Il Camaleonte Fan Fiction

Abbandonarsi all'inevitabile


RIASSUNTO: Un rapimento pianificato ed una notte stellata fanno precipitare Jarod e Miss Parker nel vortice dei ricordi che li porterà a risolvere il loro rapporto…

Data di composizione: 3 Febbraio 2001

Racconto adatto dall’età dell’adolescenza in poi ( non contiene nulla di più di un comune film di prima serata )

DISCLAIMER
Si ricorda che tutti i diritti del racconto sono di proprietà del sito “Jarod il Camaleonte Italia”, e che tutti i personaggi della serie “Jarod il Camaleonte / The Pretender” utilizzati nel racconto sono di proprietà MTM Productions / 20th Century Fox, e sono utilizzati senza il permesso degli autori e non a fini di lucro.


Anche quella sera, come ormai faceva da quindici giorni a quella parte, era seduto nel fuoristrada scuro e attendeva…
A volte occorrevano solo pochi minuti, altre volte rischiava quasi di perderla, ma la maggior parte delle sere lei si faceva attendere per ore, lunghi giri di orologio durante i quali la sua mente,ormai ossessionata, andava a lei.
Si soffermava a pensare al suo incedere sicuro e sprezzante, allo sguardo fiero, duro, che forse non abbandonava neanche dopo essersi richiusa alle spalle la porta di casa.
Non si era accontentato di scegliere la prima brunetta dagli occhi di ghiaccio che incontrava, aveva aspettato “quella giusta”: neanche si era posto il problema di “come fare”, si era semplicemente detto che quando l’ avesse vista, avrebbe capito.
Aveva quasi deciso in favore della ballerina ammirata una sera in un night-club (“Splendide gambe” si era detto),quando si trovò a passare da Blue Cove, isolata località del Delaware, e di fronte ad un desolato benzinaio quasi non credeva ai suoi occhi quando la vide: la ballerina al confronto sbiadiva, e, a pensarci bene, anche tutte le altre che aveva preso in passato. Non era solo per la splendida figura slanciata: c’era “qualcosa”che accompagnava la donna nei suoi movimenti decisi, e quando per un momento incrociò il suo sguardo da cacciatrice lanciato al di sopra di un paio di occhiali da sole, mentre indugiava sul paesaggio prima di salire in macchina, decise che era lei quella che cercava: non c’erano più dubbi.
Aveva inoltre capito quale fosse la sensazione che aspettava per effettuare la scelta: stava dritta lì, a mezzo metro dal suo naso, nel bel mezzo del suo busto.
E così cominciò a seguirla. Aveva scoperto che lavorava in un enorme complesso architettonico che lui giudicava essere un ospedale, o un centro di ricerche, molto ben sorvegliato: no, decisamente non doveva prenderla lì.
Era ugualmente impossibile fermarla lungo la strada che la conduceva a casa: non accostava mai, non raccoglieva autostoppisti, si disinteressava degli stranieri.
Aveva valutato l’idea di prelevarla da casa sua, ma, si era detto,”Bill, sei un medico, non uno scassinatore!”.Allora non gli restava altro che attendere il momento in cui sarebbe scesa dalla macchina per entrare in casa: non aveva ancora definito i dettagli ma si sentiva sicuro della buona riuscita.
Era con quest’animo che adesso attendeva l’arrivo di Miss Parker, la preda perfetta, quella che per anni aveva cercato, accontentandosi solo di pallide copie.
Questa volta non avrebbe fatto l’errore di accostarsi a lei manifestando subito i suoi intenti: ancora gli bruciava l’insuccesso dell’ultimo tentativo, quando la ragazza per la quale aveva speso tempo ed energie si era messa ad urlare vedendolo avvicinarsi, attirando l’attenzione dei pochi passanti. Inoltre il suo volto (e anche la sua fama?) in quello stato non era noto, nessuno aveva ancora avuto a che fare con”Il Sultano”, e così voleva che rimanesse la situazione.
Questo nomignolo gli era stato affibbiato dalla polizia del New Mexico, e lui lo trovava particolarmente azzeccato:quale era infatti il suo scopo se non il circondarsi di donne bellissime, sottomesse ai suoi desideri? Alcune, all’inizio reticenti e spaventate, avevano in seguito acconsentito ai suoi voleri (non negava di certo a sé stesso di essere un bell’uomo), per quelle più recalcitranti aveva in serbo un rimedio chimico che faceva miracoli.
Ancora cercava di capire in quale categoria si sarebbe inserita la sua nuova preda: da un lato la voleva così, col temperamento che manifestava, ma non era un illuso, si rendeva perfettamente conto che avrebbe lottato e che si sarebbe dovuto accontentare della versione drogata. Ma non si poteva mai dire con certezza.
Mentre fantasticava così su di lei, vide il suo coupè avvicinarsi e frenare rumorosamente dall’altro lato della strada.
Velocissimo prese la gabbietta che stava accanto a lui sul sedile e liberò il piccolo cucciolo di Terranova che stava al suo interno il quale abbaiando e scodinzolando andò trotterellando proprio verso la figura femminile appena discesa dall’auto. Sicuramente lei si sarebbe chinata per accarezzarlo e lui sarebbe spuntato facendo finta di chiamare il cane,tenendo nascosto nell’incavo della mano il fazzoletto imbevuto di anestetico, e non appena le fosse stato sufficientemente vicino l’avrebbe addormentata facilmente. Perfetto.

Decisamente quella per Miss Parker era stata una pessima giornata. Beh, una delle tante pessime giornate che aveva avuto da quando aveva scoperto l’identità della nuova fiamma di suo padre.
“Ma come è possibile” si chiedeva “innamorarsi di chi un giorno hai tentato di uccidere?”. Era per questo motivo che lei era convintissima della malafede di Brigitte e mai e poi mai avrebbe sospettato la verità.
Al diavolo Syd e tutte le sue teorie sul “Diritto di rifarsi una vita”, questo lei lo capiva benissimo, ma non era il caso di suo padre: lui era stato raggirato, sedotto da “quella”donna.
Inoltre proprio poche ore prima Jarod le era letteralmente sfuggito di mano: un momento prima lo teneva saldamente per il braccio e subito dopo si ritrovava a chiedersi dove fosse finito e quale dannato trucco avesse usato stavolta: si ricordava solo di una voce beffarda che le diceva:”Alla prossima, Parker!”.
Era successo proprio lì a Blue Cove, e lei non faceva fatica a credere che Jarod fosse ancora nei paraggi: non si viene a Blue Cove di passaggio, sicuramente aveva in mente qualcosa. Naturalmente tornata al centro aveva dovuto subire i soliti richiami riguardanti la sua inadeguatezza al ruolo di cacciatrice dati i rapporti troppo personali con Jarod.
“Rapporti troppo personali”… non era vero!
O almeno così aveva prontamente ribattuto al suo accusatore (per l’occasione Brigitte).
Ma ora, mentre sfrecciava decisamente troppo veloce sulla strada di casa, poteva tranquillamente ammettere con sé stessa di non avere rapporti personali con Jarod? Non era forse in contatto con lui praticamente ogni sera? Non era (odiava ammetterlo) il solo che le sapesse leggere dentro?
Lui non aveva mai avuto per lei né una parola in più né una in meno di quelle che servissero per consolarla o per spronare la sua curiosità (i “giochetti di Jarod” li chiamava), ma nessuno sapeva di questi particolari. Sydney lo immaginava, ma certamente lei non si sarebbe mai lasciata scappare nulla di più di un “Il tuo genio vuole fare un altro giochetto con me”. Non riusciva ad ammettere con sé stessa il conforto che solo Jarod sapeva darle in certi momenti, figurarsi il riferirlo ad altri!
Era vero: per lei Jarod non era una semplice preda, e si odiava per questo e odiava Il Centro che le impediva di vivere l’unico rapporto profondo della sua vita. Odiava anche il modo in cui si sentiva quando scopriva l’interesse di Jarod per altre donne: si sorprendeva a domandarsi che cosa avessero loro di tanto interessante, si scopriva a fare assurdi paragoni e ogni volta risolveva la questione ricacciando tutto indietro e aggiungendo una nuova corazza intorno al suo cuore.
Lei avrebbe avuto di meglio.
Ma solo se lei lo avesse voluto.
Esatto, era così: era lei a non volere niente con Jarod, a non provare nulla per lui, non Il Centro che glielo impediva incaricandola di catturarlo e promettendole in cambio la “libertà”.
Con questa confusione in testa, fatta di idee e sentimenti contrastanti, era arrivata davanti a casa ed aveva “inchiodato” coi freni.
Era appena discesa dalla macchina, quando decise che quella era proprio la sera giusta per andare giù in città, infilarsi in un locale e bersi uno o due (o anche tre) cocktail, di quelli che ti fanno dimenticare di ricordare.
“Al diavolo Brigitte, Lyle, Raines, ma soprattutto Jarod!” sibilò a denti stretti e salì in macchina.
Così neanche vide il cucciolo che si indirizzava verso di lei e che continuò il suo cammino dopo che lei partì sgommando, ansimando allegramente e ignorando la parte che avrebbe avuto nel piano che era ormai andato a monte.

Nell’oscurità, dall’altro lato della strada l’uomo mandò un’imprecazione tra i denti, ma dovette ammettere con sé stesso che la caccia lo eccitava ora come non mai: non era forse l’attesa di un evento più emozionante che non l’evento stesso?

“La prego, salvi mia figlia!!”.
A Jarod, disteso sul letto del motel accanto all’imbocco della Statale, tornavano in mente le parole che la donna, tra le lacrime, gli aveva detto due settimane addietro.
Rose Gray l’aveva letteralmente assalito nel piccolo ufficio che gli era stato assegnato in quanto sceriffo di San Carlos, minuscolo paesino nel New Mexico, rovesciandogli addosso il racconto di come sua figlia Laura fosse stata rapita da colui che era ormai divenuto tristemente famoso come “Il Sultano”, e di come fosse troppo tardi per cercarlo lì a San Carlos e che, se le autorità non si fossero sbrigate, sua figlia sarebbe sparita per sempre.
“Rapita” e “sparita per sempre”: le parole magiche per Jarod.
Quando Rose mostrò a Jarod la foto della figlia, poco mancò che a lui prendesse un colpo: da tempo aveva capito qual’era il tipo di donna da cui era attratto (la bella incendiaria ne era solo l’ultimo esempio), ma questa volta era troppo: non bastava che pensasse a “lei” ventiquattro ore su ventiquattro, ci si metteva anche la foto di questa giovane donna bruna con due intensi occhi blu che lo fissavano sorridendo a fargli ricordare il volto di Miss Parker. Si scoprì a valutare che però gli occhi di Miss Parker avevano una luce più intensa di questi quando si fissavano nei suoi, e che, anche mentre la sua bella bocca sprezzante gli diceva “Topo da Laboratorio”, loro dicevano…..che cosa?…”Amico”?…o forse…”Amore”?
E Jarod era fermamente convinto che la verità non stesse nelle parole, facili da cambiare, ma nello sguardo, che nel caso di Miss Parker si soffermava sempre troppo indugiando nel suo.
O forse era lui che cercava questi sentimenti in lei.
La cosa certa era che aveva abbandonato il centro lasciando in sospeso il rapporto con lei, e forse questo lei non glielo aveva mai perdonato.
E lui, se lo era perdonato?
Da questi pensieri lo risvegliò Rose dicendogli che almeno altre due ragazze come sua figlia erano scomparse senza lasciare traccia e che le autorità avevano decretato essere scappate con uomini, ma che invece lei era certa fossero state rapite.
Jarod aveva così effettuato ricerche che lo avevano condotto nel Delaware: aveva inoltre un vago identikit dell’uomo che cercava: alto, capelli scuri e mossi, di media lunghezza.
”Praticamente il 60% degli americani” si era detto ironico “come inizio non è male…”
Jarod si rigirò sul letto per guardare fuori l’oscurità. Attraverso i vetri non si vedevano stelle, ma lui sapeva che se solo avesse aperto le finestre lo spettacolo della Via Lattea gli sarebbe apparso in tutto il suo splendore. La mente gli ritornò alla prima volta che l’aveva ammirata: ne era rimasto annientato la prima notte dopo la fuga dal Centro.
In quel campo isolato, tra la terra e il cielo, si era sentito piccolo e solo come non mai, e aveva pianto.
Chissà per quale collegamento strano si ritrovò a pensare a Miss Parker e a come fosse quasi riuscita quel pomeriggio a catturarlo, quando lui imprudentemente si era avvicinato ai territori di proprietà del Centro.
“L’assassino torna sempre sul luogo del delitto” e non era forse lì che lui aveva “ucciso” la sua prigionia, scappando?
Sapeva che ora la Parker avrebbe tenuto gli occhi aperti e avrebbe messo sottosopra tutto il Delaware,come solo lei sapeva fare, per trovarlo, ma lui non poteva ancora andarsene…pazienza, avrebbe corso il rischio, (quando mai non ne correva?) e poi…ogni tanto non gli dispiaceva essere vicino a lei anche fisicamente e non solo nei pensieri.
Vederla come a nessuno mai era permesso: impegnata mentre canticchiava sbrigando le faccende quotidiane, osservarla dormire, e sognare ad occhi aperti di essere lì accanto a lei per baciarla, fare l’amore con lei e accarezzarle la pelle, era questo il “lusso” che si concedeva di nascosto quando tornava a Blue Cove. Qualche volta si chiedeva se non fosse in fondo quella la vita che lui sognava, con lei al suo fianco, ma non gli occorreva molto per vederne l’assurdità: sarebbe stato impossibile, proprio impossibile.

Si mise a sedere sul letto: alla luce degli ultimi avvenimenti non aveva più tempo da perdere, doveva trovare a tutti i costi “Il Sultano”.
Fece allora quello che gli veniva meglio: cominciò la sua simulazione.
Chiuse gli occhi e pensò che cosa avrebbe fatto lui, uomo intento a collezionare le donne per scopi sessuali, per reclutare la prossima vittima.
Si vide vagare nei locali notturni in cerca di emozioni, di donne belle, magari sole e quindi disponibili a nuovi incontri.
Sempre ad occhi chiusi si spogliò: si tolse la maglietta attillata che indossava (e che suscitava nelle donne che lo vedevano passare sguardi di intensa ammirazione), si sfilò i pantaloni neri e rimase in boxer in piedi nel centro della stanza. Il Sultano prediligeva dei vestiti diversi, lo vedeva: indossava stivali, jeans attillati e stinti nei “punti giusti”, una camicia a quadri sbottonata tanto quanto bastava per mostrare la potenza dei suoi pettorali.
Aveva così inquadrato il suo uomo.
Si rimise i suoi vestiti, infilò la giacca di pelle nera e uscì di corsa nella sera. Avrebbe cercato Il Sultano nei locali della città.

Era da dieci minuti che il barman lanciava occhiate furtive alla donna seduta al bancone. Cielo! Non aveva mai visto nessuna dannatissima femmina bere come lei. O almeno, quelle che aveva visto certamente non si meritavano l’appellativo di “femmine”.
Questa qui invece non solo pareva reggere perfettamente anche il secondo bicchiere del suo “Flame of hell”, ma era sicuramente una delle donne più attraenti che avesse mai visto. Anche in quel momento, pur essendoci molte donne nel locale, la maggior parte degli sguardi maschili erano rivolti nella sua direzione. In molti stavano aspettando il momento giusto per avvicinarla.
Ad un certo punto lei parve accorgersi del suo sguardo e gli rivolse un acido: ” Che diavolo hai da guardare! Continua ad asciugare i bicchieri piuttosto!”
Sorpreso dalla decisione in quella voce guardò immediatamente altrove e il suo straccio si mise a lavorare più freneticamente.
Continuò comunque a tenerla d’occhio dallo specchio presente dietro il bancone. Non riusciva a smettere di guardarla: raramente gli capitava un simile spettacolo sotto agli occhi. Avrebbe preferito che si fosse seduta ad un tavolo, avrebbe così avuto anche l’opportunità di guardarle le lunghe gambe affusolate che erano lasciate scoperte dalla gonna cortissima che indossava.
Fu grazie a questo specchio che riuscì a vedere il momento in cui fu avvicinata dal forestiero con la camicia a quadri

L’uomo seguì Miss Parker fino al locale, parcheggiò il fuoristrada, e aspettò un po’ prima di entrare.
Dopo mezz’ora varcò la soglia e la vide seduta al bancone.
Si sedette ad un tavolo non lontano per osservarla e contemporaneamente per cogliere il momento più opportuno per avvicinarla: i suoi piani erano stati bruscamente cambiati, ma lui si sapeva adattare e doveva ammettere con sé stesso che forse la fortuna lo aveva assistito. Poteva attendere che fosse ubriaca per abbordarla, e da quanto vedeva non ci mancava poi molto.
“Strana donna” pensava: era la prima volta che puntava un tipo come lei e questo rendeva il gioco ancor più eccitante: era sicuramente un tipino imprevedibile e già la pregustava ai suoi piedi.

Al terzo cocktail  Miss Parker si rendeva improvvisamente conto che sarebbe tornata a casa in taxi.
Si stava ubriacando, lo sapeva bene, ma non gliene importava un granchè.
Non le interessava nemmeno se le fosse successo come quella volta, quando si era messa a ballare con chiunque glielo avesse chiesto. Anche adesso, ripensandoci, si chiedeva se si fosse fermata lì: lei sapeva solo di essersi svegliata la mattina dopo nel suo letto da sola e con il più grande mal di testa della storia.
“Sicuramente c’è stato lo zampino di Jarod!” disse a voce sufficientemente alta da essere sentita dal barman.
Ecco: era lì per dimenticare anche lui e la sua mente invece creava un vortice attorno alla sua persona.
Si rese conto di quanto stesse diventando un pensiero fisso nel momento in cui credette di vederlo perfino all’entrata del locale. Fortunatamente quella figura venne coperta dalla sagoma di un uomo alto, moro e decisamente bello che le si avvicinava sorridente. “Ciao, sei qui sola?”
Anche se ubriaca Miss Parker ebbe la prontezza di rispondere:”No, con l’uomo invisibile!” poi girò il viso sul bicchiere e diede un altro sorso alla sua bevanda.
Lui allora occupò il posto accanto a lei, e quando vide che non veniva cacciato via in malo modo, seppe di avercela fatta.
Lei alzò gli occhi dal ripiano del bancone, girò il viso, lo squadrò attentamente e disse una cosa che l’uomo non capì :”Hai gli occhi verdi e i capelli più lunghi, ma vai bene perché mi ricordi il topo da laboratorio… in qualche modo…”.

Jarod aveva ormai girato quattro locali bevendo molto e cercando ancora di più, ma senza nessun risultato utile per il suo scopo.
“Eppure è qui” si diceva, “speriamo, anzi, che non sia già troppo tardi!”.
Vide dalla parte opposta della strada un altro locale e, senza attendere un minuto, entrò immediatamente. Aveva deciso che non avrebbe smesso di passare da locale a locale fino a che non l’avesse trovato. Non solo doveva mettere fine al più presto all’angoscia delle madri disperate, ma ora c’era anche il pericolo che il Centro lo trovasse.
Una volta dentro ci mise un po’ per abituare gli occhi alla strana luce soffusa e per trovare un posto centrale, da cui si vedesse bene tutto il locale e anche la porta.
Fece appena in tempo a sedersi, quando proprio al bancone (non riusciva a credere ai suoi occhi) vide Miss Parker.
Indeciso se uscire da lì o se trovarsi un tavolo meno esposto tornò sui suoi passi, e fu a quel punto che incrociò il suo sguardo.
Non ci mise molto a capire che era ubriaca: non era certo la prima volta che la vedeva in quello stato. Si ricordava inoltre di cosa era capace di combinare quel diavolo di donna quando perdeva il suo solito autocontrollo.
Aveva preso il vizio di bere più del normale ai tempi del College. Non era un’abitudine la sua: solo che certe volte usciva proprio con quell’idea e quando tornava al Centro (all’epoca abitava ancora lì con suo padre) era praticamente irriconoscibile. Per esempio diceva ad alta voce ogni pensiero che le passava per la mente, ma soprattutto l’aveva vista più volte dare confidenza a persone che normalmente trattava con distacco, ancora adesso gli veniva da ridere ricordando quando una sera, tornata in quello stato era andata a baciare sulla guancia un imbarazzatissimo Sam, che improvvisamente si vedeva miracolato. Ma soprattutto lei sapeva benissimo l’effetto che aveva sugli uomini: non si rendeva conto di quello che le sarebbe potuto capitare? Già a quell’epoca al centro quando gli spazzini di turno, che si aggiravano costantemente nei corridoi, la vedevano in quello stato, facevano a gara per poterla accompagnare nelle sue stanze sperando in chissà cosa.
Infatti notò che le si stava avvicinando il primo “avvoltoio” che forse da molto aspettava quel momento.
Praticamente senza pensarci un attimo i suoi piedi lo condussero al bancone e fu così che comparì alle spalle di Miss Parker appena in tempo per cogliere l’ultima frase da lei pronunciata a quell’uomo.
Non sapeva se essere più sorpreso dalle sue parole o dall’uomo che ora lo guardava perplesso.
“Accidenti…è lui!… L’ho trovato!”.
Questo fu il pensiero che gli si formulò in mente non appena notò i lineamenti e gli abiti da lui indossati.
Ancora adesso non si spiega in che modo decise il da farsi: gli fu subito chiaro che Parker era la vittima designata e che solo per pura fortuna lui era riuscito a salvarla, capì anche che non doveva mostrare all’uomo di averlo riconosciuto, ma che invece doveva seguirlo per poter trovare le altre ragazze.
Che fare però con Miss Parker?
Doveva improvvisare: era tardi per strutturare un piano qualunque, qualcosa gli sarebbe venuto in mente.

Lei sentì una presenza alle spalle, si voltò, vide Jarod e continuando il suo ultimo pensiero esclamò sorpresa :”…me lo ricordi proprio bene… anzi… mi sembra quasi di poterlo vedere e toccare…” e così dicendo afferrò il braccio di Jarod. “Ora non mi scappi più, vedi? Ti ho preso!” proferì sorridendo e illuminando il suo volto con la luce dei begli occhi.
Jarod era fissato con aria interrogativa dal Sultano, e la prima cosa che uscì dalla sua bocca in risposta a quello sguardo fu: ”Annie, andiamo, smettila di fare la bambina, ti riporto a casa…”.
Già mentre pronunciava quelle parole temeva la reazione che avrebbe avuto Miss Parker e che avrebbe sicuramente troncato sul nascere l’abbozzo di piano che gli si stava formando in testa.
Non solo le stava dando un ordine, ma aveva usato il suo nome di battesimo, forse le due cose a cui la donna reagiva più bruscamente.
Ma che diavolo doveva fare, dare l’impressione di essere suo fratello (“fidanzato” era la parola che cercava, ma che nemmeno a sé stesso avrebbe ammesso) chiamandola “Miss Parker”?!
Fu quindi il primo a stupirsi quando lei semplicemente si alzò, lo guardò con aria imbronciata e gli sussurrò all’orecchio con il suo tono più vellutato :”Smetto di fare la bambina se tu smetti di scappare da me ogni volta…”
La prima impressione che Jarod ebbe sentendo quelle parole, non fu quella di una frase detta da una cacciatrice ubriaca alla sua preda…alle sue orecchie suonarono invece come una richiesta d’affetto, gli fecero ancora una volta intravedere quella vita che lui, sempre più spesso ormai, sognava con lei, sentì forte il desiderio di prometterle che sarebbe rimasto accanto a lei per sempre.

Miss Parker lo stava ancora tenendo, ma Jarod sentiva che la sua presa era molto insicura. Le  passò allora il braccio attorno alla vita e notò quanto fosse esile la sua figura. Era da tempo che non teneva Miss Parker tra le braccia, anzi, poteva decisamente affermare di non averlo più fatto da anni…da quando lei aveva cercato conforto sulla sua spalla dopo la perdita di Faith.
Questo fatto, unito al profumo che proveniva dai suoi capelli, fece sì che la sua stretta risultasse più possessiva del necessario.
Se ne accorse anche il Sultano, il quale, credendo di trovarsi improvvisamente di fronte il compagno della donna, decise che doveva rimandare tutto e che era meglio per il momento allontanarsi senza dare nell’occhio: c’erano troppe persone che avrebbero potuto ricordarsi la sua faccia se la questione si fosse conclusa con una lite. “Scusa amico” mormorò allora l’uomo a Jarod “non pensavo che lei fosse qui con qualcuno!”.
Si alzò, pagò al barman e uscì dal locale.
“Parker, riesci a resistere ancora un po’ senza stare male?…Coraggio, giusto il tempo di vedere dove vive quell’uomo!” Jarod, dicendo queste parole a mezza voce, strinse Miss Parker in modo ancora più deciso e, sorreggendola, cominciò ad indirizzarsi verso l’uscita.
Una volta fuori lei alzò il viso verso la notte, e l’aria fresca della sera che giocava tra i suoi capelli la fece stare bene, così come il corpo forte e caldo di Jarod che sentiva contro il suo e che la portava…..verso dove?
Non le interessava.
Per il momento quello che contava era stare così, attaccata a lui.
L’alcol bevuto rendeva più leggera la sua mente e, nella sua fantasia, Jarod era venuto da lei per tornare con lei al Centro, per starle accanto, per non lasciarla più sola dall’altra parte di un telefono.

Uscirono dal locale giusto in tempo per vedere il fuoristrada che partiva facendo stridere le gomme dirigendosi ad ovest,la direzione che portava alle case nelle campagne.
Allora Jarod prese le chiavi dell’auto di Miss Parker dalla sua tasca e, concentrandosi per evitare di sentire l’ulteriore contatto col suo corpo (avrebbe pensato più tardi a quella questione), la depose sul sedile accanto al guidatore e si mise al volante,  partendo immediatamente sulla scia del fuoristrada.
Seguiva il Sultano a distanza di sicurezza ed a fari spenti da almeno dieci minuti, e quello ancora non accennava a fermarsi.
Ogni tanto posava lo sguardo su Miss Parker per vedere se soffriva la sua guida, ma la donna aveva gli occhi chiusi e sembrava persa lontano nei suoi pensieri.
“Proprio una minigonna così corta dovevi indossare oggi, Parker?” le sussurrò ammirando con piacere le sue lunghe gambe nude. Per tutta risposta  proprio in quel momento lei si sistemò sul sedile mostrando ulteriori centimetri di pelle.
“Insolente come sempre, anche quando non sei cosciente…” la rimproverò bonariamente Jarod, sorridendo nella sua direzione.
La situazione stava assumendo ai suoi occhi un “non-so-che” di surreale: ciò che provava in quel momento era qualcosa di sbagliato (bellissimo), che non avrebbe condotto a nulla…già una volta aveva fatto capire alla Parker i suoi sentimenti e lei per tutta risposta le aveva piantato il telefono in faccia.
Quindi perché sperava ancora di ottenere qualcosa da lei?
Il fuoristrada imboccò un viale alberato che conduceva ad una villa immersa nell’oscurità.
Jarod lo seguì fino all’inizio del viale e accostò, indeciso sul da farsi.
Poteva proseguire con la macchina ma avrebbe rischiato di essere sentito. Sarebbe stato forse meglio se avesse raggiunto la casa a piedi, doveva solo valutare se avrebbe potuto lasciare da sola Miss Parker.
La guardò.
Era accoccolata con gli occhi chiusi, appoggiando la testa lateralmente sul limitare del sedile, una posizione che Jarod giudicò essere molto sensuale, ma parecchio scomoda. Allora si chinò su di lei, la sistemò meglio e, fermandosi a pochi centimetri dal suo volto le sussurrò: “Non farmi scherzi, Parker, capito? Ti lascio qui da sola per un po’, non muoverti…” quasi sperando che lei gli desse una risposta. Poi, pensando che lei non l’avrebbe notato, alzò il braccio lentamente, per evitare di fare rumore, e  con la mano le tenne il viso come per accarezzarla, le dita fra i capelli di lei, mentre le sue labbra si appoggiavano delicatamente sull’altra guancia a pochi millimetri di distanza dalla sua bocca, manifestazione del suo inconscio che voleva altro ma che non se lo sarebbe mai preso senza che non fosse anche un desiderio della Parker.
Stette così, con la fronte appoggiata lateralmente a quella della donna, il respiro di lei sulla sua guancia, ancora per un attimo.
Quindi si tolse da lei, fissandola con quella sua espressione di rassegnazione negli occhi, le sopracciglia semi alzate e la bocca torta in un sogghigno amaro, a chiedersi
“Perché…”
Scivolò fuori dall’automobile e scomparve ben presto nella notte.

Zigzagò, stando basso, tra l’erba alta dei campi, presto destinata a diventare fieno, e giunse in prossimità della villa.
Si nascose dietro l’ultimo albero che delimitava il viale e attese per vedere quello che sarebbe accaduto.
Non sapeva come muoversi.
Poteva penetrare nella casa e in qualche modo fermare il Sultano e poi chiamare i federali, ma non se la sentiva.
Normalmente avrebbe di sicuro agito così, ma quella sera c’era Parker, trecento metri più indietro, che lo aspettava in macchina. Quasi temeva che se avesse fatto troppo tardi lei sarebbe sparita.
“Ma che diavolo di ragionamento è questo!” disse tra sé Jarod.
Era un ragionamento che in quel momento, per lui, filava alla perfezione.
Attese allora che le luci della casa si spegnessero, sicuro che ormai anche il suo uomo non avesse più intenzione di uscire per quella notte, prese il cellulare dalla tasca della giacca e compose il numero dell’F.B.I..
Si annunciò come Jarod  Green, cacciatore di taglie, e disse di avere rintracciato “Il Sultano”.
Grazie ai suoi fortunati precedenti non dovette perdere troppo tempo in burocrazia e formalità, e la sua segnalazione fu prontamente accolta. All’ F.B.I. si erano ormai abituati al fatto che lui non riscuotesse mai personalmente le taglie dei criminali che spesso riusciva a scovare e, dopo una titubanza iniziale gli avevano poi sempre dato largo credito.
Da che lui si ricordasse non aveva mai risolto così sbrigativamente una questione.
E senza assicurarsi che veramente fosse lui il Sultano poi! (No…su questo punto non si sbagliava…)
Tutto quello che ora gli importava era tornare dalla Parker e stare con lei fino a che poteva.

Annie Parker aprì gli occhi.
Dopo avere sbattuto per bene tre o quattro volte le lunghe ciglia, si rese conto di sentirsi strana, “leggera”, ma di essere effettivamente sulla sua macchina, in mezzo ai campi, al buio e da sola. E dire che pensava di essersi sognata tutto quanto: la brezza della sera che la faceva rabbrividire ma senza farle sentire veramente freddo……il viaggio in macchina……

…il bacio…

“JAROD!!”

esclamò a voce alta.
Si era rizzata a sedere troppo velocemente, ebbe un forte capogiro e dovette attendere che il mondo intorno la raggiungesse prima di ricadere sul sedile e proferire una grande verità:
“Sono ubriaca…”.
E scoppiò a ridere.

Si ricordava…Jarod le era effettivamente comparso alle spalle, si era sbarazzato in qualche modo del tizio che l’aveva abbordata, l’aveva presa e portata fuori dal locale stringendola a sé (ecco perché non aveva sentito freddo…), l’aveva messa in macchina, e poi si ricordava di lui che le diceva qualcosa e che la baciava sulla guancia a lungo…Già, ma dov’era adesso Jarod?
Questa volta si mise a sedere più dritta con maggior cautela e si guardò intorno. Vide solo notte. E stelle. Un mucchio di stelle.
Aprì la portiera e scese lentamente dall’auto. Dovette appoggiarsi perché non si sentiva molto sicura sulle sue gambe, ma quando alzò il viso al cielo rimase senza parole.
Forse era l’effetto dell’alcol, ma le stelle sembravano quasi vibrare dal tanto che brillavano.
L’aria limpida e secca aveva sgombrato il cielo da ogni nuvola e ora profumava “di notte”.
Fece qualche passo spingendosi dentro ad un campo, annusando l’aria e guardando verso lo spazio (era talmente nero che non lo si poteva chiamare “cielo”).
Se Broots o Syd l’avessero vista in quel momento avrebbero sicuramente stentato nel riconoscerla.
Lei, “la Regina di ghiaccio” stava in mezzo ad un campo, nella notte più bella che avrebbero mai potuto immaginare, a braccia aperte e col naso all’insù, talmente emozionata da non riuscire neanche a dire quanto. Le venne da domandarsi quante notti così c’erano state che lei si era persa, troppo ripiegata nei suoi affanni quotidiani per avere il tempo di uscire e recarsi in un posto silenzioso e buio per ammirarle.
Nel suo cuore però Miss Parker sentiva che mancava ancora un elemento affinché quella notte fosse perfetta.
Ma cos’era?
Apparentemente non collegata, un’altra domanda cresceva insistentemente dentro di sé:
cosa desiderava veramente dalla vita?

C’erano voluti tre drinks e una notte magica  per darle le risposte che, in entrambi i casi, erano riassunte in un solo nome, sempre lo stesso:

“Jarod…” sussurrò  Miss Parker chiudendo gli occhi ed espirando l’aria “...sempre e solo tu…avrei dovuto capire prima che la risposta era dentro di me…”

Come ogni evento che riguardava Jarod la scoperta fu per lei in qualche modo dolce e terribile.
Se quello che lei provava era…


( “Coraggio Parker, ammetterlo a sé stessi è il primo modo per rendere “vera” una cosa” )…


…Amore…
(ora ci credeva)

…con che coraggio avrebbe potuto proseguire la sua vita normalmente?
E anche se fosse cambiata ( Dio solo sapeva quanto lo desiderasse ), cosa ne sarebbe stato di lei?
Che cosa avrebbe detto suo padre?
E poi, Jarod avrebbe ricambiato? ( “E perché ti avrebbe baciata se no!” si diceva )

Mai lei aveva mostrato per prima i suoi sentimenti ad un uomo. Anche perché fino a quel momento tutti gli uomini che aveva avuto non cercavano da lei il sentimento, esattamente come lei non lo chiedeva loro.
Non era preparata all’Amore, ma sentiva che se solo Jarod avesse voluto, sarebbe stato sicuramente in grado di insegnarglielo. E lei sarebbe stata un’ottima allieva.

Riaprì gli occhi per tornare a guardare le stelle, ma venne colta da un forte giramento di testa che le fece perdere l’equilibrio.
Mentre cadeva verso il basso pensò che, dopotutto, non era una brutta sensazione l’abbandonarsi all’inevitabile, a volte.
Le braccia di Jarod furono pronte nel prenderla.
“Ehi, Parker, tutto a posto?” le chiese preoccupato Jarod mentre per la seconda volta in quella sera la stringeva..
Lei lo guardò e tornò a vederlo con gli occhi della ragazzina innamorata di lui, come lo era stata anni addietro.
Non appena fu in piedi, ancora appoggiata a lui ( che aveva stampata in volto un’aria interrogativa ), senza dire nulla gli passò le braccia intorno al collo. Sentì i muscoli di Jarod che si irrigidivano contro il suo corpo, sentì le sue braccia stringerla ancora più forte e le sue mani farsi più ardite, e con lo sguardo cercò gli occhi dell’uomo. Voleva un’ulteriore conferma e quando li trovò non ebbe più dubbi: anche Jarod l’aveva cercata per anni e adesso aveva capito che era lei quello che voleva.
Spostò l’attenzione sulla bocca socchiusa di Jarod per pochi attimi, ne osservò la linea morbida e la trovò irresistibile.
Lentamente gli fu addosso e cominciò a baciargli il collo, piano.
Sentiva che Jarod non era affatto indifferente a questo suo atteggiamento e che ora lui con la sua bocca cercava le sue labbra.
Aveva cominciato a passare la sua mano tra i capelli di Jarod, mentre sentiva quelle di lui muoversi sulla sua schiena e stringere in modo sempre più possessivo. Si stava eccitando.

Jarod decisamente non se lo aspettava.
L’aveva sognato, di notte quando la sentinella della ragione era momentaneamente assopita, e anche ad occhi aperti, ma mai avrebbe creduto che fosse possibile nella realtà.
Ma quanto aveva bevuto quella sera Miss Parker?
La cosa che più lo preoccupava era il fatto che il suo corpo cominciava a disobbedire alla sua ragione. Si rendeva conto di abbracciarla molto forte, di accarezzarla, e che anche lei gli stava esplorando il corpo con le mani.
Ora stava cercando la sua bocca per baciarla, ma lei gli sfuggiva, come in un perfetto gioco tra amanti, cosa che lo faceva impazzire ancora di più di desiderio.
Come sarebbe stato sentire ancora quelle labbra sulle sue?
Ma era giusto quello che stava succedendo?
Se Miss Parker fosse stata sobria sarebbe mai potuta capitare una cosa simile?
Allora raccolse tutta la sua volontà e si staccò da lei quel tanto che bastava per guardarla in faccia. I loro corpi erano ancora allacciati mentre Parker lo guardava intensamente, le belle labbra socchiuse. Poteva sentire il suo cuore che batteva nel petto come se stesse per scoppiare.

Quasi che lei gli avesse letto nel pensiero, prima che Jarod potesse dire qualcosa si affrettò a bisbigliargli con quel suo tono che lui aveva sempre trovato molto sensuale:
“…Jarod…è Annie che lo vuole…Miss Parker è quella che ti insegue per conto del Centro…quella che non potrebbe mai mostrare i suoi sentimenti a nessuno…”
si fece più vicina e proseguì: “…Miss Parker è entrata in quel locale…ma tu hai portato fuori Annie…se non puoi amare Miss Parker… torna ad amare almeno Annie…”

E lo baciò.

Il tocco di quella bocca gli fece finalmente realizzare che era tutto vero, che stava accadendo proprio a lui, in quel preciso momento. E che era Miss Parker a stringerlo.
Miss Parker baciò le labbra di Jarod e lui ricambiò ancora con più fervore. Cominciarono così, con dei baci innocenti, per conoscersi anche sotto quell’aspetto e continuarono a lungo.
Si baciarono le labbra, il mento,le guance e poi ancora le labbra, dolcemente, prima l’uno, poi l’altra, mentre le loro mani ormai vagavano sui due corpi obbedendo ad una danza vecchia come il mondo.

Ad un certo punto Jarod spinse delicatamente Miss Parker ad aprire la bocca. Lei non oppose resistenza.

Era la prima volta che Jarod baciava veramente la sua Miss Parker.

Quel nuovo contatto con lei gli fece rivivere quello che aveva provato un tempo: rivide il ragazzino con gli occhi sgranati per lo stupore della prima volta, ma, anche se le sensazioni erano in un certo senso uguali a quelle di allora, ormai lui non era più così innocente: i suoi istinti erano cresciuti insieme a lui e ora non si sarebbe di certo limitato a sorprendersi perdendo il controllo della situazione.

Miss Parker fu ben presto sopraffatta dall’irruenza con cui Jarod la voleva.
Solitamente era lei a dettare le regole nel rapporto amoroso, lei a decidere quando darsi e quanto, e quando invece prendere. Ora nemmeno riusciva a pensarci. Pensava solo a non perdersi neanche uno dei movimenti di Jarod.
Le capitò di dischiudere gli occhi solo un attimo per guardarlo mentre la baciava: lui teneva gli occhi chiusi e lei vide il suo volto rischiarato dalle stelle, le sue spalle, le forti braccia muscolose che la circondavano e che la stringevano quasi lei fosse l’ultimo appiglio a cui attaccarsi, sentiva le sue mani (…cielo…come erano arrivate lì le sue mani? ) che la accarezzavano: era completamente abbandonata a lui e al suo volere.
“…hai mai fatto…..l’amore…..sotto le stelle…Miss Parker?…” ansimò Jarod tra un bacio e l’altro.
“…..non ancora…chiedimelo domani…” ebbe solo il tempo di mormorare lei, prima che Jarod la spingesse sull’erba.
Prima di perdersi nel piacere più profondo tra le carezze e i baci che Jarod le aveva riservato da tempo per quel momento, Miss Parker guardò ancora una volta la notte sopra di lei e decise che dal giorno seguente lei sarebbe stata ancora ufficialmente a caccia di Jarod, ma che l’avrebbe trovato e ritrovato solo in momenti come questo…

(scritto da Maf)


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