Intervista a TONY SANSONE
In esclusiva per il sito IL MONDO DEI DOPPIATORI, una nuova intervista esclusiva ad un doppiatore italiano. E' il turno di Tony Sansone, voce di numerosi protagonisti del piccolo e grande schermo.
Intervista effettuata il 27 luglio 2005, a cura di Andrea Pannocchia. È assolutamente vietato riprodurre questa intervista – anche in modo parziale – senza autorizzazione.
PICCOLA CARTA D'IDENTITA' |
|
Nome:
TONY Cognome: SANSONE Nato a Cosenza il 14 novembre 1964 Curriculum: |
L'INTERVISTA
Va beh, la prima domanda è
sempre quella classica, come e perché doppiatore.
Fin da piccolo, quando guardavo qualche telefilm in tv, mi affascinava il
fatto che per ogni attore straniero, ce ne fosse “dietro” uno italiano che
parlava al posto suo. E le dirò che già all’epoca imparai subito ad
affezionarmi alle voci dei personaggi e non soltanto ai personaggi stessi.
Per cui finite le scuole decisi che avrei voluto avvicinarmi definitivamente
a quel mondo…delle voci per imparare questo mestiere.
A inizio carriera quali
sono state le difficoltà più grandi? Chi l'ha aiutata a superarle?
Le difficoltà iniziali sono sempre legate alla non facilità con cui il
tuo nome, ancora troppo “nuovo”, sia facilmente memorizzato dalle società di
edizione, e quindi distribuito sui turni fatti di piccoli ruoli, i
cosiddetti turni di brusio. È necessario perciò, da parte della “new entry”,
un capillare e continuo lavoro di pubbliche relazioni nei confronti dei
direttori di doppiaggio e delle società, affinché entri poi automaticamente
all’interno della rosa di doppiatori che, sempre per motivi di “giovinezza
di carriera”, coprono quelle parti. Se questo lavoro è ben fatto, ci
vogliono circa tre anni per essere già ben conosciuti. Poi ci sono
difficoltà legate proprio alla quotidianità del mestiere perché qualunque
scuola ti avvia alla professione, ma poi le ossa te le fai sul lavoro giorno
dopo giorno, e questo del resto vale per qualunque carriera.
A superare le difficoltà mi hanno aiutato tutti quei colleghi che hanno
creduto in me fin dall’inizio, e nei confronti dei quali tutt’oggi sono più
che riconoscente.
Il suo primo doppiaggio
importante quale è stato?
Una fortunata serie televisiva che forse lei ricorderà: "I segreti di Twin
Peaks" di David Lynch. Era il 1990 e mi fu assegnata quasi per caso una
piccola parte (Andy Brennan), ma molto divertente da interpretare. Ne porto
ancora e ovviamente un ottimo ricordo perché rappresenta la mia "iniziazione
al doppiaggio" e perché ebbi modo di cominciare con un grosso staff di
doppiatori e con una grande società dell’epoca: il Gruppo 30.
In genere preferisce gli
impegni a lungo termine (le serie) o i film?
La cosa importante per me è sempre la qualità del lavoro che faccio, da
qualunque parte essa provenga. Preferisco sicuramente doppiare una bella
serie televisiva che un film cinematografico scadente, così come ho avuto
modo di doppiare splendidi film tralasciando qualche soap di troppo.
Secondo lei quali sono le
differenze più grandi fra doppiare un attore e un personaggio animato?
Intanto ci sono grosse differenze di tipo tecnico. Per quanto l’ausilio
dei computers abbia portato notevoli innovazioni anche in questo settore,
regalando ai cartoons una notevole quantità di espressioni in più rispetto
al passato, un disegno è e rimarrà sempre un disegno, quindi meno espressivo
di un attore in carne ed ossa. Le dico questo perché il doppiaggio si fa
soprattutto guardando gli occhi e il viso di chi recita in originale, non
soltanto ascoltando e rispettando la sua voce.
Poi dipende dal disegno che devi doppiare. Per esempio a volte i cartoni
sono eccessivamente caricaturali, quindi bisogna trovare timbriche vocali
particolari che ci si accostino nella maniera più giusta. Altre volte ( e
parlo soprattutto dei cartoni giapponesi) è difficile stare dietro al
sincrono originale delle voci, perché le sonorità orientali sono
completamente diverse dalle nostre, quindi è necessario affidarsi
maggiormente alle immagini.
Doppiare un attore vero è tecnicamente più semplice, ma più complicato sotto
il profilo della sua espressività. Soprattutto quando hai a che fare con
attori molto capaci e pieni di impercettibili sfumature. E’ soprattutto a
quelle che bisogna fare attenzione, per restituire, in italiano, la bravura
di chi stiamo doppiando.
Per lei il doppiaggio è
solo un lavoro o è qualcosa di più?
Il doppiaggio rappresenta il cinquanta per cento della mia vita. Farlo è
stato una scelta, quindi è senz’altro qualcosa di più rispetto ad un
semplice lavoro. Rientra nelle attività artistiche e quindi chiunque lo
scelga, lo fa innanzitutto seguendo una propria vocazione interiore.
Lei ha partecipato anche a
dei ridoppiaggi, ritiene giusto eliminare il lavoro fatto in precedenza da
altri?
Sebbene non abbia mai rifiutato di prestare la voce ad un ridoppiaggio,
le rispondo di no. Trovo questa cosa ingiusta o comunque da usare con
estrema cautela e le spiego perché. Dal punto di vista tecnico esiste già da
diversi anni il cosiddetto Restauro audio, procedura con cui si riesce a
“ringiovanire” la colonna audio di qualsiasi film. Per cui, tecnicamente
ripeto, non esiste la necessità del ridoppiaggio, salvo che in rarissimi
casi.
Ma, a parte questo, ritengo ingiusto cancellare non tanto un lavoro fatto in
precedenza, ( per usare le sue parole), quanto eliminare definitivamente dal
nostro mondo, voci che quel mondo lo hanno creato: i nostri “maestri”.
Cancellare il doppiaggio originale di alcuni film, ( le cui lavorazioni
possono risalire addirittura agli anni 40 ) significa cancellare voci
storiche del cinema, facendole dimenticare per sempre a quelle generazioni
che ci si erano affezionate e impedendo a quelle più giovani di conoscerle;
significa perdere un patrimonio vocale importantissimo che rappresenta la
nostra storia. Significa perdere la nostra storia. Questo è gravissimo. Un
doppiatore che non serbi memoria di voci come quelle di Cigoli, la Lattanzi,
De Angelis, Locchi o di altri di pari merito, che hanno davvero
rappresentato i pilastri del nostro settore, sarebbe come un medico
cardiologo che non abbia memoria di persone come Christian Barnard; non so
se mi spiego.
Lei crede che qualsiasi
attore è anche un doppiatore e viceversa?
Teoricamente dovrebbe essere così. Ma di fatto poi non lo è. Ci sono
attori di teatro o di cinema eccezionali, che in sala non “funzionano” al
cento per cento perché non hanno pratica della tecnica del doppiaggio, che
purtroppo si acquisisce solo se il doppiaggio lo fai tutti i giorni. Così
come ottimi doppiatori non funzionano altrove perché risultano impacciati o
troppo fermi nei movimenti del corpo. Anche lì, stesso discorso. Stare ogni
giorno su un palco o davanti alla telecamera abitua il corpo a muoversi con
più disinvoltura. Penso sia un problema di quotidianità del mestiere.
Come attore teatrale quando
ha cominciato?
Nel 1984 un anno dopo il diploma. Mi iscrissi a scuola di teatro e poi
feci tanta pratica.
Fra i suoi lavori teatrali
c'e ne uno che le a lasciato un segno particolare?
Dipende da quello che lei intende con il termine: segno.
Se per “segno” lei intende visibilità, questo è sempre opinabile, in quanto
il giudizio di qualunque spettacolo e quindi la sua valutazione finale è
sempre quello del pubblico, e a mio parere rimane il migliore. Certo ci sono
alcuni spettacoli che hanno avuto una indiscutibile grossa visibilità e
quindi hanno lasciato un grosso segno comunque. Per esempio - Tempo Zero -
fatto nel 95 qui a Roma, che tra l’altro vinse anche il Premio I.D.I. 95
come miglior testo. Se lei intende invece un segno in me stesso, allora
tutti mi hanno dato qualcosa. E di tutti ne ho un buon ricordo.
E' mai stato regista di uno
spettacolo? Le piacerebbe? E dirigere un doppiaggio?
La regia è un canale che per ora non mi interessa più di tanto, è troppo
forte la passione che ho nel recitare, quindi nello stare su un palco o di
fronte ad un microfono. La direzione del doppiaggio mi affascina di più, pur
rientrando comunque nelle attività registiche.
Ha qualche ambizione per il
piccolo e il grande schermo?
Io non vivo la mia attività in termini di ambizione, non l’ho mai fatto,
la vivo come una continua opportunità di lavoro. Ogni occasione può essere
buona per ampliare il proprio mestiere e la propria carriera, ma soprattutto
per migliorare se stessi perchè tutte possono farti crescere e lasciarti
qualcosa.
Al momento sto vagliando delle proposte di collaborazione per una fiction.
Lei ha anche un'altra
grande passione, la musica. Crede che potrebbe diventare il suo nuovo
lavoro?
E’ vero quello che lei dice. La musica è una passione che mi accompagna
fin da piccolo, quindi è addirittura stata la mia prima attività, sebbene
fosse solo un gioco.
Sotto certi aspetti essa è già diventata un’attività lavorativa anche se non
da molto e non a tempo pieno. Ho già avuto modo di collaborare come
compositore e arrangiatore di musiche per il teatro e ultimamente la cosa si
sta facendo sempre più intrigante ed interessante. Vedremo…
Ha qualche nuovo progetto
in campo che può rivelarci in anteprima?
Sto scrivendo delle canzoni inedite per uno spettacolo teatrale, forse
in scena nel 2006. Ma il progetto è ancora tutto in embrione per cui
preferisco non dire di più.
Anche le ultime domande non
cambiano mai, consigli a chi vuole intraprendere una carriera simile alla
sua?
Più che di consigli parlerei di piccoli suggerimenti.
Intanto bisognerebbe assimilare una discreta impostazione teatrale, qualità
che si acquisisce soltanto frequentando una buona scuola di recitazione.
Questo è un passo da fare prima di entrare in sala di doppiaggio perché il
doppiatore altro non è se non un attore che “presta” la sua voce ad un altro
attore, quindi saper recitare è fondamentale. L’errore più grosso (
purtroppo molto comune ai giorni nostri) è pensare di potersi “inventare
attore” da un giorno all’altro. Il nostro è un mestiere, e come ogni
mestiere ha bisogno di essere innanzitutto imparato bene; entrare in una
sala per un provino senza saper recitare e presupponendo che basti solo una
“bella voce” per farcela è rischioso, perché ci si “brucia”
irrimediabilmente.
Quindi suggerirei tanta, tanta pazienza. A differenza di altri, questo è un
lavoro dove il cosiddetto “giro di boa”, cioè il momento della raccolta dopo
quello della semina, arriva mediamente dopo sette – otto e a volte anche
dieci anni di attività, sempre ammesso che la semina sia stata fatta nel
modo corretto e che chi lo faccia abbia già in partenza della stoffa su cui
lavorare. Infine suggerisco di non mollare alle prime sconfitte – perché ce
ne sono sempre e non soltanto agli inizi.
Saluti ai fans?
Non sapevo di avere dei fans! Comunque, a tutti un: In bocca al lupo e
buone vacanze.
© 2005
Antonio Genna
- IL MONDO DEI DOPPIATORI, le interviste
E' consigliata una risoluzione
1024 x 768
con Microsoft Internet Explorer versione 5 o superiore
E' vietato inserire in altre pagine il materiale presente
in questo sito senza autorizzazione!