Intervista a GIANNI MUSY
In esclusiva per il sito IL MONDO DEI DOPPIATORI, una nuova intervista esclusiva ad un doppiatore italiano. E' il turno di Gianni Musy, importante attore teatrale e cine-televisivo italiano.
Intervista effettuata nel mese di marzo 2009, a cura di Riccardo Panzetta. È assolutamente vietato riprodurre questa intervista – anche in modo parziale – senza autorizzazione.
PICCOLA CARTA D'IDENTITA' |
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Nome:
GIANNI Cognome: MUSY Nato a Milano il 3 agosto 1931 Figlio degli attori Enrico Musy e Gianna Pacetti Padre della doppiatrice Stella Musy Curriculum: |
L'INTERVISTA
Sto per incontrare Gandalf, Marco Aurelio e Albus Silente. Tutti e tre insieme. E con loro Marlon Brando, James Coburn, Kirk Douglas. Una serie di volti, di immagini, di frammenti di storia del cinema evocata dalla voce calda, vibrante e pastosa di Gianni Musy. Attore, scultore, poeta, paroliere ma soprattutto doppiatore. Con 60 dei suoi 78 anni passati a prestare le corde vocali a volti più o meno celebri. Poco conta il suo aspetto da gentiluomo d’altri tempi, le sue maniere eleganti e la signorile disponibilità. Gianni Musy è la sua voce. E come la sua voce è carico di umanità, autorevole, magnetico.
Tra i doppiatori è conosciuto come “il Maestro”. Ha per caso camminato sulle acque o moltiplicato pane e pesci?
(Ride) Non sono il maestro, ma un maestro. Una certa esperienza da tramandare ce l’ho. Niente a che vedere con i miracoli.
A proposito di miracoli. Lei crede in Dio?
Sono diventato agnostico. Da piccolo ero molto religioso. Mia nonna mi aveva inculcato una visione paternalistica del cristianesimo. Pensi, mi commuovevo tutte le volte che facevo la comunione.
E poi?
Ho iniziato a coltivare dei dubbi sul senso della vita, sulla natura di Dio.
E che risposte si è dato?
Nessuna. Quando con l’adolescenza sono arrivate le prime fidanzatine ho accantonato anche il dubbio.
Dal sacro al profano…
Le donne mi hanno sempre incantato…
E’ stato un Don Giovanni?
Si. Ero pieno di donne. Durante una stagione teatrale a Trieste, il mio appartamento era diventato un porto di mare. Un andirivieni di ragazze pronte a tutto pur di stare con me.
E lei?
Che dovevo fa’? Dovevo dì de no?
Si è mai innamorato?
Mi innamoravo spesso. Anche quando la storia durava una notte. Sono un inguaribile romantico. Poi un giorno ho perso completamente la testa e mi sono sposato. Lei era Rada Rassimov, allieva della scuola di recitazione del teatro di cui ero il primo attore.
Come è andata?
Malissimo. Eravamo troppo diversi. Alla fine ci siamo lasciati.
L’ha tradita?
Non ricordo. Potrebbe essere…
Non mi sembra una persona molto fedele…
L’uomo, per sua natura, è portato a cercare esperienze sempre nuove. La fedeltà è una costrizione.
E se fosse lei ad essere tradito?
E’ capitato e non è stato piacevole. Lei era francese, bellissima. Il mio primo amore. Aveva più di una relazione parallela.
Cosa ha fatto quando l’ha scoperto?
Sono caduto in depressione. In queste cose, sono molto debole. Per consolarmi andai a casa del mio amico Tonino Cervi, figlio del grande Gino Cervi. Gli dissi: “Dammi un po’ di vino, devo dimenticare”. E lui: “Tieni il whisky, va’. Una bella sbronza e passa tutto”.
Alla fine si è ubriacato?
Ubriaco fradicio.
L’ultima volta che ha pianto?
Doppiando Richard Harris, ne “L’Apocalisse”. Lui interpretava San Giovanni, oramai ottantenne, sulla via del tramonto. Mentre detta l’Apocalisse, uno scriba all’improvviso gli chiede: “Tu che l’hai visto, dimmi, come è morto Gesù”. E lui descrive con struggente pathos la morte e il dolore di Cristo, le lacrime della Madonna. Ho pianto senza freni. Sono stato costretto a far sospendere la sessione di doppiaggio.
Pensa spesso alla morte?
Sempre, e non mi fa paura. Ritengo che la morte sia la chiave del senso della vita. Anche se, la considero ingiusta. Questa nostra vita è così bella. Pensare di doverla lasciare mi sembra una follia.
Nel corso della sua carriera è mai stato raccomandato?
No, ma essere figlio di Enrico Glori, il cattivo del cinema italiano (Don Rodrigo ne “I promessi sposi” di Camerini, ndr), mi ha facilitato. Mi ha aperto molte porte. Poi ho sempre dovuto confermare, con le mie capacità, la fiducia che mi veniva accordata.
Nessun aiutino per diventare doppiatore?
Niente. Tutta farina delle mie corde vocali.
Lei ha dato la voce a molti personaggi, Ben Gazzara, Marlon Brando, Richard Harris, Christopher Lee. Chi le assomiglia di più?
James Coburn. Avevamo la stessa voce. E poi Richard Harris. Ho rivisto in lui alcune mie espressioni. Avremmo dovuto conoscerci. Doveva venire in Italia a fare da testimonial alla fiction “l’Apocalisse”. E’ morto poco prima di partire.
Nella trilogia del “Signore degli Anelli” ha prestato la voce a Gandalf, saggio e misterioso stregone. Lei è più saggio o misterioso?
Provo ad essere saggio. Non credo di essere misterioso. E poi la parola “misterioso” non mi piace. Mi fa pensare a qualcosa di occulto.
Occulto?
Si. Qualcosa di tetro, nascosto, pericoloso. A proposito di occulto, le ho detto che in passato ho fatto parte di un ordine iniziatico?
Ma questo è uno scoop! Qual era quest’ordine?
(Tentenna) Forse non dovrei dirlo…Però è un ordine riconosciuto…Ma si, ne posso parlare. Era l’ordine dei martinisti, di emanazione massonica. Alla fine l’ho mollato. Era diventato un ritrovo in un cui ci si perdeva in chiacchiere e c’era poca sostanza.
Cioè?
Era diventato un club elitario e un po’ snob, che poco aveva in comune con il sapere esoterico e iniziatico.
Dal clan massonico a quello dei doppiatori. Intere famiglie lavorano prestando la voce ai divi del cinema: i Rossi, i Rinaldi, gli Izzo. Quella dei doppiatori è forse una casta?
Non è una casta. E’ normale che sia così. Se c’è un bambino da doppiare magari, per praticità, ci si porta dietro i figli. Per loro è come un gioco. Questo indubbiamente li avvantaggia, se sono intenzionati a proseguire su questa strada.
Gli attori, famosi e pieni di fan. I doppiatori, semi-sconosciuti e ignorati dal grande pubblico. Un po’ di invidia?
Solo un po’. Anche se oggi c’è una gratitudine del pubblico verso i doppiatori che prima non c’era. Ma lo sa che una volta anche io sono stato doppiato?
Come? Lei doppiato?
Partecipai a un film francese, “Il cadavere nel contrabbasso”. Nell’adattamento italiano mi doppiò Renzo Palmer. Mi infuriai. Andai dalla direttrice del doppiaggio a protestare dicendole: “Ma come è mai possibile che io, un doppiatore, non possa prestare la voce a me stesso?!”. Lei si scusò e poi mi disse: “Da domani vieni qui e lavora con noi”.
Cosa ha fatto?
Ho accettato. Era un buon modo per farmi ripagare.
Totò, Anna Magnani e Eduardo De Filippo. Tre mostri sacri con cui ha lavorato. Che ricordo ha di loro?
Erano diversissimi. Totò era un galantuomo. Una persona pacata, mai sopra le righe ma di una comicità dirompente. Ricordo che durante le riprese di “Totò e i re di Roma”, ogni volta che ci incrociavamo lui mi rivolgeva sempre la stessa domanda: “Guagliò, tu ca’ si giovane, spiegami perché quando lanciano la bomba atomica l’uommene cascano a terra e l’ombra resta ‘n faccia ‘o muro”.
La sua risposta?
Io gli dicevo: “Principe, magari lo sapessi! Sono esterrefatto quanto lei”. E lui a quel punto, con uno sguardo perplesso, andava via borbottando “Ma guarda comm’ è strano ‘o munn’…”.
Una persona curiosa, Totò…
E anche di grande spirito. Pensi che il custode del set dove giravamo il film ogni sera salutava Totò dicendogli: “Principe, la maronn’ vi accompagni”. Alla quinta volta, Totò gli si avvicinò e disse: “Pasquà, ma tu non pienz’ che San Giuseppe si scoccia ch’ ‘a Maronn’ accumpagna a tutta sta gente?”.
E la Magnani?
Una donna di carattere, di grande carisma. Una forza della natura, tutto istinto. Ancora ricordo i suoi schiaffi.
I suoi schiaffi?
Eravamo sul set de “L’onorevole Angelina”. Avevo 16 anni e interpretavo la parte di suo figlio, scapestrato e indisponente. Dovevamo girare una scena in cui la Magnani, dopo avermi scoperto a rubare una moto, presa dall’ira, mi mollava due ceffoni. Prima del ciak mi disse: “A regazzì, e io mo du’ sberle t’e devo dà. Statte attento e nun te move”.
Si è mosso?
Ero intimorito e rimasi immobile. Per mia fortuna girammo la scena solo una volta. La Magnani mi piazzò un man rovescio tremendo, da far girare la testa per giorni.
Eduardo De Filippo?
Era freddo. E questo è strano per un napoletano. Sembrava un filosofo dell’antica Grecia. Riservato, silenzioso. Amava spiegare il senso di ogni battuta. Dava consigli, ma senza lasciarsi trasportare. Non ti guardava mai negli occhi eppure riusciva a farti sentire a tuo agio. Sul palcoscenico era inarrivabile. Il teatro di Eduardo andrebbe mostrato nelle scuole.
E il teatro di oggi?
E’ un’altra cosa. Il teatro così come l’ho vissuto è andato perduto. E’ stato risucchiato dalla televisione. Negli anni ’70 ancora si trasmettevano i grandi sceneggiati, quelli che sapevano emozionare e far riflettere. Adesso il teatro è scomparso da quasi tutti i palinsesti.
Ma lei è un nostalgico…
Sono un purista.
Non è che le mancano gli sceneggiati solo perché vi prese parte come attore?
Quelle erano grandi produzioni. Facevano sognare il pubblico. Molti anni dopo aver interpretato il ruolo di Lawless ne “La freccia nera” c’era ancora chi mi fermava per strada per farmi i complimenti. Quello di Lawless era un personaggio straordinario, anarchico, guascone, coraggioso…
Avrà fatto breccia nel cuore di molte signore…
Non solo. Pensi che un giorno un mio vecchio amico, a proposito de “La freccia nera”, mi disse: “Da quando mio figlio ha saputo che sono stato tuo compagno di scuola mi stima di più”.
Ha qualche rimpianto?
Forse avrei potuto fare una carriera diversa. Sgomitando sarei potuto diventare come Tognazzi e Mastroianni messi insieme.
Addirittura…
Ne sono convinto. Ma ho preferito assecondare i miei interessi, spendendo il mio tempo per l’arte e per tutte le mie passioni.
Secondo lei, Gandalf come chiuderebbe l’intervista?
Farebbe un incantesimo e sparirebbe nel nulla. Magari per andare a fumare la sua amata pipa. Anzi, adesso che mi ci fa pensare, mi è venuta voglia di accendermi una sigaretta.
© 2009
Antonio Genna
- IL MONDO DEI DOPPIATORI, le interviste
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