Intervista a JUN ICHIKAWA
In esclusiva per il sito IL MONDO DEI DOPPIATORI, una nuova intervista esclusiva. E' protagonista Jun Ichikawa, attrice e doppiatrice.
Intervista effettuata il 17 febbraio 2021, a cura di Antonio Genna. È assolutamente vietato riprodurre questa intervista – anche in modo parziale – senza autorizzazione.
PICCOLA CARTA D'IDENTITA' |
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Nome:
JUN Cognome: ICHIKAWA Nata il 7 maggio 1982 a Kumamoto (Giappone) Curriculum: |
L'INTERVISTA
Sei nata in Giappone e da
bambina ti sei trasferita in Italia. Per te e la tua famiglia è stato
difficile vivere un così profondo cambiamento di vita e di culture rispetto
all’Oriente?
Penso che ogni tipo di cambiamento all’inizio lo vivi con difficoltà,
soprattutto quando si è bambini: poiché da una parte ti senti di non aver
fatto una scelta, dall’altra ti senti consapevole del cambiamento ma non sai
perché… Ripercorrendo in mente quel periodo, penso che anziché una
difficoltà sia stata per me solo ed esclusivamente un’opportunità. Per cui
posso solo che ringraziare i miei genitori di aver fatto una scelta tanto
ardua per me quanto lo sarà stato sicuramente anche per loro. L’Oriente e
l’Occidente apparentemente sembrano molto lontani, ma penso che soprattutto
tra Italia e Giappone ci siano molte somiglianze. Ritengo che sia gli
italiani che i giapponesi siano per natura curiosi del mondo, grandi
viaggiatori, amanti della cucina buona sia per il palato che per la mente.
Non nego di avere avuto inizialmente grandi difficoltà con la lingua.. ma
poi grazie ai grandi maestri e amici che ho avuto e che ho tutt’ora, ora
apprezzo e amo questa lingua nella sua bellezza e ricchezza espressiva,
specchio di una cultura millenaria che tutto il mondo giustamente invidia
per capacità ineguagliabili nella sua creatività, ironia e estetica.
Come hai deciso di
diventare un’attrice?
Penso che più che una decisione sia stata una scelta predestinata. Ho la
fortuna di essere nata in una famiglia di artisti. Mio nonno era musicista e
suonava violino nei cinema muto, e ambedue i miei genitori arrivarono in
Italia dall’altra parte del mondo per poter studiare canto lirico. Sin da
quando ero nella pancia di mia madre che ho vissuto il teatro, per cui penso
che se non avessi voluto fare questo mestiere probabilmente non sarei
neanche nata!
Nel 1999 hai debuttato a
teatro con “Shakespeare Chorus”, diretta da Giuseppe Argirò, e dal 2001 in
poi (con “Commesse 2”) sei apparsa regolarmente anche in TV: quali sono
stati i ruoli a cui sei rimasta più legata tra teatro e piccolo schermo?
Ricordo la mia prima lezione di storia del teatro. Avevo 13 anni e si
parlò di un personaggio che mi segnò profondamente. Antigone. Nella sua
forza, nella sua determinazione e nella sua volontà di seguire le leggi
naturali più che quelle dell’uomo, addirittura sacrificando la propria vita
pur di rendere onore alla propria famiglia pensai: “Un giorno desidero poter
avere l’onore di interpretarlo”. E così fu. Lo stesso maestro di storia del
teatro dell’epoca (Giuseppe Argirò) mi contattò proponendomi quel ruolo 12
anni dopo. E lui contribuì nel realizzare il mio sogno di sempre.
Nel piccolo schermo ho un legame fortissimo con i due personaggi che mi
hanno accompagnato negli ultimi anni. Flavia Ayroldi di “R.I.S. delitti
imperfetti” e Yukino de “L’Allieva”. La cosa che forse mi ha affezionato di
più forse è stato proprio il lavoro di squadra nel mentre lavoravamo in
entrambi i progetti, la cura del dettaglio, la passione con cui cercavamo di
creare le relazioni tra i vari personaggi ma soprattutto il divertimento e
il sentire la forte responsabilità nel giocare seriamente come si fa da
bambini. Chi da bambino hai mai giocato per finta? Io mai. Ho sempre pensato
che si giocasse sempre sul serio nell’interpretare una principessa o un
cattivo.
“Cantando dietro i
paraventi” (2003) è un film che ti ha visto protagonista al fianco di Bud
Spencer: cosa ricordi della lavorazione e del tuo rapporto sul set con Olmi
e Spencer?
È stato uno dei film più belli in cui ho lavorato. Avere il privilegio
di lavorare con due grandi Maestri come loro la ritengo una cosa rara. Fu il
mio primo film da protagonista, senza sceneggiatura per noi attori, senza
avere nessuna idea della programmazione della giornata. Mi ricordo la grande
frustrazione della mia prima settimana di lavoro. Ero a Podgorica, in
Montenegro. Mi ricordo che ogni mattina alle sei scendevo nella hall
dell’albergo dove pernottavo per scoprire se quel giorno avrei lavorato.
Leggevo l’ordine del giorno e non trovavo mai il mio nome. Mi ricordo che
fra le passeggiate che mi sembravano interminabili in questa città pensai
diverse volte allo scopo di tutto questo e al perché mi fossi cimentata a
fare questo mestiere… poi arrivò il mio primo giorno di riprese : quattro
ore di preparazione tra trucco e parrucco, i costumi, il viaggio di un’ora
per andare sul set e vedere per la prima volta una giunca di 40 m di
lunghezza e 40 m di altezza costruita apposta per il film. Vidi Ermanno Olmi
sorridere e chiedermi : “ Sai qual è la cosa più importante in questo
mestiere? La “Con- fiducia”: fidarsi e affidarsi totalmente al regista. E fu
così che capii il gioco. Sorrisi a mia volta e mi affidai totalmente,
divertendomi a vivere quel mondo magico chiamato Cinema che continua a farmi
sognare ogni volta.
Sono tanti i film a cui hai
partecipato successivamente, da “Volevo solo dormirle addosso” (2004) di
Eugenio Cappuccio a “L’ultimo re” (2010) di Aurelio Grimaldi e “Il giorno
più bello del mondo” (2019) di Alessandro Siani. Hai faticato per
ritagliarti ruoli di un certo spessore? Secondo te il cinema italiano è
abbastanza inclusivo nei confronti degli attori stranieri?
Mi sento personalmente fortunata nell’avere incontrato finora diversi
registi che hanno creduto fortemente in me tanto da cambiare ruoli che
inizialmente non avevano le mie caratteristiche per potermi avere nel loro
progetto. È accaduto proprio in “Volevo solo dormirle addosso” di Eugenio
Cappuccio come ne “Il ministro” di Giorgio Amato, come nella stessa serie di
“R.I.S.”, o come nell’ultimo film che ho girato “Addio al nubilato” di
Francesco Apolloni che oltre ad essere un mio amico da diversi anni, ha
fortemente creduto in me aiutandomi a creare un personaggio il più possibile
fuori dagli schemi andando oltre allo stereotipo di una ragazza orientale.
In tutti i periodi di grande crisi della storia sono nati i più grandi geni.
Sono fiduciosa che soprattutto grazie a questo periodo dove la cultura si è
trovata ad appartenere in uno dei settori più scossi e danneggiati si
cambierà in meglio. Non vedo l’ora di poter continuare a collaborare con
registi che credano in me, per continuare a creare assieme magia, dove
l’arte del cinema ci possa continuare a scuotere, emozionare, soprattutto
facendoci vivere la normalità multiculturale in cui ormai viviamo da tanti
anni, anche qui in Italia.
Dal 24 febbraio ti potremo
vedere su Prime Video proprio nel nuovo film di Francesco Apolloni, “Addio
al nubilato”, interpretato anche da Laura Chiatti, Chiara Francini e Antonia
Liskova. Raccontaci un po’ del tuo personaggio e del film, che è tratto da
una commedia teatrale dello stesso Apolloni e che affronta un tema centrale
spesso usato nelle produzioni statunitensi ma poco in Italia.
Penso che Francesco Apolloni sia stato coraggioso nel raccontare una
storia che possa farci divertire, sognare e perché no farci riflettere su
quanto sia importante vivere appieno la vita perché il tempo non è
illimitato. Tanto vale viverlo con gioia!
Il mio personaggio si chiama Akiko: è una terapeuta di shiatsu, e
ultimamente è rinata grazie a un’esperienza di Rebirthing dove ha scoperto
che in una vita precedente è stata un fenicottero rosa. È alla ricerca
dell’amore che a detta sua dovrebbe esser stato un pinguino in una vita
precedente. È discepola di un Babayogi con cui fa rituali assiduamente.
Nella sua calma Zen apparente nasconde un passato fatto di misteri.
Ha un
rapporto conflittuale con le sue amiche per esperienze infelici di bullismo
vissute ai tempi del liceo. Arriva all’addio al nubilato dove Chiara, la
sposa, ha organizzato una caccia al tesoro per le sue quattro amiche, solo
esclusivamente perché le vuole un bene assoluto e le vuole essere
riconoscente per come lei l’ha sempre salvata in ogni situazione critica sin
da quando erano adolescenti.
È un film che parla di amicizia (di quelle per la vita!) e di quanto sia
bello quando ci si rende più vulnerabili.
Tu sei anche una
doppiatrice, con diversi ruoli al tuo attivo, come Katie Leung / Cho Chang
nella saga di “Harry Potter” e Hong Chau nelle serie “Watchmen” e “Homecoming”:
come sei finita per la prima volta dietro il leggio? Pensi che un buon
doppiatore debba avere esperienze recitative al teatro o al cinema?
Accadde subito dopo il set di “Cantando dietro i paraventi” di Ermanno
Olmi. Sapendo di non aver girato in presa diretta e che presto avrei dovuto
dimostrare di essere capace di doppiarmi andai a chiedere la possibilità di
assistere in sala di doppiaggio. Ebbi la fortuna di fare da consulente per
la lingua giapponese per il doppiaggio in italiano di uno dei miei film di
Miyazaki preferiti, “Nausicaa nella valle del vento”. Dopodiché vinsi il
provino per il doppiaggio di “Lost in translation“, dove mi divertii
tantissimo nell’interpretare il personaggio dell’interprete Kawasaki. Da lì
non ho mai smesso e ogni volta che ho l’opportunità di poter andare dietro
al leggio, mi emoziono all’idea di poter rendere omaggio a
un’interpretazione che una mia collega ha dato, attraverso la sua esperienza
di vita e sensibilità. Ogni volta mi trovo davanti a una nuova sfida dove in
pochissime ore posso imparare qualcosa per migliorare e migliorarmi. Penso
che per ogni mestiere sia fondamentale studiare. E il nostro non è da meno.
Il lavoro è lavoro ed è fatto di tanti sacrifici e dure prove. Per fortuna
che tutta questa serietà poi viene ripagata enormemente con grandi
soddisfazioni che volendo possono durare tutta una vita.
Per finire, puoi
anticiparci qualcosa sul nuovo film Disney “Raya e l’ultimo drago”, in
uscita a marzo nei cinema e su Disney+, ed in cui doppi Namaari?
Brillante, calcolatrice e guerriera formidabile, Namaari è
l’inarrestabile nemesi di Raya. È la figlia del Capo del regno di Zanna ed è
determinata a fare tutto il necessario per proteggere il suo popolo.
Tuttavia, nel profondo, ha un amore segreto per i draghi.
La mia emozione nel poter vedere realizzare il sogno di doppiare un film
Disney è indescrivibile e soprattutto poter interpretare una coprotagonista
come quella di Namaari. Nel film ha un percorso chiaro e un ruolo molto
forte, determinante.
Forse il mio personaggio è tra i più interessanti per il percorso che
riuscirà a realizzare.
È stato bello poter far parte di un progetto dove si
parla di fiducia, unità, solidarietà, in un mondo come quello di oggi, dove
a causa della pandemia ci siamo trovati e forse ancora ci troviamo sempre
più soli e lontani dai nostro cari e possiamo solo che ringraziare le nuove
tecnologie che ci danno la possibilità anche se virtuale di poterli vedere.
In questo film si viaggia tra terre dove le tradizioni e il rispetto per la
famiglia sono valori fondamentali, messaggio che trovo sempre molto prezioso
in un’epoca di cambiamento come questo. Non dobbiamo mai dimenticare che
siamo ciò che siamo grazie alle tradizioni, grazie alla famiglia da cui
ereditiamo la nostra conoscenza e grazie alle quali possiamo un giorno forse
permetterci di poter continuare a trasmettere alle nostre future
generazioni. Non per ultimo il film parla di speranza che penso sia un
messaggio di grande auspicio affinché non smettiamo mai di sognare. Anzi,
fate attenzione a ciò che desiderate, perché se lo fate per davvero diverrà
realtà!
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© 2021
Antonio Genna
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