Intervista a GIORGIO MELAZZI
In esclusiva per il sito IL MONDO DEI DOPPIATORI, una nuova intervista esclusiva ad un doppiatore italiano. E' il turno di Giorgio Melazzi, attore teatrale e cinematografico e televisivo e voce italiana di numerosi protagonisti del piccolo e grande schermo.
Intervista effettuata il 13 settembre 2004, a cura di Andrea Pannocchia. È assolutamente vietato riprodurre questa intervista – anche in modo parziale – senza autorizzazione.
PICCOLA CARTA D'IDENTITA' |
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Nome:
GIORGIO Cognome: MELAZZI Nato a Bellagio (CO) Sito web: www.giorgiomelazzi.it Curriculum: |
L'INTERVISTA
Solita domanda, come è
arrivato al doppiaggio?
A fine anni ’70, prima dell’avvento della varie televisioni commerciali,
sono stato chiamato a doppiare una serie di telefilm per la RAI: chi se ne
occupava mi aveva notato a teatro e si era convinto che fossi la persona
giusta per dar voce ad uno dei protagonisti, un giovane ribelle di buona
famiglia. Si lavorava ancora con gli anelli di pellicola: preistoria. Quei
tempi lenti e quella cura artigianale sono stati un buon inizio: ora, il più
delle volte, i ritmi sono da catena di montaggio ed è molto più difficile
iniziarsi a quel lavoro.
In passato la sua voce è
apparsa in molti famosi cartoni animati (l'ispettore Gadget, Alvin Rock'n'roll,
Tartarughe Ninja...), ultimamente però pare abbia un po' abbandonato i
cartoni animati, come mai?
Le Tartarughe non le ricordavo. Ricordo invece l’orso Fozzie dei Muppets,
sia di pezza che in cartoons, e un’infinità di scienziati pazzi,
presumibilmente la mia specialità in materia. Se ho abbandonato i cartoni è
perché l’inondazione di robaccia giapponese mi ha messo in fuga e, per mia
fortuna, ho avuto di meglio da fare. C’è da dire che la mia attività
professionale ha base a Milano e non a Roma, e sono dunque lontano dal luogo
deputato per il doppiaggio di cartoni nobili e bellissimi quali quelli della
Disney o della Pixar. Mi è successo di doppiare il coccodrillo Raz in "Aida
degli Alberi" e non lo dimentico: per dargli un pianto che facesse felice il
regista Guido Manuli ho rivoltato l’anima. Stando a quel che ho fatto, i
miei cartoni preferiti restano gli shorts commerciali della Red Bull, dove
il contributo creativo era davvero gratificante.
Lei non ha mai curato
l'adattamento italiano o diretto il doppiaggio di una serie, c'è un motivo
particolare?
La direzione del doppiaggio è materia assai interessante e ancor più lo
è il lavoro di adattamento, ma vale quanto appena detto su Milano e Roma: a
Milano le occasioni degne di nota in quel senso sono assai rare e la mia
creatività è sempre stata assorbita da altri progetti.
Lei naturalmente non ha
doppiato solo cartoni animati ma anche attori del calibro di Tim Curry e
Stan Laurel (anche se quest'ultimo in riedizione). Cosa ha provato ha
doppiare un attore del calibro di quest'ultimo? Crede di aver migliorato il
precedente doppiaggio?
Ho avuto la fortuna di doppiare grandi attori quali Billy Crystal, Robert
Redford, Richard Dreyfuss, John Savage, Ryan O’Neal, James Belushi, Tim
Curry e altri ancora. E anche i protagonisti di serie TV quali "Automan", "Manimal",
"Quincy" e "Tre cuori in affitto". Un capitolo a parte riguarda Stan Laurel,
con Chicco Maggi, l’attuale voce dei promo di Canale 5, che doppiava
egregiamente Oliver Hardy. Un’emozione particolare, ovviamente, e la
scoperta di quel fantastico originale: parlavano come due gentleman
britannici. L’invenzione di quel primo doppiaggio italiano, con quell’assurdo
accento e quelle mitiche storpiature, fu certamente un atto arbitrario,
forse tendente a rendere più comico il dialogo: ma ha fatto storia e sarebbe
stato impensabile rimuovere quel punto fermo e impossibile migliorare quello
stravagante prototipo.
Lei doppia un personaggio
in una famosa soap opera, "Sentieri". Lo trova un grande impegno visto il
numero di puntate mandate in onda finora? Ha conosciuto qui Lella Costa o
sul palco di un teatro?
In "Sentieri" doppio il personaggio di Buzz Cooper, interpretato da
Justin Deas, attore intenso e istrionico, più volte premiato con gli Oscar
del settore. Prima del suo avvento, avevo doppiato il giovane medico Rick
Bauer e, prima ancora, Ben, un romantico pittore di esilaranti nature morte.
In America la serie è in onda, prima per radio e poi in TV, dal 1949, se non
sbaglio. Al confronto, la mia fatica, che pur risale fino al debutto delle
televisioni commerciali, risulta quindi più che accettabile. Per ogni
personaggio ci sono poi, nelle incredibili evoluzioni della trama, periodi
di grande loquacità che si alternano a settimane di stanca, forse anche in
coincidenza che le ferie dei vari attori: dove finisca l’attore e incominci
il personaggio, in quella serie, non è facile dire, visto che perfino morti
reali sono state assunte nella trama. Nel doppiaggio si è pagati a riga: se
il tuo personaggio entra in coma, e in "Sentieri" succede spesso, puoi solo
sperare in qualche flash back. Quanto a Lella Costa è un'amica di vecchia
data: ricordo con lei commedie in Rai e infiniti doppiaggi sparsi, tra cui,
ad esempio, "Tre cuori in affitto", dove io doppiavo Jack Tripper e lei una
delle due inquiline. Mi ha chiamato poi, da cointerprete e coautore, per un
suo progetto teatrale, “Due: abbiamo un’abitudine alla notte”, una storia di
coppia che resta l’unica sua deroga al monologo. Uno spettacolo felice e
fortunato che ha girato l’Italia con grande successo e che ricordo con
particolare affetto. E’ tra l’altro sull’onda di quello spettacolo che mi è
poi nata la voglia di scrivere, dopo il teatro, anche per il cabaret.
Prima ho detto che la sua
voce si vede poco ormai nei cartoni animati, certo non posso dire lo stesso
delle pubblicità, in cui la sua voce appare molto spesso, giusto?
Sì. Una storia iniziata casualmente ormai diversi anni fa, con qualche
incisione ogni tanto tra uno spettacolo e l’altro, e divenuta col tempo un
lavoro importante, molto particolare e anche creativo e gratificante. Il
mondo della pubblicità mischia avanguardie e volgarità, banalità e
bizzarrie, ottusità sconcertanti e genialità, e il tuo lavoro, il più delle
volte, è quello di dargli un senso con la frase finale: una sintesi dove la
tua personalità di interprete può contribuire alla comunicazione in modo
essenziale. Il rovescio della medaglia è il tono stereotipato dello speaker,
che fortunatamente non rientra nelle mie capacità.
C'è anche un'altro settore
però in cui appare spesso, quello dei videogiochi. Lei ha doppiato
innumerevoli prodotti di successo, cosa ne pensa di queste nuove forme di
espressione? Doppierà altri videogiochi? C'è un videogioco che ricorda in
modo particolare? (la prego, non dica Max Payne!). Le da fastidio il fatto
che raramente nei titoli di coda dei videogiochi vengano inseriti i nomi dei
doppiatori italiani?
Ricevo spesso, tramite il mio sito web, mail di ammiratori di Max Payne: il
videogioco che risponde oggettivamente alla sua domanda non può dunque che
essere quello. Personalmente, ricordo un gioco che girava su Windows 95 e
dunque, temo, ormai obsoleto: un gioco per bambini che ricordo
meravigliosamente creativo, educativo, divertente ed emozionante, si
chiamava "Gli Zoombini". Il problema dei nomi alla fine riguarda anche il
cinema e la televisione ed è una superficialità tutta italiana: in
televisione tagliano i titoli di coda perché sanno che gli ascolti crollano,
al cinema accendono le luci in sala per accelerare i tempi di ricambio del
pubblico, nei videogiochi, semplicemente, si risparmiano mezz’ora di lavoro
in post produzione.
Lasciando momentaneamente
il doppiaggio, vorrei passare al Giorgio Melazzi attore e volevo chiederle
se tornerà allo Zelig.
Coi miei spettacoli ci passo una volta all’anno e così sarà anche quest’anno
con quello nuovo. Negli ultimi tre anni ho poi partecipato al progetto "C.U.LT"
(Comici Uniti Liberi e Trasgressivi), lo spettacolo di satira politica,
evidentemente impossibilitato ad accedere all’attuale regime televisivo, che
ha girato l’Italia. Ero in buona compagnia, con Antonio Cornacchione,
Alberto Patrucco, Diego Parassole, Teo Guadalupi, Renato Trinca, Luca Donato
e Stefano Barbati. Quanto a "Zelig Circus", la parte emersa dell’iceberg, i
comici che ne fanno parte sono in sostanza dei clowns moderni, di facile
presa e per tutti: non è il mio caso. Le qualità che generosamente mi
riconoscono, di comico raffinato, poetico e profondo, sono l’esatto
contrario di quanto ci vuole per fare ascolti in TV: la stima personale di
Gino e Michele e di Giancarlo Bozzo, in questo senso, mi fa più felice di
qualche facile popolarità.
Dirigerà e interpreterà
altre commedie? Se lo farà, reciterà ancora insieme a Giovanni Battezzato?
Alcune mie commedie sono attualmente rappresentate da altre compagnie:
il mio modo di essere mi ha portato a cercare sempre nuove vie e oggi sono
alle prese con altre cose, ormai distanti dal teatro tradizionale. Una di
queste, in via di messa a fuoco, prevede una nuova collaborazione con
Giovanni Battezzato, compare di spettacoli sin dai tempi dell’Accademia. C’è
con lui un’intesa e una complementarità assolute e, di tanto in tanto, è
fatale ritrovarsi in qualche progetto.
Battezzato è stato suo
compagno in vari spettacoli, cosa ne pensa di lui?
Penso sia una clava di comicità primordiale. Ho già accennato alla
complementarietà che ci ha resi coppia comica in varie occasioni. Una su
tutte, la saga di Ziegler e Zinemann, i due scienziati giramondo di "Banana
Konferenz" e "General Pront Soccors", surreali e filosofi.
Preferisce la commedia o il
dramma?
La chiave di tutto è nella tragedia: lungo il confine tra la tragedia e
la farsa nascono i grandi attori. Commedia e dramma sono sottoprodotti.
Cosa ricorda della sua
collaborazione con Franco Parenti?
E’ stato il mio maestro e ricordo tutto. Un padre.
Lei è stato l'autore di un
noto spettacolo insieme a Lella Costa, sto parlando ovviamente di "Due".
Ricorda qualche aneddoto particolare?
Abbiamo girato i teatri d’Italia per due stagioni, ricordo le prove, le
repliche, i viaggi: un periodo felice, molte emozioni, il piacere di
incontrare il pubblico con uno spettacolo divertente e profondo.
L’ultima sera, al termine di non so quante repliche, il nostro Direttore di
Scena, Andrea Interlandi, ha applicato la tradizione dello scherzo finale:
entrati in scena, Lella e io abbiamo trovato l’intera scenografia capovolta.
La nostra abituale camera, in sostanza, era come allo specchio, coi mobili
di destra sulla sinistra e viceversa. Percorsi e movimenti ormai
automatizzati da centinaia di repliche sono così diventati, per quell'ultima
sera, un labirinto da percorrere contromano: un'impresa. Che ricordo con un
sorriso.
Cosa pensa dei nuovi
comici? Ce ne sono alcuni che l'hanno colpita in particolar modo?
Ho molti amici e affetti sparsi: dimenticarne uno sarebbe fargli un
torto. Il vero problema, in generale, non è la qualità dei comici ma la
qualità della televisione, senza la quale un comico sembra non esistere.
Trovo la televisione italiana, pubblica e privata sono ormai la stessa cosa,
di un livello imbarazzante, con rarissime eccezioni di qualità. Stando al
comico, in questo senso, scelgo il nome di Corrado Guzzanti, un vero
innovatore.
Lei non ha recitato spesso
per il cinema, ha qualcosa in mente per il futuro?
Ho già deluso abbastanza agenti che mi stimavano immaginando per me futuri
di celluloide: sono pigro, attaccato ai miei progetti e do il meglio da
essere libero, sarei la disperazione di molti registi. Rispondo alle
telefonate, in sostanza, ma non compongo numeri.
Concludendo, quali consigli
darebbe agli aspiranti doppiatori e agli aspiranti attori?
Agli aspiranti doppiatori direi di aspirare prima a far l'attore. Agli
aspiranti attori dico di studiare in qualche Accademia diffidando dei corsi
in palestra e di confrontarsi con qualche realtà: il mestiere è difficile,
incerto e estremamente selettivo, ma è tra i più belli al mondo. E in
mancanza di cinema e di teatro, un bravo attore potrà trovarsi da vivere
anche nel doppiaggio, chiudendo il cerchio della domanda.
Vuole dire qualcosa ai suoi
fan?
Pochi ma buoni.
© 2004
Antonio Genna
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