Roswell.it - Fanfiction

CONFESSIONI


Riassunto: Non è mai facile rivelare quel che si custodisce gelosamente nel proprio cuore, ma a volte è l’unico modo per poter essere davvero liberi.

Data di stesura: dal 2 maggio al 1° luglio 2004.

Valutazione: adatto a tutti.

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.

Indirizzo e-mail: ellis@roswellit.zzn.com


Michael continuava a scuotere la testa mentre Maria fissava Liz che, a sua volta, stava fissando Jason.
Max ed Isabel sedevano fianco a fianco sul divano, entrambi come paralizzati e incapaci di trovare qualcosa da dire.
Shiri, dal canto suo, osservava apertamente il fratello cercando di trasmettergli il suo silenzioso sostegno.
Solo i gemelli facevano un po’ di confusione, strillando e lanciando i loro giocattoli sotto lo sguardo curioso di Mathias e di Natalie.
Morgan se ne stava in piedi con la schiena contro la parete provando pietà per quel povero ragazzo oggetto di tante occhiate speculative.
- Alexandra non sa niente di noi. Io... non le ho detto nulla. - Jason cercò gli occhi del padre. Sapeva che lui lo capiva, che capiva cosa stava provando. La paura di perdere la ragazza che amava, la paura di quello che avrebbe potuto succederle se fosse rimasta con lui, il terrore e l’esaltazione di dirle la verità e vederla correre ugualmente fra le sue braccia...
E Max lo capiva davvero. Erano arrivati a casa da meno di mezz’ora e da quel momento gli sembrava di vivere in una specie di incubo. Sapeva che prima o poi sarebbe successo, era inevitabile, e adesso il pensiero che suo figlio dovesse passare attraverso le stesse angosce che aveva patito lui lo faceva stare quasi male... C’era solo da augurarsi che questa Alexandra fosse come Liz, che come lei accettasse la loro diversità, ma forse era chiedere troppo al destino...

Quando avevano fatto ritorno nella caverna Max aveva chiamato Morgan perché andasse a prenderli e da lì si erano recati direttamente dagli Evans, dove avevano trovato ad aspettarli anche Maria.
Com’era prevedibile erano stati subissati di abbracci e domande, tuttavia Jason era sembrato un po’ teso.
Max non si era dunque stupito quando, prima di salire in macchina, il ragazzo gli si era avvicinato dicendo di aver bisogno di parlargli con una certa urgenza.
Al suo cenno di assenso Jason aveva indicato con il mento gli altri. - Forse sarebbe bene se... se ci fossero anche loro. E’ una cosa che riguarda tutti, credo... -
Era stato il tono della sua voce, sommesso e preoccupato, a convincere Max ad insistere con Michael ed Isabel perché lo seguissero a casa nonostante l’ora tarda, e dopo che si erano più o meno accomodati in salotto Jason aveva fatto un respiro profondo e aveva detto semplicemente: - Devo parlarvi di una cosa. Anzi, di una persona... -
A quelle parole Shiri aveva chiuso per un attimo gli occhi. “Oddio, Jason...”
- Di chi si tratta? - aveva domandato Max con cautela.
- Di Alexandra Cooper. E’... è la mia compagna di scuola, e... la mia ragazza. - aveva confessato timidamente.
- Cosa?!? - Liz si era sentita morire. No, non poteva essere vero! Prima Shiri e adesso Jason! Erano due bambini... avevano bisogno di crescere, di vivere, di imparare a conoscere il mondo! Avevano appena cominciato a muovere i primi passi, e ciononostante stavano già correndo verso il loro futuro...
- Avete... avete fatto l’amore? - aveva chiesto ancora Max, serrando per un attimo le mascelle nell’udire la risposta affermativa del figlio. Maledizione, era così stanco, desiderava andarsene a letto e posare la testa nell’incavo della spalla di Liz per addormentarsi al suono del suo respiro, e invece doveva sentire il suo coniglietto parlare di una ragazza che gli era penetrata sotto la pelle. Una ragazza che rappresentava un potenziale pericolo per tutti loro...
E adesso erano lì, nel salotto di casa sua. “Come in un tribunale. Accusato e giuria. No, Jason non ha alcuna colpa, si è semplicemente innamorato...” pensò continuando a studiare il volto rigido del figlio.
Immobile accanto a lui, Isabel sembrava una bellissima statua. Esasperata, furibonda, avrebbe voluto gridare contro il fratello per non essersi accorto di quel che stava succedendo sotto il suo naso, invece riusciva a malapena a respirare. Continuava a pensare alla prima volta in cui aveva visto quella ragazza proprio lì, in salotto, e a darsi della stupida per aver sottovalutato l’aperta attrazione negli occhi del nipote. Eppure ci era già passata con Max, e Shiri aveva buttato tutto all’aria per proteggere Bren. Avrebbe dovuto saperlo che anche Jason avrebbe dato il proprio cuore alla prima persona che avesse colpito la sua fantasia!
Nel notare la loro espressione Maria si ritenne in dovere di intervenire. - Chi è senza peccato scagli la prima pietra... - mormorò.
Max si volse a guardarla tra l’offeso e il ferito. - Cosa vorresti dire con questo? -
- Che non è il caso che tu assuma quell’aria oltraggiata! E neppure tu, Isabel! - esclamò lei mettendosi le mani sui fianchi.
- Ehi... - insorse la giovane donna, ma venne interrotta da un’altra sfuriata. - Non mi pare che qualcuno ti abbia impedito di metterti insieme ad un federale! -
A quelle parole Max trasecolò. - Guarda che io non ho alcuna intenzione di tenere Jason lontano da Alexandra! E sono sicuro che Liz la pensa esattamente come me! Però sono preoccupato per il modo in cui potrebbe reagire se venisse a conoscenza del nostro segreto! E alla fine accadrà, perché non si può nascondere la verità alla persona che si ama... -
- E tu lo sai bene, vero? Chi è stato il primo a spiattellare che siamo alieni? - lo derise Isabel.
- Questo non è giusto! - protestò Liz. - Non si può pensare di stare accanto a qualcuno sapendo di doversi sempre controllare! -
- Vero. Alla fine, perfino io ho dovuto cedere... - ammise Michael a bassa voce, tuttavia Maria lo udì e gli diede una gomitata nello stomaco.
- Ehi! - ansimò massaggiandosi la parte dolente.
- C’è poco da scherzare, mio caro! - lo ammonì la ragazza.
- Liz ha ragione. - fu il pacato commento di Morgan, - Non si può mentire per una vita intera -
- Non si tratterebbe di mentire ma di omettere... - tentò Jason.
- E’ la stessa cosa - lo riprese Liz guardandolo pensosa.
- Lei ha bisogno di me, e io di lei - disse ancora lui, in un disperato tentativo di spiegare il rapporto che lo univa ad Alexandra.
Shiri si torceva ansiosa le mani. Soffriva per il fratello, per quel confronto difficile e apparentemente senza soluzione cui si era sottoposto, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per difendere il suo diritto di amare...
- Tutti noi vogliamo che Jason sia felice - mormorò Max guardando la figlia, - ed è per questo che dobbiamo sapere se ci si possa o meno fidare di Alexandra. E’ molto importante, e tu lo capisci, vero? -
La ragazzina annuì lentamente. Sapeva a cosa il padre si riferisse, era quello che lei stessa temeva e per cui aveva messo in guardia Jason, ma c’erano due soli sistemi per scoprire come Alexandra avrebbe reagito: dirle la verità ed incrociare le dita, oppure entrare nella sua mente. Cosa, questa, che Jason non avrebbe mai permesso!
- Allora? - domandò Michael.
- Allora cosa? - disse Maria.
- Cosa si fa? - replicò lui senza distogliere lo sguardo da Max.
- Per adesso niente - fu la ferma risposta dell’alieno. - Jason, mi affido al tuo buonsenso. Cerca di non fare passi falsi, d’accordo? -
- D’accordo -
- Tutto qui? - esplose Michael. - No, dico, ma vi rendete conto?!? Stiamo parlando di Jason e di un’umana!
- Hai ragione, è una miscela potenzialmente esplosiva... - lo prese in giro la moglie. - Ma è colpa vostra: avete troppo fascino, e noi miseri terrestri non siamo in grado di resistervi! E adesso andiamocene a casa. E’ tardissimo e Mathias sta crollando dal sonno! - Così dicendo si avvicinò al figlioletto, che in realtà era più sveglio che mai, e lo prese in braccio dopodiché andò accanto a Jason e gli diede un bacio sulla guancia. - Stai tranquillo, coniglietto, andrà tutto bene... -
Il ragazzo le sorrise grato poi strinse con delicatezza la manina che Mathias tendeva verso di lui. - Buona notte, piccolo... -
Prima che Michael potesse protestare ancora Maria lo sospinse verso la porta di casa. - Ci vediamo domani, ciao! - salutò senza voltarsi.
Con un certo sforzo Isabel si alzò in piedi. - Stai attento, Jason. Lo so che la ami, e sicuramente lei ama te, però ricordati che ci sono persone che non riescono a vederci se non come cavie da laboratorio. Io ti auguro con tutto il cuore che lei non sia fra queste... - Detto ciò lo strinse in un abbraccio affettuoso. Auguri, coniglietto... - sussurrò, dopodiché salutò il fratello e Liz ed infine si chinò per prendere Natalie e sistemarla nel marsupio. - A domani - disse piano.
Morgan salutò a sua volta poi intrecciò le dita con quelle della moglie ed uscì insieme a lei.
- Non volevo crearvi dei problemi... - mormorò Jason dispiaciuto.
- Tesoro, innamorarsi è già un problema! - Liz gli scompigliò i capelli sorridendo con dolcezza. - Cerca di non angustiarti troppo, e... complimenti per la scelta. Alexandra è una ragazza molto bella e in gamba... -
- Grazie - Le ricambiò il sorriso, un po’ imbarazzato per le sue parole, poi si lasciò serrare contro il suo petto. - Mi sei mancata, mamma... -
- Anche tu, amore. -
Poi Jason si rivolse al padre. - Papà, io... -
- No, coniglietto, non devi dire niente. Ci sono passato anch’io... - Max abbracciò forte il figlio e gli diede un bacio sulla tempia. - Ti voglio bene... - Chiuse gli occhi, in preda ad una forte emozione. Aveva tanto temuto di non rivedere più i suoi figli... Al diavolo Alexandra, al diavolo tutto! Era lì, circondato dalle persone che amava, e quella era la cosa più importante!
Anche Shiri ebbe la sua razione di abbracci e baci, così come i gemelli, e più tardi fu la volta di Liz.
A bordo dell’astronave Max si era alternato con Michael ed Isabel alla guida, trascorrendo ogni momento libero con Liz. Parlando con lei, facendo l’amore, o anche soltanto stando sdraiato al suo fianco a guardarla dormire. Ma non riusciva a saziarsi di lei, della sua pelle calda e profumata, dei suoi capelli di seta, del suo tocco delicato e stimolante. Aveva bisogno di sentirla, di perdersi nel suo corpo e nella sua anima, e dopo aver messo a letto Claudia ed Ethan fu naturale, per lui, sollevare Liz fra le braccia e portarla nella loro stanza.
Continuò a baciarla e ad accarezzarla anche quando lei crollò esausta, un dolce sorriso sulle labbra finemente disegnate ed il respiro ancora affannato. L’amava da impazzire, era tutta la sua vita, e mai, mai avrebbe lasciato che gliela portassero via! E pregò perché Alexandra ricambiasse fino in fondo l’amore di Jason.

Jason si rigirò a lungo nel letto senza riuscire ad addormentarsi. Non faceva che ripensare alla confessione di quella sera, agli sguardi, alle sensazioni percepite, alla vibrante elettricità emanata da Michael, e desiderò poter tornare indietro nel tempo, al momento in cui Alexandra gli aveva dichiarato il suo amore. Era stato così meraviglioso... così... potente... Aveva guardato in quegli occhi incredibilmente verdi e aveva sentito il legame fra di loro esplodere come una fiammata. E poi, quella mattina, lei lo aveva raggiunto mentre stava prendendo i libri dall’armadietto e lo aveva baciato sotto la nuca facendolo rabbrividire. Quando gli aveva passato le braccia intorno alla vita non aveva potuto fare a meno di girarsi e baciarla con passione suscitando l’ilarità dei loro amici, che intanto li avevano raggiunti. Ma lui non se n’era quasi accorto, preso com’era dal calore di quel bacio, poi il suono della campanella li aveva costretti a separarsi e Alexandra lo aveva sorpreso sfiorandogli dolcemente una guancia e chiedendogli cosa lo preoccupasse. Eppure, fino ad un attimo prima non aveva più pensato alla decisione presa solo recentemente di parlare di loro due ai genitori... No, doveva smettere di preoccuparsi! Alexandra lo amava, altrimenti non si sarebbe accorta della sua tensione... E si augurò che lo amasse abbastanza da accettarlo per quello che era...
Un rumore attutito di passi lo distolse dalle sue riflessioni. Guardò la porta aprirsi e sorrise alla sorella, che si avvicinò in punta di piedi. - Ancora sveglio, eh? - disse sottovoce.
- Già. Com’è andata su Antar? -
- Bene, almeno credo... A quanto pare Khar ha cercato di fuggire, durante la seduta del Consiglio, e le guardie hanno reagito uccidendolo. Ma papà è stato molto vicino alla mamma per tutto il viaggio di ritorno.
- Questo vuol dire che a Camdir dev’essere successo qualcosa di poco piacevole... - Jason si passò pensoso una mano fra i capelli. - Comunque l’importante è che siano tornati sani e salvi. Ero molto preoccupato per papà... -
- E io per tutti voi! La prossima volta evitate di lasciarmi da parte, ok? - borbottò Shiri, poi fece per tirare indietro le coperte. - Posso? - chiese.
- Sì, certo - Jason si spostò per farle spazio. - In ogni caso, spero vivamente che non ci sia più bisogno di azioni del genere. Ti rendi conto che non c’è pace, per noi, né qui né su Antar? -
- Vorrà dire che sarete miei ospiti su Rènida... - si offrì la ragazza con una risatina.
- Sei felice? - le domandò il fratello.
- Molto. Bren è una persona stupenda... -
- Sì, lo avevo capito che ti piaceva! - scherzò lui.
- E tu? -
Jason ci pensò a lungo, prima di rispondere. - Ho un po’ di paura - ammise.
- Non devi. Anche tu sei una persona stupenda, e Alexandra lo sa! - cercò di rincuorarlo Shiri.
- E se dovesse spaventarsi? - le chiese guardandola negli occhi.
- Se ti ama davvero non lo farà. Ti ama? -
- Io... Sì -
- Allora è tutto a posto. -
- Certo, hai ragione -
- Posso restare a dormire qui con te? -
- Mm. Vuoi che ti aiuti a raggiungere Bren? -
Shiri gli sorrise speranzosa. - Lo faresti? -
- Naturalmente! Dammi la mano. -
Di lì a poco erano entrambi immersi in una trance profonda, e Jason si tenne in disparte mentre la sorella e Bren si abbracciavano nel loro mondo irreale.

L’indomani, dopo che i due ragazzi furono usciti per andare a scuola, Liz sollevò Ethan dal seggiolone a andò a sedersi accanto a Max. - Questo monello ha guarito Jason. -
Il giovane sollevò le sopracciglia stupito. - Quando? -
- Jason era stato ferito piuttosto gravemente prima di riuscire a teletrasportarsi, ed è stato necessario ricoverarlo d’urgenza. L’ho riportato a casa appena possibile ma non stava ancora bene. Poi il giorno in cui io ed Isabel siamo partite per Antar Ethan lo ha toccato e... niente più ferita! Spariti i punti, la cicatrice, tutto! E nessuna piccola impronta argentata... -
Max le tolse il figlio dalle braccia e se lo sistemò sulle gambe. - Ehi, giovanotto, non credi che sia un po’ presto per cominciare a fare il dottore? - Alzò lo sguardo sulla moglie. - E’ meglio non portarlo più al nido. Comincia ad essere troppo intraprendente... -
Il bimbo gli mise le braccia intorno al collo strofinando la fronte contro la sua guancia. - Papà... Mamma... -
- Cosa c’è? Stai facendo l’appello? - Max sorrise e lo sostenne contro di sé. - Sì, oggi mamma e papà restano a casa a giocare con te e tua sorella. Ti piace il programma? -
- Sì -
Liz guardò esterrefatta il marito. Ethan aveva risposto a caso oppure aveva capito davvero quello che aveva detto Max?
- Chiederò a mia madre se può venire a guardarli mentre noi non ci siamo - mormorò sgomento lui.
- E io sentirò Maria. Magari potrebbe venire anche lei, di tanto in tanto, e pure Isabel... -
- Sì, è un’ottima idea. Accidenti, ci mancava solo questo… -
- Già… ma non ti azzardare a fare con loro quello che hai fatto con Jason! -
- A cosa ti riferisci? - chiese Max perplesso.
- Lo sai benissimo. Quel... quel trucco coi graniliti. -
Il giovane chiuse per un attimo gli occhi. - Capisco. Liz, quella volta è stato necessario. Jason è il mio erede e io dovevo trasmettergli la chiave di ciò che è dentro di lui. I gemelli, come Shiri, non hanno codici genetici da attivare... -
- Lieta di saperlo! -
- Liz... -
- No, hai ragione, ho parlato a sproposito -
Lui le prese una mano e gliela strinse con dolcezza. - Tu non parli mai a sproposito, amore. Sei soltanto preoccupata per i nostri bambini, ed è normale... -
La ragazza chinò lo sguardo sulle sue dita sottili e forti e sospirò. - Lo sono anche per Jason... -
Max non rispose ma si protese verso di lei per darle un bacio delicato sulle labbra.

- Gentili signore, sono spiacente di comunicarvi che vi portiamo via mister sotutto Evans! -
- Ehi! Aspetta un attimo! - cominciò a protestare Alexandra.
Mark passò un braccio sulle spalle dell’amico e le fece l’occhiolino. - Ci serve il suo aiuto per prepararci al compito di biologia di domani. Quindi, come vedi, è di vitale importanza che lui venga con noi. -
La ragazza guardò interrogativa Jason, che le fece un sorriso di scusa. - Possiamo fare un giro dopo che avremo finito di studiare... - propose.
- No, lascia stare. Quei tre sono delle teste dure: ti servirà tutto il pomeriggio per fargli capire qualcosa! - Detto questo Alexandra gli diede un buffetto sulla guancia e, fatto un gesto di saluto agli altri compagni, si allontanò insieme a Sabrina, Tanya e Shiri.
- Su, avrete un sacco di tempo per vedervi, mentre il test è lì che ci aspetta!... - commentò Mark battendogli la mano sulla spalla.
Jason fece una smorfia. - Allora andiamo, ma se domani non prendete tutti quanti almeno una B sarà meglio che non mi chiediate mai più di aiutarvi! - li minacciò.
Glen si mise a ridere. - Guarda che anche a noi sarebbe piaciuto uscire con le ragazze, solo che il professore è stato abbastanza chiaro! Tu dacci una mano e domani sera hai una cena pagata al Crashdown! Per due... -
Scuotendo la testa il ragazzo si lasciò condurre verso la fermata dell’autobus che li avrebbe condotti nel quartiere dove abitava Mark.
Nel frattempo Tanya, che guidava il gruppetto di amiche, si era diretta verso un fast food poco distante dalla scuola. - Mangiamo qualcosa e poi si va a fare shopping, ok? -
- D’accordo - Sabrina si scostò i capelli dal viso e lanciò un’occhiata a Shiri. - Allora? Com’è andata la vacanza? -
- Niente di particolare. Abbiamo incontrato dei conoscenti di mio padre, visto della gente... Insomma, le solite cose. -
- Sì, certo, come no! Tuo fratello non si è lasciato sfuggire una sola parola, ma siete stati via un sacco di tempo: dovete per forza aver fatto qualcosa di più divertente che visitare vecchie mummie! - la contraddisse Tanya.
Per un attimo i ricordi di Shiri riandarono all’intensa cerimonia di fidanzamento, e nel vedere la luce nei suoi occhi la ragazza fece un’esclamazione soddisfatta. - Aha! Avevo ragione! E’ successo qualcosa! -
Shiri divenne di brace ma rimase in silenzio.
Alexandra, impietosita, rafforzò la presa sul suo braccio. - Non darle retta! Tanya è una vera pettegola! Ecco, siamo arrivate. - Così dicendo entrò nel fast food, affollatissimo data l’ora, e da quel momento il solo pensiero delle quattro adolescenti fu la conquista di un tavolo e la scelta del menu.
Più tardi, mentre camminavano studiando incuriosite le vetrine, passarono davanti ad una boutique di abiti da sposa e Shiri si fermò ad ammirarli affascinata.
- Su, muoviti! - la sollecitò Sabrina - Poco più avanti c’è un negozio che ha delle magliette fantastiche! -
Ma Shiri sembrò non averla neppure sentita, e Alexandra la fissò perplessa. - Perché ti interessano tanto questi abiti? -
Dopo alcuni interminabili secondi la ragazza si scosse e si volse a guardarla. - Bren ed io ci siamo fidanzati - disse semplicemente.
- Oh... congratulazioni! E allora? Siete fidanzati, mica promessi sposi?! -
- A dire la verità, è così. - rispose lei.
Alexandra e le altre amiche, che nel frattempo erano tornate indietro, rimasero di stucco.
- Ma hai soltanto quindici anni! Come puoi già pensare di sposarti! Scommetto che Bren è il tuo primo ragazzo, non puoi essere sicura che sia quello giusto! - fu il coro unanime di proteste.
Non comprendendo il motivo di quella reazione Shiri si rivolse direttamente ad Alexandra. - Tu e mio fratello state insieme. Non pensi che un giorno vi fidanzerete e poi vi sposerete? -
La ragazza roteò gli occhi incredula. - No! Santo cielo, Shiri, io amo Jason, e lui ama me, ma da qui a decidere di fidanzarmi con lui, per non parlare poi di sposarlo, ce ne corre! Abbiamo tutta la vita, davanti a noi! Sai quante altre persone conosceremo? Non puoi fermarti alla prima stazione! -
A quelle parole la giovane aliena si sentì la gola e le labbra secche. No, non era possibile! Alexandra non poteva pensare davvero quel che aveva detto! Santo cielo, Jason si stava dannando l’anima per lei, per il timore di quello che, col passare del tempo, avrebbe potuto succedere, e lei, invece, considerava la loro come una storia già destinata a finire! Era... era pazzesco! Forse avrebbe dovuto dirglielo, avvertirlo che non doveva angosciarsi troppo, che probabilmente Alexandra lo avrebbe lasciato ancor prima che lui non fosse più in grado di resistere al bisogno di dirle tutto di sé... Ma come poteva fargli questo? Come poteva distruggere i suoi sogni?
Ad Alexandra non sfuggì l’ombra che le attraversò lo sguardo, e si strinse nelle spalle. - Niente dura nella vita, non lo sapevi? -
Shiri s’irrigidì. - Ti sbagli. L’odio e l’amore possono durare un’eternità -
- Come siamo filosofiche! - la prese in giro lei.
- Non è questione di filosofia, è quello che vivo ogni giorno... -
Ormai perso ogni interesse per lo shopping, Alexandra incrociò le braccia sul petto e fece un profondo respiro. - Ah, sì? Beh, questo è un tuo problema, perché sei tu a dare all’odio e all’amore il potere di farti del male! -
- Scusate, ma come siamo finite a parlare di queste cose? - protestò Tanya. - Su, andiamo a vedere quelle magliette! -
- Mi dispiace, devo tornare a casa. Ho un sacco di compiti da fare - Così dicendo Alexandra volse loro le spalle e se ne andò.
- Ma che le ha preso? - domandò sconcertata Sabrina.
- Credo... credo di averla fatta arrabbiare... - rispose Shiri, dispiaciuta.
- Non preoccuparti, vedrai che le passerà presto! Su, coraggio, le magliette ci aspettano! - Così dicendo la ragazza le mise una mano sulla schiena invitandola a riprendere a camminare. - L’altro giorno ne ho vista una che era a dir poco fantastica! Spero tanto che ce l’abbiano ancora... -

Alexandra parcheggiò accanto al furgoncino della zia e scese dall’auto sbattendo lo sportello dietro di sé. La discussione con Shiri l’aveva riempita di amarezza. Lei non sapeva niente dell’inferno che era stata la sua vita, non sapeva cosa significasse sentirsi così disperati da cercare l’oblio nella droga, lei aveva la sua famiglia perfetta, la sua casa perfetta, la sua aria da brava ragazza... Non aveva alcun diritto di dirle come doveva essere la sua relazione con Jason! Avrebbe scommesso qualunque cosa che il suo caro fratellino non le aveva raccontato niente di quello che facevano a letto, e non solo lì! Anzi, era sicura che non sapesse neppure che avevano rapporti sessuali! Certo, lui la baciava davanti a tutti, le toccava di continuo le mani, la schiena, le braccia, ma sempre col massimo rispetto. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare come fosse diverso quando erano da soli, la passione con cui l’amava, il piacere che le faceva provare... Ma era impossibile dire se quella storia sarebbe durata! Anzi, il pensiero di trascorrere il resto della sua vita insieme a lui le dava l’angoscia! Sarebbe stato come... come rinchiudersi di propria volontà dentro una gabbia! Sì, Jason era un ragazzo dolcissimo e allo stesso tempo forte e deciso, con un corpo da far invidia e un viso assolutamente perfetto, però erano adolescenti, santo cielo! E Shiri era davvero una stupida a pensare già al matrimonio!
Scuotendo la testa si avvicinò alla porta di casa quando venne affiancata da un uomo vestito di scuro, che le mostrò un distintivo. - Signorina Cooper? Ho bisogno di parlarle. Le spiace se entro con lei? -
Colta alla sprovvista Alexandra aprì l’uscio. - No, certo, venga pure... - Sentendo dei passi dietro di sé si girò di scatto e vide un secondo uomo raggiungerli. Guardò senza in realtà vederlo il distintivo che anche lui esibì, poi lasciò cadere lo zaino sulla panca all’ingresso e li precedette in soggiorno. - Di cosa si tratta? - chiese vagamente intimorita.
- Ecco, è una questione molto delicata... Stiamo cercando di rintracciare tutte le persone che hanno avuto... come dire... rapporti stretti con Jason Evans. -
- Perché? - domandò con tono inespressivo, cercando di controllare il nervosismo. Quegli uomini non le piacevano, anzi, non le piaceva la categoria dei poliziotti. Figurarsi i federali!
- Abbiamo ragione di ritenere che Evans sia portatore di una grave malattia e che... possa averla contagiata -
- Che tipo di malattia? - Pensò subito all’Aids, ma poi si ricredette. No, l’Fbi non si sarebbe scomodato per quello!
- E’ una malattia rarissima, che comporta la crescita accelerata dell’organismo fino a causare la morte. Purtroppo al momento non esiste una cura, anche perché non ci è stata data la possibilità di studiarlo, e quindi cerchiamo di tenerlo d’occhio per seguire il suo stato. In questo modo abbiamo scoperto che lei... gli è molto vicina e quindi a rischio. Non gliene aveva parlato, vero? -
- No, infatti. - Alexandra non riusciva a crederci. Possibile che, pur con i suoi trascorsi, fosse riuscita miracolosamente a non contrarre l’Aids, e poi fosse stata infettata con una malattia ancora più grave da qualcuno che diceva di amarla?
- Senta, vorremmo che ci seguisse. Abbiamo dei laboratori attrezzati e potremo sottoporla a tutte le analisi necessarie per scoprire se siamo arrivati in tempo oppure no. La prego, accetti di venire con noi... -
- Io... io devo parlarne prima con mia zia. Non posso andarmene così, come se niente fosse... -
- Capisco. Ma le ricordo che si tratta di una questione di vita o di morte. Deve prendere una decisione subito, adesso -
- Di che decisione state parlando? - Linda Kransick, incuriosita dalle voci che aveva sentito rientrando dal retro, si era affrettata a raggiungere la nipote ed era rimasta a fissare sorpresa i due uomini seduti davanti a lei.
- Mia zia, Linda... -
- Kransick, sì, lo so - la interruppe il più alto, quello che l’aveva avvicinata per primo. - Siamo dell’Fbi, signora, e siamo qui perché sua nipote potrebbe aver contratto una malattia mortale e abbiamo bisogno di esaminarla per verificarlo. Si tratterebbe solo di qualche giorno dopodiché, se ci siamo sbagliati, potrà tornare a casa. Altrimenti... -
- Cosa? - lo sollecitò la donna serrando spasmodicamente i pugni.
- Altrimenti temo che non ci sarà più niente da fare. Mi dispiace... -
- E come avrebbe fatto a contrarre questa malattia? -
- Zia, lascia stare, ok? - commentò Alexandra, non volendo che venisse a sapere del ruolo di Jason in quella faccenda.
- No, credo di avere il diritto di saperlo! - insisté lei.
- Senti, è una questione che riguarda me. Tu... tu non corri alcun pericolo, stai tranquilla -
- Io mi preoccupo per te, Alex! Come puoi credere che possa restarmene qui ad aspettare quando tu potresti... potresti... - Incapace di proseguire Linda si lasciò cadere su una sedia e studiò i volti inespressivi dei due federali. - Dove la portereste? - chiese con voce spenta.
- In un centro medico militare. Non posso rivelarle altro, mi spiace... -
- Zia, io non sono del tutto sicura di volerci andare. Non posso credere che... - Alexandra si interruppe di colpo e la donna si girò a guardarla. - Cos’è che non puoi credere? -
- Niente - si arrese lei. - D’accordo, vengo con voi. Vado a prendere qualche ricambio e... -
- Non occorre, le daremo tutto noi. Grazie per la comprensione. - L’agente si alzò in piedi, imitato dal compagno, e fece un sorriso di circostanza. - Spero di riportarle sua nipote quanto prima. -
- Lo spero anch’io... - mormorò Linda seguendo con lo sguardo Alexandra mentre se ne andava via.
Alla vista della vettura coi vetri oscurati la ragazza si sentì fremere. Tutta quella storia era così strana... non le piaceva per niente! E poi, ora che ci pensava, quegli uomini avevano qualcosa di familiare. In realtà, era l’intera situazione a sembrarle familiare... All’improvviso ricordò quello che era successo tempo prima a scuola, quando qualcuno aveva trascinato Jason nei bagni e aveva cercato di... Forse era meglio lasciar perdere! Poteva sempre andare in ospedale e... Girò su se stessa per tornare in casa ma una mano salda come la roccia le strinse l’avambraccio costringendola ad andare verso l’auto. - E’ troppo tardi per cambiare idea -
Spaventatissima, Alexandra venne sospinta senza troppi complimenti all’interno della vettura e con suo grande raccapriccio sentì un ago pungerle il polso. - Non... non è vero che Jason ha quella malattia, ho ragione? - chiese mentre le forze l’abbandonavano in fretta.
- Oh sì, invece! Altrimenti come potrebbe dimostrare quindici anni quando invece ne ha uno e mezzo? - fu l’ironica risposta.
“Cosa?!? Non... è possibile...” Con un gemito chiuse gli occhi e si abbandonò al sonno artificiale indotto dalla droga iniettatale.

- Nessuno di voi ha visto Alexandra? - domandò Jason posando i libri sul tavolo di legno e guardando ansioso i compagni.
- Credo che non sia proprio venuta a scuola, oggi. - Tanya si appoggiò allo schienale della panchina e lo studiò mentre si sedeva accanto a Glen. - Com’è andato il test? -
- Alla grande! - Il ragazzo sorrise soddisfatto e bevve una lunga sorsata di coca cola. - Abbiamo costretto Jason a fare le ore piccole ma ne è valsa la pena. Sapevo tutte le risposte! -
Sabrina si accorse degli sguardi nervosi che Shiri lanciava al fratello e si morse le labbra. Chissà, forse Alex ce l’aveva ancora con lei, ma le sembrava strano che solo per quel motivo avesse marinato la scuola...
- Prova a chiamarla a casa, no? - Mark addentò golosamente il panino che stringeva con affetto fra le mani. - Puoi usare il mio cellulare, è dentro l’astuccio. -
- Grazie - Riconoscente, Jason prese il piccolo apparecchio telefonico e compose il numero di Alexandra tuttavia non ottenne alcuna risposta. - Magari è fuori, ad aiutare la zia... - mormorò interrompendo la comunicazione.
- Già, oggi è una giornata fantastica! E’ un vero peccato doverla sprecare in questo modo! Se non fosse stato per biologia credo che anch’io mi sarei preso un giorno di vacanza... -
Il commento di Roger suscitò una risata generale, e da quel momento in poi il gruppetto si dedicò con religiosa cura a spazzare via anche la più piccola briciola del pranzo.
- Ehi, metti il tabasco anche nell’aranciata? - osservò schifato Glen mentre guardava Shiri versare la salsa piccante nel proprio bicchiere.
- Certo, ci sta benissimo. Tieni, assaggia... - così dicendo gli porse la bevanda e Glen, dopo aver annusato sospettoso il liquido, ne inghiottì qualche goccia. - Puah! - esclamò girandosi per sputare. - E’ disgustoso! -
Shiri corrugò la fronte. - Forse ne ho messo troppo poco. Fa’ sentire... - Assaggiò a sua volta l’intruglio dopodiché prese di nuovo la bottiglietta di tabasco. - Aspetta, ne aggiungo dell’altro. Ecco, vuoi provare di nuovo? -
- No, grazie! - Il ragazzo si attaccò alla bottiglia di acqua minerale che aveva davanti e quando l’ebbe vuotata si pulì le labbra col dorso della mano. - Accidenti, come diavolo fai a bere quella roba? -
- A me piace. Forse dovresti provare a metterci anche un po’ di sale, come fa Jason... -
- Ma per favore! - Così dicendo tolse la lattina di sprite dalla mano di Tanya e ne bevve una buona metà.
- Ridammela! - protestò la ragazza cercando di recuperarla.
- Aspetta, ancora un sorso... -
Quando gliela ridiede Tanya scoprì che era ormai vuota e con fare rassegnato la lanciò nel cestino dei rifiuti. - Idiota... - borbottò.
Jason aveva seguito la scena con un certo distacco poi, finito di mangiare, si era appoggiato al tavolo coi gomiti, il mento sulle mani intrecciate, ed era rimasto a guardare Shiri, seduta davanti a lui e totalmente concentrata sulla fetta di torta rustica che costituiva il suo pranzo. “- Mi sembri preoccupata. Cosa c’è? -”
La ragazza trasalì e per un attimo incontrò i suoi occhi. “- Niente. O perlomeno, niente di cui possiamo parlare adesso... -”
“- Allora più tardi, all’uscita da scuola? -”
“- Sì, forse... forse è meglio -”
Sentendola ritirarsi socchiuse gli occhi, perplesso. Perché era così a disagio?

Nel frattempo, a casa di Liz e Max si era andata creando un bel po’ di confusione perché Maria ed Isabel, dopo aver saputo dei problemi coi gemelli, avevano deciso di recarsi a verificare di persona e a Claudia e Ethan non era parso vero di avere due nuovi compagni di giochi.
Fra torri di cubi che venivano costruite e poi abbattute, peluches che galleggiavano nell’aria, macchinine i cui colori cambiavano in continuazione, strilli di gioia e ciangottii, Maria stava cominciando ad avere un solenne mal di testa mentre Isabel fissava rassegnata la figlia dondolare beatamente sullo scudo di energia creato da Ethan. - Mia madre non resisterà più di un’ora - commentò con un sospiro di sconforto. - E’ un vero inferno... -
- Ma no, non vedi come si divertono? - disse Liz intenerita.
- Loro sì, io decisamente no! - Con un piccolo gesto della mano l’aliena creò un campo di forze che isolò l’area dove si trovava la trapunta su cui stavano i quattro bimbi, e subito ci fu silenzio. - Adesso va meglio... -
- Isabel! Non puoi averlo fatto davvero! - la rimproverò ridendo la ragazza poi, senza riflettere, afferrò Max per un polso e si protese fino a sfiorare col palmo della mano la cupola luminescente, che si dissolse nel nulla.
Maria fissò sbigottita l’amica. - Come... come diavolo hai fatto? - balbettò.
- Cosa? - Liz si volse a guardarla non capendo a che si riferisse finché si accorse di stringere ancora il polso del marito. Allora si girò di colpo realizzando che il campo creato da Isabel non c’era più ed emise un lamento. - Oh no, sono stata io? -
- Esatto - Isabel le si avvicinò e, un po’ ostentatamente, le sollevò le dita ad una ad una liberando il fratello dalla sua presa. - Ecco, forse è meglio che tu lo lasci andare, eh? -
Pallida come uno straccio la ragazza si serrò la mano contro il petto, quasi a voler evitare ogni contatto con Max, che d’impulso la prese fra le braccia e la strinse con forza per impedirle di allontanarsi. - Non fare così, amore! Non è successo niente di grave! -
- Niente?!? - esclamò Liz reclinando il capo per guardarlo negli occhi. - Ho usato la tua energia senza neppure rendermene conto! -
- E allora? Neanche a me piaceva vedere i bambini sotto quella cupola! -
- Vuoi dire... vuoi dire che è successo solo perché... lo volevi anche tu? -
- Infatti. E’ questo che significa veicolare la mia energia... Se per un qualche motivo io sono impossibilitato a raccoglierla e usarla, collegandoti a me la liberi facendola passare nel tuo corpo. Senza la mia volontà non riusciresti a farlo... -
- Quindi... quella volta nella base... e a Camdir... -
- Mi avevi lasciato vedere cosa volevi fare, ed io mi sono... aperto... a te perché agissi al posto mio... -
Liz rimase a fissarlo incerta. Possibile che la loro connessione mentale fosse addirittura in grado di permetterle di raggiungere la parte più misteriosa di lui? La sua eredità aliena?
Come se le avesse letto nel pensiero Max sorrise ed annuì. - Noi due siamo una cosa sola. Dovresti averlo capito, ormai... -
Con un gemito la ragazza gli passò le braccia dietro le spalle e si premette contro di lui. - Ti amo... - bisbigliò.
Il giovane la baciò sulla testa, ignaro delle occhiate che si scambiarono Maria ed Isabel.
- Scusate, vorrei ricordarvi che ci siamo anche noi! Vi dispiace staccarvi un attimo, giusto per riprendere fiato, e poi cercare di organizzare questa specie di asilo infantile per alieni? - sbuffò Maria.
Un po’ imbarazzata Liz si sciolse dall’abbraccio. - Hai ragione. Dunque, tu hai le prove il lunedì mattina, il martedì pomeriggio e il giovedì... mattina, ho detto bene? -
- Sì, infatti. Perciò potrei venire... -
Continuarono a discutere per un po’ finché non riuscirono a stabilire un programma abbastanza preciso, dopodiché sia Isabel che Maria dovettero allontanarsi per allattare i loro figli.
Rimasti soli Liz si accoccolò sulle gambe di Max, seduto sul divano per meglio tenere d’occhio i bambini.
- Forse è giunto il momento di dire ai miei genitori la verità... - disse piano. - Ma non so come fare, da dove cominciare. -
- Troveremo il modo, vedrai! Potremmo invitarli a cena, che ne pensi? -
- Sì, credo che sia la cosa migliore. Oddio, sono certa che reagiranno malissimo... -
- E’ inutile pensarci adesso. Quando vuoi farlo? -
- Il prima possibile. Non ce la faccio più ad aspettare... -
- Ok. Allora che ne dici di domani sera? -
- Va bene. Penso… penso che sarà piuttosto snervante… -
- Temo di sì -
La conferma di Max la fece sprofondare in un abisso di desolazione, e con un sospiro gli mise una mano sulla guancia avvicinando il suo volto al proprio. - Perché si ostinano a non capire quanto sei importante, per me? -
- Lo sanno, amore mio. E forse è proprio per questo che non mi possono vedere... -
- Mi dispiace. Non avrei mai voluto che tu... -
- Shh... Avrebbero reagito allo stesso modo con chiunque gli avesse portato via la loro splendida figlia... - mormorò il giovane sfiorandole le labbra con le proprie.
Liz sorrise e chiuse gli occhi abbandonandosi al suo bacio, profondo e coinvolgente.

Shiri non avrebbe mai immaginato di arrivare a temere il suono della campanella che indicava il termine delle lezioni, e quando seguì i compagni fuori dell’aula controllò per l’ennesima volta l’orologio che aveva al polso. Niente da fare, per quel giorno la scuola era proprio finita... Si avviò svogliatamente verso la fila degli armadietti e fece il cambio dei libri per l’indomani poi, con un sospiro di rassegnazione, guardò il fratello che stava camminando a passo svelto verso di lei.
- Ciao, Shiri, sei pronta? -
- Sì, certo. -
- Bene. - Jason la guardò perplesso. Sentiva che era tesa ma non riusciva a capirne il perché. Aspettò che fossero usciti dall’edificio scolastico prima di parlarle di nuovo. - Allora? Vuoi dirmi perché eri così preoccupata, durante la pausa pranzo? -
La ragazza si schiarì la gola. - Ecco, io... - Le dita le si serrarono intorno alla cinghia dello zaino che le pendeva da una spalla. - Io stavo pensando ad Alexandra. A te e ad Alexandra, per l’esattezza... e... e mi domandavo se... - Chiuse per un attimo gli occhi, sforzandosi di trovare una maniera rapida e indolore per dirlo. - Mi domandavo se non fosse il caso di considerare la possibilità che il motivo della sua assenza possa essere ricollegato a noi. A quello che siamo, intendo… -
Lui s’irrigidì. - Hai scoperto qualcosa? - chiese a voce bassissima.
- No, mi era soltanto venuto in mente che… -
Jason si girò a guardarla con una punta di esasperazione. - Beh, allora vedi di non esagerare, ok? - la interruppe. - E la prossima volta che ti vengono certe idee sei pregata di tenerle per te, a meno che tu non abbia fondati sospetti! Mi hai quasi fatto prendere un colpo… -
- Scusami… -
- Va bene, non importa - Con un sospiro profondo cercò di rilassarsi ma non fu facile. Le parole della sorella continuavano a riecheggiargli in testa dandogli un leggero senso di vertigine. Si ripromise di telefonare di nuovo appena arrivato a casa, e di continuare a provare finché non fosse riuscito a parlare con Alexandra.

- Jason, sei pronto? Guarda che i nonni sono già arrivati! - Shiri bussò di nuovo alla porta della sua stanza, ottenendo come risposta un’imprecazione soffocata. - Hai bisogno di aiuto? - si offrì ridendo, poi girò la maniglia ed entrò. - Che cosa stai facendo? -
Il ragazzo la guardò di sfuggita poi riprese a tastare il pavimento con entrambe le mani.
- Hai perduto qualcosa? -
- Sì, due bottoni della camicia. E non riesco a trovarli, accidenti! -
- Umm... sono piccoli e bianchi, immagino... -
- Già -
- Sono forse questi? - Così dicendo si chinò a prendere i bottoni, che stavano a pochi centimetri da lei.
- Grazie - Jason tese la mano per riaverli ma Shiri gliela scostò gentilmente avvicinandosi fino a sfiorarlo. Ecco fatto... - disse dopo aver usato i suoi poteri per fissarli alla camicia. - Sei molto elegante, sai? -
- Anche tu - Il fratello prese il giubbetto nero di jeans e se lo infilò.
Accorgendosi dell’occhiata che diede al telefono prima di seguirla si morse il labbro inferiore. Ancora nessuna notizia? - chiese sommessa.
- No. Riproverò più tardi, dopo cena. -
- Senti, non credi che... che forse lei non ha voglia di parlare con te? Magari ci ha ripensato e... ecco, potrebbe anche essere che ti stia evitando perché non sa come dirtelo... -
Jason la squadrò storto. – E’ un’altra delle tue ipotesi, o sai qualcosa che io non so? -
- No! Però... insomma... mi sembra strano che non venga a scuola già da due giorni e non sia mai a casa quando la chiami. Hai parlato con sua zia, almeno? -
- Solamente una volta. Mi ha detto che la stava aiutando coi lavori della fattoria e che non sapeva con esattezza per quanto tempo avrebbe dovuto saltare le lezioni. -
Shiri fece una smorfia eloquente e lui si strinse nelle spalle. Ma era molto preoccupato, anche se non voleva farlo capire alla sorella...
Stavano ancora scendendo le scale quando ebbe la netta percezione che Alexandra fosse in pericolo così si affrettò a raggiungere il salotto ed abbracciò i nonni salutandoli rapidamente, poi andò dal padre. - Papà, scusami, devo tornare in camera mia. Ho... ho dimenticato di fare una cosa. -
- Non puoi proprio aspettare? Stasera tua madre ha bisogno di tutto il nostro sostegno e non mi pare il caso di... -
- Papà, si tratta di Alexandra! - lo interruppe lui concitato. - L’ho sentita, ho sentito che ha paura, che sta male... Io devo trovarla, devo scoprire cosa le è successo! -
Max sospirò. - D’accordo, vai pure. Ma non commettere imprudenze, hai capito? -
- Va bene. Grazie, papà -
Vedendo il figlio salire di corsa le scale Liz si volse sorpresa. - Max, che gli ha preso? - domandò sottovoce.
Lui fece una smorfia. - Alexandra - rispose altrettanto piano, e lei scosse la testa. - E’ proprio innamorato... -
- Chi è innamorato? - chiese incuriosita sua madre.
- Jason. Si tratta di una compagna di scuola, ma a quanto pare ci dev’essere qualcosa che non va... -
- E’ naturale! Non è possibile innamorarsi da adolescenti! A quell’età si può solo essere amici! Fra l’altro, Jason non è neppure un adolescente ma soltanto un bambino... -
- Senti, mamma, se vogliamo cominciare subito a litigare, bene: facciamolo pure! - Liz le puntò un dito contro. - Anche se avevo sedici anni quando ho conosciuto meglio Max, l’ho capito subito che quello che provavo per lui era molto forte! Che non aveva niente a che vedere con l’attrazione che avevo avuto per Kyle! Quella sì, era una cotta da ragazzine, tant’è che mi è durata poco più di un’estate! Con Max, invece, è stato diverso, volevo stare solo con lui, per me non esisteva nessun altro! Ed era reciproco! -
- Ti ha messo incinta e ti ha lasciata - obiettò Nancy Parker sprezzante, lanciando subito dopo uno sguardo risentito al giovane.
- Aveva perso la memoria in seguito ad un incidente, e quando l’ha ritrovata è tornato da me! -
- Solo perché si sentiva in colpa. Tu avevi partorito suo figlio, diamine! Come faccio a perdonare un mascalzone che ti ha portata a letto quando eri ancora minorenne?!? -
- Guarda che io ero più che felice di andare a letto con lui! E comunque - precisò gelida, - è un mascalzone che mi ama più della sua vita. Un mascalzone, come dici tu, che a sedici anni ha scelto di rischiare tutto quello che aveva pur di salvarmi. Max è più di quanto abbia mai sognato di avere, e tu dovresti esserne contenta per me! -
- Come, a sedici anni...? A cosa ti riferisci? - chiese la donna, chiaramente colpita dallo sfogo della figlia.
- Quel giorno al Crashdown, ricordi? Quando ci fu quella sparatoria... Io stavo morendo, e Max mi ha riportata indietro! -
- Beh, ha la capacità di guarire... Santo cielo, Liz, vuoi dire che rimanesti davvero ferita?! Allora... non era ketchup quello che avevi addosso? - L’espressione sul volto di Nancy era angosciata. Perché la sua bambina glielo aveva tenuto nascosto? Perché tutti quei segreti?
- No, mamma, era sangue. Il mio sangue... - rispose Liz con voce improvvisamente stanca.
Erano al centro dell’attenzione, adesso. Jeff Parker, dopo aver salutato con affetto la nipote, si era avvicinato alla moglie ed era rimasto paralizzato ad ascoltare la verità su quello che era accaduto quasi cinque anni prima.
- Max non è solo un guaritore. Lui... lui viene da un altro pianeta. Ha diversi poteri, oltre quello di guarire, e li ha trasmessi ai nostri figli. - Cercò di tenere a bada l’ira che le stava montando di nuovo ma non ci riuscì. Stava perdendo il controllo, era più forte di lei. Da troppo tempo si teneva tutto dentro, ed era inevitabile che alla fine dovesse andare così! Cominciò a tremare. - E’ questo il motivo per cui l’Fbi ci attaccò, dopo che tu e papà avevate rivelato dove ci trovavamo. E’ questo il motivo per cui Jason e Shiri sono cresciuti così in fretta, perché per salvarsi hanno dovuto usare una quantità spaventosa di energia, e il risultato è che hanno rischiato di morire... Io lo so che non avevate alcuna idea di quello che sarebbe successo se l’Fbi ci avesse catturati, ma non potrò mai dimenticare il giorno in cui quei bastardi hanno fatto irruzione in quella casa, poco dopo che avevo messo al mondo la mia bambina, e hanno ucciso Max sotto i miei occhi! E tu mi parli ancora di sentimenti adolescenziali?!? Tu non hai la minima idea di che cosa significhi amare! Amare davvero! Amare qualcuno così tanto da mettere ogni altra cosa al secondo posto! Salvandomi, al Crashdown, Max ha rinunciato a tutto e ha messo la sua vita nelle mie mani! Non m’importa se non puoi perdonarlo per avermi messa incinta a diciotto anni, ma ti proibisco di parlare ancora male di lui! -
Scombussolata per quel fiume di rivelazioni la donna si sentì quasi svenire e dovette appoggiarsi al marito, che nel frattempo le aveva passato un braccio dietro la schiena. - Io... io non sapevo... - mormorò sotto choc.
- No, non sapevi. E non avevo il coraggio di dirtelo perché temevo la tua reazione. La vostra reazione... - si corresse Liz guardando da lei al padre. - Ho visto come avete guardato Jason e Shiri, quando vi siete trovati davanti due ragazzini anziché due neonati... Non potevo permettere che li feriste come avevate ferito Max , e così ho inventato la storia del difetto genetico. Ma loro non hanno alcun difetto! I miei figli sono meravigliosi proprio come Max e come lui meritano di essere amati, non di essere guardati con disgusto... -
- Tesoro, mi dispiace... - cercò di dire la donna, mentre lente lacrime le rotolavano lungo il viso pallido.
- Già, ti dispiace... - Liz annuì, le labbra serrate in una linea sottile. - Anche a me dispiace non aver potuto rivolgermi a te quando avevo bisogno di aiuto... Diane e Phillip non hanno avuto alcuna difficoltà ad accettare Max ed Isabel per ciò che sono veramente... Ma già, che sciocca! Sono i loro figli! E qualsiasi genitore ama i propri figli sempre e in ogni caso, vero? Qualsiasi genitore tranne voi... -
- Non essere così dura, Liz, ti prego! Se tu me lo avessi detto, se ti fossi confidata con me, avrei cercato di capire... di aiutarti... -
- Tu hai sempre cercato di impedirmi di frequentare Max! Ero costretta ad uscire di nascosto da casa per vederlo! E non erano incontri d’amore, credimi! Dal momento in cui mi ha salvata Max è stato in pericolo di vita! E come lui sua sorella e il suo migliore amico! E tutto per me, mamma, capisci? Per me! Per una stupida ragazzina che aveva scambiato una cotta adolescenziale per un amore immenso e sincero! Per una stupida ragazzina che non avrebbe mai saputo cosa significhi essere amata davvero se un mascalzone non avesse deciso di non sopportare il pensiero di perderla... - Scoppiò a piangere. Per il dolore riportato in superficie, per il ricordo di tutto quello che aveva dovuto patire, per la violenza di cui era stata vittima...
Profondamente sconvolta Nancy fece un passo avanti e strinse la figlia in un tenero abbraccio. - No, tesoro, tu non sei una stupida ragazzina... non lo sei mai stata... Sono fiera di te, della donna che sei diventata... Io... quello che mi hai detto è... è incredibile... -
- Lo so, mamma, ma è la verità... - riuscì a dire Liz fra i singhiozzi. - Non guardare Max e i miei figli come se fossero dei mostri... perché non lo sono... -
Con un sospiro la donna l’abbracciò più forte. - No, tesoro, no... -
Un po’ in disparte, Shiri e Max avevano assistito in silenzio a quel duro scambio di parole e alla fine la ragazza aveva lanciato al padre una rapida occhiata interrogativa. “- Pensi che stiano bene? La mamma è molto triste... -”
“- E’ vero, ma vedrai che dopo starà meglio. Non è stato facile per lei dire tutte quelle cose, né lo è stato per i nonni sentirle. Comunque stai tranquilla, sono certo che il peggio sia passato... -”
La ragazza accennò un sorriso incerto. “- Lo pensi davvero? -”
“- Sì, amore. -” Max le sorrise in risposta sentendo su di sé lo sguardo dei suoceri. - Qualcosa non va? - chiese fissandoli.
- Ehm, no... No... - Il signor Parker scrutò lui e la nipote. Era sicuro che fosse successo qualche cosa, fra di loro. Sembrava che... che si fossero parlati, in una maniera che non riusciva bene a capire.
- Shiri ed io andiamo a controllare che in cucina sia tutto pronto. Torniamo fra un attimo - Max prese la figlia per mano e la portò via con sé. Non voleva che fosse ancora testimone dello stress emotivo di Liz, era convinto che non facesse bene a nessuna delle due... Poi, quando i Parker se ne fossero andati, avrebbero potuto riesaminare la cosa insieme. Lui sapeva che né Jeff né sua moglie avevano veramente considerato i ragazzi come dei mostri, tuttavia non era semplice credere che fossero alieni. Erano i figli della loro piccola Liz, come potevano accettarlo?
Quando rientrarono in salotto trovarono un’atmosfera più distesa. Liz si era seduta a tavola e aveva dato un grissino a Claudia perché lo sgranocchiasse. Accanto a lei Nancy guardava la bimba con tenerezza. Claudia era davvero splendida ed era inevitabile restare affascinati da lei. Ma anche Ethan, conquistato un comodo posto in braccio al nonno, era adorabile con i ridenti occhioni scuri come quelli della madre, e giocherellava con la sua cravatta.
- Jason non è ancora sceso? - domandò.
- No. Forse dovresti andare a dare un’occhiata... -
- Certo, vado subito. - Max le diede un bacio sui capelli e andò al piano superiore.
Quando entrò nella stanza del figlio vide che era vuota e mormorò un’imprecazione. Cercando di mantenersi calmo tornò di sotto e si schiarì la gola. - Per il momento non può venire. Possiamo cominciare... -
“- Max! -”
“- Jason se n’è andato. Non so dove, ma immagino che sia per via di Alexandra. Più tardi andrò a controllare di nuovo. -”
Liz sospirò sconfortata e Nancy la guardò con un misto di curiosità e preoccupazione. - Liz? -
- Scusami, puoi prendere un attimo Claudia? -
- Certo! - La donna tese le braccia per accogliere la piccola e guardò la figlia lasciare in tutta fretta la stanza.
- Scusatemi - Max le andò dietro e la raggiunse mentre, china sul water, dava di stomaco. Senza dire nulla le mise una mano sulla fronte e con l’altra le tenne indietro i capelli.
Quando ebbe finito Liz si raddrizzò un poco e prese l’asciugamano che lui le porgeva. Si pulì la bocca dopodiché si rialzò per andare a sciacquarsi il viso.
- Meglio? -
La ragazza annuì e si appoggiò con le mani al lavandino. - Jason finirà col cacciarsi nei guai, me lo sento... - mormorò.
- E’ più forte di quanto tu creda. Riuscirà a cavarsela, vedrai. -
- Se lo dici tu... -
Max le accarezzò la schiena poi le sfiorò il ventre piatto. - Lascia che ti controlli... - disse in un sussurro stabilendo un’immediata connessione con lei. - Sì, c’è una nuova vita dentro di te... -
A quelle parole Liz pianse e si volse per abbracciarlo.
Lui la strinse forte a sé e le ricoprì il viso di baci. - Forse è troppo presto, i gemelli sono ancora così piccoli, ma sono molto felice... - bisbigliò.
- Anch’io. Ti amo, Max, ti amo da morire... - Poggiò la guancia sul suo cuore e sentì che batteva forte e veloce. - Ti amo... - disse ancora, e chiuse gli occhi assaporando la gioia di stare fra le sue braccia.
Qualche minuto più tardi, sia pure controvoglia, tornarono dagli altri e Liz si scusò spiegando di essersi sentita poco bene. - Ma adesso è tutto a posto - volle tranquillizzarli, - e... abbiamo appena scoperto che aspetto un bambino... - aggiunse con voce emozionata.
Nancy sgranò gli occhi. Dovevano essere impazziti! Avevano già quattro figli! Forse avrebbe dovuto spiegare a Liz che esistevano gli anticoncezionali! Facendosi forza per non dire qualcosa di cui avrebbe sicuramente finito col pentirsi abbozzò un sorriso. - E’ una bellissima notizia! -
Il marito la guardò perplesso. A lui sembrava una follia, ma per la verità la follia sembrava essere la regola di quella serata... Ciononostante si affrettò ad abbracciare la sua piccola e strinse la mano di Max. - Beh, è davvero una notizia splendida! -
Shiri era raggiante. - Un altro fratellino? E’ fantastico! -
- Sì, e altri pannolini da cambiare, altre pappe da preparare... - la prese in giro Liz.
- Ti aiuteremo io e Jason! - si offrì subito lei. - Sai già se è un maschio o una femmina? - chiese impaziente, e si girò verso Max, che arrossì. - E’ presto per dirlo... - cercò di tergiversare, non del tutto certo che Liz volesse saperlo.
- Non è vero, tu lo sai. Avanti, voglio saperlo anch’io! Su, dimmelo... - lo implorò allora lei.
- E’... è una bambina. -
Gli occhi di Liz si inumidirono. - Dovremo trovarle un nome stupendo... - disse piano.
- Adesso però siediti e mangia. Devi nutrirti come si deve, specialmente ora! - la ammonì il padre accompagnandola al suo posto.
Liz accennò una risatina e, tirando su col naso, prese la forchetta e cominciò a mangiare.
Di tanto in tanto Max e Shiri si scambiavano un’occhiata furtiva e domande non espresse a voce. E ogni volta ambedue abbassavano lo sguardo sui loro piatti cercando di non lasciar trapelare l’ansietà.

Alexandra giaceva su un lettino, in posizione prona. Aveva le braccia distese lungo il corpo e le gambe lasciate scoperte dalla tunica azzurra che le avevano fatto indossare. Nonostante i suoi sforzi qualche lacrima le era rotolata dalle tempie fino al duro materasso ricoperto da un lenzuolo ruvido e odoroso di antisettico. Ogni tanto chiudeva gli occhi, distrutta dalla tensione e dalla stanchezza, per poi spalancarli di colpo nel timore di trovarsi accanto quell’orribile infermiere venuto per l’ennesimo prelievo di sangue. L’incavo del braccio le doleva moltissimo ed era diventato viola, dal momento che continuavano ad infilarle l’ago sempre nello stesso punto, e il sospetto che lo facessero apposta aveva avuto conferma quando, solo pochi minuti prima, nel notare la sua smorfia l’uomo aveva ridacchiato e mormorato: - E questo non è niente, tesoro! -
Allora si era irrigidita, aspettando con ansia che lui se ne andasse, poi aveva emesso un singhiozzo soffocato ed aveva lasciato che il terrore la sopraffacesse. Ma era stato solo un attimo. Non voleva che capissero di essere riusciti a spaventarla a morte così, facendo appello a tutte le sue risorse, si era costretta a rallentare il respiro nel tentativo di rilassarsi. Però era stato molto difficile perché qualcosa le diceva che non l’avrebbero lasciata uscire viva da lì...
Ad un tratto fu consapevole di un’altra presenza e volse di scatto il viso, sbiancando per la sorpresa. Aveva evitato per quanto possibile di pensare a lui, ma poi uno degli uomini che l’aveva prelevata, o meglio rapita, aveva cominciato a tempestarla di domande e, suo malgrado, era stata costretta ad affrontare i mille dubbi che quell’interrogatorio aveva portato alla luce. Chi era, in realtà, Jason Evans?
- Alexandra! -
Lo guardò avvicinarsi, smarrito e con un’espressione di colpa dipinta in faccia, e d’istinto si ritrasse. Come aveva fatto ad arrivare da lei? Non aveva sentito il rumore della porta che si apriva, e non c’erano finestre. Era come se... se fosse apparso dal nulla... Allora era vero quello che le avevano detto? Che non era umano, che... No, non poteva crederci!
- Coraggio, ora ti porto via! -
Prima che Jason potesse toccarla rotolò di lato e scese dall’altra parte del letto. - Sta’ lontano da me! - sibilò. - Guai a te se mi tocchi! -
Il ragazzo si volse a guardare preoccupato la porta. - Alexandra, abbiamo pochissimo tempo! Ti prego, non fare così! -
- Preferisco essere uccisa da loro che usata come cavia! - fu la sua pronta risposta.
Jason la fissò scioccato. - Che diavolo stai dicendo?!? -
- Non è forse vero? - C’erano disprezzo e dolore nel suo tono sommesso. - Mi hanno detto cosa sei. Un esperimento di laboratorio, una parodia di essere umano, costruito col materiale genetico dei tuoi pseudogenitori e con roba sintetica che non oso neppure pensare dove se la siano procurata! Ma io mi chiamo fuori dai tuoi giochetti! Non ti permetterò di distruggermi! -
- Io non voglio distruggerti! Santo cielo, Alexandra, sono venuto qui per aiutarti! - protestò lui.
- Ah sì? Per poter poi continuare a provare a trasmettermi la tua malattia e vedere se trovi il modo di aiutare te stesso? - Si sentiva tradita per il modo in cui l’aveva usata, e non poteva trattenersi dall’aggredirlo, dal gettargli in faccia quello che provava. Ma dentro di sé era come morta. Aveva creduto in lui, aveva creduto davvero in quell’amore inatteso eppure tanto desiderato. E invece era stata solo un’illusione...
L’alieno fece un passo indietro, le mani strette a pugno ed il viso pallidissimo. - Non sai quello che dici... - bisbigliò a fior di labbra.
- Lo so molto bene, invece. Ci ha pensato l’Fbi a fornirmi tutti i particolari, tra un esame e l’altro... Mi hanno prelevato sangue, urina, perfino liquido lacrimale! Sono stata sottoposta alla visita ginecologica più approfondita e spietata che abbia mai avuto, hanno preso campioni di pelle ovunque... E tutto solo perché ci hanno visto baciarci e hanno dedotto che abbiamo avuto rapporti sessuali! Quindi, qualcosa di vero in quello che mi è stato tanto gentilmente spiegato dev’esserci... - concluse Alexandra guardandolo con ripugnanza.
Jason, che non si era accorto di trattenere il fiato mentre ascoltava quel terribile sfogo, emise un gemito roco. - Mi dispiace... mi dispiace da morire per quel che ti hanno fatto... - disse, annientato dal dolore.
- Bene, e ora che me lo hai detto puoi pure andartene! -
- No, Alexandra, non lo farò senza di te! Saranno loro ad usarti come cavia, e quando non gli sarai più utile ti uccideranno senza alcuna pietà! Ti prego, ci vorrà soltanto qualche secondo dopodiché sarai libera! la implorò.
- Libera? Di sapere che sono stata un’idiota? Che mi sono illusa come una qualsiasi ragazzina al suo primo amore? Che non c’è modo di rendere la vita meno schifosa? No, grazie tante! Ne ho avuto abbastanza di te e delle tue parole! - Alexandra fece per voltargli le spalle ma in quel momento la porta si aprì ed apparvero due robusti infermieri, seguiti da un uomo vestito di scuro.
- Prendetelo vivo - fu tutto ciò che disse quest’ultimo.
Il ragazzo reagì d’istinto e non ebbe alcuna difficoltà a mettere fuori combattimento i suoi assalitori dopodiché si slanciò verso Alexandra, deciso a trascinarla via anche contro il suo volere.
- Fermati, mostriciattolo! - gridò l’uomo estraendo la pistola e puntandogliela contro.
- Il mostro sei tu, Ross! - gridò Jason di rimando, il braccio teso in avanti per creare uno scudo che lo separasse da lui dandogli il tempo necessario a raggiungere la giovane, rimasta paralizzata dal terrore.
Stavolta lei non oppose resistenza e Jason le circondò la vita stringendola forte a sé, poi richiuse a pugno la mano destra facendo dissolvere il campo di energia.

- Sei in salvo, adesso... - mormorò l’alieno scostandosi lentamente da lei.
Alexandra barcollò e chiuse gli occhi, ma Jason riuscì a sostenerla prima che cadesse. Con suo grande raccapriccio sentì qualcosa di caldo e vischioso sotto le dita: il colpo sparato da Gabriel Ross non appena aveva annullato lo scudo l’aveva raggiunta al fianco. La prese in braccio con delicatezza e l’adagiò sul letto. - Papà! - urlò girando appena il capo verso la porta. Gli occhi pieni di lacrime, si guardò intorno alla disperata ricerca di qualcosa con cui tamponare la ferita. - Sbrigati, papà, ho bisogno di te... - mormorò, poi vide una maglietta abbandonata sulla sedia e si affrettò a prenderla. - Resisti, amore, tra poco sarà tutto finito! -

- E’ Jason! - Max corse al piano superiore, tallonato da Shiri e Liz.
Non appena ebbero varcato la soglia della stanza del ragazzo la situazione apparve subito chiara a Shiri, che si inginocchiò accanto al fratello mettendo una mano sul corpo di Alexandra, percorso da lunghi e dolorosi brividi.
- Vuoi che me ne occupi io? - chiese Max avvicinandosi alla figlia, ma lei scosse la testa decisa. No. No, posso farcela... - rispose a bassa voce, poi si protese un poco in avanti e stabilì il contatto con l’amica, sprofondando dentro di lei, cercando e guarendo.
Fu questione di attimi, e Alexandra tornò in sé. - Dove... dove sono? - Riconobbe il volto serio di Shiri e si sollevò sui gomiti tentando di allontanarsi da lei ma nel farlo si accorse di Jason e spalancò gli occhi inorridita.
Incapace di sopportare oltre quello sguardo accusatore Jason si volse e se ne andò.
Liz seguì preoccupata il figlio, immaginando suo malgrado quello che doveva essere successo.
Nel passare per il salotto il ragazzo quasi non si accorse della presenza dei nonni e continuò a camminare come un automa verso la porta principale.
La madre lo afferrò per il braccio proprio mentre cercava di ruotare la maniglia. - No, Jason, non fare così! Qualsiasi cosa ti abbia detto o fatto è stato solo perché era spaventata! Cerca di avere pazienza con lei... lasciale un po’ di tempo per capire... -
Jason scosse piano la testa. - Pensava veramente ogni singola parola... Ai suoi occhi sono... sono un abominio... e non vuole più avere a che fare con me... - Disperato, girò su se stesso e si abbandonò contro di lei, le spalle scosse da singhiozzi secchi e convulsi che le spezzarono il cuore. - Tu non sei un abominio, tesoro... Non lo sei... - Gli occhi velati per la pena, lo abbracciò forte rimpiangendo di non poter fare altro per lui. - Dalle tempo... - ripeté, nella speranza che Alexandra avesse davvero solo bisogno di tempo per accettare la verità.
Intanto la ragazza si era rannicchiata sul letto cercando di frapporre la maggiore distanza possibile fra sé e Shiri.
La sua espressione spaurita esasperò la giovane aliena, che sedette sul materasso fissandola dritta in volto. Sei in salvo, adesso, quindi puoi smettere di guardarmi a quel modo! -
- Come sono arrivata fin qui? - le chiese Alexandra stringendo maggiormente a sé le gambe nel tentativo di allontanarsi ancora di più.
- Questo non è rilevante, adesso. Senti, io... io mi rendo conto che tutto quel che ti è capitato ti abbia sconvolta ma ti assicuro che non hai alcun motivo di temere me o Jason. E ti sarei grata se non raccontassi nulla a nessuno, neppure a tua zia... -
- Perché? Hai paura che l’Fbi indaghi su di voi? - la sfidò lei.
Shiri serrò le labbra e si rialzò andando a mettersi accanto al padre. - Lo hanno già fatto, ed è un’esperienza che spero di non ripetere mai più, quindi capisco perché tu ce l’abbia con Jason, in questo momento, però ti prego di ricordare che lui ti vuole molto bene. -
La ragazza deglutì convulsamente. - Voglio tornare a casa mia. Subito -
- Certo. Ti prendo qualcosa da mettere e poi ti accompagno. - Max accennò ad uscire dalla stanza ma fu fermato dalla pronta replica di Alexandra. - Non ce n’è bisogno, grazie. Preferisco fare l’autostop. - Si alzò barcollando un poco e fece il giro del letto cercando disperatamente di non sfiorare Shiri, che la fissò incredula. - Scherzi, vero? Fuori fa un freddo cane, e se non trovi nessuno che ti dia un passaggio rischi di morire congelata! -
- Non m’importa. Non voglio niente da voi! -
Alexandra sembrava davvero terrorizzata e Max ebbe compassione di lei. - Per favore, lascia che ti accompagni... -
- No! - Ormai in preda ad un attacco isterico, si slanciò verso la porta schivando il braccio teso del giovane e corse giù per le scale. Arrivata al piano inferiore quasi si scontrò con Jeff Parker, che aveva lasciato il soggiorno per andare a controllare cosa stesse succedendo di sopra, e con la coda dell’occhio vide Jason e sua madre. Temendo che cercassero di fermarla corse ancora più forte e si precipitò fuori dalla casa come se fosse inseguita da una torma di lupi affamati.
Continuò a correre incurante dell’aria gelida e del duro asfalto che le feriva i piedi nudi finché vide apparire i fanali di una macchina. Agitò allora le braccia come una pazza per attirare l’attenzione del conducente e, con sua enorme gioia, scoprì che si trattava di un’auto di pattuglia. - O dio del cielo, ti ringrazio! Agente, la prego, mi aiuti! -
Jim Valenti frenò bruscamente facendo fischiare le gomme e si affrettò a scendere dalla vettura. - Sono lo sceriffo. Cosa ti è successo?!? -
- Io... io... - Incerta su cosa dire, Alexandra incrociò le braccia sotto il seno e lo guardò implorante. - La prego, mi può accompagnare a casa? -
- Sicuro! Ma forse sarebbe meglio passare prima all’ospedale... -
- No! No, voglio andare a casa. Per favore, sto morendo di freddo... -
- Certo. Su, entra! - Le fece segno di salire poi aprì il bagagliaio e ne estrasse una coperta. - Tieni, copriti con questa. -
- Gr...grazie... - balbettò lei.
- Senti, ora ti porto a casa tua, però vorrei che domani venissi da me, in ufficio. Vorrei che mi raccontassi cosa ti è capitato... -
- Niente, non mi è capitato proprio niente! Voglio solo tornare a casa. -
Jim non ebbe bisogno di chiederle l’indirizzo. Conosceva tutto di quella ragazza, avendo ricevuto il suo fascicolo dal tribunale di Los Angeles dopo l’affidamento a Linda Kransick. E decise che la prima cosa che avrebbe fatto l’indomani mattina sarebbe stata chiamare la donna e cercare di sapere qualcosa da lei.
Quando arrivarono davanti al piccolo ranch Alexandra tirò un sospiro di sollievo. - Grazie, sceriffo, è stato davvero gentile! - Fu fuori dell’auto ancor prima che lui potesse rispondere, e in un attimo raggiunse l’uscio e cominciò a battere con frenesia entrambe le mani. - Zia! Zia, apri! -
- Alex! Ma cosa...? - La donna guardò preoccupatissima la nipote, che le era quasi caduta fra le braccia, e poi l’auto coi lampeggianti accesi. - Ti ha portata lo sceriffo? - chiese stupita.
- Sì. Zia, ti prego, possiamo parlarne domani? Adesso vorrei solo fare una doccia bollente e poi andare a dormire... -
- Sì, tesoro, certo. - Dopo aver dato un’ultima occhiata allo sceriffo, in piedi contro la macchina, attirò la ragazza all’interno e chiuse con cura la porta dietro di sé. - Perché ti ha accompagnata lui? E perché sei vestita così? - le domandò ansiosa. - Sei stata aggredita? -
- No, zia, non sono stata aggredita, e mi ha accompagnato lo sceriffo perché è stata la prima persona che ho incontrato dopo essere scappata. - Alexandra sospirò - Per favore, ho davvero bisogno di una doccia... -
- Scusami, hai ragione. E’ solo che... - Un sospetto improvviso le attraversò la mente. - Non erano agenti dell’Fbi?!? E’ per questo che sei scappata? -
La ragazza le rivolse uno sguardo stanco. - Oh, no, erano davvero agenti federali... Ma ne avevo avuto abbastanza dei loro test e così... me ne sono andata. -
- E cosa farai nel caso abbia contratto quella malattia? -
- Non me ne importa più niente. - Chiuse gli occhi e rabbrividì e Linda, non osando continuare ad interrogarla, la sostenne fino in bagno.
Mezz’ora più tardi Alexandra era avvolta in un caldo piumino e si strofinava inconsciamente il gomito sinistro, dove non era rimasta alcuna traccia dell’enorme livido bluastro. “Sto impazzendo... Non può essere successo davvero... Non può...” Continuò a fissare nel buio sforzandosi di non pensare a niente ma, a poco a poco, si raggomitolò su se stessa e riprese a tremare.

Non era stato facile spiegare ai Parker la presenza, e la precipitosa fuga, di Alexandra. I due avevano ascoltato in silenzio le spiegazioni di Max tuttavia era chiaro che non avevano creduto ad una sola parola. E non si poteva dargli torto. In fin dei conti era difficile accettare l’idea che Jason fosse stato in grado di percepire che la sua amica era in pericolo e l’avesse teletrasportata nella propria stanza! Il giovane non era riuscito a trattenere l’amarezza mentre concludeva il brevissimo resoconto ammettendo che la ragazza era scappata via spaventata per quello che lui aveva fatto.
Per fortuna la cena era quasi terminata così, dopo avere bevuto il caffè, Jeff e Nancy si erano accomiatati e Max e Liz erano potuti tornare in camera di Jason per controllare come stesse.
Il ragazzino era sdraiato sul fianco, gli occhi chiusi ed il respiro lento ma regolare. Seduta sul bordo del letto, Shiri gli teneva una mano sulla tempia.
Sentendoli entrare si girò verso di loro poi tornò a concentrarsi sul fratello. - Sono riuscita a farlo calmare, ma preferisco restare qui ancora un poco. Voi andate pure a dormire... -
- Sei sicura, amore? Devi essere molto stanca... - disse piano Liz.
- No, stai tranquilla. Buona notte, mamma, ‘notte, papà... -
- Buona notte, piccola. - Max si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte, poi si chinò a baciare il figlio. Buona notte, coniglietto... - bisbigliò addolorato.
Liz abbracciò Shiri con tenerezza. - Grazie, tesoro... -
- Io... credo di detestare Alexandra... - sussurrò lei con occhi velati di lacrime.
- No, non devi, amore mio... Si è spaventata, è comprensibile... -
- Ma è stata così dura, con lui... così... crudele! -
- Succede, quando si ha paura. Aspetta a giudicarla... -
La ragazza sospirò e fece un piccolo cenno affermativo col capo. - D’accordo, aspetterò. - disse con voce quasi impercettibile.
- Brava! Buona notte... -
- ‘Notte. -

- Sono distrutta... - Liz si tolse le scarpe e le lasciò cadere sul pavimento prima di buttarsi a corpo morto sul letto.
- Lo immagino. E’ stata una serata molto faticosa. - convenne Max inginocchiandosi accanto a lei e sospingendola delicatamente in posizione prona. - Ma è finita, e ora puoi rilassarti... - Nel dire questo cominciò a massaggiarle le spalle strappandole un sospiro di piacere. - Come pensi sia andata coi tuoi genitori? - le chiese dopo un po’.
- E’ andata... – La giovane donna chiuse gli occhi e, dopo un breve silenzio, domandò a sua volta. - E come pensi sia andata con Jason? -
Max fece una smorfia. - E’ andata. - Si chinò a deporle un bacio sulla nuca. - Ora capisci perché mi considero molto fortunato ad avere incontrato te? Tu mi hai subito accettato per quello che sono... - mormorò.
- Le cose non stanno esattamente così. All’inizio anch’io ero spaventata, solo che poi... poi... -
- Poi il tuo amore è stato più forte della paura - concluse per lei, - e te ne sarò grato per sempre... - Le diede un altro piccolo bacio e l’aiutò a mettersi seduta. - Su, lascia che ti spogli così potrò massaggiarti meglio! -
A quelle parole Liz mormorò qualcosa che lui non capì ma fece come le era stato chiesto ed in breve si ritrovò nuda e nuovamente sdraiata sullo stomaco. Le mani calde di Max ripresero a toccarla con maestria sciogliendo i nodi di tensione e, quasi senza accorgersene, si addormentò.
Il giovane guardò con aria assente la lieve luminosità dorata che si sprigionava dalle sue dita, perdendosi nei propri pensieri. Liz era davvero stremata, quella cena era stata un vero e proprio incubo! Prima la lite con la madre, poi l’incidente con Alexandra, ed infine l’imbarazzato saluto dei Parker. Da una parte era contento che Liz avesse trovato infine la forza di rivelare tutto ai suoi genitori, ma dall’altra era rattristato per la sofferenza che questo le aveva causato. Ed era stato terribile vedere la profonda disperazione di Jason quando Alexandra si era allontanata da lui. Era però sicuro che Shiri sarebbe riuscita ad aiutarlo a superare quel durissimo momento, grazie alla sua profonda sensibilità empatica, ed un inconsapevole sorriso colmo di affetto per la figlia gli illuminò il volto. Con un sospiro si tolse i vestiti e si sdraiò accanto a Liz, stringendola fra le braccia e sistemandole la testa nella nicchia della propria spalla. - Buona notte, amore mio... - sussurrò con dolcezza, e rimase a vegliare il suo sonno fino all’alba.

Jason si destò di soprassalto e per un attimo rimase immobile cercando di ricordare il sogno che aveva fatto. Un sogno angosciante, i cui particolari a poco a poco gli apparvero con sgradevole nitidezza. Aprì allora gli occhi e si volse a guardare la sorella, placidamente addormentata al suo fianco. “Grazie, Shiri...” pensò con riconoscenza. Sapeva di doverle molto. L’aveva sentita accanto a sé mentre vagava come un pazzo alla ricerca della maniera di liberarsi dalle ombre che lo avvolgevano sempre più stretto, aveva sentito la sua mano afferrarlo e trasmettergli calore e serenità, e un poco alla volta aveva ripreso il controllo di se stesso.
Shiri si stiracchiò sbadigliando e quando il suo braccio sbatté contro il corpo tiepido di Jason sorrise con aria di scusa. - Ciao, come va? -
- Discretamente. Ti ringrazio per essere rimasta con me... -
- Figurati! Ma che ore sono? -
- Le sette meno un quarto. Dai, alzati o faremo tardi a scuola. -
La ragazza si sollevò a sedere e lo scrutò incuriosita. - Te la senti? -
- Certo! Il mondo va avanti anche se ho il cuore a pezzi, non credi? -
Il tono di Jason era quasi scherzoso e Shiri gli fece la linguaccia. - Volevo soltanto sapere se te lo ricordavi! - Poi schizzò giù dal letto per evitare il cuscino che lui le tirò dietro.
Erano entrambi in cucina a fare colazione in compagnia del padre, che stava preparando da mangiare per i gemelli, quando arrivò Liz. - Buongiorno! - Era contenta di vedere Jason chiacchierare serenamente con Max, a quanto sembrava Shiri aveva fatto ancora una volta un ottimo lavoro! Ricordava fin troppo bene la notte in cui lei e Jason si erano arrampicati sul loro letto e li avevano liberati dagli incubi regalandogli un sonno profondo e ristoratore...
- Ciao! Mi dispiace ma noi dobbiamo scappare! Ci vediamo stasera! - I due ragazzi posarono i piatti nel lavandino e, dato un frettoloso bacio a tutti quanti, uscirono per andare a scuola.
Mentre sistemava i bambini nei loro seggioloni Liz guardò incerta il marito. - Jason sembra essersi ripreso piuttosto bene. - disse, quasi a chiedere conferma.
Max distribuì equamente la crema di cereali in due ciotole e gliene porse una. - Sì. Shiri lo ha aiutato molto, è vero, però lui ha questa incredibile capacità di razionalizzazione... Non so, è come se avesse... assorbito... quello che è successo con Alexandra. Non superato, no, ma accettato. Non so se sia riuscito a spiegarmi, non è facile trovare le parole giuste... - Le sorrise dubbioso. - Forse sarebbe più semplice se mi connettessi a te. -
Davanti alla sua espressione interrogativa la giovane donna scosse lentamente la testa. - No, credo... credo di aver capito. In un certo senso è quello che è capitato a me quando mi rivelasti di essere un alieno. Sai, fu alquanto scioccante... -
- Immagino di sì - mormorò lui distogliendo lo sguardo.
- Max, piantala! - Liz gli tolse di mano uno dei due cucchiai. - Non intendo sentire altre recriminazioni, capito? Io sono felice di stare con te, e questo non sarebbe accaduto se tu non fossi un alieno! Ricordi? Sarei morta a sedici anni, e non avremmo mai avuto la possibilità di conoscerci e amarci! - Con un sospiro si concentrò su Ethan ed iniziò ad imboccarlo. - Anche tu, crescendo, diventerai testardo come il tuo papà? - chiese, e contorse il viso in una buffa smorfia che fece ridere il bimbo. - No, - proseguì - tu sarai un bellissimo e bravissimo ragazzo, avrai tanti amici e un giorno conoscerai l’amore della tua vita e vivrai per sempre insieme a lei! -
- E non è quello che è successo a me? - fu il commento un po’ ironico di Max.
Lei si limitò a stringersi nelle spalle. - E spero che succeda anche a Jason. Tiene molto ad Alexandra, questo ormai lo sappiamo tutti, e mi piacerebbe che le cose si risolvessero, tra loro due... -
- Quella ragazza è un pericolo, per noi. Lo capisci, vero? - disse il giovane, incupito.
- Non più di quanto lo fossimo io e Maria, oppure Alex. Sono certa che l’idea di andare a raccontare ogni cosa allo sceriffo sia l’ultimo dei suoi pensieri! -
- Non è questo, che voglio dire, e poi Jim non darebbe alcun seguito alla sua denuncia, per non parlare del fatto che probabilmente farebbe in modo di convincerla a lasciar perdere... No, quello che intendo è che forse dovremmo parlarle, trovare il modo di spiegarle quanto sia importante che non riveli mai quel che è successo... -
- Dubito che sia possibile. Hai visto com’era spaventata, no? Anzi, ad essere sincera ho paura per come potrebbe comportarsi nel rivedere Jason. Forse non avremmo dovuto mandarlo a scuola, oggi... -
Max lasciò che Claudia si impossessasse del cucchiaio e la guardò mentre lo tuffava con energia nella ciotola. - Lui voleva andare, e tutto sommato credo sia meglio così. Rimandare avrebbe significato solamente avere davanti un intero giorno per tormentarsi - Corrugando la fronte prese con dolce fermezza la mano della figlia e la guidò nei movimenti. Pochi istanti dopo la piccola ripeté il gesto senza fare una piega portandosi la posata alla bocca e lasciando cadere appena qualche goccia di pappa.
Ethan la osservò sgranando gli occhioni scuri e batté i piedi contro i sostegni del seggiolone. - Anch’io! Anch’io! Solo! - Afferrò con decisione il cucchiaio strappandolo alla madre e lo infilò nella crema. - Solo! - ribadì, imitando la sorellina.
Liz si mordicchiò pensosa il labbro inferiore. - Allora non ci resta che aspettare, e sperare. -
- Praticamente sì. - Max accennò un sorriso di scusa, poi diede un’occhiata all’orologio. - Maria dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Avanti, ragazzi, fateci vedere come siete bravi a finire tutta la pappa! -
Claudia gli sorrise con adorazione continuando a maneggiare la posata con disinvoltura, dopodiché emise un trillo di gioia quando lui la sollevò in braccio e la portò al piano di sopra per farle il bagnetto e cambiarla.
Liz si stava ancora occupando di Ethan quando arrivò Maria con il figlio, e Max l’accolse con un sorriso di gratitudine. - Spero che non ti diano troppo lavoro. Stamattina sono particolarmente attivi... -
- Ah, grazie tante! - La giovane donna gli diede un buffetto sulla guancia poi si guardò intorno. - Liz? -
- E’ di sopra, con Ethan. Michael è fuori? -
- No, sono venuta con Isabel. E’ arrivata insieme a Morgan, che poi se n’è andato con Michael. Avanti, va’ pure, mi occupo io di questa signorina! -
La bimba annuì e agitò le braccia verso Maria. - Mria! - disse felice.
- Ciao, tesoro! Comunque, il mio nome è Maria. M-a-r-i-a -
- M-a-r-i-a - ripeté lei obbediente, poi si protese verso Mathias. - Giù! Thias! Thias! -
Max obbedì ridendo. - In bocca al lupo! - augurò alla ragazza prima di andarsene.
Maria arricciò il nasino. - Crepi... - mormorò guardando Claudia aggrapparsi alla carrozzina e sorridere al cuginetto.
Pochi minuti dopo venne raggiunta da Liz che, deposto in terra Ethan, la salutò con un abbraccio affettuoso.
L’amica la fissò socchiudendo gli occhi. - Ehi, qualcosa non va? Hai un’aria... strana... -
- Beh, a parte il fatto che ieri sera, mentre c’erano i miei, è successo di tutto? - rispose Liz con finta noncuranza controllando che i figli non dessero troppo fastidio a Mathias.
- Di tutto? -
- Ecco, le discussioni con mia madre sono iniziate ancora prima di metterci a tavola, Jason è andato a salvare Alexandra, e io ho scoperto di essere incinta. Comunque oggi la giornata è iniziata positivamente, almeno credo... -
- Scusa, puoi ripetere? - mormorò Maria, non del tutto certa di aver capito bene.
Liz alzò gli occhi al cielo. - Diciamo che le cose mi sono un po’... sfuggite di mano, ecco. In ogni caso, adesso mia madre e mio padre sanno che Max è un alieno, e come c’era da aspettarsi la notizia li ha lasciati un tantino perplessi... Per quanto concerne Alexandra, invece, si è verificato quello che Michael temeva: ha scoperto che Jason non è del tutto umano, e la cosa l’ha terrorizzata. -
- Già, posso capirla! - La ragazza si passò una mano tra i capelli. - Accidenti, che disastro... - Poi si morse le labbra pensosa. - E tu aspetti un altro bambino. Mm, direi che è un bell’azzardo! -
- In effetti non pensavo di averne un altro a così poca distanza dai gemelli, ma è successo e non ho alcuna intenzione di interrompere la gravidanza - fu il deciso commento di Liz.
Maria la guardò dritta in faccia. - Sai benissimo che non ti direi mai di fare una cosa simile! Però devi ammettere che non sarà semplice gestire tre bambini piccoli -
- Lo so, ma basta organizzarsi. Ce la farò, vedrai! -
- Oh sì, certo, ne sono più che sicura! Testarda come sei troverai il modo di far filare dritti tutti quanti, a cominciare da te, vero, tesoro? - Così dicendo prese in braccio Claudia, che stava cercando di arrampicarsi sul passeggino, e andò a deporla sulla trapunta. Incuriosito, Ethan la seguì a piccoli passi dondolanti.
Liz sorrise suo malgrado e andò a prendere il cappotto. - Grazie per l’aiuto... -
- Le amiche servono a questo, no? - Maria le fece l’occhiolino e con il mento indicò la porta d’ingresso. Su, vai, altrimenti tutte quelle cellule di cui ti occupi finiranno col sentirsi abbandonate! -
Entrambe le ragazze ridacchiavano ancora quando l’uscio si richiuse alle spalle di Liz.

- Ciao. Com’è andata la cena? - Isabel osservò con simpatia il fratello mentre si allacciava la cintura di sicurezza.
- A dire la verità meglio di quanto pensassi. - Max si schiarì la gola, chiaramente a disagio. - Almeno per la parte rivelazione. Cioè, non ci hanno guardato come pazzi e ritengo si siano convinti che non li abbiamo presi in giro... Però poi Jason ha sentito che Alexandra era in pericolo e per salvarla l’ha teletrasportata con sé, e Liz si è sentita male. Insomma, un vero disastro... -
- Jason ha fatto cosa?!? - esplose la ragazza incredula. - Santo cielo, ma è impazzito? Ci mancava solo questo, accidenti! E naturalmente tu non hai fatto nulla per fermarlo, vero? -
Il giovane la fissò rigido. - Alcuni agenti dell’Fbi l’avevano prelevata con la scusa di sottoporla a delle analisi, e devono averle fatto molto male o Jason non avrebbe percepito il suo bisogno di aiuto -
- Agenti... dell’Fbi? E perché diavolo si interessano a lei, adesso? - Non appena ebbe finito di pronunciare la frase Isabel batté una mano sullo sterzo. - Ma certo, che stupida! Evidentemente continuano a tenere d’occhio Jason, e a furia di vederli insieme avranno capito come stanno le cose fra di loro! Scommetto che speravano di trovare un piccolo alieno in cantiere! -
Quelle parole un po’ crude fecero trasalire Max, che impallidì vistosamente.
La sorella se ne accorse e lo squadrò sospettosa. - Che hai? -
Lui rimase in silenzio per alcuni secondi, quasi stesse cercando di digerire qualcosa. Poi si girò con estenuante lentezza per guardarla negli occhi. - Liz è incinta - disse piano.
La notizia lasciò Isabel senza fiato. - Incinta? Di nuovo?!? -
La sua reazione sorprese Max, che si scurì in volto. La sera prima, quando aveva sentito la nuova scintilla di vita nel corpo di Liz, aveva toccato il cielo con un dito. Un’altra creatura da amare, un’altra minuscola Liz in giro per casa... Quella scoperta aveva reso memorabile una serata altrimenti tutta da dimenticare! Finché le parole di Isabel non gli avevano fatto realizzare il pericolo che ora lei, per il solo motivo di aspettare un bimbo, correva. L’Fbi non avrebbe mai smesso di cercare di condurre esperimenti sugli alieni, a dispetto delle assicurazioni ricevute dal presidente e dell’aiuto di Thomas Coltrane, e quei ripetuti tentativi di procurarsi il materiale genetico necessario ne erano la prova. Avevano fallito con Jason, e poi con Alexandra. Adesso, forse, avrebbero provato con Liz?
Venne strappato alle sue tristi elucubrazioni dallo schiocco delle dita di Isabel davanti al proprio naso.
- Ehi, sto parlando con te! -
Certa di aver ottenuto l’attenzione del fratello, la giovane si slacciò la cintura per poterlo fronteggiare meglio. - Ti rendi conto di cosa significhi un altro bambino?!? Maledizione, ne avete due ancora piccolissimi, che bisogno c’era di farne un terzo? -
- Liz è contenta! Lo so per certo! - cercò di obiettare lui, ottenendo soltanto di farla infuriare maggiormente.
- Ah, non ne dubito! Quella sciagurata è disposta a tutto, per te! Non ti dirà mai di no! E tu sei un irresponsabile egoista! Ha già messo al mondo quattro figli, e fra tre mesi partorirà il quinto! Il quinto, capisci?!? - Isabel si passò le mani fra i capelli tentando di recuperare un briciolo di calma. - Senti, Max, per quanto siano belli, i bambini richiedono un sacco di energia. Liz è una ragazza molto intelligente, che ama il suo lavoro, e non puoi costringerla ad avere una gravidanza dietro l’altra... Ha il diritto di fare quello che le piace, quello per cui ha studiato tanto, esattamente come te. E questo non è possibile se hai tre bambini di cui occuparti... -
Max la guardò teso. - Non è sola. Ci prendiamo cura dei gemelli insieme, e Jason e Shiri ci aiutano spesso. Un altro figlio non cambierà di molto la situazione. -
Ripensando al caos di alcuni giorni prima la ragazza reclinò leggermente la testa di lato. - Su questo ho i miei dubbi - disse con tono secco. - E comunque, andando avanti di questo passo, vedrai che la situazione cambierà. Eccome, se cambierà... -
- Forse sarebbe il caso che ti rimettessi la cintura e accendessi il motore. Sono già in ritardo - replicò lui, non volendo più parlare dell’argomento.
Isabel sbuffò. - Sì, sei proprio un irresponsabile egoista! - E senza aggiungere altro fece come le era stato detto.
Quando si fermarono ad un semaforo non riuscì più a trattenersi. - Ero venuta a prenderti io, invece di Michael, perché volevo cogliere l’occasione per poter parlare un po’ con te, sapere come stavi. Scusami, non volevo litigare, però... - Si morse il labbro inferiore, sovrappensiero. - Però è stato più forte di me! - Fece un sorrisetto triste, e aggiunse: - Ho persino rischiato di svegliare Natalie... -
Max volse il capo per guardare la nipotina, che dormiva tranquilla sul sedile posteriore. - Comunque avevi ragione. Io... non avevo pensato al fatto che Liz avrebbe potuto rimanere incinta. - ammise.
- Beh, sai, con l’impegno che ci mettete!... - lo prese in giro Isabel, che subito dopo si rifece seria. - Io credo davvero che dovresti fare qualcosa, per il futuro... E parla anche con Jason e Shiri. Sono tutti e due innamorati, e potrebbero commettere qualche imprudenza. Soprattutto Jason... -
Il giovane chiuse gli occhi con un sospiro. Sì, avrebbe dovuto parlare con i suoi figli. E con Liz. Dio, non sarebbe stato per niente facile...

- Di nuovo ai ferri corti? - mormorò Mark osservando come Alexandra avesse deviato ostentatamente non appena si era resa conto della presenza di Jason e Shiri al tavolo.
Tanya si volse a studiare l’espressione tesa dei due fratelli e serrò le mascelle. Per quanto gli Evans fossero simpatici Alexandra era pur sempre una delle sue migliori amiche e quindi non l’avrebbe lasciata pranzare da sola! - Vado da lei - annunciò laconica alzandosi e seguendola fino ad un tavolo appena lasciato libero da un gruppo di ragazzi.
Alexandra la guardò sedersi di fronte a lei e le sorrise con riconoscenza.
- Cos’è successo, con Jason? Credevo che le cose si fossero sistemate, fra voi due... Da quando è tornato a scuola siete stati sempre appiccicati! - Si portò alla bocca una forchettata di pasta e poi le puntò la posata contro. - Almeno fino a prima che sparissi tu! Lo sai che non mi hai ancora spiegato cos’avevate di tanto importante da fare tu e tua zia da tenerti lontana da scuola per due giorni? Insomma, non hai neppure avuto il tempo per farmi una telefonata! Allora? -
- Questioni legate al ranch. - commentò la giovane, rifiutando di aggiungere altro.
- Ok, d’accordo, farò finta di crederci. Ma Jason? Insomma, che ha combinato questa volta? -
- Non mi va di parlarne -
- Dai, Alex, se è davvero finita, tra voi, avrai bisogno di sfogarti, no?!? Su, avanti! Ti ascolto! -
Alexandra sorrise suo malgrado. Tanya era sempre così curiosa... Però aveva detto bene: aveva un enorme bisogno di sfogarsi! Rimise nel piatto le posate e si piegò un poco verso di lei - D’accordo, hai ragione, sono arrabbiata con Jason. Mi ha deluso, e ferito. Mi ha presa in giro fin dall’inizio, ed io sono stata così idiota da non accorgermene! Mi sono lasciata imbrogliare dalla sua aria innocente, per non parlare di quella santarellina di Shiri, che gli ha sempre tenuto il gioco, e sono caduta nella sua trappola come una scema! Ti do un consiglio, sta’ lontana da loro. Non sono affatto quello che sembrano!... - Detto questo si raddrizzò, prese la borsa ed il vassoio e se ne andò.
Tanya rimase a fissarla sbalordita. E dopo un istante si volse in direzione del tavolo dove gli altri stavano ancora mangiando. Riusciva a malapena a vedere la testa di Jason, il più alto del gruppo, ed ebbe la sgradevole impressione che anche lui la stesse osservando. Con una smorfia raccolse a sua volta le proprie cose e andò a posare il vassoio nell’apposito raccoglitore. Le era passato del tutto l’appetito...

Jason le guardò allontanarsi senza che dal suo volto trapelasse nulla dell’angoscia che lo rodeva. Quella mattina suo padre gli aveva chiesto fino a che punto conoscesse Alexandra, nel tentativo di capire cosa avrebbero potuto aspettarsi da lei. Alexandra... Aveva sempre cercato di trattenersi, di non entrare nella sua mente, tuttavia era praticamente impossibile mantenere del tutto le barriere quando facevano l’amore, e aveva sentito e visto brandelli dell’essenza unica che era Alexandra. Il suo tormento interiore, il suo bisogno d’affetto, le emozioni che provava quando erano insieme. E poi il rifiuto, il profondo ribrezzo, l’odio. Riuscire a sopportare il modo in cui lo fissava, come se fosse un repellente insetto da schiacciare, richiedeva un notevole sforzo, ma sapeva di potercela fare. Aveva superato molte cose terribili, e forse molte altre lo aspettavano, e quella era semplicemente una di più. Un altro piccolo orrore da incamerare e poi lasciarsi alle spalle. Come quando lo avevano portato via a sua madre dopo averla uccisa, oppure quando avevano ferito a morte Lou e Shiri... Comunque era stato un vero tormento ascoltare ciò che Shiri aveva percepito quando l’aveva guarita, perché si era connessa a lei in maniera profonda, deliberata, e aveva sentito e visto cose che gli avevano fatto molto male. In quel momento aveva compreso che non avrebbe rivelato a nessuno quel che aveva scoperto. Perché, come lui, Alexandra aveva imparato a custodire il dolore là dove non poteva più arrecare sofferenza. Ma ci sarebbero state nuove cicatrici, cicatrici di cui doveva incolpare solo se stesso...

Mentre guidava Liz decise all’improvviso di passare a scuola e non rimase affatto sorpresa nel vedere Jason seduto per terra con la schiena contro il muro, a lato del portone d’ingresso. Con un sospiro mise la freccia ed accostò al marciapiedi. A quanto pareva quella sarebbe stata una giornata terribilmente lunga...
Si avvicinò con calma al figlio e ne approfittò per studiarne il viso triste. Cosa poteva fare per lenire il suo dolore? Cosa poteva dirgli per rendere più sopportabile quel che avrebbe schiacciato l’animo di qualcuno molto più grande e vissuto di lui? Sentì il cuore farsi pesante e cercò di affrettare il passo ma un improvviso attacco di nausea la costrinse a fermarsi e a portarsi la mano alla bocca nel disperato tentativo di trattenere i conati. “No, basta! Non di nuovo!” pensò gemendo interiormente.
Fu allora che il ragazzo la vide e, sorpreso e preoccupato, si affrettò a raggiungerla. - Mamma! -
Lei si lasciò andare contro il braccio forte con cui le aveva circondato le spalle ed emise un piccolo lamento. - Aiutami a sedermi, ti prego... - bisbigliò, pallida come uno straccio.
- Certo, mamma! Vieni! - Jason la sostenne fino ad una panchina non troppo distante e sedette al suo fianco. - Va meglio? - chiese piano, notando con ansia le gocce di sudore che le imperlavano la fronte.
- Non proprio... - sussurrò Liz, gli occhi chiusi e le mani abbandonate inerti in grembo. - Ho freddo...
Cercando di non scuoterla troppo il ragazzo la sollevò un poco e se la sistemò sulle gambe, facendole appoggiare la testa contro il petto e serrando le braccia intorno alle sue spalle. Sembrava così piccola e fragile... E tremava, dio, quanto tremava... La strinse dolcemente a sé, non sapendo che altro fare, e cercò di distrarla parlandole. - Come mai non sei in ospedale? -
- Quando ho aperto un flacone di reagente l’odore mi ha dato fastidio e... -
- E? - la sollecitò lui.
- E ho vomitato davanti a tutti. E’ stato orribile... - Si sentiva malissimo e aveva voglia di piangere, ma si fece forza e cercò di proseguire. - Mi hanno costretta a tornare a casa, e così ho preso l’auto e... e poi ho avuto l’impressione che tu avessi bisogno di me... e sono venuta qui... - Fece un respiro lento, profondo, sperando che ricacciasse indietro la nausea che continuava ad attanagliarle lo stomaco. - E invece sono io ad avere bisogno di te... - terminò con un filo di voce, e perse i sensi.
Ormai in preda al panico Jason lanciò un richiamo mentale alla sorella perché lo raggiungesse subito, e la ragazza, che in quel momento stava consegnando al professore il compito svolto a casa, s’irrigidì per un attimo. “- Arrivo! -” - Ehm, scusi, devo... devo andare in bagno -
L’uomo la fissò distratto. - Va bene, Evans, ma si sbrighi: non mi piace essere interrotto mentre spiego. -
- Certo. Grazie -
Era appena uscita dall’aula quando Alexandra si alzò. - Scusi, devo andare anch’io. Posso? -
L’insegnante la guardò severo e si limitò ad accennare alla porta.
- Grazie! Sarò velocissima! -
Sabrina la osservò sconcertata allontanarsi in tutta fretta e scambiò un’occhiata perplessa con Tanya, che si strinse nelle spalle e compitò in silenzio il nome di Jason.
L’amica fece un piccolo cenno affermativo col capo per indicare che aveva capito, dopodiché si mise a sfogliare il libro alla ricerca del capitolo giusto.
Intanto Alexandra aveva pedinato Shiri fino all’ingresso e, sempre più incuriosita, la seguì fuori dell’istituto. “Dove diavolo sta andando?” si domandò, rabbrividendo nel maglioncino leggero che indossava.
Quando la vide raggiungere la panchina dove stava seduto Jason con una ragazza in braccio si bloccò e si guardò intorno alla ricerca di un modo per avvicinarsi senza essere vista. Voleva scoprire chi fosse quella ragazza, e magari salvarla dai guai in cui si era cacciata lei stessa... Ma soprattutto voleva essere libera di guardare Jason a suo piacimento. Perché voleva verificare se ci fosse qualcosa, in lui, che avrebbe dovuto farle capire la verità. Una verità, tuttavia, che non riusciva a comprendere davvero... Quella notte era rimasta sotto la doccia quasi un’ora per togliersi di dosso ogni pur minima traccia o ricordo di lui e dei federali, ma poi la mattina si era alzata impaziente di andare a scuola per sottrarsi alle asfissianti domande della zia. Durante le lezioni che aveva avuto in comune col ragazzo si era scoperta spesso ad osservarlo di nascosto, non riuscendo a capacitarsi del fatto che lui sembrasse così... così normale, quando invece era un costrutto di laboratorio... E poi c’era Shiri. Sempre curatissima, anche quando, come quel giorno, indossava i jeans ed un golf ingannevolmente semplice, con quel viso acqua e sapone che non aveva bisogno del trucco per attirare gli sguardi maschili. E anche lei era “sintetica”! In quel momento vide un debole alone dorato brillare sotto le sue dita e, soffocando a stento un grido di orrore, scappò via.

- Mamma! - Shiri sfiorò il volto pallido e freddo della madre. - Mamma... - ripeté, sperando che la sentisse ed aprisse gli occhi.
- Perché sta male? - le chiese angosciato il fratello.
- Non lo so, ma devi portarla a casa, e subito! Hai avvertito papà? -
- Non ancora. Stavo per farlo quando è svenuta, e allora ho chiamato te. Dai, controllala! -
- D’accordo - Non del tutto convinta la ragazzina pose una mano sul torace di Liz e stabilì il contatto, senza però trovare nulla che non andasse. - E’ tutto a posto. Forse è solo stanca... - disse guardandolo preoccupata.
- Io vado. C’è nessuno, qui attorno? -
- No, non mi pare. - Si rialzò in piedi e fece un lento giro su se stessa. - No. - confermò.
- Ok, allora vado. A dopo! -
- Ciao... - Shiri gli sorrise con apprensione, poi davanti a lei ci fu solo il vuoto. Jason, col suo prezioso fardello, si era letteralmente dissolto nell’aria. Sentendosi all’improvviso molto sola e triste si accasciò sulla panchina e si prese la testa fra le mani. Avrebbe tanto desiderato che ci fosse Bren, adesso. Voleva sentire le sue braccia stringerla e confortarla, voleva dimenticare l’espressione degli occhi di Alexandra ogni volta che si posavano su di lei oppure su Jason, voleva essere una ragazza come tutte le altre... Quando si sentì toccare sulla spalla trasalì e abbassò di scatto le mani. - Zio Jim! -
- Ciao, piccola. Perché non sei in classe? -
- Avevo... avevo bisogno di stare un po’ per conto mio... -
L’uomo sollevò leggermente il bordo del cappello e la fissò coi suoi occhi di un azzurro luminoso. - Come mai? -
Lei sorrise evitando di rispondere e si alzò. - Adesso sarà meglio che vada. Ma tu? Cosa ti porta alla West Roswell High School? -
Lo sceriffo si grattò pensoso la mascella. - Conosci una certa Alexandra Cooper? -
A quella domanda Shiri alzò gli occhi al cielo. - Oddio, non dirmi che ha sporto denuncia! -
- E tu che ne sai? - esclamò James Valenti sorpreso.
- Ieri sera Jason ha dovuto usare i suoi poteri per portarla via dal laboratorio dove l’avevano isolata quelli dell’Fbi, ma nella fuga è rimasta ferita per cui io ho usato i miei. Col risultato che puoi ben immaginare...
- Si è spaventata a morte ed è corsa via indossando solamente una tunica da ospedale. Giusto? -
La ragazza annuì in silenzio, mortificata. - Papà voleva accompagnarla ma lei ha rifiutato. Ha paura di noi. -
- Già, capisco... Comunque stai tranquilla, non ha fatto alcuna denuncia, e non ha detto niente neppure alla zia. Per questo ero venuto qui, per parlare con lei nella speranza di riuscire a venire a capo della faccenda, ma a questo punto direi che non ce n’è più bisogno. - S’infilò i pollici nei passanti della cintura. Un vero guaio... Tuo padre è all’osservatorio? -
- Sì. No. Veramente non lo so. - Shiri sorrise imbarazzata. - Mamma si è sentita male e Jason l’ha portata a casa, e forse papà adesso sta andando da lei... -
- D’accordo, allora passerò da voi stasera, sperando di non capitare in un brutto momento. -
- Ci fa sempre piacere vederti, zio. -
- Sei molto gentile, tesoro. Su, avanti, torna in classe, adesso! - Rimase a guardarla dirigersi verso l’ingresso e sospirò. - E ora dovrò trovare il modo di convincere Linda Kransick che sua nipote ha detto la verità. O meglio, una parte della verità... - Si calcò di nuovo il cappello e tornò verso la macchina adocchiando la vettura di Liz. “Dovrò avvertire Michael di passare a prenderla. Maledizione, ci mancava solo questa!”

All’uscita di scuola Sabrina diede di gomito ad Alexandra. - Hai visto Shiri? E’ sola. Jason sembra essersi dileguato... Sai, quella di sparire di punto in bianco mi sembra un’abitudine un po’ troppo diffusa, per i miei gusti! -
- Per quel che mi riguarda gli Evans possono fare quello che vogliono. Purché se ne stiano alla larga dalla sottoscritta -
Il suo tono acre stuzzicò l’interesse della ragazza, che sorrise divertita. - Allora niente più lotta sotto le lenzuola col baldo Jason? -
- Non ci penso proprio! - replicò Alexandra disgustata. - Ti va di fare i compiti insieme? Non ho voglia di tornare a casa... -
- Certo! Aspetta, vediamo se vuole venire anche Tanya! -
Mentre si allontanava dall’edificio Shiri vide le tre amiche prendere la direzione opposta alla sua e si mordicchiò il labbro inferiore. Sapeva che Jason aveva saltato la lezione di matematica perché non se l’era sentita di stare in classe con Alexandra, che l’aveva apertamente evitato ogni qualvolta si erano incrociati nei corridoi, e le era difficile perdonarle il fatto che non avesse dato a nessuno dei due la possibilità di spiegarsi. La madre le aveva detto di non essere troppo precipitosa nel giudicarla, tuttavia come poteva non farlo quando era evidente che Alexandra, al contrario, li aveva non solo giudicati ma anche condannati? E pazienza per lei, però Jason era il suo ragazzo! Si amavano! Santo cielo, come poteva aver cancellato di punto in bianco ogni cosa che c’era stata fra di loro?
Arrivò a casa senza quasi accorgersene e prima di tutto corse nella camera da letto dei genitori, dove trovò Liz placidamente addormentata fra le braccia di Max. Jason, che l’aveva seguita, le spiegò sottovoce che in effetti non aveva nulla che non andasse. Era stata semplicemente la tensione a farla star male e, dopo che Max le aveva massaggiato le spalle trasmettendole un po’ della sua energia, si era ripresa. A quel punto Maria aveva preparato qualcosa di leggero da farle mangiare poi aveva detto, o meglio ordinato, a Max di riportarla di sopra e di restare con lei per costringerla a rimanersene buona e tranquilla, e così era stato.
In punta di piedi per non disturbare, i due fratelli tornarono in soggiorno e Maria li accolse con uno sguardo severo. - Voglio sperare che non l’abbiate svegliata! - li rimproverò. E davanti al loro pronto cenno di diniego non riuscì a trattenere un sorriso materno. - Bravi! Shiri, in forno c’è l’arrosto e nel frigo l’insalata di patate. Ah, e anche un pezzo di torta! Il tutto offerto da Diane e mia madre, che non si sono fidate delle mie abilità culinarie... Bene, a questo punto recupero Mathias e torno a casa. Michael dovrebbe rientrare da un momento all’altro... - Diede un bacio a Shiri ed un colpetto sulla guancia a Jason. - Comportatevi bene, voi due, ok? -
- Sì, zia, certo. - Shiri le sorrise e l’accompagnò fino alla porta. - Ciao -
- Ciao, amore. Ciao, coniglietto - Suo malgrado scoppiò a ridere. - Coniglietto! Ormai sei diventato più alto di tuo padre! -
Quando fu uscita Shiri si volse a studiare il fratello. - E’ vero, sei cresciuto. Va tutto bene? -
Lui scrollò le spalle. - Sì. E’ successo prima che tornaste da Antar. Ho perso il controllo delle mie cellule per qualche minuto... - ammise.
- Lo zio Michael, eh? -
Jason si limitò ad arrossire e Shiri lo abbracciò brevemente. - Alexandra non ti merita! - disse piano.
- Non parliamo di lei, ti prego... - Il fratello la guardò con aria supplichevole, e la ragazza emise un piccolo sbuffo. - D’accordo. Adesso vado in cucina a mangiare qualcosa poi ti aiuto a cambiare Claudia e Ethan, ok? -
- Ok -
Shiri gli sorrise e se ne andò.

Era ormai buio quando Alexandra parcheggiò al solito posto, e mentre si avvicinava alla porta di casa si sentì percorrere da un brivido. La luce esterna era accesa come sempre, e così quella del salottino, le cui finestre davano sul lato ovest, ma c’era qualcosa di strano. Qualcosa che, in un modo inesplicabile, la disturbava. Girò la manopola e l’uscio si aprì sotto la sua leggera spinta, poi entrò e chiamò la zia ad alta voce. - Zia? Sono arrivata! -
- Ti stavamo aspettando -
Il suono di quella voce gelidamente ironica le fece rizzare i capelli sulla nuca. Si volse di colpo e sbiancò. Era lo stesso uomo che l’aveva interrogata per ore e ore in quel laboratorio maledetto!
- Sei più stupida di quanto pensassi. Non saresti dovuta tornare qui... -
- Dov’è mia zia? Cosa le avete fatto? Zia! Zia!!! - Fuori di sé dalla paura Alexandra gridò disperata mentre due uomini l’afferravano per le braccia, ma Linda Kransick non rispose. - Dov’è? Che le avete fatto? - gridò ancora, dibattendosi nell’inutile tentativo di liberarsi.
- Non può aiutarti, mia cara, quindi smettila di urlare e vedi di calmarti -
Solo in quel momento la ragazza si accorse delle suppellettili fracassate, dei mobili rovesciati, e un dubbio atroce la fece diventare ancora più pallida. - L’avete uccisa?!? -
- Diciamo che ha opposto resistenza ad un pubblico ufficiale... -
- Maledetto! Vi denuncerò, vi farò arrestare, vi farò... -
- Non contarci, ragazzina! Crederanno che siano stati dei ladri, sorpresi quando è rientrata per preparare la cena, e naturalmente tu non sarai qui per poter dire come sono andate davvero le cose... - Mentre parlava l’uomo scorse con occhio critico il suo corpo. - Eppure ero sicuro di averti colpita, ieri sera... Bene bene bene... Scommetto che le prossime analisi saranno molto interessanti... -
- NO! - Con un urlo disumano Alexandra diede un violento strattone a sinistra e scalciò con la gamba destra colpendo nelle parti basse l’uomo che la bloccava e riuscì a fuggire.
Ebbe il tempo di fare solo pochi metri quando venne afferrata di nuovo, e mentre lottava per sottrarsi alla dolorosa presa vide qualcuno materializzarsi letteralmente al suo fianco. Sentì il cuore mancarle un battito e una violenta vertigine farle quasi perdere conoscenza. Ritto accanto a lei, con una repentinità che la sconvolse, Jason creò una sfera di luce bianca e la lanciò contro il federale che le stringeva il gomito in una morsa ferrea poi fece un mezzo giro su se stesso e ne lanciò un’altra verso il secondo agente.
A pochi passi da lui, Max Evans teneva un braccio teso in direzione dell’uomo che, pistola in pugno, era rimasto immobile sulla soglia di casa.
- Gabriel Ross, hai finito di torturare gente innocente! -
Al tono implacabile della voce dell’alieno Ross fece un ghigno cattivo. - Dopo di me ne verranno altri. Non avete scampo, mostri! -
- Forse. Ma per adesso mi basta togliere di mezzo te! Dubito che qualcuno sentirà la tua mancanza! - Senza dire un’altra parola scagliò un lampo di energia verso di lui disintegrandolo completamente.
Inebetita dall’orrore e dallo choc Alexandra rimase immobile a fissare laddove, fino a pochi secondi prima, si trovava l’uomo dell’Fbi, poi si riscosse e corse dentro l’abitazione.
Jason, che le era andato dietro, la trovò inginocchiata accanto alla zia, il cui corpo era stato trascinato dai federali in cucina. La donna aveva un foro di proiettile nella testa e doveva essere morta già da diverse ore.
- Mi dispiace. Io non avrei mai... -
- Vattene -
Il ragazzo tacque bruscamente e Alexandra chiuse gli occhi tremando sempre più forte. - Ti ho detto di andartene - ripeté con voce incolore. - Tutto questo è successo per colpa tua. Abbi la decenza di andartene... - Poi, sentendo che lui non si muoveva, si rialzò di scatto portandosi le mani alle tempie. Vattene! - gridò girandosi a guardarlo con occhi colmi di odio e di lacrime. - Vattene, mostro! -
Jason sussultò, un’espressione di profondo dolore sul volto straziato dall’angoscia. - Mi dispiace... - ripeté in un mormorio indistinto, dopodiché si volse e uscì dalla stanza camminando con passo malfermo.
Quando vide il padre chinò il capo in segno di sconfitta e Max lo strinse in un forte abbraccio. - Dalle tempo... -
- E’ inutile, papà. Non posso farci niente... - Premette la fronte sulla sua spalla, il corpo scosso da brividi incontrollabili. Aveva causato la morte di una persona, ne aveva uccise due, e aveva messo in pericolo i suoi familiari. E tutto per un assurdo sentimento da cui si era lasciato travolgere...
Dopo alcuni minuti i due si separarono e Max fece per entrare in casa.
- No, non farlo. Lei non ti ascolterà, e non voglio che tu la obblighi a seguirci. -
- Jason, non può restare qui da sola con il cadavere di quella donna! -
- Lei non verrà mai con noi. Lasciala in pace, te ne prego... -
Davanti a quella richiesta fatta con tono implorante il giovane non poté fare altro che acconsentire e, preso il granilite che si era infilato in tasca, perlustrò i dintorni alla ricerca della macchina con cui erano arrivati Ross ed i suoi compagni. La trovò nascosta in un boschetto non troppo distante dall’abitazione e la distrusse con una silenziosa esplosione che non ne lasciò alcun frammento, dopodiché tornò dal figlio e, presolo per un polso, teletrasportò entrambi.
Michael, avvertito da Shiri, si era precipitato da lei ed aveva atteso impaziente il ritorno dell’amico. Era furibondo per tutta quella situazione, e lo fu ancora di più nel sentire che Alexandra era rimasta al ranch. Cominciò a protestare con vivacità tuttavia Max lo zittì con uno sguardo di fuoco. - Non c’era altro da fare. Se vuoi pedinala, controlla con chi parla, chi frequenta, ma evita di infastidirla, ok? Quella ragazza non deve soffrire ancora per colpa nostra, di quello che siamo! - Diede una pacca affettuosa a Jason sospingendolo verso le scale. - Vai di sopra, poi ti raggiungo... -
- Non occorre, papà, davvero. Ciao, zio, e scusa per... per tutto... - Incapace di aggiungere altro si volse e salì i gradini a due a due. Non vedeva l’ora di rifugiarsi in camera e cercare di venire a patti con quanto era appena successo...
Al piano inferiore Liz aveva seguito senza fiatare la scena dalla trapunta, dove stava giocando insieme ai bambini. Poteva sentire la tristezza di Max, la rabbia a stento trattenuta di Michael, e soprattutto la sofferenza di Jason, ma quella era una realtà con cui avrebbe dovuto imparare a convivere. Era inevitabile trovarsi, prima o poi, a fronteggiare il rifiuto, l’odio... era una cosa che capitava a chiunque, fosse alieno o no. Faceva male, certo, ma era parte della vita. Purtroppo la loro era più difficile e complicata di quella degli altri, però valeva sempre la pena viverla in ogni istante! Con fare distratto si sfiorò lo stomaco. Rivedere Max e Jason l’aveva tranquillizzata e si era resa conto della tensione che, come un mantello pesante, le scivolava via di dosso. Doveva assolutamente fare qualcosa, non poteva permettere alle sue paure di porre in pericolo la creaturina che stava crescendo dentro di lei... Sentì su di sé lo sguardo attento di Shiri e le sorrise per rassicurarla. Ecco, la risposta era proprio lì! Doveva aver fiducia in sé e nella sua famiglia...
Un poco alla volta Michael finì col placarsi e si decise a tornare a casa propria, e Max si avvicinò alla moglie per prendere i gemelli in braccio. - Adesso tocca a voi! Mm, a quanto pare dovete essere cambiati di nuovo! Ma è possibile che facciate sempre le cose insieme? -
Liz lo seguì nella stanza dei bambini, sforzandosi di non pensare al fatto che lui e Jason avevano dovuto fronteggiare di nuovo Gabriel Ross, e molto più tardi si addormentò al suo fianco, le gambe intrecciate ed i corpi ancora uniti.

Jason l’aveva sentita avvicinarsi già da diversi minuti. La consapevolezza di lei lo aveva ridestato dal sonno inquieto in cui era scivolato non molto tempo prima e da allora si era concentrato esclusivamente sulla sua essenza, cancellando ogni altra sensazione.
Quando infine la porta si aprì ed Alexandra entrò nella sua stanza spalancò gli occhi e la guardò in silenzio avanzare verso di lui. Il debole chiarore dei raggi della luna piena che filtrava attraverso le tende si rifletteva sul viso teso della ragazza. Quell’espressione lo mise a disagio e, mantenendo un rigido controllo su di sé perché nulla di ciò che provava potesse arrivare a Shiri o al padre, continuò a fissarla anche quando lei raggiunse il letto e si rese conto che era sveglio.
Per un attimo sembrò esitare, quasi fosse incerta se rimanere o andarsene, ma poi fece una smorfia e sedette sul bordo del materasso iniziando a parlare con voce soffocata. Linda Kransick non era mia consanguinea eppure mi ha dato una casa quando ne avevo bisogno, ed è stata uccisa per questo... L’hanno uccisa perché volevano riprendersi me, dopo che tu mi avevi portata via da loro... Non avrei mai dovuto fidarmi di te, di quello che dicevi... Tu sei la causa di tutto questo... - Si curvò ancora di più, arrivando quasi ad alitargli sul volto. - Ho dovuto lottare per rinascere, per riconquistare la vita... per convincermi di essere una persona vera e non una cosa che nessuno vuole... E ci ero riuscita, sai? Ci ero riuscita! Poi sei arrivato tu, con la tua falsa gentilezza, le tue belle parole, e mi hai usata in modo ignobile! Ed il risultato è che adesso non ho più niente! Non sono più niente! -
- No, Alexandra, tu... -
- Sta’ zitto! - Con un rapido movimento del braccio gli puntò alla gola il coltello a serramanico che aveva usato per scassinare la serratura della porta di casa. - Ti odio, Jason Evans... ti odio per tutto quello che mi hai fatto... -
- Io ti ho solo amato... e... e ho cercato di proteggerti... Mi spiace tantissimo per la morte di tua zia, ma quella gente è davvero spietata e... -
La ragazza aumentò la pressione della punta della lama, una luce di gelida follia negli occhi. - Ti ho detto di stare zitto! - ordinò. - Tu non mi hai mai amato, volevi solo usarmi per trovare una cura alla tua malattia!
La reazione di Jason fu così veloce che lei non vide neppure la sua mano sollevarsi e afferrarle il polso allontanandolo da sé. Con un ansito di rabbia cercò di liberarsi ma il ragazzo le prese anche l’altro polso bloccandola. - Io non sono malato! - Lo disse in un rabbioso sussurro, frustrato per l’ostinazione con cui Alexandra gli impediva di spiegarsi. - Ti prego, vuoi starmi a sentire? - la supplicò.
- Ti ho ascoltato altre volte, e guarda dove sono adesso! - Alexandra scosse piano la testa. - Non avrei mai dovuto innamorarmi di te... - Una lacrima le rotolò lungo la guancia. - Sono stata una stupida... -
- Non è vero! Perché non vuoi credermi? Perché non... -
- Basta! - Il dolore per la perdita della zia e la delusione per essersi lasciata ingannare da Jason esplosero in tutta la loro violenza annebbiandole per un attimo il cervello e con un grido strozzato tirò indietro il braccio destro per poi riabbassarlo di colpo.
Il giovane non fece nulla per evitare che la lama penetrasse nella sua carne. Era consapevole della furia cieca e della disperazione che animavano Alexandra, e capiva che l’unico modo per farsi ascoltare da lei era quello di lasciarle prima sfogare la rabbia che aveva in corpo. Ma l’acuto dolore gli strappò un sordo gemito e la ragazza, rendendosi conto all’improvviso di quel che aveva fatto, arretrò tremando come una foglia. - Jason... -
Lottando contro il senso di intorpidimento e la debolezza che minacciavano di sopraffarlo, Jason cercò di far leva sul gomito per sollevarsi un poco. - E’ vero... - bisbigliò a fatica, - se non fosse stato per me tua... tua zia sarebbe ancora viva... Ma io non ti ho mai ingannata... - Fece alcuni respiri profondi per schiarirsi la testa. - Non sono stato costruito in laboratorio... - riprese poi, - la verità... è un’altra... -
- Qua...qual è, la verità? - balbettò Alexandra, dato che lui taceva.
Serrando le labbra per lo sforzo Jason si raddrizzò fino ad appoggiare la schiena contro il cuscino, anche se poi dovette aspettare qualche secondo perché sparissero i puntini neri che gli velavano la vista, e fece un sorriso amaro. Non aveva più senso continuare a nasconderlo... Io sono... di origine aliena - confessò. - Mio padre... lui... mia madre lo ha sempre amato, pur sapendo che non era completamente umano... E io speravo... - Scosse piano il capo, quasi a voler biasimare se stesso per la propria ingenuità, poi si strappò via il coltello dalla spalla. Il sangue prese a scorrere a fiotti senza che desse segno di essersene accorto. - Ti amo, Alexandra, anche se non sono riuscito a... a fartelo capire... - La guardò negli occhi con un’intensità che le fece scorrere un brivido lungo la schiena.
Aveva sempre saputo, fin da quando era solo una bambina, che amare significava dare all’altro un enorme potere che avrebbe inevitabilmente usato per farle del male, e per questo aveva evitato con ferma determinazione di lasciarsi coinvolgere in storie d’amore. Ma Jason l’aveva subito colpita col suo fascino, e dopo molte incertezze aveva deciso di concedersi una possibilità. Scoprire che lui l’aveva presa in giro l’aveva ferita profondamente, per non parlare poi del fatto che in conseguenza di tutta quella storia sua zia ci aveva rimesso la vita... E così aveva deciso di vendicarsi, era salita in macchina e si era diretta verso la casa degli Evans, incapace di pensare ad altro che non fosse restituire a Jason il male che le aveva causato. Ora, però, il suo sguardo era così... così sincero, colmo di rammarico... Possibile che si fosse sbagliata? Lui l’amava davvero?
Trasalì nel rendersi conto che la stava ancora fissando e, quasi contro la sua stessa volontà, si scoprì ad avvicinarsi fino a sfiorargli la mano che giaceva abbandonata sul letto. Non appena toccò quella pelle calda e liscia sentì una specie di scossa elettrica, e le successive parole del ragazzo le giunsero come da molto lontano.
- Il mio dna, il mio sangue... sono diversi... Ma per il resto sono come tutti gli altri... Non ho strane malattie, non sto facendo esperimenti, e non ti ho mai usata... L’altro giorno... quando mi hai perdonato per non averti fatto sapere subito che ero di nuovo in città... hai detto che avevi bisogno di me. Anch’io, ho bisogno di te... -
Per alcuni interminabili secondi nella stanza si udì soltanto il respiro sempre più pesante e irregolare di Jason, poi lui bisbigliò: - Ti prego... non odiarmi... - Chiuse gli occhi, e Alexandra non si rese subito conto che era svenuto. - Io... non so più cosa provo per te... - rispose altrettanto piano. - Jason? - aggiunse dopo un attimo, incerta. - Jason! -
In quel mentre la porta si spalancò ed apparve Max Evans, che si precipitò accanto al figlio e gli mise entrambe le mani sul petto, apparentemente ignaro della presenza di Alexandra.
Liz, invece, dopo aver premuto l’interruttore della luce, si era fermata sulla soglia, gli occhi bruni dilatati per l’ansia e le mani scosse da un tremito incontrollabile. Jason aveva la testa reclinata di lato e la maglietta sporca di sangue, e per un attimo ebbe l’impressione di essere tornata indietro nel tempo. Ma questa volta non era sola, questa volta c’era Max, per fortuna... Le ci vollero alcuni secondi per accorgersi della ragazza accovacciata sul pavimento. “Alexandra?!?”
Alexandra era rimasta come ipnotizzata a fissare le agili dita dell’uomo, o meglio la luminosità dorata che emanavano, e piano piano il ricordo delle parole di Jason acquistò un nuovo significato. “Non stava raccontando balle... E’ davvero... è davvero... No, non è possibile!” Sentendo rumore di passi dietro di sé si volse di scatto e vide Liz. Gli occhi le si riempirono di lacrime. - Mi dispiace... - disse piano alzandosi in piedi.
La giovane donna la guardò di sfuggita, poi sedette vicino a Jason e gli accarezzò dolcemente il viso. Come sta? -
Max inspirò a fondo per recuperare il controllo di sé. I danni interni non erano gravi ma, uniti al sangue perduto, avevano indebolito molto il figlio. - Adesso è tutto a posto... - disse semplicemente, non volendo che si preoccupasse più del necessario.
Liz si morse il labbro inferiore. - Alexandra, vai via, per favore... - mormorò voltandosi appena verso di lei.
- No, la prego! Io... io vorrei rimanere... -
- Per fargli ancora del male? - Con un gesto brusco prese il coltello rimasto fra le lenzuola e lo scagliò lontano. - Come hai potuto?!? -
- Io... ero fuori di me... Ma non... -
- No! - gridò lei scattando in piedi. - Hai tentato di ucciderlo! Lui ti ama, e tu gli hai fatto questo! -
Nel frattempo Jason aveva riaperto gli occhi e fissato per un attimo il padre, dopodiché aveva cercato Alexandra con lo sguardo, sospirando di sollievo nel vederla ancora lì.
Max appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo e la strinse con delicatezza. - Non può funzionare, Jason... - disse piano.
- Invece sì! - esclamò lui tornando a guardarlo. - Papà, dammi ancora un po’ di tempo, per favore! -
- Io non intendo mettere ulteriormente in pericolo la tua vita. Non posso, lo capisci? E ho paura che Alexandra non sia la persona giusta per te... -
- Forse perché non le ho permesso di conoscermi. Di conoscermi davvero, voglio dire. - Tese un braccio in direzione della ragazza, che esitò solo un istante prima di avvicinarsi e prendere la sua mano. Con un certo imbarazzo obbedì al silenzioso invito e si accomodò accanto a lui sforzandosi di non far caso alle occhiate penetranti dei due adulti.
- Abbi fiducia in me, te ne prego... - Jason attese che lei annuisse prima di prenderle il volto fra le mani. Rilassati... non pensare a nulla... -
Alexandra trattenne per un attimo il respiro. Come poteva rilassarsi, con tutto quel che era successo? si chiese preoccupata, ma poi si sentì sprofondare nello sguardo magnetico di Jason e ad un tratto fu come se fossero soli nella stanza.
I flash cominciarono quasi subito, travolgendola, e non poté fraintendere la forza e la sincerità delle sue emozioni.
- Ti amo, Alexandra... - sussurrò lui alla fine.
- Lo so - Ancora sconvolta per quel che aveva visto, abbozzò l’ombra di un sorriso. - Solo tu pronunci sempre per esteso il mio nome... - disse, e il mento le tremò tradendo un improvviso bisogno di piangere.
- Ti da fastidio? - si preoccupò lui.
- No - Lo disse con un filo di voce, quasi vergognandosi per quella debolezza. Ma era vero, le piaceva il modo in cui la chiamava, con una pronuncia morbida che rendeva il nome più bello. Eppure, prima non ci aveva mai fatto caso...
- Adesso la sua vita è nelle tue mani. Vedi di non dimenticarlo - Liz aveva parlato con tono duro, rimpiangendo il momento in cui l’aveva difesa. Se a Jason fosse successo qualcosa per colpa di quella ragazza non se lo sarebbe mai perdonato!
Alexandra si girò a guardarla, poi incontrò gli occhi ambrati del padre di Jason e provò un senso di smarrimento che le serrò lo stomaco in una morsa gelida. Quell’uomo era un alieno, e come lui ce n’erano altri. E Jason era uno di questi... Forse stava sbagliando tutto, per l’ennesima volta! Forse avrebbe dovuto scappare, fuggire lontano da Roswell, sperando di confondersi tra i milioni di persone che vivevano nel resto del paese! Ad un tratto sentì qualcosa sfiorarle il palmo della mano sinistra e sussultò. Tornò a voltarsi verso Jason, che depose ancora un bacio sulla sua pelle sensibile prima di sorriderle incerto.
Non volendo che si spaventasse e decidesse di uscire per sempre dalla sua vita, lui cercò di assumere un tono scherzoso. - I miei genitori tendono ad essere iperprotettivi ma non c’è alcun motivo di aver paura di loro... - commentò.
L’adolescente s’irrigidì impercettibilmente. Jason Evans valeva tutto lo scompiglio che, di nuovo, stava complicando la sua esistenza? Poi ripensò a quel che provava quando facevano l’amore e seppe di non potervi rinunciare. Quando stava con lui si sentiva bene, completa, e il suo tocco forte e delicato allo stesso tempo era diventato ormai come una droga di cui sarebbe stato molto difficile fare a meno...
Jason emise un piccolo sospiro. - Rimani con me, questa notte. Vuoi? -
Alexandra rispose con un lento cenno del capo e Liz sbuffò. - Il divano è in soggiorno. Mi serve solo qualche minuto per prepararlo... -
- Grazie, mamma. -
Lei serrò per un attimo le labbra poi lasciò che Max la prendesse per mano e la conducesse via con sé.

Quando si ritrovarono nuovamente nella loro camera da letto Liz osservò il marito sedersi accanto a lei ed accarezzarle piano il collo.
- L’ho sempre saputo che tu eri speciale... Grazie per avermi donato il tuo amore... -
Gli sorrise, un sorriso colmo di affettuoso rimprovero. - Max... -
- E’ la verità! - si difese lui. - E non mi stancherò mai di dirtelo... -
- Max... - La ragazza sospirò. - Alexandra sta attraversando un periodo molto difficile e non mi fido di lei. -
- Eppure pochi giorni fa eri di tutt’altra opinione... -
- Allora non aveva cercato di uccidere nostro figlio! - Si passò una mano sulla fronte. - Se tu non avessi sentito che gli era capitato qualcosa a quest’ora avrebbe potuto... Dio, non voglio neppure pensarci! -
- Liz, tesoro, anche io vorrei che Jason fosse ancora un bambino, che il suo unico problema fosse imparare a giocare a basket, purtroppo non è così e... -
- E anche lui deve convivere col rischio di finire ucciso. Non solo dai suoi nemici, ma pure da chi ama! Santo cielo, ti rendi conto di come tutto questo sia assurdo?!? -
- Alexandra non farà mai più niente contro Jason -
- Come puoi esserne tanto sicuro? - insisté lei, sospettosa.
- L’ho letto nei suoi occhi. E’ spaventata, però è anche molto attratta da lui... -
- Da quando sei diventato un esperto in relazioni sentimentali? -
Max si tolse i jeans che aveva infilato in gran fretta poco prima e si distese al suo fianco. - Da quando ti ho baciata la prima volta. Da quel momento sono diventato incredibilmente sensibile ad ogni tuo stato d’animo... Almeno finché non mi è caduto addosso quel maledetto affare! - concluse con una smorfia.
- Finiscila - borbottò Liz avvertendo il suo cambiamento d’umore. - Stavamo parlando di Alexandra. -
- Non voglio più parlare. Voglio solo dimenticare -
Lei comprese quello cui si riferiva. Ogni volta che si connetteva per guarire qualcuno prendeva dentro di sé un terribile carico di ricordi e dolore, e quando poi il qualcuno in questione era una persona cara la situazione diventava decisamente più dura... Sforzandosi di mettere da parte le proprie preoccupazioni lo cinse in un tenero abbraccio. - Certo, amore mio... - mormorò.
Il giovane le mise una mano sullo stomaco e chiuse gli occhi, sentendosi subito meglio. Si addormentò col viso sprofondato fra i capelli di Liz, come sempre attratto dal loro profumo.

Sola nella sua camera Shiri giaceva raggomitolata sotto le lenzuola, gli occhi spalancati nel buio. Si era svegliata di soprassalto quando si era resa conto della sofferenza del fratello. Allora si era messa a sedere cercando di capire cosa stesse accadendo poi, nel sentire i passi e le voci dei genitori, era schizzata giù dal letto. Nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza in corridoio e poi, quando aveva realizzato che la madre stava per uscire, era tornata indietro. Le ci era voluto un bel po’ prima di riprendere a respirare normalmente, ma il ricordo delle forti sensazioni percepite continuava a tenerla sveglia. Con un debole lamento nascose la testa sotto il cuscino e cercò di fare il vuoto nella propria mente. Doveva riuscirci, o avrebbe finito col passare il resto della notte in bianco, continuando a rivivere ogni tormentoso dettaglio di ciò cui aveva assistito...

L’indomani, quando andò a svegliarlo, Liz trovò Jason strettamente abbracciato ad Alexandra, rannicchiata contro di lui con entrambe le braccia avvolte intorno ai suoi fianchi. Le coperte ammucchiate alla rinfusa su di loro non lasciavano dubbi sul fatto che non avessero nulla indosso. Sentì la furia montarle dentro. Non riusciva ad accettare l’idea che suo figlio dormisse con una ragazza perché, anche se dimostrava quindici anni, lei sapeva che in realtà era solo un bambino... Per un attimo fu tentata di fare dietro front e andarsene sbattendo la porta ma non voleva che Jason capisse quanto tutta quella situazione la facesse soffrire, così cercò di recuperare un minimo di sangue freddo e si accostò al letto. - Jason, è ora di alzarsi... - disse scuotendolo dolcemente per la spalla.
Il ragazzo aprì gli occhi e se li stropicciò per scacciare il sonno. - Ciao... - Non realizzò subito la situazione, poi balzò a sedere di scatto cercando di coprire Alexandra. - Scusami, dammi un minuto, ok? - chiese. Nel movimento la mano di lei era scivolata verso il basso e Jason sentì l’immediata reazione del proprio corpo. - Un minuto, promesso! - la supplicò.
Liz era rimasta per un attimo senza fiato davanti al segno sul petto del figlio, e dovette lottare per trattenere un improvviso e violento attacco di nausea. - Va bene. - Deglutì nel tentativo di ricacciare indietro i conati poi, sentendo che stava per perdere la battaglia, corse in bagno.
Quando si sentì meglio scese in cucina e cominciò ad apparecchiare la tavola.
Max, che stava tirando fuori dal frigo l’occorrente per la colazione, si accorse del pallore sul suo volto. Liz? -
- Sto bene, non preoccuparti, però... aspetta che me ne sia andata prima di cuocere le uova, d’accordo? -
- Liz, maledizione, io... -
- Tu non c’entri niente, ok? -
- Ti sbagli! - Le andò vicino e le prese le mani stringendole con delicatezza. - Avrei dovuto farlo prima, ma non mi è mai passato per la mente... -
- Cosa? -
- Lo sai, amore. - Fece un respiro profondo - Isabel aveva ragione, queste frequenti gravidanze stanno minando la tua salute e dobbiamo assolutamente impedirne altre! - Prima che lei potesse fare qualche obiezione le sorrise rassicurante. - Non serve che tu prenda la pillola o che... che io usi... Interverrò su di me e così non ci saranno più problemi... -
- Ma io non... - iniziò a protestare lei, e Max la zittì posandole un bacio leggero sulle labbra. - Per qualche anno, Liz, poi, se lo vorrai, avremo altri bambini, te lo prometto. -
La ragazza chiuse gli occhi, sentendosi molto stanca. Odiava ammetterlo però Max aveva ragione. Le continue tensioni di quegli ultimi anni stavano esigendo il loro prezzo e non poteva continuare ad ignorarlo... - D’accordo - cedette, e si abbandonò alla forza del suo abbraccio.

Quando Liz se ne fu andata Jason prese fra le sue le dita sottili di Alexandra e se le portò alle labbra prima di voltarsi a baciarla gentilmente. - Amore, svegliati... -
- Mmmm... ho sonno... - mugolò la giovane sollevando l’altro braccio intorno al suo collo per trattenerlo.
- Anche a me piacerebbe continuare a dormire accanto a te, però non credo che mia madre apprezzerebbe... -
- Mmmm? Tua madre? -
- Esatto. Ci ha dato un minuto per alzarci. -
- Solo un minuto? - Con un certo sforzo aprì gli occhi, e di colpo fu sveglissima. - Tua madre?!? Vuoi dire che tua madre è entrata e ci ha trovati a letto insieme?!? -
- Sì, infatti. A dire la verità non mi è sembrata molto contenta, ma ormai è andata così... - Sì, e la colpa era tutta sua. Era stato lui a trattenere Alexandra, era stato lui a sfilarle la giacca a vento e il maglioncino, era stato lui a dimenticare ogni precauzione...
- Jason, ci ha trovati a letto insieme, capisci? - Mentre diceva così si alzò e iniziò a raccogliere i vestiti che aveva buttato per terra. - Maledizione, ieri mia zia è stata ammazzata, e io che faccio? Prima ti pianto un coltello in corpo e poi passo la notte con te! I tuoi mi bandiranno per sempre da questa casa! Dopo avermi denunciata per effrazione e tentato omicidio, naturalmente... -
Lui la seguì con lo sguardo. - Credimi, hai fatto la cosa migliore... - mormorò.
Alexandra si volse a fissarlo stringendosi gli indumenti al petto. - Ti riferisci alla pugnalata o alla notte insieme? - chiese con una smorfia, evitando con cura di guardare il luminoso segno rimasto a testimonianza del proprio gesto inconsulto.
Jason accennò un timido sorriso. - Restando con me ho potuto... aiutarti a dormire... -
La ragazza lo studiò sconcertata. Era vero. Sì, avevano fatto l’amore fin quasi all’alba, ma dopo lei si era addormentata beata e tranquilla come se non fosse successo niente! - Sei... sei stato tu? - domandò incredula.
Il giovane le si avvicinò e le mise una mano a coppa sulla guancia. - Avevi bisogno di riposo. - disse semplicemente. Le diede un bacio poi fece un passo indietro. - Va’ a farti la doccia, io userò il bagno di Shiri. -
Lei scosse la testa, niente affatto convinta dal suo tono incoraggiante, e corse a lavarsi.
Sette minuti più tardi era in cima alle scale, cercando di trovare il coraggio per scendere ed affrontare l’intera famiglia Evans.
- Su, non c’è nulla di cui aver paura... - le bisbigliò Jason all’orecchio sopraggiungendo inavvertito alle sue spalle.
Alexandra si irrigidì. - Non voglio la tua compassione - mormorò a denti stretti.
- Non ce l’hai, infatti. Quello che hai è il mio amore -
Con un movimento un po’ brusco volse il capo per guardarlo dritto in quegli splendidi occhi verdi screziati d’oro, e sentì la sua corazza frantumarsi del tutto. - Lo terrò sempre caro. -
Jason le fece un sorriso tenerissimo e Alexandra gli accarezzò il volto. - Sono pronta a scendere, adesso... disse piano.
Lui le baciò il palmo della mano poi le prese delicatamente il polso e fece scivolare le proprie dita fra le sue prima di cominciare a scendere le scale.

Scritta da Elisa


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