Riassunto: Questa
storia, in 27 capitoli, è la terza di cinque fanfiction collegate tra loro, e
segue a "Figlio di suo padre". Nate
e Alyssa si sono trasferiti a Boston per frequentare il college, ma tutti
noi sappiamo che la vita non è mai semplice per un Roswelliano.
Abbiamo imparato a conoscere i personaggi, ora li vedremo di nuovo in
azione. E non sempre come vorremmo che agissero.
Valutazione contenuto:
non adatto ai bambini.
Disclaimer: I personaggi
dello show appartengono a Katims e co. Alyssa e Nate sono miei. Nessuna
trasgressione è stata intenzionale… ehm, e nessuna offesa ad Hemingway per
il titolo.
(NdT: L'autrice si riferisce al libro T'he sun also rises', conosciutò in
italia col titolo 'Il sole sorgerà ancora'. Io ho preferito usare una
traduzione leggermente diversa, perchè 'Anche il figlio sorge' non avrebbe
reso completamente l'idea.)
Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitolo 19
Nate non riusciva a dormire. Era così
tardi quando Liz era emersa per raccontare loro quello che aveva saputo da
Max, che l’intero gruppo decise di accamparsi in casa Evans. C’erano corpi
dappertutto, a peggiorare l’insonnia di Nate. Ma soprattutto, Jeremy Ramirez
era accampato sul pavimento accanto al divano dove si era sistemato Nate,
russando più forte di quanto fosse umanamente possibile. Nate si era chiesto
se quel ragazzo non avesse veramente bisogno di un intervento chirurgico al
naso …
Lasciando andare un sospiro e sdraiatosi sulla schiena, facendo attenzione a
non svegliare Alyssa che stava dall’altra parte del divano, Nate fissò il
soffitto illuminato dal cuneo di luce proveniente dalla cucina, che Diane
aveva lasciata accesa come luce notturna per gli ospiti inaspettati. Il
fatto che Alyssa e suo cugino riuscissero a dormire così pacificamente
nonostante tutto quello che era successo, meravigliò Nate. Ma forse loro
erano già passati attraverso qualcosa di simile. Forse per Nate si trattava
solo di un caso grave di ‘nervosismo della recluta’.
E come faceva a non essere nervoso? C’era gente, lì fuori, che voleva
ucciderlo per qualcosa di cui un anno prima non immaginava nemmeno
l'esistenza – la sua primogenitura reale. A Nate non interessava nulla di un
trono su uno sperduto pianeta. Per tutta la sua vita era stato solo Nathan
Spencer, un ragazzo di campagna, normale a dir poco. Dover affrontare il
fatto di essere destinato a morire così giovane era paralizzante.
Questo e il fatto che Michael Guerin volesse ‘aiutarlo’ ad imparare ad usare
i suoi poteri. E se Michael stese lavorando per il nemico? E se la sua
offerta di aiuto fosse stata solo una scusa per portare Nate da qualche
parte ed offrirlo come agnello sacrificale? Dopo tutto, Tess Harding era
stata una bugiarda e una traditrice – e chi poteva escludere che quella
fosse una caratteristica fuori controllo della prima generazione di ibridi?
E se Michael avesse tenuto nascoste le sue carte negli ultimi trent’anni?
Nate si rimproverò in silenzio per aver potuto anche solo pensare quelle
cose. Ma Michael non era stato quello che aveva avuto la massima fiducia in
Nate, e allora perché Nate avrebbe dovuto aver fiducia in lui? Cosa rendeva
Michael immediatamente degno di fiducia?
Sospirando ancora una volta, Nate allungò le ginocchia e guardò dalla parte
opposta del grande divano, dove Alyssa stava dormendo silenziosamente,
sdraiata su un fianco. In nessun modo una persona cattiva poteva aver
partecipato alla sua creazione. Di conseguenza, Nate doveva credere che le
intenzioni di Michael fossero sincere. Si lasciò ricadere pesantemente sul
cuscino, disapprovando se stesso. Odiava così tanto l’incertezza.
Poco prima di andare a letto, Liz aveva lasciato la stanza di Max per fare
uno spuntino, dopo che il lungo digiuno aveva avuto la meglio su di lei.
Nate era stato abbastanza fortunato da trovarsi in cucina, quando lei era
arrivata ed era riuscito a parlare un po’ con lei, prima che ritornasse
accanto a Max.
Da quello che aveva potuto capire, la difesa di Max contro la violenza fatta
alla sua mente dai poteri di Nicholas era consistita nel rifugiarsi
letteralmente in un posto speciale, un posto riempito da Liz Parker. Nate si
ricordò delle visioni avute mentre aveva guarito Max – assoluto orrore,
seguito dalle visioni della graziosa professoressa, un dolce ricordo di una
villetta in riva al mare. Il rifugio di Max. Lì nessuno avrebbe potuto
toccarlo. Potevano intromettersi nel suo cervello quanto volevano e lui
sarebbe comunque rimasto intoccabile, una tartaruga nel suo guscio.
Per quello che aveva potuto spiegargli Liz, la parte più dura era stata
persuadere pazientemente Max ad uscire dal suo rifugio felice, convincerlo
che le persone che lo circondavano, non gli avrebbero fatto del male. Per
settimane, l’esistenza di Max era dipesa solo da una cosa – la sua fede in
Liz. Era stata una fatica monumentale, chiedergli di fidarsi ancora di
qualcuno.
Nate si trovò a sorridere. Gli piaceva l’idea, il pensiero che quello che
Max e Liz dividevano era così puro, così sincero che Max era stato capace di
salvare se stesso rivestendosi di lei. Non c’era da meravigliarsi se Liz
avesse affermato di non poter vivere senza di lui.
Ad un certo punto Nate doveva essersi addormentato, perché si risvegliò
all’improvviso, sollevandosi su un gomito.
"Non voglio farti del male." stava dicendo, nel buio e appena udibile, la
calda voce di Max.
Nate batté gli occhi, cercando di schiarirsi la vista. Quando ci riuscì,
vide Max seduto al suo fianco sul bordo del divano, con Emily che
singhiozzava piano tra le sue braccia.
Nate guardò la coppia incuriosito – Max si ricordava di Emily? Come aveva
fatto Max ad uscire dalla sua stanza senza svegliare Liz? Perché era seduto
lì, a guardare Nate mentre dormiva?
"La principessina era affamata." disse Max, facendola saltellare e
battendole piano la mano sulla schiena per far cessare il singhiozzo.
Si, e Liz avrebbe dovuto allattarla. Nate sollevò un sopracciglio.
"Le ho dato del succo di frutta." spiegò Max, accigliandosi leggermente. "Ma
non sono sicuro che alla sua pancia sia piaciuto."
Per tutta risposta Emily ebbe un altro singhiozzo.
Nate si schiarì la voce insonnolita. "Max, stai bene?"
Max annuì, dando un bacio sulla testa della piccola. Nate avrebbe voluto che
ci fosse più luce, per vedere gli occhi di Max – uno sguardo negli occhi di
Max e potevi scrivere un libro. Magari così Nate avrebbe capito se Max stava
veramente bene o se fosse ancora semi-catatonico.
"Volevo ringraziarti." disse Max sottovoce. "Per avermi aiutato."
Nate deglutì e fece un cenno con la testa. "In qualsiasi momento, Max. Sono
contento di essere stato utile."
Max annuì il suo apprezzamento e carezzò i capelli di Emily. "Devi andare
nella camera dei bozzoli." gli disse all’improvviso.
Nate rimase a bocca aperta.
"Ti ricordi dov’è?"
Nate annuì.
"Bene." Max appoggiò Emily sulla spalla e le diede dei colpetti decisi sulla
schiena. "Mi dispiace, piccola." sospirò.
Nate aspettò qualche altra informazione, che non venne. Allora si schiarì di
nuovo la gola. "Perché devo andare nella camera dei bozzoli?"
Max lo guardò, come se non ci fossero stati trenta secondi di silenzio nella
loro conversazione. "Dietro i bozzoli, c’è una borsa di pelle con dentro
alcuni manufatti."
"Manufatti?" Forse la ferita alla testa non era ancora guarita completamente
…
"Prendi la borsa. Dentro vi troverai un pentagramma – è nero con degli
inserti di vetro nella parte superiore. Devi attivarlo. Dopo che lo avrai
attivato, loro arriveranno."
Nate vide Max girare Emily a pancia sotto e appoggiarsela sulle gambe,
continuando a darle piccole pacche nel tentativo di venire a capo di quel
fastidioso singhiozzo. Lei continuò a singhiozzare, il corpicino scosso ogni
volta che lo faceva.
Nate inarcò un sopracciglio. Pentagramma. Manufatti. Misteriosi ‘loro’.
Max si stava comportando stranamente. Forse era il caso di togliergli la
bambina …
"Chi sono ‘loro’?" chiese Nate, decidendo di dare ancora un po’ di fiducia a
suo padre prima di chiamare il Telefono Azzurro.
"Persone." disse Max.
"Umani?"
Lui scosse la testa, sorridendo. "No. Persone come l’Agente Darmon."
Nate credette di vedere un’ombra di dolore passare sul viso di Max. "Amici."
"Perché dovrebbero venire?" chiese Nate.
"Per aiutarci a combattere." Max smise di prendersi cura di sua figlia e
fissò Nate. "Tu potrai dire loro cosa fare."
A quel punto, non avendo più l’intenzione di andare avanti con le sciarade,
Nate scoppiò a ridere. Era ora che Max tornasse a letto.
"Max, ma di cosa stai parlando? Qual’ è l’alieno che prenderebbe mai ordini
da me?"
Max non sembrò colpito dall’incredulità di Nate. Sembrava piuttosto calmo in
quel momento, mentre guardava in basso, lo sguardo fisso nel vuoto. "Ora tu
sei un Re, Nate."
Nate non riuscì a chiudere la bocca. Come poteva essere vero se Max era
seduto proprio di fronte a lui, sicuramente vivo e vegeto? Forse non troppo
vegeto … ma vivo! Max era il Re, non Nate.
Max guardò suo figlio. "Loro seguiranno te. Solo tu puoi attivare quel
pentagramma. E loro verranno." Sospirò. Un lungo, faticoso respiro. Poi
prese la bambina tra le braccia. "Emily e io siamo stanchi." gli disse."
Torniamo a letto."
Detto questo, Max si alzò e lasciò il soggiorno, camminando cautamente oltre
i corpi addormentati sul pavimento. Camminava in silenzio e Nate non sentì
nemmeno il rumore della porta della sua camera che si apriva e si chiudeva.
Con l'incredulità che ancora permeava le sue vene, Nate rimase a fissare il
soffitto a bocca aperta. Tutto quello era quantomeno bizzarro. Era solo un
sogno? Ci pensò, poi sentì che Jeremy stava ancora russando come una
motosega lì da qualche parte e allora Nate doveva essere sveglio. Dopo
giorni di mutismo quasi assoluto, Max si era alzato nel bel mezzo della
notte per dirgli di andare nella camera dei bozzoli e fare studi
archeologici? Poi gli aveva fatto una rivelazione scottante – gli amici
dell'Agente Darmon sarebbero arrivati presto.
Nate fece una smorfia e scosse la testa, girandosi su un fianco. Si sentiva
come un sempliciotto di campagna, sdraiato su uno scomodo divano in New
Mexico, mentre si supponeva dovesse trovarsi in un comodo letto a Boston.
Incuriosito, si sollevò la camicia e vide che il sigillo era ancora
inattivo. Perché Max pensava che fosse lui il Re?
Perché Max era ancora mezzo rimbambito, ecco perché! Da quello che aveva
detto Liz, la mente di Max era stata torturata finché non c'era rimasto più
niente. E allora perché Nate doveva prendere per vero tutto quello che lui
gli aveva detto?
Per il modo con cui lui si era preso cura di Emily.
Quella consapevolezza bloccò per un momento tutti i processi mentali di
Nate.
Max era stato capace di alzarsi con la bambina, di darle del succo di
frutta, calmarla e prendersi cura di lei come una persona con tutte le sue
facoltà intatte. Max non aveva gridato per avere aiuto quando Emily aveva
fatto sentire il suo disagio. No, sembrava che Max avesse capito chi fosse
lei e di cosa avesse bisogno e fosse stato in grado di prendersi cura di
lei.
Allora, se lui era abbastanza presente a se stesso per occuparsi di Emily,
era anche in grado di capire la situazione di Nate?
Nate fece una smorfia di frustrazione e si prese la testa tra le mani. Le
cose si sarebbero mai fatte più facili? Avrebbero mai avuto un senso?
Sembrava che le difficoltà crescessero come una palla di neve che rotolava,
man mano che il tempo passava, fino a trasformarsi in una valanga che
distruggeva tutto quello che trovava sulla sua strada …
"Va tutto bene."
Nate sentì delle morbide mani posarsi sulle sue braccia e spingerle lontano
dalla sua testa. Aprì gli occhi per vedere Alyssa scivolare sul divano
accanto a lui, i capelli dorati che ricadevano dietro di lei. Lei lo strinse
tra le braccia e lo baciò dolcemente.
"Lo hai sentito?" le chiese incerto.
"Zio Max?" chiese lei, poi sorrise quando lui annuì. "Ho sentito anche il
singhiozzo della piccola."
"E' pazzo?"
Alyssa scoppiò a ridere. "Non credo proprio. Mi è sembrato perfettamente
lucido."
"Ma come è possibile? E' stato Max il Muto per tanto tempo e all'improvviso
è diventato Mister Chiacchierone?"
La risata di Alyssa crebbe ancora di più e lei si strofinò contro di Nate
scherzosamente. "E' il potere risanatore dell'amore, Nate."
Lui sollevò un sopracciglio.
"Aveva bisogno di zia Liz per ritrovare il suo equilibrio, per guarire la
sua anima." gli spiegò dolcemente. "Io non avevo dubbi che una volta che lei
fosse arrivata, lui avrebbe cominciato a guarire. Tornerà ad essere se
stesso in brevissimo tempo, aspetta e vedrai."
Nate era ancora accigliato. "Come fai a saperlo? E' già successo prima?"
Alyssa annuì in silenzio. "Si. Non in modo così grave, ma l'ho già visto
abbastanza sconvolto prima d'ora. E Liz è sempre riuscita a guarirlo.
Respirano la stessa aria, quei due."
Nate avvertì un groppo in gola. Cosa si provava ad amare e ad essere amati
in quel modo?
Alyssa lo strinse a sé e seppellì il suo viso contro il collo di Nate.
"Lascia che il tuo cuore si illumini." gli sussurrò all'orecchio. "Cerca di
dormire, ora. Domani ti sembrerà tutto diverso. Ma ti posso assicurare una
cosa."
"Cosa?"
"Io sarò sempre qui, Nate. E quando verrà il momento, saprò guarirti."
Capitolo 20
Il pentagramma era liscio e senza
giunture, senza pulsanti di accensione o alcuna indicazione su come
attivarlo. Aveva un aspetto banale – come un residuo di un film di
fantascienza di pessima qualità. Nate arricciò le labbra e guardò Alyssa.
"Sarà questo?" chiese scettico.
Ai loro piedi c'era il resto del contenuto della borsa di pelle che Max gli
aveva detto di trovare – una patata d'argento con una spirale disegnata da
un lato, un libro formato da fogli di metallo e qualche pezzo di pietra che
a Nate sembrò essere ambra grezza. Alyssa indicò gli oggetti.
"Visto che nessuno di questi sembra avere la forma di un pentagono … "
precisò. Poi puntò il dito sull'oggetto nero che Nate teneva in mano " … e
quello sì, a parer mio, dovrebbe essere quello."
Nate batté gli occhi un paio di volte. "Come faccio ad attivarlo? Come si
può pensare di chiamare a raccolta qualcuno con quest'affare?" Se lo girò
tra le mani, accigliandosi sempre di più.
"Non lo so." disse Alyssa, facendo eco al suo disappunto. "E' la prima volta
che lo vedo."
"Non l'hai mai visto prima?"
Lei scosse la testa, mordendosi un labbro.
"Non avverti un senso di inquietudine?"
Lei scosse ancora le testa.
"Perché no?"
"E perché dovrei?"
"Forse perché, a ciel sereno, Max se ne esce con questo dispositivo che non
abbiamo mai visto, ma che si suppone dobbiamo saper far funzionare? Se non
l'avessi notato, Max si è preso una vacanza mentale, ultimamente – come
facciamo a sapere che questa cosa non gli sia stata inculcata nella mente da
quel Nicholas o da quel Kevin?"
Alyssa smise di ridere e cominciò a sghignazzare.
"Cosa c'è?" chiese innocentemente Nate.
"Si chiama Khivar, non Kevin."
"Oh." Nate arrossì, poi un'ondata di disperazione lo sommerse. Come poteva
combattere un nemico di cui ignorava perfino il nome? Non aveva idea di chi
fossero quegli esseri o del perché lo volessero morto.
"Ti dirò io perché non possono essere stati i cattivi a mettere qui questo 'coso'."
disse Alyssa, toccandogli la mano e inviando un tremito per tutto il corpo
di Nate. "Perché mio padre ci ha portato qui, sapendo quello che dovevamo
fare. E se non fosse stata una cosa buona, lui non l'avrebbe mai fatto."
Si – ed era per questo che lui era rimasto fuori, invece di entrare nella
camera dei bozzoli con loro? Nate non poteva certo dare voce ai suoi
sospetti – lei, contrariamente a Nate, amava Michael e si fidava di lui.
"Okay, forse questa cosa è legittima." concesse lui. "Questo però, non mi
dice comunque come attivarlo."
Alyssa gli diede un’occhiata di assoluta comprensione, poi gli gettò le
braccia al collo. "Sai una cosa?" gli disse con voce morbida, quasi un
sussurro appassionato. "Se mio padre non fosse lì fuori, mi metterei in
ginocchio e mi sottometterei al mio Re, proprio adesso." E per puntualizzare
le sue parole, sollevo un sopracciglio e guardò la parte anteriore dei jeans
di Nate.
Per un attimo Nate fu tentato dall’offerta, il cuore che aveva cominciato ad
impazzire nel suo petto, prima di tornare ad un ritmo regolare. Era un
territorio inesplorato, qualcosa che Annie non avrebbe mai fatto, qualcosa
che Nate non era mai stato nemmeno sul punto di ricevere. Rimase senza
fiato, mentre un’ondata di calore gli traversò il corpo.
Ma passò velocemente, quando il resto delle parole di Alyssa penetrò nella
sua mente. Michael Guerin era fuori e il pensiero della sua furia nel
trovare la sua bambina che faceva ‘quello’ era abbastanza per raffreddare
chiunque. E, inoltre, lei lo aveva chiamato suo Re. Nate non si sentiva
affatto un re, ma aveva la consapevolezza di esserlo - doveva mettersi in
contatto con quella gente, far loro sapere che avevano bisogno del loro
aiuto.
Come se il solo pensiero avesse potuto evocarlo, il pentagramma cominciò a
ronzare nella sua mano e lui si staccò velocemente da Alyssa. Entrambi
guardarono attoniti una luce bianca dare la caccia a se stessa all’interno
del dispositivo, lentamente all’inizio, poi sempre più veloce, fino a
sembrare una luce fissa. Nate ne rimase ipnotizzato, affascinato dal fatto
che sembrava essersi attivato solo con la sua volontà. Chiuse all’improvviso
gli occhi, quando l’oggetto emanò un anello di luce blu, che passò
attraverso lui e Alyssa senza danneggiarli. Sembrò quasi un’esplosione di
energia statica, niente di più di una scarica causata da un paio di scarpe
sbagliate in una giornata secca di gennaio. Nate guardò la sua ragazza e
trattenne una risata; lei invece si aprì al sorriso.
"Va bene, Maestà." chiamò Michael, dall’entrata. "Basta giocare. Uscite da
lì e diamoci da fare."
Nate guardò l’ingresso della caverna – quel raggio era passato anche
attraverso Michael? Era così che aveva saputo che Nate l’aveva attivato?
Nate guardò il congegno e vide che la luce bianca aveva rallentato e si era
spenta. Il ronzio era svanito e il pentagramma si era fatto silenzioso.
"Fantastico!" disse Nate, girando il pentagramma da una parte all’altra. Poi
guardò in terra la patata argentata. "Mi chiedo cosa sia."
"Ora, vostra altezza!" arrivò l’ordine di Michael.
Nate sussultò leggermente, poi mise a terra il pentagramma e prese Alyssa
per mano. Si diressero insieme verso l’entrata, dove Michael li stava
aspettando, le braccia incrociate sul petto e le labbra increspate
dall’impazienza.
"Lo hai sentito?" gli chiese Nate, ancora sgomento.
Michael annuì. "E’ andata meglio della prima volta."
"La prima volta?"
"Tanto tempo fa – mi ha fatto cadere col sedere per terra."
Nate si meravigliò. la sensazione che aveva provato non avrebbe spostato un
moscerino. "Come ha fatto?"
"Qualcun’altro lo aveva attivato."
"Ma io pensavo che solo il Re …"
"E’ una lunga storia." Michael fece ondeggiare una mano. "Sei pronto per
cominciare il tuo addestramento?"
Nate si accigliò – evidentemente Michael non si fidava abbastanza da
raccontargli i segreti di famiglia. "Si, Obi-Wan." mormorò.
Per una volta, Michael decise di lasciar correre. "Alyssa, Zucchina, va’ a
sederti da qualche altra parte."
Alyssa mise il broncio. "Ma io voglio aiutarti."
"Non questa volta." Visto che non si muoveva, Michael chinò la testa da una
parte e la fissò serio. Alyssa si alzò lentamente ed andò a sedersi su una
roccia.
Nate le fece un sorriso, cercando di non farla sentire esclusa … cosa che in
realtà era.
"Ho procurato qualche bersaglio." disse Michael girandosi verso Nate e
indicando dietro di lui. Sulle rocce era stata preparata una serie di
lattine vuote di bibite e di birra. "Cominciamo col farle cadere, senza
necessariamente farle esplodere o altro."
A dimostrazione, tese la mano destra, si concentrò un attimo, poi l’ultima
lattina sulla sinistra cadde dietro la roccia; Nate la sentì rotolare via.
"Ora prova tu." disse Michael.
Nate si sentì ridicolo, mentre alzava la sua mano e la puntava contro la
lattina successiva.
"Cosa devo fare?"
"Immagina solo di farla cadere dalla roccia."
Avrebbe dovuto essere abbastanza facile. Aveva immaginato che il pentagramma
si mettesse in azione ed era accaduto, e allora quanto poteva essere
difficile questo? Nella sua mente, vide la lattina seguire quella fatta
cadere da Michael, scivolare nell’abisso, rotolare via nel vento. Senza
dubbio lo immaginò, perché non accadde nulla.
Nate sospirò e guardò vergognosamente il suo istruttore. Aveva sperato di
riuscire a farcela subito – Michael non aveva mostrato di avere una riserva
di pazienza inesauribile.
"Mi dispiace." mormorò.
"Non preoccuparti." disse Michael, con grande sorpresa di Nate. "Ci vorrà un
po’ di tempo. Rilassati e prova di nuovo."
Nate sollevò una mano, cercando di pensare alla lattina che volava via nel
vento, ma pensando invece ad Alyssa in ginocchio davanti a lui. Guardò
Michael con la coda dell'occhio, sperando che non avesse la capacità di
leggergli nella mente. Scuotendo la testa, cercò di scacciare l'immagine; ma
ormai era radicata stabilmente in lui, distraendolo. Lasciò andare il
respiro e guardò Alyssa, che gli stava sorridendo innocentemente dalla sua
postazione sulla roccia.
"Fai quattro passi." gli suggerì Michael. "Cerca di rilassarti e di
allentare la tensione."
Nate camminò in cerchio, sciogliendo i muscoli e respirando profondamente.
Cercò di far uscire dalla sua mente gli sconvenienti pensieri su Alyssa e si
fermò accanto a Michael. Concentrandosi con tutte le sue forze, sollevò la
mano in direzione delle lattine, pensando a una di esse che si disintegrava
nel nulla …
Non successe nulla.
Nate abbassò la mano e si guardò demoralizzato la punta delle scarpe. Con la
coda dell'occhio, vide Michael mettersi una mano sul fianco – aveva esaurito
la sua dose di pazienza? Avrebbe colpito il suo nuovo Re per sfogare la sua
frustrazione?
"Forse lo stiamo affrontando nel modo sbagliato." suggerì Michael, inducendo
Nate ad alzare lo sguardo su di lui. "Proviamo in un altro modo. Facciamo
finta che tu sia sotto attacco, che tu abbia bisogno di difenderti."
Si girò verso le lattine e una esplose in piccoli pezzi di alluminio, che
ricaddero sulla sabbia del deserto. Michael gli fece un ampio sorriso.
"Prova a immaginarlo. Cosa faresti?"
Okay. Forse, si disse Nate, aveva bisogno di pensare diversamente. Nella sua
testa, immaginò un esercito di cattivi, che non veniva per lui, ma per
Alyssa – Nate sapeva che l'istinto di proteggere lei era molto maggiore del
suo istinto di auto-protezione. Si voltò verso i bersagli, sentì crescere
l'energia nel palmo della sua mano, avvertì un attimo di esaltazione per
avercela finalmente fatta, poi uno schiacciante senso di vuoto quando un
definito velo verde apparve davanti a lui. Urlò, con una voce stridula
decisamente quasi femminile, e cadde con il sedere per terra, mentre la
nebbia verde si dissipava.
"Che diavolo era?" strillò Nate, guardando Alyssa, che lo fissava con i
grandi occhi scuri completamente spalancati.
Anche Michael era rimasto a bocca aperta, guardando il figlio di Max, con
gli occhi spalancati come quelli della figlia.
"Cosa è stato?" chiese ancora Nate, sull'orlo di una crisi isterica.
"Era … un campo di energia." rispose Michael, ovviamente perplesso.
Dopo essersi ricomposto, si strofinò le tempie e sospirò. "E' questo che
vorresti fare davanti ad un pericolo, Nate?"
Nate stava ancora elaborando il fatto di aver creato uno scudo, lo stesso
scudo di energia che Max gli aveva mostrato per provare che era un alieno –
quello scudo che lo aveva spaventato a morte. Si guardò incredulo il palmo
della mano.
"Vorresti solo trasformarti in un opossum?" chiese Michael, lasciando cadere
le mani dalle sue tempie.
"E' un modo per difendersi, papà." intervenne Alyssa.
Michael la guardò perplesso. A quanto pareva, lei sembrava comprendere i
mezzi di difesa passivi. Poi Michael tese una mano a Nate e lo aiutò a
rimettersi in piedi.
"Vedi … " cominciò a dire, mentre Nate si stava togliendo la polvere di
dosso. "Non voglio dire che usare lo scudo sia una brutta cosa. Sto solo
dicendo che tu hai bisogno anche di avere mezzi di offesa, oltre che di
difesa. Un giorno, lo scudo potrebbe non essere sufficiente per salvarti la
vita.
E allora, proviamo ancora, vuoi? Cerca di non pensare ad attivare quella
difesa."
Nate cercò di deglutire oltre il suo cuore che batteva impazzito, e guardò
ancora una volta le lattine intatte. Nessuno scudo verde, disse a se stesso.
Solo una intensa, brillante luce bianca.
Provò per altre 27 volte. E per 27 volte si ripresentò lo scudo. Svanita la
speranza, Nate rimase seduto sulla sabbia, mentre Michael ed Alyssa,
tenevano un piccolo conciliabolo tra mentori.
"Non riesco a capire." Nate afferrò quello che Michael stava sussurrando.
"Tutti possono farlo. Perché lui non ci riesce?"
Nate abbassò la testa. Si sentiva un fallito. Il fatto che Michael non
avesse infierito, rendeva le cose ancora peggiori. Perché non riusciva a
farlo? Non che finora Nate non fosse stato in grado di fare cose
inspiegabili – come far uscire Annie dalla trappola di Max, o guarire Max
stesso, o attivare il pentagramma. Perché non riusciva a colpire un paio di
lattine?
Nate guardò i bersagli. Era possibile che lui non avesse il potere di
distruggere? Forse Michael si era sbagliato – forse non tutti gli ibridi
avevano il potere di uccidere. A Nate non piaceva l'idea di essere costretto
ad uccidere, odiava la violenza. Nemmeno da bambino era stato coinvolto in
una lite a scuola. A differenza di tanti suoi compaesani, non riusciva a
trovare divertente lanciare una freccia o sparare un proiettile ad una
creatura bellissima come un cervo.
Mentre Alyssa e Michael continuavano la loro conversazione, Nate ripensò a
tutta la violenza cui aveva assistito nell'ultimo anno. Torture per mano
dell'FBI, la morte di Annie, la caccia agli ibridi dell'Agente O'Donnell e
dei suoi uomini, qualcuno che aveva percosso Max, violentato la sua mente e
l'aveva abbandonato a morire.
E tutto quello che era accaduto prima ancora che Nate arrivasse in città –
la morte di Alex Whitman, le torture dell'FBI subite da Max, sua madre che
si era sbarazzata di un hangar pieno di soldati e Dio solo sapeva cos'altro.
Nate strinse le mascelle dalla rabbia. Forse era per questo che lui non
riusciva a distruggere le cose – forse quando è troppo è troppo.
Forse c'era un altro modo.
Capitolo 21
La casa degli Evans era tranquilla ma,
ciò nonostante, sembrava percorsa da un ronzare di energia nervosa.
Nate sedeva demoralizzato sul divano, ascoltando i vari sussurri intorno a
lui. Presumeva che Michael avesse messo al corrente la prima generazione sul
suo fallimento nel produrre cariche di energia. Destino. Come sempre.
In corridoio, Isabel e Michael stavano parlando in toni sbrigativi, di
qualcosa. Nate odiava il costante, fastidioso rumore creato dalle loro voci
– lo faceva sentire a disagio.
Si sarebbe sentito molto meglio se uno di loro si fosse messo a gridare "Oh,
mio Dio. Moriremo tutti!". Sarebbe riuscito a fronteggiare il panico. Contro
l'ansia era impotente.
Subito dopo essere tornati a casa, Alyssa e Maria avevano preso la macchina
noleggiata per andare a casa di Maria a procurarsi vestiti puliti e a fare
una doccia. A Nate non sorrideva l'idea che andassero da sole, ma Alyssa lo
aveva rassicurato con un bacio che lei era una forte piccola ibrida – e che
poteva proteggere se stessa, se ne avesse avuto bisogno.
Dall'altra parte del soggiorno, Liz era seduta in terra e giocava tranquilla
con la sua bambina, facendo facce buffe che le facevano emettere risolini
adorabili. Nate sorrise a quella vista, poi sentì una morsa acuta nel petto.
Odiava il fatto che la sua sorellina fosse venuta al mondo in quel caos.
Che destino si preparava per la piccola Emily Evans? Sarebbe sempre stata
differente dagli altri bambini, avrebbe dovuto portare dentro di sé un
segreto che nessuno avrebbe dovuto conoscere. Nate aveva solo avuto dei
cenni da Alyssa, di come fosse stato crescere in quel modo. Lui era stato
abbastanza fortunato da avere un'infanzia trascorsa nella beata incoscienza.
Per Emily sarebbe stato differente.
Chi avrebbe frequentato? Nate si accigliò. Chi avrebbero frequentato i suoi
bambini? Alla fine, sarebbero stati costretti ad uscire fuori dalla loro
piccola cerchia. Pensò ad Isabel che si era innamorata di un outsider e era
stata costretta a mentirgli per tutto il tempo – mentire per omissione, ma
mentire comunque. Come doveva essere stato per lei, vivere ogni istante con
la paura che l'uomo che amava avesse potuto scoprire che lei era
un'imbrogliona, una traditrice, con la paura che per quello lui avrebbe
potuto smettere di amarla? Nate sapeva quanto Isabel e Jesse si amassero
l'uno con l'altra. In apparenza, Jesse era riuscito a vedere oltre la parte
soprannaturale di Isabel, e questo era stato sufficiente a trascorrere con
lei una vita felice.
Ma forse Jesse era un'eccezione. Non era possibile che tutti gli altri, lì
fuori, fossero così comprensivi.
Nella sua mente, Nate udì parole di scherno. 'Scherzo di natura!' o
'Mutante!' e il cuore gli fece male per la sua sorellina e per i suoi figli
ancora non concepiti.
Oltre alla minaccia di estinzione della loro razza e di romantiche
disillusioni, c'era anche la possibilità sempre presente di essere torturati
o uccisi. Nate ne era stato testimone in prima persona, avendo avuto un
posto in prima fila nelle torture. Questo era l'ombrello sotto cui avrebbero
dovuto vivere i giovani di domani – segreti e paura?
Nate sospirò più forte di quanto avesse voluto e attirò lo sguardo di Liz.
"Tutto bene?" gli chiese, sollevando Emily dal pavimento e girandola sul suo
grembo, in modo che lui potesse vederla.
Lo sguardo di Nate si posò sulla piccola e non poté fare a meno di
sorriderle. Emily batté gli occhi un paio di volte, poi ridacchiò felice e
scalciò contro le gambe incrociate di Liz. "Sto bene." disse Nate
dolcemente.
"E' naturale, lo sai?" rispose Liz, evitando i pugnetti di Emily che si
agitavano.
"Cosa è naturale?"
"Che tu non riesca a … uh, lo sai."
Mentre Liz, a disagio, distoglieva lo sguardo, come se gli avesse appena
detto che fosse naturale il fatto che lui non riuscisse ad avere
un'erezione, Nate pensò il contrario. No, non era naturale.
"C'è gente che mi sta cercando per uccidermi, Liz." le disse con voce
piatta.
Lei tornò a guardarlo. "Lo so. Ma tu non sei solo. Questo lo sai, vero?"
Lui annuì in silenzio, poi vide Liz abbassare lo sguardo ancora una volta.
Lei stava solo cercando di aiutarlo, ma aveva peggiorato le cose. Nate provò
compassione per lei.
"Ho bisogno di bere qualcosa." le disse, alzandosi. "Vuoi che porti qualcosa
anche a te?"
Lei scosse la testa, apparendo sollevata che la loro breve conversazione
fosse finita. "Grazie comunque."
In cucina, Nate trovò Max seduto al tavolo da solo, che guardava un sandwich
mangiato solo a metà. Il suo sguardo era lontano e stava così immobile che
Nate si chiese se si fosse addormentato con gli occhi aperti. Ma quando lui
aprì il frigo, Max si girò verso di lui e gli sorrise – quel sorriso aperto
ed affascinante che Nate non vedeva più da molto tempo.
"Ciao, Nate." gli disse Max, allontanando il sandwich.
"Hey, Max." rispose Nate, prendendo una limonata. Tese la bottiglia verso
Max e sollevò un sopracciglio in richiesta. Max annuì e Nate prese allora
due bicchieri dalla credenza. "Come ti senti?"
"Meglio." rispose Max, sebbene la sua voce suonasse ancora un po' stanca.
Nate si mise a sedere di fronte a lui e versò la limonata, lasciando andare
un profondo respiro.
"Hai fatto quello che ti ho detto?" gli chiese Max.
Nate annuì. "Quando arriveranno?"
"Presto."
"Devo andare ad aspettarli da qualche parte?" Forse doveva tornare alla
camera dei bozzoli, dove aveva attivato il pentagramma.
"No." Max prese il resto del panino e Nate vide cosa conteneva – burro di
arachidi e marmellata.
"Come farò a trovarli?"
Max sollevò lo sguardo e sorrise. "Ti troveranno loro."
"Come?"
"Sapranno dove sei. Non preoccuparti – ti troveranno."
Nate guardò suo padre in silenzio, chiedendosi quanto fosse stabile la mente
di Max. In quel momento sembrava più normale di quanto lo fosse stato
recentemente, ma era certamente ancora un po' distante, come se le sue
sinapsi funzionassero con mezzo secondo di ritardo. "Max?"
"Hmm?"
"Cosa dovrò fare quando saranno qui?" Lo stomaco di Nate cominciava a
torcersi – era una domanda che lo aveva terrorizzato – ma ora aveva ancora
più paura della risposta.
"Dovrai dire loro cosa fare." disse Max semplicemente.
Nate strinse le mascelle. "Vuoi dire che dovrò dire loro di uccidere
Nicholas e Kev – Khivar?"
Max si strinse nelle spalle. "E' questo che vuoi che facciano?"
Nate fissò il piano della tavola, confuso dalle sue emozioni. In realtà, non
avrebbe voluto uccidere nessuno. Lui voleva solo vivere. Ma se lui voleva
garantirsi il diritto alla vita – perché Nick e Kevin non avrebbero dovuto
fare altrettanto?"
"Come puoi convivere con questo?" chiese a bassa voce. Nella sua mente, si
rivolse la stessa domanda – come farai a convivere con te stesso?
Max spiluccò il panino. "Vuoi dire se dovessi prendere una decisione
drastica?"
Nate annuì. Voleva dire proprio quello – o quasi. Lui intendeva riferirsi
specificatamente all'assassinio e non era una decisione drastica?
Max si appoggiò alla spalliera della sedia, la sua espressione pensierosa
per un lungo momento. "Devi fare quello che è necessario fare, Nate. Tutto
quello che devi fare è dare il giudizio migliore. Dopo aver soppesato tutti
i fatti e dopo che avrai cercato nel tuo cuore la decisione migliore, devi
fare quello che reputi giusto. Questo ti darà la possibilità di dormire
ancora, la notte."
Nate lo guardò perplesso. "Ma uccidere qualcuno, come può essere la
decisione giusta? Cosa mi dà più diritto di vivere rispetto a loro?"
Max lo guardò per un momento, poi il suo pensiero sembrò andare alla deriva,
mentre guardava fuori dalla finestra, in fondo alla tavola. Fuori si stava
facendo buio – la conclusione del giorno del fallimento di Nate.
"Avevo un capo, quando lavoravo al Centro UFO." cominciò finalmente a dire
Max, con lo sguardo ancora fisso su qualcosa fuori, o forse fisso nel vuoto.
"Brody Davis. Sbucò fuori un giorno, all'improvviso, acquistò il museo dal
vecchio proprietario e cominciò a riempirlo di sofisticate attrezzature.
Proprio in quei giorni, il guardiano di Tess - il mutaforma - fu ucciso."
Staccò gli occhi dalla finestra e sospirò, guardando suo figlio. "C'erano
molti cose che indicavano Brody come l'assassino. Sapevamo che i nostri
nemici ci avevano trovato, che erano alla nostra porta."
Nate deglutì. Loro l'avevano ucciso.
Max tornò a guardare lontano, teso in un profondo respiro.
"Michael e Isabel avrebbero voluto ucciderlo. Senza fare domande, lasciando
che parlasse l'evidenza."
"E tu cosa hai fatto?" gli occhi azzurri di Nate erano spalancati.
"Siamo andati al Centro UFO, dopo l'orario di chiusura, per ucciderlo." Lo
sguardo di Max era fermo, ma Nate vi scorse la scintilla di qualcosa –
vergogna e rimpianto. "Come una squadra di killer alieni."
Il corpo di Nate fu percorso ad un'ondata di sacro orrore. "Lo avete fatto?"
Gli occhi di Max si posarono sul ripiano del tavolo. Dopo pochi secondi,
scosse lentamente la testa. "No."
Nate lasciò andare il respiro, che non si era nemmeno accorto di trattenere.
"Non ho potuto." continuò Max. "E non ho potuto nemmeno permettere che lo
facessero loro. Mentre stavamo andando da Brody, mi sono tornate in mente
tutte le cose brutali accadute in quell'ultimo anno – Liz che veniva
colpita, la morte di Pierce, le torture alle quali mi aveva sottoposto l'FBI
… " La sua voce venne meno e Nate vide un duro, gelido sguardo nei suoi
occhi in genere così luminosi. Forse non era quello l'argomento migliore di
cui parlare subito dopo che Max era stato di nuovo torturato.
"Era un nemico?" chiese Nate, cercando di sviare la mente di Max da quei
ricordi crudeli.
"No." rispose lui, scuotendo ancora la testa. "Era un rapito."
Nate sollevò un sopracciglio.
Max sorrise e sollevò una mano. "E' una storia lunga, meglio conservarla per
qualche momento di noia."
"Dov'è adesso?"
"E' morto." rispose Max, mentre il suo atteggiamento scivolava di nuovo
nella malinconia. "Cause naturali – un tumore alle ossa. Era un brav'uomo.
Sarebbe stata una brutta scelta quella di ucciderlo."
Nate giocherellò col bicchiere, asciugando la condensa che si era formata
all'esterno, poi guardò cautamente suo padre. "Max, io non voglio … um, io
non voglio uccidere nessuno."
Max lo guardò un po' sorpreso. "La maggior parte della gente non lo vuole,
Nate."
"Pensi … pensi che dovrei uccidere Nicholas e Khivar?"
Max rimase in silenzio. Nate poteva solo immaginare quello che gli stava
passando per la testa – dopo venti anni di battaglie contro quei nemici, la
sua risposta avrebbe dovuto essere si. Max e gli altri sarebbero stati
liberi da quella minaccia una volta per tutte. Ora c'era questa possibilità
che bussava alla porta di Nate. Un regalo dagli dei – con un grosso fiocco
rosso sopra.
"Quali sono le tue alternative?" chiese alla fine Max.
Nate si trovò a lottare alla ricerca di una risposta da dargli, ma si rese
conto di non averne nessuna. "Non lo so."
Si accigliò – odiava trovarsi in imbarazzo. "Non c'è un'altra strada?
Dobbiamo sempre avere a che fare con morte e distruzione?"
Max lo studiò in silenzio, poi guardò ancora fuori dalla finestra.
Stancamente, appoggiò la guancia sul suo pugno, lo sguardo lontano, forse
nel suo rifugio felice. Se c'era qualcuno che in quel momento voleva la
pace, quello era Max.
"Non c'è una possibilità di pace?" chiese Nate, implorante.
"Sono degli assassini, Nate." gli disse Max, misurando le parole. "Loro non
vogliono la pace. Loro vogliono te. Vogliono la tua morte."
Una raccapricciante sensazione di morte strisciò sulla pelle di Nate,
facendogli rizzare i capelli sulla nuca.
Max guardava ancora fuori dalla finestra quando aggiunse "Non si fermeranno
fino a che tu non sarai morto. Sono come cani rabbiosi." Lasciò cadere la
mano e guardò negli occhi suo figlio. "E allora no, non c'è possibilità di
pace."
La disperazione colpì come una palla di cannone lo stomaco di Nate. Avrebbe
dovuto dare l'ordine di ucciderli – due esseri che lui non aveva nemmeno mai
visto. Naturalmente, aveva visto quello che avevano fatto a Max e sapeva che
tutto quello che lui gli aveva detto era vero.
"Allora li uccideremo." disse Nate, forzando le parole ad uscire dalla
bocca. "E dopo? Chi sarà il prossimo? Quando finirà tutto questo?"
Nate vide un lampo di scuse negli occhi di Max. Ne avevano parlato tante
volte – non era questo quello che lui avrebbe voluto per suo figlio. Si
supponeva che Nate dovesse rimanere a New York, per vendere esche e per
andare al college, e non seduto ad un tavolo a Roswell a pianificare un
assassinio.
"Mai?" chiese Nate retoricamente, in tono sconfitto.
Max si morse il labbro inferiore, poi guardò ancora la finestra. Nate
credette di aver visto una lacrima all'angolo del suo occhio – sicuramente
il risultato della fragilità del suo stato mentale.
"Mi dispiace." gli disse Max sottovoce. "Mi dispiace veramente."
Nate sentì un'ondata di empatia per lui. "Lo so, Max. Ma non c'è nulla che
possiamo fare per migliorare le cose?"
Max scosse lentamente la testa, poi il suo sguardo si posò su qualcosa
all'esterno. "Nate, hai un visitatore."
Capitolo 22
Era alta, snella, i capelli scuri e
gli occhi di un azzurro penetrante. Portava un completo di lino - giacca e
pantaloni scuri, molto poco femminile. Mentre Nate se ne stava silenzioso
nell’atrio di casa Evans, non poté fare a meno di guardarla. Era bella a dir
poco … ma non in un modo interamente umano. C’era qualcosa di innaturale nei
suoi occhi, nel modo in cui sembrava guardare direttamente nella sua mente.
Ovviamente, Nate non era spaventato da lei, piuttosto era sgomentato.
La cosa più incredibile era stata che, vedendolo, si era portata una mano al
petto e si era chinata leggermente. "Mio signore." gli aveva detto
sobriamente.
Era stato quel ‘mio signore’ che aveva lasciato Nate a corto di parole.
"Nate." disse Max alle sue spalle, un riso soffocato nella sua voce. "Questa
è Aubrey."
Aubrey sollevò la testa e sembrò sorpresa di vedere Max sulla soglia della
porta. Almeno, fece un’espressione che Nate interpretò come sorpresa – la
sua espressione facciale era un po’ smorzata rispetto a quella normale del
genere umano.
"Signore." disse, accennando un sorriso in direzione di Max.
Nate guardò oltre la sua spalla, per vedere Max che abbassava la testa in
direzione di Aubrey, in un confidente cenno di saluto.
"Aubrey era la moglie dell’Agente Darmon." spiegò Max a Nate, con un accenno
di dolore nel suo sguardo. Poi si girò verso la loro ospite, con
un’espressione triste. "Mi dispiace così tanto, Aubrey. Era un brav’uomo."
Se Aubrey era sconvolta, non lo diede a vedere. Quelle creature si
rattristavano quando perdevano il loro compagno di vita? Tutto sommato,
erano poi così differenti?
"E’ morto facendo quello per cui era nato." dichiarò Aubrey. "Proteggere il
suo re."
Max sorrise, ma era un sorriso dolceamaro. "Mi ha salvato la vita." Il suo
tono era distante, pieno di ricordi sgraditi. Mise una mano sulla spalla di
Nate. "Lui ha contattato Nate e gli ha detto dove trovarmi. Nate mi ha
guarito – so che ti stai chiedendo come mai sono qui. Se l’Agente Darmon non
avesse fatto quello che ha fatto, io sarei morto, Aubrey. Gli devo la vita."
Queste parole sembravano aver fatto effetto su di lei, ma Nate non riuscì a
capire quale fosse esattamente. Quella razza aveva dei cambi di espressione
molto lievi.
"Una volta ha aiutato a salvare anche me." aggiunse Nate, come dono di
gratitudine.
Lo sguardo di Aubrey si spostò su di lui e Nate dovette combattere il
bisogno di guardare altrove.
"E’ vero." disse Max, stringendogli la spalla. "Lo ha fatto. Saremo sempre
in debito con la tua casa. Grazie."
Aubrey chinò ancora una volta la testa, accettando la loro riconoscenza.
Poi, come se niente fosse accaduto, sollevò la testa ed entrò in pieno modo
di fare militare.
"Stabilirò il perimetro." annunciò, rivolgendosi direttamente a Nate.
"Quando arriveranno gli altri, saremo pronti a seguire qualsiasi ordine tu
ci darai."
Lui cercò di non strozzarsi, mentre il suo stomaco ricominciava a
contorcersi. Ordini? Stabilire il perimetro? Questa persona stava aspettando
direttive da lui, ma lui non ne aveva nessuna. Sicuramente l’avrebbe capito.
"Va bene." si limitò a dire, in modo poco convincente. Va bene? Dentro di
sé, si sentì rimpicciolire. Era davvero un idiota.
"Grazie, Aubrey." aggiunse Max, il riso soffocato ancora una volta presente
nella sua voce.
"Sarò qui fuori, se avrete bisogno di me." disse loro, inchinandosi prima di
uscire.
Nate la vide girare sui tacchi e camminare a passo veloce intorno alla casa,
guardando sul tetto, prima di scomparire nell’ombra. Fece una smorfia. "Um,
Max? La gente non la noterà, mentre fa la guardia alla casa?"
Max scoppiò a ridere e chiuse la porta, bloccando la vista a Nate. "No.
Aubrey è brava quanto lo era l’Agente Darmon. Lei, ora, è la tua personale
guardia del corpo. Ecco perché è stata la prima ad arrivare."
Nate si infilò le mani nelle tasche, sentendosi a disagio, mentre guardava
Max tornare in cucina, al suo panino di burro e marmellata. Se Aubrey era
stata capace di trovarlo così facilmente, chi poteva dire se quel maledetto
Khivar e il suo scagnozzo non sarebbero stati capaci di fare altrettanto?
Alyssa comparve improvvisamente al suo fianco, facendo scivolare il suo
braccio sotto quello di lui, un raggio di sole nella tetraggine di Nate.
"Chi era, tesoro?" gli chiese.
"Il mio angelo custode." rispose lui distrattamente, mentre guardava Max
scomparire in cucina.
"Davvero?" La voce di Alyssa salì in modo stridulo nel finale, sorpresa.
Aprì la porta e sbirciò fuori. Poi si girò e chiamò "Zio Max!"
Max fece capolino dalla porta della cucina.
"Posso incontrarla?" C’era eccitazione nella voce di Alyssa, cosa che
confuse Nate.
Max annuì e scomparve ancora una volta.
Alyssa strinse felice il braccio di Nate. "Non ne ho mai incontrato uno."
Sorpreso, Nate sollevò le sopracciglia. "Uno di chi?"
"Dei protettori. Papà me ne ha sempre parlato e zio Max ne ha sempre avuto
uno, ma io non ne ho mai incontrato uno!" Fece una risata da ragazzina, poi
infilò la porta e scomparve nella notte.
Nate finse di non vedere la sua euforia. Lui non si sentiva così eccitato
dall’arrivo di Aubrey, ma forse Alyssa era più motivata di lui. Dopo tutto,
per lei, era solo un altro giorno della sua vita – per Nate, era tutto
ancora molto confuso.
In cucina, trovò Max che stava gettando quello che rimaneva del suo panino
nella spazzatura. Ancora una volta gli sembrò stanco, più vecchio dei suoi
anni – Nate immaginò che Max sarebbe tornato subito a letto.
"Posso farti una domanda?" gli chiese incerto Nate, cercando di infilare più
che poté le mani nelle tasche.
Max si lavò le mani, le asciugò in una salvietta ed annuì.
"Se Aubrey è riuscita trovarmi … " trovava difficile dire quelle parole.
"Voglio dire … non possono fare altrettanto Khivar e Nicholas?"
Max non cercò di addolcirgli la pillola. Annuì semplicemente, con
espressione seria.
Nate deglutì, mentre il terrore si impadroniva del suo corpo. "E non
dovremmo essere preoccupati di questo fatto?"
"Aubrey è qui." disse Max rassicurante."Nessuno passerà se c’è lei."
Ma qualcuno era passato sopra l’Agente Darmon. E nel peggiore dei modi. Nate
guardò con circospezione suo padre.
Max sembrò avergli letto nella mente. Sospirando, si appoggiò contro il
bancone e guardò stancamente suo figlio. "E’ stata una trappola." spiegò.
"Khivar e Nicholas sono stati lontani per vent’anni. Noi abbiamo abbassato
la guardia." fece un profondo respiro e scosse la testa – per vergogna o
rabbia, Nate non poté dirlo. "Non succederà ancora."
Nate voleva credergli. Voleva assolutamente credere che quella casa fosse
sicura, con quella insolita, bellissima aliena che perlustrava l’esterno.
Ma, a dire il vero, non si era mai sentito più nudo, più esposto, in tutta
la sua vita.
Nel suo primo gesto di affetto da quando Nate lo aveva guarito, Max si
avvicinò e diede a Nate un forte abbraccio.
Per un momento, Nate fu commosso dal quel gesto, confuso da quella
improvvisa manifestazione di sentimento. Ma quando Max si tirò indietro,
Nate vide che i suoi occhi erano lucidi di lacrime e si ricordò che Max
stava appena ricominciando a mettere piede nel loro mondo.
"Andrà tutto bene." gli disse Max, cercando di sorridere, mentre dava a Nate
uno scherzoso pugno sul mento. "Tu sei un Evans – andrà tutto più che bene."
Nate gli ricambiò il sorriso, non sapendo cosa dire.
Il sorriso di Max svanì e il suo comportamento tornò serio. "Lei non lascerà
che accada nulla di male a nessuno di noi. Credimi. Ora devo tornare a
letto. Non è che mi senta poi così bene."
Nate annuì in silenzio e Max fece la sua uscita. Vide che Liz gli stava
venendo incontro a metà strada, con Emily poggiata su un fianco; Max le mise
un braccio intorno ed il trio si ritirò in camera, una traumatizzata,
scioccata famigliola. La visione era nello stesso tempo bellissima e
straziante.
Sentendosi improvvisamente claustrofobico, Nate aprì le porte scorrevoli,
uscì nel patio e posò lo sguardo sul cespugli, chiedendosi se il suo
protettore e la sua ragazza fossero nascoste lì dietro. Era così intento a
guardare il boschetto, che non si accorse che Isabel era seduta in piena
vista sul dondolo.
"Chiudi la porta." gli disse sottovoce. "Mamma sente pure se una pulce entra
in casa."
Nate sobbalzò leggermente al suono della sua voce, poi chiuse la vetrata.
Isabel posò la mano sul posto vuoto sul dondolo, accanto a lei. "Siediti qui
accanto a me."
Nate si sedette, sentendosi un po' nervoso nel trovarsi all'aperto.
"Rilassati." gli disse Isabel, lasciando andare un sospiro di stanchezza e
cominciando a muovere il dondolo con le sue lunghe gambe. Poi guardò il
cielo, mentre si dondolavano avanti e indietro in silenzio. "Quando ero
piccola," disse alla fine, con lo sguardo ancora fisso sulle stelle, "ero
solita sognare di avere una casa lassù. Piena di gente come me."
Nate la guardò in silenzio, pensando a come doveva essere difficile per una
bambina crescere senza conoscere nulla della sua origine.
"Poi un giorno ho scoperto di avere veramente una casa lassù." Le sue labbra
si piegarono in una espressione corrucciata. "E che non era una casa dove
sarei voluta tornare. E che non era detto che le persone come me mi
sarebbero piaciute." Isabel posò lo sguardo su suo nipote. "Non l'abbiamo
mai voluto, sai? Max non ha mai voluto essere re. Io non ho mai voluto
essere una principessa."
"Che cosa avresti voluto essere?" chiese Nate quietamente.
Il viso di lei era una maschera di assoluta ironia. "Umana."
Nate le diede un'occhiata di simpatia.
"Più di qualsiasi altra cosa, credo che tutti noi ci siamo resi conto che
volevamo solo stare qui, per condurre una vita umana. Io ho sposato un
umano. Max e Michael hanno delle mogli umane. Perché ci dovrebbe interessare
quello che succede lassù?"
"Non potremmo abdicare al trono?" chiese Nate stringendosi nelle spalle.
"Non potremmo scegliere qualcun altro, con la promessa che non torneremo mai
e che non governeremo mai il loro mondo?" Lui, di sicuro, non avrebbe voluto
farlo
Isabel scoppiò a ridere. "Oh, Nate. Come sei innocente rispetto a tutta
questa storia!"
A Nate piaceva sua zia Isabel. Pensava che fosse amabile, premurosa e
bellissima. Ma odiava il fatto che lo avesse chiamato 'innocente'.
All'improvviso si sentì un imbecille. Una specie di re idiota.
Isabel si sporse in avanti e gli posò una mano sulla spalla. "Non
prendertela così - non intendevo insultarti. Volevo solo dire che se fossi a
conoscenza della metà delle cose che sappiamo noi, la tua scelta non sarebbe
così difficile."
Nate la guardò incuriosito. "Quale scelta?"
"Quella di ucciderli." gli disse senza mezzi termini, come se gli stesse
dicendo che doveva andare al supermercato a comprare del formaggio.
Nate scosse la testa.
"So quello che stai pensando." aggiunse lei."Anche io volevo la pace e tutto
il resto, quando avevo la tua età. Poi ho guardato in faccia la più pura
malvagità e ho saputo che la pace non esisterà mai. Non per me. Non per Max.
Non per nessuno di noi."
Affascinato, Nate la pressò. "Cosa è successo?"
"Ho incontrato uno Skin. Un nemico. Nicholas e Khivar sono Skin. E lo era
anche la senatrice Whitaker." Lei guardò ancora il cielo, persa nei suoi
pensieri. "Lei rapì tua madre. O almeno credo che lo abbia fatto – è stato
sempre difficile stabilire cosa fosse vero e cosa una illusione creata da
Tess." Sollevò una mano, nel gesto di respingere il pensiero. "Non importa.
Quello che importa è che la Whitaker prese Tess per arrivare a me."
Lui la ascoltò in silenzio – era raro che qualcuno gli parlasse così a lungo
di sua madre.
"Così, io ho trovato Tess e la Whitaker ha trovato me. E in quella occasione
ho scoperto che fuori da questo pianeta, c'erano esseri che non erano
interessati alla pace o ad ottenere un trono per mezzo di un trattato."
Guardò in terra, una scura maschera di emozione nei suoi occhi. "Allora ho
fatto quello che dovevo fare."
La sua prima uccisione. Nate seguì lo sguardo di lei verso terra; poteva
quasi vedere l'ombra della perdita della sua innocenza.
"Non devi farlo tu stesso." disse Isabel, sollevando lo sguardo su di lui.
"Devi solo dare ordine al tuo seguito perché ci aiuti."
Così, lui avrebbe potuto emettere una condanna a morte, come un giudice, e
lavarsene le mani … era una magra consolazione. Fece un cenno con la testa,
solo per farle capire che la stava ascoltando.
Dopo un lungo silenzio tra di loro, Isabel gli chiese curiosa "Come è andato
il tuo allenamento di oggi con Michael."
Nate sbuffò. "Orribilmente. Non sono riuscito a far esplodere niente." Era
umiliante da ammettere.
Fu ancora più imbarazzante quando lei scoppiò a ridere.
Lui la guardò indignato.
"Non è una cosa divertente." brontolò.
"So che non lo è." disse Isabel, continuando a ridere e appoggiandogli una
mano sul ginocchio per confortarlo. "E' solo che assomigli sempre di più a
Max."
Nate la guardò perplesso e lei si strinse nelle spalle.
"Nemmeno lui riesce a far esplodere le cose."
Capitolo 23
Nate e Isabel stettero in piedi fino a
tardi, finché sull'intero vicinato non scese il silenzio. Parlarono di
vecchie storie accadute su un pianeta lontano, di quando Isabel era stata
Vilandra, di come lei avesse avuto una relazione col crudele Khivar, di come
lui avesse distrutto tutta la sua famiglia. Fu Isabel a parlare per la
maggior parte del tempo, Nate si limitò ad ascoltare mentre lei collocava i
pezzi del rompicapo sulla lavagna, raccontando la falsità del loro nemico.
Nate sapeva una cosa di sicuro – Isabel Evans non era quella persona, non
era la Vilandra dell'altra vita. Lui non l'aveva conosciuta, ma sapeva che
nulla di quello che Isabel aveva detto la descriveva in qualche modo. La
rinascita le aveva fornito una nuova personalità e ora lei era tutto fuorché
la traditrice della sua famiglia. Quando Nate espresse ad alta voce la sua
opinione, lei gli sorrise dolcemente e gli poggiò una mano sul braccio.
Sembrava che Isabel avesse passato anni a riflettere su cosa fosse, se il
tradimento scorresse ancora nelle sue vene, per arrivare alla conclusione
che lei era effettivamente una persona nuova.
Erano ormai le tre del mattino, quando Nate guidò verso la piccola casa di
Maria, nella zona più popolare di Roswell. Seduta sul sedile del passeggero
accanto a lui, Aubrey stava immobile, ma lui sapeva che il suo sguardo
spaziava in continuo movimento e i suoi sensi innaturali erano in continua
allerta alla ricerca di ogni segno di pericolo.
Per Nate era quasi raccapricciante averla accanto ogni cosa facesse, ma
sembrava che lui non avesse altra scelta – come lui era salito in macchina,
lei era semplicemente scivolata sul sedile del passeggero senza dire una
parola. Nate aveva aspettato una spiegazione che non era mai arrivata. E lui
sapeva il perché – la missione di Aubrey era una. Proteggere il re. Era
quello che lei aveva definito il suo dovere e Nate era sicuro che lei non
vedeva la ragione di spiegargli perché lo seguisse ad ogni passo.
Entrato nel viale, Nate fermò l'auto e spense le luci. Poi si girò verso il
suo protettore.
"Vuoi venire dentro?" le chiese.
Lei scosse la testa e per un attimo incontrò lo sguardo di lui, prima di
tornare a scrutare i cespugli fuori dall'auto.
"Dove dormirai?" le chiese ancora Nate.
Aubrey inclinò la testa e lo guardò confusa. "Io non ho bisogno di dormire."
Le sopracciglia di Nate si incurvarono. Cosa avrebbe ottenuto stancandosi
fino allo stremo? Chi avrebbe voluto i servizi di una guardia del corpo
esausta?
"Mai." specificò lei.
Le sopracciglia di Nate si alzarono ancora di più. "Davvero?"
Lei fece un breve cenno con la testa. "Starò fuori. Perlustrerò il
perimetro. Riposa tranquillo – sei al sicuro." Detto questo, scese dall'auto
e scomparve ancora nell'ombra.
Nate la seguì con lo sguardo, grattandosi la testa. Non era sicuro che gli
piacesse avere intorno quella creatura ossessionata dal perimetro – lui non
poteva fare nulla senza che lei lo sapesse. Era una sensazione
raccapricciante.
Una volta entrato, Nate si diresse in silenzio nella camera da letto di
Alyssa, lo scricchiolio del pavimento della vecchia casa che si risvegliava
al suo passaggio. Si morse il labbro inferiore, sperando di non svegliare
nessuno – soprattutto Michael. Sebbene ,avrebbe voluto chiedergli perché gli
avesse mentito sulla sua capacità di far esplodere le cose …
Pensieri di bugie sparirono in fretta, quando Nate aprì la porta della
camera di Alyssa. Lei stava dormendo, sdraiata su un fianco e rivolta verso
di lui. Nate sorrise e si chiuse la porta alle spalle. Si tolse le scarpe,
sollevò le lenzuola e vi scivolò sotto. Toccò col ginocchio quello di lei,
allora stese le gambe. Nella penombra creata dalla luce della luna che
penetrava dalla finestra, vide lo scintillio della collanina che le aveva
regalato per il compleanno e che portava attorno al collo. Lei non se l'era
più tolta, proprio come aveva promesso. Allungando le dita, toccò la gemma
sorridendo dolcemente.
La malinconia si impossessò di lui, mentre guardava Alyssa dormire
tranquilla al suo fianco. In quel momento c'erano così tante incertezze,
tanta agitazione – non sapeva nemmeno se sarebbe vissuto tanto a lungo da
chiederle di sposarlo. Ma, in mezzo a tutta quella angoscia, Nate poteva
trovare rifugio in una cosa – Alyssa. Un anno prima la conosceva a malapena
e ora si sentiva così strettamente legato a lei da poter dire che lei aveva
la chiave del suo respiro. Quando lui era ansioso o preoccupato, tutto
quello che doveva fare era pensare a lei, alla sua vera essenza e si sentiva
subito rilassare. Per dirla in breve, senza di lei nella sua vita Nate si
sarebbe perso.
Alyssa fece un lungo respiro e mormorò qualcosa nel sonno.
Nate sorrise e le poggiò una mano sulla spalla. Lei aprì gli occhi un paio
di volte, poi lo ricambiò con un sorriso pieno di sonno.
"Ciao." le sussurrò Nate.
"Mmm." disse lei, richiudendo gli occhi.
"Mi sei mancata."
Lei annuì la sua risposta.
Nate la vide mettere lentamente a fuoco il sorriso, poi il suo respirò
riprese un ritmo regolare. Nate ci rimase male. Avrebbe voluto che restasse
sveglia, per parlare con lei delle sue paure e dei suoi dubbi.
"Ho fatto un sogno." gli disse lei sottovoce, e Nate si sorprese del fatto
che fosse ancora sveglia.
"Si'" le chiese. "E cosa hai sognato?"
Lei socchiuse appena gli occhi. "Noi."
Studiando la sua espressione, Nate non fu certo che fosse stato un bel
sogno. Dopo tutto, molti dei sogni di Alyssa si erano rivelati profetici – e
se avesse visto qualcosa di brutto che li riguardava? "Cosa di noi?"
"Eravamo insieme." lei sospirò. "Solo tu ed io."
Nate aspettò il seguito che non arrivò. "Un brutto sogno?"
Alyssa, ancora insonnolita, scoppiò a ridere. "No. Un bel sogno." Allungando
una mano sotto le lenzuola, gli prese una mano tra le sue. "Stavamo facendo
l'amore … vicino ad un laghetto." La sua voce si affievolì e questa volta
Nate non ebbe alcun dubbio che lei si fosse riaddormentata.
"Alyssa." le disse vicino all'orecchio.
La respirazione di lei si fece irregolare e gli sospirò la risposta.
"Voglio vederti."
Alyssa aprì gli occhi ancora una volta, ma Nate non riuscì a vedere la sua
espressione.
"Non dobbiamo fare niente." la rassicurò lui. "Voglio dire, so che siamo in
casa dei tuoi genitori. Ma tu sei la cosa più bella che mi sia capitata
nella vita e voglio solo restare a guardarti."
Lei gli sorrise dolcemente, poi fece un respiro più profondo e si mise a
sedere; Nate le poggiò una mano dietro la schiena per aiutarla. Poi, alla
luce della luna, la vide sfilarsi la maglietta dalla testa e tirare
l'indumento ai piedi del letto. Poi si voltò verso di lui, con la forma
illuminata dalla luce azzurra che arrivava dalla finestra e Nate restò senza
respiro. Lei si fermò per un attimo, poi si guardò la parte inferiore del
corpo e, senza dire nulla, cominciò a sfilarsi la biancheria intima.
Nate la prese per i polsi.
"No." le sussurrò. "Basta così." I suoi occhi percorsero il corpo illuminato
dalla luna e Nate avvertì le lacrime che minacciavano di uscire. "Sei così
bella."
Alyssa sorrise timidamente, mentre si poggiava una mano sul petto per
coprirsi, in un gesto di pudore per lei inusuale. Nate scosse la testa e le
prese la mano. La baciò sul dorso, poi le carezzò la spalla nuda. La pelle
di lei era così morbida sotto la sua mano, così liscia. Tracciò un sentiero
dalla scapola, giù per la spina dorsale, fino alla vita sottile. Lei lo
guardò in silenzio. Arrivato alla vita, girò intorno al suo ventre piatto e
fece scivolare la mano sullo sterno, fermandosi tra i seni prima di deviare
da una parte, toccandole leggermente un seno con le dita.
"Ti amo così tanto." le sussurrò incontrando il suo sguardo.
Credette di vedere delle lacrime negli occhi di lei. Alyssa coprì la mano di
Nate con le sue, poi si chinò per baciarlo a lungo e intensamente sulle
labbra. Il bacio finì comunque troppo presto quando lei si tirò indietro e
si piegò lentamente sul corpo di lui. Lui appoggiò il suo mento sul petto e
la seguì con lo sguardo, curioso, ma rimase quasi senza fiato quando la vide
aprire la zip dei suoi pantaloni. Immediatamente la prese per le spalle e
lei lo guardò.
"Non qui." le disse, girando gli occhi verso la porta.
Ma Alyssa sorrise e si strisciò contro di lui, facendolo arrossire. Incapace
di fermarsi, Nate la prese tra le braccia, poggiandole le mani sul sedere
tornito.
"Tu vuoi vedermi." gli disse prendendolo in giro. "Ed io voglio
assaggiarti."
E con questo, mentre Nate cadeva in un silenzio sbalordito, riprese il suo
assalto. Nella mente di lui passarono un milione di pensieri stupidi, tra i
quali quello che avrebbe voluto farsi una doccia prima di andare lì. Ma
tutti i pensieri sparirono quando la sentì liberarlo dei jeans, il cuore che
cominciò a battergli forte il petto. Era un territorio nuovo, inesplorato –
e lui ne era affascinato e terrorizzato allo stesso tempo.
"Santo Cielo." sussurrò con voce roca mentre lei lo baciava dove nessuna
l’aveva mai baciato prima.
"Nate." lo chiamò piano Alyssa.
Lui sollevò la testa e la guardò. Lei girò la testa da una parte all’altra –
dalla vecchia camera da letto di sua madre non arrivava nessun rumore. Nate
annuì per indicarle che aveva capito, poi ricadde sul cuscino afferrando le
lenzuola con i pugni stretti. Per un lungo momento fissò il soffitto,
cercando di concentrarsi su tutto tranne che su quello che gli stava facendo
la sua ragazza. Ma la cosa era impossibile e lui chiuse gli occhi e strinse
ancora di più i pugni per combattere l’impulso di gridare il suo nome.
Più tardi Nate si trovò a sperare di vivere abbastanza a lungo da poterle
fare la sua proposta. Almeno avrebbe voluto abbastanza tempo per avere la
possibilità di fare ancora quello che avevano appena fatto – almeno qualche
altra volta.
***
Il mattino trovò Nate da solo nella vecchia stanza di Alyssa, il sole che
risplendeva sul mobile laccato accanto alla finestra. Si strofinò gli occhi
e guardò l’orologio – non erano ancora le otto. Il suo corpo sentiva
l’effetto del sonno troppo breve – gli faceva male tutto.
Sapendo che non c’era tempo per rilassarsi, non mentre i suoi ‘seguaci’
stavano per arrivare a Roswell e i perfidi Skin si stavano preparando ad
attaccare, Nate si alzò dal letto e seguì il suono di voci pacate che
venivano dalla cucina. Al tavolo, Michael stava davanti ad una tazza di
cereali, i capelli che gli arrivavano alle spalle legati in una coda di
cavallo – l’equivalente alieno di un samurai del Sol Levante? Maria era ai
fornelli e mescolava qualcosa in un tegame. Subito dopo che Nate fu entrato,
Michael si fermò col cucchiaio a mezza strada e strinse gli occhi.
"Hai passato la notte nel letto di mia figlia?" gli domandò duramente.
Nate si strinse nelle spalle e prese una sedia, non più intimidito da
quell’uomo. "Mi hai mentito sul fatto che tutti sono in grado di far
esplodere gli oggetti?"
Michael batté gli occhi, ma per il testo rimase immobile.
"Un punto per Nate." disse Maria dai fornelli.
Nate sollevò un sopracciglio e increspò le labbra, in una perfetta
imitazione di Michael.
Dall’altra parte del tavolo, Michael posò il cucchiaio con i cereali nella
tazza. "Non ti ho mentito." gli disse deciso.
Nate si limitò a fissarlo.
"Come facevo a sapere che tu non avevi quel potere?"
"Perché mio padre non ha quel potere." rispose calmo Nate. "Tu hai detto che
tutti hanno l’abilità di far esplodere gli oggetti. Non è vero?"
Michael si strinse nelle spalle. Era ovvio che non aveva nessuna intenzione
di dar ragione a quel ragazzino. Maria posò il piatto in tavola davanti ad
una sedia vuota e ritornò ai fornelli senza dire una parola. Nate aspettò
pazientemente la risposta di Michael.
Alla fine, Michael si appoggiò alla spalliera della sedia e fece un sospiro.
"Non volevo dirti in anticipo che Max non era in grado di farlo. Ho pensato
che forse tu avevi quel potere e non volevo che pensassi di non averlo solo
perché Max non ce l’ha. Okay?"
Nate lo trafisse con lo sguardo per un lungo momento, poi disse "Non
mentirmi più."
Michael inclinò la testa da una parte. "D’accordo. Non dormire più nel letto
di mia figlia."
Nate fece una smorfia. "Non posso promettertelo."
Dal corridoio, Nate udì aprirsi la porta del bagno – stava ancora guardando
Michael, quando Alyssa scivolò nella sedia davanti al piatto di uova e
patate fritte che Maria aveva preparato. Aveva i capelli umidi e profumava
come una mattinata di primavera. Prima che cominciasse a mangiare, si sporse
da un lato e baciò Nate sulla guancia.
"Buon giorno, dolcezza." gli disse felice. Poi si sporse dall’altra parte e
baciò Michael. "Buon giorno, papà."
Michael e Nate continuarono il loro braccio di ferro per tutta la colazione.
Maria tornò al tavolo con un altro piatto e dette uno schiaffo sulla nuca di
Michael con la mano libera. Lui sussultò e si girò a guardarla, mentre
posava il piatto davanti a Nate.
"Falla finita." disse lei semplicemente, poi sorrise a Nate come una
casalinga degli anni ’50. "Spero che le uova ti piacciano."
Nate non riuscì a trattenere un sorriso di vittoria. Prese la forchetta e
cominciò a mangiare le uova, ma notò che Maria aveva dato a Michael
un’occhiataccia, prima che lui chinasse la testa sul piatto.
"Voi due dovete smetterla." disse Alyssa in tono casuale, mentre prendeva la
brocca col succo di arancia. Aveva un tono così dolce nella sua voce che sia
suo padre che il suo innamorato rimasero sbalorditi. "Dico sul serio."
Guardò per primo Nate. "Lui è mio padre. Si comporta come un idiota con te,
solo perché pensa che sia un diritto che gli viene direttamente da Dio."
Michael aveva un aspetto offeso, quando lei si girò per rivolgersi a lui.
"Lui è l’amore della mia vita. Farà quello che vuole con me, anche se la
cosa ti manda su tutte le furie." Scrollò le spalle e infilò la forchetta
nelle uova. "Così decidetevi ad accettare la situazione e andiamo avanti,
okay?"
Nate guardò dall’altra parte della tavola Michael, che stava fissando
sbalordito sua figlia. Alyssa guardò suo padre, poi infilò il cucchiaio
nella tazza di cereali di Michael.
"Mangia, così potremo andare ad affrontare i cattivi." gli ordinò prima di
rivolgere la sua attenzione su Nate. "Anche tu. Mangia!"
Nate esitò un attimo, poi guardò di nuovo Michael, che lo fissò a sua volta
fermamente, ma senza intimidazione. Cominciarono a mangiare la loro
colazione nello stesso momento.
Nate non era d’accordo su quello che era appena successo, ma era quasi certo
che Alyssa avesse appena messo fine alla guerra Spencer – Guerin che era
iniziata l’anno precedente.
Poteva solo sperare che il suo potere di far finire i conflitti in modo così
pacifico funzionasse anche con Khivar e Nicholas.
Capitolo 24
Nate non poteva vederli, ma poteva
sentirli. Tutti intorno a lui. Almeno un centinaio.
Stava fuori della camera dei bozzoli, il vento di ottobre che gli tirava la
frangia sugli occhi, un promemoria del fatto che si era scordato di andare
dal barbiere da quando era partito da Boston. Spalancò gli occhi nel
guardare l’orizzonte alla ricerca di quei corpi che sapeva essere vicini, ma
che ovviamente erano nascosti.
"Dove sono?" chiese sottovoce ad Aubrey, che stava rigida al suo fianco.
"Stanno aspettando i tuoi ordini." affermò semplicemente. Si era messa un
paio di Ray Bans contro la viva luce del sole del deserto e Nate si chiese
se avesse ceduto ad un capriccio della moda. Dopo tutto, il completo che
indossava non era stato acquistato ai grandi magazzini.
"Si, ma dove sono?" chiese ancora. "Voglio dire, non riesco a vederli."
"Non sei pronto per vederli."
Nate sollevò le sopracciglia, mentre si girava a guardarla. "E allora come
pensi che possa dare loro degli ordini?"
L’espressione di Aubrey era inespressiva, priva di emozioni. "Attraverso
me."
Nate non vide la cosa di buon occhio. Fino a ieri non conosceva nemmeno
quella persona. E adesso lei si aspettava che lui avesse tanta fiducia in
lei da servirsene per trasmettere i suoi ordini ad una moltitudine di esseri
che lui non poteva nemmeno vedere?
Sotto di loro, Max e Liz stavano scendendo dalla SUV di Philip, spostando
l’attenzione di Nate dalla sua strana guardia del corpo. Appena Max scese
dal veicolo, prese la mano di Liz nella sua e velocemente si inerpicarono su
per il sentiero che portava alla camera dei bozzoli – era evidente che ormai
era quasi come nuovo.
"Hey." Max gli rivolse un largo sorriso nel salutare lui e Aubrey.
"Buon giorno." rispose Nate, improvvisamente a disagio per l’improvviso tono
autoritario di Aubrey. "Ciao, Liz."
Lei gli sorrise e si spostò dagli occhi i capelli mossi dal vento. "Ciao,
Nate. Sono tutti qui?"
"Sono dentro." disse Nate, indicando con la testa l’entrata della caverna.
Guardò Max. "Devi aver guidato piano, vecchio mio. Isabel è qui già da un
quarto d’ora."
Max ridacchiò. "E’ Isabel che guida come una pazza. Possiamo entrare?"
Nate annuì e si girò per seguire suo padre dentro la camera. Fatti pochi
passi, si girò per rivolgersi ad Aubrey. "Vieni con noi?"
Lei scosse la testa. "No. Starò qui fuori e …"
"Controllerai il perimetro." finì Nate al suo posto, le labbra tese in un
sorriso ironico.
Aubrey lo guardò senza espressione, poi si allontanò per sorvegliare i
dintorni. Il sorriso di Nate si dissolse e seguì Max con grande disappunto –
a quanto pareva i protettori del mondo erano privi di senso dell’umore.
"Max." chiamò Nate, fermando suo padre prima che arrivasse all’entrata. "Tu
riesci a sentirli?"
Max apparve stupito. "Tu li senti, Nate?"
Nate annuì.
Max scambiò un sorriso con Liz, poi diede a suo figlio una pacca sulla
spalla. "Si, Nate. Posso sentirli."
"Perché non posso vederli?"
Max si strinse nelle spalle. "Loro non vogliono essere visti. Ma sono lì
fuori, fidati di me."
Parlando di fiducia … Nate si sentì imbarazzato e cominciò a mordersi un
labbro. "Max, a proposito di Aubrey … "
"Cosa c’è?"
"Mi ha detto che trasmetterà lei i miei ordini alle truppe."
Max annuì. "Va bene."
"Posso … um, voglio dire … posso fidarmi di lei?"
Max lo studiò per un momento, poi sorrise allegramente. "Si, puoi fidarti di
lei. Ad ogni modo, lei può sentirti."
L’espressione di Nate sembrava quella di un cervo paralizzato dalla luce dei
fari di una macchina e guardò sorpreso verso Aubrey, che rimaneva
stoicamente immobile. "Può sentirmi?"
"Si. Ha un udito migliore del mio." Max gli diede una pacca su un braccio.
"Non preoccuparti – ti perdonerà l’insulto. Entriamo, ora."
Mentre un senso di colpa gli stringeva lo stomaco, Nate seguì Liz e Max
nella camera dei bozzoli. Aubrey si era sentita insultata? Lei provava le
stesse emozioni che provava lui? Aveva veramente urtato i suoi sentimenti?
Lo avrebbe ‘perdonato’ facendo rivoltare le truppe contro di lui? Nate
sapeva di avere ancora tante cose da imparare – e così poco tempo per farlo.
Dentro la camera, il resto del gruppo si era seduto in cerchio – ricordando
a Nate il cerchio magico degli Indiani. Prima che qualcun altro si
azzardasse a farlo, prese posto accanto ad Alyssa, sedendosi in terra
accanto a lei e prendendole una mano nella sua. Max e Liz si sedettero tra
Michael e Isabel e Nate notò come Liz sembrasse sollevata di riavere Max nel
pieno delle sue capacità.
"Allora … " cominciò a dire Max.
"Allora?" ripeté Michael.
Nate si chiese se fosse un rituale alieno, se tutti loro dovessero dire
‘allora’ prima che la riunione potesse cominciare – come nelle riunioni
degli Alcolisti Anonimi dove tutti dovevano dire "Salve, il mio nome è
Chiunque e sono un’alcolista."
Maria fece affondare questa teoria.
"Allora, Khivar e Nicholas sono tornati." disse chiaro e tondo. "E adesso?"
"Uccideremo quei bastardi." replicò Michael senza mezzi termini e senza
esitazione.
Ci fu uno scambio di sguardi inquieti – Nate ebbe la sensazione che molti di
quelli che erano nella stanza fossero d’accordo con Michael, anche se non
sembravano ansiosi come lo era lui.
"Ci riusciremo?" chiese Isabel.
Michael guardò dritto verso Nate. "Ci puoi scommettere."
Alyssa aumentò la stretta sulla mano di Nate e lui poté quasi sentire la
paura che lei stava provando.
"E’ una decisione dura." disse Isabel sottovoce.
"No, è pratica." affermò Michael. "Lo troveranno, come lo hanno trovato
quegli alieni lì fuori. Probabilmente già sanno dov’è. Mandiamo Junior fuori
di qui, Khivar e Nicholas verranno per fare uno spuntino e noi ci
sbarazzeremo di loro una volta per tutte."
Nate non era proprio d’accordo, e inoltre non era sicuro che gli piacesse
essere definito ‘spuntino’.
"Non perderanno tempo." disse Max pacato, rivolgendosi a Michael. "Se
arriveranno a Nate lo uccideranno all’istante, senza fare domande."
"Come fai a dirlo?" replicò Maria. "Ti hanno ucciso così velocemente?" Un
lampo di dolore corse sul viso di Max e Maria si pentì delle sue parole. "Mi
dispiace, Max. Non penso mai prima di parlare." E abbassò vergognosa lo
sguardo sul pavimento.
"Non fa nulla." disse Max, liberandola da una situazione imbarazzante. "Hai
detto una cosa giusta. Ma loro non conoscono Nate. Tutti e due conoscono
me." Deglutì visibilmente. "Volevano vedermi soffrire per quello che è
successo in passato. Dubito che abbiano un simile rancore nei confronti di
Nate." Guardò dispiaciuto suo figlio prima di rivolgersi ancora al gruppo.
"Allora, tornando al punto – se lo prenderanno, lo uccideranno."
"Non lasceremo che lo prendano." disse semplicemente Isabel. "Lasceremo qui
Aubrey e qualche soldato per proteggerlo."
"Non qui." disse Max scuotendo la testa. "Questo è l’unico posto di cui
nessuno conosce l’esistenza. Non voglio rivelare il nostro unico rifugio
sicuro. Dobbiamo trovare un altro posto."
Isabel accennò di sì col capo. "Va bene. Andremo in ricognizione per trovare
un posto facile da difendere, dove nessuno possa arrivare non visto.
Lasceremo lì Nate, Aubrey e qualche soldato."
"E poi aspetteremo che arrivino." aggiunse Michael, con negli occhi un fuoco
di vendetta di cui Nate sperò di non essere mai il bersaglio.
Nella camera scese un lungo silenzio, mentre ognuno di loro si aspettava che
gli altri avessero qualcosa da obiettare.
Nate notò che Jeremy non aveva aperto bocca durante l’intera conversazione e
sperò dentro di sé che il ragazzo sarebbe stato lasciato indietro con lui –
non era giusto che qualcuno così giovane dovesse combattere. Naturalmente il
suo sguardo si posò su Alyssa, che lo stava fissando, con negli occhi un
misto di coraggio e di paura. Aveva già visto troppe brutte cose, la sua
piccola ragazza. Nate si addolorò di non averla potuta proteggere da quello
di cui era già stata testimone.
"E se i loro poteri fossero cresciuti?" domandò Liz, rompendo il silenzio
nella caverna. "Voglio dire, e se fossero dieci volte più forti dell’ultima
volta che li abbiamo visti?"
"Anche noi siamo più forti." fece notare Michael. "E lì fuori abbiamo
un’intera legione di sostenitori."
Stavano facendo sul serio. Il nodo nello stomaco di Nate si strinse ancora
di più, il cuore cominciò a battere più svelto. La guerra stava bussando
alla porta – un conflitto incentrato direttamente su di lui – e lui non
aveva idea di come reagire.
"Io voglio combattere." disse, prima ancora di rendersi conto di averlo
detto.
Tutti gli occhi dei presenti si posarono su di lui, taluni spalancati,
taluni stretti (questi appartenevano a Michael Guerin).
"Nate." gli disse Max con delicatezza. "E’ troppo presto. Non hai sviluppato
abbastanza poteri per difenderti."
"Posso fare quella specie di scudo." protestò. Non era sicuro del perché
stesse insistendo, perché in realtà non voleva combattere. Forse era solo il
fatto che tutti avrebbero partecipato ad una battaglia per lui, che non
poteva affrontarla.
"Davvero?" sbuffò Michael. "Fallo?"
Nate lo guardò sorpreso. "Cosa?"
"Dai, lo scudo. – Fallo!"
Nate guardò il resto del gruppo e ricevette un cenno d’incoraggiamento da
Liz. Respirando a fondo, sollevò la mano col palmo aperto e si concentrò
sulla creazione dello scudo davanti a lui e … non successe niente.
Deluso, abbassò la mano e chinò lo sguardo a terra solo per non vedere lo
sguardo soddisfatto negli occhi di Michael.
Alyssa gli circondò la vita e gli diede un abbraccio di conforto.
"Allora Nate farà da esca." continuò Max come se l’insuccesso del figlio non
fosse accaduto. "E quando dovremmo cominciare?"
"Più presto possibile." disse Isabel.
Nate si accigliò. Si sentiva un agnello sacrificale che stava per essere
legato al palo.
"Chi ci sarà?" chiese Max.
"Io." disse Michael.
"Io." aggiunse Isabel.
Poi un deciso giro di ‘Io’ da Jeremy, Liz e Alyssa.
Maria alzò una mano. "Ci sarei se avessi qualche potere. Credo che me ne
starò indietro."
Max le sorrise con comprensione, poi si girò verso Liz. "Anche tu."
Liz rimase a bocca aperta. "Nemmeno per sogno, Max!"
Lui annuì in silenzio.
"No! Non dopo quello che ti hanno fatto! Non dopo che loro … "
"Pensa ad Emily." le rispose lui dolcemente.
Le parole di Liz le morirono in gola e Nate vide una girandola di emozioni
nei suoi occhi – rabbia, determinazione, paura e comprensione. Max le prese
la mano e la baciò sul dorso.
"Emily ha bisogno di uno di noi." le disse. "Io devo farlo, Liz."
Il labbro inferiore di Liz cominciò a tremare e lei fissò addolorata il
pavimento della caverna. Nate avvertì un groppo in gola alla necessità che
lei dovesse restare indietro. Sapeva esattamente cosa stava provando Liz –
dopo tutto, anche il suo amore stava andando fuori a combattere, mentre lui
sarebbe rimasto nelle retrovie. Sentirsi impotenti non era una cosa
piacevole.
Max fece scivolare un braccio sulle spalle della moglie, mentre riprendeva a
parlare al gruppo. "Isabel, tu e Michael cercate un posto dove sistemare
Nate. Nate, avrò bisogno del tuo aiuto per dare ordini ad Aubrey – lei
prende ordini solo da te."
Nate avvertì un’altra ondata di panico – non aveva nessun ordine da darle.
Max rise.
"Non ti preoccupare." gli disse. "Ti dirò cosa dirle."
Fece l’occhiolino al figlio, poi si alzò in piedi.
"Va bene – andiamo!"
Continua...
Scritta
da Karen (MidwestMax)
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice
dall'originale in inglese,
a cura di Sirio |