Volo dal quarto piano
Jarod si riprende. Ancora una
volta è uscito indenne da un inseguimento. Purtroppo sono passati i tempi in
cui doveva preoccuparsi solo di Sydney e Miss Parker. Da mesi il Centro ha
sguinzagliato un intero squadrone di uomini in nero pronti a catturarlo, agli
ordini di quel diabolico individuo che corrisponde al nome di Signor Raines. E
come se non bastasse a dar manforte all’intero esercito adesso è tornato
anche Lyle. Jarod non può perdonare Lyle, anche se questo gli costa molta
fatica. Non è il tipo da portare rancore per lungo tempo, ma nel caso di Lyle
non riesce a farne a meno. D’altronde Lyle ha ucciso suo fratello con la
freddezza del più spietato dei killer: e questo è un fatto incontestabile. Il
giorno in cui Jarod ha deciso di voltare le spalle a Lyle, ha chiuso anche le
porte del suo cuore nei confronti di Miss Parker. Un riavvicinamento con
l’unica donna che lui abbia mai veramente amato durante il suo periodo di
“prigionia” al Centro ora è diventato pressoché impossibile. Parker ha
tutto il diritto di voler conoscere suo fratello ed eventualmente di instaurare
con lui una qualche forma di rapporto. Addirittura volergli anche bene, se mai
un giorno riuscirà a superare tutte le resistenze che Lyle in questi anni ha
eretto per proteggersi dalle violenze del mondo esterno, retaggio probabilmente
di un passato ancora tutto da dimenticare.
Jarod si rialza a fatica e si guarda intorno. Il vicolo scuro dove si è
infilato per sfuggire ai cani rabbiosi del Centro puzza tremendamente di carne
abbrustolita, ma andata a male. Da qualche parte ci deve essere una tavola calda
e questo vuol dire del cibo o almeno qualcosa di commestibile da mandar giù.
Una lunga auto nera sfreccia a tutta velocità davanti all’imboccatura del
vicolo. Jarod si spaventa e torna a rifugiarsi dietro al cassonetto dei rifiuti
che lo ha occultato durante le ultime due ore. Di nuovo deve chiedere grazie a
quell’istinto di sopravvivenza che più volte lo ha tirato fuori dai guai
durante gli ultimi tre anni; forse di questo deve ancora una volta ringraziare
il Centro, che lo ha preparato ad affrontare tutte le evenienze durante gli anni
di addestramento con Sydney per diventare il “simulatore”.
L’auto misteriosa è scomparsa e Jarod può finalmente tirare un sospiro di
sollievo, forse davvero ancora una volta la caccia è finita e la preda ha dato
di nuovo scacco matto ai suoi aguzzini. Si rialza in piedi e comincia a
camminare, diretto verso il punto dal quale sembra provenire l’olezzo di carne
arrostita. Un gatto gli sbarra la strada; per una frazione di secondo gli occhi
dell’animale incrociano quelli di Jarod, come
se entrambi volessero condividere la loro natura randagia. Ma almeno il
gatto non ha il suo vecchio padrone che sta cercando a tutti i costi di
braccarlo, così di nuovo Jarod affronta il fatto di avere francamente molto
poco in comune con il resto del mondo, animali compresi.
Jarod prova a ricordare, preoccupato del fatto che potrebbe essere di nuovo
caduto preda di un’amnesia, come quella volta che ha conosciuto Argyle. Ma
stavolta tutti i suoi ricordi sembrano combaciare alla perfezione e ad uno ad
uno i fatti delle ultime ore riaffiorano nella sua mente, vividi e chiari.
“Fermati Jarod, non
costringermi a spararti” urla Miss Parker con l’espressione in viso di chi
ti sta ordinando di fare una cosa ma al tempo stesso in cuor suo spera
ardentemente che tu disattenda i suoi desideri. Jarod si trova sul cornicione di
un palazzo. Da una parte c’e l’immenso vuoto e tutti gli eventuali danni che
una caduta da quell’altezza potrebbe provocare, dall’altra la sua amatissima
inseguitrice.
“Non lo faresti mai, non dopo quello che ti ho aiutato a scoprire” replica
il simulatore, per la verità credendo molto poco alla possibilità di un
ripensamento da parte della donna.
“Tu sei un illuso Jarod, credi che forse rifilarmi una balla di tanto in tanto
sulla mia famiglia possa servire a convincermi delle tue buone intenzioni. Nulla
di quanto mi hai detto in questi anni mi ha fatto mai perdere la fiducia su mio
padre o su mia madre. Perché pensi che questa volta dovrebbe essere
diverso?”. Jarod pensa ad una via di fuga mentre il suo cervello prova ad
imbastire una conversazione con Miss Parker, senza fare in modo che questa possa
degenerare nel più incontrollato dei nervosismi.
“Neanche quando hai saputo di Lyle oppure del fatto che tuo padre è in
qualche misura coinvolto nella morte di Catherine?” continua Jarod.
“Sono tutte menzogne e lo sai bene anche tu:
mio padre ha sofferto della morte di mia madre esattamente come tu hai
pianto la scomparsa di Kyle. Chiunque abbia ucciso mia madre lo ha fatto da
solo, senza il coinvolgimento dell’uomo che tu stai accusando”, esclama
sicura Miss Parker dalla finestra dell’ultimo piano, sempre con la pistola
puntata verso Jarod.
“Non ho detto che tuo padre ha ucciso Catherine, ma lui ha sempre saputo chi
è stato e questo mi basta per accusarlo. E verrà un giorno che anche tu dovrai
fare i conti con questa verità che ti rifiuti ostinatamente di accettare”.
Jarod prova a fare un passo verso la direzione opposta rispetto alla finestra in
cui si sta affacciando Miss Parker. Oggi
ha scoperto una nuova sfaccettatura del suo essere: soffre di vertigini. Eppure
un paio di anni fa non ha avuto la benché minima esitazione a buttarsi con il
paracadute, ma forse in quel frangente l’effetto della simulazione,
l’immedesimarsi in qualcun altro, gli ha fatto perdere di vista per un momento
le sue paure nascoste, facendogli dimenticare la sua avversione per i piani
alti.
“Scendi immediatamente da quel cornicione …” lo risveglia Miss Parker,
distogliendolo da tutte le sue nuove elucubrazioni mentali.
“Altrimenti mi spari, andiamo lo sappiamo benissimo tutti e due che hai avuto
ben più di un’occasione per farlo, ma hai sempre esitato. In fondo al tuo
cuore tu mi vuoi bene” ironizza Jarod, stampandosi in faccia quel sorriso
capace solo di mandarla in bestia.
“Questo perché il Centro ti vuole vivo a tutti i costi, anche se io non ho
mai capito perché. In fondo da qualche parte c’è uno che ti somiglia
parecchio o mi sbaglio, anche se ha qualche anno meno di te. Basterebbe
pazientare solo un po’ ed il Centro avrebbe un nuovo simulatore, mentre io
potrei godermi una meritatissima vacanza” continua Parker.
Jarod continua ad ispezionare visivamente il panorama intorno al palazzo,
calcolando le probabilità e le conseguenze derivanti da un salto da
quell’altezza.
“Dovresti prendere il tuo lavoro un po’ meno sul serio, non vorrei che ti
venisse un’ulcera”, continua il simulatore, coprendosi la bocca con una
mano, come a voler sottolineare la parte divertente di quell’ultimo scambio di
battute. Ma contemporaneamente i suoi ricordi sono andati a quel giorno che con
suo padre, il maggiore Charles, ispezionando il luogo conosciuto con il nome di
Donoterase, loro due hanno scoperto tutti i retroscena dietro all’Operazione
Gemini, primo fra tutti la creazione di una copia clonata di sé stesso.
Jarod individua un piccolo furgone della nettezza urbana che si sta avvicinando
al palazzo e la sua mente comincia a calcolare le possibilità di salvezza
derivanti da un salto dentro al contenitore della spazzatura.
“Non puoi farlo, neanche tu sei così pazzo da tentare un salto da questa
altezza” s’intromette Miss Parker, interrompendo così il fluire impetuoso
dei suoi pensieri ed anticipando le mosse del suo avversario. In fondo anche lei
al Centro è stata ben addestrata, anche se ultimamente le capita sempre più
spesso di avere un’innata capacità nel prevedere le mosse delle persone che
la circondano.
“Amico, non è che
hai un goccio da offrirmi?” esclama una voce alle sue spalle facendolo uscire
completamente dal tunnel dei suoi ricordi.
L’uomo vestito malamente si è avvicinato senza quasi che Jarod se ne
accorgesse. Quando, notando l’aria e lo sguardo assenti dell’uomo, il
vecchio gli volta le spalle e se ne ritorna al suo ricovero di cartone, poco
distante dal punto dell’incontro, Jarod si rende conto di non essere proprio
un figurino. L’incontro con il camion della nettezza urbana prima e l’essere
rimasto successivamente per una buona mezz’ora nascosto dietro un cassonetto
della stessa gli ha conferito un aspetto decisamente dimesso, per non dire del
profumo che emanano ora i suoi vestiti.
Ma ora l’incombenza più impellente è quella di mangiare, se riuscisse ad
individuare il luogo da cui proviene il disgustoso odore che gli sta
letteralmente saturando le narici. Negli ultimi minuti è diventato quasi
gradevole tanta è la fame che, di contro, sta divorando il suo stomaco.
Esce dal vicolo malfamato, lo è divenuto dopo il suo ultimo incontro, e procede
verso l’isolato alla sua destra, convinto di essere sulla pista giusta per la
cena.Nel frattempo Jarod si prepara al salto. Non può sbagliare, il momento
dell’inizio del volo dal quarto piano deve essere coordinato il tempo
necessario per permettere al camion della nettezza urbana di transitare nel
punto esatto in cui il simulatore dovrà cadere, vale a dire dentro al
cassonetto. Un secondo di più e .. bye, bye Jarod.
“Mi dispiace, ma non
mi lasci altra scelta, comunque sono sicuro che avremo altre occasioni per
rivederci”, con questa frase saluta Miss Parker e si getta nel vuoto. Due
secondi, forse i più lunghi della sua vita, quella consapevole almeno. Quarto
piano, terzo piano, poi il secondo, quindi il primo ed infine il contenitore del
camion della nettezza urbana.
“E’ fatta!” urla a squarciagola, mentre dall’alto Miss Parker osserva la
sua preda allontanarsi da lei per l’ennesima volta. La donna pensa a tutto
quello che dovrà dire una volta tornata al Centro, alle spiegazioni che dovrà
dare per giustificare il suo ennesimo fallimento, alle risate del fratello Lyle
che la ritiene inadatta al ruolo che si è scelta, allo sguardo perverso ed
intriso di rabbia che solcherà il viso di Raines. E questo è forse l’unico
aspetto positivo dell’intera faccenda. Rimette la sua pistola nel fodero e si
dirige con molta flemma verso le scale, incurante dell’espressione ammutolita
di alcuni curiosi che si sono assiepati sulla porta dell’appartamento che poco
prima ha buttato giù.
“Che schifo di giornata!” esclama rivolta verso uno dei soliti ritardatari
scagnozzi del Centro. Sempre vestiti di nero e sempre con quell’espressione di
chi deve chiedere scusa per la sua inefficienza.
Jarod individua il
tanto sospirato locale e in un solo istante tutti i problemi della giornata
svaniscono, lasciando il posto ad una giovialità che pensava per il momento di
avere accantonato. Poi i suoi occhi focalizzano l’insegna della tavola calda,
così capisce il motivo di tanto maleodorante profumo. L’insegna luminosa
sopra l’entrata del locale dice “Trash Burger”.
Jarod si mette a ridere.
“Che
schifo di giornata!” esclama a voce alta. Poi si dirige verso il patibolo al
quale ha destinato il suo stomaco bisognoso.
(scritto da Federico)