Roswell.it - Fanfiction
SPECIALE

ANCHE IL FIGLIO CRESCE

Capitoli 1-6


Riassunto: Questa storia, in 27 capitoli, è la terza di cinque fanfiction collegate tra loro, e segue a "Figlio di suo padre". Nate e Alyssa si sono trasferiti a Boston per frequentare il college, ma tutti noi sappiamo che la vita non è mai semplice per un Roswelliano.
Abbiamo imparato a conoscere i personaggi, ora li vedremo di nuovo in azione. E non sempre come vorremmo che agissero.

Valutazione contenuto: non adatto ai bambini.

Disclaimer: I personaggi dello show appartengono a Katims e co. Alyssa e Nate sono miei. Nessuna trasgressione è stata intenzionale… ehm, e nessuna offesa ad Hemingway per il titolo.
(NdT: L'autrice si riferisce al libro T'he sun also rises', conosciutò in italia col titolo 'Il sole sorgerà ancora'. Io ho preferito usare una traduzione leggermente diversa, perchè 'Anche il figlio sorge' non avrebbe reso completamente l'idea.)


Capitolo 1

La felicità fu passeggera.
Dire addio ad Alyssa Guerin fu la cosa più difficile che Nate Spencer avesse mai fatto. Erano stati inseparabili per tutta la settimana che lui aveva trascorso a Roswell, per la festa del diploma di lei, passando separati non più di un paio d’ore. Entrambi sapevano che la loro separazione sarebbe stata breve – solo un paio di mesi – prima che si rincontrassero per il semestre autunnale al Boston College. Ma questo non diminuiva il dolore di nessuno dei due.
Nate arrivò a pensare, ad un certo momento, che avrebbe preferito di nuovo trovarsi nella stanza di tortura dell’Agente O’Donnell, piuttosto che dover sopportare un altro addio all’aeroporto. Gli sembrava che qualcuno gli avesse asportato uno dei suoi testicoli con un rasoio, e senza anestesia. Per tutto il volo verso l’est, riuscì a pensare solo alle lacrime di Alyssa e al dolore nel suo stesso cuore. Si era stretto le braccia intorno al corpo snello, in un gesto difensivo e aveva guardato sconsolato fuori dal finestrino ovale dell’aereo per tutto il viaggio, rifiutando di mangiare e di bere, quando gli fu offerto.
Questo atteggiamento continuò anche quando fu arrivato a casa dei suoi genitori, nel New York orientale. Non voleva mangiare. Non voleva dormire. Camminava avanti e indietro per tutta la notte. Era la seconda volta che tornava da Roswell in uno stato mentale che poteva essere considerato morboso. Sua madre, Emma, aveva provato a suggerirgli dolcemente che era il caso non tornasse più lì, che non era nel suo miglior interesse.
Ma lei non poteva capire che era proprio nel suo miglior interesse, perché se non poteva stare accanto ad Alyssa, se non poteva stringerla ed amarla, era sicuro che sarebbe morto. Questa volta non era stata la depressione o il trauma subito che lo avevano trasformato in uno zombie – era semplicemente malato d’amore.
Le telefonate nel New Mexico erano frequenti, qualche volta finivano col pianto, qualche volta con una risata. Riprovarono tutta la faccenda del sesso al telefono e la trovarono insulsa – Nate non trovava nulla di piacevole nel toccarsi, non quando sapeva cosa significava essere toccato da lei. Le poche volte che tentarono di darsi piacere, lui finì per provare delusione e un senso di vuoto. Per Nate i giorni del sesso solitario erano finiti.
La cosa migliore che potesse fare, quando andava a letto, era cercare di immaginare di posare la testa sul seno di lei, invece che sul cuscino; qualche volta, se chiudeva gli occhi e cercava di convincere se stesso con tutte le sue forze, che era veramente raggomitolato accanto a lei, con la testa sul suo seno, riusciva ad addormentarsi. Ma, di solito, la delusione del risveglio solo con una federa riempita di piume d’oca, era dura da sopportare.
Non che tutti i momenti fossero bui e malinconici. Tra l’angoscia, c’erano brevi intermezzi di gioia, cose che meritavano di essere festeggiate.
Il nuovo CD di Maria, uscito giugno era, al quinto posto nella classifica delle vendite. In una settimana era salito al primo posto, dove era rimasto per sei settimane consecutive, nonostante la presentazione di nuovi successi dell’estate.
Anche sapendo che sua madre la irritava a morte, Nate capì che Alyssa era compiaciuta del fatto che, anche dopo la sua lunga assenza dalle scene musicali, il pubblico fosse apparentemente lieto per il ritorno di Maria.
Una cosa che non era ritornata era stato il sigillo di Antar – cosa per la quale Nate fu eternamente grato. L’incidente all’hotel era stato strano, a dir poco. Quando aveva pressato Alyssa per avere una chiarimento sulla sua sinistra frase ‘Tu sei il solo.’, lei non era stata in grado di dargli spiegazioni. In effetti, lei sembrava essere in uno stato di confusione. Nate avrebbe voluto mettere il ricordo nel dimenticatoio e liberarsene, ma sapeva di non poterlo fare, per diverse ragioni – il sogno ricorrente di Alyssa, che baciava il punto del suo petto dove il marchio appariva; la sensazione di essere in grado di camminare come persone libere; il fatto che subito dopo aver visto il sigillo lo aveva chiamato ‘suo Re’; il fatto che come lo aveva toccato lei fosse svenuta, e il sigillo fosse scomparso solo pochi minuto dopo che si era manifestato sulla pelle di Nate.
Sicuramente, tutte quelle cose erano troppe e troppo strane per essere ignorate.
Nate passò molto tempo a cercare di decifrarle. Raccontò ad Alyssa del sogno, sperando di risvegliare il ricordo di quello che lei aveva visto quando aveva toccato il simbolo, ma non ne venne fuori nulla. Era a dir poco frustrante.
Una persona che non era affatto frustrata, era il giovane Jeremy Ramirez. Sua madre, Isabel, aveva pensato che relegarlo a New York, mentre Nate era a Roswell, sarebbe stata una buona punizione per la trasgressione di aver portato la sua ragazza nella mansarda sopra al garage per fare lo stupido. Quello che comunque Isabel non sapeva, era che tutto quello che aveva fatto era stato spalancare la porta per il suo figliolo maggiore. Jeremy aveva trovato un nuovo terreno di caccia, in un posto dove non aveva una reputazione che lo precedesse, dove i turisti andavano e venivano. Il ragazzo, con la pelle olivastra e i capelli scuri e ricci, era stato capace di sedurre quatto diverse ragazze - compresa Chris, la vecchia amica di Annie, che aveva cinque anni più di lui – prima che Nate tornasse dal New Mexico. Quando arrivò il momento di tornare a Boston, Jeremy chiese di poter restare a New York per il resto dell’estate, facendo involontariamente capire a sua madre che la ‘punizione’ era fallita e si ritrovò di corsa su un autobus diretto alla costa orientale.
Così Nate trascorse l'estate ad aiutare suo padre nel gestire la marea di turisti, lavorando come un pazzo per non pensare al fatto che solo metà del suo cuore batteva se non aveva Alyssa accanto a lui. Quando non lavorava, correva o faceva sollevamento pesi, furioso con se stesso per non essere capace di comportarsi come una persona normale.
Comunque, la rabbia e la distrazione erano solo temporanee, perché ogni notte si ritrovava a letto avvolto ancora una volta nel freddo della solitudine.
Quando l'estate finì e si avvicinò l'inizio della scuola, Nate cominciò a preparare i bagagli ed evitò lo sguardo di sua madre – lei non riusciva a sopportare l'idea di vederlo andare via, sapendo che la sua partenza era reale, sapendo che avrebbe cominciato a staccarsi da loro. Accettava l'idea, ma non per questo le faceva meno male.
Nate vedeva il suo sguardo ferito, ma non aveva la forza di confortare lei e se stesso, nello stesso tempo. Lui non era mai stato egoista, ma a questo punto della sua vita, era sicuro che il suo tormento era più grande di quello di lei.
Mentre si preparava a caricare i bagagli sul furgone e a cominciare il lungo viaggio verso Boston, ricevette una telefonata da Liz Evans. La sua voce era triste e congestionata, come se avesse pianto. Max era partito di nuovo, chiamato a salvare il mondo da un'altra minaccia; non sarebbe stato lì ad accoglierlo quando Nate fosse arrivato a Boston.
Era una notizia devastante, sapendo che Max non solo aveva dovuto lasciare dietro di sé una moglie che adorava, ma anche la loro figlioletta, che aveva appena tre mesi. Nate avvertì un morso al cuore, pensando al proprio dolore e chiedendosi come Liz riuscisse a sopportare le sue frequenti partenze, che la lasciavano sola per lunghi periodi di tempo.
Quando glielo chiese, lei scoppiò amaramente a ridere, sconfitta, e gli disse che lei era così grata per quello che aveva avuto da non rimpiangere quello che non poteva avere – sei mesi ininterrotti del tempo di Max, prima della nascita della loro bambina e durante i primi pochi mesi della sua vita. Da quando si erano sposati, non l'aveva mai avuto accanto per tutto quel tempo e di questo era veramente grata.
Il suo semplice commento sul guardarsi indietro e vedere cosa ci fosse stato di buono, invece di guardare avanti e vedere le assenze senza fine di Max, cambiò per Nate il modo di vedere le cose. Sperò di diventare un giorno riconoscente come Liz, per non essere devastato da una separazione di una sola estate. Ma sapeva anche che Liz lo stava facendo da quasi vent'anni e che un tempo anche lei, probabilmente, aveva provato quello che stava provando lui.
Nate arrivò a Boston una settimana prima del previsto arrivo di Alyssa.
Avevano parlato della possibilità che lei andasse ad est per l'estate, trovandosi un lavoro a New York per poter stare insieme a Nate ma, alla fine, aveva preferito trascorrere quell'ultima estate con la sua famiglia. Anche se quella decisione avrebbe significato sacrificare il suo cuore e parte della sua sanità mentale.
Nate l'aveva pienamente compresa. Se le posizioni fossero state invertite, lui non era sicuro che sarebbe stato capace di lasciare Emma e Jonathan per tutta l'estate, sapendo che quella avrebbe potuto essere l'ultima estate insieme a loro.
Mentre faceva il conto alla rovescia dei giorni, delle ore, dei minuti che mancavano all'arrivo del volo di Alyssa, si diede da fare per sistemare la mansarda sopra il garage di Isabel, sistemando i mobili, disfacendo i suoi bagagli, mettendo delle fotografie alle pareti.
Jeremy si fermava spesso, di solito per mangiare qualcosa o sdraiarsi per un po' sul divano.
Jesse aveva aggiunto un cavo all'antenna satellitare, perché Nate ed Alyssa potessero avere la televisione, ma Jeremy sembrava essere quello che ne approfittava più di ogni altro. Mentre Nate sistemava la sua nuova casa, l'adolescente stava scompostamente sdraiato sul sofà a guardare spensieratamente MTV.
Non che a Nate importasse. Gli piaceva la compagnia e gli piaceva suo cugino. A parte le sue scorribande con le donne, Jeremy era un bravo ragazzo. Era rispettoso degli altri, raramente era di cattivo umore e sempre pronto a fare scherzi a tutti.
Nate sapeva di aver rubato a Jeremy il suo nido d'amore, che il posto dove lui aveva portato le sue conquiste ora era andato, ma il ragazzo non sembrava portargli rancore per questo. Se gli chiedeva di aiutarlo a spostare un mobile pesante, lui lo faceva. Se gli chiedeva di spegnere la TV e tornarsene a casa, faceva anche questo.
Pochi giorni prima dell'arrivo di Alyssa, Nate finì di sistemare la mansarda secondo i suoi gusti e cominciò ad annoiarsi, senza qualcosa che gli tenesse la mente lontana dal contare i secondi fino all'arrivo di lei.
Prese il furgoncino e si diresse dalla parte della città dove vivevano Max e Liz. Una volta arrivato, trovò Liz stanchissima, con profondi cerchi scuri sotto gli occhi. Ma mentre lo abbracciava calorosamente e lo invitava ad entrare, trovò ancora la forza di sorridere.
"Emily sta dormendo." gli disse sottovoce.
Nate accennò di aver compreso e si assicurò di chiudere la porta senza fare rumore. Era la metà di agosto e in Massachussets il tempo era incredibilmente umido. L'aria fresca dentro la piccola casa era estremamente piacevole per la sua pelle sudata.
"Come stai?" gli chiese Liz, cercando di sembrare allegra, mentre si sedeva sulla sedia a dondolo.
"Bene." mentì Nate. "Alyssa arriverà giovedì." Dentro di sé, si mollò un calcione – aveva resistito solo trenta secondi senza parlare di lei.
Liz sorrise stanca. "Bella notizia, Nate. La porterai qui, quando sarà arrivata? Non la vedo da … " sollevò lo sguardo, pensierosa.
Nate sapeva quando lei aveva visto Alyssa per l'ultima volta – era stato quando lui era stato salvato dalle grinfie dell'Agente O'Donnell. "Lo scorso autunno." disse al suo posto. Era evidente che Liz non stava marciando a pieno ritmo.
"Giusto." disse lei. "Ad ogni modo, la porterai qui? Vi preparerò la cena."
Nate annuì, ma sapeva che Liz non avrebbe preparato nulla – aveva l'aria di reggersi in piedi a malapena, altro che cucinare per gli ospiti. Se fossero andati, la cena l'avrebbero portata loro.
Le palpebre di Liz si chiusero per un attimo, ma lei le costrinse a riaprirsi, a disagio.
"Liz." le disse dolcemente Nate. "Posso andarmene se vuoi riposarti un po'."
Lei scosse la testa. "No, per favore, rimani."
"Sembri aver bisogno di un sonnellino." le disse in modo comprensivo. "Perché non vai a riposarti un po' e ci vediamo dopo?"
Liz sospirò. "Perché Emily si sveglierà tra un'oretta e dovrò darle da mangiare. E' più facile rimanere in piedi che alzarmi un'altra volta."
Nate si strinse nelle spalle. "Allora le darò da mangiare io, mentre tu dormi."
Un lato della bocca di Liz si sollevò in un sorriso. "Si? Non credo sia possibile – a meno che tu non abbia sviluppato la capacità di allattare."
Nate si concentrò, cercando di afferrare il senso della frase. Poi le sue guance divennero rosse. "Oh." I suoi occhi si posarono involontariamente sul seno di Liz, che appariva un po' più grande del normale, e lui si diede del cretino per non aver capito subito.
"Non hai un biberon? Non potresti … " Fece il gesto di stringersi il seno, diventò ancora più rosso, poi si poggiò le mani sul grembo.
Forse ora era il caso di finire quella conversazione.
Liz ridacchiò. "Usare un tiralatte? E’ questo che vuoi dire?"
Nate, con le orecchie in fiamme, annuì.
Il sorriso di Liz sparì e Nate si rese contro che lei stava prendendo in considerazione l’idea. Lui sapeva che Liz era una madre meravigliosa, ma stare da sola, e preoccuparsi per Max, le stava ovviamente costando la salute. L’offerta di aiuto e la possibilità di dormire la stavano tentando molto.
"Veramente non ti dispiace?" gli chiese con l’espressione incerta.
Nate le sorrise. "Non mi dispiace. Dopo tutto è la mia sorellina, giusto?"
Liz annuì. "Giusto." Come se le facessero male tutte le ossa, si alzò a fatica dalla sedia e si diresse in corridoio "Torno subito?"
Per la prima volta dopo tanto tempo, Nate si sentì leggero, pregustando l’idea di prendersi cura di sua sorella. Negli ultimi tre mesi l’aveva vista solo nelle fotografie che Liz gli aveva inviato di tanto in tanto con la posta elettronica. Non aveva più potuto tenerla in braccio da quando l’aveva fatto in ospedale, poco dopo che era nata. Il pensiero di essere in grado di aiutare Liz nel prendersi cura di quella creatura che dipendeva completamente da lei, gli fece fiorire un sorriso sul volto.
Era anche una buona distrazione, meglio della corsa e del sollevamento dei pesi.
Dopo un po’, Nate intravide Liz con la coda dell’occhio mentre camminava verso la cucina. Sentì aprire e chiudere il frigo, poi arrivò accanto al divano con gli occhi arrossati per la stanchezza.
"L’ho messo in frigo." gli disse. "Assicurati che sia caldo prima di darglielo, ma non troppo caldo. Provalo sul tuo polso."
Lui annuì. Sembrava abbastanza semplice.
"Sei sicuro, Nate?" gli disse ancora, mettendosi i capelli dietro le orecchie.
"Affermativo. Va’ a riposarti." la incoraggiò.
Liz sorrise, poi si chinò in avanti e gli diede un bacio sulla guancia, provocando il ritorno del rossore. "Grazie. Sei un tesoro, Nate." Poi sparì sulla scala e sulla casa scese il silenzio.
Nate si mise in ascolto, per cercare di sentire se Emily si fosse già svegliata. Non lo era, cosa che lo deluse un po’. Sperava che Liz dormisse un po’ più di una mezz’ora, lasciandogli la possibilità di giocare un po’ con sua sorella. Naturalmente Nate non si era mai preso cura di un neonato, prima di allora.
Avrebbe dovuto esserne preoccupato, ma in fin dei conti era solo una bambina. Non doveva essere una cosa difficile.
O no?

Capitolo 2

Quando la piccola Emily era nata prematura, sotto peso e sotto sviluppo, non era stata in grado di emettere nemmeno un pigolio, negando ai suoi genitori quel motivo di conforto e di rassicurazione, che arrivava sotto la forma del pianto del neonato.
Ora, invece, aveva superato le difficoltà avute all’inizio e aveva molto di più di un ampio paio di polmoni nel suo corpicino. In effetti, avrebbe potuto risvegliare i morti se avesse voluto farlo.
Era questo che Nate stava pensando, mentre guardava la piccola che teneva in braccio, il visino rosso come un tramonto in Arizona, la bocca tanto spalancata che avrebbe potuto entrarci una palla da baseball. Era arrabbiata. Veramente arrabbiata. E Nate non sapeva cosa fare.
Ripensandoci, correre nella sua stanza e prenderla dal suo lettino caldo al primo segno di movimento, forse non era stata una buona idea. Ma lui era così desideroso di vederla, dopo tanti mesi, di tenerla ancora in braccio, che non aveva preso in considerazione l’idea di aspettare che fosse lei a chiedere di essere presa. Un frignio e lui l’aveva immediatamente sollevata dal lettino, come se qualcuno gli avesse pungolato il sedere.
"Shhh, piccola." le disse, guardando verso la porta della nursery e sperando che le grida di Emily non avessero svegliato Liz, che stava cercando di recuperare un po’ del sonno di cui aveva bisogno. "Va tutto bene, piccola. " Il tono di Nate era disperato.
Ma Emily continuò a scalciare e a piangere fino a farsi venire la tosse. Girò la testa verso la camicia di Nate, poi riprese a piangere ancora più forte. Alla fine, afferrò con le manine quello che credeva essere un seno caldo – qualcosa che lui non aveva. Ma almeno questo servì a dare a Nate un indizio – Emily doveva essere affamata. E a questo sapeva come porre rimedio – c’era un biberon in frigorifero!
Sorridendo nervosamente, le diede una pacca sotto il sederino, cercando di rassicurarla sul fatto che la pappa stava arrivando, poi realizzò che il pannolino aveva fatto una sorta di rumore sordo, quando l’aveva toccato. Nate si gelò e il suo sorriso svanì rapidamente.
Lei era bagnata … o peggio.
Guardandosi attorno, Nate vide un alta, morbida tavola, con sopra dei prodotti. Doveva essere lì che si cambiavano i bambini. Il pensiero di quello che poteva esserci nel pannolino non lo attirava e, per un attacco di egoismo, una piccola parte di lui sperò che il pianto di Emily riuscisse a svegliare sua madre. Ma no, si era offerto volontario e ora toccava a lui cambiare il pannolino – cacca o no.
Respingendo ogni esitazione, stese l’arrabbiatissima Emily sulla tavola e cominciò a aprire la piccola tutina. Strana cosa - i vestiti dei bambini. Aprì i gancetti che erano sotto il cavallo, poi alzò i bordi della tutina verso le ascelle; i suoi occhi fissarono il pannolino … Dio solo sapeva cosa si nascondeva lì dentro. Comunque non puzzava, e questo doveva essere un buon segno. Ancora adirata con lui, Emily continuò a scalciare, rendendogli difficile slacciare il pannolino. Esasperato, trovò un giocattolo accanto ai cambi e lo mise davanti a lei.
"Guarda, Emily. Guarda l’orsacchiotto. Guarda com’è carino l’orsacchiotto."
Lei smise di piangere per un attimo, guardando quel buffo ragazzo che muoveva il giocattolo davanti a lei. Nate la toccò con l’orsacchiotto sul naso e lei chiuse gli occhi, incerta su cosa fare. Lui lo fece ancora, facendo una faccia buffa – e lei ricominciò immediatamente a piangere.
Sospirando, Nate prese le strisce autoadesive del pannolino e le aprì, voltando la testa per non vedere la cacca che ne sarebbe potuta uscire. Quando non successe nulla, lui aprì con cautela il davanti del pannolino e respirò di sollievo. Niente cacca.
"Sei una brava bambina, Emily." le disse, sfilandole il pannolino da sotto. "Sei una bambina così brava, che ti darò subito la pappa, una volta che avremo finito qui."
Si fermò, guardò il pannolino pesante che aveva in mano e si guardò attorno nella piccola stanza rosa. Che ci doveva fare con quello? Vide un secchio non molto lontano e pensò di doverlo mettere lì … ma non riusciva ad arrivarci.
Ora aveva un dilemma. Emily era grande abbastanza da rotolare fuori dalla tavola se si fosse allontanato e l’avesse lasciata incustodita? Sarebbe stato difficile spiegarlo a i suoi genitori.
Decise di appoggiare il pannolino per terra.
Nate odiava l’odore e la sensazione dei fazzolettini bagnati, ma sembrava che Emily li odiasse ancora più di lui. Ormai, piangeva così forte che lui cominciò a temere per la sua salute. Si accigliò, preoccupato di averle fatto male senza volerlo. Gettò frettolosamente il fazzoletto sopra il pannolino e ne cercò uno pulito. Lo guardò, fissando la fila di piccole papere disegnate da una parte.
La domanda era – quale lato aveva le papere? – il davanti o il dietro?
Nate guardò il pannolino per terra, cercando di ricordarsi dove stavano le papere, ma non ci riuscì. Guardò Emily.
"Le papere vanno davanti o dietro?" le chiese, sorridendo imbarazzato.
Lei lo guardò come fosse un cretino.
Nate aprì il pannolino, lo girò da una parte, poi dall’altra. E decise che le papere andavano dietro. Dopo un’altra battaglia per tenerle ferme le gambe, alla fine riuscì a metterle il pannolino, anche se a casaccio. Riallacciare la tutina si dimostrò molto più difficile che aprirla – ogni volta che pensava di aver allineato i ganci, Emily scalciava, lui perdeva la presa e doveva ricominciare da capo. Una volta un piedino entrò in contatto col suo viso, prendendolo in pieno naso.
Finalmente la battaglia del pannolino finì, Nate prese in braccio la sorellina e scoprì di essere in un bagno di sudore.
Buon Dio! Ed era solo una bambina! Perché doveva essere così difficile?
Frustrato dalla sua inettitudine, si diresse in cucina, cullando la piccola, mentre prendeva il biberon di latte dal frigo.
E fu subito preso dal panico – quello era l’unico biberon che aveva. Se avesse fatto qualcosa di stupido, come farlo cadere o versarlo, avrebbe dovuto per forza svegliare Liz e non voleva assolutamente farlo.
Ancora una volta insicuro di sé, mise la bottiglia nel microonde e aspettò qualche secondo; poi provò il calore del latte sul suo polso e lo rimise dentro per qualche altro secondo. Emily era appoggiata alla sua spalla, succhiandosi la mano e protestando in maniera meno decisa di quanto avesse fatto prima.
"Faccio presto, piccola." mormorò Nate, controllando i secondi sul microonde. "Ancora pochi secondi, promesso."
Soddisfatto della temperatura del latte, Nate portò la bambina e il suo pranzo in soggiorno e si sedette sulla sedia a dondolo. Cercò di ricordare quello che gli aveva insegnato la signora Parker su come si tenessero i bambini e si sistemò Emily in grembo. Prendendo il biberon con la mano libera, lo avvicinò alla sua bocca, toccando con la tettarella il labbro inferiore. Lei lo prese in bocca – e lo sputò quasi subito, ricominciando immediatamente a piangere.
Nate la capì – lei era abituata a prendere il latte da Mamma e questo non era certo Mamma. Questa era una cosa di gomma, che lui stava cercando di infilarle nella bocca, e a lei non piaceva. Peggio ancora, lei non sapeva nemmeno chi fosse lui.
Nate la guardò sorpreso. Era per quello? Lei aveva già dimenticato il suo fratellone Nate, quello al quale si era aggrappata come ad un’ancora di salvezza quando era stata bruscamente gettata in questo mondo? Lui piegò il braccio che le sosteneva la testa e le carezzò con il pollice i capelli morbidi. Chiudendo gli occhi, pregò perché Emily si ricordasse di lui.

Sono io. Tu ti ricordi di me, Emily Marie. Nate, tuo fratello maggiore. Ti ho tenuto in braccio quando eri in ospedale. Ho aiutato la tua mamma a capire di cosa avessi bisogno.

Il silenzio della stanza costrinse Nate ad aprire gli occhi, per paura che fosse successo qualcosa al suo piccolo fardello. Guardando giù, vide che lei aveva preso la tettarella in bocca e lo stava guardando con i suoi grandi occhi scuri. Nate rimase a bocca aperta, ma continuò ad accarezzarle la guancia col pollice, mentre cominciava a far dondolare la sedia.
Era come se col pensiero l’avesse ascoltato, come se avesse capito di essere al sicuro.
Lo guardò senza battere ciglio, mentre si infilava il biberon in bocca, con gli occhi che sembravano più grandi della sua età.
Mentre lei succhiava dalla bottiglia, Nate sentì una piccola ondata di sollievo scendere dentro di lui. Se non altro l’ultima mezz’ora gli aveva provato che lui in nessun modo, aspetto o forma, era pronto per essere un padre. Sarebbe stato eternamente grato che Alyssa avesse cominciato a prendere la pillola, che non avrebbero dovuto temere sorprese di quel genere.
Nate smise di dondolare la sedia.
Lui aveva 19 anni. La bambina tra le sue braccia aveva tre mesi.
Max aveva 19 anni e Nate non aveva molto più di tre mesi, quando Tess era tornata sulla terra con lui.
Per la prima volta Nate comprese quale enorme impresa fosse prendersi cura di un bambino e si identificò con Max. Anche se non ci fosse stata tutta la complicazione aliena nella situazione, forse la decisione di Max di dare Nate in adozione era stata la cosa migliore. Non importa quanto potesse essere stata dolorosa.
Nate guardò Emily e vide che le sue palpebre cominciavano a chiudersi, mentre la sua boccuccia continuava a succhiare dal biberon ad un ritmo irregolare. Nate corrugò la fronte. Ma non doveva fare il ruttino? Delicatamente le sfilò il biberon dalla bocca e aspettò che la bambina protestasse. Quando non lo fece, la sollevò e se l’appoggiò sulla spalla, battendole leggermente la schiena. Dopo pochi attimi, lasciò andare un’eruzione che lo stupì decisamente. Nate scoppiò a ridere – e per fortuna che era una ‘signorina’. Poi Emily ricadde stanca sulla sua spalla.
Stettero così per molto tempo, nella casa silenziosa salvo che per il regolare dondolio della sedia e per i piccoli rumori da neonato che arrivavano da Emily.
Mentre lei dormiva, sbavando sulla sua T-shirt, Nate le accarezzava la schiena in movimenti lenti e circolari. Si sentiva trascinare il cuore verso quella bellissima bambina, una vita che sarebbe sempre stata una parte di lui.
Alla fine, Liz scese le scale, i lunghi capelli spettinati per il sonno. Nate le sorrise e lei si lasciò cadere sul divano, ancora stordita.
"Va meglio?" le chiese.
Lei si passò una mano tra i capelli ed annuì, dando uno sguardo all’orologio. "Che ore sono? Già le tre? Nate, perché non mi hai svegliata?" Sembrava sconvolta dal fatto di aver dormito per tre ore.
Lui si strinse nelle spalle. "Non è stato necessario, e tu avevi bisogno di dormire."
Gli occhi di Liz si posarono sulla bambina, appoggiata pacificamente alla spalla di Nate. "Ti ha dato problemi?"
Nate scosse la testa. "No. E’ stata un angelo."
Liz sorrise. "Vuoi che la tenga io?"
Lui girò la testa, ma riuscì a vedere solo la nuca di Emily. "Lei sta comoda. A meno che tu non voglia prenderla."
Liz scosse la testa. "Non ancora. Aspetta." Detto questo, si alzò e si diresse in punta di piedi verso il corridoio. Nate la sentì rovistare per la casa, poi tornò nella camera. "Posso?
Nate annuì la sua risposta.
Liz fece un grande sorriso, poi scattò un paio di foto, cambiando angolatura. "Le manderò a Max."
Nate sorrise. "Dov’è in questo momento?"
Liz chiuse la fotocamera e si rimise a sedere sul divano. "Non lo so."
Il sorriso di Nate sparì. Lei non lo sapeva – o non si fidava abbastanza di lui da dirglielo?
Sembrò che Liz fosse in grado di leggergli il pensiero. "Non lo so veramente, Nate." sospirò lei. "Non me lo dice mai. Pensa che meno ne so, più sono al sicuro."
Nate si accigliò. Poteva vedere la sua espressione frustrata. Gli Evans non conducevano certo una vita idilliaca. "E quando ti chiama? Non puoi saperlo dal numero del distretto?"
Lei scosse la testa. "Lui usa il cellulare. E non chiama mai alla stessa ora, così se qualcuno è in ascolto non può scoprire da quale fuso orario chiama. Ormai Max lo fa da vent’anni. E’ bravo a coprire le sue tracce." Gli rivolse uno sguardo stanco e si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Poi i suoi occhi si posarono sulla schiena di Emily e corrugò la fronte. "Nate?"
Alzatasi in piedi, spostò da una parte l’orlo della tutina di Emily, cercando di vedere al di sotto del tessuto, poi scoppiò a ridere.
"Cosa?" ripeté Nate, avendo la sensazione che stesse ridendo di lui.
"Le papere, Nate, vanno davanti."

***

Mentre tornava verso la sua mansarda, Nate rifletté sulla dura situazione in cui si trovava Liz. Aveva il sospetto che non potendo contare su Max, cercare di crescere una bambina in condizioni simili a quelle di una famiglia con un solo genitore, era stato un fattore essenziale nella sua decisione di non avere bambini. Certo, probabilmente lei era preoccupata dalle connessioni aliene e dall’impatto che avrebbero potuto avere su un bambino, ma sicuramente si era preoccupata del fatto di dover sostenerne tutto il peso.
Non era giusto. Niente in quei giorni sembrava giusto.
Non era giusto che Max dovesse andare via e che Liz dovesse lottare in sua assenza.
Non era giusto che Emily non avrebbe potuto conoscere veramente suo padre, che loro due avessero dovuto reimparare a conoscersi ogni volta che lui tornava a casa.
Non era giusto che lui si sarebbe perso il suo compleanno, il suo saggio di danza, la mattina del suo primo Natale.
Non era giusto che Max fosse nato in parte alieno.
Nate si accigliò. Perché c’era qualcuno che doveva sopportare una vita dura e qualcuno no? Durante tutta la sua infanzia, era stato felicemente inconsapevole delle sue origini e aveva avuto tutte quelle cose che Emily non avrebbe mai potuto avere. E già questo, di per sé, non era giusto. Il mondo era un posto ingiusto e crudele.
Mentre entrava nel suo posto auto, a fianco del garage dei Ramirez, prese una decisione – non era mai stato un organizzatore, ma avrebbe steso un programma e tutti loro avrebbero fatto dei turni per aiutare Liz. I turni avrebbero coinvolto lui, Alyssa e quel dissoluto di Jeremy, che aveva disperatamente bisogno di un’occupazione per tenere la sua mente lontana dalla caccia alle gonnelle. Nate avrebbe chiesto aiuto anche a Isabel, pur sapendo che era occupata con il negozio e i gemelli.
Presa quella decisione, Nate si sentì un po’ meglio mentre scendeva dal furgone. Nella mansarda, trovò Jeremy disteso sul divano che sgranocchiava una busta di salatini al formaggio. Lui si ricordava di aver chiuso la mansarda, ma con un’orda di ibridi che gironzolavano lì intorno, non c’era molto senso a farlo.
"Amico," disse Nate , attirando l’attenzione del ragazzo. "Tu sei il primo."
Jeremy si fermò a metà boccone. "A far cosa?" disse, continuando a masticare uno spicchio di arancio.
"Domani, andrai ad aiutare tua zia Liz con la bambina."
Jeremy spalancò i grandi occhi scuri e Nate si accorse che stava per protestare.
"Se non lo farai," gli disse tranquillamente. "ti taglio fuori da MTV."
Jeremy sollevò leggermente un sopracciglio e deglutì. "Io non sono capace a prendermi cura di un neonato."
Nate si strinse nelle spalle. "Non è difficile. Basta che ti ricordi di una cosa."
Jeremy sembrò disgustato. "Cosa?"
"Le papere vanno davanti. Lo sanno tutti.

Capitolo 3

"Ho visto che ti prendi cura delle mie ragazze." La voce di Max, dall’altro capo della linea, era affettuosa anche se stanca.
Nate rise con dolcezza. "Beh, si, qualcosa del genere."
"Non qualcosa del genere, da quello che ho visto dalle foto che Liz mi ha mandato per email." lo prese in giro Max. "C’è una bambina felice lì. Cosa le hai fatto?"
"Niente." gli rispose prudentemente Nate. "Le ho dato solo il latte. E le ho fatto are il ruttino. E accidenti se lo sa fare!"
Max rise, ma mancava qualcosa nella sua risata, che risuonò vuota.
Il sorriso di Nate sparì. "Senti, Max, farò tutto quello che posso per aiutare Liz. Non ti preoccupare per loro."
Max sospirò. "Ma io mi preoccupo, Nate. Liz è mia moglie. Emily è mia figlia. Tu sei mio figlio. E’ una mia responsabilità esserci per coloro che amo. E invece … non posso farlo."
Per la prima volta da quando aveva conosciuto Max, Nate avvertì la frustrazione nel suo tono di voce. Di solito, Max era ottimista, cercava di vedere il lato positivo e contava le sue fortune. Ma non quel giorno. Quel giorno era piuttosto cupo.
"Max, va tutto bene?" chiese prudentemente.
"Bene." fu la quasi automatica risposta, che risuonò falsamente allegra.
Nate si accigliò. "Ne sei sicuro?"
"Si. Sono sicuro. Allora, com’ è il tuo appartamento? Portato tutto?"
A Nate non sfuggì il non troppo sottile tentativo di cambiare argomento, ma ebbe l’impressione che Max avesse bisogno di una tregua e decise di non fargli pressione. "L’appartamento è carino. Isabel è stata un tesoro, Max."
Questa volta, dall’altro capo della linea, la risata di Max fu più sincera. "Può esserlo, quando lo vuole, Nate. Alyssa è già arrivata?"
"Andrò a prenderla oggi pomeriggio." Nate non poté nascondere il sorriso nella sua voce.
"Bene allora, farò in modo di non chiamare per un paio di giorni." Nate riuscì praticamente a vedere il ghigno sulla faccia di Max.
"Non ce n’è bisogno. Voglio dire … " le sue guance diventarono immediatamente rosse.
Max rise dolcemente." Si, so quello che vuoi dire. Ragazzo, ho avuto anche io la tua età, te lo ricordi?"
Nate si guardò le scarpe, scalciando l’angolo del tappeto che aveva messo davanti al camino. "Si, lo so."
"Solo una domanda."
"Si, usiamo gli anticoncezionali."
Ci fu una pausa dall’altra parte della linea, come se Nate avesse sorpreso Max con la guardia abbassata.
"Una buona cosa, Nate. Ma non era quello che stavo per chiederti."
"Oh."
"Volevo solo sapere se il padre di Alyssa è a conoscenza della sistemazione alloggiativa."
Nate si morse un labbro. A dire il vero, non sapeva come rispondere. "Sa che io sono a Boston. E che Alyssa sarà a Boston … "
"Ma non gli avete detto che sarete nello stesso punto di Boston?"
Ora Nate si immaginò che le sopracciglia di Max avessero preso la forma di una V invertita.
"Credo che Alyssa glielo abbia detto."
Un altro breve silenzio, poi Max scoppiò a ridere. "Santo cielo! Buona fortuna a te, Junior."
"Cosa vuoi dire?"
"Voglio dire che se Alyssa è veramente su un aereo diretto in Massachusetts, allora NON ha detto a Michael dove andrà ad abitare. Oppure, ha tralasciato di dirgli che avrà un compagno di stanza."
Nate si accigliò. Non gli piaceva che Max mettesse in discussione le azioni di Alyssa. "Sono sicuro che l’ha fatto."
"Nuh huh." rise Max. "Conosco Michael da tantissimo tempo, Nate – più di trent’anni. Se lui l’avesse saputo, io l’avrei saputo. E lui non mi ha detto un bel niente. E allora sta attento a come lo scoprirà. Fa in modo che non sia una sorpresa per lui."
Nate si strinse nelle spalle. Non era preoccupato di Michael Guerin – almeno fino a che loro due stavano ai lati opposti del paese.
"Ora devo correre." annunciò Max, la momentanea allegria sparita dalla sua voce. Cosa che fece stringere lo stomaco di Nate.
"Max, sei sicuro di stare bene?"
"Sto bene, Nate. Buona fortuna con la scuola, se non riusciremo a sentirci prima di allora. E grazie per l’occhiata alle mie ragazze. Lo apprezzo veramente."
"Non è un problema."
Si salutarono, poi Nate fissò il tappeto davanti al divano. C’era qualcosa che non andava nel modo di comportarsi di Max. Forse era solo il trauma della prima separazione da sua figlia. Qualsiasi cosa fosse, aveva messo Nate a disagio. Avrebbe voluto sapere dove fosse Max, ma alcune domande – specialmente se fatte per telefono – erano vietate.
Uno sguardo all’orologio gli rivelò che l’aereo di Alyssa sarebbe atterrato tra un’ora e mezza. Nate saltò dal divano e cominciò a mettere in ordine l’appartamento – non voleva che trovasse un porcile, la prima volta che fosse entrata lì.
Jeremy aveva lasciato la busta vuota dei salatini sul tavolino e c’erano un paio di suoi calzini sporchi sulla maniglia del bagno. Li mise a posto, poi lisciò il letto, senza riuscire ad impedire che un grande sorriso gli affiorasse sulle labbra. Era ora che lui e Alyssa battezzassero in modo appropriato quel letto.
In cucina, lavò la tazza dei cereali della colazione e si assicurò che i fiori che aveva comprato e sistemato sul tavolo, avessero acqua a sufficienza. Dopo aver riordinato la casa, era ora che si preparasse lui. Nel bagno, si pettinò i capelli, si sistemò i vestiti, poi rivolse alla sua immagine nello specchio un sorriso nervoso. Era ora di andare.
Era così eccitato che quasi ruzzolò per le scale. Sarebbe stato il massimo – poteva immaginare Alyssa che aspettava pazientemente all’aeroporto qualcuno che l’andasse a prendere, mentre all’ospedale, un dottore ingessava la gamba rotta di Nate. La scarica di adrenalina trasformò la paura in sollievo e poi in eccitazione. Ora lei era così vicina che quasi poteva sentirla.
Guidare verso il Logan International Airport era un incubo, specialmente all’una di pomeriggio di venerdì.
Nate si fermò per pagare una miriade di pedaggi, poi ci volle un’altra eternità per passare il tunnel che passava sotto l’Oceano Atlantico e portava all’aeroporto.
L’eccitazione nelle sue vene diventò ansia quando si rese conto che l’aereo di Alyssa sarebbe atterrato dopo 15 minuti e lui era ancora nel furgone.
Aveva questa organizzato questa scena nella sua mente – lui che aspettava Alyssa al cancello, con un grande sorriso, forse con un mazzo di fiori che doveva ancora comprare; poi lei sarebbe arrivata dalla rampa, con l’aria un po’ sperduta, l’avrebbe visto e gli sarebbe corsa tra le braccia.
Sembrava una scena presa da uno sdolcinato film di Hollywood. Lui avrebbe fatto volentieri lo sdolcinato, se solo fosse riuscito ad arrivare prima che l’aereo atterrasse. Ma sembrava impossibile.
Quando Nate finalmente uscì dall’ auto e cominciò a correre, l’aereo di Alyssa doveva essere già atterrato. Fu improvvisamente grato del fatto di aver trascorso allenandosi alla corsa il tempo che erano stati divisi, perché correre per l’aeroporto gli costò un certo sforzo. Schivò persone con una ridicola quantità di bagagli, scansò un equipaggio che stava decidendo dove andare a pranzare, saltò un cordone rosso alla biglietteria. Nel frattempo, controllò i monitors per sapere a quale cancello l’avrebbe trovata, se il suo aereo fosse arrivato.
Lo era.
Nate si arrampicò sulla scala mobile, salendo gradini che già si muovevano. Corse in mezzo ad una folla che si dirigeva in senso inverso, segno evidente che un DC10 aveva scaricato i suoi passeggeri. La delusione corse nelle sue vene alla vista delle loro facce felici. Sapeva che aveva privato Alyssa della stessa possibilità di essere felice – a quel punto lei doveva aver pensato che le avesse dato una buca.
Ma quando, alla fine, la scorse, vide che non era delusa e nemmeno preoccupata.
La vide prima che lei vedesse lui e, in quei pochi secondi, la studiò senza che lei si rendesse conto di essere osservata. Indossava la stessa maglietta bianca di quando l’aveva baciata per la prima volta e una corta gonna verde oliva. I suoi capelli lunghi le scendevano sulle spalle, brillando come fili d’oro, mentre girava la testa in cerca di lui. Le mani erano unite davanti a lei e stringevano una bianca borsetta estiva.
Nate restò senza fiato – e non era difficile che succedesse, se pensava alla corsa che aveva appena fatto – e il suo cuore fece un tonfo prima di ricominciare a battere più velocemente.
Lei era veramente lì.
Mentre cominciava a dirigersi verso di lei, Alyssa girò la testa nella sua direzione, il suo sguardo si posò su di lui senza riconoscerlo, poi un attimo dopo lei correva dritta nella sua direzione, strillando come una scolaretta. Nate le fece un largo sorriso ed allargò le braccia; lei vi si gettò in mezzo e i loro corpi si urtarono con una forza inaspettata.
"Oh, mio Dio!" gridò lei, mentre lo stringeva forte. "Mi sei mancato così tanto!"
Nate rise ed annuì, senza respiro e sudato. Non era così che aveva immaginato il loro incontro. Non c’era niente di romantico nel farsi trovare sudato come un giocatore di rugby.
Non che Alyssa sembrasse averci fatto caso. Lei premette forte le labbra su quelle di lui e lui ricambiò il bacio con passione – fino a che si ricordò le parole di Michael sul fatto che doveva portarle rispetto quando erano in pubblico. Così la respinse dolcemente, sorridendole perché non si sentisse rifiutata, e le mise il braccio intorno alla vita.
"Andiamo a prendere i tuoi bagagli ed usciamo di qui." le disse. Così sarebbero potuti andare a casa e avrebbe potuto darle un adeguato benvenuto a Boston.
Lei chiacchierò per tutto il tragitto fino al ritiro bagagli, raccontandogli del viaggio e del lunatico giornalista seduto accanto a lei. Naturalmente, la tacita ironia stava nel fatto che quel reporter aveva seduta accanto a lui una storia che avrebbe cambiato il mondo e lui non l’avrebbe mai saputo. Non sembrava che quel fatto avesse turbato Alyssa, mentre Nate si chiese se nella stessa situazione sarebbe riuscito ad essere altrettanto calmo e padrone di sé.
Rimasero di nuovo imbottigliati nel traffico, ma nessuno di loro sembrò farci caso. Nate teneva il suo braccio sulle spalle di Alyssa e le accarezzava la pelle con il pollice; ricordava molto bene come fosse morbida la sua bella pelle.
Ogni tanto Alyssa gli dava un bacio sulla guancia o sull’orecchio, cosa che faceva crescere ancora di più l’eccitazione di Nate. Se lei non la smetteva, non era sicuro di riuscire ad arrivare alla mansarda.
"Zia Isabel ci vuole a cena da loro, stasera." le disse, cercando di ignorare la leggera tensione che cominciava a sentire nei jeans.
"Oh, grande!" squittì Alyssa. "E’ tanto tempo che non vedo i ragazzi!"
Nate pensò ai bizzarri gemelli e si rese conto che li aveva visti solo due volte, da quando era arrivato a Boston – ma erano state sufficienti. D’altro canto, Jeremy sembrava sempre stargli tra i piedi. Stava per raccontarlo a lei, quando la mano di Alyssa si posò sulla sua coscia e lui non si ricordò più chiaramente di chi fosse Jeremy …
Arrivati a casa Ramirez, Nate fermò il furgone dietro al garage, poi saltò fuori e prese i bagagli di Alyssa dal retro. Quando lei scese dalla macchina, la sua minigonna lasciò intravedere solo un piccolo angolo di merletto e Nate si rese conto di avere una sola cosa nella sua testa.
Al diavolo la cena. Al diavolo i bagagli. A quel punto non gli importava più di niente. Alyssa si voltò, innocente e sensuale nello stesso tempo, e lui lasciò cadere a terra i bagagli.
Girando attorno al furgone, le prese un braccio, salì un gradino della scala che portava alla mansarda, poi la prese per la vita e la baciò spietatamente. Lei lasciò andare un gridolino e si appoggiò contro di lui, le braccia abbronzate intorno al suo collo. Un innegabile bisogno crebbe veloce dentro di Nate e si rese conto che non ce l’avrebbero mai fatta a salire quella scala e ad arrivare fino al letto. Allora la respinse dolcemente, le sollevò la gonna e le sfilò le mutandine.
Gli occhi scuri di Alyssa si spalancarono mentre lo guardava. Sollevò la mano che tremava contro la porta e la fece chiudere, facendo andare al suo posto il meccanismo della serratura. Poi prese la lampo di Nate, la tirò giù e lo liberò dei pantaloni. Lui si lamentò, poi sollevò insieme la maglietta e il reggiseno per esporle il petto. Alyssa lasciò andare un lungo gemito, mentre lui lo prendeva rudemente con la bocca.
Dopo pochi secondi erano uniti, godendosi la loro prima sveltina. Nate notò che ogni volta che lui spingeva, la testa di lei batteva contro il bordo di un gradino. Curvò le sue dita sui capelli di lei, lasciando che fosse la sua mano a subire i colpi. Entrambi avevano il fiatone, i mesi di lontananza avevano bisogno di essere ripagati.
"Oh – Dio – Nate." sospirò Alyssa, le sue parole discontinue che accompagnavano il ritmo del loro movimento. "Ho – sentito – così – tanto – la tua – mancanza."
"Anche io." ansimò lui, cercando di mantenere il controllo. "Non posso più aspettare."
Lei scosse la testa. "Nemmeno io."
In quel momento arrivarono insieme, Alyssa gridando, Nate semplicemente rabbrividendo con un gemito. Poi si lasciò andare sopra di lei, sorridendo stupidamente nella luce opaca del tramonto.
Dopo un lungo momento di riposo, lui sollevò la testa e le sorrise, baciandola teneramente. Il suo sguardo si posò sul seno perfetto, che ora aveva i segni di un morso attorno al capezzolo. Nate si sentì sommergere da un senso di colpa.
"Oh, Dio." le disse pieno di rimorso, toccando il segno con la punta delle dita. "Ti ho fatto male. Mi dispiace, Alyssa." Con lo sguardo pieno i dolore, incontrò gli occhi di lei.
Ma Alyssa stava sorridendo. "Mi è piaciuto."
Nate sollevò un sopracciglio.
"Mi è piaciuta quella sensazione." gli disse, accarezzandogli il viso. "Non mi hi fatto male." Lo baciò teneramente, poi lo spinse indietro. "Cosa ne pensi di farmi vedere dove vivrò, adesso?"

Capitolo 4

Raccolti i bagagli di Alyssa dalla strada, Nate trovò le sue mutandine in fondo alle scale. Con un timido sorriso, le raccolse e fece ad Alyssa, che lo stava aspettando a metà della scala, un sorriso compiaciuto. Quando la raggiunse, le posò un braccio sulle spalle e le diede un bacio sulla tempia.
"Ti amo." le sussurrò all’orecchio, provocandole una risatina.
Salirono insieme gli ultimi gradini, persi nel ricordo di quello che era appena accaduto, travolti dalla gioia di essere finalmente insieme. Il futuro presentava loro così tante possibilità, non c’era nulla che non potessero fare. Fino a che fossero stati insieme.
Arrivati in cima, si fermarono all’improvviso.
Seduto sul divano, con un ghigno stupido sul viso, c’era Jeremy Ramirez. Una sensazione di calore strisciò sulla pelle di Nate. Sicuramente Jeremy non li aveva sentiti … o si?
Nate guardò Alyssa, i biondi capelli scompigliati, l’espressione di una che era appena stata sorpresa a rubare. Certo che li aveva sentiti – chi non li avrebbe sentiti facendo l’amore su una scala di legno?
Per non parlare del fatto che Nate aveva in mano un paio di mutandine decisamente femminili. Schiarendosi la voce, le infilò velocemente nella tasca dei jeans.
"Che stai facendo qui?" chiese a Jeremy, cercando di non sbraitare contro il ragazzo. Dopo tutto, aveva fatto avanti e indietro come gli pareva sin da quando Nate si era trasferito lì – come avrebbe potuto sapere che ora non era più possibile?
Jeremy fece una smorfia, la faccenda si era girata di 180 gradi rispetto a quando sua madre l’aveva trovato lì con Mandy, qualche mese prima. "Godendomi uno spettacolo, sembrerebbe."
Alyssa restò senza fiato per l’indignazione. "Ci hai guardati?"
Jeremy rise, vittorioso. "No, ma di sicuro ho sentito un sacco di cose."
Nate era imbarazzato, perché non era nel suo modo di fare essere spudorato per quello che riguardava il sesso. Alyssa, invece, sembrava avere l’intenzione di strappare la testa di Jeremy dalle sue spalle. Nate posò le sue valigie e si avvicinò al divano, prese il ragazzo per un braccio e lo fece alzare in piedi.
"Okay, credo che il lasciapassare sia scaduto." disse senza animosità, spingendo il cugino verso le scale. "Da ora in poi, vorrei che mi avvertissi, prima di venire."
Jeremy rise e si liberò dalla sua presa. "Okay, okay. Nessun problema, amico. Ricordati solo di quello che mi hai detto."
"E sarebbe?"
"Ragazzo, devi imparare a stare più attento." Jeremy piegò giocosamente la testa da un lato.
Nate arrossì. Erano esattamente le sue parole. Non avrebbe mai visto la fine delle punizioni lungo la sua strada?
"Addio, Jeremy!"
"Oh, aspetta!" disse il ragazzo fermandosi in cima alla scala. "Ero venuto qui per un motivo."
"Quale?"
"Mamma mi ha mandato ad avvertirvi che la cena sarà pronta tra un’ora."
Nate annuì. "Okay, grazie."
Vide Jeremy scendere la scala e chiudere la porta dietro di lui. Si girò verso Alyssa, si infilò le mani in tasca e sentì il tessuto sottile delle sue mutandine. "Mi dispiace di questo."
Un po’ del rossore aveva lasciato il viso ed il collo di Alyssa, ma sembrava ancora irritata. "Non può entrare ed uscire quando gli pare, Nate."
Lui annuì. "Lo so. Anche lui lo ha capito."
Sembrava quasi che lei stesse per piangere, così lui attraversò la stanza e la prese tra le braccia.
"Cosa c’è che non va, amore?"
Lei si strinse nelle spalle e distolse lo sguardo da lui. "E’ che il desiderio di stare con te è così forte." gli confessò. "Quando ho deciso di venire qui, non pensavo a questo. Non pensavo che uno dei ragazzi mutanti di zia Isabel ci sarebbe stato sempre tra i piedi."
Nate scoppiò a ridere. Durante l’estate aveva imparato a conoscere Jeremy piuttosto bene e non l’avrebbe definito propriamente come un mutante. Arrapato si. Mutante no.
Comunque, la giuria si doveva ancora pronunciare sui gemelli …
"Jeremy non è poi tanto male." le assicurò.
"Perché tu non l’hai sopportato per tutta una vita." gli fece il broncio Alyssa.
Aveva ragione – e lui aveva torto. Lei aveva una opinione già costituita dall’esperienza e lui non l’aveva. Forse il Jeremy che conosceva lui non era lo stesso che aveva generato quella opinione nel corso degli anni.
"Andrà tutto bene." le disse, accarezzandole le braccia. "Guarda. Qui è dove vivrai da ora."
Gli occhi scuri di Alyssa si mossero per la stanza e Nate si accorse che l’umore nero cominciava ad illuminarsi un po’.
"So che non è un gran che." le disse. "E’ solo una grande stanza, ma mi piace. Di là c’è la cucina. E il bagno è dietro quella parete. C’è un letto, naturalmente."
Lei lo guardò negli occhi e si sorrisero. Il loro letto. Il loro primo letto.
"Abbiamo un’ora di tempo." le disse, sollevandole la mano e baciandola sul dorso. "Cosa vuoi fare? Vuoi riposarti per riprenderti dal volo o … "
Alyssa gli mise le braccia attorno al collo e lo baciò dolcemente sulle labbra. "O … "

***

Jason e Justin erano sempre più strani.
Nate aveva trascorso la maggior parte del tempo passato a Boston evitandoli, cosa che non era difficile, considerando il fatto che trascorrevano quasi tutto il loro tempo libero davanti alla TV. Ora, tuttavia, lo stavano fissando seduti dall’altra parte del tavolo, i loro lineamenti e le loro espressioni identiche. A Nate ricordavano due gatti che fissavano la loro preda senza battere ciglio.
Isabel stava logorando il pavimento, facendo avanti e indietro tra il soggiorno e la cucina, portando vassoi colmi di cibo – in quantità sufficiente a nutrire un piccolo esercito. Jesse era di nuovo in cantina per scegliere il vino perfetto per l’occasione, avendo trovato qualcuno con cui poter bere insieme.
"Zia Isabel, lascia che ti aiuti." disse Alyssa ad uno dei passaggi della zia.
"Ho tutto sotto controllo." replicò Isabel, un sorriso da ragazza-copertina saldamente incollato sulle sue labbra. Nate ebbe l’impressione che le facesse piacere essere capace di provvedere a quelli che amava.
"Lo faccio volentieri." insistette Alyssa.
"Sei mia ospite." disse Isabel, tornando in cucina ancora una volta. Poi disse, girandosi oltre la sua spalla "Almeno per stasera."
Nate guardò Alyssa con amore, con in testa i ricordi del loro recente incontro.
Per poco non erano arrivati in ritardo perché avevano trascorso il loro tempo amandosi, baciandosi, toccandosi e abbandonandosi ai loro desideri. Era rimasto loro appena il tempo per una doccia veloce.
Guardando dall’altra parte della tavola, Nate vide che Crick e Crock lo stavano fissando. Poi volse lo sguardo verso Jeremy, che stava facendo un sorrisetto ironico. Sembrava che l’unica persona che potesse guardare senza sentirsi a disagio fosse Alyssa. La qual cosa gli andava benissimo. Anche se la sedia vuota accanto a Jeremy lo incuriosì.
"Che classe farete voi due quest’anno?" chiese Alyssa ai gemelli.
All’unisono, girarono lo sguardo verso di lei e dissero "La prima liceo." Poi, in perfetta sincronia, si girarono verso Nate e continuarono a fissarlo.
Alyssa lo guardo con un tono di scusa. Mutanti.
"Ho un vino stupendo." annunciò Jesse orgogliosamente, fermandosi accanto al tavolo e togliendo la polvere da una bottiglia che teneva in mano. Stava ridendo, ovviamente compiaciuto di se stesso. "Alyssa, vuoi un po’ di vino?"
Alyssa aveva solo 17 anni. Non aveva l’età per bere alcolici. D’altronde, nemmeno Nate l’aveva.
"Non ho mai bevuto del vino." ammise lei, sorridendo timidamente.
Jesse le ricambiò il sorriso. "Allora stasera berrai il tuo primo bicchiere, assieme a noi." Si diresse in cucina per prendere un cavatappi e quasi si scontrò con Isabel, che stata arrivando con una pentolone piena di qualcosa.
Nate spalancò gli occhi. Quando sarebbero arrivate le masse affamate?
Appena formulato quel pensiero, il campanello della porta suonò, non un trillo da campanello comprato ai grandi magazzini, ma un forte scampanio che ben si adattava a quell’abitazione così grandiosa. Isabel ghignò. "Eccellente." e lasciò la stanza, asciugandosi le mani con un asciugapiatti che aveva sopra la spalla.
Nate guardò il duo che lo stava fissando, poi il cugino sghignazzante e, alla fine, tornò a guardare la sua bellissima ragazza. Alyssa gli sorrideva dolcemente, contegnosa e civettuola nello stesso tempo. Nate stava scoprendo che lei era un paradosso a qualsiasi livello. Insolente, ma facilmente imbarazzabile. Volgare, ma anche raffinata. Dura come il ferro, ma molto sensibile. Esperta, ma ancora ingenua. Lui amava tutto questo in lei, che quelle qualità divergenti tra loro potessero coesistere senza conflitto dentro di lei.
"Guardate chi ho trovato." annunciò Isabel dalla soglia della porta.
Si girarono tutti in quella direzione e videro Liz Evans, dall’aspetto un po’ più riposato dell’ultima volta che Nate l’aveva vista, che reggeva un porta enfant in una mano. Nate e Jeremy fecero un largo sorriso e Alyssa si alzò immediatamente in piedi per andare a salutare sua zia e la bambina, che non aveva ancora mai visto di persona. I gemelli si limitarono a guardarla imperturbati.
"Zia Liz!" gridò Alyssa, gettando le braccia attorno alla donna così violentemente da farla quasi cadere in terra.
"Ciao, tesoro." rise Liz, mentre il porta enfant le dondolò nella mano.
Alyssa si tirò indietro e guardò nella culletta. La sua faccia si trasformò in una maschera di meraviglia quando scorse Emily, che dormiva silenziosa. "Oh, zia Liz … " sospirò. "Quanto è bella."
Nate si alzò e si avvicinò a loro, mise una mano sulle spalle di Alyssa, mentre fissava la piccola. Raddrizzatosi, baciò Liz sulla guancia.
"Ciao, Liz." le disse, sorridendole dolcemente.
"Ciao, Nate." rispose lei, ricambiando il suo affetto. Sembrava che nei suoi occhi ci fosse uno sguardo particolare per lui, qualcosa che Nate non si sarebbe mai aspettato di trovare.
Nate si voltò verso Alyssa e vide che i suoi occhi erano lucidi, all’idea di vedere la bambina ma di non poterla toccare. Nate sapeva che aveva un folle desiderio di sollevare la bimba dalla culla e stringerla tra le braccia, ma la cena era pronta, Emily era stanca e Alyssa avrebbe dovuto aspettare.
Si misero tutti seduti, mentre Liz posava la culletta di Emily sul pavimento accanto a lei, dove avrebbe potuto vederla. Sotto la tavola, Nate prese la mano di Alyssa e la strinse. In qualche modo sapeva che, un domani, avrebbero avuto un bambino loro. Non sapeva quando, non credeva che sarebbe accaduto tanto presto, ma ne era certo, come era certo che il sole sarebbe sorto l'indomani sul porto di Boston.
Jesse versò il vino per quelli che avevano l'età per berlo, e anche per qualcuno che non l'aveva, poi alzò il suo bicchiere in un brindisi.
"Alla famiglia." disse.
Intorno alla tavola, tutti alzarono il bicchiere e gli fecero eco "Alla famiglia." prima di bere.
La conversazione a tavola fu leggera, con argomenti come l'inizio della scuola – sia il Liceo che l'Università – e sul viaggio di Alyssa di quella mattina.
Liz parlò della maternità e del fatto di aver preso un anno sabbatico – non ci sarebbe stato inizio di scuola, quell'anno, per la Professoressa Evans.
Questo rese Nate un po' triste, ma poi disse a se stesso che magari Liz aveva pensato che fosse per il meglio, che forse sapeva che Emily aveva bisogno della presenza costante di almeno uno dei suoi genitori, essendo così piccola.
Dopo il dessert, i ragazzi di Isabel si sparpagliarono e Jesse, piuttosto alticcio, si offrì di rigovernare al posto di sua moglie. Nate sorrise alla sua offerta – aveva l'impressione che il Consigliere Ramirez adorasse la terra su cui la sua Antariana consorte camminava. Ma almeno lo fece senza dare l'idea di esservi costretto.
Isabel, Liz, Alyssa e Nate si ritirarono in soggiorno, dove finalmente la piccola Emily cominciò a stiracchiarsi, scacciando il sonno dai suoi occhi scuri e ridendo alla sua mamma, appena si fu svegliata. Dopo due minuti, Alyssa aveva già la bambina in grembo e Nate immaginò che Liz avrebbe avuto bisogno di un piede di porco per toglierle la bambina, quando fosse arrivato il momento di andarsene.
"Come sta mio fratello?" chiese Isabel, sedendosi sul divano.
Nate fece finta di essere assorto nel giocare con Emily, ma in realtà stava aspettando la risposta di Liz, che arrivò a rilento.
"Bene." disse alla fine, col tono di qualcuno abituato a dire una parola rassicurante.
Nate scambiò uno sguardo con Isabel e colse la sua espressione diffidente. Non aveva visto la faccia di Liz, perché era girata dall'altra parte, ma non gli era piaciuto quella che aveva visto sul viso di sua zia. Unita all'insolito comportamento che Max aveva avuto quella mattina, Nate ebbe la sgradevole sensazione che qualcosa non andasse.
"Ha gli occhi di zia Liz." disse Alyssa, distraendo Nate da quella conversazione.
"Si." fu d'accordo lui, mentre prendeva la piccola mano di Emily nella sua.
"Ma ha le ciglia di zio Max." rifletté lei.
Nate strinse gli occhi. "Alyssa, pensi che, tutto considerato, sia ancora appropriato per te chiamarlo zio Max?"
Lei lo guardò sorpresa, poi lo guardò timida e fece una smorfia. "Come vorresti che lo chiamassi? Lo chiamo così da quando sono nata."
Dentro di sé, Nate sapeva che avrebbe voluto lo chiamasse papà, nel senso di suocero. Ma era troppo presto per proporlo. Così si limitò a sorriderle. Alyssa si chinò verso di lui e lo baciò castamente sulle labbra.
"Lo farò, prima o poi." gli disse sottovoce, in modo che potesse sentirlo solo lui.
Il sorriso di Nate si fece più forte. Nel suo cuore sapeva che questo era il suo augurio per lui.
"Ne vorrei uno con i miei occhi e le tue ciglia." Alyssa gli sfiorò il viso, passandogli il pollice sopra le lunghe ciglia, che aveva ereditato da Max.
Bizzarro quel fatto – entrambi i figli di Max avevano ereditato le sue ciglia e gli occhi della madre. Nate sorrise a quell'idea.
" Cosa c'è?" gli chiese Alyssa.
Lui scosse la testa. "Niente. Anche io vorrei un bambino, un giorno." Continuò a giocare con Emily, mentre cercava di afferrare la conversazione dall'altra parte della stanza.
Era certo che un giorno sarebbe diventato padre. Sperava solo che il destino gli sarebbe stato amico e che non avrebbe dovuto essere un padre assente dalla vita dei suoi figli, come lo era Max.

Capitolo 5

"L'ho sognato."
Nate socchiuse lentamente gli occhi, cercando di trattenere le immagini e di decifrare le parole che vagavano nel suo cervello. La luce del sole aveva appena cominciato a fare capolino dalle tende sopra il loro letto. Alyssa era sdraiata contro di lui, la guancia appoggiata su una parte del suo petto, le lunghe dita sull'altra.
"Hmmm?" mormorò lui, chiudendo gli occhi e facendo un respiro profondo. La mattina era sempre stata un momento difficile per lui, pieno di confusione e di profondo desiderio di tornare a dormire.
"Questo, noi." gli disse contro la sua pelle, il soffice respiro che si diffondeva sul suo corpo, mentre parlava. "Ho sognato che saremmo stati insieme. Fin dal momento in cui ti ho baciato la prima volta. Sapevo che un giorno sarebbe accaduto. Ed ora è successo." Nate poteva sentirla sorridere contro di lui.
Ricacciando il sonno in un angolo della sua mente, Nate fissò il soffitto, accigliandosi. Le parole di Alyssa sembravano sottolineare il fatto che lei avesse previsto la loro unione, invece che sperarla. Poteva vedere nel futuro?
"Cos'altro hai visto?" le chiese, stringendo le braccia attorno a lei. Guardò in basso, verso la cima della testa di lei, quando non la sentì rispondere.
"Non voglio dirtelo." gli disse con dolcezza.
Nate riprovò la vecchia, familiare sensazione di stretta allo stomaco. "Perché no?" le chiese cauto.
"Perché ho paura che ti rattristerebbe." Il tono di lei si era trasformato, in un attimo, da euforico a triste.
Nate le accarezzò la schiena con il palmo della mano aperto. "Nessun segreto tra noi, rammenti?" le ricordò sottovoce. "Puoi dirmi tutto, anche se quello che mi dici mi farà soffrire."
Lei sollevò la testa, i capelli adorabilmente in disordine per il sonno, i suoi occhi pieni di scuse.
"Tu sarai Re, Nate."
Lui deglutì con difficoltà. "Un giorno."
Lei lo guardò per un lungo momento, poi annuì. "Un giorno."
Appoggiò di nuovo la testa sul petto di lui, facendo scorrere le dita sui suoi pettorali. "Sei più muscoloso dell'ultima volta che ti ho visto." gli disse con una risatina, cambiando goffamente argomento.
Nate la guardò far scorrere le dita verso il suo addome, che stava cominciando giusto a far intravedere i primi segni di eccitazione.
"Un giorno diventerai sexy come zio Max." rise lei.
Nate si accigliò, non proprio sicuro che gli piacesse il fatto che la sua ragazza lo paragonasse a suo padre al quale, oltretutto, si rivolgeva come "zio". Che confusione!
Ma Nate non aveva dimenticato le parole di Alyssa, né il silenzio che era seguito dopo che aveva detto che ‘un giorno’ sarebbe stato Re. Lui l'aveva guardata negli occhi e qualcosa gli aveva detto che quel 'un giorno’ non era una qualche data futura. Forse quel giorno era più vicino di quanto lui non pensasse. E Nate non voleva pensarci.
Alyssa sembrò cosciente dei suoi pensieri e girò la testa, baciandogli un capezzolo, scacciando via ogni residuo di sonno e ogni pensiero di ascesa al trono, dal corpo di Nate. Per essere una donna, era particolarmente ossessionata da quella parte della sua anatomia. Nate aveva conosciuto ragazzi che erano ossessionati dal seno femminile – diavolo, lui era uno di loro – ma scoprire quella passione in una ragazza, per lui era strano. Non che avesse qualcosa da ridire …
"E' la nostra prima mattina insieme." gli disse lei, scivolando sul fianco e premendosi contro di lui, così da essere uno di fronte all'altra.
Nate annuì in silenzio, senza lasciarsi sfuggire il fatto che lei aveva passato una gamba sopra al suo fianco.
"Credo che dovremmo celebrare." gli disse dolcemente, dandogli un bacio e attirandolo a sé con la gamba.
Nate gemette. Alyssa era in città da meno di ventiquattro ore e questa era già la quarta volta che facevano l'amore. Di quel passo, lei lo avrebbe ucciso e qualcun'altro avrebbe occupato quel trono.
Nelle settimane che seguirono, Nate mostrò ad Alyssa il Boston College e si prepararono al loro primo anno di studi. Fecero lunghe file alla libreria – l'impazienza di Alyssa temperata dalla infinita pazienza di Nate – e scoprirono che avevano diversi corsi in comune, come Composizione Inglese e la materia facoltativa preferita da tutti, Bowling. Mentre erano in fila per acquistare i libri, Nate vide un avviso per la ricerca di un aiuto per il negozio e compilò il modulo, mentre aspettava il suo turno, poggiandosi sulla schiena di Alyssa. Era vero che Isabel non voleva i soldi dell'affitto e che Max e Liz si erano presi l'impegno di pagargli gli studi, ma avevano bisogno di qualche entrata per vivere.
Alyssa aveva trovato lavoro in un caffè accanto alla casa dei Ramirez, pensando che servire il caffè doveva essere meno faticoso che portare grandi vassoi al Crashdown - e che i residenti di Cape Cod avrebbero lasciato mance più laute.
Il gruppo dei ragazzi cominciò la sua rotazione per aiutare Liz, nonostante le sue proteste. Nate capiva che lei voleva disperatamente essere una persona indipendente, di fare tutto da sola, ma la cosa la stava stremando. E in quelle condizioni, come poteva essere utile a sua figlia?
Qualche volta Nate passava da lei prima dell'inizio delle lezioni, o Alyssa si fermava a mezza giornata o Jeremy quando usciva da scuola. Anche Isabel partecipava ai turni, infagottando la piccola Emily e portandosela alla boutique, regalando a Liz una intera giornata libera per fare qualsiasi cosa avesse bisogno di fare.
Non andavano tutti i giorni, perché non volevano assillarla e alla fine sella seconda settimana, Liz aveva cominciato ad abituarsi al loro aiuto.
Nate telefonava spesso a casa, a New York, e fu contento di sapere che una volta che il Labor Day fu arrivato e passato, anche la ressa estiva era finita. I suoi genitori sembravano essere di buon umore, felici che il loro figliolo avesse avuto la bella opportunità di andare a scuola.
Emma gli confidò che sperava di vederlo per il giorno del Ringraziamento e lui sentì un’ondata di nostalgia al pensiero. Certo, lui amava Alyssa e i Ramirez erano più che gentili – ma gli Spencer sarebbero sempre stati la sua casa.
Michael Guerin doveva ancora scoprire con chi conviveva la sua bambina.
Dopo tre settimane di scuola, quando le cose cominciarono a sistemarsi e la vita aveva cominciato a prendere un ritmo confortevole, Nate cominciò a sentirsi accapponare la pelle.
Non fisicamente, ma mentalmente. Ogni tanto gli si drizzavano i capelli dietro la nuca senza nessuna ragione. Un senso di sacro terrore lo prendeva allo stomaco, poi spariva veloce come era venuto. Non disse nulla ad Alyssa di quegli strani fenomeni, perché non voleva guastare la sua felicità.
Perché lei era felice. Vivere insieme si rivelò molto differente che desiderarsi l’uno con l’altra a grande distanza. A dire il vero, Nate si era preparato per il peggio – era comune per le persone andare a convivere e scoprire di odiarsi. Fu grato che questo non fosse stato il caso suo e di Alyssa.
Vivere insieme fece rendere conto a Nate di quanto poco sapessero l’uno dell’altra.
Tutti i giorni imparavano una cosa nuova. Lei odiava la maionese. Amava il rock degli anni ’80, con grande disappunto della madre. Come lui, anche Alyssa soffriva spesso di insonnia; si rannicchiava sul divano e guardava distrattamente la Tv, a volume basso per non disturbarlo – e non era una cosa facile in un monolocale.
Ma per tutte le cose che non conoscevano, nulla di quello che aveva scoperto gli aveva rivelato che quello che facevano era sbagliato. Non una volta aveva scoperto qualcosa su di lei che fosse in grado di dividerli.
Perché, nel suo cuore, sapeva che era la cosa migliore che gli fosse mai capitata. Senza di lei, avrebbe smesso di respirare. Con sua grande sorpresa, anche lei gli aveva detto queste identiche parole una sera. Lui stava facendo i suoi compiti sul tavolino da caffè e lei stava dalla parte opposta, fissandolo per tutto il tempo. Quando Nate le rivolse un sorriso, lei gli disse semplicemente "E’ come se prima di incontrare te non avessi mai vissuto. E’ come se non potessi respirare senza di te."
Il loro amore era intenso. Sempre. Non che fossero sempre seri. Ma, anche con gli scherzi e le risate, erano inseparabili. Perdere Annie l’aveva ferito. Se avesse perso Alyssa ne sarebbe stato devastato.
Una sera che aveva terminato il suo turno alla libreria, Nate si rese conto che stava tornando in una casa vuota – Alyssa aveva un corso serale e Jeremy stava facendo il suo dovere a casa di Liz. Il subconscio di Nate gli fece provare dolore ancora una volta, quella piccola tensione che non riusciva a spiegarsi, quel senso di irrequietezza. Stava per succedere qualcosa?
Qualsiasi cosa fosse, non se la sentiva di rimanere da solo sul divano e di lasciarsi andare alla sua paranoia. Forse era arrivato il momento di pagare un piccolo ‘affitto’, di ringraziare in qualche modo Isabel.
Mentre guidava verso casa, si fermò alla rosticceria cinese che lui e Alyssa avevano scoperto e ordinò abbastanza cibo per lui, Jesse, Isabel e i raccapriccianti gemelli. Gli vennero i brividi al pensiero di dover passare un po’ di tempo con loro ma, dopotutto, erano suoi cugini e anche loro dovevano mangiare. Aveva la sensazione che uno di quei giorni sarebbe esploso, chiedendo di sapere quale fosse il loro dannato problema. Piccoli bastardi misteriosi.
Nate pagò il proprietario del negozio e caricò i due grandi vassoi di cibo sul suo furgoncino. Era la fine di settembre, ma l’aria era ancora mite. I Rex Socks erano in lista per i playoff e tutta Boston parlava della possibilità che si ripetesse un campionato come quello del 2004. Mentre si dirigeva verso Cape Cod, Nate si sintonizzò su una trasmissione sportiva, dove chi telefonava dava la sua previsione su come i playoff sarebbero finiti. Qualche chiamata era eccentrica, abbastanza da farlo ridere e da fargli dimenticare per un momento la tensione in fondo alla sua mente.
Per quando fu arrivato a casa, il sole aveva cominciato ad immergersi nell’orizzonte, lasciando intravedere i primi segni dell’inverno. Parcheggiò il suo furgone, lasciando i vassoi sul sedile, mentre saliva per controllare i messaggi della segreteria telefonica. Agendo come persone che avevano qualcosa da nascondere, lui e Alyssa non avevano registrato un messaggio di risposta, così che chi chiamava sentiva solo un ‘beep’ e basta. Era una cosa un po’ infantile, ma era più semplice che sopportare le ire di Guerin, se avesse sentito i loro nomi o le loro voci sul registratore. Alyssa voleva dire al padre la verità su di loro – ma in un modo più delicato di quello.
Nate spinse il bottone dei messaggi è aspettò che il nastro si riavvolgesse. I primi tre che avevamo chiamato, avevano riattaccato. Nate si accigliò. Era strano. La chiamata seguente era di Alyssa.
"Ciao, dolcezza." disse piano la sua voce e Nate la immaginò accanto al telefono all’ingresso affollato della scuola. Nate sogghignò. "Ti amo, orsacchiotto." tubò, facendolo ridere. "Quando tornerò a casa ti darò quello che piace agli orsacchiotti. Tanto e tanto miele."
E detto questo aveva riattaccato, lasciando Nate con la bocca aperta e gli occhi spalancati.
Non si vedeva la fine del suo appetito sessuale. Che insieme al suo amore per i capezzoli di Nate, la rendeva una donna veramente rara. Lui si chiese se fosse una qualità degli ibridi e se tutte le femmine ibride fossero così insaziabili …
C’erano altre cinque chiamate chiuse all’apparecchio. Nate guardò confuso il dispositivo che si riavvolgeva e si resettava. Otto chiamate. Avevano chiuso otto volte la comunicazione. Erano troppe perché fosse qualcuno che aveva sbagliato numero - a meno che non fosse una persona con un disturbo dell’attenzione o qualcuno con un problema compulsivo-ossessivo.
Spinse il bottone per la ricerca dell’ID – una chiamata a pagamento – Alyssa – e otto da un numero non identificato. A Nate si drizzarono di nuovo i capelli sulla nuca.
Scuotendo via la sua ansia e ricordandosi che aveva del cibo da consegnare, scese la scala e si diresse verso la grande casa. Trovò la porta socchiusa, cosa che era insolita. Guardandosi dietro le spalle, vide la piccola macchina sportiva di Isabel nel garage e capì che doveva essere in casa. Aprì la porta e la richiuse dietro di lui.
"Zia Isabel?" chiamò dall’ingresso. Quando non ebbe risposta, la preoccupazione cominciò a scorrergli nelle vene. C’era qualcosa che non andava.
Nate si spostò di stanza in stanza, in cerca di qualcuno. A quel punto, sarebbe stato felice perfino di vedere uno – o tutti e due – dei gemelli mutanti.
"Zia Isabel?" chiamò ancora Nate. Niente.
Allungò il passo. Nessun gemello. Né Jesse. Ma trovò Isabel in cucina.
Era piegata sul lavandino, nella posizione di qualcuno che stesse per vomitare. I suoi capelli dorati le ricadevano dalle spalle come una tenda, così che lui non riuscì a vederle il viso.
Dentro il petto, il suo cuore cominciò a battere notevolmente più in fretta; i vassoi che portava in mano divennero improvvisamente pesanti un quintale l’uno.
"Zia Isabel?" disse sottovoce, con la gola secca.
Isabel sollevò la testa, come se non l’avesse sentito chiamare le altre due volte. Il suo viso grazioso era teso e bagnato, il naso rosso dalle lacrime. Svelta, si passò le dita sugli occhi.
"Oh, Nate." gli disse, deglutendo. "Non ti ho sentito entrare."
Nate posò lentamente i vassoi sul bancone. "Stai bene?" I palmi delle sue mani erano sudati. Era ovvio che non stava bene.
Isabel incontrò il suo sguardo per un lungo momento, poi si morse entrambe le labbra. Sembrava agitata, come se dovesse dire qualcosa, ma non ci riuscisse.
Nate si avvicinò e le posò una mano sul braccio, cercando di confortarla. "Cosa è successo?" le chiese dolcemente. Era Jesse? Gli strani gemelli? Qualcuno si era ferito? Era morto?
Gli occhi scuri di Isabel si spostarono da lui e lei lasciò andare un lamento. "Non so come dirtelo, Nate, ma so che qualcuno deve farlo."
Il cuore di Nate fece un balzo e ricadde così forte che si sentì svenire. Non era qualcosa che aveva a che fare con i gemelli o con Jesse – era qualcosa che riguardava lui.
"Dio, sono anni che gli dico di non andare da solo, ma non ha mai voluto darmi ascolto." divagò Isabel. "Prendi una protezione, una guardia del corpo. Ma non ha mai voluto farlo."
Nate avrebbe voluto spostarla, nel caso che fosse stato lui ad avere bisogno del lavello. Avrebbe voluto anche costringerla a non divagare. Invece, le strofinò le braccia. "Cosa è successo, zia Isabel?" Come facevano le parole ad uscirgli di bocca con un tono così calmo quando tutto il suo corpo stava cominciando a tremare?
Isabel incontrò il suo sguardo, occhi scuri che guardavano negli occhi blu. Lacrime le brillavano negli occhi, ma questa volta non cadde di nuovo a pezzi. Era una donna forte, una che aveva preso a calci nel sedere gli uomini dell’FBI – se aveva qualcosa di brutto da dire, l’avrebbe fatto in un modo maturo, rimanendo tutta di un pezzo. Una volta che le parole le fossero uscite, tuttavia, sarebbe di nuovo scoppiata a piangere, perché non ci avrebbe creduto nemmeno lei. Fece un profondo respiro e diede a Nate una notizia che lui non avrebbe mai voluto sentire.
"Mi dispiace, Nate. Max è disperso."

Capitolo 6

Disperso.
Nate era seduto sul bordo del divano, nella sua mansarda, gomiti poggiati sulle ginocchia, mani strette insieme, sguardo fisso al pavimento. Si sentiva stranamente inebetito, come se non credesse possibile capire correttamente quello che la zia gli aveva detto.
Più ripensava a quella parola, meno la comprendeva. Era una parola che aveva fatto parte del suo vocabolario fin da quando potesse ricordare, ma ora non riusciva a penetrarne il significato.
Disperso.
Gli era capitato di perdere un calzino. Comprendeva la parola in termini di calzature. Aveva perso i dentini da latte. Certamente ne poteva capire il significato, specie ricordandosi le volte che aveva fatto uscire l'acqua dal buco nella parte anteriore della sua bocca. Ma perdere non era una parola che si poteva applicare ad una persona. Come si poteva smarrire una persona?
Nate tentò di immaginare dove potesse essere Max. Max non considerava se stesso un disperso. Max sapeva esattamente dove si trovava. Era solo per gli altri che era disperso. E allora, forse, disperso aveva un significato relativo.
E allora non era importante.
Nate sapeva, però, che Max non era dove si supponeva che fosse e che questa non era una cosa buona. Nate deglutì e chiuse a pugno le mani. All'improvviso tutte quelle formicolanti, raccapriccianti sensazioni che aveva provato, acquistarono un significato. Forse, a un qualche livello, aveva sperimentato alcune delle sensazioni che Max aveva provato – ma questo non era un pensiero confortante, considerato il fatto che erano già diversi giorni che Nate provava una fifa tremenda.
Da quanto tempo Max era 'scomparso'? Quando era stata l'ultima volta che qualcuno aveva parlato con lui? E ancora – come avevano fatto a scoprire che era 'disperso'?
Nate aveva provato a fare quelle domande a Isabel, ma lei era molto confusa e non gli aveva dato risposte molto soddisfacenti. Jesse era tornato dal suo ufficio, poco dopo l'arrivo di Nate e Nate si era sentito come una ruota di scorta e si era ritirato nell'assordante silenzio della sua mansarda.
Alyssa.
Nate sentì un improvviso dolore dentro di sé. Probabilmente lei non sapeva ancora degli eventi recenti – se lo avesse saputo, sarebbe già arrivata a casa più in fretta possibile. Guardando l'orologio, vide che le sue lezioni sarebbero durate ancora per un paio d'ore. La immaginò seduta in laboratorio, beatamente inconscia che il suo zio preferito era 'disperso'. Dio, ne sarebbe stata distrutta …
Liz.
Nate chiuse gli occhi mentre avvertiva il dolore di lei dentro il proprio corpo. Come avrebbe fatto Liz a superare tutto quello? Era una cosa che le era già successa prima? Bene, almeno ora c'era Jeremy con lei.
Nate spalancò gli occhi. Jeremy aveva la grazia di un pellicano quando si trattava di emozioni.
Improvvisamente Nate avvertì l'urgenza, il bisogno, di essere con Liz. Senza pensarci due volte, afferrò al volo una giacca leggera e scese le scale, diretto al suo furgone. Si infilò dietro al volante e si diresse a casa di Max e di Liz, sollevato al pensiero di aver qualcosa da fare di se stesso – stare seduto da solo nella mansarda lo stava facendo diventare pazzo.
Naturalmente, sarebbe dovuto rientrare prima del ritorno di Alyssa – non voleva che trovasse un appartamento vuoto, con le nuvole di tempesta che stazionavano sopra Cape Cod. Si sarebbe accorta che qualcosa non andava appena in vista del viale. Forse avrebbe dovuto andarla a prendere a scuola, risparmiandole il viaggio in treno.
Il cielo si era fatto buio quando arrivò da Liz. Per un breve momento sentì un raggio di speranza – forse Max aveva solo perduto il suo cellulare. Forse era tutto lì. Dopo tutto, lui era paranoico per quanto riguardava usare telefoni normali o telefoni pubblici o qualsiasi telefono che poteva essere rintracciato.
Nate sorrise.
Poi si accigliò.
Max non aveva paura ad usare internet. Se avesse perduto il suo cellulare, certamente avrebbe mandato una email a qualcuno e l’avrebbe detto. La speranza di Nate precipitò a terra e il vuoto si riempì con un senso di terrore. Non era passato molto tempo da quando lo stesso Nate era stato dato per ‘disperso’, lasciato a morire di fame o per le torture nelle mani dell’FBI. Indesiderate immagini di Max nella Stanza bianca, una vecchia registrazione mostrata più e più volte dall’agente O’Donnell per la gioia di Nate, premevano nella sua mente. Nate rabbrividì e il sangue gli gelò nelle vene. Oh, Dio – fa’ che Max non sia in un posto come quello.
I fari anteriori dell’auto illuminarono la facciata della casa degli Evans, quando si immise nel viale. La jeep di Jeremy era parcheggiata nella strada, sembrando sperduta e fuori posto, perché Nate era abituato a vederla in uno dei molti posti auto nel garage dei Ramirez. Spense il motore e uscì dal furgoncino, dirigendosi a passo deciso verso la porta.
Jeremy lo incontrò lì, gli occhi scuri spalancati ed infantili. Non fu che in quel momento che Nate si rese conto di quanto fosse giovane Jeremy. Aveva già bisogno di farsi la barba? Sembrava un bambino catapultato in un mondo molto più grande di lui.
"Ciao." disse Nate, alzando il mento in direzione del cugino. "Lei è qui?"
Jeremy annuì e si face da parte per far entrare Nate. Liz era sulla sedia a dondolo, cercando stoicamente di far addormentare la bambina.
Nate vide tracce di lacrime nei suoi begli occhi, ma sembrava ci fosse un’aura di accettazione intorno a lei, come se avesse sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato.
"Liz." disse Nate sottovoce e lei sollevò la testa per guardarlo. "Stai bene?"
Lei annuì, poi seppellì il suo naso tra i capelli di Emily. Nate si lasciò cadere sul divano, abbastanza vicino a lei da toccarla, se fosse stato necessario.
"Um … " disse Jeremy, ancora accanto alla porta, spostando il suo peso da un piede all’altro. "Io posso andare?"
Nate alzò lo sguardo ed annuì. "Sta attento." disse all’ansioso adolescente che stava uscendo. L’ultima cosa di cui ci fosse bisogno era che Jeremy avesse un incidente perché era troppo sconvolto per guidare. Nate lo vide allontanarsi, poi poggiò una mano sul braccio di Liz.
"Sto bene, Nate." lo rassicurò con voce ferma, non soffocata come lui si sarebbe aspettato. Poi smise di dondolarsi e lo guardò, cogliendolo di sorpresa. "E tu stai bene?"
Lui? Nate cercò nella sua anima e vi trovò una nuvola di preoccupazione, di apprensione.
Conosceva Max Evans da meno di un anno – perché era così sconvolto dalla sua sparizione? Da quando Max era entrato nella sua vita, Nate era stato torturato dall’FBI – quantunque per sua propria scelta – aveva sviluppato simboli luminosi, era stato costretto a mentire a quelli che amava ed aveva degli incubi piuttosto fastidiosi.
Ma da quando aveva incontrato Max, si era innamorato della ragazza con la quale intendeva trascorrere il resto della sua vita, aveva conosciuto gente che aveva imparato ad amare e aveva guadagnato una sorellina. E tutto questo era superiore alle cose negative.
Nate si era molto affezionato a Max, a quella persona che non era una figura paterna né un fratello maggiore, ma qualcosa nel mezzo.
Nate scosse la testa. No, non stava bene. E lo ammise.
Liz si morse le labbra e ricominciò a dondolarsi lentamente.
Dava delle piccole pacche sulla schiena di Emily, per rassicurarla e farla addormentare. Nate guardò la bambina, che stava perdendo la sua battaglia con il sonno e si chiese se avvertisse la disarmonia attorno a lei.
"Max è in gamba." disse alla fine Liz, gli occhi fissi sullo schermo scuro della TV. "Fa tutto questo da molto tempo. Sa come prendersi cura di se stesso."
Questo Nate lo sapeva, ma allora cosa era cambiato per avere quel destino sopra di lui?
"Liz?"
Lei incontrò il suo sguardo, con gli occhi umidi ma forti nello stesso tempo.
"Come fai a sapere che è sparito?"
"Max ha una serie di punti di controllo." gli spiegò sottovoce. "Lui deve dare una conferma a determinati intervalli, rotando a caso tra una lista di persone. Se salta un controllo, restano altre due possibilità. Se ne salta tre … "
Le parole di Liz furono trascinate via e a Nate sembrò che qualcuno gli avesse messo una mano dentro, gli avesse stretto lo stomaco e ne avesse fatto una palla.
Max aveva mancato tre controlli. A intervalli prestabiliti.
Nate si chiese che intervalli fossero – ore, giorni, settimane? – ma non voleva sconvolgere Liz con quella domanda. Era già abbastanza sapere che Max aveva mancato tre controlli.
"Quando è stata l’ultima volta che hai parlato con lui?" gli chiese Liz, con lo sguardo fisso sul pavimento.
Nate cercò di ricordare, provando a richiamare alla mente l’ultima telefonata di Max. Nate era stato così occupato, tra la scuola, il nuovo lavoro e Alyssa, che non si era accorto della mancanza delle telefonate di Max. E inoltre, Max aveva detto che non avrebbe chiamato, così che lui ed Alyssa potessero strare un po' per conto loro.
Un mese fa." rispose con un tono di scusa. "Proprio il giorno che Alyssa è arrivata a Boston." Si accigliò, vergognandosi di non essere stato più attento.
Ma Liz non sembrò giudicarlo, mentre continuava a dondolarsi e a pensare alla situazione.
"E tu?" le chiese Nate.
"Due settimane fa." disse Liz calma. Aspirò profondamente e lasciò andare l’aria lentamente. "Io ero il primo punto di controllo, questa volta. E il suo ultimo."
Nate si sentì ancora stringere lo stomaco. Poteva solo immaginare la preoccupazione di Liz, quando Max aveva mancato il primo contatto, poi la sua agonia quando aveva mancato il terzo. Povera Liz!
"Cosa dobbiamo fare?" chiese Nate, sentendosi distrutto come mai prima di allora – anche peggio di quando si era ‘disperso’ lui stesso. "Voglio dire, è mai successo prima d’ora?"
Liz scosse la testa, un sorriso dolceamaro sulle sue labbra. "No, Max è troppo responsabile per saltare un controllo."
Il che rendeva la situazione ancora più seria. Nate cominciò a sentire la nausea.
"Aspettiamo." rispose alla fine Liz.
Aspettare? Non avevano già aspettato il terzo contatto? Aspettare cosa?
"Aspettiamo che arrivi Michael, poi decideremo cosa fare. Tutti insieme, come gruppo. Questo è il modo in cui abbiamo sempre agito."
Nate impallidì. Michael stava arrivando a Boston?
Liz fece un mezzo sorriso nella sua direzione, come se gli avesse letto nel pensiero. "E’ già su un aereo diretto qui, Nate."
Bene, se quello non era il giorno fortunato di Nate …
"Lasciamela mettere a letto." si offrì Nate, allungando le braccia verso Emily e cambiando rapidamente discorso.
Liz gradì il suo aiuto e Nate fece scivolare le braccia sotto il corpicino di Emily, facendola girare piano in modo da appoggiarla contro la sua spalla. Lei si agitò per un attimo e lui le carezzò la schiena mentre si dirigeva verso la nursery.
Dopo che Nate l’ebbe posata nella culla, stette ancora un po’, al buio, per carezzarla e tranquillizzarla. Probabilmente non c’era bisogno di fermarsi così a lungo, ma Nate aveva un affollamento di pensieri nella sua mente e prendersi cura di Emily lo stava facendo sentire un po’ più rilassato.
Non gli sorrideva l’idea che papà Guerin stesse arrivando in città, già carico per l’assenza di Max, e senza sapere che la sua bambina viveva in un monolocale con il suo ragazzo.
Non prevedeva momenti facili. Ma non riusciva a concentrarsi solo sul modo di non essere preso a calci nel sedere da Michael.
La sua mente tornava in continuazione alle immagini di Max nella stanza delle torture dell’FBI, rintanato in un angolo, bagnato e tremante. Solo, con lo spirito quasi spezzato.
Se era lì che Max si trovava, allora Nate non voleva aspettare l’arrivo di Michael – motivi egoistici a parte. Voleva agire ora, prima che Max incontrasse la sua fine.
Nate era relativamente sicuro che Max non era morto. Nel buio, si aprì il collo della camicia e vide che il suo petto non stava brillando. Ovviamente, non c’erano stati riferimenti o ragioni quando il simbolo era apparso, ma Nate era sicuro che se Max avesse incontrato la sua morte, il simbolo si sarebbe mostrato, per attirare l’attenzione sul nuovo Re.
Nate rabbrividì. Lui non voleva essere Re. Lui era incapace di agire, era una persona non violenta ed Alyssa aveva avuto ragione – il pensiero della sua ascesa al trono lo angosciava.
Sotto la mano di Nate, Emily si mosse e continuò a respirare profondamente.
Se solo tu potessi dirmi dov’è, pensò Nate con immenso desiderio.
Forse Max aveva sussurrato quel segreto alla sua figlioletta mentre usciva dalla porta. "Non preoccuparti. Papà deve solo andare a ……… per qualche giorno."
Nate fece una smorfia. Se solo potesse essere così facile …
Poi chinò la testa da un lato. Forse era così facile. Lui ed Emily erano in qualche modo connessi – forse lei conosceva un segreto o due.
Chiusi gli occhi, ancora una volta pervaso di speranza, si concentrò su … non era sicuro su cosa dovesse concentrarsi, così si concentrò su immagini di Max e di Emily e cercò di vedere cosa otteneva in risposta.
Non ebbe nulla e la sua speranza svanì. Nate non sapeva come fare a connettersi.
Scacciando la sua delusione, per il bene di Liz, Nate lasciò la stanza di Emily e si preparò a salutare. Doveva tornare a casa e farsi coraggio per l’arrivo di Michael e per la scoperta di Alyssa della sparizione di suo zio.
E Nate non sapeva quale delle due cose fosse la peggiore.

Continua...

Scritta da Karen (MidwestMax)
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice
dall'originale in inglese, a cura di Sirio


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