha pensato ad alta voce. Poi, ad un tratto, la
folgorazione.
“La radio! Come ho fatto a non pensarci prima?”
Liz si è precipitata sulla radio che si trovava sul bancone. Dopo averla
accesa ha cominciato a variare la frequenza alla ricerca di una stazione che
stesse trasmettendo qualcosa.
Dall’apparecchio, però, proveniva solo un ronzio indistinto. Di trasmissioni
nemmeno l’ombra.
“Ci sarà pure una stazione funzionante!” mormorava con rabbia crescente.
“Al diavolo questo stupido aggeggio!” ha esclamato ad un certo punto
scaraventando la radio sul pavimento.
“Ma cosa sta succedendo? Perché non c’è più nessuno? Maria, Max, mamma.
Dove siete?” ha gridato con quanto fiato aveva in gola mentre si lasciava
scivolare sul pavimento tenendosi la testa tra le mani.
Avrebbe tanto desiderato che arrivasse qualcuno a consolarla, ad accarezzarle
la testa rassicurandola, dicendole che si trattava solo di un incubo e che
tutto sarebbe tornato al suo posto. Ma non era così. Non c’era nessuno che
potesse accorrere in suo aiuto. I pupazzi degli alieni, le antenne e tutti quei
gingilli che arredavano il locale e che le erano sempre parsi buffi ora le
sembravano inquietanti presagi.
Facendosi forza Liz si è rialzata a fatica per dirigersi verso il piano
superiore.
La sua camera era in ordine, esattamente come l’aveva lasciata. I libri erano
sul tavolo e il diario era al solito posto.
Muovendosi macchinalmente l’ ha preso in mano e ha iniziato a scrivere.
“Sono
Liz Parker e sto vivendo il peggiore incubo di tutta la mia vita. La città di
Roswell è improvvisamente deserta: nelle strade e nelle case non c’è più
nessuno. Devo essere l’unica persona sopravvissuta ad una terribile
catastrofe oppure…non so cosa pensare. La gente sembra essere svanita nel
nulla. Non c’è nessuno a cui chiedere, nessuno che mi possa aiutare. Se
qualcuno un giorno troverà queste poche righe saprà che…”
Poi,
non riuscendo più a continuare, ha chiuso il diario e l’ha riposto al
sicuro.
Automaticamente ha afferrato il telecomando per accendere la televisione.
Sapeva già cosa avrebbe visto, ma la tentazione era troppo forte.
Dall’apparecchio proveniva lo stesso ronzio che aveva udito dalla radio e lo
sfondo grigio dello schermo era segnato da disturbi e righe.
“So che è stupido, ma dovevo almeno provarci”.
Ad un tratto un’idea: si è diretta con decisione verso la scrivania e ha
inserito un CD nello stereo.
Ne è uscita una musica che le appariva celestiale, se paragonata
all’ostinato silenzio che regnava sull’intera città. Tuttavia, i suoni che
si perdevano nell’aria per poi dissolversi nel nulla le apparivano
tragicamente comici.
“Mi sento meglio!” ripeteva a sé stessa. “Almeno ho l’impressione di
essere ancora viva!” ha esclamato tirando un sospiro di sollievo.
Poi è scesa di sotto e si è diretta all’U.F.O. Center.
Ha aperto la porta senza bussare: involontariamente si stava abituando
all’idea di potersi muovere liberamente in tutta la città.
“C’è nessuno? Signor Milton?” ha chiesto ad alta voce.
I locali erano illuminati, così come i manichini degli alieni e la libreria.
Tutto le appariva molto più inquietante del solito.
Non un’anima viva.
Ad un tratto la porta si è richiusa alle sue spalle con un forte rumore. Liz
si è voltata di scatto in preda al panico. Nessuno.
Poco dopo si è resa conto che doveva essere stata solo la corrente d’aria a
provocare il fatto e ha cercato di ritrovare la calma.
Poi ha chiuso la finestra spalancata per evitare che si ripetesse il fenomeno.
Un altro spavento del genere e probabilmente sarebbe andata a raggiungere tutti
gli altri che erano già scomparsi. Ovunque si trovassero…
“Lo sceriffo! Forse nel suo ufficio troverò qualche indizio che mi permetterà
di capire quello che sta succedendo!” ha esclamato all’improvviso,
dirigendosi di corsa verso l’uscita.
Intanto il tempo era rapidamente peggiorato ed erano cadute le prime gocce di
pioggia.
“Accidenti! Ci mancava anche questa!”
L’ufficio di Valenti era prevedibilmente deserto. Sulla scrivania c’era
solo il suo cappello, dal quale non si separava mai. Questo era un altro
indizio che lo sceriffo non si era allontanato da lì di propria volontà ma
che probabilmente tutto era accaduto tanto rapidamente da non lasciargli
nemmeno il tempo di pensare.
In un'altra situazione Liz avrebbe senz’altro approfittato della sua assenza
per frugare nei dossiers che conservava su ciascuno di loro ma in quel momento
era l’ultima cosa che le passava per la mente. La ragazza ha aperto i
cassetti, uno dopo l’altro, che però contenevano solo inutili scartoffie e
chiavi. Finché ha trovato una busta.
L’ ha aperta in fretta per esaminare il contenuto: si trattava delle
fotografie delle vittime dell’alieno assassino che le aveva mostrato Valenti
tempo prima.
Come aveva fatto a non pensarci? Forse tutta quella storia era opera di Nasedo.
Oppure di Tess? O di altri alieni?
Se veramente anche Tess era come loro, cosa di cui probabilmente non c’era più
da dubitare, forse potevano essercene altri. E forse potevano avere qualche
motivo per liberarsi della gente comune!
No, era un’idea stupida, roba da fantascienza!
Però, da quando la sua vita si era trasformata così radicalmente ed era stata
sconvolta da tante novità e rivelazioni, aveva imparato a dubitare di tutto e
di tutti. E aveva capito che niente era impossibile…
Ma perché lei era ancora lì, allora? Perché non era scomparsa con gli altri?
Improvvisamente la sua attenzione è stata attirata dal calendario, appeso alla
parete.
“Ma che…” ha mormorato per lo stupore.
L’unica cosa di cui era sicura fino a quel momento era ciò che aveva fatto
dal risveglio fino alla misteriosa scomparsa degli altri. Si era alzata, aveva
fatto colazione, era andata a scuola. Come tutte le mattine, insomma. In
particolare come tutti i lunedì.
Ma il calendario non segnava il giorno giusto: Liz era certa che fosse lunedì.
Se possibile era l’unica certezza che aveva conservato in quella giornata da
incubo.
“Lo sceriffo avrà dimenticato di cambiare il mese…” ha pensato
innocentemente, allungando la mano verso le pagine. Con sua grande sorpresa si
è ben presto resa conto che né il giorno, né il mese coincidevano. E se
possibile neanche l’anno.
“Se è uno scherzo è davvero di pessimo gusto!” ha detto ritraendosi
istintivamente.
Poi ha preso in mano l’agenda personale di Valenti, che lo sceriffo aveva
incautamente lasciato sulla scrivania.
La conferma non tardò ad arrivare. Non c’era dubbio: qualunque cosa fosse
accaduta sembrava che la Roswell in cui si trovava in quel momento esistesse in
una diversa realtà temporale rispetto a quella da lei conosciuta.
E poi di nuovo quei giramenti di testa. Di nuovo quel dolore insistente.
Liz si è portata le mani al capo e si è accasciata sulla scrivania di Valenti
priva di sensi.
“Parker, Parker, stai bene?” ha chiesto una voce mentre due mani la
scuotevano energicamente.
“Sceriffo! È tornato!” ha esclamato Liz sforzandosi di aprire gli occhi e
di allontanare l’intontimento che si era evidentemente impossessato di lei.
“Per la verità non mi sono mai allontanato. Non nelle ultime due ore…”
ha risposto Valenti sollevandole delicatamente il capo.
“Ma ci siete tutti! O mio Dio, che gioia!” ha esclamato Liz, non rendendosi
conto che le persone che si trovavano nella stanza apparivano più stupite di
lei.
“Certo che ci siamo tutti. Perché: dove avremmo dovuto essere?” ha chiesto
Maria avvicinandosi al suo viso con un’espressione dubbiosa.
“Io…non lo so…la città…era deserta. Non c’era nessuno e…anche lei
Sceriffo…”.
“Sta farfugliando cose senza senso. Sarà meglio portarla in ospedale per
accertamenti”.
“No, dico sul serio…l’ ho vista…sto bene!” si sforzava di reagire
Liz, mentre metteva a fuoco l’ambiente circostante.
C’erano proprio tutti: Isabel, Michael, Maria, il Preside e…mancava Max.
No, eccolo! Era vicino alla porta.
“Liz, per fortuna qualcuno ti ha vista mentre ti accasciavi al suolo
all’uscita dei bagni e ci ha avvertito. Lo Sceriffo Valenti si trovava qui
per…ma non ha importanza adesso. Quello che conta è che tu stia bene!” ha
aggiunto il Preside sorridendo.
“Sì, io…vorrei tornare a casa…”
“Sei sicura di non volerti sottoporre ad una visita?”
“No, preferirei tornare a casa a riposare.
“Va bene, allora. Evans, vuoi accompagnarla tu?” ha chiesto il Preside
all’indirizzo di Max.
“Certamente. Sì, ci penso io!” ha risposto il ragazzo avvicinandosi a Liz
e aiutandola ad alzarsi.
Una volta saliti sulla jeep Liz ha iniziato il suo racconto.
“Max, io ho visto delle cose…non so come spiegare…insomma: mi trovavo a
Roswell ma non era la stessa Roswell in cui ci troviamo adesso e...”
“Liz, non c’è bisogno di affaticarti. Ne possiamo parlare anche più
tardi!” ha risposto lui continuando a guidare ma scrutandola con la coda
dell’occhio.
“Va bene. Se lo dici tu..” si è rassegnata lei muovendo la testa in quel
suo modo caratteristico che indicava che era poco convinta ma che si rimetteva
alle decisioni altrui.
Una volta terminate le lezioni anche Michael, Maria, Isabel e Alex li hanno
raggiunti a casa di Liz.
“Allora, Liz, come va? Ti sei convinta che è tutto a posto?” ha chiesto
Alex sedendosi accanto a lei sul divano e mettendole un braccio intorno alle
spalle.
“Ragazzi, grazie per il vostro interessamento. Sto bene, almeno credo. Il
punto è che ho vissuto un’esperienza incredibile e credo possa essere
importante. Importante per voi, intendo!” ha detto guardando Max, Michael e
Isabel.
“Si vedono molte cose incredibili quando si batte la testa…” ha
commentato Michael, che aveva preso una sedia, l’aveva girata al contrario e
si era accomodato proprio di fronte a Liz.
“Michael, non è il momento!” lo ha ripreso fulminandolo con lo sguardo
Max, che aveva intuito l’importanza di ciò che la ragazza si apprestava a
raccontare. “Che vuoi dire, Liz?”
Dopo un breve resoconto i ragazzi sono rimasti in silenzio per qualche minuto.
“Liz, quello che hai visto è incredibile!” ha commentato Maria, che sembrava propensa a credere alla sua storia.
“Come facciamo ad essere sicuri che non si sia trattato solo di un sogno?”
è intervenuta Isabel con tono scettico.
“Infatti non lo possiamo sapere ma io le credo!” ha risposto Max.
“Ammettendo che sia vero, cosa significa la strana data del calendario?” ha
aggiunto Isabel sedendosi sul bracciolo del divano.
“L’unica spiegazione che mi viene in mente potrebbe non piacervi…” ha
mormorato Max squadrando gli amici con lo sguardo profondo delle grandi
occasioni.
“Sarebbe?” ha chiesto Alex strizzando gli occhi come faceva sempre quando
esternava il proprio scetticismo.
“Liz potrebbe aver avuto la visione di qualcosa che deve ancora
accadere…”
Sul
gruppo riunito è sceso il silenzio.
Scritta
da Joy |