Riassunto: Questa
storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore
alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai
fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o
duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più
grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa
ricambiarlo.
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: Ogni
riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori
protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitoli 31-36
Capitoli 37-42
Capitoli 43-48
Capitoli 49-54
Capitoli 55-60
Capitoli 61-66
Capitoli 67-72
Capitoli 73-78
Capitoli 79-84
Capitoli 85-90
Capitolo 91
Max infilò la chiave nella serratura
della porta d’ingresso ed entrò nel santuario della sua casa. Respirò gli odori
familiari, sentì i rumori familiari, e cercò di lasciarsi alle spalle il trauma
che aveva vissuto quel giorno. Con passi decisi, raggiunse la cucina e quando
non vi trovò gli oggetti del suo desiderio, cominciò a cercarli.
“Liz?” camminò per il corridoio, diretto in camera da letto. Passò prima nella
stanza di Matthew e si fermò per darci un’occhiata. La sedia a dondolo era
vicino alla culla, con sopra un grosso orso bruno lasciato a guardia del sonno
del piccolo. Max traversò la stanza e si chinò sopra di lui, guardandolo
dormire tranquillo, chiedendosi per quale ragione al mondo qualcuno potesse
fare del male ad un bambino innocente.
Bisognoso del contatto fisico, Max fece scivolare la sua grossa mano sotto
Matthew e lo sollevò per stringerlo contro il suo petto. Il bambino si mosse e
fece qualche lamento, poi si sistemò contro il caldo corpo del padre. Max lo
teneva teneramente, reggendolo con una mano e sostenendogli con l’altra la
testa, poi posò un bacio sui suoi capelli scuri.
Aveva assistito a tante cose in questi ultimi mesi, da quando aveva cominciato
a lavorare con Carl. Qualcuna era stata nauseante, abusi e violenze sessuali,
come per Heather Brooks. Qualcuna era stata appagante, come quando avevano
ritrovato la piccola Cindy Morgan e l’avevano restituita alla famiglia sana e
salva. Ma quello che aveva visto oggi lo aveva colpito duramente, forse perché
aveva riacceso in lui i sensi di colpa.
Adam Pruett era stato abbandonato dalla madre, lasciato solo in uno squallido
appartamento per giorni e giorni. Lei aveva fatto una scelta tra il suo nuovo
boyfriend e suo figlio era stato quello scartato. Quel giorno alla Haystack
Mountain, Max si era trovato di fronte alla stessa scelta, ed aveva scelto Liz,
abbandonando Ellie a qualsiasi destino l’aspettasse.
Odiava se stesso per aver dovuto fare quella scelta, odiava se stesso per non
essere arrivato in tempo per rendere la scelta inutile, e il senso di colpa non
sarebbe mai più andato via. Quella notte aveva abbandonato Ellie perché Liz
potesse vivere e mentre si odiava per quella scelta, sapeva che l’avrebbe fatta
di nuovo.
Qualche volta, il senso di colpa gli rendeva quasi impossibile guardare in
faccia Ellie, nei sogni. Sapeva che era per colpa sua se lei viveva quella
misera vita, chiusa in un laboratorio di ricerca, con Johnson che la
tormentava, esclusa dal mondo.
Aveva gli occhi colmi di lacrime al pensiero del genere di vita che viveva sua
figlia e tutto perché lui non era arrivato in tempo.
“Max?”
Liz stava sulla soglia della camera di Matthew, guardando Max che stringeva suo
figlio. Un altro giorno, in un altro momento, avrebbe trovato quella visione
bella oltre ogni dire, ma ora poteva avvertire le tormentose emozioni di lui, e
sapeva che stava soffrendo. Poteva sentirlo sprofondare in un inferno di
auto-accusa e le faceva male il cuore. E la spaventava. Oggi era successo
qualcosa, anche se non era sicura di cosa fosse, che l’aveva colpito
profondamente.
Max batté rapidamente gli occhi per schiarirsi la vista, poi girò il suo
sguardo su Liz. Sapeva che non avrebbe dovuto disturbare Matthew quando stava
dormendo, ma lei non sembrava arrabbiata.
“Ciao.” cercò di dire disinvoltamente. “Mi è mancato il piccolo ragazzo, oggi.
Mi siete mancati tutti e due.”
“E a noi sei mancato tu.” Liz camminò verso di lui, allargando le braccia per
abbracciarlo. Cercando di distoglierlo da qualsiasi cosa lo stese turbando, gli
disse “Matthew ha parlato di te tutto il giorno.”
“Cosa?” disse Max incredulo. “Parlato?”
“No.” Liz rise all’espressione della sua faccia. “Ma ha fatto le bolle e ha
giocato con le dita dei piedi.”
“Wow,” Max si sentiva già meglio. Guardò il bambino addormentato e resse lo
spensierato gioco di Liz. “Già fa le bolle. Sarà un genio.”
“Naturalmente.” disse orgogliosamente Liz. “E’ nostro figlio, no?”
Liz guidò Max fuori dalla camera, verso la cucina, sapendo che era più
importante per Max avere un contatto con suo figlio, di quanto Matthew avesse
bisogno di dormire tranquillo nella sua culla. Sapeva anche che qualunque cosa
fosse successa quel giorno, qualunque cosa turbasse Max, lei doveva persuaderlo
a tirarla fuori. Lui cercava sempre di difenderla dalle cose che preoccupavano
lui, ma questo non faceva altro che peggiorare le cose, per lui. Lei era
determinata a non lasciarlo soffrire da solo.
Max prese una sedia dalla tavola e si sedette con attenzione per non scuotere
Matthew. Ancora una volta, si stupì della quantità di calore che il suo
corpicino poteva emanare. Tenendolo contro il suo petto, poteva sentire il
calore attraverso la tutina del piccolo dormiente, attraverso la sua camicia,
irradiarsi sulla sua pelle.
“Hai l’aria di uno che ha voglia di questa.” Liz gli porse una Cherry Cola
ghiacciata. Max la prese grato e ne bevve quasi un terzo in un solo sorso.
Stava per prenderne un secondo, quando le parole di Liz lo fermarono con la
mano a mezz’aria. Sedendo nella sedia accanto alla sua, lei gli chiese “Cosa è
successo oggi? E non cercare di non dirmi niente.”
Max la guardò, giudicando dall’espressione di lei che, questa volta, non si
sarebbe accontentata della solita risposta evasiva. Lei sapeva sempre quando
qualcosa lo turbava, e stasera non gli avrebbe permesso di nasconderlo. La mano
di Max stava per prendere il barattolo sul tavolo, poi automaticamente si portò
sulla testina di Matthew. Liz si accorse che quello non era soltanto un gesto
tenero e amorevole di un padre per il figlio. Era anche un gesto protettivo.
“Oggi ci siamo occupati di un nuovo caso.” disse Max reticente. “Il caso di
Adam Pruett.”
“Oh.” Liz stette in silenzio per un momento. Aveva sentito la sua storia al
notiziario. “E’ stato brutto?” chiese alla fine e tese la mano verso di lui,
offrendogli amore e sostegno. Sapeva quanto questi casi lo coinvolgessero
profondamente.
Max coprì la mano di Liz con la sua, sentendo il suo calore e il suo supporto,
e la tensione cominciò lentamente ad allentarsi, suo corpo. Lei lo faceva
sentire subito meglio.
“Fisicamente, Adam starà bene. Mentalmente … è piccolo. L’ho aiutato meglio che
ho potuto. Penso che starà bene.”
“E tu?” chiese Liz, stringendogli forte la mano. “Anche tu starai bene?”
“Si.” Max cercò di scrollarsi di dosso la sua auto-accusa. “Io starò bene.” Nel
profondo del suo cuore, sapeva di non aver avuto possibilità di scelta. Liz era
viva. Ellie era viva. Finché c’è vita, c’è speranza. L’altra scelta avrebbe
significato che solo una di loro sarebbe stata viva, e lui non poteva
immaginare la sua vita senza Liz.
Matthew cominciò a stiracchiarsi e sulla faccia di Max comparve un sorriso,
mentre la piccola bocca cominciava a succhiare la gola di suo padre. Con un
luccichio che gli illuminava gli occhi, Max sbuffò ”Nostro figlio sarà pure un
genio, ma ancora non ha imparato che non c’è latte nel mio pomo d’Adamo.”
“Dallo a me.” ridacchiò Liz, stendendo le mani per prendere Matthew. Si
sbottonò la camicetta e Max riuscì a dare un’occhiata veloce al suo seno
morbido, prima che Matthew si attaccasse a lei, affamato. Sentì un’ondata di
desiderio salire dentro di lui e si alzò in piedi per preparare la cena,
pensando al suo seno pieno di latte e chiedendosi che sapore avrebbe avuto con
sopra dello sciroppo al cioccolato.
Aprendo il frigorifero, prese la confezione di pollo che Liz aveva messo a
scongelare e la mise sul ripiano. Prese un coltello dal blocco sopra il piano
da lavoro e vi passò sopra la mano per affilare la lama, poi, quando un
pensiero improvviso gli saltò in mente, si girò verso Liz.
“Oggi io e Carl siamo stati nella strada di fronte al Coyote Canyon Park, sopra
Beardsley Road. Ti ricordi quel posto?”
“Certo.” Liz lisciò la guancia di Matthew mentre lui succhiava contento. “Ci
siamo stati qualche settimana fa, proprio prima che nascesse Matthew.”
“Giusto.” Max si ricordò di quando avevano dato da mangiare alle anatre ed la
sua idea gli sembrò ancora più geniale. Posò il coltello sul ripiano e tornò
verso Liz, sedendosi accanto a lei. “A tutti e due piace tanto quel posto,
vero?”
“Mi è piaciuto stare lì, Max.” Liz sorrise al ricordo. “E’ un bellissimo
parco.”
“Allora, visto che tutti e due sentiamo, non so … un legame con quel posto,
stavo pensando che potrebbe essere un buon posto per portarci Ellie la prima
volta, non credi? Potrebbe giocare con le altalene, nel box di sabbia, potremmo
passeggiare per i vialetti, e ricordi le anatre? Potremmo dare da mangiare alle
anatre! Lei ancora non le conosce.”
“Oh, Max!” esclamò Liz. “Penso che sia una grande idea!” Avevano amato subito
quel posto, per come sembrava diverso il profumo dell’aria, ed era sicura che
anche ad Ellie sarebbe piaciuto.
“Potrebbe essere il primo passo, per me.” aggiunse Max. “Ho familiarità con il
parco, così non dovrebbe essere difficile per me ricrearlo. Potrei partire solo
col parco, poi aggiungere le persone in sottofondo, e possiamo vedere come va.
Non dovrebbe essere così difficile come il Luna Park e forse non così
estenuante. Potrei cominciare e poi lavorarci sopra.” Le strinse la mano e la
guardò speranzoso, chiedendole “Cosa ne pensi?”
“Quando vorresti provare?” rispose, sentendosi già impaziente.
“Stasera?” Lui era impaziente quanto lo era lei.
Liz gli strinse la mano eccitata e Max si alzò dalla tavola per tornare dal
pollo che lo aspettava sul bancone, mentre nella mente, definiva i dettagli.
Naturalmente, la passeggiata nel sogno avrebbe dovuto aspettare fino a che lui
avesse avuto il suo latte al cioccolato.
***
La cucina era immacolata, il soggiorno buio e silenzioso. Timmy, l’orsacchiotto
guardava in silenzio Matthew, che dormiva tranquillo nella sua culla. Perfino i
rumori che provenivano dalla stanza accanto non l’avrebbero risvegliato dal suo
sonno.
Max aveva imparato presto che i ritmi del sonno di Matthew, erano la chiave
della sua vita sessuale. La scelta del momento opportuno era essenziale, quando
c’era un bambino in casa, e Max aveva cominciato a capire come la cosa
funzionava. La cena era finita, i piatti erano stati lavati, Matthew era a
letto, e lo era anche Max.
Solo che Max non stava dormendo. E nemmeno Liz …
“Max …”
Lui poteva sentire l’aria uscire dai suoi polmoni, sentire il fiato caldo di
lei sulla pelle della sua gola, ogni volta più veloce, per tenere il ritmo dei
loro corpi. Si spingeva dentro di lei ripetutamente, sentendo le sue lisce
pareti che lo circondavano, carezzandolo, ricoprendolo con la sua essenza,
mentre lui carezzava la sua profondità. I suoi dolci lamenti crescevano in
frequenza, in intensità e il suo ritmo la stava portando al massimo livello di
desiderio.
“Max …” gemette lei, mentre i suoi fianchi incontravano quelli di lui. Le sue
dita stringevano la schiena di lui, le sue unghie lasciavano tracce di fuoco
sulla pelle scendendo dalle sue spalle fino al fondo schiena, che le sue mani
ora stringevano a coppa, sentendo i muscoli di lui tendersi ogni volta che si
spingeva nel suo corpo. Le mani di Liz lo attirarono verso di se mentre alzava
i fianchi per incontrarlo, sentendo ogni spinta arrivare più a fondo, ancora e
ancora, fino a riempirla completamente.
“Max …” perdeva forza sotto di lui mentre la sua gioia cresceva. “Dio … si …oh,
si … Max …”
Max stava gemendo nella sua tempesta personale, godendosi la sensazione che
stava traversando il suo corpo. Una parte di lui cercava sollievo
nell’abbraccio amoroso di sua moglie, per dimenticare gli orrori che aveva
visto durante il giorno e Liz l’ aveva capito. Non la stava usando come una via
di fuga, ma si faceva attirare da lei, aggrappandosi alla bellezza del loro
amore per far fronte alle cose che qualche volta doveva affrontare.
Un’altra parte di lui faceva semplicemente l’amore con Liz, perché la
profondità del suo amore per lei non aveva limiti. Lo faceva diventare pazzo di
desiderio, di bisogno, di sesso sfrenato, ma era un bel modo di diventare
pazzo.
“Liz …” gemette contro la gola di lei e spinse più forte, continuando il ritmo,
aggrondando in lei. Le succhiò la gola lasciandole un segno, rivendicandola
come sua nel più semplice dei modi, unendosi a lei in un modo che non era solo
fisico.
Sapeva che lei stava quasi per arrivare e spinse ancora più forte, come piaceva
a lei, sentendo crescere i gemiti che le sfuggivano dalle labbra in tono e
frequenza. Stava arrivando al culmine e la sentì inarcarsi sotto di lui, col
corpo tremante, mentre si lasciava andare ad un lungo, sostenuto gemito di
piacere. Le sue pareti si chiusero attorno a lui, stringendo l’asta che lui le
guidava dentro. Gridò il suo nome e lasciò andare il suo seme dentro di lei.
L’intensità era quasi insopportabile mentre onda dopo onda, la sua essenza
riempiva l’intimità di lei. Il corpo gli tremava per il protrarsi del piacere
che gli toglieva il respiro. Arrivato all’apice, si spinse un’ultima volta
dentro, prima di crollare su di lei, con ancora la sensazione delle sue pareti
interne che pulsavano intorno a lui.
“Wow …” Max premette la faccia contro la gola di Liz, mentre cercava di
riprendere fiato. “E’ stato … qualcosa ….”
Le gambe di lei lo stringevano ancora, trattenendolo contro di lei, non volendo
lasciarlo andare, cosa che lui gradiva molto. Gli piaceva il posto dove stava.
Lei stringeva i suoi muscoli intorno al suo membro ormai morbido, e
stringendoli e rilassandoli lo accarezzava ritmicamente. Max si alzò sui
gomiti, sorridendo alla vista dell’espressione estasiata di Liz.
“Non ne hai mai abbastanza di me.” la prese in giro.
“Mai …” sospirò Liz.
“E’ una buona cosa che io sia un alieno.” Max le mordicchiò un orecchio. “con
veloce capacità di recupero.” Si spinse dentro di lei ancora una volta, per
mostrarle cosa intendeva per veloce capacità di recupero. Se lei avesse voluto
di più, lui sarebbe stato più che pronto ad accontentarla, se Matthew glielo
avesse consentito.
“Ti ho detto ultimamente, quanto mi piacciono i tuoi poteri alieni?” Liz
tracciò una scia di baci sulla sua gola, usando la lingua per assaggiare la sua
pelle salata e scoprendo qualcos’altro. La lingua avvertì un sapore dolce e lei
mormorò “Hummmm.”
“Cosa?” Max si mosse in lei lentamente, assaporando la sensazione del corpo
morbido contro il suo, delle sue gambe allacciate intorno a lui, della sua
lingua che lo assaggiava. Liz seguì i suoi movimenti lenti, muovendo i fianchi
in accordo con quelli di lui, e le labbra che respiravano sulla sua pelle.
“Cioccolata. Ho dimenticato un punto.” La sua lingua scese sulla gola
cercandone ancora.
Max avvertì un’ondata di primitivo desiderio calare su di lui alla sensazione
della lingua che lo esplorava, e i suoi movimenti si fecero più urgenti. La sua
bocca andò in cerca di quella di lei, assaporando il residuo del cioccolato
sulla sua lingua e si lamentò mentre la sua passione si riaccendeva di nuovo. I
suoi movimenti divennero esigenti, le sue spinte più decise, la sua lenta
sensuale seduzione era sparita per lasciare il posto ad un’altra potente
esplosione.
I gemiti estasiati di lei gli riempirono le orecchie, ed improvvisamente alzò
il viso per guardarla. Si mise in ginocchio di fronte a lei e attirò i suoi
fianchi per penetrarla. Si spinse dentro di lei controllando i suoi movimenti e
dominando la loro unione, tenendole sollevati senza sforzo i fianchi dal letto.
In quella posizione, Liz riusciva a vedere lo sguardo infuocato che c’era nei
suoi occhi mentre lui guardava il suo corpo che si immergeva in quello di lei,
il suo pene liscio e umido coperto dalla sua essenza che scompariva dentro di
lei ad ogni spinta.
La mano di Liz si alzò a coprirsi il seno, per stimolarsi i capezzoli ed
accrescere il suo piacere e provocare quello di Max, che rimase senza respiro.
Lei fermò la sua corsa, mentre lui lasciava correre a briglia sciolta la sua
passione. Il respiro gli divenne difficile, mentre la guardava accarezzarsi il
seno, lo stomaco, il triangolo di peli scuri fino a raggiungere con le dita le
sue labbra umide, stimolando se stessa mentre lui la guardava e sentiva il
desiderio sfuggirgli dal controllo.
Il suo membro era dentro di lei, grande e rigido. Distendeva le sue strette
pareti attorno a lui, martellando i suoi punti sensibili fino a farla esplodere
di sensazioni, fino a portarla alle altezze di una perfetta gioia sessuale. Lui
la raggiunse, arrivando al punto culminante insieme a lei, il suo seme che
prorompeva dal suo corpo in impulso dopo impulso di intenso piacere,
riempiendola della sua essenza, amandola con una volontà così forte, da essere
sicuro che si sarebbero fusi in una cosa sola.
Con il corpo esausto, Max la riappoggiò sul letto e si lasciò andare sopra di
lei, seppellendo il naso nell’incavo della sua gola, aspirando l’odore del loro
sesso, del loro amore, della loro massima unione. Un odore che non lo stancava
mai.
Il cuore gli scoppiava nel petto e lottava per riprendere il respiro, poi lui
cominciò a ridere e le sussurrò all’orecchio “Liz, uno di questi giorni, sarai
la mia morte. Mi ucciderai di piacere.”
Le braccia di Liz lo circondarono, sentendo il sudore sulla sua schiena e il
suo petto ansimare per lo sforzo, e passandogli le mani tra i capelli, sospirò
soddisfatta “Oh, ma che modo meraviglioso di andarsene.”
Capitolo 92
Max entrò nella stanza da letto, fresco
di doccia, con solo un asciugamano avvolto attorno alla vita. Si sentiva
soddisfatto e rilassato, con il corpo che ancora risentiva dell’intimità che
aveva diviso con Liz, e già il solo starle vicino lo aveva aiutato a superare
il dolore di poco prima.
Sorrise quando incontrò gli occhi di lei, Max strofinandosi una salvietta sui
capelli bagnati, Liz infilandosi la vestaglia di seta, e la breve visione del
suo corpo agile, bastò per risvegliare la reazione di lui. Se c’era una cosa
che aveva imparato nell’ultima settimana era questa: quando il bambino dorme,
devi approfittarne.
“Sei sicura di non volere il secondo round?” le chiese Max provocante, mentre
lei girava per la stanza. Le andò dietro, abbracciandola alla vita ed
attirandola contro il suo corpo. La sua mano spostò il collo della vestaglia e
posò le labbra sulla sua gola, assaggiando la dolcezza della sua pelle.
Lei chinò da un lato la testa, per facilitarlo e guardare l’orologio sul
comodino. La mano di Max si infilò nella vestaglia, accarezzandole il seno
mentre l’altra scendeva più in basso.
“Max!” Liz si allontanò dallo sporgente rigonfiamento sotto l’asciugamano. “Sei
sovraccarico, stasera?”
“Mi sto solo rifacendo del tempo perduto.” mormorò contro la sua gola.
“Inoltre,” le diede un pizzico “tu mi ecciti.” E le fece venire la pelle d’oca
aggiungendo “Lo hai sempre fatto.”
“Max.” sospirò lei, riportandolo con i piedi per terra. “E’ ora di prepararci
per Ellie. Vuoi ancora provare stasera, vero?”
“Si. Certamente.” Lui si raddrizzò e lanciò un’occhiata all’orologio. Era quasi
l’ora in cui di solito cercavano di mettersi in contatto con Ellie, e anche se
non c’erano garanzie che ci sarebbero riusciti quella sera, lui doveva comunque
tentare. Diede un’ultima stretta al suo seno e, appena prima di allontanarsi,
le sussurrò “Ricordati dove eravamo rimasti …”
Mentre lui si allontanava, Liz allungò la mano ed afferrò l’asciugamano,
togliendoglielo di dosso. Max si voltò, sorpreso, stando di fronte a lei in
tutta la sua gloria mascolina e Liz non riuscì più a staccare gli occhi da quel
fisico scultoreo. Max appoggiò le mani sui fianchi e chinò la testa da una
parte, e il sorriso malizioso che gli comparve sul viso corrispondeva ad una
domanda silenziosa “Vedi qualcosa che ti piace?”
Liz andò verso di lui con lo stesso sorriso negli occhi, stringendo la sua mano
intorno al suo membro impressionante, e gli diede una gentile stretta,
sussurrandogli “Credimi, me lo ricorderò.”
“Liz …” borbottò lui e cercò di afferrarla, ma lei svicolò, diretta, questa
volta, in camera di Matthew, agitando i fianchi provocante e cercando di
trattenere una risata.
“Sei una provocazione ambulante, Liz!” le gridò dietro Max. “Non te l’ho ancora
detto oggi? Una provocazione!” Lui sogghignò, vedendola scuotere la testa e
scomparire in corridoio, poi abbassò gli occhi e rivolto alla sua anatomia
maschile, promise “Ci rifaremo più tardi.”
***
Max era seduto sul letto, con la schiena appoggiata alla testata, le gambe
incrociate davanti a lui, gli occhi chiusi, le mani rivolte in alto e
rilasciate sulle cosce nude. Liz lo guardò dalla soglia della stanza, pensando
che sembrava la Statua del David nella posizione del loto e molto più dotato.
Peccato che ora la sua dotazione non fosse visibile. Lui si era infilato i
boxer e una maglietta, che le impedivano di ammirarlo.
Si diresse verso di lui, portando Matthew in braccio e, quando raggiunse il
letto, gli occhi di Max si aprirono. Lui stese le gambe per farle spazio e lei
vi si sistemò, appoggiandosi comodamente contro il petto di lui. Lui la strinse
tra le braccia, posandole una mano sull’addome coperto dalla vestaglia e
seppellendo il naso tra i suoi capelli, dietro l’orecchio. Ci volle un attimo
perché lei avvertisse una pressione familiare sul fondo della schiena.
“Max?” lei offrì la sua gola alle labbra che la cercavano. “Sei sovraeccitato
stasera o cosa?”
“Devono essere i tuoi feromoni.” Max continuò ad aspirare il suo profumo, poi
spostò la mano dal suo stomaco e la fece scivolare tra lei e il corpicino
fasciato di Matthew, sino a coprirle il seno. “Sai così di buono.”
“Conservalo per dopo.” lo rimproverò Liz, ma non riuscì a resistere e gli diede
un bacio sulle labbra. Lei era da rimproverare esattamente come lui.
“Okay, farò il bravo.” Max si raddrizzò, soddisfatto dal bacio, almeno per ora.
Tirò via la mano dal suo seno ed abbracciò insieme lei e Matthew. Le sue labbra
si posarono sulla nuca di Liz, poi si spostò per posarvi sopra la sua guancia,
mentre appoggiava la mano contro la sua tempia. Lei posò dolcemente la sua mano
sulla guancia di Matthew, toccando con la punta delle dita la sua tempia,
mentre chiudeva gli occhi e cercava di svuotare la sua mente perché Max potesse
guidarli tutti insieme …
Liz si ritrovò a volare nel vuoto oscuro, né qui né lì, ma da qualche parte nel
mezzo. Sentì una forza, una spinta che le veniva da dentro, poi la sua adorata
voce, morbida e lontana che penetrava il buio.
“Liz … vieni da me Liz … ti sto aspettando…”
“Max?”
“Sono qui, Liz …qui … sto aspettando te …”
Il buio cominciò a scolorirsi, cambiando da nero a grigio, poi si sentì tirare
e si ritrovò nel loro paradiso d’erba. La luce del sole l’avvolgeva,
scaldandole la pelle, facendole socchiudere gli occhi. Il cielo azzurro era
l’araldo di una splendida giornata e una brezza leggera le passava tra i
capelli e scivolava tra il tessuto sottile del suo vestito. Guardò verso il
fagottino nelle sue braccia, vedendo la faccia sorridente del suo piccolo, poi
avvertì un paio di braccia forti che la circondavano da dietro, trascinandola
verso la sicurezza del suo energico petto.
“Hey, bella.” le sussurrò Max, sfiorandole la guancia con le labbra e
sorridendole da orecchio ad orecchio, quando lei alzò gli occhi su di lui.
“E tu non sei bello?” Liz lo squadrò da capo a piedi, approvando la scelta
della camicia bianca, aperta sul collo e con le maniche arrotolate sui gomiti.
I pantaloni scuri gli fasciavano i fianchi e mettevano in rilievo le sue cosce
muscolose, facendolo sembrare appena uscito dalle pagine di una rivista di
moda.
“Ci provo.” Max si sciolse dall’abbraccio, per mostrare il suo look. “Non
potevo certo portare Ellie a passeggio nel parco, indossando solo la biancheria
intima.”
“Penso che hai ragione.” rise Liz, rientrando nel cerchio delle braccia di lui.
Si alzò sulle punte dei piedi ed alzò la testa, per arrivare a dargli un bacio,
mentre Matthew, felice, faceva le bolle tra di loro.
“Papà, ma stai sempe a baciae la mamma!”
Max si staccò da Liz e sorrisero insieme alla loro bambina, che stava ad un
passo da loro con le mani sui fianchi. Lui la tirò su, la prese tra le braccia
e le fece una pernacchia sul collo. Il suono delle sue risatine gli riempì il
cuore di felicità e gli occhi gli ridevano quando strofinò il naso contro
quello della bambina dicendo “Io bacio sempre le mie ragazze!”
“Papà, tu tei buffo.” proclamò Ellie. Mise le manine ai lati della faccia del
padre e gli diede un bacio svelto. Max sorrise, godendosi la sensazione del suo
piccolo corpo tra le sue braccia, i suoi occhi scuri che brillavano nei suoi,
le sue risate leggere che gli squillavano nelle orecchie. “Mamma.” Ellie si
voltò per guardare Liz. “Papà è buffo!”
“Si.” concordò Liz ridendo. “Senza dubbio.”
Ellie tornò a guardare il padre, agitandosi eccitata e domandando “Dove
andiamo? Andiamo alle giotte adesso? May mi ha pallato della uota panoamica!”
“Mary ti ha parlato della Ruota Panoramica?” Max rise. Tra tutte le incertezze
della vita di Ellie, c’era una sola cosa di cui Max era sicuro. Chiunque fosse
Mary, amava molto sua figlia ed Ellie la ricambiava. Qualche volta, questa
consapevolezza era tutto quello a cui poteva aggrapparsi.
“Si!” Ellie non riusciva a contenere la sua eccitazione. “May me ne ha pallato!
E lo zuccheo filato e le ganite! Posso avee una ganita?”
“Vuoi dire una granita?” ridacchiò Liz. Non poté farne a meno, vedere Ellie
così contenta era contagioso.
“E’ quello che ho detto io!” Ellie guardò ancora sua madre. “Ganita!”
“Certo che puoi avere una ‘ganita’.” Max le scompigliò i capelli. “Ma oggi
andremo al parco.”
“Cos’è?” Ellie arricciò il naso. Lei non sapeva cosa fosse un parco.
“Te lo farò vedere.” Max le accarezzò con un dito la guancia morbida. “Chiudi
gli occhi e io e la mamma ti porteremo lì.”
Ellie chiuse forte gli occhi e si strinse al padre, con il braccio sinistro
intorno al suo collo e la mano destra chiusa sul colletto della sua camicia.
Max guardò Liz con appena un tocco di apprensione sul viso, sperando di
riuscire a farcela. Voleva che Ellie vedesse il mondo, per sapesse cosa c’era
oltre le pareti in cui era confinata e questa era l’unico modo che lui
conoscesse.
Liz si avvicinò a lui, passandogli il braccio intorno alla schiena, dandogli
tutto il suo aiuto. Lui l’attirò a se, passandole un braccio attorno alle
spalle, attingendo forza dalla sua fiducia. Il fatto che avesse creduto in lui
per tutti questi anni, l’aveva aiutato molto più di quanto lei avesse mai
saputo e la fiducia che riponeva in lui lo aveva aiutato a placare le sue
incertezze. Se Liz pensava che lui poteva farlo, allora perdiana, lui ci
sarebbe riuscito. Dopo tutto, Liz aveva sempre ragione.
“Posso apie gli occhi adesso?” chiese Ellie.
“Non ancora.” Max cercò di concentrarsi.
“Oa?” disse Ellie pochi secondi dopo.
“No, aspetta ancora un minuto …”
“ E oa?” lei cominciava ad agitarsi.”
“Ferma …” lei stava interrompendo la sua concentrazione.
“Ma non iecco a vedee nulla con gli occhi cusi!” lo rimproverò Ellie.
“Non aprirli ancora.” Max cercò di non ridere della sua impazienza. fece un
profondo respiro, chiuse forte gli occhi, cercando di visualizzare il parco
nella sua mente e …
“Oa?” Ellie si muoveva tra le sue braccia, desiderosa di vivere l’avventura.
“Ora!” acconsentì Max con un grande sorriso che gli si allargava sulla faccia.
I suoi occhi videro il prato verde e le aiuole e le altalene dove aveva giocato
la piccola Cindy Morgan, prima di inseguire il gattino nel bosco. Aveva
funzionato! Ora erano lì, nel Coyote Canyon Park. Guardò per prima cosa Liz, e
vedendo la salda fiducia sul suo viso, sentì aumentare la propria sicurezza. Si
girò poi verso Ellie e lo sguardo eccitato lo fece quasi scoppiare di gioia.
Guardava tutte quelle cose nuove ad occhi spalancati. C’era l’erba intorno a
loro. Erba verde. Corta erba verde, non alta ed ondeggiante al vento. E c’erano
le altalene! C’era anche la sabbia, come sulla spiaggia! Anche la spiaggia era
lì? E quelle cose alte? E cosa c’era lì in fondo?
Ellie voltava la testa da una parte all’altra, guardando tutto. Si immergeva
come una spugna, assorbendo, analizzando e immagazzinando tutto. Ansiosa di
vedere e di conoscere. Agitandosi tra le braccia di Max, indicò “Dimmi quello!
E quello! E cos’è quello!”
Max si voltò verso Liz, sorridendo oltre la tempesta di domande. Poteva sentire
fisicamente l’eccitazione di Ellie e la sentiva trapelare anche da Liz. I suoi
occhi brillavano alla vista dei gesti di Ellie.
“Papà, cos’è quello?” insistette Ellie. Gli afferrò il viso e lo girò, per
farlo smettere di guardare la mamma e vedere quello che lei gli stava
indicando. “Guadda! lì! Cos’è quella osa?”
“Quella cosa?” Max rise e si avvicinò al recinto dei giochi.
“Si. Cos’è quetto? Che fa?”
“E’ un dondolo.” spiegò Max. “Qualcuno si siede da una parte e qualcuno
dall’altra …” Si girò verso Liz e una silenziosa comunicazione passò tra loro.
Liz annuì d’intesa e si sedette dalla parte appoggiata sul terreno. Max passò
la gamba sopra la parte rimasta sollevata in aria e sistemò Ellie seduta
davanti a lui. “Reggiti alla maniglia, Ellie.” le raccomandò, poi guardò Liz.
“Reggiti forte.”
Liz tenne Matthew assicurato con un braccio, prese stretta la maniglia con la
mano destra e dopo aver poggiato bene i piedi interra si diede una spinta. Il
loro peso era sbilanciato, ma bastava per mostrare ad Ellie come funzionava il
dondolo.
“Oooooooo …” gridò Ellie, mentre il dondolo andava in su e in giù, e Max le
mise un braccio attorno alla vita, per essere sicuro che non cadesse. Stettero
lì per un minuto, poi l’attenzione di Ellie fu attratta da qualcosa alla sua
destra. “Cosa fa quetto, papà?”
Max fermò il dondolo e seguì il ditino puntato .
“Quello gira, gira in tondo e ti fa girare la testa.”
“Io posso fae quetto!” Max la mise in terra e la vide camminare sull’erba con
le braccia allargate. Il suo vestitino rosa cominciò a gonfiarsi, mentre lei
girava su se stessa e quando si fermò, barcollò stordita come un marinaio
ubriaco. Cercò di mettere a fuoco il padre e disse “Vitto?” poi perse
l’equilibrio e finì in terra.
“Certo che lo puoi fare!” Max la sollevò e la fece sedere sulla piattaforma di
legno. “Reggiti forte.” Afferrò la barra di ferro e la spinse finché la ruota
cominciò a girare sempre più forte. Allora saltò su e si lasciò cadere sulla
schiena, guardando il cielo azzurro che girava. Sentì Ellie stendersi accanto a
lui e la sua piccola mano stringere la sua.
“Come si chiama quetto, papà?”
“Non lo so.” Max scrollò le spalle. Si mise a sedere e cercò di guardare Liz,
ma la sua immagine passava troppo veloce. “E’ una … cosa … che gira …”
Ellie si mise seduta come lui, con le sopracciglia aggrottate. Una cosa che
gira?
“Liz, mi serve aiuto!” gridò Max. “Come si chiama questa cosa?” Anche Liz aveva
una visione confusa, mentre la piatta forma girava veloce.
“Non lo so. “ rispose Liz. “Una giostra?”
“No.” Max scosse la testa. “Le giostre non hanno i cavalli, le macchine ed
altre cose?”
“Cavalli?” si intromise Ellie. Lei amava i cavalli. “Voio andae sulla giotta.”
La velocità diminuì e Max prese Ellie, dicendole. “Ci potrai andare quando
andremo al Luna Park.” Si alzò in piedi e saltò in terra e cominciò a sbandare
verso destra, barcollando come aveva fatto Ellie pochi minuti prima. “Whoa!”
rise mentre il mondo gli girava intorno.
“Fammi vedee quello!” insistette Ellie, puntando l’alto oggetto accanto alle
altalene.
Max riguadagnò l’equilibrio, lanciando a Liz uno sguardo felice, che scuoteva
la testa ridendo, e si diresse verso il box di sabbia. Strinse forte Ellie
contro di se e disse “Tieniti forte. Passami le braccia attorno al collo così
saliamo sulla scaletta. Poi faremo una scivolata!”
Max poggiò la mano sulla ringhiera e salì veloce i gradini. Arrivato in cima,
allungò le gambe davanti a se e si sedette sulla rampa di metallo. Si sistemò
Ellie in grembo e si spinse, ridendo forte alle urla di Ellie.
“Fa il solletoto!” strillò Ellie eccitata. Quando toccarono terra Max saltò in
piedi ed Ellie gridò “Antoa! Antoa!”
Max diede un’altra guardata a Liz, con gli occhi ridenti, dandole la conferma
di come fosse contagiosa l’eccitazione di Ellie. Corsero di nuovo alla scaletta
e salirono ancora ed ancora Ellie gridò mentre scivolavano verso terra.
“Antoa! Antoa!” ma le sue manine spinsero il petto del padre e cominciò ad
agitarsi tra le sua braccia “Fammi cendere! Oa lo faccio da sola!”
Max la guardò stupito e restò senza fiato “Vuoi andarci da sola?”
Ellie annuì e disse, insistente “Me lo so fae!”
Max fece un profondo sospiro e guardò la cima della scaletta. Lui poteva a
malapena toccare la piattaforma dello scivolo e sua figlia voleva salire lassù
da sola? Lanciò a Liz uno sguardo preoccupato e vide che nemmeno lei era tanto
tranquilla.
Ellie lo spinse ancora e lui, riluttante , la fece scendere. Lei corse alla
scaletta ed afferrò la ringhiera, come aveva visto are al padre e cominciò a
salire. Era senza paura, nella sua determinazione, e Max si spostò preoccupato
dietro di lei, pronta a prenderla se fosse caduta. Tratteneva il fiato ad ogni
gradino che lei saliva, sicuro che il piede le sarebbe scivolato, lei sarebbe
caduta e si sarebbe fatta male. Non poteva sopportare che si facesse male.
Anche se sapeva che era solo un sogno, non poteva immaginare la sua reazione.
Lei arrivò in cima e Max salì un paio di gradini, per essere in grado di
raggiungerla.
Quando arrivò in cima, Ellie si sporse in avanti e Max all’improvviso si trovo
una paio di mutandine praticamente sulla faccia. Poi, con cautela, cercò di
mettere i piedi in avanti e Max fu sicuro che il suo cuore avesse smesso di
battere. “Stai attenta, piccola.” le disse preoccupato. “Tieniti forte!” Era
agitato e preoccupato, e cercò di formare un campo di forza intorno a lei,
perché la proteggesse dalle cadute.
Finalmente Ellie riuscì a posizionare le gambe ed allora un orribile pensiero
colpì Max: come avrebbe fatto a stare contemporaneamente sulla scala per
impedirle di cadere e alla fine dello scivolo per raccoglierla? Quando lei
stava per lasciarsi andare, lui non fu abbastanza svelto da scendere dalla
scala e raggiungere la fine dello scivolo. Guardò ancora verso Liz, pur sapendo
che non poteva aiutarlo. Aveva le mani occupate da Matthew. Cosa doveva fare un
padre?
Ellie era in cima allo scivolo e si dondolava in avanti e Max sentì il cuore
arrivargli in gola. Comunque Ellie sembrava immobile lassù e lui ebbe un breve
momento di tregua. Liz fece un passo avanti e disse velocemente. “Fammi un
seggiolino per poter mettere Matthew. Di quelli che si portano davanti, come un
marsupio. Così avrò le mani libere per prenderla.”
Max fece un sospiro di sollievo che almeno uno di loro fosse abbastanza
intelligente da trovare una soluzione e, chiusi gli occhi lo visualizzò nella
sua mente. Quando li riaprì, fu sollevato nel vedere che Liz aveva già
sistemato Matthew, infilandolo nel marsupio e facendo uscire le manine dai
buchi. Matthew accettò il cambiamento senza lamentarsi e Liz si mise in
posizione alla fine dello scivolo.
“Papà!” si accigliò Ellie. “Non funzona.”
“Max,” Liz guardò in su verso di loro. “Le sue gambe sono appiccicate al
metallo dello scivolo. Cambia il suo vestito in maglietta e pantaloni. Così
scivolerà.”
“Che genere di pantaloni?” Max si grattò la testa. Come faceva a saperlo? Lui
non aveva mai vestito Ellie prima. Lei arrivava nel sogno già vestita.
“Papà! Fallo funzonare!”
L’insistenza aumentava.
L’improvvisa immagine di Cindy Morgan, che indossava un paio di pantaloncini
rosa di velluto a coste ed una maglietta bianca con i gattini si presentò alla
sua mente e prima che se ne rendesse conto, i vestiti si materializzarono su
Ellie. Lei avvertì il cambiamento e le sue mani tirarono la maglietta, per
riuscire a vedere i graziosi gattini che aveva sul davanti.
“Ellie! Piccola! Stai attenta!” urlò Max quando la vide lasciare la presa dai
bordi dello scivolo.
“Papà, l’hai fatto tu quetto?” si girò per guardarlo e Max fu certo che lo
stava spingendo nella tomba. Salì rapidamente la scaletta e l’afferrò per la
vita, facendo un sospiro di sollievo. Lei lo baciò sulla guancia e indicò i
gattini sulla maglietta, dicendo “Gazie!” Le piacevano i gattini.
“Di nulla.” Max la baciò sulla fronte, poi guardò Liz ed alzò gli occhi al
cielo. Come poteva un uomo sopravvivere alla paternità? Fece un sospiro e
chiese alla piccola “Sei pronta?”
“Si!” Ellie annuì entusiasta. Si dondolò ancora una volta in avanti e spalancò
gli occhi quando cominciò a scivolare. Max le diede una piccola spinta e lei
urlò deliziata, finendo dritta nelle braccia tese di Liz. Max sospirò di
sollievo quando la vide arrivare sana e salva, e ricominciò a stare in tensione
quando lei tornò di corsa nella sua direzione gridando. “ANTORA, PAPA’!”
Max sospirò e scese dalla scaletta, sorridendole come se avesse fatto una bella
cosa. Lei poteva anche averlo anche fatto morire di paura, ma almeno sembrava
che avesse finalmente imparato a pronunciare la ‘R’.”
***
Max e Liz si dondolavano pigramente sulle altalene, con le braccia tese uno
verso l’altra e con le dita intrecciate, mentre Ellie giocava lì accanto, sulla
sabbia. Tutto sembrava procedere bene e Max sapeva che era l’ora di fare il
passo successivo.
“Come inizio, penso di introdurre solo un paio di persone, per vedere come
reagisce.” disse Max sereno, mentre sorreggeva Matthew nel marsupio. Avevano
deciso che lui avrebbe portato il bambino e si sarebbe concentrato per
allargare il sogno, mentre Liz sarebbe stata accanto ad Ellie, nel caso si
fosse spaventata o fosse diventata ansiosa.
“Hai deciso chi vuoi far entrare per primo?” chiese Liz.
Max annuì, “Ho deciso di portare Annie e Amber. Amber ha la stessa età di Ellie
e i bambini sono sempre attratti dagli altri bambini. se va tutto bene,
aggiungeremo qualcun altro.”
“Mi sembra una buona idea.” Liz gli strinse la mano per incoraggiarlo. “Se
impronto?”
Max annuì e Liz gli lasciò andare la mano. Si alzò dall’altalena e si lasciò
cadere nella sabbia accanto ad Ellie, mentre Max chiudeva gli occhi cercando di
concentrarsi. Gli ci volle un attimo per creare le loro immagini, Annie seduta
su una panchina alla fine del box di sabbia e Amber, vicina a lei, che correva
a quattro zampe sulla sabbia. Max concentrò le sue energie su Amber, volendo
che sembrasse più realistica possibile.
“Cosa stai facendo?” Liz vide Ellie che faceva un ponticello di sabbia. Poteva
vedere Amber con la coda dell’occhio e stava aspettando che Ellie si accorgesse
di lei.
“Nente.” disse lei e puntò un dito sul ponticello. “Vedi cosa posso fare?" Il
suo dito brillò e la sabbia prese la forma di un gatto con la coda alzata.
“Ellie, è bellissimo!” sorrise Liz.
“E quetto,” Ellie puntò il dito su un altro mucchietto di sabbia “Quetto è Mr.
Wiggles.”
“Mr. Wiggles?” Liz alzò un sopracciglio. Ellie stava rivelando qualche
pezzettino della sua vita? Era un animaletto? “Chi è “Mr. Wiggles?”
“E’ …” Ellie guardò sua madre e si fermò all’improvviso. Liz la vide lanciare
uno sguardo oltre la sua spalla e poi vide un piccolo corpo trotterellare nella
sua direzione. Ellie si avvicinò a sua madre e sussurrò “Cos’ è quetto?”
“Questa è Amber.” le sussurrò indietro Liz. “Credo che voglia giocare. Vuoi
giocare con lei?”
“Lei chi è?” Ellie sbirciò intorno a Liz.
“Un’amica.” spiegò Liz. “Guarda lì.” e le indicò la panchina. “Quella è la sua
mamma, Annie. Anche lei è un’amica.” Liz agitò la mano per salutare e Annie ed
Amber le ricambiarono entusiaste il saluto.
“Oh.” Ellie si avvicinò a Liz ancora di più. L’ombra di Amber le raggiunse e
Ellie alzò lo sguardo per vedere una bambina con un casco di riccioli biondi e
gli occhi azzurri.
“Ciao!” esclamò Amber. Era più piccola di Ellie, non aveva ancora due anni e
Liz sperò che Ellie non si sentisse intimidita da lei.
“Ciao, Amber.” disse Liz, poi guardò sua figlia. Fino a qui tutto bene. Lanciò
un’occhiata di incoraggiamento a Max, poi riportò l’attenzione sulle due
bambine. “Sei venuta a giocare al parco, oggi?”
“Si.” annuì Amber, poi si mise in ginocchio di fronte ad Ellie. “Vuoi giocare
con me?”
Ellie guardò Liz, poi di nuovo Amber e disse esitante “Okay.”
Liz fece un sorriso a Max e sospirò di sollievo. Amber non l’aveva spaventata.
Era un buon segno.
“Vuoi vedere le anatre?” chiese Amber.
Anatre? Ellie guardò ancora una volta sua madre, e quando Liz annuì
incoraggiandola, Ellie fece altrettanto.
“Vuoi dare da mangiare?” chiese Amber, col tono di voce eccitato dalla
prospettiva.
“Okay.” rispose ancora Ellie, più veloce della prima volta. Lei non sapeva cosa
fosse un’anatra o cosa mangiasse, ma l’avrebbe scoperto presto. Amber si alzò
in piedi ed Ellie fece altrettanto, con Liz che le seguì e si diressero verso
il vialetto pavimentato che portava allo stagno. Liz le seguiva ad un passo,
camminando lentamente per dare a Max il tempo di raggiungerla. Il suo cuore
saltò un battito, aspettando la sua reazione, quando vide Amber allungare la
mano e prendere quella di Ellie. Questo era il momento in cui con Isabel le
cose si erano messe male, quando lei aveva cercato di toccare Ellie e l’aveva
spaventata facendola scomparire.
Ellie guardò la piccola mano che toccava la sua e si guardò alle spalle. Sua
madre e suo padre erano proprio dietro di lei e sorridevano e, lei non ne era
ancora sicura, ma cominciava a pensare che era bello avere qualcuno piccolo con
cui giocare.
“Io ho un fratello grande.” le disse Amber. “E’ laggiù.”
Ellie guardò nella direzione che lei stava indicando e vide un ragazzino che
stava sopra qualcosa e che spingeva un piede per andare più veloce. Lo vide
salire su una rampa, volare in aria, poi girarsi e tornare a terra.
“Si chiama Joey ed ha sempre uno skate board con lui.”
“Ante io ho un fratello.” sorrise Ellie. “Sta in braccio a papà, lì dentro.” E
puntò il dito verso il marsupio che Max aveva sul petto. “Dorme tutto il tempo.
Lui è piccolo.”
“Mio padre è lì.” E Amber indicò la panchina dove Annie era seduta. Ora con lei
c’era Josh, e si stavano baciando.
“Le mamme e i papà si baciano sempre!” ridacchiò Ellie.
Liz strinse la mano di Max e gli sorrise. Stava andando tutto alla grande. Max
le sorrise in risposta, ma lei percepì qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che la
lasciò preoccupata.
“Stai bene?” gli sussurrò.
“Si.” rispose. Ma si rese conto che questa risposta non l’avrebbe soddisfatta,
così le disse la verità. “Ci vuole un sacco di energia per far sì che tutte
queste cose accadano insieme.”
Liz si guardò intorno e vide che oltre a Josh, Annie e Joey, lui aveva aggiunto
altre persone. Michael e Maria stavano facendo un picnic sull’erba. Isabel e
Alex stavano camminando tra le aiuole. Carl e Rachel stavano su una panchina
davanti a lori, che tiravano le noccioline agli scoiattoli.
“Ma come ti senti?” Liz non riuscì a non far trasparire la preoccupazione dalle
sue parole. Stava andando tutto bene, ma lei non voleva che Max si indebolisse
o si sentisse male. Non sapevano che conseguenze avrebbe potuto avere su di
lui.
“Sto bene.” le fece un veloce sorriso. “Abbiamo fatto bene a cominciare in
piccolo, iai, devo solo abituarmi.” Non voleva che si preoccupasse per lui, ma
la verità era che stava abusando delle sue forze. Era stato facile finché si
era trattato solo di lui, Max, Ellie e Matthew. Loro tutti erano reali e lui
non aveva bisogno di guidarne le azioni, ma quando aveva aggiunto gli altri,
aveva cominciato ad accusare la stanchezza di avere così tanta gente che doveva
fare cose differenti, tutte azioni controllate da lui. Era intenzionato a
reggere più che poteva. Aveva capito di avere aperto una breccia con Ellie che
permetteva ad Amber di starle così vicina. e non voleva fermarsi proprio ora.
“Se non ce la fai, Max, sarà meglio fermarsi.” insistette Liz. “C’è sempre
domani, o il giorno dopo.”
“Va tutto bene, Liz.” Max cercò di rassicurarla. “Voglio andare più avanti
possibile.”
Sentirono uno squittio di gioia e Liz si voltò per vedere Ellie circondata da
uno stormo di anatre, vicino alla riva dello stagno. Diede uno sguardo d’intesa
a Max, che le sorrise. Stanchezza o non stanchezza, lui voleva che Ellie si
divertisse, imparasse cosa era il mondo. Sentire Ellie che rideva gli faceva
bene all’anima.
“Ci serve un po’ di pane.” osservò Liz. Aveva appena finito di dirlo, che una
pagnotta si materializzò tra le sue mani e lei andò ad unirsi alle ragazze.
Qualcuna delle anatre era molto grossa ed Ellie si avvicinò alle gambe della
madre, finché non prese confidenza. Non ci volle molto perché venissero a
prendere il pane dalle sue mani.
Max, rincuorato dai tanti progressi che sentiva di aver fatto con lei, si
spinse un po’ troppo oltre. Cindy Morgan apparve poco oltre il cerchio delle
anatre, seguita dalla mamma e chiese “Posso dare anch’io da mangiare alle
anatre?”
Ellie alzala testa al suono della nuova voce e vide una bambina poco più grande
di lei, con i capelli biondi legati in una coda di cavallo e occhi azzurri che
la fissavano. Ellie fece un passo verso la madre, fino a che non si accorse che
la nuova bambina indossava i suoi stessi vestiti. Guardò verso i gattini rosa
della sua maglietta e poi i gattini sulla maglietta della bambina e disse
“Portiamo la ttessa cosa! Ti piacciono i gattini?”
Cindy si fece largo tra le anatre e si fermò ad un passo da Ellie. “I gattini
sono i miei preferiti. Ho un nuovo gattino, ora. Si chiama Smokey.”
“Io ho Mr. Wiggles.” disse Ellie orgogliosa.” Ma lui non è un gattino.” Ellie
allungò a Cindy un pezzo di pane e tutte e tre le bambine dettero insieme il
pane alle anatre affamate.
Liz tornò verso Max e fece scivolare la mano in quella di lui. Era eccitata che
Ellie avesse ancora una volta menzionato Mr. Wiggles, offrendo volontariamente
una informazione della sua vita reale, che in passato aveva tenuto
accuratamente nascosta.
“Hai sentito, Max?” disse sottovoce.
Max annuì e replicò “E’ un buon segno. Non è il tipo di informazione che ci
aiuterà a ritrovarla, ma è comunque un segno che lei si sta aprendo.”
Ellie finì l’ultimo pezzo di pane e andò verso il padre per chiederne
dell’altro, quando all’improvviso si fermò. Dietro di lui, in lontananza,
seduta su una panchina del parco c’era una persona a lei molto familiare, una
presenza che la allarmò molto. Cosa ci faceva lì Mary? Mary conosceva questo
parco? Ellie corse verso di lei, eccitata che fosse lì, ma l’emozione della
sorpresa la fece scivolare fuori dal sogno.
“Ellie!” chiamò Liz, intenzionata a correrle dietro, ma poi l’aria vibrò e lei
semplicemente scomparve.
“Ellie!” gridò mentre lei scompariva, poi si fermò delusa.
Max vide la malinconia di Liz, ma l’improvvisa sparizione di Ellie dal sogno
non lo stupì. Qualche volta succedeva. Un minuto era lì, un minuto dopo era
scomparsa. La cosa che l’aveva sorpreso era stato il comportamento di Ellie
prima di sparire. Verso cosa stava correndo?
“Mi chiedo cosa sia di tutto questo.” disse Max a voce alta e i suoi occhi
corsero per il parco. Amber e Cindy erano ora immobili, nel gesto di dare il
pane alle anatre. La mamma di Cindy era poco lontano, con un sorriso inciso
nello sguardo vigile. Girandosi, vide una figura anziana seduta su una
panchina, la signora con la quale aveva parlato il giorno che aveva ritrovato
la piccola Cindy. Dall’altra parte della panchina c’era una mamma con due
bambini, anche loro presenti quel giorno. Guardando a sinistra, vide Carl
seduto come una statua su un’altra panchina, dopo aver appena tirato una
nocciola agli scoiattoli. Dietro di lui c’erano Isabel e Alex, Michael e Maria,
nulla che a sua mente notasse insolito.
“Probabilmente è stato quello.” Liz puntò un dito verso una palla di pelo
nell’erba. Guardando verso Max, disse “Presumo che sia Smokey?”
Max vide il familiare gattino grigio seminascosto dall’erba e sorrise “Si, è
Smokey, il gattino adottato dai Morgan dopo l’incidente di Cindy.”
Anche se stava sorridendo, Liz vide la stanchezza sul viso di Max, e si rese
conto che era tempo che il sogno finisse. Prendendogli le mani tra le sue, si
tese in avanti e lo baciò, poi disse “Andiamo a casa, ora.”
L’aria intorno a loro ondeggiò e si scurì e Liz si ritrovò all’improvviso nella
loro camera da letto, ancora con Matthew tra le braccia. Si sentiva soddisfatta
dal fatto che il sogno fosse andato così bene, che Ellie avesse fatto tanti
progressi, e so girò per guardare Max, eccitata e incoraggiata, quando
improvvisamente lo sentì crollare contro di lei.
“Max?” lo chiamò, sentendo qualcosa di anormale, e avendone la conferma quando
lo guardò in faccia. I suoi occhi fissavano il vuoto, il suo colorito pallido e
i suoi lineamenti rilasciati. Si appoggiava su di lei a peso morto, come se
fosse stato incapace di stare seduto dritto con le sue forze, poi scivolò sul
letto, disteso su un fianco. Max cercò di risollevarsi, poi cadde all’indietro,
senza più avere la forza per muoversi.
“Max?” gridò Liz, cola la paura che le cresceva dentro. Cosa non andava in lui?
Posò Matthew da un lato del letto e di chinò sopra il marito, scuotendolo per
le spalle e tentando di svegliarlo. “Max, parlami!”
“Liz …” riuscì a malapena a pronunciare il suo nome. Era vagamente conscio
della mano di lei che si posava sulla sua spalla e gli carezzava la faccia, poi
tutto cominciò a scomparire.
“Per favore, Max …” Liz fu colta dal panico. “Dimmi cosa ti senti! Max!” Lei
non l’aveva mai visto in questo stato prima di allora.
“Stanco …” le parole furono a malapena udibili, mormorate con il viso contro le
lenzuola. “Tanto stanco …” poi perse conoscenza.
Capitolo 93
Liz era ai piedi del letto e guardava
Rachel che stava visitando Max. Giaceva insensibile nel letto fina da quando
era svenuto, o aveva perso coscienza, o qualsiasi cosa gli fosse accaduto.
Aveva chiamato Rachel appena si era resa conto che no riusciva a svegliarlo e
lei si era precipitata, con Carl al seguito. Lui aveva aiutato Rachel a
cambiare la posizione di Max perché lei potesse visitarlo e solo dal modo di
comportarsi delle due donne, gli sguardi preoccupati, il silenzio nella stanza,
Carl aveva capito che tutto questo non era normale.
Togliendosi lo stetoscopio dalle orecchie, Rachel chiese a Liz “Raccontami cosa
è successo.”
“Stavamo passeggiando nel sogno con Ellie.” cominciò Liz. “E’ stato il suo
primo tentativo di allargare il sogno e aveva deciso di collocarlo al Coyote
Canyon Park, perché ci siamo stati da poco ed il ricordo era ancora fresco
nella sua mente. Stava andando tutto bene, ma lui ha continuato ad aggiungere
persone e io mi sono accorta che cominciava ad essere stanco. Non ha voluto
smettere perché ha pensato che stavamo facendo tanti progressi con Ellie.”
Liz si sentiva un groppo in gola, il pianto che stava per sopraffarla, il senso
di colpa perché aveva lasciato che Max si spingesse troppo oltre. Se lui ne
avesse subito un danno serio, lei non se lo sarebbe mai perdonato.
Avvertendo la sua sofferenza, Carl si portò alle sue spalle e l’abbracciò in un
gesto di conforto. Poteva vedere come fosse preoccupata, lei si appoggiò contro
di lui. Sapeva come Liz fosse forte e vederla sul punto di smarrirsi era solo
la misura di come fosse spaventata.
“E poi?” la incitò Rachel per saperne di più. Stava puntando una luce negli
occhi di Max, per saggiarne la risposta.
“Ha detto che voleva continuare.” disse Max con le mani appoggiate sulla gola.
“Ha aggiunto altra gente al sogno. Voi due,” guardò da Rachel a Carl, “e sua
sorella Isabel. E Alex, Michael e Maria. E ha aggiunto altra gente che
ricordava di aver visto al parco prima. Stava cercando di riempire il sogno
perché Ellie potesse abituarsi ad avere gente attorno.”
“E poi?” chiese Carl. La sua mente investigativa stava cercando di mettere
insieme i pezzi. Era successo qualcosa nel sogno che aveva causato in Max
questa reazione? Il suo collasso era legato a qualcosa relativo al sogno o era
stato causato soltanto dallo sforzo? “C’era qualcosa di strano nel sogno? O nel
modo come è finito?”
“Veramente, tutto era insolito.” Liz guardò verso di lui. “Il posto del sogno
era una novità. Avere nel sogno altra gente era una novità. Voglio dire, era
questa l’intenzione. Portare Ellie in un posto che non avesse mai visto prima e
farle incontrare altra gente che non avesse mai visto prima. Stava andando
tutto bene. Meglio di come avessimo sperato.”
“Cosa mi dici del modo in cui è finito?” la pressò lui.
“Ellie ha lasciato il sogno all’improvviso, ma non è la prima volta. Non è
insolito per lei svanire all’improvviso. Le prime volte è stato sconcertante,
ma ormai ci siamo abituati.”
“Cosa ha provocato la sua sparizione?” insistette Carl, cercando di chiarirsi
il quadro.
“Sembrava che stesse seguendo un gattino.” Liz cercava di rivedere la scena
nella sua mente. “Il gattino di Cindy Morgan. E poi è scomparsa dal sogno
all’improvviso.”
“Capisco.” annuì Carl. Aveva un senso. Non c’era nulla di strano in un bambino
che inseguiva un gattino. Bastava chiederlo a Cindy Morgan.
Rachel lasciò andare la palpebra di Max e rimise a posto la luce. Si alzò dal
letto, sistemando le lenzuola intorno a Max, e raggiunse Liz ai piedi del
letto. Le strinse la spalla e disse piano “Max starà bene. E’ soltanto esausto.
Credo che passeggiare nel sogno abbia consumato tutte le sue energie e ora ha
bisogno di riposo per recuperarle. Il cuore è forte, i polmoni sono liberi, i
riflessi buoni. Non c’è segno di sofferenza o danni cerebrali. Prima di svenire
ha detto che era stanco, vero?”
“Si.” Liz era ancora enormemente preoccupata, ma la prognosi di Rachel era
stata un sollievo. “Ha detto di essere ‘stanco, tanto stanco’ poi ha perso
conoscenza.”
“Non mi sorprenderei se dormisse tutto domani.” disse Rachel per rassicurarla.
“Ha bisogno di riposo, ma quando si sveglierà, starà bene. Tutto quello che
posso dire è che ha bisogno di imparare a dosare le sue energie. So che volete
disperatamente riportare Ellie a casa, ma quella bambina avrà bisogno di un
padre tutto intero il giorno che accadrà. Sfinirsi in questo modo non le sarà
di nessun aiuto. C’è bisogno che tu glielo faccia capire.”
“Oh, credimi,” disse Liz determinata. “Mi sentirà, appena sarà sveglio.”
***
“Mary?” disse Ellie guardandola rompere le uova nella tazza.
“Si, cara?” rispose Mary, allungandosi per prendere un altro uovo. Guardò
Jenny, pensando di aver sentito una nota triste nella voce della piccola. C’era
qualcosa che non andava?
Ellie era seduta su uno sgabello della cucina e guardava Mary che preparava la
colazione. Il suo papà le aveva detto e ridetto di essere prudente e di non
lasciare che nessuno capisse che lei era speciale o di mostrare le cose
speciali che lei sapeva are.
Il sogno della scorsa notte era ancora fresco nella sua mente e Mary ne aveva
fatto parte. Mary conosceva il suo papà? Il suo vero papà? Mary avrebbe potuto
portarla al parco, in modo che il suo vero papà avrebbe potuto trovarla?
“Um …” esitò.
“Cosa c’è Jenny?” chiese Mary, dando alla bambina la sua piena attenzione.
Ellie la guardò, sapendo nel suo cuore che Mary non era come il papà Dottore.
“Puoi portarmi al parco?”
“Oh, tesoro,” Mary la guardò con tristezza. Avrebbe voluto portare Jenny a fare
una passeggiata nel parco con tutto il cuore, ma sapeva che era impossibile.
Povera bambina! “Non possiamo, Jenny. Mi dispiace. Forse un giorno, ma non
adesso.”
“Oh.” Jenny abbassò gli occhi sul piano di lavoro.
Mary guardò la bambina, chiedendosi se fosse stato il Dottore a parlarle del
parco dall’altra parte della strada. Lei non le parlava di proposito di tutto
quello che c’era fuori, proprio per non opprimerla ulteriormente. Lei aveva
letto qualcosa sul Morbo di Gunther ultimamente, fermandosi alla biblioteca di
domenica pomeriggio, dopo essere andata a trovare Martha, sforzandosi di
conoscere meglio la malattia.
A tal proposito, voleva parlare col Dottore circa la possibilità di far uscire
Jenny di notte, così che potesse sapere come era il mondo al di fuori. Capiva
che Jenny era ancora piccola, ma forse potevano fare qualcosa in futuro, quando
fosse stata un po’ più grande. Sapeva che se non ci fossero state le visite
alla sorella, lei stessa sarebbe impazzita tra quelle quattro mura. Quando
Jenny sarebbe stata più grande, l’isolamento le avrebbe fatto lo stesso
effetto.
“Jenny, un giorno, il tuo papà troverà il modo di farti stare meglio.”
Il rumore di passi che si avvicinavano fece ritirare Ellie in se stessa, perché
non voleva che il papà Dottore sentisse quello di cui stavano parlando. Papà
Dottore non era buono come Mary.
“Mary?” chiamò Johnson, seguendo il buon odore della colazione che proveniva
dalla cucina. Lei era certamente un’ottima cuoca. Sarebbe stato difficile
rimpiazzarla, quando lui e Jenny se ne fossero andati. “Che profumo
meraviglioso.” Si sentiva l’acquolina in bocca, mentre si avvicinava alla
cucina e l’aroma si intensificava. “Ahhh,” sorrise. “Cialde! Le mie preferite!”
“Buon giorno, Dottore.” sorrise Mary. “La colazione è quasi pronta.”
Lui guardò l’orologio e disse “Credo di avere giusto il tempo di assaggiarne
una, poi devo scappare.”
“Ha un appuntamento?” chiese Mary.
“Si.” Johnson annuì. “Al college. Ho ancora due studenti da intervistare prima
di decidere chi assumere come assistente di ricerca.”
“Davvero?” Mary mise le uova sbattute nella tegame, per cuocerle. Sarebbe stato
strano avere qualcun altro intorno, dopo che per tanto tempo c’erano stati solo
loro tre.
Devo are quel viaggio in California il più presto possibile.” le ricordò
Johnson. “Voglio avere qualcuno sul posto, prima di partire.” Non avrebbe
voluto dirglielo, ma se nel suo viaggio a San Francisco fosse andato tutto
bene, lui e Jenny sarebbero partiti molto presto. Non vedeva l’ora di
cominciare la loro nuova vita.
Mary finì di preparare la colazione col sorriso sulla faccia, proprio come
faceva da due anni e mezzo, felicemente ignara del destino che l’aspettava.
***
Johnson era seduto nella Sala convegni della Facoltà di Scienze
dell’Università. Davanti a lui erano disposte sei cartelle contenenti i dati
scolastici ed altre informazioni di rilievo dei candidati che stava
intervistando. Quattro li aveva già incontrati il giorno prima.
Brain Foster. Minh Nguyen. Mario Sanchez. Victoria Austin. Gli ultimi due li
avrebbe incontrati tra poco.
Tracy Coleman, la prima che avrebbe incontrato quella mattina, seguita da
Takashi Sasaki.
Erano i migliori studenti della loro branca di studio. Virologia. Immunologia.
Nanotecnologia. Microbiologia. per un fuggevole momento si chiese chi fosse la
studentessa che Rawlings gli aveva raccomandato così caldamente, quella che
aveva rifiutato l’offerta per motivi familiari. Se era ancora più qualificata
degli studenti che stava intervistando, doveva essere quasi un genio. In
effetti la sua scelta sarebbe stata difficile.
Comunque c’era una cosa in Tracy Coleman che avrebbe fatto pendere la scelta in
suo favore. Dopo che Rawlings gli aveva inviato per fax le informazioni
richieste, Johnson aveva fatto qualche ricerca per conto suo. Ci sono un sacco
di cose che puoi sapere di una persona se tu sai cosa cercare e dove cercare.
Tracy era orfana. E non aveva altri parenti conosciuti.
Se le cose non fossero andate per il verso giusto e lei fosse semplicemente
sparita, chi se ne sarebbe accorto? per un uomo nella sua posizione, questa
informazione era importante. Imperativa. Trovare la soluzione alle sue
ricerche, portare a termine il suo impegno era importante, ma non importante
come coprire le sue tracce. Quando sarebbe partito da Phoenix, voleva lasciarsi
alle spalle tutto il suo passato.
Non voleva affrontare la sua nuova vita con la necessità di guardarsi
perennemente alle spalle come faceva ora. chiedendosi se il suo castello di
carte sarebbe caduto. No. Se San Francisco fosse andato in porto, non voleva
nulla che lo legasse al passato, e questo includeva tutti quelli che lo
conoscevano da vicino.
I pensieri di Johnson si interruppero quando la porta si aprì e il Professor
Rawlings entrò, accompagnando una giovane donna. Con la mano poggiata sulla
spalla di lei, la spinse avanti e fece le presentazioni.
“Dr. Sinclair, questa è Tracy Coleman. Tracy, il Dottor Robert Sinclair.
“Piacere di conoscerla, Dotttor Sinclair,” Tracy stese la sua mano per
salutare.
“Il piacere è mio.” sorrise Johnson e le strinse la mano. Lei aveva certamente
l’aspetto dello scienziato. Abiti semplici, scarpe semplici, capelli color topo
tirati all’indietro, occhiali sul naso. “La prego, si sieda.”
“Bene, vi lascio soli.” Rawlings si diresse verso la porta. “Mi lasci solo
aggiungere,” aggiunse, con la mano sulla maniglia della porta. “Tracy è una
delle due migliori studenti della sua classe. Lei e la sua partner di
laboratorio faranno grandi cose in futuro.”
Tracy si sentì arrossire al complimento che le aveva fatto il Professore.
Riponeva grandi speranze il quel lavoro e l’esperienza pratica che ne sarebbe
derivata. Era contenta che la sua partner di laboratorio non fosse disponibile
per l’estate e non avesse accettato. Liz sarebbe stata scelta ad occhi chiusi.
***
Ellie era seduta al tavolo della cucina con una matita in mano e il blocco da
disegno aperto davanti a lei. Le piacevano i giorni come questo, quando erano
da sole lei e Mary, e il Dottore non c’era. Stette un momento a pensare,
cercando di decidere cosa disegnare, poi un sorriso le addolcì la faccia e
puntò la matita sul foglio.
Mary si infilò un paio di guanti di gomma e passò accanto alla tavola per
andare verso il lavandino. Guardando oltre la spalla della bambina, le chiese
“Cosa vuoi disegnare, oggi?”
“Un’anatra.” sorrise Ellie.
“Un’anitra, huh?” sorrise Mary. Aveva dato un’occhiata ad un libro di animali
nella biblioteca locale, uno che pensava sarebbe piaciuto a Jenny. Forse
l’avrebbe preso per lei, quando sarebbe uscita domenica prossima. Le piaceva
portarle cose che avrebbero potuto aiutare Jenny ad ampliare il suo piccolo
mondo.
Ellie guardò Mary che puliva il lavandino, sentendola canticchiare sottovoce.
Ora che erano sole, finalmente poteva chiedere a Mary, quello che non aveva
potuto chiederle prima.
Posando la sua matita. Ellie chiese “Mary, tu conosci il mio papà?”
Mary lasciò a metà quello che stava facendo, chiedendosi di cosa stesse
parlando Jenny. Non aveva capito lei o Jenny aveva espresso male la sua
domanda? Girandosi a guardare la bambina, Mary rispose “Ho conosciuto tuo padre
quando tu eri molto piccola. Aveva bisogno di qualcuno che si fosse presa cura
di te, così sono venuta a vivere qui.” Loro non l’avevano mai tenuto nascosto a
Jenny. La bambina sapeva che lei e Mary non erano parenti.
“Voglio dire …” Ellie fissò Mary. “Il mio papà vero.”
“Il tuo …?” Mary fissò a sua volta la bambina chiedendosi di cosa stesse
parlando. Papà vero?
“Il mio vero papà.” insistette Ellie. “Nel mio sogno, ho visto te con il mio
vero papà.”
Ellie vide che Mary spalancava gli occhi e allora sfogliò il suo album per
mostrarglielo. Lei trovò il disegno, chiaramente infantile, di Max e glielo
indicò. “Lui. Papà.”
“Oh.” Mary lasciò andare il respiro che aveva trattenuto. Jenny aveva una tale
immaginazione. La rattristava il pensiero che lei si riferisse alla famiglia
che si era creata, come se fosse quella vera. La povera piccola desiderava una
vita normale, una vita che purtroppo non avrebbe mai potuto avere.
“C’eri anche tu, nel mio sogno.” le disse Ellie. “Ti ho vitto mentre davo da
mangiare alle anatre.”
“Tesoro,” Mary si tolse i guanti e si sedette accanto a lei. “Era solo un
sogno. Non era vero, cara. Tutti sogniamo di notte, ma al mattino ci svegliamo.
Questa è la realtà, qui, con il tuo papà e me. Questa, “ e le indicò l’album.
“è solo una fantasia.”
“Ma …” cominciò a dire Ellie, ma Mary la interruppe.
“Perché non metti via l’album, cara, e mi aiuti a preparare il pranzo? Hai
fame?”
Ellie guardò per un attimo Mary, poi chiuse la copertina dell’album. Mary
rimise i colori nella scatola e gliela porse, poi la guardò riportare le cose
nella sua stanza. Si sentiva in qualche modo infastidita che Jenny si pensasse
alla sua famiglia immaginaria come a quella vera, ma probabilmente era solo una
fase che stava traversando, dovuta all’isolamento in cui viveva.
nella sua stanza, Ellie posò l’album e i colori sulla scrivania, ripensando a
quello che le aveva detto Mary. Lei sapeva che mamma e papà erano veri, ed
erano lì fuori da qualche parte. sapeva che il suo papà stava cercando di
riportarla a casa.
Non era solo un sogno … o sì?
Capitolo 94
Liz sedeva sul bordo del letto e guardava
Max mentre dormiva. Negli ultimi minuti era diventato più irrequieto e Liz
pensò che finalmente stava dando segni di ripresa. Si stirò e si girò sull’atro
lato, poi le sue palpebre cominciarono a battere. Si aprirono lentamente, con
aria assonnata, poi sbadigliò e si stirò ancora. Quando la vide seduta sul
letto, sorrise e, strofinandosi gli occhi col dorso della mano, le disse “Hey,
tu. Che ore sono?”
“Le sette e cinque.” rispose Liz, dopo aver guardato il piccolo orologio sul
comodino.
“Le sette e cinque?” Max spalancò gli occhi e cercò di mettere a fuoco
l’orologio. “Perché non mi hai svegliato? Farò tardi al lavoro!” Si mise svelto
a sedere e fu preso da un capogiro.
“Max.” Liz lo prese per le spalle. “Non sono le sette di mattina. Sono le sette
di sera. Hai dormito tutto il giorno.”
“Cosa?” alzò la testa per guardarla. Come poteva essere?
“Come ti senti?” gli chiese e sollevò la mano per accarezzargli la guancia.
“Bene … credo … cosa ?” L’ultima cosa che ricordava era il sogno e Ellie che
dava da mangiare alle anatre, poi … più … niente. Si passò la mano tra i
capelli, increspando la fronte e chiese “Cosa è successo?”
“Ti senti bene?” chiese Liz preoccupata. “Normale?”
“Mi sento un po’ intontito.” ammise Max. “Una sensazione strana, non lo so,
come se avessi bevuto.” Lui si era ubriacato solo una volta nella sua vita, ma
era stato sufficiente per giurare che non avrebbe mai più bevuto. Il suo
metabolismo alieno non sopportava l’alcol.
“Ed è tutto?” chiese Liz.
“Si.” Max tentò, senza successo, di trattenere un altro sbadiglio.
“In questo caso …” Liz si alzò in piedi e si piantò le mani sui fianchi. Si
chinò su di lui, con gli occhi fiammeggianti e gli urlò “NON FARLO MAI PIU’!”
“Cosa?” Max la guardò senza capire. Cielo se era arrabbiata! I suoi occhi
andavano a fuoco! Che diavolo aveva combinato la notte scorsa? Aveva per caso
bevuto qualche cosa? Era per questo che Liz era così adirata? Era per questo
che si sentiva così? Ed era per questo che non si ricordava niente? Come poteva
essere successo? Loro non tenevano bevande alcoliche in casa.
“Giuro su Dio, Max, se tu mai …” Liz era di nuovo pronta ad urlare.
“Liz! Cosa ho fatto?” chiese mesto, come un ragazzino che si era messo nei
guai.
“Tu lo sai quanto mi hai fatto preoccupare?” Liz stava per scoppiare. Lei lo
sovrastava come un fuoco infernale e lui si fece piccolo nel letto. Qualsiasi
cosa avesse fatto, l’aveva combinata grossa.
“Liz …”
“Tu lo sai quanto hai fatto preoccupare tutti?”
“Liz …”
“Lo sapevi che ti stavi spingendo troppo oltre, ma lo hai fatto lo stesso!”
“Liz …” Max fissava il dito che lei gli puntava contro il viso ma lei non gli
lasciava dire una parola.
“Ho dovuto chiamare Rachel!”
“Rachel?”
“Ho pensato che stavi MORENDO! Non spaventarmi MAI PIU’ in questo modo!”
“Mi disp …”
“Sono stata sveglia tutta la notte per controllare che respirassi ancora!”
“Cosa è suc …”
“Se non fosse stato per Rachel e Carl, non so cosa avrei fatto!”
“Carl?” squittì Max. Carl era stato lì? La scorsa notte? Gesù, aveva saltato un
intero giorno di lavoro. Come avrebbe fatto a spiegarlo a Carl? Aveva messo a
rischio il suo lavoro?
“Promettimi che non farai mai più niente di simile a te stesso!” gridò Liz.
“Liz …”
“PROMETTIMELO!”
“Te lo prometto!” riuscì a dire Max e le prese la mano. “Ma Liz …”
Le sue parole si interruppero ancora, quando lei gli si gettò tra le braccia e
seppellì il viso contro il suo petto. Max la sentiva tremare e sospettò che
fosse sia a causa della rabbia che della paura. Cosa diavolo aveva fatto la
notte scorsa?
“Liz.” la prese per le spalle e l’allontanò quel tanto che bastava per
guardarla in faccia. “Ti prometto tutto quello che vuoi, ma se vuoi che lo
mantenga sarà meglio che tu mi dica cosa ho fatto, tanto per essere sicuro, che
non possa rifarlo ancora.”
“Non te lo ricordi?” chiese Liz, con la voce che le tremava.
“L’ultima cosa che ricordo era Ellie che, nel sogno, dava da mangiare alle
anatre.” Guardandola in faccia poteva vedere le lacrime che le riempivano gli
occhi, pronte a scendere. Si sentì malissimo, sapendo che era lui la causa di
quelle lacrime.
“Max, è stato il sogno.” il labbro inferiore le tremava. “Tu ti sei spinto
troppo oltre, e il tuo corpo ha ceduto. Hai consumato così tante energie che
quando il sogno è finito, tu sei svenuto. Hai perso conoscenza. Non sono
riuscita a svegliarti. Dopo un’ora, non sapevo più cosa fare, così ho chiamato
Rachel. Lei e Carl si sono precipitati ed è stato solo dopo che lei ti ha
visitato che ho saputo che non stavi … che non stavi …” La voce le si fermò in
gola. “che non stavi … morendo …”
“Liz, amore, mi dispiace” Max la strinse ancora.
“Mi sono così spaventata, quando non sono riuscita a svegliarti.” Il mento le
tremava contro il petto di lui. “Non sapevo cosa non andasse, o se ti saresti
mai svegliato.”
“Liz, calmati …” Max cercò di tranquillizzarla.
“Ho avuto paura di … perderti.” Le parole le morirono in gola.
“Liz, no. Sto bene. Va tutto bene.”
“Ero così spaventata …” singhiozzò Liz, bagnandogli la maglietta di lacrime.
“Zitta.” Max le passò le mani tra i capelli.
“Non potrei sopportarlo ancora, Max.” gridò Liz. “Promettimi che non lo farai
mai più!”
“Liz, è l’unico modo che abbiamo per cercare di trovare Ellie …”
“Allora troveremo un altro modo!” Liz si staccò da lui. “Un modo che non metta
in pericolo la tua salute! Io non voglio scambiare te con lei!”
“Va bene, va bene.” Max cercò di calmarla. “Hai ragione. Liz. Mi sono spinto
troppo oltre, ma non sapevo cosa mi poteva succedere. La prossima volta starò
più attento. La prossima volta, quando mi sentirò stanco, lascerò che il sogno
finisca.”
“Me lo prometti?” Liz si asciugò un’altra lacrima che le stava scorrendo sulla
guancia.
“Lo prometto.” Max la attirò ancora contro il suo petto, baciandola sulla
testa, sia per confortare lei, che per calmare se stesso.
Non poteva rinunciare all’unico modo che conoscevano per raggiungere Ellie, ma
sapeva anche che spingere troppo poteva essere pericoloso. Cosa sarebbe
successo se loro avessero trovato quell’unico indizio che stavano aspettando, e
lui fosse stato troppo stanco per seguirlo? Aveva bisogno di imparare a dosare
le sue forze, per poter portare a termine il loro scopo, espandere il mondo di
Ellie, ma in modo tale da non svuotare la sua riserva di energia al punto da
non poter più agire.
***
Mary infilò la camicia da notte sulla testa di Jenny, poi le tirò fuori i
capelli umidi, La piccola aveva appena fatto il bagno e si era lavata i denti,
ed ora era arrivato il momento della storia della buonanotte. Passando la
spazzola tra i folti capelli della bambina, Mary le chiese “Cosa vuoi che ti
legga stasera, cara?”
“L’oniglio di velluto.” Ellie corse via da Mary e prese il libro dalla piccola
libreria vicino alla scrivania.
“Il Coniglio di velluto? Sei sicura, tesoro?” chiese Mary. “Te l’ho letto anche
ieri. Non vuoi che ti legga qualcos’altro?”
“No.” Ellie saltò sul letto ed infilò i piedi sotto la coperta. “Mi piace
quetto.” Sistemò il cuscino e si stese, con la bambola sotto al braccio.
Mary sorrise, pensando alla testardaggine che la bambina dimostrava di tanto in
tanto. Si sedette sul letto, accanto a lei, ed aprì la copertina del libro. la
sua voce era dolce e tranquillizzante, quando cominciò a leggere. “C’era una
volta un Coniglio di velluto, e all’inizio era veramente bellissimo …”
Mary leggeva il libro, sentendo il corpicino di Jenny accoccolato accanto a
lei, sotto le calde coperte del letto. Amava questi momenti, quando le parole
che leggeva ad alta voce, potevano portare Jenny in posti dove non era mai
stata. Potevano perdersi entrambe nel mondo della fantasia, dove il sole non
avrebbe danneggiato la sua pelle delicata e la bambina non sarebbe stata sola.
“Devo pensare che tu sia vero? disse il Coniglio.” Mary continuò a leggere le
parole familiari. “Poi si pentì di averlo detto, pensando che il Cavallo di
pelle era sensibile. ma il Cavallo di pelle sorrideva. ‘lo zio del ragazzo mi
ha fatto diventare Reale’ disse, ‘E’ successo tanti anni fa, ma una volta che
sei Reale, non puoi più tornare irreale, sei reale per sempre.’ Il Coniglio
sospirò. Ci sarebbe voluto molto tempo perché quella magia chiamata Reale
accadesse a lui. desiderava ardentemente diventare Reale, sapere cosa si
provava …”gli occhi di Mary erano rivolti a Jenny, mentre la bambina si copriva
la bocca per nascondere uno sbadiglio e chiuse la copertina del libro. “Per
stasera basta, tesoro.” Si alzò dal letto e si chinò su Jenny, dandole con
affetto un bacio sulla fronte, come faceva tutte le sere. “Sogni d’oro, Jenny.”
“Mary?” Ellie alzò le braccia per stringere il collo di Mary e darle un bacio
sulla guancia.
“Si, cara?” Mary le sorrise.
Ellie la guardò in faccia, piena d’amore, e le disse in un sussurro “Quello non
è il mio nome.”
Mary guardò stupita la bambina che amava più di ogni altra cosa al mondo. Non
era il suo nome? Cosa cercava di dirle, affermando che Jenny non era il suo
nome? Il letto scricchiolò quando lei tornò a sedersi, e prese la mano di Jenny
nella sua. Con voce tranquilla le chiese “Cosa vuoi dire, cara?”
“Il mio nome.” Ellie continuava a sussurrare. Si sporse per guardarsi intorno
ed essere sicura che il papà Dottore non fosse sulla soglia della porta, poi
tornò ad avvicinarsi a Mary. “Un giorno, quando sarò reale, il mio nome sarà
Ellie. E vivrò con mamma e papà e il mio fratellino Matthew. Ora è piccolo. E
avremo un cagnoino di nome King e una grande casa nel sole.”
“Jenny …” Mary rimase senza parole.
“Un giorno, il mio papà mi troverà e poi io sarò reale.”
Mary guardò la faccia angelica della bambina e i suoi occhi cominciarono a
riempirsi di lacrime. le prese il faccino tra le mani, non sapendo cosa dirle o
come risponderle. Aveva sempre pensato che Jenny sopportasse bene la sua vita
limitata ma, ovviamente, così non era. Si era creata una finta famiglia di
carta, papà Max, mamma Tesoro e i loro bambini, Ellie e Matthew. Ma ora Jenny
stava confondendo il suo vero mondo con la fantasia, pretendendo di inserire se
stessa nella vita di una bambina che viveva solo sulla carta.
Forse era stata la storia del Coniglio di velluto, che voleva diventare reale,
a portare Jenny in quella direzione. Era solo una fase, come un amico
immaginario, che sarebbe passata crescendo? O era il sintomo di un disordine
psicologico dovuto al suo isolamento?
“non dirlo al papà Dottore.” Ellie si mise il dito davanti alle labbra. “E’ un
segreto. Il nottro segreto.”
I passi di Johnson risuonarono nel corridoio nella loro direzione e Mary
credette di vedere lo sguardo di Jenny rabbuiarsi. Il sorriso radioso che era
stato sulla sua faccia fino a pochi attimi prima, era scomparso, rimpiazzato da
uno sguardo rassegnato.
Johnson entrò nella stanza, sorridendo alla bambina. “Pronta per andare a
letto?” le chiese, traversando la stanza per dare ad Ellie il bacio della buona
notte.
Mary rimase in piedi, quieta e pensierosa, a guardare l’uomo e la bambina che
interagivano. Aveva sempre visto Jenny riservata, nei confronti di suo padre, e
raramente l’aveva sentita chiamarlo papà. Infatti, ora che ci pensava, Jenny
aveva sempre accompagnato la parola ‘papà’ con ‘Dottore’, come per distinguerlo
da qualcun altro. Qualcuno come … il suo vero …padre?
No. Era una cosa pazzesca. Mary cacciò via il pensiero. Aveva bisogno di
parlarne col Dottore. Se Jenny soffriva di qualche disordine psicologico, lui
doveva essere messo al corrente, per poter intervenire.
Johnson baciò Ellie sulla guancia e le arruffò i capelli, alzandosi dal letto.
“Dormi bene, amore! Sogno d’oro!”
“notte.” Ellie si sistemò sul cuscino, avvicinandosi la bambola.
Con un sorriso, Johnson uscì dalla stanza e Mary tornò accanto al letto,
sedendosi accanto alla sua preziosa bambina. Si chinò su di lei per baciarla,
quando un paio di piccole braccia le avvolsero il collo, accompagnate dalla
dolcezza di piccole labbra che le baciavano la guancia.
“Ti voio bene, Mary.” Ellie le diede il bacio della buonanotte.
“Anche io ti voglio bene, tesoro.” Mary le passò la mano sulla guancia. “Dormi,
ora.”
“Cordati,” disse Ellie in modo cospirativo. “Non dirlo a lui. E’ il nottro
segreto.”
Mary carezzò la faccia della bimba e la baciò leggermente sulla fronte. Si alzò
in piedi, traversò la stanza, poi si girò a guardare Ellie dalla sogli. Aveva
già chiuso gli occhi, la sua faccia era tranquilla e rilassata, e il cuore di
Mary si addolorava per lei. Spense la luce e chiuse, in silenzio, la porta.
***
Mary era proprio fuori dalla porta dello studio del Dottore, cercando di capire
se fosse il caso di parlargli ora o di aspettare fino a domani. Sentì che era
al telefono, la sua voce profonda gli giungeva come un mormorio, lasciando
comprendere solo qualche parola.
“ … Sinclair … si … viaggio … settimana …Pacifica …”
Aspettò un minuto, cercando di non origliare e quando lo sentì terminare la
chiamata, allungò la mano per bussare alla porta. Lui era lì, a pochi metri da
lei, mentre lei combatteva con se stessa. C’era qualcosa di serio in Jenny? Era
una cosa passeggera? Qualcosa che le sarebbe passata crescendo?
Mary si rimproverò per la sua indecisione. Dopo tutto, lui era il dottore! Era
l’unico che avrebbe potuto valutare se Jenny avesse bisogno di aiuto. Chi era
lei per tenergli nascosta quell’informazione? Spettava a lui prendere le
decisioni circa sua figlia. Mary bussò decisa alla porta ed entrò nel suo
studio.
“Mary.” lui la fece accomodare. Lei non andava spesso nel suo studio, di solito
lo faceva solo per parlare di Jenny, o di qualcosa che riguardava la casa. Lui
aveva lasciato tutto nelle sue mani esperte.
Mary guardò l’uomo che ormai conosceva da più di due anni, e all’improvviso un
pensiero la colpì. Jenny era una bambina molto affettuosa, generosa con i baci
e gli abbracci, come le aveva dimostrato anche pochi minuti prima. Ma in tutto
questo tempo, in tutti quei mesi in cui il modo di parlare di Jenny era
migliorato e il suo vocabolario si era accresciuto, Mary non le aveva mai
sentito dire a suo padre che gli voleva bene. Nemmeno una volta.
Non una singola, unica volta.
Tuttavia la bambina lo aveva detto a lei, quella sera.
Parole sincere che le facevano capire cosa avesse intenzione di dirle. Perché
Jenny negava quelle parole, quei sentimenti al suo proprio padre? C’era
qualcosa di sbagliato.
“Cosa c’è, Mary?” chiese Johnson quando Mary rimase in silenzio.
Lei stava cercando di pensare. E disse la sola cosa che le venne in mente. “Ha
trovato l’assistente per le ricerche, oggi?”
“Si.” Johnson si appoggiò sulla spalliera della sedia. “Si chiama Tracy. Tracy
Coleman. Ma non si preoccupi di lei. Ha avuto precise disposizioni di non
uscire dal laboratorio. Non dovrà occuparsi di lei.”
“Quando comincerà?” chiese Mary.
“Domani.” rispose Johnson. “Domani le mostrerò il laboratorio e comincerà a
lavorare giovedì.”
“La incontrerò?” chiese Mary curiosa.
Johnson rifletté per un momento, poi annuì lentamente. Voleva tenere Tracy
separata da Mary e da Jenny, ma non ci sarebbe stato alcun male se Mary
l’avesse incontrata, almeno per una volta. “Naturalmente.” sorrise Johnson.
“Forse mentre Jenny farà il suo pisolino, lei potrà venire in laboratorio e io
gliela presenterò.”
Mary annuì e stava per andarsene, quando decise di parlare dell’argomento al
quale aveva pensato quella mattina. “Dottore, ho letto qualcosa a proposito del
Morbo di Gunther.” Per un attimo ebbe l’impressione che lo sguardo di lui di
fosse indurito e la sua mascella irrigidita, e le parole le morirono sulla
lingua.
“Si?” la incitò Johnson. Mary aveva fatto delle ricerche sul Morbo di Gunther?
Questo non ci voleva. Non ci voleva affatto.
“Ebbene …” Per la prima volta Mary si sentì a disagio con lui. “Ho letto che da
qualche parte del paese si sono formati dei gruppi di supporto, parenti di
bambini malati. Dato che questi poveri bambini non possono uscire durante il
giorno, loro si incontrano la notte, dopo che il sole è tramontato. Portano i
bambini nei posti dove non possono andare di giorno. Al parco, al lago o …”
“Grazie, Mary.” tagliò corto Johnson. “Ci darò un’occhiata.”
“Si … Si, naturalmente.” annuì Mary, sentendosi come se fosse stata appena
criticata. “Ora andrò a letto.”
“Buonanotte, Mary.” la congedò Johnson.
“Buonanotte, Dottore.” Mary uscì dallo studio e tornò nella sua stanza. Chiuse
la porta e vi si appoggiò contro, combattendo una sensazione di disagio. Aveva
sempre trovato il Dottore un uomo piacevole, ma ora le era sembrato così
freddo. Forse era stata solo un’impressione dettata dalla preoccupazione per
Jenny. Liberandosene, decise che doveva essere stato così. Il Dottore era una
brava persona.
Traversò la piccola stanza, diretta verso il suo letto, con le braccia avvolte
intorno a se, cercando di combattere un brivido improvviso.
Capitolo 95
Ellie era distesa nel letto, con i
capelli scuri sparsi sopra il cuscino e la bambola stretta contro di sé. Il suo
sonno era tranquillo ed il suo viso sembrava calmo e rilassato. Sotto le
palpebre, gli occhi andavano avanti e indietro mentre vagava nel suo sogno …
Il posto era tranquillo quella sera, ed il suono dei rami degli alberi che
scricchiolavano nella brezza era il solo rumore che rompeva il silenzio. L’erba
alta ondeggiava sotto di lei e le sue manine ne accarezzavano la punta,
sentendone la morbidezza. Si sentiva sola, senza mamma e papà.
Poteva sentire il gorgoglio del ruscello, ma si teneva lontana dall’acqua. Papà
le aveva detto di non avvicinarsi all’acqua quando era sola. Lei cercava sempre
di fare quello che papà le diceva, perché lui sapeva tutto.
Un rumore improvviso la spaventò, e girò la testa in direzione dei cespugli
sotto gli alberi. C’era qualcosa tra i cespugli. Qualcosa di spaventato. Forse
era un gattino. Forse no. Lei si tuffò nell’erba e sbirciò da sopra le punte,
cercando di vedere cosa fosse.
Si augurava che mamma e papà venissero presto e si unissero a lei, ma quella
sera non riusciva a sentirli e questo la fece pensare a quello che Mary le
aveva detto quel giorno. Che questo non era reale. Che mamma e papà non erano
reali. Che vivere con Mary ed il Dottore era tutto quello che c’era.
Si sedette nell’erba cercando di non piangere.
***
Max cercò di concentrarsi, ma la sua mente era ancora annebbiata. Era seduto
nel letto, con la schiena appoggiata alla spalliera e Liz raccolta comodamente
tra le gambe. Lei aveva Matthew tra le braccia, come la scorsa notte e le altre
notti prima di quella, ma Max non riusciva a stabilire la connessione. Non
poteva condurli tutti insieme nel luogo dove desiderava disperatamente andare.
“Max.” Liz gli prese la mano e la tolse dalla propria tempia. Gli sfiorò con le
labbra il palmo, poi si appoggiò contro di lui, guardando in su verso la sua
faccia stanca. “Tu ti stai ancora spingendo oltre i tuoi limiti.”
“Ma …” cercò di ribattere, ma sapeva che lei aveva ragione. Non aveva ancora
recuperato le sue forze e la mancanza di energia gli impediva la connessione
tra loro e la terra dei sogni. Ellie era lì, adesso? Aspettando che lui li
riunisse? Contando su di lui? Aveva fallito …
“Max, basta!” Liz tornò a guardare verso di lui.
“Basta cosa?” Max non riusciva a guardarla negli occhi. Sapeva esattamente cosa
intendeva dire.
“Basta biasimare te stesso” Liz fissò lo sguardo su di lui. Sapeva che non
avrebbero dovuto provare quella sera. Era troppo presto. “Max, ti conosco. So
quello che stai pensando.”
“Io non …” cominciò a negare, ma lei lo azzittì.
“Tu ti stai dando la colpa per non essere riuscito a raggiungerla, stanotte. Tu
stai pensando che è solo colpa tua se Ellie è sola, perché tu non hai la forza
di spingerti verso di lei.”
“Liz …” lui girò la testa dall’altra parte.
“Non è vero?” gli prese il mento e lo fece voltare di nuovo. Lui cercò di
opporre resistenza, ma lei non glielo consentì. Gli tenne fermo il mento e gli
chiese, quasi sussurrando “Non è vero?”
Max annuì lentamente e alla fine, lasciò che i suoi occhi incontrassero quelli
di lei. Liz vi lesse la profondità del suo dispiacere e gli fece chinare la
testa, per poggiarsela sulla spalla. Il braccio di lui le scivolò intorno e la
tenne più stretta possibile, senza schiacciare il corpicino del figlio, che era
tra di loro. Chiuse gli occhi e lasciò che la sua testa riposasse contro il
calore di lei, desiderando di avere la sua forza.
“Domani ci proveremo ancora.” lei gli disse piano all’orecchio. “E il giorno
dopo, e il giorno dopo ancora, finché i tuoi poteri non saranno tornati e
riusciremo ancora a contattarla.”
“E se Ellie ci sta aspettando? E se lei …”
“Max, se non andiamo stasera, Ellie porterà il suo sogno altrove.” gli disse
Liz rassicurante. “Lei starà bene.”
“Ne sei sicura?” Qualche volta la fiducia di Liz, era l’unica cosa che gli
rimaneva alla quale attaccarsi.
“Sicurissima.” sorrise, credendoci senza ombra di dubbio.
***
Ellie sentì un rumore dietro di lei e si girò nell’erba, guardando verso il
ruscello. C’era qualcosa lì? Il rumore si ripetette e lei rimase ad occhi
spalancati quando un’anatra si arrampicò sulla sponda ed agitò le ali.
Ancheggiò in avanti, con il becco arancione che pizzicava il terreno.
“Come ha fatto ad arrivare qui?” si chiese Ellie ad alta voce. Qui non c’erano
mai state anatre. Peccato che non avesse del pane. Un’altra anatra si avvicinò
alla prima, e poi un’altra ed un’altra, fino a che una mezza dozzina di anatre
camminavano ondeggiando sul terreno, cercando qualcosa da mangiare. Ellie ne
vide una muovere la testa e scuotere le sue piume e quando lasciò andare un
forte ‘qua qua’ non riuscì trattenere una risata.
“Qua!” la imitò “Qua! Qua!” e fece una risata maliziosa, nascondendola dietro
alla mano.
L’anatra alzò la testa e si diresse verso di lei. le altre la seguirono subito
ed improvvisamente se le trovò tutte attorno, alcune anche più grandi di lei. I
becchi le pizzicavano il vestito, cercando il cibo, ed Ellie decise che era
meglio andarsene prima che mangiassero lei.
Corse via nell’erba alta, con le anatre che la seguivano, ed uscì dal sogno.
Si trovò in un posto nuovo, e si fermò all’improvviso per guardarsi attorno.
Non aveva mai visto un posto come quello prima, con così tanti colori. Il suo
prato aveva dei fiori, ma non come questi. C’erano fiori dappertutto, fiori
grandi, fiori piccoli, di tutti i colori dell’arcobaleno. C’erano rose bianche,
come quelle che il suo papà le aveva detto che piacevano tanto alla mamma, e
rose gialle e rosa e rosse e arancione.
C’erano anche altri fiori, di cui non conosceva il nome perché non li aveva mai
visti prima di allora. Dov’era questo posto?
Una dolce canto le giunse alle orecchie, una melodia che le sembrava familiare,
e si incamminò verso la direzione da cui proveniva. Immaginava chi stesse
cantando. Camminò lentamente, tranquilla, caso mai si fosse sbagliata, e quando
raggiunse uno spazio libero, la figura le apparve.
I suoi capelli corti erano coperti da uno strano cappello che sembrava fatto di
paglia. La sua camicia a fiori era protetta da un grembiule con le tasche sul
davanti. Aveva i pantaloni larghi, quasi gonfi, perché questo era il tipo che
indossava sempre. Quando portava i pantaloni. Aveva qualcosa in mano e la usava
per tagliare i fiori che stavano appassendo.
“Mary?” Ellie sbucò fuori dai cespugli. “Sei tu, Mary?”
Mary si girò sorpresa, ed un leggero sorriso le illuminò il viso. “Jenny! Cosa
stai facendo qui?” Guardò preoccupata il cielo, poi di nuovo la bambina. “Non
dovresti essere qui, cara.”
“Qui dove siamo?” chiese Ellie. “Che cos’è quetto potto?”
“E’ il mio giardino.” rispose Mary. “Il mio posto speciale. Quando ero giovane,
aveva un giardino come questo. ti piace?”
“E’ carino, qui.” Ellie fece un cenno col capo.
“Mi piacciono specialmente le rose.” Mary ne prese delicatamente una tra le
mani. “Mi piacciono molto quelle rosse, così vibranti di colore.”
“Alla mia mamma piacciono le bianche.” le disse Ellie. “Papa gliene porta
sempre una a casa.”
Mary le sorrise con indulgenza. Non c’era bisogno di rimproverarla. Qui, nel
mondo dei sogni, tutto era possibile. “Sembra che il tuo papà ami molto la tua
mamma.”
“Si.” disse Ellie, e fece una risatina dietro la mano. “Lui la bacia sempre.”
“Davvero?” ridacchiò Mary. Jenny era così adorabile quando rideva.
“Vuoi vedere il mio posto speciale?” chiese Ellie.
“Naturalmente.” rispose Mary e Ellie la prese per la mano. Camminarono verso la
direzione da cui era arrivata, tenendo gli occhi aperti in caso ci fossero le
anatre. Non voleva che mangiassero anche Mary.
“Dove stiamo andando, tesoro?” chiese Mary.
“Da quetta parte.” Ellie le tirò la mano. “Devo ritrovarla antora.” Si fermò
per un attimo e chiuse gli occhi, cercando il posto con la mente. Non aveva
ancora tre anni, ma aveva ereditato la mente della madre e i doni di suo padre,
e imparava subito. I suoi occhi si riaprirono e, sorridendo a Mary, le disse
“Da quetta parte.”
Si fecero strada nel boschetto e Ellie sentì che Mary respirava forte, quando
giunsero al limite del prato. L’erba alta era baciata dal sole. Il gorgoglio
del ruscello lontano era tranquillizzante e riempì Mary di un senso di pace.
“Jenny.” sospirò “Com’è bello qui.”
“Quando sono qui,” le disse guardandola piena d’amore. “il mio nome è Ellie.”
“Ellie.” Mary sorrise alla bambina. “Che bel nome.”
***
Ellie era nel suo letto e solo i suoi occhi si muovevano, sotto le palpebre. Il
corpicino era rilassato e il suo piccolo petto saliva e scendeva ritmicamente.
All’angolo della bocca apparve un sorriso e mormorò nel sonno “Anatre.”
In un’altra stanza, Mary era nel bel mezzo di un sogno, un sogno come non ne
aveva mai avuti. C’era quasi qualcosa di … reale in quel sogno, e la mattina
dopo si sarebbe chiesta se il libro che aveva letto a Jenny aveva lasciato
degli effetti, che si era portata nel sogno. Il Coniglio di velluto voleva
diventare reale. Jenny aveva detto di voler diventare reale. Quel sogno
sembrava essere reale. Ma per adesso, quella notte, Mary era chiusa dentro quel
sogno e, con un sorriso, pronunciò un nome con rispetto ed amore.
“Ellie …”
***
Max era nel letto ed ascoltava il silenzio della casa, incapace di riprendere
sonno. Era così da anni, ormai, incapace di dormire di notte, pensando a tutte
le cose che gli erano accadute nella sua vita, a lui e a quelli che amava.
Rivedeva come in un film nella sua mente, gli eventi chiave che lo avevano
trasformato nell’uomo che era diventato.
Il primo evento era stato il catalizzatore di tutto quello che era seguito. Un
colpo di pistola che era risuonato in un ristorante affollato aveva dato il via
a tutto, e lui era stato incapace di fermare quello che era seguito. Come
avrebbe potuto non salvarla? Lei era tutto il suo mondo, in quel momento.
Il secondo avvenimento chiave era stata la sua decisione di fare una gita quel
giorno di primavera. Se solo avesse saputo, non si sarebbe mosso, o avrebbe
lasciato il globo a Michael. Ma lo aveva preso, nell’errata convinzione che
fosse al sicuro con lui. E per questo. Per la sua scelta sbagliata, Liz aveva
vissuto l’inferno. Erano stati trasportati dalla bellezza del Mirror Lake in un
posto che era stato l’inferno in terra e Liz aveva sopportato le più orrende
cose immaginabili.
Il terzo evento era stata la sua fuga da quell’inferno … senza di lei. Ce
l’aveva ancora chiaramente impresso nella mente. Ciascun momento che era stato
nella stanza di salto, guardando impotente Liz attraverso il vetro, dalla parte
opposta, sapendo che dopo pochi attimi lui sarebbe stato libero, mentre lei
sarebbe rimasta intrappolata in quell’inferno. Ancora adesso, a quel ricordo,
gli occhi gli si riempivano di lacrime.
Il quarto momento chiave della sua vita era stata la notte in cui aveva dovuto
fare la scelta che l’aveva segnato per il resto della sua vita. Nel suo cuore
sapeva di aver fatto la scelta giusta, ma questo non gli rendeva più facile il
fatto di conviverci. Aveva fatto irruzione nella stanza per vedere Liz che
giaceva sul tavolo operatorio, con la vita che le scorreva via col sangue, e
poi un rumore aveva attratto la sua attenzione dall’altra parte della stanza.
Era stato benedetto dalla prima visione di sua figlia, nata da qualche minuto,
che si agitava piena di vitalità, mentre sua madre stava morendo solo pochi
metri più in là.
Come poteva un uomo sopravvivere alla scelta tra sua moglie e sua figlia?
L’unica cosa bella era stata vedere che sua figlia era viva e che c’era la
speranza che un giorno loro avrebbero potuto ritrovarla e riportarla a casa.
Aggrapparsi a questa idea era l’unica cosa che lo faceva sopravvivere con se
stesso.
Ora sentiva il lieve respiro di Liz che dormiva accanto a lui. Era accoccolata
contro di lui, quella notte, con la testa sul suo petto e le gambe intrecciate
con le sue. In tutti quegli anni, lei non lo aveva mai biasimato una sola volta
per gli orrori che aveva dovuto sopportare. Non gli aveva mostrato altro che il
suo incrollabile amore. Come avrebbe fatto lui, Max Evans, a essere degno di
quell’amore, non sarebbe mai riuscito a saperlo, ma tutte le notti ringraziava
il Cielo per quell’amore.
Delicatamente, con infinita attenzione e amore, Max spostò la testa di Liz dal
suo petto e l’appoggiò sul cuscino. Liberò i piedi da quelli di lei e
lentamente, per non disturbarla, si alzò dal letto. Si fece strada in silenzio
sul pavimento, in direzione della camera di Matthew.
Una luce notturna nel corridoio gli agevolò la strada ed un'altra, accanto alla
soglia della stanza del bambino, illuminava abbastanza da poter vedere
l’angelico visetto di suo figlio, che dormiva. Max si sporse sopra di lui,
chiedendosi se era così che Ellie appariva da piccola. Anche lei aveva dormito
con le mani chiuse a pugno accanto alle orecchie? Aveva emesso piccoli rumori
di soddisfazione mentre beveva dal biberon, o quei rumori erano riservati a chi
prendeva il latte dal seno della mamma, cosa che ad Ellie era stata negata?
Le sue necessità erano state soddisfatte prontamente. Le avevano cambiato i
pannolini quando erano bagnati, o sporchi o era stata costretta a stare con i
propri rifiuti, alla mercè dell’uomo che l’aveva portata via da lui. L’aveva
tirata su quando aveva pianto o l’aveva lasciata nel letto a piangere finché
non si fosse addormentata?
Sapeva che lui avrebbe dato tutto pur di riaverla? Solo per avere la
possibilità di tenerla tra le braccia?
Max prese il gigantesco orso dalla sedia a dondolo e lo poggiò sul pavimento.
Quella sera, voleva stare a guardare, silente sentinella accanto alla forma
addormentata di suo figlio, vegliando su di lui e proteggendolo da ogni
pericolo. Nessuno avrebbe mai più fatto del male a Liz, o avrebbe portato via
Matthew da lui. Nessuno.
Matthew si mosse nel sonno, stiracchiando le piccole braccia prima di
rimetterle giù. Avvicinandosi alla culla, Max fece scivolare la sua mano sotto
il corpicino del bambino e se lo strinse al petto. Teneva una mano sotto il
sederino e la testa con l’altra, godendo del modo in cui il suo ragazzo si era
rannicchiato contro il suo petto, poi si girò e si sedette lentamente sulla
sedia a dondolo.
La casa era silenziosa, tranne per il lento scricchiolio della sedia che Max
faceva andare avanti e indietro. Sulla parete alle spalle della culla, c’erano
due disegni che, ora che il bambino si era riaddormentato, guardò fissamente.
Uno rappresentava una bambina i cui magnifici occhi dominavano il viso. Il
secondo era il ritratto del suo fratellino con sul viso un’espressione piena di
stupore. Entrambi i disegni erano stati fatti a memoria, catturati dalla sua
mente quando i suoi bambini avevano solo pochi minuti di vita.
Un giorno, promise Max in silenzio mentre si dondolava lentamente sulla sedia,
non sarebbe stata solo la sua immagine a riempire la casa. Un giorno, anche le
sue risate l’avrebbero riempita, perché Ellie sarebbe tornata a casa. Lui non
sapeva come, o quando, ma sapeva che non si sarebbe mai arreso finché non
l’avesse riportata a casa da Liz … o sarebbe morto nel tentativo di riuscirci.
Sarebbe stato l’avvenimento più importante della sua vita.
Capitolo 96
Mary canticchiava, mentre si muoveva
nella cucina per preparare la colazione del mattino. Si era svegliata presto,
sentendosi rinfrancata da una notte di sogni piacevoli e nemmeno le sue
articolazioni artritiche potevano fermarla, quel giorno. Il suo passo era
vivace mentre si muoveva avanti e indietro tra il frigo e la cucina, preparando
il banchetto mattutino.
Ellie faceva del suo meglio per aiutarla, portando il cartone del succo di
frutta, quasi più grande di lei, sulla tavola.
“Hai bisogno di aiuto, Jenny?” Mary cercò di non ridere di lei.
“Faccio io!” disse Ellie a denti stretti. Teneva stretto il succo e quando
raggiunse la tavola, grugnì e si lamentò nel tentativo di sollevarlo. Era alta
a malapena per arrivare a vedere il piano del tavolo, figuriamoci a sollevare
un grosso peso per appoggiarcelo sopra, ma Mary vide la sua determinazione.
Poteva vedere la mente della bambina lavorare alla ricerca di una soluzione,
rifiutandosi caparbiamente di arrendersi al fatto che il peso del contenitore
era troppo grande per essere sollevato al di sopra della sua testa. Mary ammirò
la sua perseveranza, mentre la vide posare il cartone sulla sedia, salirci
sopra e da lì prenderlo e poggiarlo sul tavolo. Poi si girò verso di lei,
dicendo “Guarda!”
“Te la sei cavata molto bene!” la elogiò Mary.
“Ora prendo il pane.” Ellie scese dalla sedia e si asciugò le mani sul vestito.
Era un abitino a fiori, tutto colorato, e guardando verso il suo petto, Ellie
puntò il dito su una rosa rossa e disse “A te piace quetto.”
“Cosa, tesoro?” Mary sollevò la testa, stupita.
“Quetto.” ripeté Ellie indicando il fiore sul vestito. “A te piassono le rose
rosse.”
“Jenny,” Mary si fermò con la spatola in mano. “Come fai a sapere che mi
piacciono le rose rosse?”
“Me hai detto tu.” rispose Ellie, posando sul tavolo il piatto con i toasts.
Poi salì sulla sedia, portando due cucchiai e li sistemò accanto al suo piatto.
“Quando?” Mary fissò la bambina. Non si ricordava di averglielo mai detto,
tranne nel sogno che aveva fatto la scorsa notte. Poteva ancora ricordarne i
dettagli e questo l’aveva sorpresa molto. Di solito non ricordava affatto i
sogni che faceva o al massimo solo qualche incerto dettaglio. Non come il sogno
della notte scorsa, che aveva lasciato vividi dettagli nella sua mente.
Ellie sollevò gli occhi dal piatto e guardò Mary. Voleva che lei la chiamasse
ancora Ellie, come aveva fatto nel sogno di ieri, invece di usare il nome che
le aveva dato il papà Dottore. Ancora non aveva capito come mai era finita nel
sogno di Mary, o come aveva fatto entrare Mary nel suo sogno. Aveva camminato
mano nella mano con Mary tra l’erba alta del prato e le aveva mostrato il
ruscello con i pesci e il paguro eremita che in teoria non avrebbe dovuto
vivere lì, ma c’era. Le anatre erano uscite dai loro nidi e, con grande
sorpresa di Ellie, si erano limitate a galleggiare sull’acqua e non avevano
cercato di mangiarla nemmeno una volta.
Aveva mostrato a Mary la diga di sassi che avevano costruito per formare una
polla e vedere le creature che galleggiavano, nuotavano o strisciavano sul
fondo. Si erano sedute sulla sponda del ruscello ed avevano aspettato, ma mamma
e papà non erano venuti. Papà non era venuto perché sapeva che lì c’era Mary?
Papà aveva detto che i loro sogni erano un segreto e che nessun altro doveva
sapere che loro erano capaci di passeggiare nei sogni. Aveva fatto qualcosa di
sbagliato? Ora papà l’avrebbe abbandonata e non sarebbe mai più venuto, perché
lei aveva mostrato il loro posto speciale a Mary?
“Ti ricordi quando te l’ho detto?” chiese ancora Mary.
Ellie fissò l’anziana donna, sentendo nel suo cuore che il suo papà le avrebbe
voluto bene, proprio come gliene voleva lei, se solo l’avesse incontrata. Ne
era sicura. Se lei le avesse detto il suo segreto, forse Mary avrebbe potuto
aiutarla e allora il suo papà sarebbe riuscito a trovarla e a farla diventare
reale.
“Me hai detto tu …” cominciò a dire, poi chiuse la bocca, sentendo nel
corridoio avvicinarsi dei passi. Papà Dottore stava arrivando.
“Jenny!” Mary spronò la bambina perché finisse la frase che aveva cominciato.
Poi, anche lei, sentì i passi del Dottore e vide la luce spegnersi negli occhi
della bambina al rumore che si avvicinava alla cucina. Lui era quasi lì, e Mary
si chinò in avanti, quasi implorandola. “Quando, Jenny? Quando?”
Ellie abbassò gli occhi e guardò i toasts nel suo piatto. Con una voce così
bassa che Mary riuscì a sentirla a malapena, disse “Non ricordo.”
Johnson entrò in cucina con un sorriso in faccia e lo stomaco che brontolava,
ignaro di quello che aveva appena interrotto. Ellie si richiuse in se stessa
per proteggere il suo segreto. Mary ritornò alle omelettes che stava cocendo,
ma il suo appetito era sparito. C’era qualcosa di strano, lì. Qualcosa di molto
strano. Solo che non sapeva cosa fosse.
***
Max prese ancora un sorso di caffè, poi sciacquò la tazza e la mise sul
lavandino. Controllò il taschino della camicia, per essere sicuro di avere il
taccuino e la penna e prese la giacca dalla spalliera della sedia. Era ora di
andare a lavoro e di cercare di recuperare l’assenza del giorno prima.
“Stai uscendo?” gli chiese Liz dalla soglia della porta.
La testa di Max si sollevò alla sua apparizione, impreparato a vederla lì.
Pensava che lei stesse ancora dormendo. “Si.” disse, vedendola avvicinarsi. “Ho
pensato di arrivare un po’ prima, per cercare di recuperare in parte l’assenza
di ieri.”
Lei si fermò proprio davanti a lui, notando le ombre scure sotto i suoi occhi.
“Sembri stanco.”
“Sto bene.” tentò di rassicurarla Max. Era riuscito a dormire un paio d’ore
dopo che Matthew aveva fatto la poppata delle 2.
La mano di Liz gli accarezzò la guancia, mentre gli diceva “Forse dovresti
rimanere a casa anche oggi. Per riposarti. Per riacquistare al pieno le tue
forze.”
“No.” Max coprì la mano di lei con la sua. “Sto bene, veramente. Ieri ho
dormito tutto il giorno, ricordi?” Le baciò il palmo della mano e il telefono
squillò. Dandole una di quelle occhiate che le toglievano il respiro, le disse
“Vado io.”
Liz lo vide rispondere e non le ci volle molto per capire chi fosse.
“Si, sto bene. Stavo giusto uscendo … Ora? Stamattina?” Si girò verso Liz e
formò con la bocca il nome ‘Carl’, indicando il telefono. Lei l’aveva già
immaginato. “Vuoi che venga prima alla Stazione o preferisci che ti aspetti
qui? … Certo … Si … Okay … Ci incontriamo lì? … Oh … No, no, non posso farlo …
Devo essere solo, qualche volta, no? … Okay … Okay …Appartamento 514, va bene …
Okay, ci vediamo più tardi … va bene … Okay, ciao.”
“Era Carl.” disse Max riattaccando il telefono.
“Hai un incarico per stamattina?” chiese lei.
“Si.” traversò la cucina e la prese tra le braccia. Le spostò dal viso i
capelli ancora scarmigliati dal sonno, e disse “Devo tornare al Park Vista
sopra Beardsley Road, dall’altra parte del parco, per interrogare ancora i
vicini, nel caso di Adam Pruett. C’è ancora qualcosa che Carl vuole che io
chieda.”
Liz gli passò le braccia attorno alla vita e lo guardò in faccia, senza
riuscire a nascondere la sua preoccupazione. “Promettimi che se ti sentirai
stanco, tornerai a casa.”
“Lo prometto.” Max la baciò dolcemente sulle labbra. Se la strinse contro, la
testa di lei posata sotto il suo mento, e chiuse gli occhi. Cosa avrebbe fatto
senza di lei?
***
Tracy Coleman spense il motore del suo vecchio macinino e rimase seduta per un
momento dietro al volante, facendo un respiro profondo per calmarsi. Con la
somma che avrebbe guadagnato questa estate lavorando per il Dottor Sinclair,
forse avrebbe potuto finalmente farsi aggiustare la macchina. Dio sapeva che
sarebbe morta se non l’avesse fatta riparare al più presto. Guardò la sua
immagine riflessa allo specchio, sistemandosi una ciocca sfuggita allo chignon,
poi scese dall’auto.
Guardando l’orologio, si accorse che era qualche minuto in anticipo e fu
contenta di aver fatto le cose con calma, quella mattina. Non sarebbe stato
bello arrivare in ritardo proprio il primo giorno. Controllò l’indirizzo che si
era scritta su un foglio di carta e poi guardò l’edificio più vicino. Trovava
un po’ strano che il Dottor Sinclair avesse un laboratorio al centro di un
Residence, ma chi era lei per fare domande. Era comunque un lavoro!
Girò a sinistra, in cerca dell’indirizzo e ritrovò davanti ad un invitante
caffè. Aveva ancora del tempo, il profumo sembrava chiamarla e lei non seppe
resistere. Spinse la porta ed entrò, fissando il menù sulla parete. Avrebbe
preso un latte? Un espresso? Decisioni, decisioni. Era in fila dietro ad un
ragazzo con le spalle larghe ed un gran bel sedere e questo le fece ricordare
che ultimamente era stata sola. Si chiese se davanti fosse stato interessante
come di dietro. Lui mise una mano nella tasca posteriore per prendere il
portafoglio e a Tracy piacque anche la sua mano. Era una mano dannatamente
sexy. Lui rimise a posto il portafoglio e si girò con una tazza di caffè in una
mano e una ciambella nell’altra, e finalmente lei riuscì a guardarlo in faccia.
Oh, mamma mia, se era bello! Guarda quegli occhi! Guarda quel mento! Quel naso!
Ma … aspetta … le sembrava di conoscerlo.
Max pagò la ciambella ed il caffè e si girò per uscire. Il suo appuntamento con
il signor Decker era tra un quarto d’ora, giusto il tempo perché lo zucchero
gli entrasse in circolazione e la caffeina lo svegliasse. Quasi si scontrò con
la ragazza che stava dietro di lui e le disse “Chiedo scusa.” guardandola a
malapena. Si diresse verso la porta, per andare a sedersi al piccolo tavolo
libero che aveva visto fuori.
“Max?” disse Tracy alla figura che arretrava. “Tu sei Max?”
Lui si girò per vedere chi lo chiamasse. La ragazza che era in fila dietro di
lui lo stava guardando, e gli ci volle un attimo per ricordare chi fosse. “Tracy?”
“Si!” lei gli sorrise. Il cameriere dietro al bancone li interruppe e lei
ordinò in fretta un bicchiere di latte, per girarsi di nuovo a parlare con Max.
“Come sta Liz? E il bambino?”
“Bene!” Max era radioso. “Benissimo!” Aveva incontrato Tracy qualche volta e
l’aveva trovata simpatica. A Liz piaceva averla come collega di laboratorio.
Diceva che lavoravano bene insieme.
“Quanto tempo ha, ora?” chiese Tracy, pagando il suo latte ed avvicinandosi a
Max.
“Sabato avrà tre settimane.” Max non poteva fare a meno di sorridere. “Ho una
fotografia. Vuoi vederla?”
“Certo!” disse Tracy entusiasta.
Max si guardò intorno in cerca di un posto per sedersi e vide un tavolo vuoto
vicino alla porta. Dette un veloce morso alla sua ciambella mentre prendeva il
suo portafoglio. ne tirò fuori una foto che porse a Tracy, dicendo “Questo è
Matthew quando aveva circa dodici ore.”
“Ohhhhh.” tubò Tracy. “E’ così carino!” Lei poteva dire con certezza che il
piccolo somigliava molto al padre.
Max non la smetteva più di sorridere. Anche lui pensava che Matthew fosse
davvero carino e adorabile.”E questo è lui ad una settimana e credo che qui
abbia due settimane. Si.” e le tese le foto formato portafoglio. “Qui ce n’è
un'altra a due settimane. E questa è la mia preferita. Siamo tutti e tre
insieme.” Max le diede una foto di lui, Liz e Matthew, fatta proprio la scorsa
settimana. Pensava che in quella foto Liz fosse molto bella, con Matthew in
braccio. Lui era dietro a Liz, con un grande sorriso sul viso.
“Oh, che bella famiglia.” sorrise Tracy. “Ora vi serve una femminuccia e sarete
una famiglia perfetta!”
Max cercò di non reagire alla frase, e si limitò ad annuire, dicendo “Si.”
Tracy non sapeva di Ellie. Erano in pochi a saperlo.
“sei così fortunato.” sospirò Tracy, restituendogli le fotografie. Aveva
cominciato a chiedersi se sarebbe mai riuscita a trovare il Signor Persona
Giusta.
“Devi venire a vederlo, un giorno di questi.” suggerì Max, riponendo le foto.
“E a Liz farà piacere vederti. Credo che stia diventando claustrofobica, chiusa
in casa tutto il tempo. Dovresti chiamarla.”
“Lo farò.” disse Tracy eccitata. “E le parlerò anche del mio nuovo lavoro.”
“Nuovo lavoro?” Max inarcò le sopracciglia.
“Si.” e guardò l’orologio. “Oh! Sarà meglio che vada! Mi devo presentare oggi e
non voglio arrivare in ritardo.”
“Dove lavori?” chiese Max curioso.
“Proprio in quel blocco di edifici.” rispose lei. “Faccio un internato di
ricerca per il Dottor Sinclair. Sono stata fortunata che Liz si sia presa
l’estate libera, perché altrimenti il lavoro sarebbe stato suo. Ora devo
correre. Salutami Liz!”
“Lo farò.” Max le fece un cenno di saluto mentre lei si dirigeva verso
l’uscita. Era una ragazza simpatica. Magari avrebbe potuto presentarla a Chris.
Era da un po’ che il ragazzo andava in bianco.
***
“Fatto tutto.” dichiarò Ellie alzandosi dalla tavola. Prese il piatto del suo
pranzo e gettò il bordo dei toast nella spazzatura, poi si alzò sulla punta dei
piedi per posare il piatto sul lavandino.
“Vieni a lavarti.” Mary sorrise alla vista del suo visino sporco di burro di
arachidi e marmellata. A fatica, la prese in braccio e la fece sedere sul
ripiano pensando che non sarebbe passato molto tempo prima di non riuscire più
a farcela. Toccò la punta del naso di Jenny e le disse “Stai diventando
grande.”
“Io sono una ragazza, adesso"!” Ellie alzò le braccia entusiasta.
“Certo che lo sei!” Mary le pulì il viso, mentre Ellie cominciava a
sbadigliare. “Sei pronta per il riposino, tesoro?”
“Me non sono ttanca!” Ellie sbadigliò ancora.
“Non lo sei, vero?” la prese in giro Mary.
“No!” e si strofinò gli occhi. “Le ragazze grandi non fanno riposino!” Mary la
rimise sul pavimento poi le prese la mano per portarla in camera.
“Io so contare adesso!” annunciò Ellie, mentre correva saltellando su una gamba
per il corridoio.
“Davvero?” l’assecondò Mary.
“Si! Uno, tue, cimpe, sette, tre …”
Mary non riuscì a trattenere una risata.
***
Mary socchiuse la porta della camera da letto di Jenny e si diresse verso
l’entrata principale. Jenny credeva di non essere stanca, ma si era
addormentata appena la testa aveva toccato il cuscino. Arrivata alla porta,
digitò la combinazione di sicurezza e, sentito il click, l’aprì e uscì sul
pianerottolo. Ormai era abituata alle procedure di sicurezza che il Dottore
pretendeva.
Si fece strada nel corridoio sterile e raggiunse un altro pannello di
sicurezza, dove si fermò ad inserire il codice che permetteva l’accesso al
laboratorio. Lei non vi entrava molto spesso, e non sarebbe stata lì se non
fosse stato per la nuova assistente del Dottore. Voleva conoscerla.
Quando la luce diventò verde, Mary entrò con cautela nel laboratorio, girando
lo sguardo alla ricerca del Dottore.
“Dottore?” chiamò, non vedendolo. “Dottore?” Non le era permesso entrare a
causa degli esperimenti che lui stava conducendo. Una contaminazione poteva
rovinare settimane, persino anni, di prezioso lavoro. “Dottore?”
“Mary?” la sua testa sbucò da una delle porte in fondo alla stanza. Lei sapeva
che il laboratorio era ampio, prendendo un intero piano dell’edificio, ma lei
non era mai andata oltre quella stanza.
“Jenny sta facendo il suo riposino.” spiegò Mary. “Ho pensato di approfittarne
per …”
“Oh, si.” disse Johnson ricordandosi del motivo per cui lei era lì. “Tracy?”
infilò di nuovo la testa nella porta. “C’è qualcuno che vorrei presentarle.”
Una ragazza, Mary pensò che avesse circa vent’anni, uscì sorridendo dalla
porta. “Mary, questa è Tracy. Probabilmente sarà qui per la maggior parte
dell’estate. Tracy, questa è Mary, la mia governante.”
“Felice di conoscerla, Mary.” Tracy sorrise e si avvicinò con la mano tesa.
“Piacere mio.” rispose Mary, stringendola.
“Oggi Tracy sta solo prendendo confidenza col laboratorio.” spiegò Johnson.
“Comincerà a lavorare domani. Le ho dato la tessera per l’ascensore e per
l’accesso al laboratorio.” Se tutto fosse andato secondo i suoi piani, Johnson
pensò tra sé, questa sarebbe stata l’unica occasione in cui Mary e Tracy si
sarebbero incontrate.
“Bene. Vi lascio lavorare.” Mary fece un passo indietro. “Volevo solo fare un
saluto.”
“Sono contenta di averla conosciuta.” disse Tracy educatamente.
dentro di se, si sentiva leggermente a disagio. Questo era il suo primo lavoro
attinente al suo campo di studio e, mentre era preparata per un alto livello di
tecnologia, l’eccessivo livello di sicurezza la lasciava un po’ sconcertata.
Aveva dovuto usare il citofono interno al palazzo per chiamare il Dottor
Sinclair nel laboratorio, perché l’ascensore non poteva scendere senza la
tessera di accesso. E, a meno che non ne fossi a conoscenza, non avresti mai
potuto immaginare che nel sottosuolo c’era un laboratorio di ricerche
biologiche.
La sua giornata finì e quella sera, mentre preparava gli abiti per il giorno
successivo, fece bene attenzione a non dimenticare la tessera di accesso. Non
vedeva l’ora di cominciare a lavorare. Scivolando nel letto, ripensò al suo
breve incontro al bar, quella mattina. Accidenti, che bel ragazzo era Max Evans!
Magari poteva chiedere a Liz se aveva un fratello. Tracy si addormentò pensando
a Liz, e a quanto fosse fortunata con un maritò così bello ed un figlio così
delizioso, e con la sua perfetta piccola vita.
***
Max stava disteso sul letto, con le mani sotto la testa, fissando il soffitto
della camera. Sentì Liz che stava mettendo Matthew nella sua culla, poi ne
avvertì il passo leggero per il corridoio, mentre si avvicinava alla camera. Il
letto si abbassò quando lei si infilò sotto le coperte, poi il suo corpo caldo
fu contro quello di Max. Appoggiò la guancia contro il petto di lui, ascoltando
il battito del suo cuore e lui fece scivolare un braccio sotto di lei per
stringerla a se.
“Forse domani.” disse piano Liz, tentando di lenire il suo dolore.
“Forse.” La voce di Max era piena di pena. Per la seconda notte di seguito non
avrebbe potuto connettersi con Ellie. Ma, soprattutto, non sarebbe stato in
grado di portare Liz nel mondo dei sogni. Il suo potere non si era ancora
rigenerato e lui si sentiva alla deriva, isolato, separato dalla persona con
cui voleva essere. Disconnesso.
“E se l’avessi persa, Liz?” Al solo pensiero Max sentì un dolore immenso. Con
la luce debole, riusciva a vederla poco, ma non gli importava. Il suo viso
innocente era davanti ai suoi occhi.
“Max …” disse dolcemente Liz. sapeva che lui stava pensando ad Ellie.
“E se avessi perso la capacità di raggiungerla?” Il senso di colpa lo
opprimeva. Spingendosi troppo oltre aveva perso l’unico modo in cui Liz poteva
vedere sua figlia? Sapeva che Ellie era in grado di raggiungere lui nei sogni,
ma se lui non fosse più stato in grado di connetterla con Liz, in modo che
anche lei fosse in grado di unirsi a loro?
Liz sollevò la testa dal suo petto e si spostò nella sua parte del letto. Max
avvertì immediatamente la perdita del suo calore, poi le braccia di lei lo
attirarono a sé, mentre diceva “Vieni qui.” Lui si accoccolò contro di lei,
posando la testa sul soffice cuscino del suo seno, e chiuse gli occhi
respirando il suo profumo. Lei aveva sempre la capacità di consolarlo.
“Non l’hai persa, Max.” Liz gli passò le dita tra i capelli. “Hai solo bisogno
di ricaricare le tue batterie, questo è tutto.”
“Spero che sia così …” La mano di Max si posò sul torace di lei, avvertendo la
pelle delicata sotto il sottile tessuto della camicia da notte.
“Ne sono sicura.” disse lei tranquilla.
Lui non riuscì trattenere un piccolo sorriso. Lei era sempre così sicura. Il
ritmo regolare del suo cuore era un sollievo per la sua mente tormentata, il
soffice tocco delle dita di lei contro la sua pelle riusciva a placare il suo
senso di colpa, il delicato salire e scendere del suo seno lo cullava in un
modo che riusciva solo a lei. I suoi occhi divennero pesanti mentre si
immergeva in un sonno profondo e ristoratore. Un sonno senza sogni, un sonno
risanatore, sicuro tra le braccia di lei.
“Dormi bene, amore mio.” sussurrò Liz quando il suo respiro si fece regolare.
“Dormi bene.”
Continua...
Scritta
da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di
Coccy85 |