Riassunto: Non
è mai facile rivelare quel che si custodisce gelosamente nel proprio cuore, ma
a volte è l’unico modo per poter essere davvero liberi.
Data di stesura:
dal 2 maggio al 1° luglio 2004.
Valutazione:
adatto a tutti.
Diritti: Tutti
i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di
proprietà del sito Roswell.it.
Indirizzo e-mail:
ellis@roswellit.zzn.com
Michael continuava a scuotere la
testa mentre Maria fissava Liz che, a sua volta, stava fissando Jason.
Max ed Isabel sedevano fianco a fianco sul divano, entrambi come paralizzati e
incapaci di trovare qualcosa da dire.
Shiri, dal canto suo, osservava apertamente il fratello cercando di
trasmettergli il suo silenzioso sostegno.
Solo i gemelli facevano un po’ di confusione, strillando e lanciando i loro
giocattoli sotto lo sguardo curioso di Mathias e di Natalie.
Morgan se ne stava in piedi con la schiena contro la parete provando pietà per
quel povero ragazzo oggetto di tante occhiate speculative.
- Alexandra non sa niente di noi. Io... non le ho detto nulla. - Jason cercò
gli occhi del padre. Sapeva che lui lo capiva, che capiva cosa stava provando.
La paura di perdere la ragazza che amava, la paura di quello che avrebbe potuto
succederle se fosse rimasta con lui, il terrore e l’esaltazione di dirle la
verità e vederla correre ugualmente fra le sue braccia...
E Max lo capiva davvero. Erano arrivati a casa da meno di mezz’ora e da quel
momento gli sembrava di vivere in una specie di incubo. Sapeva che prima o poi
sarebbe successo, era inevitabile, e adesso il pensiero che suo figlio dovesse
passare attraverso le stesse angosce che aveva patito lui lo faceva stare quasi
male... C’era solo da augurarsi che questa Alexandra fosse come Liz, che come
lei accettasse la loro diversità, ma forse era chiedere troppo al destino...
Quando avevano fatto ritorno nella caverna Max aveva chiamato Morgan perché
andasse a prenderli e da lì si erano recati direttamente dagli Evans, dove
avevano trovato ad aspettarli anche Maria.
Com’era prevedibile erano stati subissati di abbracci e domande, tuttavia Jason
era sembrato un po’ teso.
Max non si era dunque stupito quando, prima di salire in macchina, il ragazzo
gli si era avvicinato dicendo di aver bisogno di parlargli con una certa
urgenza.
Al suo cenno di assenso Jason aveva indicato con il mento gli altri. - Forse
sarebbe bene se... se ci fossero anche loro. E’ una cosa che riguarda tutti,
credo... -
Era stato il tono della sua voce, sommesso e preoccupato, a convincere Max ad
insistere con Michael ed Isabel perché lo seguissero a casa nonostante l’ora
tarda, e dopo che si erano più o meno accomodati in salotto Jason aveva fatto
un respiro profondo e aveva detto semplicemente: - Devo parlarvi di una cosa.
Anzi, di una persona... -
A quelle parole Shiri aveva chiuso per un attimo gli occhi. “Oddio, Jason...”
- Di chi si tratta? - aveva domandato Max con cautela.
- Di Alexandra Cooper. E’... è la mia compagna di scuola, e... la mia ragazza.
- aveva confessato timidamente.
- Cosa?!? - Liz si era sentita morire. No, non poteva essere vero! Prima Shiri
e adesso Jason! Erano due bambini... avevano bisogno di crescere, di vivere, di
imparare a conoscere il mondo! Avevano appena cominciato a muovere i primi
passi, e ciononostante stavano già correndo verso il loro futuro...
- Avete... avete fatto l’amore? - aveva chiesto ancora Max, serrando per un
attimo le mascelle nell’udire la risposta affermativa del figlio. Maledizione,
era così stanco, desiderava andarsene a letto e posare la testa nell’incavo
della spalla di Liz per addormentarsi al suono del suo respiro, e invece doveva
sentire il suo coniglietto parlare di una ragazza che gli era penetrata sotto
la pelle. Una ragazza che rappresentava un potenziale pericolo per tutti
loro...
E adesso erano lì, nel salotto di casa sua. “Come in un tribunale. Accusato e
giuria. No, Jason non ha alcuna colpa, si è semplicemente innamorato...” pensò
continuando a studiare il volto rigido del figlio.
Immobile accanto a lui, Isabel sembrava una bellissima statua. Esasperata,
furibonda, avrebbe voluto gridare contro il fratello per non essersi accorto di
quel che stava succedendo sotto il suo naso, invece riusciva a malapena a
respirare. Continuava a pensare alla prima volta in cui aveva visto quella
ragazza proprio lì, in salotto, e a darsi della stupida per aver sottovalutato
l’aperta attrazione negli occhi del nipote. Eppure ci era già passata con Max,
e Shiri aveva buttato tutto all’aria per proteggere Bren. Avrebbe dovuto
saperlo che anche Jason avrebbe dato il proprio cuore alla prima persona che
avesse colpito la sua fantasia!
Nel notare la loro espressione Maria si ritenne in dovere di intervenire. - Chi
è senza peccato scagli la prima pietra... - mormorò.
Max si volse a guardarla tra l’offeso e il ferito. - Cosa vorresti dire con
questo? -
- Che non è il caso che tu assuma quell’aria oltraggiata! E neppure tu, Isabel!
- esclamò lei mettendosi le mani sui fianchi.
- Ehi... - insorse la giovane donna, ma venne interrotta da un’altra sfuriata.
- Non mi pare che qualcuno ti abbia impedito di metterti insieme ad un
federale! -
A quelle parole Max trasecolò. - Guarda che io non ho alcuna intenzione di
tenere Jason lontano da Alexandra! E sono sicuro che Liz la pensa esattamente
come me! Però sono preoccupato per il modo in cui potrebbe reagire se venisse a
conoscenza del nostro segreto! E alla fine accadrà, perché non si può
nascondere la verità alla persona che si ama... -
- E tu lo sai bene, vero? Chi è stato il primo a spiattellare che siamo alieni?
- lo derise Isabel.
- Questo non è giusto! - protestò Liz. - Non si può pensare di stare accanto a
qualcuno sapendo di doversi sempre controllare! -
- Vero. Alla fine, perfino io ho dovuto cedere... - ammise Michael a bassa
voce, tuttavia Maria lo udì e gli diede una gomitata nello stomaco.
- Ehi! - ansimò massaggiandosi la parte dolente.
- C’è poco da scherzare, mio caro! - lo ammonì la ragazza.
- Liz ha ragione. - fu il pacato commento di Morgan, - Non si può mentire per
una vita intera -
- Non si tratterebbe di mentire ma di omettere... - tentò Jason.
- E’ la stessa cosa - lo riprese Liz guardandolo pensosa.
- Lei ha bisogno di me, e io di lei - disse ancora lui, in un disperato
tentativo di spiegare il rapporto che lo univa ad Alexandra.
Shiri si torceva ansiosa le mani. Soffriva per il fratello, per quel confronto
difficile e apparentemente senza soluzione cui si era sottoposto, e avrebbe
fatto qualsiasi cosa per difendere il suo diritto di amare...
- Tutti noi vogliamo che Jason sia felice - mormorò Max guardando la figlia, -
ed è per questo che dobbiamo sapere se ci si possa o meno fidare di Alexandra.
E’ molto importante, e tu lo capisci, vero? -
La ragazzina annuì lentamente. Sapeva a cosa il padre si riferisse, era quello
che lei stessa temeva e per cui aveva messo in guardia Jason, ma c’erano due
soli sistemi per scoprire come Alexandra avrebbe reagito: dirle la verità ed
incrociare le dita, oppure entrare nella sua mente. Cosa, questa, che Jason non
avrebbe mai permesso!
- Allora? - domandò Michael.
- Allora cosa? - disse Maria.
- Cosa si fa? - replicò lui senza distogliere lo sguardo da Max.
- Per adesso niente - fu la ferma risposta dell’alieno. - Jason, mi affido al
tuo buonsenso. Cerca di non fare passi falsi, d’accordo? -
- D’accordo -
- Tutto qui? - esplose Michael. - No, dico, ma vi rendete conto?!? Stiamo
parlando di Jason e di un’umana!
- Hai ragione, è una miscela potenzialmente esplosiva... - lo prese in giro la
moglie. - Ma è colpa vostra: avete troppo fascino, e noi miseri terrestri non
siamo in grado di resistervi! E adesso andiamocene a casa. E’ tardissimo e
Mathias sta crollando dal sonno! - Così dicendo si avvicinò al figlioletto, che
in realtà era più sveglio che mai, e lo prese in braccio dopodiché andò accanto
a Jason e gli diede un bacio sulla guancia. - Stai tranquillo, coniglietto,
andrà tutto bene... -
Il ragazzo le sorrise grato poi strinse con delicatezza la manina che Mathias
tendeva verso di lui. - Buona notte, piccolo... -
Prima che Michael potesse protestare ancora Maria lo sospinse verso la porta di
casa. - Ci vediamo domani, ciao! - salutò senza voltarsi.
Con un certo sforzo Isabel si alzò in piedi. - Stai attento, Jason. Lo so che
la ami, e sicuramente lei ama te, però ricordati che ci sono persone che non
riescono a vederci se non come cavie da laboratorio. Io ti auguro con tutto il
cuore che lei non sia fra queste... - Detto ciò lo strinse in un abbraccio
affettuoso. Auguri, coniglietto... - sussurrò, dopodiché salutò il fratello e
Liz ed infine si chinò per prendere Natalie e sistemarla nel marsupio. - A
domani - disse piano.
Morgan salutò a sua volta poi intrecciò le dita con quelle della moglie ed uscì
insieme a lei.
- Non volevo crearvi dei problemi... - mormorò Jason dispiaciuto.
- Tesoro, innamorarsi è già un problema! - Liz gli scompigliò i capelli
sorridendo con dolcezza. - Cerca di non angustiarti troppo, e... complimenti
per la scelta. Alexandra è una ragazza molto bella e in gamba... -
- Grazie - Le ricambiò il sorriso, un po’ imbarazzato per le sue parole, poi si
lasciò serrare contro il suo petto. - Mi sei mancata, mamma... -
- Anche tu, amore. -
Poi Jason si rivolse al padre. - Papà, io... -
- No, coniglietto, non devi dire niente. Ci sono passato anch’io... - Max
abbracciò forte il figlio e gli diede un bacio sulla tempia. - Ti voglio
bene... - Chiuse gli occhi, in preda ad una forte emozione. Aveva tanto temuto
di non rivedere più i suoi figli... Al diavolo Alexandra, al diavolo tutto! Era
lì, circondato dalle persone che amava, e quella era la cosa più importante!
Anche Shiri ebbe la sua razione di abbracci e baci, così come i gemelli, e più
tardi fu la volta di Liz.
A bordo dell’astronave Max si era alternato con Michael ed Isabel alla guida,
trascorrendo ogni momento libero con Liz. Parlando con lei, facendo l’amore, o
anche soltanto stando sdraiato al suo fianco a guardarla dormire. Ma non
riusciva a saziarsi di lei, della sua pelle calda e profumata, dei suoi capelli
di seta, del suo tocco delicato e stimolante. Aveva bisogno di sentirla, di
perdersi nel suo corpo e nella sua anima, e dopo aver messo a letto Claudia ed
Ethan fu naturale, per lui, sollevare Liz fra le braccia e portarla nella loro
stanza.
Continuò a baciarla e ad accarezzarla anche quando lei crollò esausta, un dolce
sorriso sulle labbra finemente disegnate ed il respiro ancora affannato.
L’amava da impazzire, era tutta la sua vita, e mai, mai avrebbe lasciato che
gliela portassero via! E pregò perché Alexandra ricambiasse fino in fondo
l’amore di Jason.
Jason si rigirò a lungo nel letto senza riuscire ad addormentarsi. Non faceva
che ripensare alla confessione di quella sera, agli sguardi, alle sensazioni
percepite, alla vibrante elettricità emanata da Michael, e desiderò poter
tornare indietro nel tempo, al momento in cui Alexandra gli aveva dichiarato il
suo amore. Era stato così meraviglioso... così... potente... Aveva guardato in
quegli occhi incredibilmente verdi e aveva sentito il legame fra di loro
esplodere come una fiammata. E poi, quella mattina, lei lo aveva raggiunto
mentre stava prendendo i libri dall’armadietto e lo aveva baciato sotto la nuca
facendolo rabbrividire. Quando gli aveva passato le braccia intorno alla vita
non aveva potuto fare a meno di girarsi e baciarla con passione suscitando
l’ilarità dei loro amici, che intanto li avevano raggiunti. Ma lui non se n’era
quasi accorto, preso com’era dal calore di quel bacio, poi il suono della
campanella li aveva costretti a separarsi e Alexandra lo aveva sorpreso
sfiorandogli dolcemente una guancia e chiedendogli cosa lo preoccupasse.
Eppure, fino ad un attimo prima non aveva più pensato alla decisione presa solo
recentemente di parlare di loro due ai genitori... No, doveva smettere di
preoccuparsi! Alexandra lo amava, altrimenti non si sarebbe accorta della sua
tensione... E si augurò che lo amasse abbastanza da accettarlo per quello che
era...
Un rumore attutito di passi lo distolse dalle sue riflessioni. Guardò la porta
aprirsi e sorrise alla sorella, che si avvicinò in punta di piedi. - Ancora
sveglio, eh? - disse sottovoce.
- Già. Com’è andata su Antar? -
- Bene, almeno credo... A quanto pare Khar ha cercato di fuggire, durante la
seduta del Consiglio, e le guardie hanno reagito uccidendolo. Ma papà è stato
molto vicino alla mamma per tutto il viaggio di ritorno.
- Questo vuol dire che a Camdir dev’essere successo qualcosa di poco
piacevole... - Jason si passò pensoso una mano fra i capelli. - Comunque
l’importante è che siano tornati sani e salvi. Ero molto preoccupato per
papà... -
- E io per tutti voi! La prossima volta evitate di lasciarmi da parte, ok? -
borbottò Shiri, poi fece per tirare indietro le coperte. - Posso? - chiese.
- Sì, certo - Jason si spostò per farle spazio. - In ogni caso, spero vivamente
che non ci sia più bisogno di azioni del genere. Ti rendi conto che non c’è
pace, per noi, né qui né su Antar? -
- Vorrà dire che sarete miei ospiti su Rènida... - si offrì la ragazza con una
risatina.
- Sei felice? - le domandò il fratello.
- Molto. Bren è una persona stupenda... -
- Sì, lo avevo capito che ti piaceva! - scherzò lui.
- E tu? -
Jason ci pensò a lungo, prima di rispondere. - Ho un po’ di paura - ammise.
- Non devi. Anche tu sei una persona stupenda, e Alexandra lo sa! - cercò di
rincuorarlo Shiri.
- E se dovesse spaventarsi? - le chiese guardandola negli occhi.
- Se ti ama davvero non lo farà. Ti ama? -
- Io... Sì -
- Allora è tutto a posto. -
- Certo, hai ragione -
- Posso restare a dormire qui con te? -
- Mm. Vuoi che ti aiuti a raggiungere Bren? -
Shiri gli sorrise speranzosa. - Lo faresti? -
- Naturalmente! Dammi la mano. -
Di lì a poco erano entrambi immersi in una trance profonda, e Jason si tenne in
disparte mentre la sorella e Bren si abbracciavano nel loro mondo irreale.
L’indomani, dopo che i due ragazzi furono usciti per andare a scuola, Liz
sollevò Ethan dal seggiolone a andò a sedersi accanto a Max. - Questo monello
ha guarito Jason. -
Il giovane sollevò le sopracciglia stupito. - Quando? -
- Jason era stato ferito piuttosto gravemente prima di riuscire a
teletrasportarsi, ed è stato necessario ricoverarlo d’urgenza. L’ho riportato a
casa appena possibile ma non stava ancora bene. Poi il giorno in cui io ed
Isabel siamo partite per Antar Ethan lo ha toccato e... niente più ferita!
Spariti i punti, la cicatrice, tutto! E nessuna piccola impronta argentata... -
Max le tolse il figlio dalle braccia e se lo sistemò sulle gambe. - Ehi,
giovanotto, non credi che sia un po’ presto per cominciare a fare il dottore? -
Alzò lo sguardo sulla moglie. - E’ meglio non portarlo più al nido. Comincia ad
essere troppo intraprendente... -
Il bimbo gli mise le braccia intorno al collo strofinando la fronte contro la
sua guancia. - Papà... Mamma... -
- Cosa c’è? Stai facendo l’appello? - Max sorrise e lo sostenne contro di sé. -
Sì, oggi mamma e papà restano a casa a giocare con te e tua sorella. Ti piace
il programma? -
- Sì -
Liz guardò esterrefatta il marito. Ethan aveva risposto a caso oppure aveva
capito davvero quello che aveva detto Max?
- Chiederò a mia madre se può venire a guardarli mentre noi non ci siamo -
mormorò sgomento lui.
- E io sentirò Maria. Magari potrebbe venire anche lei, di tanto in tanto, e
pure Isabel... -
- Sì, è un’ottima idea. Accidenti, ci mancava solo questo… -
- Già… ma non ti azzardare a fare con loro quello che hai fatto con Jason! -
- A cosa ti riferisci? - chiese Max perplesso.
- Lo sai benissimo. Quel... quel trucco coi graniliti. -
Il giovane chiuse per un attimo gli occhi. - Capisco. Liz, quella volta è stato
necessario. Jason è il mio erede e io dovevo trasmettergli la chiave di ciò che
è dentro di lui. I gemelli, come Shiri, non hanno codici genetici da
attivare... -
- Lieta di saperlo! -
- Liz... -
- No, hai ragione, ho parlato a sproposito -
Lui le prese una mano e gliela strinse con dolcezza. - Tu non parli mai a
sproposito, amore. Sei soltanto preoccupata per i nostri bambini, ed è
normale... -
La ragazza chinò lo sguardo sulle sue dita sottili e forti e sospirò. - Lo sono
anche per Jason... -
Max non rispose ma si protese verso di lei per darle un bacio delicato sulle
labbra.
- Gentili signore, sono spiacente di comunicarvi che vi portiamo via mister
sotutto Evans! -
- Ehi! Aspetta un attimo! - cominciò a protestare Alexandra.
Mark passò un braccio sulle spalle dell’amico e le fece l’occhiolino. - Ci
serve il suo aiuto per prepararci al compito di biologia di domani. Quindi,
come vedi, è di vitale importanza che lui venga con noi. -
La ragazza guardò interrogativa Jason, che le fece un sorriso di scusa. -
Possiamo fare un giro dopo che avremo finito di studiare... - propose.
- No, lascia stare. Quei tre sono delle teste dure: ti servirà tutto il
pomeriggio per fargli capire qualcosa! - Detto questo Alexandra gli diede un
buffetto sulla guancia e, fatto un gesto di saluto agli altri compagni, si
allontanò insieme a Sabrina, Tanya e Shiri.
- Su, avrete un sacco di tempo per vedervi, mentre il test è lì che ci
aspetta!... - commentò Mark battendogli la mano sulla spalla.
Jason fece una smorfia. - Allora andiamo, ma se domani non prendete tutti
quanti almeno una B sarà meglio che non mi chiediate mai più di aiutarvi! - li
minacciò.
Glen si mise a ridere. - Guarda che anche a noi sarebbe piaciuto uscire con le
ragazze, solo che il professore è stato abbastanza chiaro! Tu dacci una mano e
domani sera hai una cena pagata al Crashdown! Per due... -
Scuotendo la testa il ragazzo si lasciò condurre verso la fermata dell’autobus
che li avrebbe condotti nel quartiere dove abitava Mark.
Nel frattempo Tanya, che guidava il gruppetto di amiche, si era diretta verso
un fast food poco distante dalla scuola. - Mangiamo qualcosa e poi si va a fare
shopping, ok? -
- D’accordo - Sabrina si scostò i capelli dal viso e lanciò un’occhiata a Shiri.
- Allora? Com’è andata la vacanza? -
- Niente di particolare. Abbiamo incontrato dei conoscenti di mio padre, visto
della gente... Insomma, le solite cose. -
- Sì, certo, come no! Tuo fratello non si è lasciato sfuggire una sola parola,
ma siete stati via un sacco di tempo: dovete per forza aver fatto qualcosa di
più divertente che visitare vecchie mummie! - la contraddisse Tanya.
Per un attimo i ricordi di Shiri riandarono all’intensa cerimonia di
fidanzamento, e nel vedere la luce nei suoi occhi la ragazza fece
un’esclamazione soddisfatta. - Aha! Avevo ragione! E’ successo qualcosa! -
Shiri divenne di brace ma rimase in silenzio.
Alexandra, impietosita, rafforzò la presa sul suo braccio. - Non darle retta!
Tanya è una vera pettegola! Ecco, siamo arrivate. - Così dicendo entrò nel fast
food, affollatissimo data l’ora, e da quel momento il solo pensiero delle
quattro adolescenti fu la conquista di un tavolo e la scelta del menu.
Più tardi, mentre camminavano studiando incuriosite le vetrine, passarono
davanti ad una boutique di abiti da sposa e Shiri si fermò ad ammirarli
affascinata.
- Su, muoviti! - la sollecitò Sabrina - Poco più avanti c’è un negozio che ha
delle magliette fantastiche! -
Ma Shiri sembrò non averla neppure sentita, e Alexandra la fissò perplessa. -
Perché ti interessano tanto questi abiti? -
Dopo alcuni interminabili secondi la ragazza si scosse e si volse a guardarla.
- Bren ed io ci siamo fidanzati - disse semplicemente.
- Oh... congratulazioni! E allora? Siete fidanzati, mica promessi sposi?! -
- A dire la verità, è così. - rispose lei.
Alexandra e le altre amiche, che nel frattempo erano tornate indietro, rimasero
di stucco.
- Ma hai soltanto quindici anni! Come puoi già pensare di sposarti! Scommetto
che Bren è il tuo primo ragazzo, non puoi essere sicura che sia quello giusto!
- fu il coro unanime di proteste.
Non comprendendo il motivo di quella reazione Shiri si rivolse direttamente ad
Alexandra. - Tu e mio fratello state insieme. Non pensi che un giorno vi
fidanzerete e poi vi sposerete? -
La ragazza roteò gli occhi incredula. - No! Santo cielo, Shiri, io amo Jason, e
lui ama me, ma da qui a decidere di fidanzarmi con lui, per non parlare poi di
sposarlo, ce ne corre! Abbiamo tutta la vita, davanti a noi! Sai quante altre
persone conosceremo? Non puoi fermarti alla prima stazione! -
A quelle parole la giovane aliena si sentì la gola e le labbra secche. No, non
era possibile! Alexandra non poteva pensare davvero quel che aveva detto! Santo
cielo, Jason si stava dannando l’anima per lei, per il timore di quello che,
col passare del tempo, avrebbe potuto succedere, e lei, invece, considerava la
loro come una storia già destinata a finire! Era... era pazzesco! Forse avrebbe
dovuto dirglielo, avvertirlo che non doveva angosciarsi troppo, che
probabilmente Alexandra lo avrebbe lasciato ancor prima che lui non fosse più
in grado di resistere al bisogno di dirle tutto di sé... Ma come poteva fargli
questo? Come poteva distruggere i suoi sogni?
Ad Alexandra non sfuggì l’ombra che le attraversò lo sguardo, e si strinse
nelle spalle. - Niente dura nella vita, non lo sapevi? -
Shiri s’irrigidì. - Ti sbagli. L’odio e l’amore possono durare un’eternità -
- Come siamo filosofiche! - la prese in giro lei.
- Non è questione di filosofia, è quello che vivo ogni giorno... -
Ormai perso ogni interesse per lo shopping, Alexandra incrociò le braccia sul
petto e fece un profondo respiro. - Ah, sì? Beh, questo è un tuo problema,
perché sei tu a dare all’odio e all’amore il potere di farti del male! -
- Scusate, ma come siamo finite a parlare di queste cose? - protestò Tanya. -
Su, andiamo a vedere quelle magliette! -
- Mi dispiace, devo tornare a casa. Ho un sacco di compiti da fare - Così
dicendo Alexandra volse loro le spalle e se ne andò.
- Ma che le ha preso? - domandò sconcertata Sabrina.
- Credo... credo di averla fatta arrabbiare... - rispose Shiri, dispiaciuta.
- Non preoccuparti, vedrai che le passerà presto! Su, coraggio, le magliette ci
aspettano! - Così dicendo la ragazza le mise una mano sulla schiena invitandola
a riprendere a camminare. - L’altro giorno ne ho vista una che era a dir poco
fantastica! Spero tanto che ce l’abbiano ancora... -
Alexandra parcheggiò accanto al furgoncino della zia e scese dall’auto
sbattendo lo sportello dietro di sé. La discussione con Shiri l’aveva riempita
di amarezza. Lei non sapeva niente dell’inferno che era stata la sua vita, non
sapeva cosa significasse sentirsi così disperati da cercare l’oblio nella
droga, lei aveva la sua famiglia perfetta, la sua casa perfetta, la sua aria da
brava ragazza... Non aveva alcun diritto di dirle come doveva essere la sua
relazione con Jason! Avrebbe scommesso qualunque cosa che il suo caro
fratellino non le aveva raccontato niente di quello che facevano a letto, e non
solo lì! Anzi, era sicura che non sapesse neppure che avevano rapporti
sessuali! Certo, lui la baciava davanti a tutti, le toccava di continuo le
mani, la schiena, le braccia, ma sempre col massimo rispetto. Nessuno avrebbe
mai potuto immaginare come fosse diverso quando erano da soli, la passione con
cui l’amava, il piacere che le faceva provare... Ma era impossibile dire se
quella storia sarebbe durata! Anzi, il pensiero di trascorrere il resto della
sua vita insieme a lui le dava l’angoscia! Sarebbe stato come... come
rinchiudersi di propria volontà dentro una gabbia! Sì, Jason era un ragazzo
dolcissimo e allo stesso tempo forte e deciso, con un corpo da far invidia e un
viso assolutamente perfetto, però erano adolescenti, santo cielo! E Shiri era
davvero una stupida a pensare già al matrimonio!
Scuotendo la testa si avvicinò alla porta di casa quando venne affiancata da un
uomo vestito di scuro, che le mostrò un distintivo. - Signorina Cooper? Ho
bisogno di parlarle. Le spiace se entro con lei? -
Colta alla sprovvista Alexandra aprì l’uscio. - No, certo, venga pure... -
Sentendo dei passi dietro di sé si girò di scatto e vide un secondo uomo
raggiungerli. Guardò senza in realtà vederlo il distintivo che anche lui esibì,
poi lasciò cadere lo zaino sulla panca all’ingresso e li precedette in
soggiorno. - Di cosa si tratta? - chiese vagamente intimorita.
- Ecco, è una questione molto delicata... Stiamo cercando di rintracciare tutte
le persone che hanno avuto... come dire... rapporti stretti con Jason Evans. -
- Perché? - domandò con tono inespressivo, cercando di controllare il
nervosismo. Quegli uomini non le piacevano, anzi, non le piaceva la categoria
dei poliziotti. Figurarsi i federali!
- Abbiamo ragione di ritenere che Evans sia portatore di una grave malattia e
che... possa averla contagiata -
- Che tipo di malattia? - Pensò subito all’Aids, ma poi si ricredette. No, l’Fbi
non si sarebbe scomodato per quello!
- E’ una malattia rarissima, che comporta la crescita accelerata dell’organismo
fino a causare la morte. Purtroppo al momento non esiste una cura, anche perché
non ci è stata data la possibilità di studiarlo, e quindi cerchiamo di tenerlo
d’occhio per seguire il suo stato. In questo modo abbiamo scoperto che lei...
gli è molto vicina e quindi a rischio. Non gliene aveva parlato, vero? -
- No, infatti. - Alexandra non riusciva a crederci. Possibile che, pur con i
suoi trascorsi, fosse riuscita miracolosamente a non contrarre l’Aids, e poi
fosse stata infettata con una malattia ancora più grave da qualcuno che diceva
di amarla?
- Senta, vorremmo che ci seguisse. Abbiamo dei laboratori attrezzati e potremo
sottoporla a tutte le analisi necessarie per scoprire se siamo arrivati in
tempo oppure no. La prego, accetti di venire con noi... -
- Io... io devo parlarne prima con mia zia. Non posso andarmene così, come se
niente fosse... -
- Capisco. Ma le ricordo che si tratta di una questione di vita o di morte.
Deve prendere una decisione subito, adesso -
- Di che decisione state parlando? - Linda Kransick, incuriosita dalle voci che
aveva sentito rientrando dal retro, si era affrettata a raggiungere la nipote
ed era rimasta a fissare sorpresa i due uomini seduti davanti a lei.
- Mia zia, Linda... -
- Kransick, sì, lo so - la interruppe il più alto, quello che l’aveva
avvicinata per primo. - Siamo dell’Fbi, signora, e siamo qui perché sua nipote
potrebbe aver contratto una malattia mortale e abbiamo bisogno di esaminarla
per verificarlo. Si tratterebbe solo di qualche giorno dopodiché, se ci siamo
sbagliati, potrà tornare a casa. Altrimenti... -
- Cosa? - lo sollecitò la donna serrando spasmodicamente i pugni.
- Altrimenti temo che non ci sarà più niente da fare. Mi dispiace... -
- E come avrebbe fatto a contrarre questa malattia? -
- Zia, lascia stare, ok? - commentò Alexandra, non volendo che venisse a sapere
del ruolo di Jason in quella faccenda.
- No, credo di avere il diritto di saperlo! - insisté lei.
- Senti, è una questione che riguarda me. Tu... tu non corri alcun pericolo,
stai tranquilla -
- Io mi preoccupo per te, Alex! Come puoi credere che possa restarmene qui ad
aspettare quando tu potresti... potresti... - Incapace di proseguire Linda si
lasciò cadere su una sedia e studiò i volti inespressivi dei due federali. -
Dove la portereste? - chiese con voce spenta.
- In un centro medico militare. Non posso rivelarle altro, mi spiace... -
- Zia, io non sono del tutto sicura di volerci andare. Non posso credere che...
- Alexandra si interruppe di colpo e la donna si girò a guardarla. - Cos’è che
non puoi credere? -
- Niente - si arrese lei. - D’accordo, vengo con voi. Vado a prendere qualche
ricambio e... -
- Non occorre, le daremo tutto noi. Grazie per la comprensione. - L’agente si
alzò in piedi, imitato dal compagno, e fece un sorriso di circostanza. - Spero
di riportarle sua nipote quanto prima. -
- Lo spero anch’io... - mormorò Linda seguendo con lo sguardo Alexandra mentre
se ne andava via.
Alla vista della vettura coi vetri oscurati la ragazza si sentì fremere. Tutta
quella storia era così strana... non le piaceva per niente! E poi, ora che ci
pensava, quegli uomini avevano qualcosa di familiare. In realtà, era l’intera
situazione a sembrarle familiare... All’improvviso ricordò quello che era
successo tempo prima a scuola, quando qualcuno aveva trascinato Jason nei bagni
e aveva cercato di... Forse era meglio lasciar perdere! Poteva sempre andare in
ospedale e... Girò su se stessa per tornare in casa ma una mano salda come la
roccia le strinse l’avambraccio costringendola ad andare verso l’auto. - E’
troppo tardi per cambiare idea -
Spaventatissima, Alexandra venne sospinta senza troppi complimenti all’interno
della vettura e con suo grande raccapriccio sentì un ago pungerle il polso. -
Non... non è vero che Jason ha quella malattia, ho ragione? - chiese mentre le
forze l’abbandonavano in fretta.
- Oh sì, invece! Altrimenti come potrebbe dimostrare quindici anni quando
invece ne ha uno e mezzo? - fu l’ironica risposta.
“Cosa?!? Non... è possibile...” Con un gemito chiuse gli occhi e si abbandonò
al sonno artificiale indotto dalla droga iniettatale.
- Nessuno di voi ha visto Alexandra? - domandò Jason posando i libri sul tavolo
di legno e guardando ansioso i compagni.
- Credo che non sia proprio venuta a scuola, oggi. - Tanya si appoggiò allo
schienale della panchina e lo studiò mentre si sedeva accanto a Glen. - Com’è
andato il test? -
- Alla grande! - Il ragazzo sorrise soddisfatto e bevve una lunga sorsata di
coca cola. - Abbiamo costretto Jason a fare le ore piccole ma ne è valsa la
pena. Sapevo tutte le risposte! -
Sabrina si accorse degli sguardi nervosi che Shiri lanciava al fratello e si
morse le labbra. Chissà, forse Alex ce l’aveva ancora con lei, ma le sembrava
strano che solo per quel motivo avesse marinato la scuola...
- Prova a chiamarla a casa, no? - Mark addentò golosamente il panino che
stringeva con affetto fra le mani. - Puoi usare il mio cellulare, è dentro
l’astuccio. -
- Grazie - Riconoscente, Jason prese il piccolo apparecchio telefonico e
compose il numero di Alexandra tuttavia non ottenne alcuna risposta. - Magari è
fuori, ad aiutare la zia... - mormorò interrompendo la comunicazione.
- Già, oggi è una giornata fantastica! E’ un vero peccato doverla sprecare in
questo modo! Se non fosse stato per biologia credo che anch’io mi sarei preso
un giorno di vacanza... -
Il commento di Roger suscitò una risata generale, e da quel momento in poi il
gruppetto si dedicò con religiosa cura a spazzare via anche la più piccola
briciola del pranzo.
- Ehi, metti il tabasco anche nell’aranciata? - osservò schifato Glen mentre
guardava Shiri versare la salsa piccante nel proprio bicchiere.
- Certo, ci sta benissimo. Tieni, assaggia... - così dicendo gli porse la
bevanda e Glen, dopo aver annusato sospettoso il liquido, ne inghiottì qualche
goccia. - Puah! - esclamò girandosi per sputare. - E’ disgustoso! -
Shiri corrugò la fronte. - Forse ne ho messo troppo poco. Fa’ sentire... -
Assaggiò a sua volta l’intruglio dopodiché prese di nuovo la bottiglietta di
tabasco. - Aspetta, ne aggiungo dell’altro. Ecco, vuoi provare di nuovo? -
- No, grazie! - Il ragazzo si attaccò alla bottiglia di acqua minerale che
aveva davanti e quando l’ebbe vuotata si pulì le labbra col dorso della mano. -
Accidenti, come diavolo fai a bere quella roba? -
- A me piace. Forse dovresti provare a metterci anche un po’ di sale, come fa
Jason... -
- Ma per favore! - Così dicendo tolse la lattina di sprite dalla mano di Tanya
e ne bevve una buona metà.
- Ridammela! - protestò la ragazza cercando di recuperarla.
- Aspetta, ancora un sorso... -
Quando gliela ridiede Tanya scoprì che era ormai vuota e con fare rassegnato la
lanciò nel cestino dei rifiuti. - Idiota... - borbottò.
Jason aveva seguito la scena con un certo distacco poi, finito di mangiare, si
era appoggiato al tavolo coi gomiti, il mento sulle mani intrecciate, ed era
rimasto a guardare Shiri, seduta davanti a lui e totalmente concentrata sulla
fetta di torta rustica che costituiva il suo pranzo. “- Mi sembri preoccupata.
Cosa c’è? -”
La ragazza trasalì e per un attimo incontrò i suoi occhi. “- Niente. O
perlomeno, niente di cui possiamo parlare adesso... -”
“- Allora più tardi, all’uscita da scuola? -”
“- Sì, forse... forse è meglio -”
Sentendola ritirarsi socchiuse gli occhi, perplesso. Perché era così a disagio?
Nel frattempo, a casa di Liz e Max si era andata creando un bel po’ di
confusione perché Maria ed Isabel, dopo aver saputo dei problemi coi gemelli,
avevano deciso di recarsi a verificare di persona e a Claudia e Ethan non era
parso vero di avere due nuovi compagni di giochi.
Fra torri di cubi che venivano costruite e poi abbattute, peluches che
galleggiavano nell’aria, macchinine i cui colori cambiavano in continuazione,
strilli di gioia e ciangottii, Maria stava cominciando ad avere un solenne mal
di testa mentre Isabel fissava rassegnata la figlia dondolare beatamente sullo
scudo di energia creato da Ethan. - Mia madre non resisterà più di un’ora -
commentò con un sospiro di sconforto. - E’ un vero inferno... -
- Ma no, non vedi come si divertono? - disse Liz intenerita.
- Loro sì, io decisamente no! - Con un piccolo gesto della mano l’aliena creò
un campo di forze che isolò l’area dove si trovava la trapunta su cui stavano i
quattro bimbi, e subito ci fu silenzio. - Adesso va meglio... -
- Isabel! Non puoi averlo fatto davvero! - la rimproverò ridendo la ragazza
poi, senza riflettere, afferrò Max per un polso e si protese fino a sfiorare
col palmo della mano la cupola luminescente, che si dissolse nel nulla.
Maria fissò sbigottita l’amica. - Come... come diavolo hai fatto? - balbettò.
- Cosa? - Liz si volse a guardarla non capendo a che si riferisse finché si
accorse di stringere ancora il polso del marito. Allora si girò di colpo
realizzando che il campo creato da Isabel non c’era più ed emise un lamento. -
Oh no, sono stata io? -
- Esatto - Isabel le si avvicinò e, un po’ ostentatamente, le sollevò le dita
ad una ad una liberando il fratello dalla sua presa. - Ecco, forse è meglio che
tu lo lasci andare, eh? -
Pallida come uno straccio la ragazza si serrò la mano contro il petto, quasi a
voler evitare ogni contatto con Max, che d’impulso la prese fra le braccia e la
strinse con forza per impedirle di allontanarsi. - Non fare così, amore! Non è
successo niente di grave! -
- Niente?!? - esclamò Liz reclinando il capo per guardarlo negli occhi. - Ho
usato la tua energia senza neppure rendermene conto! -
- E allora? Neanche a me piaceva vedere i bambini sotto quella cupola! -
- Vuoi dire... vuoi dire che è successo solo perché... lo volevi anche tu? -
- Infatti. E’ questo che significa veicolare la mia energia... Se per un
qualche motivo io sono impossibilitato a raccoglierla e usarla, collegandoti a
me la liberi facendola passare nel tuo corpo. Senza la mia volontà non
riusciresti a farlo... -
- Quindi... quella volta nella base... e a Camdir... -
- Mi avevi lasciato vedere cosa volevi fare, ed io mi sono... aperto... a te
perché agissi al posto mio... -
Liz rimase a fissarlo incerta. Possibile che la loro connessione mentale fosse
addirittura in grado di permetterle di raggiungere la parte più misteriosa di
lui? La sua eredità aliena?
Come se le avesse letto nel pensiero Max sorrise ed annuì. - Noi due siamo una
cosa sola. Dovresti averlo capito, ormai... -
Con un gemito la ragazza gli passò le braccia dietro le spalle e si premette
contro di lui. - Ti amo... - bisbigliò.
Il giovane la baciò sulla testa, ignaro delle occhiate che si scambiarono Maria
ed Isabel.
- Scusate, vorrei ricordarvi che ci siamo anche noi! Vi dispiace staccarvi un
attimo, giusto per riprendere fiato, e poi cercare di organizzare questa specie
di asilo infantile per alieni? - sbuffò Maria.
Un po’ imbarazzata Liz si sciolse dall’abbraccio. - Hai ragione. Dunque, tu hai
le prove il lunedì mattina, il martedì pomeriggio e il giovedì... mattina, ho
detto bene? -
- Sì, infatti. Perciò potrei venire... -
Continuarono a discutere per un po’ finché non riuscirono a stabilire un
programma abbastanza preciso, dopodiché sia Isabel che Maria dovettero
allontanarsi per allattare i loro figli.
Rimasti soli Liz si accoccolò sulle gambe di Max, seduto sul divano per meglio
tenere d’occhio i bambini.
- Forse è giunto il momento di dire ai miei genitori la verità... - disse
piano. - Ma non so come fare, da dove cominciare. -
- Troveremo il modo, vedrai! Potremmo invitarli a cena, che ne pensi? -
- Sì, credo che sia la cosa migliore. Oddio, sono certa che reagiranno
malissimo... -
- E’ inutile pensarci adesso. Quando vuoi farlo? -
- Il prima possibile. Non ce la faccio più ad aspettare... -
- Ok. Allora che ne dici di domani sera? -
- Va bene. Penso… penso che sarà piuttosto snervante… -
- Temo di sì -
La conferma di Max la fece sprofondare in un abisso di desolazione, e con un
sospiro gli mise una mano sulla guancia avvicinando il suo volto al proprio. -
Perché si ostinano a non capire quanto sei importante, per me? -
- Lo sanno, amore mio. E forse è proprio per questo che non mi possono
vedere... -
- Mi dispiace. Non avrei mai voluto che tu... -
- Shh... Avrebbero reagito allo stesso modo con chiunque gli avesse portato via
la loro splendida figlia... - mormorò il giovane sfiorandole le labbra con le
proprie.
Liz sorrise e chiuse gli occhi abbandonandosi al suo bacio, profondo e
coinvolgente.
Shiri non avrebbe mai immaginato di arrivare a temere il suono della campanella
che indicava il termine delle lezioni, e quando seguì i compagni fuori
dell’aula controllò per l’ennesima volta l’orologio che aveva al polso. Niente
da fare, per quel giorno la scuola era proprio finita... Si avviò
svogliatamente verso la fila degli armadietti e fece il cambio dei libri per
l’indomani poi, con un sospiro di rassegnazione, guardò il fratello che stava
camminando a passo svelto verso di lei.
- Ciao, Shiri, sei pronta? -
- Sì, certo. -
- Bene. - Jason la guardò perplesso. Sentiva che era tesa ma non riusciva a
capirne il perché. Aspettò che fossero usciti dall’edificio scolastico prima di
parlarle di nuovo. - Allora? Vuoi dirmi perché eri così preoccupata, durante la
pausa pranzo? -
La ragazza si schiarì la gola. - Ecco, io... - Le dita le si serrarono intorno
alla cinghia dello zaino che le pendeva da una spalla. - Io stavo pensando ad
Alexandra. A te e ad Alexandra, per l’esattezza... e... e mi domandavo se... -
Chiuse per un attimo gli occhi, sforzandosi di trovare una maniera rapida e
indolore per dirlo. - Mi domandavo se non fosse il caso di considerare la
possibilità che il motivo della sua assenza possa essere ricollegato a noi. A
quello che siamo, intendo… -
Lui s’irrigidì. - Hai scoperto qualcosa? - chiese a voce bassissima.
- No, mi era soltanto venuto in mente che… -
Jason si girò a guardarla con una punta di esasperazione. - Beh, allora vedi di
non esagerare, ok? - la interruppe. - E la prossima volta che ti vengono certe
idee sei pregata di tenerle per te, a meno che tu non abbia fondati sospetti!
Mi hai quasi fatto prendere un colpo… -
- Scusami… -
- Va bene, non importa - Con un sospiro profondo cercò di rilassarsi ma non fu
facile. Le parole della sorella continuavano a riecheggiargli in testa dandogli
un leggero senso di vertigine. Si ripromise di telefonare di nuovo appena
arrivato a casa, e di continuare a provare finché non fosse riuscito a parlare
con Alexandra.
- Jason, sei pronto? Guarda che i nonni sono già arrivati! - Shiri bussò di
nuovo alla porta della sua stanza, ottenendo come risposta un’imprecazione
soffocata. - Hai bisogno di aiuto? - si offrì ridendo, poi girò la maniglia ed
entrò. - Che cosa stai facendo? -
Il ragazzo la guardò di sfuggita poi riprese a tastare il pavimento con
entrambe le mani.
- Hai perduto qualcosa? -
- Sì, due bottoni della camicia. E non riesco a trovarli, accidenti! -
- Umm... sono piccoli e bianchi, immagino... -
- Già -
- Sono forse questi? - Così dicendo si chinò a prendere i bottoni, che stavano
a pochi centimetri da lei.
- Grazie - Jason tese la mano per riaverli ma Shiri gliela scostò gentilmente
avvicinandosi fino a sfiorarlo. Ecco fatto... - disse dopo aver usato i suoi
poteri per fissarli alla camicia. - Sei molto elegante, sai? -
- Anche tu - Il fratello prese il giubbetto nero di jeans e se lo infilò.
Accorgendosi dell’occhiata che diede al telefono prima di seguirla si morse il
labbro inferiore. Ancora nessuna notizia? - chiese sommessa.
- No. Riproverò più tardi, dopo cena. -
- Senti, non credi che... che forse lei non ha voglia di parlare con te? Magari
ci ha ripensato e... ecco, potrebbe anche essere che ti stia evitando perché
non sa come dirtelo... -
Jason la squadrò storto. – E’ un’altra delle tue ipotesi, o sai qualcosa che io
non so? -
- No! Però... insomma... mi sembra strano che non venga a scuola già da due
giorni e non sia mai a casa quando la chiami. Hai parlato con sua zia, almeno?
-
- Solamente una volta. Mi ha detto che la stava aiutando coi lavori della
fattoria e che non sapeva con esattezza per quanto tempo avrebbe dovuto saltare
le lezioni. -
Shiri fece una smorfia eloquente e lui si strinse nelle spalle. Ma era molto
preoccupato, anche se non voleva farlo capire alla sorella...
Stavano ancora scendendo le scale quando ebbe la netta percezione che Alexandra
fosse in pericolo così si affrettò a raggiungere il salotto ed abbracciò i
nonni salutandoli rapidamente, poi andò dal padre. - Papà, scusami, devo
tornare in camera mia. Ho... ho dimenticato di fare una cosa. -
- Non puoi proprio aspettare? Stasera tua madre ha bisogno di tutto il nostro
sostegno e non mi pare il caso di... -
- Papà, si tratta di Alexandra! - lo interruppe lui concitato. - L’ho sentita,
ho sentito che ha paura, che sta male... Io devo trovarla, devo scoprire cosa
le è successo! -
Max sospirò. - D’accordo, vai pure. Ma non commettere imprudenze, hai capito? -
- Va bene. Grazie, papà -
Vedendo il figlio salire di corsa le scale Liz si volse sorpresa. - Max, che
gli ha preso? - domandò sottovoce.
Lui fece una smorfia. - Alexandra - rispose altrettanto piano, e lei scosse la
testa. - E’ proprio innamorato... -
- Chi è innamorato? - chiese incuriosita sua madre.
- Jason. Si tratta di una compagna di scuola, ma a quanto pare ci dev’essere
qualcosa che non va... -
- E’ naturale! Non è possibile innamorarsi da adolescenti! A quell’età si può
solo essere amici! Fra l’altro, Jason non è neppure un adolescente ma soltanto
un bambino... -
- Senti, mamma, se vogliamo cominciare subito a litigare, bene: facciamolo
pure! - Liz le puntò un dito contro. - Anche se avevo sedici anni quando ho
conosciuto meglio Max, l’ho capito subito che quello che provavo per lui era
molto forte! Che non aveva niente a che vedere con l’attrazione che avevo avuto
per Kyle! Quella sì, era una cotta da ragazzine, tant’è che mi è durata poco
più di un’estate! Con Max, invece, è stato diverso, volevo stare solo con lui,
per me non esisteva nessun altro! Ed era reciproco! -
- Ti ha messo incinta e ti ha lasciata - obiettò Nancy Parker sprezzante,
lanciando subito dopo uno sguardo risentito al giovane.
- Aveva perso la memoria in seguito ad un incidente, e quando l’ha ritrovata è
tornato da me! -
- Solo perché si sentiva in colpa. Tu avevi partorito suo figlio, diamine! Come
faccio a perdonare un mascalzone che ti ha portata a letto quando eri ancora
minorenne?!? -
- Guarda che io ero più che felice di andare a letto con lui! E comunque -
precisò gelida, - è un mascalzone che mi ama più della sua vita. Un mascalzone,
come dici tu, che a sedici anni ha scelto di rischiare tutto quello che aveva
pur di salvarmi. Max è più di quanto abbia mai sognato di avere, e tu dovresti
esserne contenta per me! -
- Come, a sedici anni...? A cosa ti riferisci? - chiese la donna, chiaramente
colpita dallo sfogo della figlia.
- Quel giorno al Crashdown, ricordi? Quando ci fu quella sparatoria... Io stavo
morendo, e Max mi ha riportata indietro! -
- Beh, ha la capacità di guarire... Santo cielo, Liz, vuoi dire che rimanesti
davvero ferita?! Allora... non era ketchup quello che avevi addosso? -
L’espressione sul volto di Nancy era angosciata. Perché la sua bambina glielo
aveva tenuto nascosto? Perché tutti quei segreti?
- No, mamma, era sangue. Il mio sangue... - rispose Liz con voce
improvvisamente stanca.
Erano al centro dell’attenzione, adesso. Jeff Parker, dopo aver salutato con
affetto la nipote, si era avvicinato alla moglie ed era rimasto paralizzato ad
ascoltare la verità su quello che era accaduto quasi cinque anni prima.
- Max non è solo un guaritore. Lui... lui viene da un altro pianeta. Ha diversi
poteri, oltre quello di guarire, e li ha trasmessi ai nostri figli. - Cercò di
tenere a bada l’ira che le stava montando di nuovo ma non ci riuscì. Stava
perdendo il controllo, era più forte di lei. Da troppo tempo si teneva tutto
dentro, ed era inevitabile che alla fine dovesse andare così! Cominciò a
tremare. - E’ questo il motivo per cui l’Fbi ci attaccò, dopo che tu e papà
avevate rivelato dove ci trovavamo. E’ questo il motivo per cui Jason e Shiri
sono cresciuti così in fretta, perché per salvarsi hanno dovuto usare una
quantità spaventosa di energia, e il risultato è che hanno rischiato di
morire... Io lo so che non avevate alcuna idea di quello che sarebbe successo
se l’Fbi ci avesse catturati, ma non potrò mai dimenticare il giorno in cui
quei bastardi hanno fatto irruzione in quella casa, poco dopo che avevo messo
al mondo la mia bambina, e hanno ucciso Max sotto i miei occhi! E tu mi parli
ancora di sentimenti adolescenziali?!? Tu non hai la minima idea di che cosa
significhi amare! Amare davvero! Amare qualcuno così tanto da mettere ogni
altra cosa al secondo posto! Salvandomi, al Crashdown, Max ha rinunciato a
tutto e ha messo la sua vita nelle mie mani! Non m’importa se non puoi
perdonarlo per avermi messa incinta a diciotto anni, ma ti proibisco di parlare
ancora male di lui! -
Scombussolata per quel fiume di rivelazioni la donna si sentì quasi svenire e
dovette appoggiarsi al marito, che nel frattempo le aveva passato un braccio
dietro la schiena. - Io... io non sapevo... - mormorò sotto choc.
- No, non sapevi. E non avevo il coraggio di dirtelo perché temevo la tua
reazione. La vostra reazione... - si corresse Liz guardando da lei al padre. -
Ho visto come avete guardato Jason e Shiri, quando vi siete trovati davanti due
ragazzini anziché due neonati... Non potevo permettere che li feriste come
avevate ferito Max , e così ho inventato la storia del difetto genetico. Ma
loro non hanno alcun difetto! I miei figli sono meravigliosi proprio come Max e
come lui meritano di essere amati, non di essere guardati con disgusto... -
- Tesoro, mi dispiace... - cercò di dire la donna, mentre lente lacrime le
rotolavano lungo il viso pallido.
- Già, ti dispiace... - Liz annuì, le labbra serrate in una linea sottile. -
Anche a me dispiace non aver potuto rivolgermi a te quando avevo bisogno di
aiuto... Diane e Phillip non hanno avuto alcuna difficoltà ad accettare Max ed
Isabel per ciò che sono veramente... Ma già, che sciocca! Sono i loro figli! E
qualsiasi genitore ama i propri figli sempre e in ogni caso, vero? Qualsiasi
genitore tranne voi... -
- Non essere così dura, Liz, ti prego! Se tu me lo avessi detto, se ti fossi
confidata con me, avrei cercato di capire... di aiutarti... -
- Tu hai sempre cercato di impedirmi di frequentare Max! Ero costretta ad
uscire di nascosto da casa per vederlo! E non erano incontri d’amore, credimi!
Dal momento in cui mi ha salvata Max è stato in pericolo di vita! E come lui
sua sorella e il suo migliore amico! E tutto per me, mamma, capisci? Per me!
Per una stupida ragazzina che aveva scambiato una cotta adolescenziale per un
amore immenso e sincero! Per una stupida ragazzina che non avrebbe mai saputo
cosa significhi essere amata davvero se un mascalzone non avesse deciso di non
sopportare il pensiero di perderla... - Scoppiò a piangere. Per il dolore
riportato in superficie, per il ricordo di tutto quello che aveva dovuto
patire, per la violenza di cui era stata vittima...
Profondamente sconvolta Nancy fece un passo avanti e strinse la figlia in un
tenero abbraccio. - No, tesoro, tu non sei una stupida ragazzina... non lo sei
mai stata... Sono fiera di te, della donna che sei diventata... Io... quello
che mi hai detto è... è incredibile... -
- Lo so, mamma, ma è la verità... - riuscì a dire Liz fra i singhiozzi. - Non
guardare Max e i miei figli come se fossero dei mostri... perché non lo sono...
-
Con un sospiro la donna l’abbracciò più forte. - No, tesoro, no... -
Un po’ in disparte, Shiri e Max avevano assistito in silenzio a quel duro
scambio di parole e alla fine la ragazza aveva lanciato al padre una rapida
occhiata interrogativa. “- Pensi che stiano bene? La mamma è molto triste... -”
“- E’ vero, ma vedrai che dopo starà meglio. Non è stato facile per lei dire
tutte quelle cose, né lo è stato per i nonni sentirle. Comunque stai
tranquilla, sono certo che il peggio sia passato... -”
La ragazza accennò un sorriso incerto. “- Lo pensi davvero? -”
“- Sì, amore. -” Max le sorrise in risposta sentendo su di sé lo sguardo dei
suoceri. - Qualcosa non va? - chiese fissandoli.
- Ehm, no... No... - Il signor Parker scrutò lui e la nipote. Era sicuro che
fosse successo qualche cosa, fra di loro. Sembrava che... che si fossero
parlati, in una maniera che non riusciva bene a capire.
- Shiri ed io andiamo a controllare che in cucina sia tutto pronto. Torniamo
fra un attimo - Max prese la figlia per mano e la portò via con sé. Non voleva
che fosse ancora testimone dello stress emotivo di Liz, era convinto che non
facesse bene a nessuna delle due... Poi, quando i Parker se ne fossero andati,
avrebbero potuto riesaminare la cosa insieme. Lui sapeva che né Jeff né sua
moglie avevano veramente considerato i ragazzi come dei mostri, tuttavia non
era semplice credere che fossero alieni. Erano i figli della loro piccola Liz,
come potevano accettarlo?
Quando rientrarono in salotto trovarono un’atmosfera più distesa. Liz si era
seduta a tavola e aveva dato un grissino a Claudia perché lo sgranocchiasse.
Accanto a lei Nancy guardava la bimba con tenerezza. Claudia era davvero
splendida ed era inevitabile restare affascinati da lei. Ma anche Ethan,
conquistato un comodo posto in braccio al nonno, era adorabile con i ridenti
occhioni scuri come quelli della madre, e giocherellava con la sua cravatta.
- Jason non è ancora sceso? - domandò.
- No. Forse dovresti andare a dare un’occhiata... -
- Certo, vado subito. - Max le diede un bacio sui capelli e andò al piano
superiore.
Quando entrò nella stanza del figlio vide che era vuota e mormorò
un’imprecazione. Cercando di mantenersi calmo tornò di sotto e si schiarì la
gola. - Per il momento non può venire. Possiamo cominciare... -
“- Max! -”
“- Jason se n’è andato. Non so dove, ma immagino che sia per via di Alexandra.
Più tardi andrò a controllare di nuovo. -”
Liz sospirò sconfortata e Nancy la guardò con un misto di curiosità e
preoccupazione. - Liz? -
- Scusami, puoi prendere un attimo Claudia? -
- Certo! - La donna tese le braccia per accogliere la piccola e guardò la
figlia lasciare in tutta fretta la stanza.
- Scusatemi - Max le andò dietro e la raggiunse mentre, china sul water, dava
di stomaco. Senza dire nulla le mise una mano sulla fronte e con l’altra le
tenne indietro i capelli.
Quando ebbe finito Liz si raddrizzò un poco e prese l’asciugamano che lui le
porgeva. Si pulì la bocca dopodiché si rialzò per andare a sciacquarsi il viso.
- Meglio? -
La ragazza annuì e si appoggiò con le mani al lavandino. - Jason finirà col
cacciarsi nei guai, me lo sento... - mormorò.
- E’ più forte di quanto tu creda. Riuscirà a cavarsela, vedrai. -
- Se lo dici tu... -
Max le accarezzò la schiena poi le sfiorò il ventre piatto. - Lascia che ti
controlli... - disse in un sussurro stabilendo un’immediata connessione con
lei. - Sì, c’è una nuova vita dentro di te... -
A quelle parole Liz pianse e si volse per abbracciarlo.
Lui la strinse forte a sé e le ricoprì il viso di baci. - Forse è troppo
presto, i gemelli sono ancora così piccoli, ma sono molto felice... -
bisbigliò.
- Anch’io. Ti amo, Max, ti amo da morire... - Poggiò la guancia sul suo cuore e
sentì che batteva forte e veloce. - Ti amo... - disse ancora, e chiuse gli
occhi assaporando la gioia di stare fra le sue braccia.
Qualche minuto più tardi, sia pure controvoglia, tornarono dagli altri e Liz si
scusò spiegando di essersi sentita poco bene. - Ma adesso è tutto a posto -
volle tranquillizzarli, - e... abbiamo appena scoperto che aspetto un
bambino... - aggiunse con voce emozionata.
Nancy sgranò gli occhi. Dovevano essere impazziti! Avevano già quattro figli!
Forse avrebbe dovuto spiegare a Liz che esistevano gli anticoncezionali!
Facendosi forza per non dire qualcosa di cui avrebbe sicuramente finito col
pentirsi abbozzò un sorriso. - E’ una bellissima notizia! -
Il marito la guardò perplesso. A lui sembrava una follia, ma per la verità la
follia sembrava essere la regola di quella serata... Ciononostante si affrettò
ad abbracciare la sua piccola e strinse la mano di Max. - Beh, è davvero una
notizia splendida! -
Shiri era raggiante. - Un altro fratellino? E’ fantastico! -
- Sì, e altri pannolini da cambiare, altre pappe da preparare... - la prese in
giro Liz.
- Ti aiuteremo io e Jason! - si offrì subito lei. - Sai già se è un maschio o
una femmina? - chiese impaziente, e si girò verso Max, che arrossì. - E’ presto
per dirlo... - cercò di tergiversare, non del tutto certo che Liz volesse
saperlo.
- Non è vero, tu lo sai. Avanti, voglio saperlo anch’io! Su, dimmelo... - lo
implorò allora lei.
- E’... è una bambina. -
Gli occhi di Liz si inumidirono. - Dovremo trovarle un nome stupendo... - disse
piano.
- Adesso però siediti e mangia. Devi nutrirti come si deve, specialmente ora! -
la ammonì il padre accompagnandola al suo posto.
Liz accennò una risatina e, tirando su col naso, prese la forchetta e cominciò
a mangiare.
Di tanto in tanto Max e Shiri si scambiavano un’occhiata furtiva e domande non
espresse a voce. E ogni volta ambedue abbassavano lo sguardo sui loro piatti
cercando di non lasciar trapelare l’ansietà.
Alexandra giaceva su un lettino, in posizione prona. Aveva le braccia distese
lungo il corpo e le gambe lasciate scoperte dalla tunica azzurra che le avevano
fatto indossare. Nonostante i suoi sforzi qualche lacrima le era rotolata dalle
tempie fino al duro materasso ricoperto da un lenzuolo ruvido e odoroso di
antisettico. Ogni tanto chiudeva gli occhi, distrutta dalla tensione e dalla
stanchezza, per poi spalancarli di colpo nel timore di trovarsi accanto
quell’orribile infermiere venuto per l’ennesimo prelievo di sangue. L’incavo
del braccio le doleva moltissimo ed era diventato viola, dal momento che
continuavano ad infilarle l’ago sempre nello stesso punto, e il sospetto che lo
facessero apposta aveva avuto conferma quando, solo pochi minuti prima, nel
notare la sua smorfia l’uomo aveva ridacchiato e mormorato: - E questo non è
niente, tesoro! -
Allora si era irrigidita, aspettando con ansia che lui se ne andasse, poi aveva
emesso un singhiozzo soffocato ed aveva lasciato che il terrore la
sopraffacesse. Ma era stato solo un attimo. Non voleva che capissero di essere
riusciti a spaventarla a morte così, facendo appello a tutte le sue risorse, si
era costretta a rallentare il respiro nel tentativo di rilassarsi. Però era
stato molto difficile perché qualcosa le diceva che non l’avrebbero lasciata
uscire viva da lì...
Ad un tratto fu consapevole di un’altra presenza e volse di scatto il viso,
sbiancando per la sorpresa. Aveva evitato per quanto possibile di pensare a
lui, ma poi uno degli uomini che l’aveva prelevata, o meglio rapita, aveva
cominciato a tempestarla di domande e, suo malgrado, era stata costretta ad
affrontare i mille dubbi che quell’interrogatorio aveva portato alla luce. Chi
era, in realtà, Jason Evans?
- Alexandra! -
Lo guardò avvicinarsi, smarrito e con un’espressione di colpa dipinta in
faccia, e d’istinto si ritrasse. Come aveva fatto ad arrivare da lei? Non aveva
sentito il rumore della porta che si apriva, e non c’erano finestre. Era come
se... se fosse apparso dal nulla... Allora era vero quello che le avevano
detto? Che non era umano, che... No, non poteva crederci!
- Coraggio, ora ti porto via! -
Prima che Jason potesse toccarla rotolò di lato e scese dall’altra parte del
letto. - Sta’ lontano da me! - sibilò. - Guai a te se mi tocchi! -
Il ragazzo si volse a guardare preoccupato la porta. - Alexandra, abbiamo
pochissimo tempo! Ti prego, non fare così! -
- Preferisco essere uccisa da loro che usata come cavia! - fu la sua pronta
risposta.
Jason la fissò scioccato. - Che diavolo stai dicendo?!? -
- Non è forse vero? - C’erano disprezzo e dolore nel suo tono sommesso. - Mi
hanno detto cosa sei. Un esperimento di laboratorio, una parodia di essere
umano, costruito col materiale genetico dei tuoi pseudogenitori e con roba
sintetica che non oso neppure pensare dove se la siano procurata! Ma io mi
chiamo fuori dai tuoi giochetti! Non ti permetterò di distruggermi! -
- Io non voglio distruggerti! Santo cielo, Alexandra, sono venuto qui per
aiutarti! - protestò lui.
- Ah sì? Per poter poi continuare a provare a trasmettermi la tua malattia e
vedere se trovi il modo di aiutare te stesso? - Si sentiva tradita per il modo
in cui l’aveva usata, e non poteva trattenersi dall’aggredirlo, dal gettargli
in faccia quello che provava. Ma dentro di sé era come morta. Aveva creduto in
lui, aveva creduto davvero in quell’amore inatteso eppure tanto desiderato. E
invece era stata solo un’illusione...
L’alieno fece un passo indietro, le mani strette a pugno ed il viso
pallidissimo. - Non sai quello che dici... - bisbigliò a fior di labbra.
- Lo so molto bene, invece. Ci ha pensato l’Fbi a fornirmi tutti i particolari,
tra un esame e l’altro... Mi hanno prelevato sangue, urina, perfino liquido
lacrimale! Sono stata sottoposta alla visita ginecologica più approfondita e
spietata che abbia mai avuto, hanno preso campioni di pelle ovunque... E tutto
solo perché ci hanno visto baciarci e hanno dedotto che abbiamo avuto rapporti
sessuali! Quindi, qualcosa di vero in quello che mi è stato tanto gentilmente
spiegato dev’esserci... - concluse Alexandra guardandolo con ripugnanza.
Jason, che non si era accorto di trattenere il fiato mentre ascoltava quel
terribile sfogo, emise un gemito roco. - Mi dispiace... mi dispiace da morire
per quel che ti hanno fatto... - disse, annientato dal dolore.
- Bene, e ora che me lo hai detto puoi pure andartene! -
- No, Alexandra, non lo farò senza di te! Saranno loro ad usarti come cavia, e
quando non gli sarai più utile ti uccideranno senza alcuna pietà! Ti prego, ci
vorrà soltanto qualche secondo dopodiché sarai libera! la implorò.
- Libera? Di sapere che sono stata un’idiota? Che mi sono illusa come una
qualsiasi ragazzina al suo primo amore? Che non c’è modo di rendere la vita
meno schifosa? No, grazie tante! Ne ho avuto abbastanza di te e delle tue
parole! - Alexandra fece per voltargli le spalle ma in quel momento la porta si
aprì ed apparvero due robusti infermieri, seguiti da un uomo vestito di scuro.
- Prendetelo vivo - fu tutto ciò che disse quest’ultimo.
Il ragazzo reagì d’istinto e non ebbe alcuna difficoltà a mettere fuori
combattimento i suoi assalitori dopodiché si slanciò verso Alexandra, deciso a
trascinarla via anche contro il suo volere.
- Fermati, mostriciattolo! - gridò l’uomo estraendo la pistola e puntandogliela
contro.
- Il mostro sei tu, Ross! - gridò Jason di rimando, il braccio teso in avanti
per creare uno scudo che lo separasse da lui dandogli il tempo necessario a
raggiungere la giovane, rimasta paralizzata dal terrore.
Stavolta lei non oppose resistenza e Jason le circondò la vita stringendola
forte a sé, poi richiuse a pugno la mano destra facendo dissolvere il campo di
energia.
- Sei in salvo, adesso... - mormorò l’alieno scostandosi lentamente da lei.
Alexandra barcollò e chiuse gli occhi, ma Jason riuscì a sostenerla prima che
cadesse. Con suo grande raccapriccio sentì qualcosa di caldo e vischioso sotto
le dita: il colpo sparato da Gabriel Ross non appena aveva annullato lo scudo
l’aveva raggiunta al fianco. La prese in braccio con delicatezza e l’adagiò sul
letto. - Papà! - urlò girando appena il capo verso la porta. Gli occhi pieni di
lacrime, si guardò intorno alla disperata ricerca di qualcosa con cui tamponare
la ferita. - Sbrigati, papà, ho bisogno di te... - mormorò, poi vide una
maglietta abbandonata sulla sedia e si affrettò a prenderla. - Resisti, amore,
tra poco sarà tutto finito! -
- E’ Jason! - Max corse al piano superiore, tallonato da Shiri e Liz.
Non appena ebbero varcato la soglia della stanza del ragazzo la situazione
apparve subito chiara a Shiri, che si inginocchiò accanto al fratello mettendo
una mano sul corpo di Alexandra, percorso da lunghi e dolorosi brividi.
- Vuoi che me ne occupi io? - chiese Max avvicinandosi alla figlia, ma lei
scosse la testa decisa. No. No, posso farcela... - rispose a bassa voce, poi si
protese un poco in avanti e stabilì il contatto con l’amica, sprofondando
dentro di lei, cercando e guarendo.
Fu questione di attimi, e Alexandra tornò in sé. - Dove... dove sono? -
Riconobbe il volto serio di Shiri e si sollevò sui gomiti tentando di
allontanarsi da lei ma nel farlo si accorse di Jason e spalancò gli occhi
inorridita.
Incapace di sopportare oltre quello sguardo accusatore Jason si volse e se ne
andò.
Liz seguì preoccupata il figlio, immaginando suo malgrado quello che doveva
essere successo.
Nel passare per il salotto il ragazzo quasi non si accorse della presenza dei
nonni e continuò a camminare come un automa verso la porta principale.
La madre lo afferrò per il braccio proprio mentre cercava di ruotare la
maniglia. - No, Jason, non fare così! Qualsiasi cosa ti abbia detto o fatto è
stato solo perché era spaventata! Cerca di avere pazienza con lei... lasciale
un po’ di tempo per capire... -
Jason scosse piano la testa. - Pensava veramente ogni singola parola... Ai suoi
occhi sono... sono un abominio... e non vuole più avere a che fare con me... -
Disperato, girò su se stesso e si abbandonò contro di lei, le spalle scosse da
singhiozzi secchi e convulsi che le spezzarono il cuore. - Tu non sei un
abominio, tesoro... Non lo sei... - Gli occhi velati per la pena, lo abbracciò
forte rimpiangendo di non poter fare altro per lui. - Dalle tempo... - ripeté,
nella speranza che Alexandra avesse davvero solo bisogno di tempo per accettare
la verità.
Intanto la ragazza si era rannicchiata sul letto cercando di frapporre la
maggiore distanza possibile fra sé e Shiri.
La sua espressione spaurita esasperò la giovane aliena, che sedette sul
materasso fissandola dritta in volto. Sei in salvo, adesso, quindi puoi
smettere di guardarmi a quel modo! -
- Come sono arrivata fin qui? - le chiese Alexandra stringendo maggiormente a
sé le gambe nel tentativo di allontanarsi ancora di più.
- Questo non è rilevante, adesso. Senti, io... io mi rendo conto che tutto quel
che ti è capitato ti abbia sconvolta ma ti assicuro che non hai alcun motivo di
temere me o Jason. E ti sarei grata se non raccontassi nulla a nessuno, neppure
a tua zia... -
- Perché? Hai paura che l’Fbi indaghi su di voi? - la sfidò lei.
Shiri serrò le labbra e si rialzò andando a mettersi accanto al padre. - Lo
hanno già fatto, ed è un’esperienza che spero di non ripetere mai più, quindi
capisco perché tu ce l’abbia con Jason, in questo momento, però ti prego di
ricordare che lui ti vuole molto bene. -
La ragazza deglutì convulsamente. - Voglio tornare a casa mia. Subito -
- Certo. Ti prendo qualcosa da mettere e poi ti accompagno. - Max accennò ad
uscire dalla stanza ma fu fermato dalla pronta replica di Alexandra. - Non ce
n’è bisogno, grazie. Preferisco fare l’autostop. - Si alzò barcollando un poco
e fece il giro del letto cercando disperatamente di non sfiorare Shiri, che la
fissò incredula. - Scherzi, vero? Fuori fa un freddo cane, e se non trovi
nessuno che ti dia un passaggio rischi di morire congelata! -
- Non m’importa. Non voglio niente da voi! -
Alexandra sembrava davvero terrorizzata e Max ebbe compassione di lei. - Per
favore, lascia che ti accompagni... -
- No! - Ormai in preda ad un attacco isterico, si slanciò verso la porta
schivando il braccio teso del giovane e corse giù per le scale. Arrivata al
piano inferiore quasi si scontrò con Jeff Parker, che aveva lasciato il
soggiorno per andare a controllare cosa stesse succedendo di sopra, e con la
coda dell’occhio vide Jason e sua madre. Temendo che cercassero di fermarla
corse ancora più forte e si precipitò fuori dalla casa come se fosse inseguita
da una torma di lupi affamati.
Continuò a correre incurante dell’aria gelida e del duro asfalto che le feriva
i piedi nudi finché vide apparire i fanali di una macchina. Agitò allora le
braccia come una pazza per attirare l’attenzione del conducente e, con sua
enorme gioia, scoprì che si trattava di un’auto di pattuglia. - O dio del
cielo, ti ringrazio! Agente, la prego, mi aiuti! -
Jim Valenti frenò bruscamente facendo fischiare le gomme e si affrettò a
scendere dalla vettura. - Sono lo sceriffo. Cosa ti è successo?!? -
- Io... io... - Incerta su cosa dire, Alexandra incrociò le braccia sotto il
seno e lo guardò implorante. - La prego, mi può accompagnare a casa? -
- Sicuro! Ma forse sarebbe meglio passare prima all’ospedale... -
- No! No, voglio andare a casa. Per favore, sto morendo di freddo... -
- Certo. Su, entra! - Le fece segno di salire poi aprì il bagagliaio e ne
estrasse una coperta. - Tieni, copriti con questa. -
- Gr...grazie... - balbettò lei.
- Senti, ora ti porto a casa tua, però vorrei che domani venissi da me, in
ufficio. Vorrei che mi raccontassi cosa ti è capitato... -
- Niente, non mi è capitato proprio niente! Voglio solo tornare a casa. -
Jim non ebbe bisogno di chiederle l’indirizzo. Conosceva tutto di quella
ragazza, avendo ricevuto il suo fascicolo dal tribunale di Los Angeles dopo
l’affidamento a Linda Kransick. E decise che la prima cosa che avrebbe fatto
l’indomani mattina sarebbe stata chiamare la donna e cercare di sapere qualcosa
da lei.
Quando arrivarono davanti al piccolo ranch Alexandra tirò un sospiro di
sollievo. - Grazie, sceriffo, è stato davvero gentile! - Fu fuori dell’auto
ancor prima che lui potesse rispondere, e in un attimo raggiunse l’uscio e
cominciò a battere con frenesia entrambe le mani. - Zia! Zia, apri! -
- Alex! Ma cosa...? - La donna guardò preoccupatissima la nipote, che le era
quasi caduta fra le braccia, e poi l’auto coi lampeggianti accesi. - Ti ha
portata lo sceriffo? - chiese stupita.
- Sì. Zia, ti prego, possiamo parlarne domani? Adesso vorrei solo fare una
doccia bollente e poi andare a dormire... -
- Sì, tesoro, certo. - Dopo aver dato un’ultima occhiata allo sceriffo, in
piedi contro la macchina, attirò la ragazza all’interno e chiuse con cura la
porta dietro di sé. - Perché ti ha accompagnata lui? E perché sei vestita così?
- le domandò ansiosa. - Sei stata aggredita? -
- No, zia, non sono stata aggredita, e mi ha accompagnato lo sceriffo perché è
stata la prima persona che ho incontrato dopo essere scappata. - Alexandra
sospirò - Per favore, ho davvero bisogno di una doccia... -
- Scusami, hai ragione. E’ solo che... - Un sospetto improvviso le attraversò
la mente. - Non erano agenti dell’Fbi?!? E’ per questo che sei scappata? -
La ragazza le rivolse uno sguardo stanco. - Oh, no, erano davvero agenti
federali... Ma ne avevo avuto abbastanza dei loro test e così... me ne sono
andata. -
- E cosa farai nel caso abbia contratto quella malattia? -
- Non me ne importa più niente. - Chiuse gli occhi e rabbrividì e Linda, non
osando continuare ad interrogarla, la sostenne fino in bagno.
Mezz’ora più tardi Alexandra era avvolta in un caldo piumino e si strofinava
inconsciamente il gomito sinistro, dove non era rimasta alcuna traccia
dell’enorme livido bluastro. “Sto impazzendo... Non può essere successo
davvero... Non può...” Continuò a fissare nel buio sforzandosi di non pensare a
niente ma, a poco a poco, si raggomitolò su se stessa e riprese a tremare.
Non era stato facile spiegare ai Parker la presenza, e la precipitosa fuga, di
Alexandra. I due avevano ascoltato in silenzio le spiegazioni di Max tuttavia
era chiaro che non avevano creduto ad una sola parola. E non si poteva dargli
torto. In fin dei conti era difficile accettare l’idea che Jason fosse stato in
grado di percepire che la sua amica era in pericolo e l’avesse teletrasportata
nella propria stanza! Il giovane non era riuscito a trattenere l’amarezza
mentre concludeva il brevissimo resoconto ammettendo che la ragazza era
scappata via spaventata per quello che lui aveva fatto.
Per fortuna la cena era quasi terminata così, dopo avere bevuto il caffè, Jeff
e Nancy si erano accomiatati e Max e Liz erano potuti tornare in camera di
Jason per controllare come stesse.
Il ragazzino era sdraiato sul fianco, gli occhi chiusi ed il respiro lento ma
regolare. Seduta sul bordo del letto, Shiri gli teneva una mano sulla tempia.
Sentendoli entrare si girò verso di loro poi tornò a concentrarsi sul fratello.
- Sono riuscita a farlo calmare, ma preferisco restare qui ancora un poco. Voi
andate pure a dormire... -
- Sei sicura, amore? Devi essere molto stanca... - disse piano Liz.
- No, stai tranquilla. Buona notte, mamma, ‘notte, papà... -
- Buona notte, piccola. - Max si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte, poi
si chinò a baciare il figlio. Buona notte, coniglietto... - bisbigliò
addolorato.
Liz abbracciò Shiri con tenerezza. - Grazie, tesoro... -
- Io... credo di detestare Alexandra... - sussurrò lei con occhi velati di
lacrime.
- No, non devi, amore mio... Si è spaventata, è comprensibile... -
- Ma è stata così dura, con lui... così... crudele! -
- Succede, quando si ha paura. Aspetta a giudicarla... -
La ragazza sospirò e fece un piccolo cenno affermativo col capo. - D’accordo,
aspetterò. - disse con voce quasi impercettibile.
- Brava! Buona notte... -
- ‘Notte. -
- Sono distrutta... - Liz si tolse le scarpe e le lasciò cadere sul pavimento
prima di buttarsi a corpo morto sul letto.
- Lo immagino. E’ stata una serata molto faticosa. - convenne Max
inginocchiandosi accanto a lei e sospingendola delicatamente in posizione
prona. - Ma è finita, e ora puoi rilassarti... - Nel dire questo cominciò a
massaggiarle le spalle strappandole un sospiro di piacere. - Come pensi sia
andata coi tuoi genitori? - le chiese dopo un po’.
- E’ andata... – La giovane donna chiuse gli occhi e, dopo un breve silenzio,
domandò a sua volta. - E come pensi sia andata con Jason? -
Max fece una smorfia. - E’ andata. - Si chinò a deporle un bacio sulla nuca. -
Ora capisci perché mi considero molto fortunato ad avere incontrato te? Tu mi
hai subito accettato per quello che sono... - mormorò.
- Le cose non stanno esattamente così. All’inizio anch’io ero spaventata, solo
che poi... poi... -
- Poi il tuo amore è stato più forte della paura - concluse per lei, - e te ne
sarò grato per sempre... - Le diede un altro piccolo bacio e l’aiutò a mettersi
seduta. - Su, lascia che ti spogli così potrò massaggiarti meglio! -
A quelle parole Liz mormorò qualcosa che lui non capì ma fece come le era stato
chiesto ed in breve si ritrovò nuda e nuovamente sdraiata sullo stomaco. Le
mani calde di Max ripresero a toccarla con maestria sciogliendo i nodi di
tensione e, quasi senza accorgersene, si addormentò.
Il giovane guardò con aria assente la lieve luminosità dorata che si
sprigionava dalle sue dita, perdendosi nei propri pensieri. Liz era davvero
stremata, quella cena era stata un vero e proprio incubo! Prima la lite con la
madre, poi l’incidente con Alexandra, ed infine l’imbarazzato saluto dei
Parker. Da una parte era contento che Liz avesse trovato infine la forza di
rivelare tutto ai suoi genitori, ma dall’altra era rattristato per la
sofferenza che questo le aveva causato. Ed era stato terribile vedere la
profonda disperazione di Jason quando Alexandra si era allontanata da lui. Era
però sicuro che Shiri sarebbe riuscita ad aiutarlo a superare quel durissimo
momento, grazie alla sua profonda sensibilità empatica, ed un inconsapevole
sorriso colmo di affetto per la figlia gli illuminò il volto. Con un sospiro si
tolse i vestiti e si sdraiò accanto a Liz, stringendola fra le braccia e
sistemandole la testa nella nicchia della propria spalla. - Buona notte, amore
mio... - sussurrò con dolcezza, e rimase a vegliare il suo sonno fino all’alba.
Jason si destò di soprassalto e per un attimo rimase immobile cercando di
ricordare il sogno che aveva fatto. Un sogno angosciante, i cui particolari a
poco a poco gli apparvero con sgradevole nitidezza. Aprì allora gli occhi e si
volse a guardare la sorella, placidamente addormentata al suo fianco. “Grazie,
Shiri...” pensò con riconoscenza. Sapeva di doverle molto. L’aveva sentita
accanto a sé mentre vagava come un pazzo alla ricerca della maniera di
liberarsi dalle ombre che lo avvolgevano sempre più stretto, aveva sentito la
sua mano afferrarlo e trasmettergli calore e serenità, e un poco alla volta
aveva ripreso il controllo di se stesso.
Shiri si stiracchiò sbadigliando e quando il suo braccio sbatté contro il corpo
tiepido di Jason sorrise con aria di scusa. - Ciao, come va? -
- Discretamente. Ti ringrazio per essere rimasta con me... -
- Figurati! Ma che ore sono? -
- Le sette meno un quarto. Dai, alzati o faremo tardi a scuola. -
La ragazza si sollevò a sedere e lo scrutò incuriosita. - Te la senti? -
- Certo! Il mondo va avanti anche se ho il cuore a pezzi, non credi? -
Il tono di Jason era quasi scherzoso e Shiri gli fece la linguaccia. - Volevo
soltanto sapere se te lo ricordavi! - Poi schizzò giù dal letto per evitare il
cuscino che lui le tirò dietro.
Erano entrambi in cucina a fare colazione in compagnia del padre, che stava
preparando da mangiare per i gemelli, quando arrivò Liz. - Buongiorno! - Era
contenta di vedere Jason chiacchierare serenamente con Max, a quanto sembrava
Shiri aveva fatto ancora una volta un ottimo lavoro! Ricordava fin troppo bene
la notte in cui lei e Jason si erano arrampicati sul loro letto e li avevano
liberati dagli incubi regalandogli un sonno profondo e ristoratore...
- Ciao! Mi dispiace ma noi dobbiamo scappare! Ci vediamo stasera! - I due
ragazzi posarono i piatti nel lavandino e, dato un frettoloso bacio a tutti
quanti, uscirono per andare a scuola.
Mentre sistemava i bambini nei loro seggioloni Liz guardò incerta il marito. -
Jason sembra essersi ripreso piuttosto bene. - disse, quasi a chiedere
conferma.
Max distribuì equamente la crema di cereali in due ciotole e gliene porse una.
- Sì. Shiri lo ha aiutato molto, è vero, però lui ha questa incredibile
capacità di razionalizzazione... Non so, è come se avesse... assorbito...
quello che è successo con Alexandra. Non superato, no, ma accettato. Non so se
sia riuscito a spiegarmi, non è facile trovare le parole giuste... - Le sorrise
dubbioso. - Forse sarebbe più semplice se mi connettessi a te. -
Davanti alla sua espressione interrogativa la giovane donna scosse lentamente
la testa. - No, credo... credo di aver capito. In un certo senso è quello che è
capitato a me quando mi rivelasti di essere un alieno. Sai, fu alquanto
scioccante... -
- Immagino di sì - mormorò lui distogliendo lo sguardo.
- Max, piantala! - Liz gli tolse di mano uno dei due cucchiai. - Non intendo
sentire altre recriminazioni, capito? Io sono felice di stare con te, e questo
non sarebbe accaduto se tu non fossi un alieno! Ricordi? Sarei morta a sedici
anni, e non avremmo mai avuto la possibilità di conoscerci e amarci! - Con un
sospiro si concentrò su Ethan ed iniziò ad imboccarlo. - Anche tu, crescendo,
diventerai testardo come il tuo papà? - chiese, e contorse il viso in una buffa
smorfia che fece ridere il bimbo. - No, - proseguì - tu sarai un bellissimo e
bravissimo ragazzo, avrai tanti amici e un giorno conoscerai l’amore della tua
vita e vivrai per sempre insieme a lei! -
- E non è quello che è successo a me? - fu il commento un po’ ironico di Max.
Lei si limitò a stringersi nelle spalle. - E spero che succeda anche a Jason.
Tiene molto ad Alexandra, questo ormai lo sappiamo tutti, e mi piacerebbe che
le cose si risolvessero, tra loro due... -
- Quella ragazza è un pericolo, per noi. Lo capisci, vero? - disse il giovane,
incupito.
- Non più di quanto lo fossimo io e Maria, oppure Alex. Sono certa che l’idea
di andare a raccontare ogni cosa allo sceriffo sia l’ultimo dei suoi pensieri!
-
- Non è questo, che voglio dire, e poi Jim non darebbe alcun seguito alla sua
denuncia, per non parlare del fatto che probabilmente farebbe in modo di
convincerla a lasciar perdere... No, quello che intendo è che forse dovremmo
parlarle, trovare il modo di spiegarle quanto sia importante che non riveli mai
quel che è successo... -
- Dubito che sia possibile. Hai visto com’era spaventata, no? Anzi, ad essere
sincera ho paura per come potrebbe comportarsi nel rivedere Jason. Forse non
avremmo dovuto mandarlo a scuola, oggi... -
Max lasciò che Claudia si impossessasse del cucchiaio e la guardò mentre lo
tuffava con energia nella ciotola. - Lui voleva andare, e tutto sommato credo
sia meglio così. Rimandare avrebbe significato solamente avere davanti un
intero giorno per tormentarsi - Corrugando la fronte prese con dolce fermezza
la mano della figlia e la guidò nei movimenti. Pochi istanti dopo la piccola
ripeté il gesto senza fare una piega portandosi la posata alla bocca e
lasciando cadere appena qualche goccia di pappa.
Ethan la osservò sgranando gli occhioni scuri e batté i piedi contro i sostegni
del seggiolone. - Anch’io! Anch’io! Solo! - Afferrò con decisione il cucchiaio
strappandolo alla madre e lo infilò nella crema. - Solo! - ribadì, imitando la
sorellina.
Liz si mordicchiò pensosa il labbro inferiore. - Allora non ci resta che
aspettare, e sperare. -
- Praticamente sì. - Max accennò un sorriso di scusa, poi diede un’occhiata
all’orologio. - Maria dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Avanti,
ragazzi, fateci vedere come siete bravi a finire tutta la pappa! -
Claudia gli sorrise con adorazione continuando a maneggiare la posata con
disinvoltura, dopodiché emise un trillo di gioia quando lui la sollevò in
braccio e la portò al piano di sopra per farle il bagnetto e cambiarla.
Liz si stava ancora occupando di Ethan quando arrivò Maria con il figlio, e Max
l’accolse con un sorriso di gratitudine. - Spero che non ti diano troppo
lavoro. Stamattina sono particolarmente attivi... -
- Ah, grazie tante! - La giovane donna gli diede un buffetto sulla guancia poi
si guardò intorno. - Liz? -
- E’ di sopra, con Ethan. Michael è fuori? -
- No, sono venuta con Isabel. E’ arrivata insieme a Morgan, che poi se n’è
andato con Michael. Avanti, va’ pure, mi occupo io di questa signorina! -
La bimba annuì e agitò le braccia verso Maria. - Mria! - disse felice.
- Ciao, tesoro! Comunque, il mio nome è Maria. M-a-r-i-a -
- M-a-r-i-a - ripeté lei obbediente, poi si protese verso Mathias. - Giù!
Thias! Thias! -
Max obbedì ridendo. - In bocca al lupo! - augurò alla ragazza prima di
andarsene.
Maria arricciò il nasino. - Crepi... - mormorò guardando Claudia aggrapparsi
alla carrozzina e sorridere al cuginetto.
Pochi minuti dopo venne raggiunta da Liz che, deposto in terra Ethan, la salutò
con un abbraccio affettuoso.
L’amica la fissò socchiudendo gli occhi. - Ehi, qualcosa non va? Hai un’aria...
strana... -
- Beh, a parte il fatto che ieri sera, mentre c’erano i miei, è successo di
tutto? - rispose Liz con finta noncuranza controllando che i figli non dessero
troppo fastidio a Mathias.
- Di tutto? -
- Ecco, le discussioni con mia madre sono iniziate ancora prima di metterci a
tavola, Jason è andato a salvare Alexandra, e io ho scoperto di essere incinta.
Comunque oggi la giornata è iniziata positivamente, almeno credo... -
- Scusa, puoi ripetere? - mormorò Maria, non del tutto certa di aver capito
bene.
Liz alzò gli occhi al cielo. - Diciamo che le cose mi sono un po’... sfuggite
di mano, ecco. In ogni caso, adesso mia madre e mio padre sanno che Max è un
alieno, e come c’era da aspettarsi la notizia li ha lasciati un tantino
perplessi... Per quanto concerne Alexandra, invece, si è verificato quello che
Michael temeva: ha scoperto che Jason non è del tutto umano, e la cosa l’ha
terrorizzata. -
- Già, posso capirla! - La ragazza si passò una mano tra i capelli. -
Accidenti, che disastro... - Poi si morse le labbra pensosa. - E tu aspetti un
altro bambino. Mm, direi che è un bell’azzardo! -
- In effetti non pensavo di averne un altro a così poca distanza dai gemelli,
ma è successo e non ho alcuna intenzione di interrompere la gravidanza - fu il
deciso commento di Liz.
Maria la guardò dritta in faccia. - Sai benissimo che non ti direi mai di fare
una cosa simile! Però devi ammettere che non sarà semplice gestire tre bambini
piccoli -
- Lo so, ma basta organizzarsi. Ce la farò, vedrai! -
- Oh sì, certo, ne sono più che sicura! Testarda come sei troverai il modo di
far filare dritti tutti quanti, a cominciare da te, vero, tesoro? - Così
dicendo prese in braccio Claudia, che stava cercando di arrampicarsi sul
passeggino, e andò a deporla sulla trapunta. Incuriosito, Ethan la seguì a
piccoli passi dondolanti.
Liz sorrise suo malgrado e andò a prendere il cappotto. - Grazie per l’aiuto...
-
- Le amiche servono a questo, no? - Maria le fece l’occhiolino e con il mento
indicò la porta d’ingresso. Su, vai, altrimenti tutte quelle cellule di cui ti
occupi finiranno col sentirsi abbandonate! -
Entrambe le ragazze ridacchiavano ancora quando l’uscio si richiuse alle spalle
di Liz.
- Ciao. Com’è andata la cena? - Isabel osservò con simpatia il fratello mentre
si allacciava la cintura di sicurezza.
- A dire la verità meglio di quanto pensassi. - Max si schiarì la gola,
chiaramente a disagio. - Almeno per la parte rivelazione. Cioè, non ci hanno
guardato come pazzi e ritengo si siano convinti che non li abbiamo presi in
giro... Però poi Jason ha sentito che Alexandra era in pericolo e per salvarla
l’ha teletrasportata con sé, e Liz si è sentita male. Insomma, un vero
disastro... -
- Jason ha fatto cosa?!? - esplose la ragazza incredula. - Santo cielo, ma è
impazzito? Ci mancava solo questo, accidenti! E naturalmente tu non hai fatto
nulla per fermarlo, vero? -
Il giovane la fissò rigido. - Alcuni agenti dell’Fbi l’avevano prelevata con la
scusa di sottoporla a delle analisi, e devono averle fatto molto male o Jason
non avrebbe percepito il suo bisogno di aiuto -
- Agenti... dell’Fbi? E perché diavolo si interessano a lei, adesso? - Non
appena ebbe finito di pronunciare la frase Isabel batté una mano sullo sterzo.
- Ma certo, che stupida! Evidentemente continuano a tenere d’occhio Jason, e a
furia di vederli insieme avranno capito come stanno le cose fra di loro!
Scommetto che speravano di trovare un piccolo alieno in cantiere! -
Quelle parole un po’ crude fecero trasalire Max, che impallidì vistosamente.
La sorella se ne accorse e lo squadrò sospettosa. - Che hai? -
Lui rimase in silenzio per alcuni secondi, quasi stesse cercando di digerire
qualcosa. Poi si girò con estenuante lentezza per guardarla negli occhi. - Liz
è incinta - disse piano.
La notizia lasciò Isabel senza fiato. - Incinta? Di nuovo?!? -
La sua reazione sorprese Max, che si scurì in volto. La sera prima, quando
aveva sentito la nuova scintilla di vita nel corpo di Liz, aveva toccato il
cielo con un dito. Un’altra creatura da amare, un’altra minuscola Liz in giro
per casa... Quella scoperta aveva reso memorabile una serata altrimenti tutta
da dimenticare! Finché le parole di Isabel non gli avevano fatto realizzare il
pericolo che ora lei, per il solo motivo di aspettare un bimbo, correva. L’Fbi
non avrebbe mai smesso di cercare di condurre esperimenti sugli alieni, a
dispetto delle assicurazioni ricevute dal presidente e dell’aiuto di Thomas
Coltrane, e quei ripetuti tentativi di procurarsi il materiale genetico
necessario ne erano la prova. Avevano fallito con Jason, e poi con Alexandra.
Adesso, forse, avrebbero provato con Liz?
Venne strappato alle sue tristi elucubrazioni dallo schiocco delle dita di
Isabel davanti al proprio naso.
- Ehi, sto parlando con te! -
Certa di aver ottenuto l’attenzione del fratello, la giovane si slacciò la
cintura per poterlo fronteggiare meglio. - Ti rendi conto di cosa significhi un
altro bambino?!? Maledizione, ne avete due ancora piccolissimi, che bisogno
c’era di farne un terzo? -
- Liz è contenta! Lo so per certo! - cercò di obiettare lui, ottenendo soltanto
di farla infuriare maggiormente.
- Ah, non ne dubito! Quella sciagurata è disposta a tutto, per te! Non ti dirà
mai di no! E tu sei un irresponsabile egoista! Ha già messo al mondo quattro
figli, e fra tre mesi partorirà il quinto! Il quinto, capisci?!? - Isabel si
passò le mani fra i capelli tentando di recuperare un briciolo di calma. -
Senti, Max, per quanto siano belli, i bambini richiedono un sacco di energia.
Liz è una ragazza molto intelligente, che ama il suo lavoro, e non puoi
costringerla ad avere una gravidanza dietro l’altra... Ha il diritto di fare
quello che le piace, quello per cui ha studiato tanto, esattamente come te. E
questo non è possibile se hai tre bambini di cui occuparti... -
Max la guardò teso. - Non è sola. Ci prendiamo cura dei gemelli insieme, e
Jason e Shiri ci aiutano spesso. Un altro figlio non cambierà di molto la
situazione. -
Ripensando al caos di alcuni giorni prima la ragazza reclinò leggermente la
testa di lato. - Su questo ho i miei dubbi - disse con tono secco. - E
comunque, andando avanti di questo passo, vedrai che la situazione cambierà.
Eccome, se cambierà... -
- Forse sarebbe il caso che ti rimettessi la cintura e accendessi il motore.
Sono già in ritardo - replicò lui, non volendo più parlare dell’argomento.
Isabel sbuffò. - Sì, sei proprio un irresponsabile egoista! - E senza
aggiungere altro fece come le era stato detto.
Quando si fermarono ad un semaforo non riuscì più a trattenersi. - Ero venuta a
prenderti io, invece di Michael, perché volevo cogliere l’occasione per poter
parlare un po’ con te, sapere come stavi. Scusami, non volevo litigare, però...
- Si morse il labbro inferiore, sovrappensiero. - Però è stato più forte di me!
- Fece un sorrisetto triste, e aggiunse: - Ho persino rischiato di svegliare
Natalie... -
Max volse il capo per guardare la nipotina, che dormiva tranquilla sul sedile
posteriore. - Comunque avevi ragione. Io... non avevo pensato al fatto che Liz
avrebbe potuto rimanere incinta. - ammise.
- Beh, sai, con l’impegno che ci mettete!... - lo prese in giro Isabel, che
subito dopo si rifece seria. - Io credo davvero che dovresti fare qualcosa, per
il futuro... E parla anche con Jason e Shiri. Sono tutti e due innamorati, e
potrebbero commettere qualche imprudenza. Soprattutto Jason... -
Il giovane chiuse gli occhi con un sospiro. Sì, avrebbe dovuto parlare con i
suoi figli. E con Liz. Dio, non sarebbe stato per niente facile...
- Di nuovo ai ferri corti? - mormorò Mark osservando come Alexandra avesse
deviato ostentatamente non appena si era resa conto della presenza di Jason e
Shiri al tavolo.
Tanya si volse a studiare l’espressione tesa dei due fratelli e serrò le
mascelle. Per quanto gli Evans fossero simpatici Alexandra era pur sempre una
delle sue migliori amiche e quindi non l’avrebbe lasciata pranzare da sola! -
Vado da lei - annunciò laconica alzandosi e seguendola fino ad un tavolo appena
lasciato libero da un gruppo di ragazzi.
Alexandra la guardò sedersi di fronte a lei e le sorrise con riconoscenza.
- Cos’è successo, con Jason? Credevo che le cose si fossero sistemate, fra voi
due... Da quando è tornato a scuola siete stati sempre appiccicati! - Si portò
alla bocca una forchettata di pasta e poi le puntò la posata contro. - Almeno
fino a prima che sparissi tu! Lo sai che non mi hai ancora spiegato cos’avevate
di tanto importante da fare tu e tua zia da tenerti lontana da scuola per due
giorni? Insomma, non hai neppure avuto il tempo per farmi una telefonata!
Allora? -
- Questioni legate al ranch. - commentò la giovane, rifiutando di aggiungere
altro.
- Ok, d’accordo, farò finta di crederci. Ma Jason? Insomma, che ha combinato
questa volta? -
- Non mi va di parlarne -
- Dai, Alex, se è davvero finita, tra voi, avrai bisogno di sfogarti, no?!? Su,
avanti! Ti ascolto! -
Alexandra sorrise suo malgrado. Tanya era sempre così curiosa... Però aveva
detto bene: aveva un enorme bisogno di sfogarsi! Rimise nel piatto le posate e
si piegò un poco verso di lei - D’accordo, hai ragione, sono arrabbiata con
Jason. Mi ha deluso, e ferito. Mi ha presa in giro fin dall’inizio, ed io sono
stata così idiota da non accorgermene! Mi sono lasciata imbrogliare dalla sua
aria innocente, per non parlare di quella santarellina di Shiri, che gli ha
sempre tenuto il gioco, e sono caduta nella sua trappola come una scema! Ti do
un consiglio, sta’ lontana da loro. Non sono affatto quello che sembrano!... -
Detto questo si raddrizzò, prese la borsa ed il vassoio e se ne andò.
Tanya rimase a fissarla sbalordita. E dopo un istante si volse in direzione del
tavolo dove gli altri stavano ancora mangiando. Riusciva a malapena a vedere la
testa di Jason, il più alto del gruppo, ed ebbe la sgradevole impressione che
anche lui la stesse osservando. Con una smorfia raccolse a sua volta le proprie
cose e andò a posare il vassoio nell’apposito raccoglitore. Le era passato del
tutto l’appetito...
Jason le guardò allontanarsi senza che dal suo volto trapelasse nulla
dell’angoscia che lo rodeva. Quella mattina suo padre gli aveva chiesto fino a
che punto conoscesse Alexandra, nel tentativo di capire cosa avrebbero potuto
aspettarsi da lei. Alexandra... Aveva sempre cercato di trattenersi, di non
entrare nella sua mente, tuttavia era praticamente impossibile mantenere del
tutto le barriere quando facevano l’amore, e aveva sentito e visto brandelli
dell’essenza unica che era Alexandra. Il suo tormento interiore, il suo bisogno
d’affetto, le emozioni che provava quando erano insieme. E poi il rifiuto, il
profondo ribrezzo, l’odio. Riuscire a sopportare il modo in cui lo fissava,
come se fosse un repellente insetto da schiacciare, richiedeva un notevole
sforzo, ma sapeva di potercela fare. Aveva superato molte cose terribili, e
forse molte altre lo aspettavano, e quella era semplicemente una di più. Un
altro piccolo orrore da incamerare e poi lasciarsi alle spalle. Come quando lo
avevano portato via a sua madre dopo averla uccisa, oppure quando avevano
ferito a morte Lou e Shiri... Comunque era stato un vero tormento ascoltare ciò
che Shiri aveva percepito quando l’aveva guarita, perché si era connessa a lei
in maniera profonda, deliberata, e aveva sentito e visto cose che gli avevano
fatto molto male. In quel momento aveva compreso che non avrebbe rivelato a
nessuno quel che aveva scoperto. Perché, come lui, Alexandra aveva imparato a
custodire il dolore là dove non poteva più arrecare sofferenza. Ma ci sarebbero
state nuove cicatrici, cicatrici di cui doveva incolpare solo se stesso...
Mentre guidava Liz decise all’improvviso di passare a scuola e non rimase
affatto sorpresa nel vedere Jason seduto per terra con la schiena contro il
muro, a lato del portone d’ingresso. Con un sospiro mise la freccia ed accostò
al marciapiedi. A quanto pareva quella sarebbe stata una giornata terribilmente
lunga...
Si avvicinò con calma al figlio e ne approfittò per studiarne il viso triste.
Cosa poteva fare per lenire il suo dolore? Cosa poteva dirgli per rendere più
sopportabile quel che avrebbe schiacciato l’animo di qualcuno molto più grande
e vissuto di lui? Sentì il cuore farsi pesante e cercò di affrettare il passo
ma un improvviso attacco di nausea la costrinse a fermarsi e a portarsi la mano
alla bocca nel disperato tentativo di trattenere i conati. “No, basta! Non di
nuovo!” pensò gemendo interiormente.
Fu allora che il ragazzo la vide e, sorpreso e preoccupato, si affrettò a
raggiungerla. - Mamma! -
Lei si lasciò andare contro il braccio forte con cui le aveva circondato le
spalle ed emise un piccolo lamento. - Aiutami a sedermi, ti prego... -
bisbigliò, pallida come uno straccio.
- Certo, mamma! Vieni! - Jason la sostenne fino ad una panchina non troppo
distante e sedette al suo fianco. - Va meglio? - chiese piano, notando con
ansia le gocce di sudore che le imperlavano la fronte.
- Non proprio... - sussurrò Liz, gli occhi chiusi e le mani abbandonate inerti
in grembo. - Ho freddo...
Cercando di non scuoterla troppo il ragazzo la sollevò un poco e se la sistemò
sulle gambe, facendole appoggiare la testa contro il petto e serrando le
braccia intorno alle sue spalle. Sembrava così piccola e fragile... E tremava,
dio, quanto tremava... La strinse dolcemente a sé, non sapendo che altro fare,
e cercò di distrarla parlandole. - Come mai non sei in ospedale? -
- Quando ho aperto un flacone di reagente l’odore mi ha dato fastidio e... -
- E? - la sollecitò lui.
- E ho vomitato davanti a tutti. E’ stato orribile... - Si sentiva malissimo e
aveva voglia di piangere, ma si fece forza e cercò di proseguire. - Mi hanno
costretta a tornare a casa, e così ho preso l’auto e... e poi ho avuto
l’impressione che tu avessi bisogno di me... e sono venuta qui... - Fece un
respiro lento, profondo, sperando che ricacciasse indietro la nausea che
continuava ad attanagliarle lo stomaco. - E invece sono io ad avere bisogno di
te... - terminò con un filo di voce, e perse i sensi.
Ormai in preda al panico Jason lanciò un richiamo mentale alla sorella perché
lo raggiungesse subito, e la ragazza, che in quel momento stava consegnando al
professore il compito svolto a casa, s’irrigidì per un attimo. “- Arrivo! -” -
Ehm, scusi, devo... devo andare in bagno -
L’uomo la fissò distratto. - Va bene, Evans, ma si sbrighi: non mi piace essere
interrotto mentre spiego. -
- Certo. Grazie -
Era appena uscita dall’aula quando Alexandra si alzò. - Scusi, devo andare
anch’io. Posso? -
L’insegnante la guardò severo e si limitò ad accennare alla porta.
- Grazie! Sarò velocissima! -
Sabrina la osservò sconcertata allontanarsi in tutta fretta e scambiò
un’occhiata perplessa con Tanya, che si strinse nelle spalle e compitò in
silenzio il nome di Jason.
L’amica fece un piccolo cenno affermativo col capo per indicare che aveva
capito, dopodiché si mise a sfogliare il libro alla ricerca del capitolo
giusto.
Intanto Alexandra aveva pedinato Shiri fino all’ingresso e, sempre più
incuriosita, la seguì fuori dell’istituto. “Dove diavolo sta andando?” si
domandò, rabbrividendo nel maglioncino leggero che indossava.
Quando la vide raggiungere la panchina dove stava seduto Jason con una ragazza
in braccio si bloccò e si guardò intorno alla ricerca di un modo per
avvicinarsi senza essere vista. Voleva scoprire chi fosse quella ragazza, e
magari salvarla dai guai in cui si era cacciata lei stessa... Ma soprattutto
voleva essere libera di guardare Jason a suo piacimento. Perché voleva
verificare se ci fosse qualcosa, in lui, che avrebbe dovuto farle capire la
verità. Una verità, tuttavia, che non riusciva a comprendere davvero... Quella
notte era rimasta sotto la doccia quasi un’ora per togliersi di dosso ogni pur
minima traccia o ricordo di lui e dei federali, ma poi la mattina si era alzata
impaziente di andare a scuola per sottrarsi alle asfissianti domande della zia.
Durante le lezioni che aveva avuto in comune col ragazzo si era scoperta spesso
ad osservarlo di nascosto, non riuscendo a capacitarsi del fatto che lui
sembrasse così... così normale, quando invece era un costrutto di
laboratorio... E poi c’era Shiri. Sempre curatissima, anche quando, come quel
giorno, indossava i jeans ed un golf ingannevolmente semplice, con quel viso
acqua e sapone che non aveva bisogno del trucco per attirare gli sguardi
maschili. E anche lei era “sintetica”! In quel momento vide un debole alone
dorato brillare sotto le sue dita e, soffocando a stento un grido di orrore,
scappò via.
- Mamma! - Shiri sfiorò il volto pallido e freddo della madre. - Mamma... -
ripeté, sperando che la sentisse ed aprisse gli occhi.
- Perché sta male? - le chiese angosciato il fratello.
- Non lo so, ma devi portarla a casa, e subito! Hai avvertito papà? -
- Non ancora. Stavo per farlo quando è svenuta, e allora ho chiamato te. Dai,
controllala! -
- D’accordo - Non del tutto convinta la ragazzina pose una mano sul torace di
Liz e stabilì il contatto, senza però trovare nulla che non andasse. - E’ tutto
a posto. Forse è solo stanca... - disse guardandolo preoccupata.
- Io vado. C’è nessuno, qui attorno? -
- No, non mi pare. - Si rialzò in piedi e fece un lento giro su se stessa. -
No. - confermò.
- Ok, allora vado. A dopo! -
- Ciao... - Shiri gli sorrise con apprensione, poi davanti a lei ci fu solo il
vuoto. Jason, col suo prezioso fardello, si era letteralmente dissolto
nell’aria. Sentendosi all’improvviso molto sola e triste si accasciò sulla
panchina e si prese la testa fra le mani. Avrebbe tanto desiderato che ci fosse
Bren, adesso. Voleva sentire le sue braccia stringerla e confortarla, voleva
dimenticare l’espressione degli occhi di Alexandra ogni volta che si posavano
su di lei oppure su Jason, voleva essere una ragazza come tutte le altre...
Quando si sentì toccare sulla spalla trasalì e abbassò di scatto le mani. - Zio
Jim! -
- Ciao, piccola. Perché non sei in classe? -
- Avevo... avevo bisogno di stare un po’ per conto mio... -
L’uomo sollevò leggermente il bordo del cappello e la fissò coi suoi occhi di
un azzurro luminoso. - Come mai? -
Lei sorrise evitando di rispondere e si alzò. - Adesso sarà meglio che vada. Ma
tu? Cosa ti porta alla West Roswell High School? -
Lo sceriffo si grattò pensoso la mascella. - Conosci una certa Alexandra
Cooper? -
A quella domanda Shiri alzò gli occhi al cielo. - Oddio, non dirmi che ha
sporto denuncia! -
- E tu che ne sai? - esclamò James Valenti sorpreso.
- Ieri sera Jason ha dovuto usare i suoi poteri per portarla via dal
laboratorio dove l’avevano isolata quelli dell’Fbi, ma nella fuga è rimasta
ferita per cui io ho usato i miei. Col risultato che puoi ben immaginare...
- Si è spaventata a morte ed è corsa via indossando solamente una tunica da
ospedale. Giusto? -
La ragazza annuì in silenzio, mortificata. - Papà voleva accompagnarla ma lei
ha rifiutato. Ha paura di noi. -
- Già, capisco... Comunque stai tranquilla, non ha fatto alcuna denuncia, e non
ha detto niente neppure alla zia. Per questo ero venuto qui, per parlare con
lei nella speranza di riuscire a venire a capo della faccenda, ma a questo
punto direi che non ce n’è più bisogno. - S’infilò i pollici nei passanti della
cintura. Un vero guaio... Tuo padre è all’osservatorio? -
- Sì. No. Veramente non lo so. - Shiri sorrise imbarazzata. - Mamma si è
sentita male e Jason l’ha portata a casa, e forse papà adesso sta andando da
lei... -
- D’accordo, allora passerò da voi stasera, sperando di non capitare in un
brutto momento. -
- Ci fa sempre piacere vederti, zio. -
- Sei molto gentile, tesoro. Su, avanti, torna in classe, adesso! - Rimase a
guardarla dirigersi verso l’ingresso e sospirò. - E ora dovrò trovare il modo
di convincere Linda Kransick che sua nipote ha detto la verità. O meglio, una
parte della verità... - Si calcò di nuovo il cappello e tornò verso la macchina
adocchiando la vettura di Liz. “Dovrò avvertire Michael di passare a prenderla.
Maledizione, ci mancava solo questa!”
All’uscita di scuola Sabrina diede di gomito ad Alexandra. - Hai visto Shiri?
E’ sola. Jason sembra essersi dileguato... Sai, quella di sparire di punto in
bianco mi sembra un’abitudine un po’ troppo diffusa, per i miei gusti! -
- Per quel che mi riguarda gli Evans possono fare quello che vogliono. Purché
se ne stiano alla larga dalla sottoscritta -
Il suo tono acre stuzzicò l’interesse della ragazza, che sorrise divertita. -
Allora niente più lotta sotto le lenzuola col baldo Jason? -
- Non ci penso proprio! - replicò Alexandra disgustata. - Ti va di fare i
compiti insieme? Non ho voglia di tornare a casa... -
- Certo! Aspetta, vediamo se vuole venire anche Tanya! -
Mentre si allontanava dall’edificio Shiri vide le tre amiche prendere la
direzione opposta alla sua e si mordicchiò il labbro inferiore. Sapeva che
Jason aveva saltato la lezione di matematica perché non se l’era sentita di
stare in classe con Alexandra, che l’aveva apertamente evitato ogni qualvolta
si erano incrociati nei corridoi, e le era difficile perdonarle il fatto che
non avesse dato a nessuno dei due la possibilità di spiegarsi. La madre le
aveva detto di non essere troppo precipitosa nel giudicarla, tuttavia come
poteva non farlo quando era evidente che Alexandra, al contrario, li aveva non
solo giudicati ma anche condannati? E pazienza per lei, però Jason era il suo
ragazzo! Si amavano! Santo cielo, come poteva aver cancellato di punto in
bianco ogni cosa che c’era stata fra di loro?
Arrivò a casa senza quasi accorgersene e prima di tutto corse nella camera da
letto dei genitori, dove trovò Liz placidamente addormentata fra le braccia di
Max. Jason, che l’aveva seguita, le spiegò sottovoce che in effetti non aveva
nulla che non andasse. Era stata semplicemente la tensione a farla star male e,
dopo che Max le aveva massaggiato le spalle trasmettendole un po’ della sua
energia, si era ripresa. A quel punto Maria aveva preparato qualcosa di leggero
da farle mangiare poi aveva detto, o meglio ordinato, a Max di riportarla di
sopra e di restare con lei per costringerla a rimanersene buona e tranquilla, e
così era stato.
In punta di piedi per non disturbare, i due fratelli tornarono in soggiorno e
Maria li accolse con uno sguardo severo. - Voglio sperare che non l’abbiate
svegliata! - li rimproverò. E davanti al loro pronto cenno di diniego non
riuscì a trattenere un sorriso materno. - Bravi! Shiri, in forno c’è l’arrosto
e nel frigo l’insalata di patate. Ah, e anche un pezzo di torta! Il tutto
offerto da Diane e mia madre, che non si sono fidate delle mie abilità
culinarie... Bene, a questo punto recupero Mathias e torno a casa. Michael
dovrebbe rientrare da un momento all’altro... - Diede un bacio a Shiri ed un
colpetto sulla guancia a Jason. - Comportatevi bene, voi due, ok? -
- Sì, zia, certo. - Shiri le sorrise e l’accompagnò fino alla porta. - Ciao -
- Ciao, amore. Ciao, coniglietto - Suo malgrado scoppiò a ridere. -
Coniglietto! Ormai sei diventato più alto di tuo padre! -
Quando fu uscita Shiri si volse a studiare il fratello. - E’ vero, sei
cresciuto. Va tutto bene? -
Lui scrollò le spalle. - Sì. E’ successo prima che tornaste da Antar. Ho perso
il controllo delle mie cellule per qualche minuto... - ammise.
- Lo zio Michael, eh? -
Jason si limitò ad arrossire e Shiri lo abbracciò brevemente. - Alexandra non
ti merita! - disse piano.
- Non parliamo di lei, ti prego... - Il fratello la guardò con aria
supplichevole, e la ragazza emise un piccolo sbuffo. - D’accordo. Adesso vado
in cucina a mangiare qualcosa poi ti aiuto a cambiare Claudia e Ethan, ok? -
- Ok -
Shiri gli sorrise e se ne andò.
Era ormai buio quando Alexandra parcheggiò al solito posto, e mentre si
avvicinava alla porta di casa si sentì percorrere da un brivido. La luce
esterna era accesa come sempre, e così quella del salottino, le cui finestre
davano sul lato ovest, ma c’era qualcosa di strano. Qualcosa che, in un modo
inesplicabile, la disturbava. Girò la manopola e l’uscio si aprì sotto la sua
leggera spinta, poi entrò e chiamò la zia ad alta voce. - Zia? Sono arrivata! -
- Ti stavamo aspettando -
Il suono di quella voce gelidamente ironica le fece rizzare i capelli sulla
nuca. Si volse di colpo e sbiancò. Era lo stesso uomo che l’aveva interrogata
per ore e ore in quel laboratorio maledetto!
- Sei più stupida di quanto pensassi. Non saresti dovuta tornare qui... -
- Dov’è mia zia? Cosa le avete fatto? Zia! Zia!!! - Fuori di sé dalla paura
Alexandra gridò disperata mentre due uomini l’afferravano per le braccia, ma
Linda Kransick non rispose. - Dov’è? Che le avete fatto? - gridò ancora,
dibattendosi nell’inutile tentativo di liberarsi.
- Non può aiutarti, mia cara, quindi smettila di urlare e vedi di calmarti -
Solo in quel momento la ragazza si accorse delle suppellettili fracassate, dei
mobili rovesciati, e un dubbio atroce la fece diventare ancora più pallida. -
L’avete uccisa?!? -
- Diciamo che ha opposto resistenza ad un pubblico ufficiale... -
- Maledetto! Vi denuncerò, vi farò arrestare, vi farò... -
- Non contarci, ragazzina! Crederanno che siano stati dei ladri, sorpresi
quando è rientrata per preparare la cena, e naturalmente tu non sarai qui per
poter dire come sono andate davvero le cose... - Mentre parlava l’uomo scorse
con occhio critico il suo corpo. - Eppure ero sicuro di averti colpita, ieri
sera... Bene bene bene... Scommetto che le prossime analisi saranno molto
interessanti... -
- NO! - Con un urlo disumano Alexandra diede un violento strattone a sinistra e
scalciò con la gamba destra colpendo nelle parti basse l’uomo che la bloccava e
riuscì a fuggire.
Ebbe il tempo di fare solo pochi metri quando venne afferrata di nuovo, e
mentre lottava per sottrarsi alla dolorosa presa vide qualcuno materializzarsi
letteralmente al suo fianco. Sentì il cuore mancarle un battito e una violenta
vertigine farle quasi perdere conoscenza. Ritto accanto a lei, con una
repentinità che la sconvolse, Jason creò una sfera di luce bianca e la lanciò
contro il federale che le stringeva il gomito in una morsa ferrea poi fece un
mezzo giro su se stesso e ne lanciò un’altra verso il secondo agente.
A pochi passi da lui, Max Evans teneva un braccio teso in direzione dell’uomo
che, pistola in pugno, era rimasto immobile sulla soglia di casa.
- Gabriel Ross, hai finito di torturare gente innocente! -
Al tono implacabile della voce dell’alieno Ross fece un ghigno cattivo. - Dopo
di me ne verranno altri. Non avete scampo, mostri! -
- Forse. Ma per adesso mi basta togliere di mezzo te! Dubito che qualcuno
sentirà la tua mancanza! - Senza dire un’altra parola scagliò un lampo di
energia verso di lui disintegrandolo completamente.
Inebetita dall’orrore e dallo choc Alexandra rimase immobile a fissare laddove,
fino a pochi secondi prima, si trovava l’uomo dell’Fbi, poi si riscosse e corse
dentro l’abitazione.
Jason, che le era andato dietro, la trovò inginocchiata accanto alla zia, il
cui corpo era stato trascinato dai federali in cucina. La donna aveva un foro
di proiettile nella testa e doveva essere morta già da diverse ore.
- Mi dispiace. Io non avrei mai... -
- Vattene -
Il ragazzo tacque bruscamente e Alexandra chiuse gli occhi tremando sempre più
forte. - Ti ho detto di andartene - ripeté con voce incolore. - Tutto questo è
successo per colpa tua. Abbi la decenza di andartene... - Poi, sentendo che lui
non si muoveva, si rialzò di scatto portandosi le mani alle tempie. Vattene! -
gridò girandosi a guardarlo con occhi colmi di odio e di lacrime. - Vattene,
mostro! -
Jason sussultò, un’espressione di profondo dolore sul volto straziato
dall’angoscia. - Mi dispiace... - ripeté in un mormorio indistinto, dopodiché
si volse e uscì dalla stanza camminando con passo malfermo.
Quando vide il padre chinò il capo in segno di sconfitta e Max lo strinse in un
forte abbraccio. - Dalle tempo... -
- E’ inutile, papà. Non posso farci niente... - Premette la fronte sulla sua
spalla, il corpo scosso da brividi incontrollabili. Aveva causato la morte di
una persona, ne aveva uccise due, e aveva messo in pericolo i suoi familiari. E
tutto per un assurdo sentimento da cui si era lasciato travolgere...
Dopo alcuni minuti i due si separarono e Max fece per entrare in casa.
- No, non farlo. Lei non ti ascolterà, e non voglio che tu la obblighi a
seguirci. -
- Jason, non può restare qui da sola con il cadavere di quella donna! -
- Lei non verrà mai con noi. Lasciala in pace, te ne prego... -
Davanti a quella richiesta fatta con tono implorante il giovane non poté fare
altro che acconsentire e, preso il granilite che si era infilato in tasca,
perlustrò i dintorni alla ricerca della macchina con cui erano arrivati Ross ed
i suoi compagni. La trovò nascosta in un boschetto non troppo distante
dall’abitazione e la distrusse con una silenziosa esplosione che non ne lasciò
alcun frammento, dopodiché tornò dal figlio e, presolo per un polso,
teletrasportò entrambi.
Michael, avvertito da Shiri, si era precipitato da lei ed aveva atteso
impaziente il ritorno dell’amico. Era furibondo per tutta quella situazione, e
lo fu ancora di più nel sentire che Alexandra era rimasta al ranch. Cominciò a
protestare con vivacità tuttavia Max lo zittì con uno sguardo di fuoco. - Non
c’era altro da fare. Se vuoi pedinala, controlla con chi parla, chi frequenta,
ma evita di infastidirla, ok? Quella ragazza non deve soffrire ancora per colpa
nostra, di quello che siamo! - Diede una pacca affettuosa a Jason sospingendolo
verso le scale. - Vai di sopra, poi ti raggiungo... -
- Non occorre, papà, davvero. Ciao, zio, e scusa per... per tutto... - Incapace
di aggiungere altro si volse e salì i gradini a due a due. Non vedeva l’ora di
rifugiarsi in camera e cercare di venire a patti con quanto era appena
successo...
Al piano inferiore Liz aveva seguito senza fiatare la scena dalla trapunta,
dove stava giocando insieme ai bambini. Poteva sentire la tristezza di Max, la
rabbia a stento trattenuta di Michael, e soprattutto la sofferenza di Jason, ma
quella era una realtà con cui avrebbe dovuto imparare a convivere. Era
inevitabile trovarsi, prima o poi, a fronteggiare il rifiuto, l’odio... era una
cosa che capitava a chiunque, fosse alieno o no. Faceva male, certo, ma era
parte della vita. Purtroppo la loro era più difficile e complicata di quella
degli altri, però valeva sempre la pena viverla in ogni istante! Con fare
distratto si sfiorò lo stomaco. Rivedere Max e Jason l’aveva tranquillizzata e
si era resa conto della tensione che, come un mantello pesante, le scivolava
via di dosso. Doveva assolutamente fare qualcosa, non poteva permettere alle
sue paure di porre in pericolo la creaturina che stava crescendo dentro di
lei... Sentì su di sé lo sguardo attento di Shiri e le sorrise per
rassicurarla. Ecco, la risposta era proprio lì! Doveva aver fiducia in sé e
nella sua famiglia...
Un poco alla volta Michael finì col placarsi e si decise a tornare a casa
propria, e Max si avvicinò alla moglie per prendere i gemelli in braccio. -
Adesso tocca a voi! Mm, a quanto pare dovete essere cambiati di nuovo! Ma è
possibile che facciate sempre le cose insieme? -
Liz lo seguì nella stanza dei bambini, sforzandosi di non pensare al fatto che
lui e Jason avevano dovuto fronteggiare di nuovo Gabriel Ross, e molto più
tardi si addormentò al suo fianco, le gambe intrecciate ed i corpi ancora
uniti.
Jason l’aveva sentita avvicinarsi già da diversi minuti. La consapevolezza di
lei lo aveva ridestato dal sonno inquieto in cui era scivolato non molto tempo
prima e da allora si era concentrato esclusivamente sulla sua essenza,
cancellando ogni altra sensazione.
Quando infine la porta si aprì ed Alexandra entrò nella sua stanza spalancò gli
occhi e la guardò in silenzio avanzare verso di lui. Il debole chiarore dei
raggi della luna piena che filtrava attraverso le tende si rifletteva sul viso
teso della ragazza. Quell’espressione lo mise a disagio e, mantenendo un rigido
controllo su di sé perché nulla di ciò che provava potesse arrivare a Shiri o
al padre, continuò a fissarla anche quando lei raggiunse il letto e si rese
conto che era sveglio.
Per un attimo sembrò esitare, quasi fosse incerta se rimanere o andarsene, ma
poi fece una smorfia e sedette sul bordo del materasso iniziando a parlare con
voce soffocata. Linda Kransick non era mia consanguinea eppure mi ha dato una
casa quando ne avevo bisogno, ed è stata uccisa per questo... L’hanno uccisa
perché volevano riprendersi me, dopo che tu mi avevi portata via da loro... Non
avrei mai dovuto fidarmi di te, di quello che dicevi... Tu sei la causa di
tutto questo... - Si curvò ancora di più, arrivando quasi ad alitargli sul
volto. - Ho dovuto lottare per rinascere, per riconquistare la vita... per
convincermi di essere una persona vera e non una cosa che nessuno vuole... E ci
ero riuscita, sai? Ci ero riuscita! Poi sei arrivato tu, con la tua falsa
gentilezza, le tue belle parole, e mi hai usata in modo ignobile! Ed il
risultato è che adesso non ho più niente! Non sono più niente! -
- No, Alexandra, tu... -
- Sta’ zitto! - Con un rapido movimento del braccio gli puntò alla gola il
coltello a serramanico che aveva usato per scassinare la serratura della porta
di casa. - Ti odio, Jason Evans... ti odio per tutto quello che mi hai fatto...
-
- Io ti ho solo amato... e... e ho cercato di proteggerti... Mi spiace
tantissimo per la morte di tua zia, ma quella gente è davvero spietata e... -
La ragazza aumentò la pressione della punta della lama, una luce di gelida
follia negli occhi. - Ti ho detto di stare zitto! - ordinò. - Tu non mi hai mai
amato, volevi solo usarmi per trovare una cura alla tua malattia!
La reazione di Jason fu così veloce che lei non vide neppure la sua mano
sollevarsi e afferrarle il polso allontanandolo da sé. Con un ansito di rabbia
cercò di liberarsi ma il ragazzo le prese anche l’altro polso bloccandola. - Io
non sono malato! - Lo disse in un rabbioso sussurro, frustrato per
l’ostinazione con cui Alexandra gli impediva di spiegarsi. - Ti prego, vuoi
starmi a sentire? - la supplicò.
- Ti ho ascoltato altre volte, e guarda dove sono adesso! - Alexandra scosse
piano la testa. - Non avrei mai dovuto innamorarmi di te... - Una lacrima le
rotolò lungo la guancia. - Sono stata una stupida... -
- Non è vero! Perché non vuoi credermi? Perché non... -
- Basta! - Il dolore per la perdita della zia e la delusione per essersi
lasciata ingannare da Jason esplosero in tutta la loro violenza annebbiandole
per un attimo il cervello e con un grido strozzato tirò indietro il braccio
destro per poi riabbassarlo di colpo.
Il giovane non fece nulla per evitare che la lama penetrasse nella sua carne.
Era consapevole della furia cieca e della disperazione che animavano Alexandra,
e capiva che l’unico modo per farsi ascoltare da lei era quello di lasciarle
prima sfogare la rabbia che aveva in corpo. Ma l’acuto dolore gli strappò un
sordo gemito e la ragazza, rendendosi conto all’improvviso di quel che aveva
fatto, arretrò tremando come una foglia. - Jason... -
Lottando contro il senso di intorpidimento e la debolezza che minacciavano di
sopraffarlo, Jason cercò di far leva sul gomito per sollevarsi un poco. - E’
vero... - bisbigliò a fatica, - se non fosse stato per me tua... tua zia
sarebbe ancora viva... Ma io non ti ho mai ingannata... - Fece alcuni respiri
profondi per schiarirsi la testa. - Non sono stato costruito in laboratorio...
- riprese poi, - la verità... è un’altra... -
- Qua...qual è, la verità? - balbettò Alexandra, dato che lui taceva.
Serrando le labbra per lo sforzo Jason si raddrizzò fino ad appoggiare la
schiena contro il cuscino, anche se poi dovette aspettare qualche secondo
perché sparissero i puntini neri che gli velavano la vista, e fece un sorriso
amaro. Non aveva più senso continuare a nasconderlo... Io sono... di origine
aliena - confessò. - Mio padre... lui... mia madre lo ha sempre amato, pur
sapendo che non era completamente umano... E io speravo... - Scosse piano il
capo, quasi a voler biasimare se stesso per la propria ingenuità, poi si
strappò via il coltello dalla spalla. Il sangue prese a scorrere a fiotti senza
che desse segno di essersene accorto. - Ti amo, Alexandra, anche se non sono
riuscito a... a fartelo capire... - La guardò negli occhi con un’intensità che
le fece scorrere un brivido lungo la schiena.
Aveva sempre saputo, fin da quando era solo una bambina, che amare significava
dare all’altro un enorme potere che avrebbe inevitabilmente usato per farle del
male, e per questo aveva evitato con ferma determinazione di lasciarsi
coinvolgere in storie d’amore. Ma Jason l’aveva subito colpita col suo fascino,
e dopo molte incertezze aveva deciso di concedersi una possibilità. Scoprire
che lui l’aveva presa in giro l’aveva ferita profondamente, per non parlare poi
del fatto che in conseguenza di tutta quella storia sua zia ci aveva rimesso la
vita... E così aveva deciso di vendicarsi, era salita in macchina e si era
diretta verso la casa degli Evans, incapace di pensare ad altro che non fosse
restituire a Jason il male che le aveva causato. Ora, però, il suo sguardo era
così... così sincero, colmo di rammarico... Possibile che si fosse sbagliata?
Lui l’amava davvero?
Trasalì nel rendersi conto che la stava ancora fissando e, quasi contro la sua
stessa volontà, si scoprì ad avvicinarsi fino a sfiorargli la mano che giaceva
abbandonata sul letto. Non appena toccò quella pelle calda e liscia sentì una
specie di scossa elettrica, e le successive parole del ragazzo le giunsero come
da molto lontano.
- Il mio dna, il mio sangue... sono diversi... Ma per il resto sono come tutti
gli altri... Non ho strane malattie, non sto facendo esperimenti, e non ti ho
mai usata... L’altro giorno... quando mi hai perdonato per non averti fatto
sapere subito che ero di nuovo in città... hai detto che avevi bisogno di me.
Anch’io, ho bisogno di te... -
Per alcuni interminabili secondi nella stanza si udì soltanto il respiro sempre
più pesante e irregolare di Jason, poi lui bisbigliò: - Ti prego... non
odiarmi... - Chiuse gli occhi, e Alexandra non si rese subito conto che era
svenuto. - Io... non so più cosa provo per te... - rispose altrettanto piano. -
Jason? - aggiunse dopo un attimo, incerta. - Jason! -
In quel mentre la porta si spalancò ed apparve Max Evans, che si precipitò
accanto al figlio e gli mise entrambe le mani sul petto, apparentemente ignaro
della presenza di Alexandra.
Liz, invece, dopo aver premuto l’interruttore della luce, si era fermata sulla
soglia, gli occhi bruni dilatati per l’ansia e le mani scosse da un tremito
incontrollabile. Jason aveva la testa reclinata di lato e la maglietta sporca
di sangue, e per un attimo ebbe l’impressione di essere tornata indietro nel
tempo. Ma questa volta non era sola, questa volta c’era Max, per fortuna... Le
ci vollero alcuni secondi per accorgersi della ragazza accovacciata sul
pavimento. “Alexandra?!?”
Alexandra era rimasta come ipnotizzata a fissare le agili dita dell’uomo, o
meglio la luminosità dorata che emanavano, e piano piano il ricordo delle
parole di Jason acquistò un nuovo significato. “Non stava raccontando balle...
E’ davvero... è davvero... No, non è possibile!” Sentendo rumore di passi
dietro di sé si volse di scatto e vide Liz. Gli occhi le si riempirono di
lacrime. - Mi dispiace... - disse piano alzandosi in piedi.
La giovane donna la guardò di sfuggita, poi sedette vicino a Jason e gli
accarezzò dolcemente il viso. Come sta? -
Max inspirò a fondo per recuperare il controllo di sé. I danni interni non
erano gravi ma, uniti al sangue perduto, avevano indebolito molto il figlio. -
Adesso è tutto a posto... - disse semplicemente, non volendo che si
preoccupasse più del necessario.
Liz si morse il labbro inferiore. - Alexandra, vai via, per favore... - mormorò
voltandosi appena verso di lei.
- No, la prego! Io... io vorrei rimanere... -
- Per fargli ancora del male? - Con un gesto brusco prese il coltello rimasto
fra le lenzuola e lo scagliò lontano. - Come hai potuto?!? -
- Io... ero fuori di me... Ma non... -
- No! - gridò lei scattando in piedi. - Hai tentato di ucciderlo! Lui ti ama, e
tu gli hai fatto questo! -
Nel frattempo Jason aveva riaperto gli occhi e fissato per un attimo il padre,
dopodiché aveva cercato Alexandra con lo sguardo, sospirando di sollievo nel
vederla ancora lì.
Max appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo e la strinse con delicatezza. -
Non può funzionare, Jason... - disse piano.
- Invece sì! - esclamò lui tornando a guardarlo. - Papà, dammi ancora un po’ di
tempo, per favore! -
- Io non intendo mettere ulteriormente in pericolo la tua vita. Non posso, lo
capisci? E ho paura che Alexandra non sia la persona giusta per te... -
- Forse perché non le ho permesso di conoscermi. Di conoscermi davvero, voglio
dire. - Tese un braccio in direzione della ragazza, che esitò solo un istante
prima di avvicinarsi e prendere la sua mano. Con un certo imbarazzo obbedì al
silenzioso invito e si accomodò accanto a lui sforzandosi di non far caso alle
occhiate penetranti dei due adulti.
- Abbi fiducia in me, te ne prego... - Jason attese che lei annuisse prima di
prenderle il volto fra le mani. Rilassati... non pensare a nulla... -
Alexandra trattenne per un attimo il respiro. Come poteva rilassarsi, con tutto
quel che era successo? si chiese preoccupata, ma poi si sentì sprofondare nello
sguardo magnetico di Jason e ad un tratto fu come se fossero soli nella stanza.
I flash cominciarono quasi subito, travolgendola, e non poté fraintendere la
forza e la sincerità delle sue emozioni.
- Ti amo, Alexandra... - sussurrò lui alla fine.
- Lo so - Ancora sconvolta per quel che aveva visto, abbozzò l’ombra di un
sorriso. - Solo tu pronunci sempre per esteso il mio nome... - disse, e il
mento le tremò tradendo un improvviso bisogno di piangere.
- Ti da fastidio? - si preoccupò lui.
- No - Lo disse con un filo di voce, quasi vergognandosi per quella debolezza.
Ma era vero, le piaceva il modo in cui la chiamava, con una pronuncia morbida
che rendeva il nome più bello. Eppure, prima non ci aveva mai fatto caso...
- Adesso la sua vita è nelle tue mani. Vedi di non dimenticarlo - Liz aveva
parlato con tono duro, rimpiangendo il momento in cui l’aveva difesa. Se a
Jason fosse successo qualcosa per colpa di quella ragazza non se lo sarebbe mai
perdonato!
Alexandra si girò a guardarla, poi incontrò gli occhi ambrati del padre di
Jason e provò un senso di smarrimento che le serrò lo stomaco in una morsa
gelida. Quell’uomo era un alieno, e come lui ce n’erano altri. E Jason era uno
di questi... Forse stava sbagliando tutto, per l’ennesima volta! Forse avrebbe
dovuto scappare, fuggire lontano da Roswell, sperando di confondersi tra i
milioni di persone che vivevano nel resto del paese! Ad un tratto sentì
qualcosa sfiorarle il palmo della mano sinistra e sussultò. Tornò a voltarsi
verso Jason, che depose ancora un bacio sulla sua pelle sensibile prima di
sorriderle incerto.
Non volendo che si spaventasse e decidesse di uscire per sempre dalla sua vita,
lui cercò di assumere un tono scherzoso. - I miei genitori tendono ad essere
iperprotettivi ma non c’è alcun motivo di aver paura di loro... - commentò.
L’adolescente s’irrigidì impercettibilmente. Jason Evans valeva tutto lo
scompiglio che, di nuovo, stava complicando la sua esistenza? Poi ripensò a
quel che provava quando facevano l’amore e seppe di non potervi rinunciare.
Quando stava con lui si sentiva bene, completa, e il suo tocco forte e delicato
allo stesso tempo era diventato ormai come una droga di cui sarebbe stato molto
difficile fare a meno...
Jason emise un piccolo sospiro. - Rimani con me, questa notte. Vuoi? -
Alexandra rispose con un lento cenno del capo e Liz sbuffò. - Il divano è in
soggiorno. Mi serve solo qualche minuto per prepararlo... -
- Grazie, mamma. -
Lei serrò per un attimo le labbra poi lasciò che Max la prendesse per mano e la
conducesse via con sé.
Quando si ritrovarono nuovamente nella loro camera da letto Liz osservò il
marito sedersi accanto a lei ed accarezzarle piano il collo.
- L’ho sempre saputo che tu eri speciale... Grazie per avermi donato il tuo
amore... -
Gli sorrise, un sorriso colmo di affettuoso rimprovero. - Max... -
- E’ la verità! - si difese lui. - E non mi stancherò mai di dirtelo... -
- Max... - La ragazza sospirò. - Alexandra sta attraversando un periodo molto
difficile e non mi fido di lei. -
- Eppure pochi giorni fa eri di tutt’altra opinione... -
- Allora non aveva cercato di uccidere nostro figlio! - Si passò una mano sulla
fronte. - Se tu non avessi sentito che gli era capitato qualcosa a quest’ora
avrebbe potuto... Dio, non voglio neppure pensarci! -
- Liz, tesoro, anche io vorrei che Jason fosse ancora un bambino, che il suo
unico problema fosse imparare a giocare a basket, purtroppo non è così e... -
- E anche lui deve convivere col rischio di finire ucciso. Non solo dai suoi
nemici, ma pure da chi ama! Santo cielo, ti rendi conto di come tutto questo
sia assurdo?!? -
- Alexandra non farà mai più niente contro Jason -
- Come puoi esserne tanto sicuro? - insisté lei, sospettosa.
- L’ho letto nei suoi occhi. E’ spaventata, però è anche molto attratta da
lui... -
- Da quando sei diventato un esperto in relazioni sentimentali? -
Max si tolse i jeans che aveva infilato in gran fretta poco prima e si distese
al suo fianco. - Da quando ti ho baciata la prima volta. Da quel momento sono
diventato incredibilmente sensibile ad ogni tuo stato d’animo... Almeno finché
non mi è caduto addosso quel maledetto affare! - concluse con una smorfia.
- Finiscila - borbottò Liz avvertendo il suo cambiamento d’umore. - Stavamo
parlando di Alexandra. -
- Non voglio più parlare. Voglio solo dimenticare -
Lei comprese quello cui si riferiva. Ogni volta che si connetteva per guarire
qualcuno prendeva dentro di sé un terribile carico di ricordi e dolore, e
quando poi il qualcuno in questione era una persona cara la situazione
diventava decisamente più dura... Sforzandosi di mettere da parte le proprie
preoccupazioni lo cinse in un tenero abbraccio. - Certo, amore mio... -
mormorò.
Il giovane le mise una mano sullo stomaco e chiuse gli occhi, sentendosi subito
meglio. Si addormentò col viso sprofondato fra i capelli di Liz, come sempre
attratto dal loro profumo.
Sola nella sua camera Shiri giaceva raggomitolata sotto le lenzuola, gli occhi
spalancati nel buio. Si era svegliata di soprassalto quando si era resa conto
della sofferenza del fratello. Allora si era messa a sedere cercando di capire
cosa stesse accadendo poi, nel sentire i passi e le voci dei genitori, era
schizzata giù dal letto. Nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza in
corridoio e poi, quando aveva realizzato che la madre stava per uscire, era
tornata indietro. Le ci era voluto un bel po’ prima di riprendere a respirare
normalmente, ma il ricordo delle forti sensazioni percepite continuava a
tenerla sveglia. Con un debole lamento nascose la testa sotto il cuscino e
cercò di fare il vuoto nella propria mente. Doveva riuscirci, o avrebbe finito
col passare il resto della notte in bianco, continuando a rivivere ogni
tormentoso dettaglio di ciò cui aveva assistito...
L’indomani, quando andò a svegliarlo, Liz trovò Jason strettamente abbracciato
ad Alexandra, rannicchiata contro di lui con entrambe le braccia avvolte
intorno ai suoi fianchi. Le coperte ammucchiate alla rinfusa su di loro non
lasciavano dubbi sul fatto che non avessero nulla indosso. Sentì la furia
montarle dentro. Non riusciva ad accettare l’idea che suo figlio dormisse con
una ragazza perché, anche se dimostrava quindici anni, lei sapeva che in realtà
era solo un bambino... Per un attimo fu tentata di fare dietro front e
andarsene sbattendo la porta ma non voleva che Jason capisse quanto tutta
quella situazione la facesse soffrire, così cercò di recuperare un minimo di
sangue freddo e si accostò al letto. - Jason, è ora di alzarsi... - disse
scuotendolo dolcemente per la spalla.
Il ragazzo aprì gli occhi e se li stropicciò per scacciare il sonno. - Ciao...
- Non realizzò subito la situazione, poi balzò a sedere di scatto cercando di
coprire Alexandra. - Scusami, dammi un minuto, ok? - chiese. Nel movimento la
mano di lei era scivolata verso il basso e Jason sentì l’immediata reazione del
proprio corpo. - Un minuto, promesso! - la supplicò.
Liz era rimasta per un attimo senza fiato davanti al segno sul petto del
figlio, e dovette lottare per trattenere un improvviso e violento attacco di
nausea. - Va bene. - Deglutì nel tentativo di ricacciare indietro i conati poi,
sentendo che stava per perdere la battaglia, corse in bagno.
Quando si sentì meglio scese in cucina e cominciò ad apparecchiare la tavola.
Max, che stava tirando fuori dal frigo l’occorrente per la colazione, si
accorse del pallore sul suo volto. Liz? -
- Sto bene, non preoccuparti, però... aspetta che me ne sia andata prima di
cuocere le uova, d’accordo? -
- Liz, maledizione, io... -
- Tu non c’entri niente, ok? -
- Ti sbagli! - Le andò vicino e le prese le mani stringendole con delicatezza.
- Avrei dovuto farlo prima, ma non mi è mai passato per la mente... -
- Cosa? -
- Lo sai, amore. - Fece un respiro profondo - Isabel aveva ragione, queste
frequenti gravidanze stanno minando la tua salute e dobbiamo assolutamente
impedirne altre! - Prima che lei potesse fare qualche obiezione le sorrise
rassicurante. - Non serve che tu prenda la pillola o che... che io usi...
Interverrò su di me e così non ci saranno più problemi... -
- Ma io non... - iniziò a protestare lei, e Max la zittì posandole un bacio
leggero sulle labbra. - Per qualche anno, Liz, poi, se lo vorrai, avremo altri
bambini, te lo prometto. -
La ragazza chiuse gli occhi, sentendosi molto stanca. Odiava ammetterlo però
Max aveva ragione. Le continue tensioni di quegli ultimi anni stavano esigendo
il loro prezzo e non poteva continuare ad ignorarlo... - D’accordo - cedette, e
si abbandonò alla forza del suo abbraccio.
Quando Liz se ne fu andata Jason prese fra le sue le dita sottili di Alexandra
e se le portò alle labbra prima di voltarsi a baciarla gentilmente. - Amore,
svegliati... -
- Mmmm... ho sonno... - mugolò la giovane sollevando l’altro braccio intorno al
suo collo per trattenerlo.
- Anche a me piacerebbe continuare a dormire accanto a te, però non credo che
mia madre apprezzerebbe... -
- Mmmm? Tua madre? -
- Esatto. Ci ha dato un minuto per alzarci. -
- Solo un minuto? - Con un certo sforzo aprì gli occhi, e di colpo fu
sveglissima. - Tua madre?!? Vuoi dire che tua madre è entrata e ci ha trovati a
letto insieme?!? -
- Sì, infatti. A dire la verità non mi è sembrata molto contenta, ma ormai è
andata così... - Sì, e la colpa era tutta sua. Era stato lui a trattenere
Alexandra, era stato lui a sfilarle la giacca a vento e il maglioncino, era
stato lui a dimenticare ogni precauzione...
- Jason, ci ha trovati a letto insieme, capisci? - Mentre diceva così si alzò e
iniziò a raccogliere i vestiti che aveva buttato per terra. - Maledizione, ieri
mia zia è stata ammazzata, e io che faccio? Prima ti pianto un coltello in
corpo e poi passo la notte con te! I tuoi mi bandiranno per sempre da questa
casa! Dopo avermi denunciata per effrazione e tentato omicidio, naturalmente...
-
Lui la seguì con lo sguardo. - Credimi, hai fatto la cosa migliore... -
mormorò.
Alexandra si volse a fissarlo stringendosi gli indumenti al petto. - Ti
riferisci alla pugnalata o alla notte insieme? - chiese con una smorfia,
evitando con cura di guardare il luminoso segno rimasto a testimonianza del
proprio gesto inconsulto.
Jason accennò un timido sorriso. - Restando con me ho potuto... aiutarti a
dormire... -
La ragazza lo studiò sconcertata. Era vero. Sì, avevano fatto l’amore fin quasi
all’alba, ma dopo lei si era addormentata beata e tranquilla come se non fosse
successo niente! - Sei... sei stato tu? - domandò incredula.
Il giovane le si avvicinò e le mise una mano a coppa sulla guancia. - Avevi
bisogno di riposo. - disse semplicemente. Le diede un bacio poi fece un passo
indietro. - Va’ a farti la doccia, io userò il bagno di Shiri. -
Lei scosse la testa, niente affatto convinta dal suo tono incoraggiante, e
corse a lavarsi.
Sette minuti più tardi era in cima alle scale, cercando di trovare il coraggio
per scendere ed affrontare l’intera famiglia Evans.
- Su, non c’è nulla di cui aver paura... - le bisbigliò Jason all’orecchio
sopraggiungendo inavvertito alle sue spalle.
Alexandra si irrigidì. - Non voglio la tua compassione - mormorò a denti
stretti.
- Non ce l’hai, infatti. Quello che hai è il mio amore -
Con un movimento un po’ brusco volse il capo per guardarlo dritto in quegli
splendidi occhi verdi screziati d’oro, e sentì la sua corazza frantumarsi del
tutto. - Lo terrò sempre caro. -
Jason le fece un sorriso tenerissimo e Alexandra gli accarezzò il volto. - Sono
pronta a scendere, adesso... disse piano.
Lui le baciò il palmo della mano poi le prese delicatamente il polso e fece
scivolare le proprie dita fra le sue prima di cominciare a scendere le scale.
Scritta da Elisa |