"La gabbianella e il gatto"
TITOLO ORIGINALE: "La gabbianella e il gatto"
ANIMAZIONE
REGIA: Enzo D'Alò
SCENEGGIATURA: Enzo D'Alò, Umberto Marino
MUSICHE: David Rhodes
PRODUZIONE: ITALIA 1998
DURATA: 80 minuti
PERSONAGGI |
DOPPIATORI ITALIANI |
IL POETA | LUIS SEPULVEDA |
ZORBA | CARLO VERDONE |
GRANDE TOPO | ANTONIO ALBANESE |
BOBULINA | MELBA RUFFO DI CALABRIA |
GABBIANELLA DA NEONATA | SOFIA BARATTA |
GABBIANELLA DA BAMBINA | VERONICA PUCCIO |
GABBIANELLA DA ADOLESCENTE | DOMITILLA D'AMICO |
NINA | MARGHERITA BIRRI |
DIDEROT | LUCA BIAGINI |
SEGRETARIO | VALERIO RUGGERI |
COLONNELLO | PAOLO LOMBARDI |
PALLINO | GABRIELE PATRIARCA |
ROSA DEI VENTI | PAOLA TEDESCO |
CIAMBELLANO | MASSIMO LODOLO |
FORTUNATA | MARTINA CARPANI |
PALLINO | PIERPAOLO SILVESTRI |
KENGAH | ALIDA MILANA |
IGOR | FABRIZIO VIDALE |
TOPO 1 | ROBERTO STOCCHI |
TOPO 2 | ROBERTO CIUFOLI |
PORTIERA | RENATA BISERNI |
ALCUNE NOTE SUL FILM
ANALISI DELLA STRUTTURA
DEL FILM
(a cura
di Patrizia Canova, articolo tratto dal sito Lombardia Spettacolo)
La
Gabbianella e il gatto è il secondo lungometraggio in animazione di Enzo
D’Alò, già autore di La Freccia Azzurra. In entrambi i casi il regista
trae ispirazione e linfa per i suoi film dal mondo della letteratura per
l’infanzia, scegliendo nel vasto panorama due autori indiscutibilmente capaci
di far volare sulle ali della fantasia i piccoli lettori: Luis Sepùlveda ,
scrittore del romanzo "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a
volare" e Gianni Rodari, scrittore de "La Freccia azzurra". D’Alò, nel mettere
in scena le due storie, si attiene piuttosto fedelmente alla struttura dei
libri e in ciò, forse, sta uno dei suoi grandi meriti: saper rispettare il
racconto, senza stravolgerlo, ma piuttosto impegnandosi a tradurre la grande
forza espressiva ed emotiva della narrazione verbale in immagini altrettanto
toccanti e coinvolgenti. E tutti e due i film di D’Alò si impongono
all’attenzione del pubblico infantile e non solo, non certo per gli effetti
speciali di cui sono infarciti solitamente i grandi giganti dell’animazione
internazionale, ma proprio per la sensibilità e la delicatezza del raccontare
che li rende unici nel loro genere. "L’idea del film – racconta Enzo D’Alò- mi
è venuta due anni fa, dopo aver letto il libro di Sepùlveda. Non avevo ancora
chiuso il libro che già riuscivo a visualizzare i disegni e le atmosfere e, in
particolare, a intravedere al di là della metafora favolistica, una storia
drammaticamente attuale sulla tolleranza e sul rispetto dei ‘diversi’(…). Da
subito mi è sembrata una storia perfetta per il cinema. Così ne ho parlato con
Rita Cecchi Gori e lei ne è stata entusiasta. Come lo è stato Sepùlveda, con
cui abbiamo lavorato quasi a una riscrittura del racconto, sviluppando alcuni
temi, focalizzando più profondamente alcuni personaggi, aggiungendo il gatto
Pallino, che è la mascotte del gruppo, e anche Nina, la figlia del
poeta….Mentre lavoravo alla sceneggiatura con Umberto Marino, immaginavo già
le voci dei personaggi, perché mi ricordavano altri personaggi reali, del
mondo dello spettacolo, che assomigliavano molto a quegli eroi di cartone.
Così il gatto Zorba doveva essere Carlo Verdone, il Grande Topo Antonio
Albanese, la gatta Bubulina dagli occhi belli Melba Ruffo e il poeta,
ovviamente, lo stesso Luis Sepùlveda, che si è divertito moltissimo a fare il
doppiatore, come si sono divertiti gli altri, tutti alla prima esperienza del
genere. La colonna sonora poi è, secondo me, uno dei punti forti del film.
David Rhodes ha composto 23 brani musicali di rara intensità. Poi nella
versione italiana, accanto ai suggestivi brani strumentali, abbiamo affidato
le canzoni a Ivana Spagna, Leda Battisti, Samuele Bersani, Gaetano Curreri e
Antonio Albanese. I disegni infine sono stati eseguiti dal team della Lanterna
Magica: ne hanno realizzati oltre 220.000, con 1.200 scenografie."
Così lontano dai cliché disneyani e così "diverso" dalla maggior parte dei
film in animazione lanciati sul mercato, La gabbianella e il gatto
risulta originale proprio perché si muove sul territorio della ricerca di
autonomia espressiva sia del segno grafico che dei personaggi che popolano le
scene e detta in un certo senso nuove coordinate estetiche, sganciate dai
modelli statunitensi. il film di D’Alò presenta infatti delle scelte visuali
assolutamente interessanti: "…Intenso e accattivante soprattutto nei campi
lunghi, nelle vedute aeree o negli scorci urbani ( dove i verdi brillanti e i
blu notte della prima parte si equilibrano con le tinte più trasparenti e
leggere dell’epilogo), il film adotta una cifra grafica essenziale e
stilizzata, in cui il realismo mimetico disneyano è messo tra parentesi a
favore di una grafica che alterna il realismo del dettaglio a un registro
allusivo ed evocativo nella rappresentazione dell’ambiente e del contesto in
cui si svolge l’azione. Come già in La freccia Azzurra, D’Alò è
efficacissimo nelle scene corali e coraggiosamente antirealistico e
sperimentale nelle due sequenze oniriche che "bucano" la scorrevolezza
narrativa della trama. Il primo dei due sogni, in particolare, giocato com'è
sul tema dell'uovo che galleggia nel vuoto e si scompone su fondi bianco-neri,
rompe con i codici figurativi del resto della storia, inserendo una "scheggia"
di visualità splendidamente astratta in un contesto di apparente realismo
quotidiano".
Efficace e incisivo anche il sistema di messa in scena dei personaggi. "Non
volevamo ritrarre personaggi stile ‘Aristogatti’, né ricalcare
l’antropomorfismo proposto nell’universo disneyano" ha affermato D’Alò
presentando la pellicola, e in effetti i suoi protagonisti felini sono
assolutamente diversi dai baffuti mici Disney’s, ma anche da Felix o Gatto
Silvestro. Non sono bipedi, non indossano abiti o ornamenti "da umani", non si
siedono a tavola per mangiare, non lavorano, né si dedicano a passatempi
tipicamente umani, non assumono atteggiamenti inverosimili, non scimmiottano
il comportamento umano. Sono invece fisicamente zoomorfi, camminano a quattro
zampe e si comportano in tutto e per tutto come veri animali. Sono però molto
simili agli umani nei sentimenti e nelle emozioni. All'antropomorfizzazione
fisica che ha da sempre contraddistinto il trattamento disneyano della figura
animale, D’Alò ha contrapposto cioè un'antropomorfizzazione dei sentimenti:
tanto più gli animali sono diversi da noi nell’aspetto fisico, tanto più ci
assomigliano nel ‘sentire’. Vissuti, emozioni e sensazioni acquistano così una
valenza universale e forniscono il terreno ideale per innescare nello
spettatore processi di identificazione, proiezione, immedesimazione. Aspetto
questo tra l’altro assolutamente interessante per chi volesse sviluppare a
scuola percorsi di lavoro sull’identità e la diversità che, prendendo le mosse
dagli stimoli forniti dal film, consentano di affrontare la riflessione in
modo mediato e simbolico.
Anche la scelta delle fisionomie dei personaggi e delle loro relazioni
all’interno di un gruppo sono elementi forti e utili per riflettere sulla
ricchezza della diversità e sulla negatività dell’omologazione. Con la
rappresentazione contrapposta della banda dei topi e di quella dei gatti, il
film infatti stimola facilmente una riflessione sulla differenza che
intercorre fra la tribù anonima, indistinta e omologata dei primi, in cui
tutti sono mimeticamente uguali, privi di pensieri, punti di vista e capacità
di scelta individuali, organizzati gerarchicamente e comandati
insindacabilmente dal Grande Topo, capo supremo, e la banda dei secondi che,
pur appartenendo tutti alla stessa specie, presentano, oltre a evidenti
differenze nell’aspetto fisico, soprattutto personalità e caratteri fortemente
diversi. Nel gruppo dei gatti non ci sono un leader e tanti gregari, ma
piuttosto varie ‘anime’ che riescono a risolvere problemi e a uscire da
situazioni complicate perché possono contare sulla forza data dall’unione e
dalla collaborazione, ma anche perché ciascuno ha conoscenze, idee, modi di
fare diversi e può perciò fornire al gruppo un proprio singolare, unico e
prezioso contributo. Ovviamente, come in ogni fiaba che si rispetti, i
caratteri dei personaggi sono comunque fortemente tipicizzati al fine proprio
di favorire l’identificazione immediata dei ruoli che in un certo senso
ricalcano quelli di un tipico nucleo familiare allargato: Zorba grande,
grosso, capace di tirar fuori gli artigli quand’è necessario, ma al tempo
stesso di essere dolce, tenero e ‘accogliente’ proprio come una vera mamma,
Diderot sicuro, altero, stimato da tutto il gruppo, pozzo di saggezza e
conoscenza, proprio come ogni nonno che si rispetti, Pallino ( figura assente
nel libro e inventata in fase di sceneggiatura da Umberto Marino) dispettoso e
geloso delle attenzioni che i gatti adulti rivolgono alla nuova arrivata come
ogni fratello maggiore alla nascita della sorellina di turno… Ed è proprio
questa tipicizzazione che favorisce l’immedesimazione con i vari personaggi.
In particolare con le figure di Pallino e Fortunata che nascono probabilmente
proprio per stimolare nel pubblico infantile facili processi di
identificazione e modelli di comportamento. Ed è interessante, a questo
proposito, la soluzione narrativa che ci mostra come sarà proprio Pallino (
così, come spesso accade nella realtà fra pari) a far scattare nella
gabbianella il percorso di conquista della coscienza di sé e della presa
d’atto –traumatica, dolorosa, ma necessaria- della propria diversità. Altro
aspetto questo che potrebbe offrire numerosi agganci per promuovere attività e
percorsi sull’identità e sull’accettazione del sé.
Interessante infine notare come prologo ed epilogo del film tematicamente
coincidano: la storia si apre con una morte, un distacco che, seppur doloroso,
ha la forza di generare una nuova vita e si chiude con un’altra separazione,
un altro distacco che però prelude a un’esistenza nuova che va a incominciare.
Nel mezzo, fra le due separazioni, è collacato il processo di crescita
assistita e la progressiva acquisizione di fiducia in sé e di autonomia. Un
ottimo spunto questo per parlare con bambini e ragazzi del complesso e
delicato percorso di crescita, ‘nuova nascita’, uscita dal ‘guscio-famiglia’,
separazione dai genitori, costantemente sospeso e in precario equilibrio fra
bisogno di amore e affetto e necessità di autonomia e indipendenza…
Un film dunque La gabbianella e il gatto ricco di spunti e di chiavi di
lettura che può consentire di affrontare, anche con i più piccoli, temi di
grande importanza. Un film che invita a riscoprire valori come l’amicizia, la
solidarietà, il rispetto per la natura, la tolleranza, la ricchezza della
diversità senza enfasi e fastidiosi moralismi, ma con la poesia e la forza di
chi sa alimentare i sogni di chi guarda, anziché soffocarli a suon di roboanti
effetti speciali.
"Vola solo chi
osa farlo" miagola Zorba nel finale. E La gabbianella e il gatto
è sicuramente un invito a… osare!
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