Riassunto: Questa
storia, in 27 capitoli, è la terza di cinque fanfiction collegate tra loro, e
segue a "Figlio di suo padre". Nate
e Alyssa si sono trasferiti a Boston per frequentare il college, ma tutti
noi sappiamo che la vita non è mai semplice per un Roswelliano.
Abbiamo imparato a conoscere i personaggi, ora li vedremo di nuovo in
azione. E non sempre come vorremmo che agissero.
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: I personaggi
dello show appartengono a Katims e co. Alyssa e Nate sono miei. Nessuna
trasgressione è stata intenzionale… ehm, e nessuna offesa ad Hemingway per
il titolo.
(NdT: L'autrice si riferisce al libro T'he sun also rises', conosciutò in
italia col titolo 'Il sole sorgerà ancora'. Io ho preferito usare una
traduzione leggermente diversa, perchè 'Anche il figlio sorge' non avrebbe
reso completamente l'idea.)
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitolo 25
Nate avrebbe voluto urlare dal dolore. I
suoi polmoni erano così costretti dalle costole che non poteva respirare
correttamente. Aveva un agitato, debilitante crampo allo stomaco che gli
torceva gli organi interni in un nodo mezzo umano – mezzo alieno. Lacrime
minacciavano di uscirgli dagli occhi …
Ma non voleva che lo vedessero piangere. Non voleva che nessuno di loro lo
vedesse piangere. Dopo tutto, come poteva fare?
Tra le sue braccia, sentiva Alyssa calda e viva e come una parte
indissolubile del suo stesso essere. Lasciarla andare a combattere era molto
più doloroso di qualsiasi tortura avesse mai sopportato.
In un momento maniacale, Nate immaginò un mondo senza di lei e si rese conto
che – proprio mentre la teneva tra le braccia – era proprio quello che gli
sarebbe mancato maggiormente. Non era il sesso – che doveva ammettere era
qualcosa di incredibile – e non era la sua gioventù o la sua bellezza. Era
il suo calore, il suo spirito amorevole, il modo in cui si fondeva con lui,
che gli sarebbero mancati. Il pensiero che non fosse più possibile tenerla
tra le braccia era assolutamente devastante.
Ma non voleva che lei lo sapesse. Non poteva. Non era possibile che si
lasciasse andare al pianto di fronte a lei, proprio mentre stava per andare
a combattere i cattivi, perché lui non aveva l’abilità per farlo. Così,
quando lei si voltò, Nate le sorrise e vide che lei non stava tremando di
paura – c’era tanta fiducia e determinazione nei suoi occhi scuri che lui ne
rimase sorpreso.
"Farai bene a farti trovare qui, quando tornerò." gli disse scherzosamente.
"Perché avrò bisogno di una lunga, lunga notte di sesso, dopo la vittoria."
Lui rise incantato e le prese la mano con la sua. "Non ho intenzione di
andare da nessuna parte."
Ed era la verità. Michael e Isabel avevano trovato un'altra caverna nel bel
mezzo del nulla – non grande come la camera dei bozzoli e senza vecchi gusci
che pendevano dalle pareti – dove Nate, Liz e Maria si sarebbero potuti
rifugiare finché il pericolo non fosse passato. Liz aveva portato con lei
anche la piccola Emily, forse pensando che sarebbe stata più al sicuro lì
che fuori, nel mondo reale in cui Khivar o Nicholas avrebbero potuto
scoprire che Max aveva avuto un’altra erede.
Nate era contrariato.
Alyssa gli sfiorò il viso, la sua espressione che rispecchiava quella di
lui. "Cosa c’è, tesoro?"
Nate guardò Maria, che stava salutando Michael, e Liz, che stava salutando
Max.
"Mi sento una dannata femminuccia." ammise lui.
Questa volta, Alyssa scoppiò a ridere. "Cosa? Perché?"
Nate arrossì - "dannata femminuccia" non era esattamente un' espressione
esaltante da usare in compagnia di una donna. Jonathan Spencer l’avrebbe
preso a calci se l’avesse sentito.
"E’ solo che sono costretto a stare qui con le donne e i bambini … " disse
risentito.
Alyssa sollevò un sopracciglio. "Sei sessista e arretrato." osservò, sebbene
non ci fosse traccia di rimprovero nella sua voce.
Nate le rivolse uno sguardo di intesa, poi lasciò andare un sospiro.
"Ascolta." cominciò. "Devi ritornare tutta intera, okay? C’è qualcosa che
devo chiederti."
Lei inclinò la testa, incuriosita. "Si? Cosa?"
Lui scosse la testa. "Non adesso. Non qui. Quando sarai tornata."
Lei guardò per un attimo la parete, poi scrollò le spalle. "E se non
tornassi?" chiese come per caso, come se non stesse parlando della sua
morte. "Veramente vorresti farmi morire col dubbio su cosa volevi
chiedermi?"
"Alyssa!" la rimproverò. "Non sei divertente."
"Non volevo esserlo."
Nate si accigliò, sapendo che lo stava manipolando per farsi rivelare il suo
segreto.
"Un indizio?" lo stuzzicò lei.
Lui sospirò, guardando in basso verso le loro mani unite. Non era questo il
modo che aveva progettato … "Okay, un indizio. Ha a che fare con vissero per
sempre felici e contenti."
Quando lei non rispose, Nate sollevò lo sguardo e la trovò con la bocca
aperta per la sorpresa.
"Stai forse dicendo … ?" cominciò a dire Alyssa, poi deglutì. "mi stai
chiedendo …?"
Nate scosse la testa. "Non ancora, ma lo farò."
Lei rimase senza parole, forse per la prima volta da quando l’aveva
incontrata.
"Ascoltami bene." proseguì lui, carezzandole il dorso delle mani con i
pollici. "Non esiste nessun’altra per me. E non ci sarà mai. Voglio renderlo
ufficiale, ma non qui, non in questo posto con tutta questa gente. Voglio
che sia speciale. Mi capisci?"
Lei annuì in silenzio.
"E allora, torna indietro per me, sana e salva." la pregò.
Lei annuì di nuovo. "Lo farò." poi lo abbracciò, mentre il suo soffice
profumo arrivava alle narici di Nate, facendogli male all’anima. "Ti amo,
Nate." gli sussurrò contro l’orecchio.
"Anche io ti amo. Alyssa." rispose lui, stringendola ancora una volta.
"A che ora parte l’autobus?" disse una voce dall’entrata della caverna.
Nate sobbalzò, separandosi da Alyssa. Sull’ingresso della caverna stava quel
noioso Vicesceriffo Valenti, quello che aveva raccolto Nate dal ciglio della
strada e che aveva continuato a metterlo in imbarazzo appena ne aveva avuto
la possibilità. Isabel era palesemente più felice di Nate di rivedere Kyle e
gli corse incontro ridendo e allargando le braccia verso di lui.
"Che ci fa qui?" chiese un imbronciato Nate ad Alyssa.
"E’ venuto ad aiutarci." rispose lei. "Lui è come zia Liz. Anche lui può far
esplodere le cose."
Nate si abbatté, sentendosi completamente castrato. "Quel tipo riesce a far
esplodere le cose?" gemette.
Alyssa rise e gli pizzicò le guance, ovviamente divertita dal suo imbarazzo.
Dopo un attimo Kyle fu davanti a loro, gli occhi azzurri che brillavano di
malizia.
Salutò Nate con un "L’esca per i dingo!" poi si fermò ed alzò gli occhi al
cielo, riflettendo. "Wow! Non pensavo che un giorno saresti diventato
veramente un’esca per qualcuno. Forse sono diventato un profeta … "
Alyssa si avvicinò ed abbracciò Kyle. "Ehi, zio Kyle. Pronto a prendere a
calci nel sedere qualche alieno?"
"Farai meglio a crederci, sorella." Circondò con le braccia le spalle di
Alyssa e cominciò a tirarla via. Da dietro la spalla, si rivolse a Nate.
"Non preoccuparti, è in buone mani." Poi gli fece l’occhiolino per indicare
‘ad-ogni-modo-terrò-un-occhio-sopra-il-tuo-pulcino’.
Nate lo stava ancora guardando storto, quando Max si fermò davanti a lui.
"Verrà anche lui?"
Max guardò Kyle ed Alyssa, poi annuì. "Certo. Ci ha già aiutati prima d’ora.
Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile."
Quando tornò a posare lo sguardo su suo figlio, gli occhi di Max si
addolcirono, come se potesse leggere tutto quello che stava passando nella
testa di Nate. "Non sei meno uomo per questo." gli disse senza mezzi
termini. "Nemmeno io posso farlo – ricordi?"
"Si, ma tu stai andando con loro."
"Io devo. Credimi, Nate, quello che devi fare tu è altrettanto importante di
quello che dovrò fare io. "Lo sguardo di Max si posò sul petto del figlio.
"Il sigillo è attivo?"
Nate si aprì la camicia e vide che la sua pelle era intatta.
Lo sguardo di Max esprimeva tutto il rimpianto e il dispiacere che un solo
uomo poteva sentire. "Mi dispiace, Nate, ma devo far apparire il sigillo.
Una volta attivo, si spera che Khivar e Nicholas siano capaci di
concentrarsi sul bersaglio e di arrivare qui."
Nate annuì riluttante e vide Max posare una mano proprio sotto la sua
clavicola. Dopo pochi secondi, sentì la gelida, bruciante sensazione e seppe
che, quando Max aveva tolto la mano, sulla sua pelle erano comparsi i cinque
segni.
Max fece un passo indietro, con l’espressione di un uomo che aveva appena
attivato il timer su un esplosivo. Nate sentì il cuore sobbalzargli nel
petto, nella sua mente la dura consapevolezza che tutto quello stava
veramente accadendo.
Allungando il braccio, Max posò una mano sulla spalla di Nate. "Tu sei mio
figlio." gli disse con dolcezza. "Non lascerò che ti prendano. Non lascerò
che possano farti del male."
Nate gli offrì un debole sorriso. "Lo so."
Max sollevò un angolo della bocca in un sorriso identico, poi fece un
respiro per raccogliere il coraggio e si girò verso il resto del gruppo.
"Andiamo." ordinò, dando a Nate un’ultima occhiata di rassicurazione.
Nate deglutì e vide i guerrieri dirigersi verso l’entrata della caverna.
Ancora stretta a Kyle, Alyssa lo guardò oltre la sua spalla e Nate sentì lo
stomaco annodarsi più forte.
Questa potrebbe essere l’ultima volta che la vedo …
Forzando se stesso a farle un sorriso per infonderle fiducia, le indirizzò
sottovoce le parole "Ti amo." Lei sorrise e scomparve dalla caverna.
Uno alla volta sparirono nel deserto – Michael, Isabel, Kyle, Jeremy e, per
ultimo, Max. Nella caverna si sentì un assordante silenzio, anche se Maria,
Liz ed Emily erano rimaste con Nate. Nelle sue vene scorreva l’ansia, come
se il destino fosse in agguato; si chiese se era quello che provavano i
passeggeri degli aerei che stavano precipitando. Il mondo stava per arrivare
alla fine e non c’era nulla che lui potesse fare per fermarlo. Lui era
semplicemente impotente.
"Sono andati." disse alla fine Liz, con la voce un po’ scossa.
Maria, dietro di lei, annuì.
"Sarei voluta andare con loro." disse Liz con rimpianto.
Anche io, pensò Nate. Ma non proprio.
Non gli piaceva essere lasciato indietro mentre suo padre, la sua innamorata
e altri membri della famiglia stavano per fronteggiare il nemico, un nemico
che stava cercando solo lui. Ma questo non significava che lui volesse
uccidere. Quello che voleva più di ogni altra cosa, era una risoluzione
pacifica di quella situazione.
"Non c’è un altro modo?" chiese, le parole che gli uscirono direttamente dal
subconscio e andarono dritte alla bocca.
"No." disse chiaro e tondo Maria.
Nate si girò a guardarla, lentamente – lei teneva in braccio Emily, cosa che
faceva sembrare le sue parole sanguinarie ancora più surreali.
"Quale altro modo ci potrebbe essere?" chiese Liz frustrata, staccando alla
fine lo sguardo dall’entrata della caverna, come se si fosse arresa al
pensiero che Max non sarebbe tornato immediatamente indietro.
Nate si strinse nelle spalle. Non aveva nessuna risposta da darle.
Liz e Maria si scambiarono uno sguardo, poi Liz si spostò davanti a lui.
"Tu non capisci." disse, senza tono di accusa.
"Non capisco cosa?" chiese lui.
"Chi sono loro. Cosa sono loro." Liz fissò il pavimento, poi ancora gli
occhi di Nate. "Voglio farti vedere qualcosa."
Lui la guardò sospettoso. "Cosa?"
Liz sollevò le mani poi, esitando gli disse. "Devo toccarti."
Lui batté gli occhi. "Okay." le rispose incerto.
Liz guardò Maria ancora una volta, poi posò la punta delle dita sulle tempie
di Nate. Lui la strava ancora guardando incuriosito quando la prima ondata
di immagini sfrecciò nel suo cervello.
Era un miscuglio di immagini – momenti di tanto tempo prima, quando Max e
Liz erano ancora ragazzi. Era come guardare un filmino fatto in famiglia
proiettato velocemente e lui non riuscì ad afferrare completamente quello
che stava vedendo.
Ma il film si bloccò all’improvviso ed una immagine riempì la mente di Nate.
Erano state preparate quattro colonne, che andavano dal pavimento al
soffitto, e ad ogni colonna era attaccata una persona. Non legata, ma
attaccata – come se le mani fossero state inglobate nel materiale di cui
erano composte le colonne. Nate si rese conto di avere davanti una versione
giovanile di Max, Michael, Isabel e … una piccola ragazza bionda. Sua madre?
Scacciò la domanda dalla testa e cercò di concentrarsi su quello che stava
accadendo intorno a lui.
Stava guardando attraverso gli occhi di Max. C’era un piccolo ragazzo
pre-adolescente che stava interrogando il gruppo in un modo orrendo, con
commenti duri e sgradevoli. Nate non riuscì a comprendere come tutto il
gruppo fosse finito in quella situazione, come un ragazzino fosse stato in
grado di ridurli in quello stato ma, quando la prima ondata di dolore passò
nella mente di Max, si rese conto del perché. Nate stava provando tutto
quello che Max aveva provato – dita che frugavano nel suo cervello come se
fosse un armadietto, senza considerare nulla come sacro o oltre il limite
del consentito, per cercare quello che gli interessava, a qualsiasi costo.
Nate si fece piccolo, facendo una smorfia alla vile creatura che scavava
sempre più a fondo, fino a che si fermò all’improvviso –
Un altro posto, questa volta in un tempo più vicino.
Nate era ancora nella mente di Max, e questa volta il dolore era ancora più
spietato. Vide piccoli frammenti di vita con Liz – il cottage in riva al
mare, Liz in mutandine che ballava nel soggiorno, risate che echeggiavano.
Il rifugio felice di Max. Ma quel posto si dissolse in fretta e non ci fu
nient’altro che orrore puro.
Voci che risuonavano avanti e indietro, minacciando di uccidere tutti quelli
che gli erano cari. Tutti gli abitanti del pianeta. Nate vide astronavi nel
cielo e improvvisamente comprese perché Max era rimasto terrorizzato quando
si erano diretti all’aeroporto – non era degli aerei che aveva avuto paura,
era di un attacco dal cielo.
Quelle stesse raccapriccianti dita, entrarono lentamente nel suo cervello,
contaminando tutti i suoi ricordi, depredandolo di tutte le sue esperienze.
Il dolore fisico che aveva sopportato era stato niente rispetto a quello che
aveva dovuto subire la sua mente. E Nate comprese appieno che, mentre Max si
era rifugiato nel suo posto felice con Liz come misura di
auto-conservazione, qualche parte subconscia del suo essere era rimasta a
sperimentare tutte quelle cose orrende.
E queste erano le vere memorie delle torture che Max aveva ricevuto dalle
mani di Nicholas e Khivar.
Spingendo via le mani di Liz dalle sue tempie e interrompendo la
connessione, Nate corse alla parte opposta della caverna e si gettò sul
pavimento. La testa gli pulsava, il cuore gli batteva velocemente nel petto.
Non credeva che sarebbe mai più riuscito a cancellare quelle immagini dalla
sua mente – si proiettavano continuamente nella sua testa come un macabro
ritornello.
"Mi dispiace, Nate." disse piano Liz, da dietro le sue spalle. "Ma dovevi
sapere."
Mentre Nate lottava per riuscire a respirare, una nuova conoscenza del
nemico prendeva possesso della sua mente. Conoscenza del nemico che non lo
confortava comunque. Come sarebbero riusciti a sconfiggere un nemico così
spietato e privo di scrupoli?
Nate non riusciva a sfuggire alla sensazione che tutti loro stavano andando
incontro alla morte.
Capitolo 26
Nate era seduto con la schiena
appoggiata alla parete della caverna, le ginocchia piegate contro il petto,
la testa tra le braccia. Dentro di sé, ribolliva.
Il senso del tempo che passava era cessato. Potevano essere passati dieci
minuti da quando Liz gli aveva mostrato gli orrori sopportati da Max –
potevano essere passate dieci ore. Era stato così ingenuo a parlare di
soluzioni pacifiche. Ora sapeva che non ci sarebbe stata pace, non fino a
che esseri come Nicholas e Khivar erano liberi e protetti dall’anonimato.
Ma non era questo il pensiero più preoccupante. Gli altri avevano detto a
Nate che Nicholas e Khivar avevano lasciato il pianeta vent’anni prima ed
erano ritornati da poco. Ma era da allora che Max aveva svolto il suo
compito di ambasciatore di pace. Questo voleva dire che c’erano altri
alieni, altre specie sul pianeta che costituivano una minaccia.
Quanti erano? Da dove sarebbe arrivato il pericolo? Queste creature vivevano
sulla terra come comuni esseri umani, come facevano gli ibridi? Durante la
sua vita, Nate era stato vicino a qualche alieno senza saperlo? Qualcuno
degli abitanti di Chautauqua era un alieno? Qualcuno a scuola? Qualcuno che
lui aveva considerato suo amico?
Le domande erano troppe e facevano dolere la testa di Nate. Sollevò la
testa, ma tenne chiusi gli occhi, passandosi le mani tra i capelli e
cercando di calmare il subbuglio che aveva dentro di sé. La gola gli
bruciava ancora, dopo che poco prima aveva rigettato la sua colazione e
aveva acidità di stomaco. In fondo alla sua anima, Nate sapeva che non
sarebbe mai più stato bene.
Si chiese dove fossero gli altri, se avessero già trovato le loro prede.
Cercò di stendere la sua mente, per sentire Alyssa nel modo in cui Liz
sentiva Max, ma non ci riuscì. O lui non era capace a farlo, o Alyssa non
poteva essere contattata. Non gli piacque questa ultima riflessione. Non
sopportava di starsene seduto nella caverna aspettando gli avvenimenti,
mentre tutti gli altri erano fuori a combattere senza di lui.
"Nate?"
Nate abbassò le mani ed aprì lentamente gli occhi. Seduta accanto a lui
c’era Liz, che gli era scivolata accanto senza che lui se ne fosse reso
minimamente conto. Gli occhi di lei erano pieni di rimorso e la sua
espressione era incerta, esitante.
"Sei arrabbiato con me?" gli chiese con cautela.
Senza esitare, Nate scosse la testa. No, non ce l’aveva con lei.
Lei doveva averlo considerato il modo migliore per fargli capire quello che
era successo a Max, ma nello stesso tempo, era preoccupata che lui non
avrebbe voluto venirne a conoscenza in un modo così duro. Nate ebbe
l’impressione che Liz di solito affrontasse le cose con un amore tenace.
Liz apparve sollevata e fece un lungo respiro, come se avesse trattenuto
l’aria troppo a lungo. Dall’altro lato della caverna Maria era distesa su un
sacco a pelo con Emily addormentata sopra di lei.
"Non è la prima volta che affrontiamo qualcosa del genere." gli spiegò
dolcemente Liz, lo sguardo posato sulla sua amica e sulla sua bambina.
Nate la ascoltò in silenzio. Non aveva molta voglia di parlare e, in ogni
caso, non avrebbe saputo cosa dire.
Liz si strinse nelle spalle. "Naturalmente, è la prima volta che incontriamo
Nicholas e Khivar dopo molto tempo, ma c’è sempre stata qualche altra
minaccia da affrontare, sai?"
No, non lo poteva sapere. Era questo il problema. Ritornò col pensiero alla
prima notte che lui e Max erano entrati nella camera dei bozzoli, a quando
Max si era portato dietro ogni tipo di rifornimenti che potevano essere
utili, a come la catena di comunicazione fosse già stata messa in funzione.
A quel tempo, gli era sembrata una cosa strana e si era chiesto se per loro
fosse un avvenimento normale. Ora sapeva che lo era.
"Max è forte." continuò Liz, guardando ancora lontano.
Nate sollevò un sopracciglio. Quanto era stato forte Max un mese prima,
quando era stato rapito dalle stesse creature alle quali ora stava dando la
caccia?
"Troveranno un modo per uscire da questa situazione." disse Liz e Nate si
rese conto che non stava parlando così per fare coraggio a lui, ma per fare
coraggio a se stessa.
Liz si accigliò leggermente, mentre posava lo sguardo sulla figlia. "Lui
deve … "
Nate fissò il pavimento. Lui voleva bene a Liz. Le voleva veramente bene. Ma
in quel momento nella sua mente c’era un guazzabuglio e non aveva la forza
di stare ad ascoltarla.
"Ho bisogno di un po’ d’aria." disse vagamente, alzandosi in piedi e uscendo
dalla caverna.
Il sole stava tramontando. Erano stati nella caverna molto più tempo di
quello che aveva immaginato, il buio lo aveva privato del senso del tempo
che scorreva. Guardò il cielo purpureo e lo trovò quasi troppo bello, come
se lo stesse prendendo in giro per la sua situazione difficile.
"Aubrey." chiamò piano.
In un secondo, la sua guardia del corpo fu al suo fianco, senza i Ray Bans
che ad un certo punto doveva essersi tolta.
"Signore." gli disse rigida. "Devo consigliarti, per la tua sicurezza, di
stare dentro al riparo."
Nate non riusciva a fare a meno di trovare il suo atteggiamento di fedeltà
al dovere, alquanto divertente. "Tornerò in un minuto." la rassicurò.
"Voglio prendere solo un po’ d’aria fresca."
Aubrey chinò la testa da un lato, come se stesse ascoltando qualcosa, poi
fece un veloce cenno con la testa. "Molto bene, signore."
Si girò su una caviglia, in modo da essere spalla a spalla con lui, mentre i
suoi occhi alieni continuavano a sorvegliare il terreno intorno a loro.
"Hai sentito qualcosa?" gli chiese speranzoso Nate.
"Sentito, signore?"
"A proposito di – tu sai cosa. Sai come, um … come sta andando la missione?"
Lei scosse la testa una volta, velocemente. "No, signore."
Stettero immobili per un attimo, Nate guardando il sole che scendeva dietro
l’orizzonte, Aubrey esaminano ogni cactus, ogni rotolo di erba secca che
volava nel vento. Alla fine lui si morse le labbra e si voltò verso di lei.
"Tutto questo porterà alla pace?" le chiese, sperando in qualche modo che la
morte di Nicholas e Khivar fosse l’antitodo di cui il mondo aveva bisogno.
Aubrey inclinò la testa ancora una volta, con l’espressione più confusa che
Nate le avesse mai visto. "Cos’è la pace?"
Nate si sentì precipitare nella disperazione. C’erano esseri alieni, sul suo
pianeta, che non conoscevano il significato del termine ‘pace’. Come
avrebbero mai fatto ad ottenere la pace se non ne afferravano nemmeno il
concetto?
"Non importa." le disse, quando si rese conto che Aubrey stava aspettando
una risposta da lui. "Domanda stupida, credo."
Rimasero ancora in silenzio, poi Nate si rese conto che lei era stata tutto
il giorno fuori, sotto il sole del deserto, per proteggere il suo sedere.
"Aubrey, hai bisogno di mangiare qualcosa, di bere qualcosa." le offrì.
Lei scosse ancora una volta la testa."Ho bisogno di mangiare e di bere una
volta a intervalli di qualche giorno."
Nate batté gli occhi. Non aveva bisogno di dormire. Mangiava si e no tre
volte a settimana. Si chiese quali altre strane caratteristiche avesse.
"Dovrei tornare dentro." le disse, senza sentirsi meglio rispetto a quando
era uscito.
"Io rimarrò qui fuori."
"Stabilendo un perimetro." disse Nate esitante, sperando almeno di divertire
se stesso.
"Il perimetro è già stato stabilito, signore."
Nate si disperò. Era come cercare di fare una battuta a una pietra.
"Naturalmente."
Quando Nate rientrò nella caverna, trovò Liz e Maria che stavano parlando
fittamente ed Emily che si era svegliata e si stava dimenando. Il terrore
riempì ogni cellula del suo corpo.
"Cosa c’è?" chiese, con lo stomaco sempre più annodato e il cuore che gli
ballava nel petto.
Maria si morse un labbro e Liz si voltò verso di lui.
"E’ successo qualcosa." gli disse.
"Cosa?" ripeté lui, con gli occhi spalancati.
Liz scosse la testa, facendo svolazzare i suoi capelli scuri. "Non lo so.
L’ho solo … sentito." Si posò una mano sul petto come per poterlo sentire
ancora. A Nate sembrò che avesse un po’ di nausea.
"Cosa hai sentito?" le chiese.
"Un sobbalzo, una scintilla." disse perplessa. "Certamente qualcosa di
insolito. Forse qualcuno ha usato una grande quantità di potere. Qualche
volta, quando Max fa qualcosa in casa con i suoi poteri, io posso avvertire
le sue vibrazioni. Ma questa volta … questa volta è stata usata una quantità
di potere esorbitante."
Nate deglutì con difficoltà, mentre il suo sguardo si posava su Maria. Lei
non stava piangendo o preoccupandosi, ma capì dal suo sguardo che era pronta
ad esplodere con un rimprovero ad ogni momento.
"Cosa pensi voglia dire?"
Liz scosse ancora la testa. "Non lo so. Credo che li abbiano trovati … "
Le parole le morirono in gola. Ovviamente lei non voleva pensare ai
possibili scenari. Nate la capì – non voleva essere pessimista, ma sarebbe
stato terribile essere oltremodo ottimisti.
Così rimasero in attesa. Loro quattro, una troppo piccola per rendersi conto
della tensione degli altri. Nate cercò di giocare con la bambina, ma non ne
aveva il cuore.
E dato che alla sua nascita lei era connessa con lui, Nate capì che lei si
era resa conto che c’era qualcosa che non andava in lui. Spesso lo guardava
con quei suoi grandi occhi scuri, poi il suo labbro inferiore cominciava a
tremare e lei piagnucolava un po’ – non quel pianto infantile di bisogno, ma
piuttosto il lamento di dolore di una mamma gatta che aveva perso uno dei
suoi gattini. Quasi spezzò in due il cuore di Nate.
Il passare del tempo divenne di nuovo incerto, incurante del fatto che la
tensione nella caverna era aumentata dieci volte.
Nate si disperò al pensiero della vita relativamente semplice che aveva
condotto fino a qualche settimana prima. Allora poteva affrontare le
complicazioni aliene, ma adesso che sapeva esattamente cosa dovevano
fronteggiare, aveva capito che nulla sarebbe più stato semplice come prima.
La mente di Nate tornò al motel di Artesia, quando lui ed Alyssa avevano
consumalo il loro amore per la prima volta. Era stato un momento così bello,
pieno di nuove scoperte, come quale fosse la natura del vero amore. Non
riuscì a trattenere il sorriso che gli fiorì sul viso al ricordo della loro
prima volta insieme, la partecipazione ardente di Alyssa in qualcosa che non
aveva mai fatto prima. Il sorriso scomparve quando ripensò alla ricomparsa
del sigillo e alla criptica reazione che lei aveva avuto.
"Sta cominciando." gli aveva detto con timore reverenziale.
Quando aveva insistito per avere una spiegazione, le aveva semplicemente
aggiunto che lui era 'il solo'. Non erano state tanto le sue parole, quanto
la gioiosa, orgogliosa espressione del suo viso, che stava quasi per
piangere di felicità, che lo aveva reso perplesso.
Ora, seduto in una caverna mentre aspettava che si decidesse il destino del
mondo, si stava rendendo conto che ancora non aveva capito di cosa parlasse
Alyssa.
Cosa stava cominciando? Era a questo che lei si era riferita? Una battaglia
per la loro sopravvivenza?
E cosa significava per lui essere 'il solo'? Il solo cosa? Il solo che li
avrebbe condotti al macello?
Il suo sogno ricorrente gli balenava nella mente, quella visione piena della
speranza che un giorno la sua gente avrebbe potuto camminare per le strade
libera e senza il timore di minacce per la propria esistenza. In pace. Nate
sbuffò. Non c'era pace per loro. Non ci sarebbe mai stata.
La stanchezza cominciò a pesare, ma tutto il gruppo cercò di combatterla,
non avendo il coraggio di addormentarsi. Gli occhi di Nate bruciavano e gli
doleva tutto il corpo. Emily diventò pesante tra le sue braccia, fin quando
Liz venne a prenderla per allattarla.
Passò altro tempo, lentamente, trascinandosi come una strada di dieci
chilometri verso il patibolo.
Ad un certo punto, Nate ebbe la sensazione che la totale mancanza di segnali
non fosse una buona cosa. Se la battaglia era finita e gli ibridi avevano
vinto, allora la squadra sarebbe già dovuta essere di ritorno. Il loro
ritardo poteva significare una sola cosa e lui non voleva pensarci.
Proprio mentre Nate si rese conto di star perdendo la battaglia contro la
stanchezza, un'ombra passò davanti all'ingresso della caverna e lui si sentì
sveglio all'improvviso. Potevano essere gli ibridi che tornavano, ma poteva
anche essere il nemico che veniva ad ucciderlo.
Il solito terrore si impadronì del suo addome, facendo nodi sempre più
stretti.
Dall'altro lato della caverna, Liz trattenne il respiro e poi gridò – di
gioia o di paura, Nate non poté dirlo. Non ebbe modo di analizzarlo, perché
una figura apparve dall'entrata, un dinoccolato, esausto adolescente di nome
Jeremy Ramirez.
"Oh, Dio." ansimò Maria e corse verso di lui. Aiutò Jeremy a sedersi e gli
offrì una bottiglia d'acqua.
Nate fissò in un silenzio sbigottito il cugino, che era coperto di polvere e
che sembrava essere appena stato testimone dell'Olocausto. Stava per
rivolgergli qualche parola di conforto, quando prima Isabel e poi Kyle
entrarono nella caverna. Liz scoppiò in lacrime, portandosi la mano alla
bocca.
"Tutto bene." disse Isabel a fatica. "Lui sta bene, Liz."
Subito dopo entrò Michael e Maria lo fece quasi cadere, quando si lanciò tra
le sue braccia. Dietro di lui entrò Alyssa.
Senza parlare, corse verso Nate, le braccia aperte in un abbraccio. Nate fu
sommerso da una sensazione di sollievo, mentre lei si gettava contro di lui;
Alyssa scoppiò a piangere – una reazione al trauma, probabilmente. Nate
chiuse gli occhi e la tenne stretta, sentendo tutta la paura che lasciava il
suo corpo in una grande, spossante ondata.
Quando alla fine riaprì gli occhi, vide che anche Max si era unito a loro e
stava tenendo tra le braccia una Liz piangente, mentre anche i suoi occhi
erano umidi di lacrime.
"Va tutto bene, piccola." Nate sentì Max rassicurare sua moglie. "E'
finita."
Mentre Nate stringeva Alyssa, sentì dentro di sé una sensazione amara.
Nonostante quello che aveva appena detto Max, lui sapeva che non sarebbe
mai finita.
Capitolo 27
L'inverno si stese su Boston come una
scura, pesante coltre di depressione.
Incapace di recuperare l'assenza di diverse settimane dalle lezioni, Nate
lasciò il Boston College, cosa che cercò di nascondere agli Spencer. Odiava
mentire loro, ma non gli sembrò nemmeno plausibile dire che era mancato alle
lezioni perché aveva dovuto salvare suo padre da un nemico alieno.
Alyssa, invece, cercò immediatamente di rimettersi al passo e tornò ai suoi
studi come se non fosse mancata nemmeno un giorno. Non che non soffrisse
anche lei delle conseguenze di quello che era successo nel deserto del New
Mexico.
Jeremy Ramirez era probabilmente quello che aveva sofferto più di tutti.
Nate pensava di vedere le scintille della vita abbandonare il ragazzo ad
ogni giorno che passava. Ma la cosa peggiore era che Jeremy si rifiutava di
parlarne. Mentre tutti gli altri avevano sommerso Nate, Liz e Maria con i
racconti di quello che era successo, Jeremy si era tenuto la sua esperienza
chiusa dentro – e Nate pensava che non fosse una cosa buona. Naturalmente,
aveva cercato di trovarsi una ragazza o due per placare le sue ansie, ma
tutti sapevano che aveva bisogno di aprirsi e di parlare di quello che era
successo.
Maria e Michael tornarono a Roswell, o meglio ad Artesia dove Maria poteva
nascondersi, dopo il successo del suo ultimo album. Nate aveva il sospetto
che si sarebbero risposati e, per il bene di Alyssa, sperava che lo
facessero presto. Sembrava che la separazione dei suoi genitori fosse un
capitolo aperto nella sua vita, che finché non fossero tornati insieme,
niente al mondo sarebbe andato per il verso giusto. Nate non la pensava in
questo modo – gli piaceva Maria e tollerava appena Michael, ma non pensava
che il mondo sarebbe finito se loro non fossero tornati assieme. Ma, di
contro, non erano mica i suoi genitori.
Nate tornò dai suoi genitori per il Ringraziamento e per Natale, due
spiacevoli vacanze che avrebbe preferito dimenticare. Avrebbe voluto che
Alyssa fosse andata con lui, per farle incontrare i suoi futuri suoceri, ma
lei aveva avuto bisogno di tornare nel New Mexico.
La lotta con Nicholas e Khivar, e la consapevolezza della crudeltà con cui
avevano avuto a che fare, aveva cambiato Nate in maniera drastica e non
c'era modo per lui di nasconderlo ad Emma e a Jonathan. Mentre aveva
programmato di passare quattro giorni a New York per il Ringraziamento, vi
era rimasto solo un giorno e mezzo, il massimo del tempo in cui sarebbe
riuscito a sostenere la facciata. Andò un po' meglio a Natale, ma gli bastò
lo sguardo negli occhi di Emma, per capire che loro sapevano che c'era
qualcosa di terribilmente sbagliato nel loro ragazzo.
Max diventò ogni giorno più forte, fino a tornare ad essere l'uomo che era
prima che la sua mente fosse violata. Liz si prese un altro anno sabbatico
per stare con lui e con Emily, per chiudersi fuori dal mondo e cercare di
guarire le loro profonde ferite. Nate pensava spesso a loro e sorrideva
chiedendosi se fossero andati in quella casetta sul mare dove Max si era
rifugiato per scappare al dolore della sua tortura. Gli faceva piacere
pensare che fossero insieme e felici. Se qualcuno si meritava un lungo
periodo risanatore, quelli erano Max e Liz.
Naturalmente, Max era venuto a trovare suo figlio. Avevano trascorso ore
solo a passeggiare nella neve e a parlare di quello che era successo quel
giorno nel deserto.
Sapere che l'arroganza di Khivar era stata tanto grande da portare con sé
solo pochi rinforzi, sapendo che Max era 'morto' e che vedersela solo con
suo figlio era una pura formalità, aveva messo Nate a tappeto.
Richiamò la sensazione di sapere che era circondato da un centinaio di
alleati, che non poteva vedere, e poté immaginare che Nicholas e Khivar
fossero stati sorpresi con le difese abbassate. La battaglia era stata
veloce, ma non facile. Era stata sufficiente un'occhiata al cugino per
capirlo.
Dopo che il gruppo fu tornato alla vita di tutti i giorni, avevano ripreso
la strategia di nascondersi stando in piena vista.
Dopo essere tornato da una settimana nella mansarda sopra il garage di
Isabel, Nate cominciò a pensare che quel modo di sopravvivere alla fine non
li avrebbe salvati. Non credeva che sarebbero riusciti a nascondersi per
sempre – ma forse non avrebbero dovuto nascondersi affatto.
Era una notte fredda e silenziosa, quella in cui Nate si trovò seduto in una
sedia ultra imbottita, guardando al chiaro di luna gli alberi dietro la casa
di Isabel. Quella sera aveva imperversato una tempesta gelata e gli alberi
brillavano davanti al freddo pallore della luna.
Da qualche parte lì fuori, Nate sapeva che Aubrey stava facendo la guardia.
Anche se la vedeva raramente, Nate sapeva che era lì. Essendo un mutaforma,
avrebbe potuto essere dovunque e chiunque.
Qualche volta Nate si trovava a fissare i clienti del caffè, per chiedersi
quale potesse essere. Prima che smettesse di andare al College, si trovava
sempre a scrutare gli studenti, alla ricerca di qualcuno che il giorno prima
non c'era, solo per vedere se riusciva a riconoscerla. Di solito, cercava
qualcuno che non sembrasse avere senso dell'umore. Era brava in quello che
faceva – ancora non era mai riuscito a scoprirla.
Sapendo di aver bisogno di dormire, Nate fece un profondo sospiro e si alzò
lentamente.
Erano seduti su un precipizio, tutti loro. Il mondo stava cambiando
rapidamente, troppo rapidamente. Da un momento all'altro, per loro, poteva
cambiare tutto.
Alyssa gli comparve davanti, i lunghi capelli scompigliati dal sonno. Nate
le sorrise per un riflesso – ormai non aveva bisogno di pensare a quanto
fosse felice di vederla, la sua reazione era automatica. Indossava due
pigiami di flanella – l'inverno non era cosa per lei: aveva sempre freddo,
qualche volta cominciava a tremare all'improvviso.
Nate spalancò le sue braccia e lei vi si precipitò dentro, contorcendosi
fino a che la sua testa si sistemò sotto il mento di lui, contro il suo
petto. Automaticamente, Nate si lasciò andare contro schienale della sedia e
prese un plaid che la signora Evans aveva dato loro come regalo per
l'inaugurazione della nuova casa; Nate aprì la coperta e la stese sopra di
lei, continuando a tenere Alyssa tra le braccia. Sotto le sue mani, lei era
sottile, più sottile di quanto lo fosse stata qualche mese prima – il
conflitto con Khivar aveva richiesto anche a lei il pedaggio.
"Il cuore di un re." mormorò Alyssa contro il suo petto, con un sorriso
nella voce, mentre ripeteva le parole che aveva pronunciato la prima notte
che avevano trascorso insieme.
Il cuore di un ex-re, per essere esatti.
Una volta che Max fu tornato se stesso, era andato da Nate e gli aveva
spiegato che se lui non si sentiva pronto per essere re, non avrebbe dovuto
esserlo per forza, che Max avrebbe ripreso il sigillo, se era veramente
questo che Nate voleva.
Nel suo solito modo, Max non aveva forzato il figlio a prendere una
decisione immediata, ma aveva piantato il seme e aveva lasciato che Nate ci
riflettesse.
Dopo aver valutato tutta la sua insicurezza e la sua relativa stupidità,
quando si trattava di cose aliene, pochi giorni dopo la sua offerta Nate
tornò da Max e gli lasciò riprendere volentieri il sigillo.
Quando Max sarebbe stato troppo vecchio per sopportare le responsabilità di
leader, sarebbe venuto il momento per Nate di salire al trono, ma fino ad
allora Max Evans era di gran lunga più preparato di Nate a guidare la loro
gente.
"Dovresti essere a letto." disse Nate tra i capelli di Alyssa.
"Anche tu." replicò lei, accoccolandosi ancora di più tra le sue braccia.
"Domani sarà un giorno importante." le disse, mordendosi il labbro
inferiore. "Cambierà tutto … "
Ci fu un breve pausa, poi lei fece un cenno con la testa. "Lo so."
Non era stato facile convincere gli altri a seguire il piano di Nate.
C’erano voluti mesi, infatti, con ossi duri come Isabel e Michael. Anche
adesso, Nate non era sicuro che lo avessero accettato interamente, ma fin
dal principio erano stati d’accordo che si doveva fare qualcosa per
risolvere la situazione in cui erano.
E se c’era una cosa che Nate aveva imparato nell’ultimo anno, era che se la
squadra dei bozzoli decideva qualcosa, tutti sarebbero andati fino in fondo,
indipendentemente dalle riserve personali. Avevano sempre agito come un
gruppo compatto.
Sotto la coperta, Alyssa stava facendo scorrere la punta delle dita sopra i
pettorali di Nate, che stavano sempre più aumentando. Da quando erano
tornati sulla costa orientale, lui aveva ripreso i suoi allenamenti, spesso
in compagnia di Max. Il suo corpo stava finalmente mostrando i risultati dei
suoi sforzi – Nate Spencer non era più l’allampanato ragazzo pelle e ossa
che aveva lasciato il Lago Chautauqua quindici mesi prima.
"Mi piace come è cresciuto il tuo seno." disse Alyssa divertita.
Nate guardò in giù, verso la testa di lei, uno sconcertato sorriso sulla sua
faccia, poi allungò una mano per toccare il seno di lei. "Si, anche a me il
tuo."
Lei fece un risolino e sollevò la testa per guardarlo, finché la realtà si
fece largo dentro di lei e il sorriso si dissolse lentamente.
"Hai paura?" le chiese Nate.
Lei scosse la testa, la sua espressione diventata improvvisamente seria.
Lui sospirò. "Come sai che stiamo facendo la cosa giusta?"
Alyssa sollevò una spalla. "Perché so da tanto tempo che tu sei il solo che
avrebbe potuto cambiare le cose, Nate. Mi fido di te, completamente."
Lui deglutì, non avendo in se stesso la medesima fiducia che aveva lei.
Con gli occhi scuri pieni di emozione, Alyssa tracciò la linea del suo viso
con la punta delle dita. "Io non so cosa ci porterà il domani, Nate. Non so
se questa sarà la nostra ultima notte insieme. Ma so questo – se questa è la
nostra ultima notte, allora la voglio trascorrere facendo l’amore con te."
Si sollevò e gli diede un bacio appassionato sulle labbra. "Fai l’amore con
me, Nate." gli sussurrò.
Con una mossa veloce, Nate si alzò, portandola in braccio, mentre la coperta
che cadeva in terra. Poi si lasciarono cadere sul letto, pensando soltanto a
cosa rappresentavano uno per l’altra, dimenticando tutto quello che stava
per succedere.
***
Lo sguardo di Michael Guerin era tempestoso, mentre faceva fermare il
furgone davanti casa di Isabel. Nate e Max lo aspettavano sulla soglia della
porta, spostando il peso da un piede all’altro. Michael aprì lo sportello
del furgone e fece loro segno di sbrigarsi.
"Andiamo." li esortò. "Mancano venti minuti all’inizio della trasmissione."
Nate e Max salirono in fretta, una scura figura che saliva dopo di loro.
"Buona sera, Aubrey." disse Michael nello specchietto retrovisore.
"Signore." fu la sua sola risposta.
Stavano per chiudere la porta scorrevole del furgone, quando Jesse Ramirez
vi entrò di corsa e chiuse la portiera dietro di sé. Michael, Max e Nate lo
guardarono sorpresi mentre l'avvocato si sistemava nel sedile dietro a Nate.
"Che diavolo hai intenzione di fare?" chiese Michael, le sue sopracciglia
talmente unite da sembrare uno solo.
"Di venire con voi." disse Jesse semplicemente.
Nate vide l’abito firmato dell’uomo e si meravigliò ancora di più. Il resto
di loro era vestito sportivamente e lui sembrava fuori posto tra di loro.
"Nemmeno per sogno." disse Michael, usando i suoi poteri per riaprire la
portiera. "Fuori. Ci farai arrivare in ritardo."
"Avrete bisogno di me." disse calmo Jesse, poi batté un dito sull’orologio.
"Tic-tac, Michael."
Michael stava per protestare, ma Max sollevò una mano per farlo tacere. "Di
cosa stai parlando, Jesse?"
"Ogni americano ha diritto ad un avvocato difensore." ghignò. "Eccomi."
Ci fu un momento di silenzio, mentre tutti riflettevano. Dopo pochi secondi,
Jesse chiuse di nuovo la portiera.
"Andiamo." disse, indicando la strada.
Michael guardò con apprensione Max, che si lasciò convincere ed annuì.
Michael si morse le labbra, poi mise in moto e si diresse verso la città.
Max si girò sul suo sedile e toccò Jesse sulla spalla. "Grazie, Jesse. Non
devi sentirti obbligato a farlo."
"Si, invece." rispose Jesse, poi i suoi occhi scuri si addolcirono. "Cosa
posso farci? Amo mia moglie."
Il resto della corsa fu teso, mentre si dirigevano alla loro destinazione.
Nate guardava ossessivamente l’orologio – arrivare troppo presto, avrebbe
rovinato l’elemento sorpresa; arrivare troppo tardi, avrebbe rovinato una
possibilità e probabilmente sarebbero finiti tutti in prigione.
Come se qualcuno lo avesse colpito allo stomaco, si rese conto di aver
completamente dimenticato di includere gli Spencer nel suo piano. Con le
dita che tremavano, prese il cellulare dalla tasca e compose in fretta il
numero. Fu Emma a rispondere.
"Mamma, sono Nate." le disse, cercando di avere un tono normale, ma sapendo
che non ci sarebbe riuscito.
"Nate, cosa c’è che non va, tesoro?"
Nella sua mente riusciva a vedere il turbamento nei suoi occhi e sentì una
fitta al cuore. "Mamma, ascoltami, okay? Ho bisogno che sintonizzi la TV sul
canale della NBC."
"Cosa? Nate, stai bene?"
"Si, sto bene. Per favore, guarda la NBC."
"Perché, tesoro?"
"Fallo, mamma. Per favore." Nate chiuse gli occhi, desiderando che lei
potesse comprenderlo. "Mi dispiace, mamma. Avrei dovuto spiegarvi tutto
questo già da tempo. Non ho mai voluto farvi soffrire e non lo voglio ora.
Per favore, sappiate che vi voglio molto bene e che vi sarò per sempre grato
di tutto quello che avete fatto per me."
"Nathan … mi stai facendo paura."
"Lo so, mamma." Lacrime minacciarono di uscirgli dagli occhi. "Mi dispiace.
Ti prego, guarda l’NBC. Di’ a papà che gli voglio bene."
"Ci siamo." li avvertì Michael dal sedile anteriore.
"Ora devo andare." disse Nate, interrompendo le proteste della madre. "Ti
voglio bene, mamma." Con quello chiuse la chiamata e spense il cellulare, in
modo che lei non potesse richiamarlo.
Michael fermò il furgone davanti alla stazione televisiva, poi lasciò andare
un sospiro di ansia. "Sarà meglio che tu abbia ragione, a proposito di tutto
questo, Junior."
Nate annuì, scambiando un’ultima occhiata con Max e Jesse, poi il gruppo
uscì dall’automezzo. Aubrey si era mutata in un uomo mentre erano ancora nel
van.
"Lasciali passare." disse all’uomo alla porta. "Hanno un permesso." Fece
balenare un cartellino e l’uomo si fece da parte.
Nate, Michael, Max e Jesse non cambiarono mai l’andatura. Traversarono
l’atrio e poi un lungo corridoio, seguendo le luci che sembravano sempre più
forti mano a mano che si avvicinavano. Presto furono nello studio televisivo
e il cuore di Nate cominciò a battere come un tamburo nel suo petto. Ora non
potevano più tornare indietro. Pensieri di Alyssa, dei suoi genitori, della
piccola Emily, gli passarono per la mente. Si rese a malapena conto che Max
e Michael stavano temporaneamente neutralizzando i cameraman. Camminò
direttamente verso la presentatrice, che li guardò spaventata ed indignata
nello stesso tempo.
"Chi diavolo siete?" gli chiese.
"Non le ruberò molto tempo." le disse con voce calma. "Ma devo cominciare io
la trasmissione di stasera."
"Si, bene." sbuffò lei, poi il suo sguardo si posò sui suoi cameraman che
erano distesi sotto le telecamere, invece di trovarvisi dietro, e il suo
sorriso scomparve immediatamente.
"Gli uomini che sono ora dietro le telecamere sono con me." disse Nate,
senza spostare lo sguardo da quello di lei. "Ora le suggerisco di lasciarmi
il posto. Subito!"
Lei deglutì visibilmente, poi afferrò nervosamente le sue cose e si alzò di
corsa dalla scrivania. Scomparve in fondo al corridoio e Nate seppe che era
andata a telefonare alla polizia. Il che era un bene – esattamente quello
che volevano.
Cercando di calmare i nervi, Nate afferrò il microfono della presentatrice e
se lo fissò al colletto. Sistematosi sulla sedia, si accorse che le luci
dello studio erano molto forti ed emanavano grande calore: riusciva a vedere
a malapena le forme di Max e di Michael dall’altra parte delle telecamere.
"Ce la farai." gli disse Max rassicurante. "Hai circa dieci secondi."
"Sarà meglio per te se andrà tutto bene." brontolò Michael.
Nate vide che Max stava facendo un visibile conto alla rovescia dei secondi
che mancavano, poi si raddrizzò sulla sedia. La luce sopra la camera di Max
si accese e Nate seppe di essere in onda. Per un lungo momento, non riuscì a
pensare a cosa dire, poi mise da parte tutte le riserve e tutti i dubbi.
"Buona sera." disse calmo. "Voglio cominciare col dire che non sono qui per
fare del male a qualcuno. Sto solo cercando di ottenere protezione per me e
per la mia gente."
Deglutì nervosamente, gli occhi azzurri decisamente rivolti verso la
telecamera. Poi chiamò a raccolta la sua determinazione in dieci brevi
parole, cambiando la sua identità e il destino del suo popolo nello stesso
momento.
"Il mio nome è Nate Evans. E sono un alieno."
FINE
Scritta
da Karen (MidwestMax)
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice
dall'originale in inglese,
a cura di Sirio |