Roswell.it - Fanfiction

CRESCERE, E SOPRAVVIVERE


Riassunto: Max, Isabel e Michael sono alle prese con i problemi comuni a tutti i loro coetanei, ma talvolta le cose si fanno un poco più complicate...

Data di stesura: luglio 2001.

Valutazione: adatto a tutti.

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.


“…Sì, sono davvero cambiata da allora. Sento di esserlo. Mi sono successe tante cose ed ho provato troppe emozioni diverse perché possa pensare di essere ancora la Liz Parker di due anni fa… Sono cresciuta. E anche Max è cambiato. E’ diventato un uomo, l’uomo che io amo con tutta me stessa, ogni giorno di più. A volte mi vergogno per la felicità che provo sapendo che non farà mai ritorno al suo pianeta. Deve essere terribile perdere completamente il proprio passato, soprattutto quando si è tanto lottato e sofferto per ritrovarlo, e mi dispiace che questo sia il prezzo che Max, e gli altri, hanno dovuto pagare per sopravvivere. Ma poiché significa che ci sarà un futuro per noi due non posso che esserne contenta! Roswell è solo un gruppo di case sperduto nel deserto del New Mexico, però è anche la città dove un giorno, dal cielo, è arrivato Max Evans, il ragazzo con una buffa fossetta sul mento che mi ha salvato la vita e rubato il cuore, ed io lo trovo il posto più bello del mondo!”
- Liz, sei pronta? -
Al suono della voce di Maria la ragazza ripose in fretta il suo diario segreto e si diede un’ultima occhiata allo specchio. Soddisfatta del risultato prese al volo la borsetta sulla scrivania. - Eccomi, arrivo! -
Le due amiche ebbero appena il tempo di scambiarsi alcuni complimenti prima che le porte a vetri del Crashdown Café si aprissero per lasciar entrare Max e Michael.
- Ehi, che puntualità! - Maria lanciò uno sguardo apprezzatore a Michael, completamente vestito di nero, e sorrise nel vederlo avanzare verso di lei con la mano tesa. Sì, certo, era ancora impacciato nei suoi confronti, ma stava combattendo con valore e meritava un premio! Allungò un braccio per prendergli la mano, poi gli si avvicinò e gli diede un bacio lungo ed intenso che fece sorridere Liz.
- Sei bellissima come sempre, Liz -
Al suono di quella voce bassa e tanto amata la ragazza girò la testa quel tanto che le permise di agganciare lo sguardo di Max, e per un attimo sentì il cuore balzarle in gola. Con un sorriso incerto gli si accostò e pose delicatamente una mano sul suo collo, laddove il tessuto candido della camicia lasciava scoperto un lembo di pelle.
Nel sentirla trattenere il respiro per poi lasciarlo andare con un piccolo gemito di sollievo, il giovane le coprì la mano con la propria guardandola interrogativamente.
- Brillavi… Stamattina ti ho baciato proprio lì, ricordi?, e ora… la tua pelle era luminosa… ma adesso è tutto a posto -
Max si intenerì nel vederla raddrizzare le spalle quasi a voler imprimere maggior forza alla sua ultima affermazione. - La nostra biochimica ha uno strano modo di reagire quando entrano in gioco gli ormoni… - disse pianissimo per essere sentito solo da lei.
- Sì, me ne sono accorta - Liz inspirò a fondo. Era davvero faticoso stare sempre all’erta, ma certo ne valeva la pena! Senza dire altro gli mise le braccia intorno al collo e lo baciò.
 - Ragazzi, non fate troppo tardi, mi raccomando! -
All’udire la voce decisa del signor Parker le due coppie si sciolsero di scatto.
Liz, il volto imporporato per l’imbarazzo, si girò verso il padre. - Sì, va bene. Buonanotte - disse a disagio.
- Buonanotte, e divertitevi -
Max accennò un sorriso in segno di risposta e, presa la ragazza per mano, la trascinò quasi verso la porta d’ingresso seguito a ruota da Michael e Maria.
Nel vederli arrivare Isabel, che era rimasta in macchina con Alex, avviò il motore e si accinse a seguire la jeep.
Di lì a mezz’ora il piccolo gruppo si ritrovò nel locale in cui, una volta a settimana, venivano fatte gare di karaoke. Quella sera, invece, c’era un complessino che suonava dal vivo e Maria e Max condussero subito i rispettivi partners sulla pista da ballo.
Rimasti soli, Isabel e Alex ordinarono qualcosa da bere. Alex avrebbe voluto invitare la ragazza a ballare ma sentiva che la sua proposta non sarebbe stata accolta favorevolmente. Dopo un lungo silenzio si decise infine a chiederle cos’avesse.
Isabel si volse a guardare pensosa il fratello che ballava stretto a Liz. Sembravano entrambi persi nella musica, come se fossero soli e non in mezzo ad un’incredibile folla. Perfino Michael dava l’impressione di essere perfettamente a suo agio mentre ballava abbracciato a Maria. Lei, invece, si sentiva nervosa, tesa, triste. Con fare distratto bevve una lunga sorsata di coca cola e, quasi controvoglia, tornò a guardare Alex. - Non lo so… Stasera mi sento un po’ giù ma non saprei dirti perché… - Prese una patatina e la intinse nella piccola ciotola di chili che il cameriere aveva portato con le bibite. - E’ come se… se fossi vuota… Dentro, capisci? - Scosse piano la testa e un ricciolo le scivolò sulla guancia. - A dire il vero non lo capisco neppure io… E’ che… ho come la sensazione… come se la mia vita fosse sospesa… -
Il giovane le prese affettuosamente una mano e se la portò alle labbra. - In fin dei conti abbiamo soltanto diciott’anni. Magari ti senti così solo perché in questo momento non sai cosa fare quando avrai finito l’università - Sorrise, poi si sporse per mandarle il ricciolo ribelle dietro l’orecchio. - Hai ancora molto tempo davanti, prenditela con calma… Finora hai dovuto darti da fare per sfuggire all’FBI, hai lottato contro gli invasori del tuo pianeta, hai resuscitato tuo fratello… Isabel, ne hai passate tante da riempire una vita intera! Adesso rilassati…. pensa solo agli studi, a me… -
A quelle ultime parole la ragazza sorrise suo malgrado. - Sì, forse hai ragione… -
- Certo! Naturale! Io ho sempre ragione! Dai, andiamo a ballare… - e si alzò porgendole il braccio.
Dopo una brevissima esitazione Isabel accettò l’invito e lo seguì sulla pista.
Mentre si muovevano al dolce ritmo di una canzone romantica la ragazza posò la testa sulla spalla di Alex, la fronte contro la sua mascella. Dato il particolare stato d’animo la sua mente era molto ricettiva e senza neppure rendersene conto si ritrovò proiettata nei pensieri di Alex. Ancora una volta si vide con gli occhi di lui, ed era bellissima, con un raffinato abito da sposa e un’elegante acconciatura che le lasciava scoperto il collo. Sentì l’amore che provava per lei e l’emozione le fece salire le lacrime agli occhi. - Cosa farei senza di te? - sussurrò stringendolo più forte.
Ignaro di quello che era successo, Alex la guardò sorridendo. - Mi inventeresti, naturalmente! -
Seguirono poi alcuni pezzi dal ritmo molto veloce e ben presto si ritrovarono circondati da una folla di visi familiari, amici, vecchi compagni di scuola, perfino lo sceriffo Valenti con Amy DeLuca, la madre di Maria, e Isabel riuscì a godersi la serata, sentendosi di nuovo la spensierata ragazza che era stata prima che tutto avesse inizio.

Quando uscirono dal locale era quasi l’una. Michael e Maria se ne andarono con la jeep e Alex si offrì cavallerescamente di guidare al posto di Isabel, che si sentiva molto stanca.
Arrivati davanti al Crashdown Max scese per accompagnare Liz fino alla porta. - Sono stato bene, stasera… - disse guardandola mentre girava la chiave nella serratura.
La ragazza si voltò sorridendo verso di lui. - Sì, anch’io. Mi piace molto ballare con te -
Lui le ricambiò il sorriso poi l’accarezzò su una guancia e si chinò in avanti per baciarla.
Travolta dal desiderio Liz gli si strinse contro passandogli entrambe le braccia dietro il collo.
- Fosse per me ti sposerei domani! - disse ad un tratto Max, il respiro ansante per la forza delle emozioni che stava provando.
- Perché non adesso? - chiese Liz con il riso nella voce.
Il giovane le prese il volto fra le mani e le diede un ultimo bacio sulla fronte. - Sognami, stanotte -
Colpita dal suo tono serio la ragazza lo guardò intensamente negli occhi. - Sì - rispose dopo un attimo, poi gli sorrise di nuovo ed entrò in casa.
Mentre si avvicinava all’auto Max si rese conto che sua sorella ed Alex si stavano baciando appassionatamente così rallentò il passo e diede un’occhiata tutt’intorno a sé.
Era una serata molto bella, non eccessivamente calda, e l’aria limpida attirava lo sguardo verso le miriadi di stelle che brillavano in cielo. In quel momento rimpianse di non avere più la jeep perché avrebbe fatto volentieri un giro nel deserto. Si voltò a guardare ancora una volta il Crasdown, e soprattutto la piccola terrazza del piano superiore, poi si mise le mani in tasca e s’incamminò di nuovo verso la macchina.
Fu Alex ad accorgersi per primo di lui e a malincuore si allontanò da Isabel. - Tuo fratello sta tornando… - disse piano.
- Cosa? Chi? - mormorò lei per tutta risposta.
- Max. Tuo fratello, ricordi? - insisté divertito.
- Oh - Con pochi gesti rapidi si aggiustò la magliettina di seta e tulle poi guardò fuori dal finestrino. - Sì, è qui-
- Già, certo, è quello che ho detto - Con una smorfia allegra le diede un piccolo bacio sulla guancia. - Sei perfettamente a posto, cara, stai tranquilla! -
Non appena Max si fu accomodato sul sedile posteriore Alex mise in moto e guidò verso casa sua.
Stavolta fu Isabel a scendere per gli ultimi saluti, e Max ne approfittò per mettersi al posto di guida.
Quando infine si ritrovarono soli, il giovane diede una lunga occhiata alla sorella. - Mi sembri tesa. Qualcosa non va? - chiese gentilmente.
La ragazza si strinse nelle spalle. - Non lo so. A volte vorrei avere la tua forza, la tua sicurezza… Per te avere ritrovato la memoria è stato come guadagnare una doppia vita, a me è servito solo ad avere le idee più confuse su chi sono e cosa sono… -
- Capisco. Era di questo che stavi parlando con Alex, poco fa? - chiese ancora, stavolta con un’espressione divertita.
- No, stupido! - Isabel gli diede uno scappellotto affettuoso sulla nuca. - Poco fa ci siamo ispirati a te e Liz… - Tornando seria la ragazza reclinò il capo sul poggiatesta e lo guardò incuriosita. - Avete davvero intenzione di sposarvi? -
Max accennò un piccolo sorriso. - Sì, certo. Appena finiti gli studi, spero. E tu, invece? Come vanno le cose con Alex? -
- Bene, direi. Lui… mi capisce, mi fa sentire… normale -
- Ma vorresti qualcosa di più? -
- Beh, non pretendo di trovare quello che avete voi due… -
- Cosa vuoi dire? -
Isabel fece un gesto vago con la mano. - Quando state insieme sembrate una cosa sola, e quando siete separati c’è come un filo che vi unisce. A volte v’invidio -
Il sorriso del ragazzo si fece più ampio. - Grazie del complimento! -
La sorella fece una smorfia. - Non voleva esserlo -
Max scoppiò a ridere, e in quel momento raggiunsero il vialetto d’accesso al garage di casa. Parcheggiata l’auto, spense il motore e si voltò verso di lei. - Devi avere più fiducia in te, Isabel. Sei una ragazza in gamba, non dimenticarlo mai! -
Isabel annuì in silenzio, consapevole della verità contenuta nelle parole del fratello, poi scese dalla vettura e si diresse verso casa senza aspettarlo.
Una volta ritiratosi in camera sua Max si preparò per andare a dormire continuando a ripensare alla conversazione appena avuta con Isabel poi, con una scrollata di spalle, si buttò sul letto e rimase per un po’ a guardare il soffitto, le mani intrecciate dietro la nuca. Isabel aveva sempre dato un’impressione di grande sicurezza di sé mentre in realtà si trattava di una maschera per tenere gli altri a distanza, nel timore di lasciar trapelare il loro segreto. Ma nonostante tutto anche loro avevano delle esigenze, e dovevano trovare il modo di conviverci. Con un sospiro si voltò di lato chiudendo gli occhi. “La mia esigenza è solo una. Tu, Liz…” e scivolò nel sonno per insinuarsi nell’inconscio della sua compagna.

- …e…? - Maria fissò Liz mentre preparava il dosatore per la caffettiera.
- E… sì. E’ stato proprio come se fosse con me - Si mordicchiò il labbro inferiore con aria sognante. - Lo amo da morire… -
- Già, me n’ero accorta - La ragazza fece una smorfia simpatica poi si allungò oltre il bancone sentendo la porta d’ingresso aprirsi. - Oh oh, guarda chi arriva! - Si volse di scatto a toglierle la brocca del caffè dalle mani. - Vai, ci penso io, qui… -
- Cosa…? - Sorpresa, Liz osservò per un attimo Maria darsi da fare al suo posto poi si rese conto della presenza di Max e gli corse incontro inseguita dalla voce dell’amica. - Venti minuti, non uno di più! -
Liz rise contenta e, preso Max per mano, lo sospinse con fare allegro verso il retro del locale.
- Ehi, Liz, cosa stai facendo? - chiese lui stupito.
- Hai sentito Maria, no? Abbiamo solo venti minuti! - Poi, senza dargli il tempo di dire altro, si chiuse alle spalle la porta del piccolo magazzino e quasi gli strappò i bottoni della camicia per la fretta con cui lo spogliò prima di coprirgli il petto di baci affamati.
Con le braccia bloccate dall’indumento solo parzialmente sfilato, Max chiuse gli occhi e rabbrividì per il piacere mentre dalle labbra il respiro gli usciva corto e spezzato. Quando poi Liz lo prese per la vita attirandolo a sé riuscì a liberarsi della camicia e, altrettanto freneticamente, le sbottonò il vestito.
Nel tentativo di mantenere l’equilibrio i due giovani finirono contro la parete, e quando l’impeto del loro rapporto ebbe termine rimasero per qualche secondo a guardarsi negli occhi, ansanti e sconvolti.
Max circondò con le mani il volto di Liz. - Ti ho fatto male? - domandò a bassa voce.
La ragazza scosse piano la testa e sorrise. - No. Dopo il sogno di stanotte volevo tanto averti anche nella realtà… -
- E io volevo te. Ma ho sbagliato ad usare così i miei poteri… Non è giusto per nessuno dei due -
Cercando di riordinare le idee Liz rimase in silenzio mentre si rivestiva, poi cercò il suo sguardo. - Senti, Max, ormai i nostri genitori sanno cosa proviamo, e se vogliono far finta di non vedere, beh, è un problema loro! - Gli porse la camicia e gli diede un’ultima carezza sul torace. - Ma ti prego, non rinunciamo a tutto questo solo perché loro ci credono ancora dei bambini! -
Il giovane le sfiorò delicatamente il ventre. - E’ tutto ok - disse dopo un attimo. D’impulso la prese tra le braccia e le diede un bacio sui capelli. - E’ questo che mi fa stare male, Liz… Io… Liz, forse non dovrei chiedertelo… ma… - Sospirando poggiò la fronte contro la sua. - Il giorno in cui sentirò qualcosa, ti prego, sposiamoci! Anche se dovesse succedere domani… -
A quelle parole Liz sorrise e gli sfiorò le labbra con un bacio gentile. - Lo sai che se fosse per me ti sposerei anche subito, bambino o no… -
- Sì, lo so, volevo solo sentirtelo dire di nuovo… - Max sorrise a sua volta, gli occhi colmi di tutto l’amore che provava per lei.
- Bene. Ora, però, devo tornare al lavoro. Mi dispiacerebbe creare dei problemi a Maria, visto che è stata così gentile… -
- Ok. A stasera, allora? -
- Sì, a stasera. Ciao -
- Ciao - Max la guardò uscire dalla piccola stanza e attese qualche minuto prima di seguirla. Si rendeva perfettamente conto di stare scherzando col fuoco ma proprio non riusciva a stare lontano da lei, e certo non gli era d’aiuto sapere che per Liz fosse lo stesso. Ma dopo tutto quello che avevano passato in quegli ultimi tempi come potevano i loro genitori pretendere che aspettassero ancora due anni e mezzo? Mise con fermezza la mano sulla maniglia ed aprì la porta. “Diciott’anni o venti non fa differenza. Come fanno a non capirlo?” Scuotendo la testa uscì ed attraversò il locale seguito dallo sguardo sognante di Liz.
Una volta in strada si guardò pensosamente intorno. Isabel lo aveva lasciato davanti al Crashdown prima di andare a far compere con un’amica, promettendogli di essere di ritorno per l’ora di pranzo, per cui aveva un bel po’ di tempo libero davanti a sé. Dopo una brevissima esitazione s’infilò le mani in tasca e si diresse di buon passo verso casa di Michael.
Il giovane si era appena svegliato così lo fece accomodare in cucina e si mise a preparare un’abbondante colazione per entrambi. - Beh, allora? Come mai da queste parti alle nove del mattino? -
Max si strinse nelle spalle. - Volevo vedere Liz - disse semplicemente.
- Immaginavo che non fossi caduto giù dal letto per venire da me… - Michael depose sul tavolo due ciotole piene di cereali e cominciò a versarvi latte e zucchero. - E’ davvero importante per te, vero? Secondo Isabel ti ha salvato la vita più di una volta senza neppure saperlo -
- Sì, lo so - e davanti alla sua espressione stupita aggiunse: - Ho dei vaghi ricordi -
- Bene! Bene, mio signore e padrone, la tua scelta si è rivelata perfetta! Ricordo ancora quando dicesti che non dovevamo avere alcun legame con la gente di qui… -
Sentendo l’amarezza nella sua voce Max lo guardò di sottecchi. - E con Maria come va? -
- Non lo so - Michael inghiottì qualche boccone in silenzio, poi, con espressione impenetrabile, riprese a parlare. - Non importa chi fossi su Antar, qui non ho niente, non sono nessuno… E sua madre se la fa con lo sceriffo. Che possibilità vuoi che abbia? -
A quelle parole Max scoppiò a ridere. - E tu ti lasci fermare da questo?!? Michael, la vita è troppo breve per sprecarla così! -
- Tu ne sai qualcosa, vero? - rispose il giovane con tono acido.
- Sì, e ti consiglio di darti da fare! - Max girò con fare pensoso il cucchiaio nella ciotola. - A volte sembra tutto molto difficile e complicato… Guarda quello che abbiamo fatto sul nostro pianeta, quello che eravamo prima di venire uccisi e clonati… Eppure adesso siamo qui a discutere di queste cose come se fossero problemi insormontabili! -
Michael lo fissò a lungo senza dire nulla, poi si lasciò andare contro lo schienale della sedia. - E lo sono? -
- No, se non vuoi che lo siano - fu la pronta risposta.
- La cosa vale per tutti, giusto? -
Max sorrise suo malgrado e si alzò in piedi. - Giusto. Grazie per la colazione -
- Figurati… - Poi, mentre lo guardava andarsene ebbe un ripensamento e lo rincorse fuori nel corridoio. - Vuoi le chiavi della jeep? -
Il giovane si voltò un attimo sorridendo. - No, la jeep è tua, adesso… -
Avendo voglia di camminare fece una breve telefonata alla sorella per avvertirla di non passare a prenderlo e s’incamminò verso casa a piedi. Fu una passeggiata piuttosto lunga, e quando infine giunse a destinazione aveva molta sete per cui entrò direttamente in cucina dalla porta sul retro. Si versò un bicchiere di latte freddo e mentre beveva si diresse in soggiorno. - Mamma, dove sei? - Si fermò di colpo e un’occhiata gli fu sufficiente per capire la situazione.
- Caro, non ti aspettavo di ritorno così presto… - Sua madre sedeva sul divano e quasi balzò in piedi nel vederlo arrivare.
Con lei nella stanza c’erano cinque uomini vestiti di scuro e l’inconfondibile aspetto di federali.
- Questi agenti desiderano parlare con te - Nonostante gli sforzi il viso della donna era chiaramente preoccupato e Max sentì la furia montargli dentro. - Che cosa volete da noi? - chiese con voce secca.
- Max Evans? -
Il giovane guardò con espressione remota colui che aveva parlato. - Chi siete e che cosa volete? - ripeté.
- Il nome John Cornell ti dice niente? -
- No, dovrebbe? -
- E Pierce? -
- No -
- Ma insomma, perché volete parlare con mio figlio? - s’intromise la signora Evans, incapace di nascondere l’angoscia di cui era preda.
- Perché Max Evans non è suo figlio -
- Beh, sì, è stato adottato… ma questo cosa c’entra? -
- Sa chi fossero i suoi veri genitori? -
- Lasciatela in pace! - Max fece un passo verso l’agente che stava parlando ma subito si sentì afferrare alle spalle.
- Fermo dove sei, amico. Sappiamo cosa puoi fare, così non te ne daremo la possibilità - L’uomo fece un piccolo cenno col capo e i due federali che tenevano Max cominciarono a trascinarlo via.
- No, smettetela! -
Mentre guardava la madre aggrapparsi disperatamente al braccio dell’agente che comandava il drappello Max s’irrigidì e oppose resistenza fino a liberarsi. Attaccato da più lati, si difese con forza riuscendo a fuggire ma appena ebbe varcato la soglia qualcuno sparò un colpo in aria.
- Fermo o la prossima volta miro più in basso! -
Lentamente Max si voltò e, quasi con noncuranza, scostò le mani dai fianchi.
Temendo un nuovo attacco, l’uomo più vicino a lui lo colpì con violenza alla tempia col calcio della pistola.
- Mi spiace ma deve venire con noi, signora… -
Sconvolta per tutto quello che era successo sotto i suoi occhi la donna si lasciò condurre via senza protestare.

Il tragitto in macchina diede a Max il tempo di riprendersi e si sentì in preda allo sconforto quando comprese dove erano diretti. Mentre era svenuto qualcuno gli aveva incatenato i polsi dietro la schiena, e venne tirato giù dall’auto con tale forza che cadde per terra. Di lì a poco si ritrovò nelle viscere del vecchio ospedale militare, appeso ad un grosso anello d’acciaio in una delle tante stanze attrezzate a laboratorio.
Senza dire una parola il capitano Ross, il capo della squadra di cacciatori, tirò fuori da una cartella alcune lastre e delle foto.
Nel vederle Max strinse i pugni. Chissà dove diavolo erano state nascoste…
- Da queste analisi risulta senza alcun dubbio che cosa sei realmente, così adesso devi solo dirci che fine ha fatto l’astronave con cui sei arrivato e se è sopravvissuto qualcun altro… - Mentre un uomo si avvicinava all’alieno il federale soggiunse quasi per caso: - Purtroppo sappiamo che non è possibile interrogarti con la droga, così bisogna ricorrere ai vecchi metodi tradizionali. Quando avrai voglia di parlare basta che lo dica -
Da quel momento fu sottoposto ad un pestaggio metodico ed accurato e sua madre, immobilizzata su una sedia in una piccola stanza buia con una parete di vetro mimetizzato, fu costretta ad assistere impotente.
Avrebbe voluto gridare perché smettessero di fare del male al suo ragazzo ma ricordava fin troppo bene le parole di Max. Per quegli uomini lui era soltanto un essere da vivisezionare e niente li avrebbe fermati se non la risposta alle loro domande. Domande che continuavano a rivolgere inutilmente anche a lei.
Sul punto di sentirsi male davanti alla maschera insanguinata che era ormai il volto di Max, emise un debole lamento e chinò la testa da un lato senza più riuscire a trattenere le lacrime.
“Mamma…”
Il richiamo nacque improvviso nella sua mente e la donna sollevò di scatto il capo per guardare il figlio. Max aveva il mento chino sul petto eppure le dava l’impressione che la stesse fissando. Si raddrizzò allora sulla sedia e lo chiamò sottovoce pensando assurdamente che potesse udirla.
“Mamma, ti prego, aiutami… Chiama Isabel…”
“Come? Oh, Max, come posso…?”
“Pensa a lei… pensa a lei con tutte le tue forze…”
Mordendosi le labbra per la disperazione la signora Evans continuò a fissare il ragazzo lottando con se stessa per concentrarsi su Isabel.

- Ehi, sei stata a far spese, a quanto vedo! -
Isabel agitò allegramente le eleganti buste che aveva in mano. - Già. Sei rientrato presto, oggi. Come mai? -
L’uomo attese che la raggiungesse e le posò un braccio sulle spalle. - Tu e Max mi siete mancati molto, in questi ultimi mesi, così ho deciso di approfittarne prima che torniate all’università! - Aprì la porta di casa e le fece cenno di entrare.
- Oh mio dio… - Nel vedere i mobili del soggiorno sottosopra la ragazza lasciò cadere in terra le buste e avanzò lentamente di qualche passo. - Mamma? Mamma, dove sei? - chiese a voce alta. - Max? -
- Tu resta qui, io vado a vedere di sopra! -
Ci vollero solo pochi minuti per capire che non c’era nessuno, e il fatto che solamente una stanza fosse in disordine eliminò subito l’ipotesi della rapina.
- Chiamo la polizia - disse il signor Evans dirigendosi con decisione verso il telefono.
- No, aspetta! - Isabel si chinò di scatto e prese in mano alcuni frammenti di vetro sparsi in una chiazza di liquido biancastro. - Latte… Max era qui. Accidenti, che diavolo può essere successo? - Con un certo sforzo si costrinse a calmarsi e si rialzò in piedi. Inspirò a fondo poi chiuse gli occhi per concentrarsi sul fratello. Non riuscendo a raggiungerlo focalizzò la sua attenzione sulla madre e questa volta non ebbe alcuna difficoltà nello stabilire il contatto. “Mamma! Mamma, Max è con te?”
La signora Evans impiegò qualche secondo per accettare l’idea che la figlia stesse davvero comunicando con lei, poi un torrente di pensieri e immagini fluì tra di loro.
“Ok, mamma, ho capito. Adesso stai tranquilla e appena puoi concentrati su Max e avvertilo che mi hai raggiunta, va bene?”
“Sì, cara, va bene”
Isabel, interrotto il rapporto mentale, si portò le mani alle tempie sforzandosi di riflettere. “Michael… Ho bisogno del suo aiuto…”
- Tesoro, cosa c’è? -
- Sono entrata in contatto con la mamma. Sono stati portati via da agenti federali, e Max è svenuto mentre lo interrogavano. Papà, lui ha bisogno di me, e di Michael. Lo sceriffo non può aiutarlo, non può fare niente contro l’FBI! -
- Ma allora cosa…? -
- Vieni, andiamo da Michael -
Quando arrivarono al Crashdown Café Isabel si diresse quasi correndo verso il giovane, intento a cuocere degli hamburger, e lo prese per un braccio. - Siamo nei guai. Possiamo andare a casa tua? -
- Che genere di guai? - chiese Michael sorpreso.
- I cacciatori. Hanno preso Max e mia madre -
- Cosa?! - Senza un attimo di esitazione il ragazzo si tolse il grembiule e lo gettò in un angolo. - Maria, devo andare. Scusami… -
- Eh no, mio caro! Non puoi… - cominciò a protestare la giovane avvicinandoglisi.
- Maria, ti prego! E’ urgente, poi ti spiegherò, te lo prometto -
- Michael! -
- Te lo prometto… - Michael la guardò per un attimo con intensità e poi si volse per seguire Isabel.
Rimasta sola la ragazza alzò gli occhi al cielo. - Liz! Liiz! -

- Allora, che cosa è successo? -
Isabel guardò affranta l’amico. - I federali si sono presentati a casa e hanno prelevato la mamma e Max. A giudicare dal caos che si sono lasciati alle spalle direi che Max abbia lottato con tutte le sue forze ma poi deve essere stato sopraffatto, e ora sono al vecchio ospedale militare -
- Come fai a saperlo? - s’intromise suo padre.
- Non potrei dimenticare quel posto neppure se lo volessi! - Isabel rabbrividì al ricordo ed intrecciò nervosamente le mani. - Dobbiamo aiutarli ma non so come -
- Beh, non credo sia prudente andare là… Max ti ha dato qualche suggerimento? -
- No, era svenuto. Mia madre era molto in ansia per lui… Michael, dobbiamo fare qualcosa, e presto! -
Il giovane si sedette pesantemente sul divano e si grattò la fronte. - Se è privo di sensi temo che non ci sia molta scelta… -
- Che intendi dire? -
- Che se non è cosciente dobbiamo intervenire noi -
- Michael, siamo soltanto in due! - protestò Isabel, poi si mordicchiò pensosa le labbra. - Secondo me, l’unico modo che abbiamo per aiutarlo è unire le nostre energie, prestargli la nostra forza… ma lui deve essere sveglio… -
Dopo una breve riflessione il giovane annuì. - Sì, possiamo tentare. Pensi di riuscire a contattarlo? -
- Devo! Ok, ci provo di nuovo… - Sotto lo sguardo perplesso del signor Evans la ragazza si accoccolò accanto a Michael e lo prese per mano, poi chiuse gli occhi e si concentrò sul fratello.
“Isabel!”
“Max, puoi sentirmi! Dio, ti ringrazio… Max, hai qualche idea su come possiamo aiutarti? Michael ed io possiamo unire i nostri poteri, ma poi cosa…?”
“Ok, Isabel, va bene… va bene così… Con la vostra forza dovrei riuscirci…”
“Che cosa vuoi fare?”
“Ancora non lo so. Ma devo agire adesso. Inserisci Michael e mantieni il collegamento”
“Va bene. Michael?”
“Sì”

Max riaprì di scatto gli occhi e fissò l’uomo che aveva davanti, il capitano Ross. Senza smettere di guardarlo strinse le mani a pugno e d’un tratto i polsi scivolarono liberi dalle fasce che li imprigionavano, ormai non più di solido acciaio. Cadde pesantemente a terra e accennò un piccolo sorriso gelido. - Mi avete spezzato le gambe ancora prima di appendermi al soffitto… Ho solo diciotto anni, e mi date la caccia come se fossi un mostro… Io non sono solo, ce ne sono altri come me, e non abbiamo mai fatto del male a nessuno se non per difenderci… Voi siete le ultime persone sulla faccia della Terra a potermi definire non umano… - Inspirò a fondo, lasciando affluire energia nelle gambe, e sentì le ossa rinsaldarsi. Allora si alzò in piedi e sollevò le braccia all’altezza dei fianchi.
Sotto gli occhi stupiti dei federali nelle sue mani apparvero i due graniliti, gli oggetti che la squadra speciale aveva cercato disperatamente per anni, ed il simbolo che vi era impresso si illuminò. - Qui dentro c’è abbastanza energia per distruggere il pianeta e tutto il sistema solare. Se avessimo voluto attaccarvi lo avremmo fatto tanto tempo fa… Lasciateci in pace, come noi lasciamo in pace voi - Serrò la presa sui graniliti e pochi istanti dopo l’intera costruzione si dissolse con un sordo rombo di tuono in milioni di particelle impalpabili.
- Noi vogliamo solo vivere tranquillamente, e Roswell è la città che il destino ci ha assegnato… Non intendiamo fare del male a nessuno, e siamo in grado di difenderci. Ditelo ai vostri capi, e accertatevi che abbiano capito -
- E’ una minaccia? - Ross lo guardò con espressione impenetrabile.
Max ricambiò lo sguardo, il sorriso ancora più gelido e remoto, poi si volse e andò verso la madre, ancora saldamente legata alla sedia. Nelle mani non stringeva più i graniliti, e gli bastò sfiorare le corde che incidevano i polsi della donna per liberarla.
Tremando, la signora Evans si alzò e tese un braccio verso di lui.- Come stai, tesoro? -
- Bene, mamma. Vieni, andiamocene -
Ross li guardò allontanarsi tra le macerie di quello che era stato il laboratorio segreto delle squadre di cacciatori di alieni nel sud-ovest del Paese poi si avviò verso le auto parcheggiate poco distanti, seguito in silenzio dai suoi uomini.
Mentre camminavano tra i fitti cespugli che crescevano in quelle terre aride la donna si guardò intorno. - Max, siamo lontani parecchie miglia dalla città. Come facciamo a tornare a casa? -
Lottando per continuare a mettere un piede davanti all’altro, Max la prese per mano e le sorrise affettuosamente. - Aspetta e vedrai… -
Di lì a poco apparve la familiare jeep, guidata da Michael.
Isabel e suo padre si catapultarono fuori della vettura ancora prima che si fermasse del tutto. - Mamma! Max!-
Il signor Evans ebbe appena il tempo di afferrare il figlio per le spalle prima che questi si accasciasse davanti a lui, senza più forze. - Max! -
- Venite, rientriamo! - Isabel sostenne la madre e di lì a poco ripresero la strada per Roswell.
Quando Michael parcheggiò davanti alla villetta degli Evans trovò Maria e Liz ad aspettarli. Con un sospiro esasperato scese dall’auto e si voltò ad aiutare Max.
- Max! - La voce di Liz risuonò sconvolta nella quiete del crepuscolo. - Max, cosa ti hanno fatto? - La ragazza raggiunse il giovane e gli toccò delicatamente il viso tumefatto e insanguinato. - Sei ferito - disse in un sussurro.
- Non è niente, stai tranquilla… - Max chiuse per un attimo gli occhi godendo di quel lieve contatto.
- Liz, dobbiamo andare dentro - Il tono pressante di Isabel riscosse la giovane, che si mise a lato di Max e lo sostenne contro di sé. - Sì, scusami, hai ragione… -
Una volta in casa Isabel si affrettò a liberare il divano e aiutò il fratello a distendervisi. - Adesso riposati - gli ordinò con un sorriso velato di preoccupazione.
Il giovane annuì socchiudendo gli occhi. - Grazie… - disse piano.
Lei gli strinse con affetto una spalla poi andò a sedersi vicino alla madre. - Puoi raccontarci, adesso, come sono andate esattamente le cose? -
Durante il racconto Maria si strinse a Michael e lo guardò preoccupata ed ansiosa. L’idea del pericolo che tutti loro avevano corso in quelle ultime ore la sconvolgeva. - Ma fino a quando quei maledetti bastardi avranno intenzione di perseguitarvi? -
- Spero per loro che stavolta abbiano recepito il messaggio - Isabel incontrò lo sguardo ironico di Michael e sorrise suo malgrado. - Max è stato piuttosto esplicito… -
- Che cosa gli hanno fatto? - chiese Liz, seduta per terra accanto al divano con una mano poggiata sul petto del giovane, ora profondamente addormentato.
Fu la signora Evans a risponderle, e mentre parlava il viso le si rigò di lacrime. - Io non avrei mai creduto che dei poliziotti potessero essere così crudeli… - disse infine.
- Mamma, quelli non erano semplici poliziotti ma cacciatori di alieni -
A quelle parole la donna sembrò ripiegarsi su se stessa. - Voi non siete alieni, siete i miei figli, i nostri figli! -
- Lo so, mamma, e lo sa anche Max. E vi vogliamo bene come se foste davvero i nostri genitori! - Isabel andò verso la madre e l’abbracciò, poi abbracciò anche il padre. - E’ per questo, che abbiamo cercato di mantenere il segreto, perché avevamo paura che potessero succedere cose del genere… - aggiunse con un’espressione di scusa.
- E ora? - domandò il signor Evans.
- Ora riprenderemo la vita di sempre, fino al prossimo guaio - rispose Michael passando un braccio intorno alla vita di Maria. - Una volta Max ha detto che finché resteremo insieme avremo la forza di difenderci, e a quanto pare aveva ragione… -
- Quindi questo vuol dire che rimarrete qui a Roswell? - chiese Maria speranzosa.
- Non credo che il nostro signore e padrone abbia intenzione di spostarsi, almeno finché Liz resterà da queste parti… -
- Michael, smettila di chiamarlo così! - protestò Isabel.
- Beh, ma è la verità! Lui è il signore di Antar! -
- Michael!… -
- Ok, ok… - Il ragazzo fece un gesto di pace col braccio e si alzò in piedi, aiutando Maria a fare altrettanto.
- Ora me ne torno a casa, sono un po’ stanco. Ci vediamo domani, Isabel. Buonasera a tutti… -
- Vado a casa anch’io - Liz sfiorò con dolcezza la fronte di Max poi guardò il resto della famiglia Evans.
- Abbiate cura di lui… - disse piano.
La madre del giovane annuì, inconsapevole della nuova lacrima che le scivolò lungo una guancia. - Certo, cara, e grazie per quello che fai per il mio ragazzo. Lui ti ama molto… -
- E io amo lui - Liz accennò un sorriso, poi diede un’ultimo sguardo a Max e se ne andò.

L’indomani, quando Max fece il suo ingresso nel locale, Liz corse ad abbracciarlo, incurante dello sguardo severo della madre. Lo baciò a lungo, poi gli sfiorò il volto. - Non hai più segni… - bisbigliò.
- No, le mie cellule hanno lavorato tutta la notte! - fu la risposta divertita.
- Bene. Allora, dato che in teoria sarei in vacanza, mi prendo la giornata libera e ce ne andiamo alla caverna, che ne dici? -
- A me va benissimo, ma i tuoi genitori? -
- Non preoccuparti, a loro ci penso io! - Lo toccò gentilmente sul braccio prima di voltarsi per andare verso la madre.

“Caro diario, come posso descrivere quello che provo in questo momento, mentre tengo Max fra le mie braccia e lui mi guarda con quegli occhi stupendi?… Mi dispiace per te, Tess, ma la Terra non era proprio grande abbastanza per tutte e due!”

Riaprì gli occhi all’improvviso. Doveva essersi addormentata senza accorgersene e ora qualcosa l’aveva svegliata, ma non sapeva esattamente cosa. Per un attimo si guardò intorno cercando di capire dove si trovasse, poi si sollevò di colpo a sedere sentendo la voce di Maria chiamarla con forza.
- Liz! Liiz! -

Scritta da Elisa


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