ALIAS Italia

ALIAS ITALIA

FANFICTION

Scritto da Neverin
Riassunto: La figlia di Irina Derevko ha una nuova missione: trovare ed uccidere una talpa interna all’SD-6.

Data di composizione: dal 28 ottobre al 30 novembre 2003
Adatto a: tutti
Svolgimento: Universo Alternativo. Irina ha portato Sydney con sé in Russia.

DISCLAIMER
Si ricorda che tutti i diritti del racconto sono di proprietà del sito "Alias Italia – il dossier Sydney Bristow", e che tutti i personaggi della serie "ALIAS" utilizzati sono di proprietà ABC, Bad Robot – Touchstone Television e sono utilizzati senza il permesso degli autori e non a fini di lucro. I personaggi nuovi sono di proprietà dell'autrice.

Spy Game

“I know the difference,
Between myself and my reflection.
I just can't help but to wonder,
Which of us do you love.”

***

“ I don’t know who you are, but I
I’m with you”

I suoi occhi non lasciavano trasparire alcuna emozione mentre fissavano il corpo martoriato ai suoi piedi. Quel corpo giovane al quale aveva strappato la vita colpo dopo colpo. Quel corpo che avrebbe abbandonato sull’asfalto bagnato di una via deserta in una notte di fine novembre. I suoi occhi sapevano mentire perfettamente, ma quella sera non stavano mentendo: esprimevano esattamente quello che c’era nel suo cuore in quel preciso istante, il momento in cui stava guardando l’uomo che aveva appena ucciso: niente. E senza provare niente, si sistemò dietro l’orecchio la ciocca di capelli che le era scivolata sul volto, si voltò e se ne andò. Il suo lavoro era terminato. Poco le importava che l’uomo che aveva assassinato, William Vaughn, lasciasse la moglie e un bambino di appena otto anni.


***

Diede un ultimo sguardo al salotto della sua bella casa. Aveva lasciato tutto perfettamente in ordine, aveva perfino lasciato la cena pronta nel forno per suo marito, per quando sarebbe tornato a casa dal lavoro. Un ultimo sguardo a quella che era stata la sua vita negli ultimi dieci anni. Laura Bristow chiuse lentamente la pesante porta di legno massiccio. Sospirò. Quando si voltò per raggiungere la sua macchina il suo sguardo era cambiato: Irina Derevko tornava a casa.
Sul sedile anteriore della macchina la piccola Sydney, la sua bambina di sei anni, la aspettava. I suoi occhioni bruni la guardarono curiosi e divertiti mentre saliva e si metteva al volante.
- Dove andiamo mamma? –
- A casa, tesoro. –
- Ma questa è casa mamma. –
- No, tesoro... non più .-
Dallo specchietto retrovisore guardò la vita che si lasciava alle spalle. Accelerò.


****** 20 anni dopo **************************************************************


Fu il sottile raggio di sole che filtrava dalle tende semiaperte a svegliarla. Aprì gli occhi molto lentamente. Le palpebre, pesanti per il sonno e per il troppo vino bevuto la sera precedente, si sollevarono a fatica lasciandole intravedere una camera che non era la sua. Mantenendo a fatica gli occhi aperti si girò e solo allora si accorse che lui era già sveglio e la stava guardando con un incredibile sorriso sulle labbra. Sorrise a sua volta, e si allungò nelle lenzuola stropicciate.
- Buongiorno – disse sbadigliando e sorridendo allo stesso tempo.
- Buongiorno – rispose lui senza staccare gli occhi dai suoi. – Dormito bene? –
Annuì e si voltò su un fianco. Il suo viso era ora di fronte a quello di lui. I suoi occhi si perdevano negli occhi verdi di quello che fino alla sera prima era uno sconosciuto. Sorrise nuovamente.
- Cosa c’è? –
- Niente... è che di solito... – arrossì leggermente – di solito non mi sveglio nel letto di uno sconosciuto. –
Lui la guardò sorridendo e con la mano le accarezzò la guancia.
- Sono contento che hai fatto un’eccezione ieri sera, allora. –
- Lo sono anche io. – E così dicendo si avvicinò al suo volto e lo baciò delicatamente sulle labbra.
- Caffè? – chiese lui dopo qualche istante, staccandosi con riluttanza dalle morbide labbra di lei.
- Caffè –
Lo guardò alzarsi e dirigersi verso la cucina. Appena fu rimasta da sola si voltò sull’altro fianco e abbracciò il cuscino. Affondò il viso nel guanciale e lo strofinò contro la stoffa della federa. Non riusciva a nascondere il sorriso. Aveva conosciuto quel ragazzo in un bar la sera prima. Avevano parlato a lungo, tra un bicchiere di rosso e un’altro. E quella mattina si era svegliata tra le sue braccia. Non aveva mentito, era un comportamento strano per lei, data l’educazione che aveva ricevuto. Ma data la particolare occasione, era sicura che sua madre non l’avrebbe rimproverata: dopo tutto era stata lei a insegnarle che il fine giustifica i mezzi.
Si alzò e si coprì con una camicia che trovò appoggiata su di una sedia. Quando entrò in cucina lui stava versando il caffè nelle tazze. Si voltò e la guardò sorridendo. Sofia trovò il sorriso di quel ragazzo incredibilmente affascinante... e i suoi occhi... non aveva mai visto niente di più bello.
- Ho preso la tua camicia, ti dispiace? –
- No, al contrario... Ti sta... molto bene. –
- Bene – disse arrossendo nuovamente. Non era mai arrossita davanti ad un uomo e sinceramente non ricordava nemmeno di aver mai sorriso così tanto come aveva fatto in quei pochi minuti, ma non riusciva a impedirselo. Provava una strana sensazione di felicità. – Prendo il caffè e poi vado – disse cercando di scacciare quella sensazione e di tornare in sé.
- No... voglio dire... non devi... cioè... – stava arrancando – voglio dire che... puoi restare se vuoi. –
Lo guardò e si trovò di nuovo a sorridere. Pensò che quel ragazzo era davvero strano. Un momento era serio, brillante e rassicurante, un momento dopo sembrava un ragazzino con lo sguardo divertito e imbarazzato allo stesso tempo. Lo guardò ancora negli occhi e realizzò che l’ultima cosa che voleva era uscire da quell’appartamento e rischiare di non vederlo più.
- Vorrei...restare – disse timidamente – ma ho lezione... e tu devi andare al lavoro. –
- Purtroppo sì. –
- Possiamo rivederci... stasera...voglio dire... io ho lezione fino alle quattro, poi sono libera. –
- Perfetto, ti vengo a prendere dopo la lezione... o se preferisci, ci possiamo vedere da qualche altra parte. –
- In effetti, dopo la lezione dovrei passare un momento in ufficio a ritirare del lavoro per il week-end... potremmo vederci verso le sette. Una mia amica ha un ristorante, è un posto molto carino... se ti va, potremmo cenare lì. –
- Vada per la cena allora. Alle sette. –
- Bene. Prima di andare ti lascio l’indirizzo.- Sorrise – Ti dispiace se prima di uscire uso la tua doccia? –
- La camicia, la colazione, la doccia... non è un albergo questo signorina Stevens – disse con aria scherzosa. I suoi occhi erano splendenti mentre guardava Sofia, seduta di fronte a lui, avvolta nella sua camicia davvero troppo grande per lei. Il volto di lei finse di imbronciarsi. – Certo che la puoi usare – continuò, questa volta con un tono molto più dolce – Non devi nemmeno chiederlo. –
La guardò posare la tazza sul tavolo della cucina, alzarsi e sparire dietro l’angolo. Quando sentì la porta del bagno chiudersi, si rilassò appoggiandosi alla spalliera della sedia. Si passò una mano tra i capelli e sorrise. Non si ricordava di aver mai sorriso tanto in vita sua, ma non riusciva ad evitarlo. Per la prima volta dopo tanti anni, Michael Vaughn si sentiva davvero felice.

***

- Qualcuno ha dormito poco questa notte –
- Buongiorno anche a te Weiss – disse lasciandosi cadere sulla poltrona.
- Ehi, non dovresti essere così di cattivo umore... –
- Non sono di cattivo umore! –
- Ecco, bene, perché vedi, dovrei essere io di cattivo umore, dopo che mi hai lasciato da solo al bar per accompagnare a casa quella brunetta. -
- Scusa... –
- Niente scusa... dimmi che almeno ne è valsa la pena. – Disse ammiccante Eric Weiss.
Michael si girò e lo guardò simulando un’espressione seria, ma non appena i suoi occhi si posarono sul volto dell’amico, non riuscì a trattenere oltre il sorriso.
- Lo sapevo... che non eri di cattivo umore... Sei davvero poco bravo a mentire... e questo è un guaio, dato il lavoro che fai. –
- E cosa c’entra il lavoro adesso... –
- Giusto... Ma già che ci siamo, cosa le hai detto che fai? –
- Le ho detto che lavoro per una società che... costruisce case. –
- Case?! –
- Sì...case...In tutto il mondo... –
- Mike, dimmi che stai scherzando?!? –
- No...-
- Non stai scherzando... –
- No, non sto scherzando. Lo so... fa schifo come copertura, ma non mi è venuto in mente niente di meglio. –
- Bèh ragazzo, devi essere particolarmente brillante... o lei doveva essere particolarmente brilla... Perché con un lavoro del genere... –
Venne interrotto dal foglio di carta accartocciato che Michael gli lanciò.
- Basta! –
- E la rivedrai? –
- Andiamo a cena stasera... –
- Uh Uh...interessante...-
- Cosa? –
- A cena... –
- E’ quello che ho detto... Si può sapere perché fai quella faccia? –
- Niente... niente... –
- Weiss?! –
- Ti piace, non è vero? –
- Certo che mi piace, ma che domande... –
- No, non hai capito. Intendevo... ti piace...davvero. –
Michael guardò l’amico. Lavoravano insieme da troppo tempo per riuscire a nascondergli qualcosa. E così dovette ammetterlo – Mi piace... – Sorrise. Sofia aveva qualcosa che le altre ragazze con cui era uscito non avevano...forse erano i suoi occhi scuri così grandi e luminosi, forse i suoi morbidi capelli castani, le sue labbra... o forse semplicemente il suo modo di sorridere e illuminare tutto ciò che la circondava.

La conversazione tra i due amici e colleghi fu interrotta dall’ingresso nell’ufficio della segretaria del Direttore Devlin.
- Agente Vaughn, il Direttore vorrebbe vederla. Lo raggiunga tra cinque minuti nel suo ufficio. -
Quando fu uscita, Michael guardò interrogativamente Weiss.
- Non guardare me, ne so quanto te. –
Scosse il capo su e giù, più che per annuire all’amico, per ricordare a se stesso che nonostante la notte da sogno con Sofia, era ora di tornare al lavoro.

- Direttore, voleva vedermi? –
- Agente Vaughn, prego, entri, si accomodi. –
Michael prese posto su una poltrona davanti alla scrivania di Devlin. Sulla sedia accanto alla sua era seduto un uomo che non conosceva. Non si era nemmeno girato per salutarlo o guardarlo, invece continuava a guardare dritto in faccia Devlin, atteggiamento che Michael riconobbe immediatamente come tipico degli agenti anziani, operativi con molti anni di servizio alle spalle e dunque esperti in strategia...e in arroganza. Quello che però lo colpì fu la totale mancanza di espressione sul volto di quell’uomo, tranne forse un velato fondo di tristezza nei suoi occhi.
- L’ho fatta venire qui per un motivo ben preciso.- continuò Devlin – Lei sta facendo un ottimo lavoro con l’SD-6. Gli analisti che lavorano per lei ci procurano sempre rapporti completi e dettagliati, le informazioni che riesce a ottenere sono sempre molto utili ed è in grado di preparare in poco tempo operazioni efficaci. Suo padre sarebbe orgoglioso di lei. –
- Grazie, signore. –
- Ma come avrà intuito, non l’ho chiamata solo per complimentarmi con lei. L’agente che è qui è l’Agente Bristow. –
Solo all’ora l’uomo si girò e gli concesse un breve sorriso.
- Jack Bristow lavora per l’SD-6... –
- Per l’SD-6? Signore, non capisco. –
- Non abbia fretta, Agente Vaughn. Lei è giovane, e certi meccanismi potrebbero sfuggirle. L’Agente Bristow è amico di vecchia data di Arvin Sloane... lavora con lui all’SD-6... e lavora per noi. –
- E’ un agente doppiogiochista? –
- Ottima intuizione, davvero. – Per la prima volta Jack interveniva nella conversazione tra il suo amico Devlin e il giovane e ovviamente inesperto agente.
- Quello che vorrei da lei, Agente Vaughn, è che lavorasse a stretto contatto con l’Agente Bristow. –
- Vuole infiltrarmi nell’SD-6? –
- No. So che lei sarebbe perfettamente addestrato per quel compito, ma non sarà necessario. Lei lavorerà sulle informazioni che Jack le passerà. –
- Sì signore. –
- Si incontrerà settimanalmente con Jack.-
- Sì signore. –
- Bene. Se è tutto chiaro. Può andare. –
- Solo una domanda, signore. –
- Dica agente. –
- Questo significa che... –
- Esatto, Agente Vaughn. Questo significa che è stato promosso. –
Tentando di mascherare un leggero sorriso che era spuntato sulle sue labbra, Michael Vaughn salutò i due uomini con un leggero inchino e uscì dall’ufficio. Quella sera avrebbe avuto qualcosa da festeggiare con Sofia.
Non appena la porta dell’ufficio si richiuse, il Direttore Devlin si rivolse al suo amico.
- Tranquillo Jack. E’ un po’ che lo tengo d’occhio. E’ un ottimo agente, non ti creerà problemi. –
- Lo so... Ma è sempre il figlio di... –
- Di William... ed è valoroso almeno quanto suo padre. –
- Non lo metto in dubbio, ma cosa succederà quando scoprirà che l’uomo con cui lavora era sposato con l’assassina di suo padre? –
- Di questo ci preoccuperemo se e quando lo verrà a sapere, Jack. – e poi, notando lo sguardo triste negli occhi dell’amico aggiunse – So che quella storia...per te è stata un brutto colpo. –
- Non hai idea di cosa significhi perdere in un solo giorno il proprio migliore amico... una moglie...e una figlia... e non avere dei corpi su cui piangere... –
- Forse non lo so... Ma credimi quando ti dico che sono con te... Abbiamo fatto di tutto per trovarle... –
- Già, ma non è servito a niente... E non posso impedirmi di pensare che ... –
- No Jack... non possono essere vive. Laura e Sydney... sono morte. –
- Laura... lei non è mai esistita davvero... ma Sydney... – E pensando alla figlia che non aveva visto crescere, tornò a chiudersi nel suo cupo silenzio.

- Allora, cosa voleva Devlin? –
- Lavoro... –
- Mike...nessuno esce con quell’espressione beata dall’ufficio del capo. –
- Si vede che “nessuno” non è stato promosso... –
- Ti hanno promosso? Ah Ah! – E così dicendo andò incontro all’amico e lo abbracciò, continuando a sorridere.
- Sai cosa significa questo, Eric? –
- Che stasera hai qualcosa da festeggiare con Sofia? –
- No...cioè, non solo questo – di nuovo non poté impedirsi di sorridere mentre l’immagine di Sofia gli scorreva davanti agli occhi. – Significa che il mio accesso alla sicurezza è stato allargato. Significa che potrò leggere il dossier di mio padre... e scoprire la verità... dopo venti lunghi anni. –

***

- Anya! –
- Mamma?! Sei davvero tu...? –
- E’ così che mi saluti dopo tutto questo tempo? – E Irina Derevko corse ad abbracciare sua figlia.
- Scusa...ma sono sorpresa, non pensavo di vederti qui...negli Stati Uniti... credevo che non potessi mettere piede qui...è troppo pericoloso!- Ammonì la madre, una volta che si fu liberata dal suo stretto abbraccio.
- Lo so tesoro, è per questo che resterò poco. –
Questa volta il suo volto si imbronciò: i suoi profondi occhi bruni divennero se possibile più grandi e si morse delicatamente le labbra – Non ti vedo da sei mesi... e potrò passare solo poco tempo con te?-
- Anya... mi dispiace. Ma la tua missione non durerà a lungo. E ti prometto che quando tornerai a Mosca, passeremo molto tempo insieme. –
Sul suo viso tornò a splendere un caldo sorriso: Mosca, la sua città, la sua casa. Le mancavano i freddi inverni, i concerti sulla Piazza Rossa, le lunghe corse lungo il fiume...Le serate attorno al camino a bere vodka con sua madre e a lasciarsi incantare dai suoi racconti di gioventù. Di quando era una giovane spia, l’orgoglio della sua famiglia. Solo di un argomento sua madre non parlava volentieri: di suo padre. Di lui Anya sapeva solo che era americano, e che sua madre lo aveva conosciuto durante un assegnamento a lungo termine negli Stati Uniti. Sapeva che non era mai a casa, che passava le giornate al lavoro e che la sera era troppo stanco per giocare con la sua bambina. Non si era mai stupita di non avere alcun ricordo di suo padre. Doveva essere un uomo egoista e privo di emozioni. Non aveva mai rimpianto di non averlo conosciuto.
- Ma dimmi come va la missione. –
- La missione? – si sentiva stranamente a disagio a parlare di quel lavoro. Quella missione era il suo primo assegnamento a lungo termine. L’operazione era stata preparata nei dettagli da sua madre e dunque era naturale che adesso lei le chiedesse gli aggiornamenti. E in effetti stava andando tutto bene, eppure si sentiva terribilmente a disagio a pensare a ... – Sta andando tutto bene. – tentò di scuotersi dal pensiero di ... – Mi sono incontrata con il tuo contatto e mi sono fatta dare una lista di tutti gli operativi CIA che lavorano sull’SD. Ho selezionato quelli più giovani. Non è stato facile, ma alla fine ho trovato il “mio” agente. –
- Tesoro, se ti vuoi tirare indietro....in qualsiasi momento...sappi che io ti capisco. – Nessuno meglio di lei sapeva in cosa Anya stesse precipitando: usare un agente straniero per carpire i segreti della CIA era una procedura ordinaria per i Servizi per cui lei lavorava...Ma una cosa, gli strateghi che avevano elaborato quella procedura non avevano calcolato: che la spia potesse innamorarsi del “suo” agente... Soprattutto quando si è giovani, come lo era Anya...il rischio era presente...E lei lo sapeva...Chiuse gli occhi per qualche istante e ricordò la sua giovinezza, ricordò quell’uomo che si era sforzata di odiare...senza esserci mai riuscita. Sospirò.
- Mamma, ora che l’ho trovato non mi tiro indietro. Ma voglio sapere una cosa: perché al Cremlino interessa sapere cosa la CIA sa delle cellule dell’SD...Mi sembra una cosa un po’ contorta.-
- Tesoro... questa non è esattamente un’operazione ... ordinaria. –
- Vuoi dire che non siamo autorizzate? –
- Ascolta... ho una certa anzianità di servizio e questo mi permette di avere una certa discrezionalità: posso decidere di svolgere le operazioni che ritengo opportune. –
- Non hai risposto alla mia domanda – Anya iniziò a irritarsi. Non era stata messa al corrente del fatto che l’operazione che stava compiendo fosse stata decisa unilateralmente da sua madre.
- Anya ascolta. Ti dirò perché sei qui, e perché ci servono quelle informazioni.- Così dicendo si sedette su un divano e fece cenno alla figlia di seguirla. Anya si accomodò accanto alla madre. – Come saprai, l’SD-6 è diretta da Arvin Sloane... – Anya annuì. – Bene, io e Arvin siamo amici di vecchia data. Qualche tempo fa mi ha contattata e mi ha chiesto un favore. Era da qualche tempo che notava una fuga di informazioni dalla sua Agenzia e alcune operazioni avevano avuto esito negativo...questo gli ha fatto perdere molti soldi, molte informazioni...per non parlare della vita di molti agenti. – Anya continuava ad annuire. – Arvin crede che ci sia un agente che fa il doppio gioco nella sua organizzazione. Sa che la CIA lo controlla da tempo... –
- E così ha pensato che la CIA oltre che controllarlo abbia infiltrato qualcuno nella sua agenzia. E io devo dirgli quello che la CIA sa della sua organizzazione e come lo viene a sapere. – Questa volta era intervenuta.
- Esatto tesoro. Dovrai copiare quotidianamente il disco fisso del computer del tuo agente, e tenere le orecchie bene aperte. Scoprire se hanno qualcuno infiltrato nell’SD...-
- Ed eliminarlo... vero mamma? –
- L’accordo con Arvin prevede questo. Dobbiamo trovare la sua talpa ed eliminarla. E’ per questo che ci servono le informazioni della CIA-
- Questo lo capisco...ma non capisco perché i Servizi russi debbano cercare l’appoggio di un criminale come Arvin Sloane. Mamma...dici che quell’uomo è un tuo amico...ma quell’uomo è un terrorista! –
- Lo so tesoro. Arvin è cambiato molto in questi ultimi anni. Ma se noi troveremo la sua talpa, il nostro Governo avrà un favore da farsi restituire...e credimi...Arvin ha molto potere e potrebbe esserci immensamente utile. –
- Il fine giustifica i mezzi... giusto mamma? –
- Giusto tesoro. – Sorrise alla figlia, ma non era un sorriso di gioia, era invece un sorriso mesto. Molte volte Irina rimpiangeva di aver trascinato la sua bambina in quella vita, in quel mondo di falsità, di ingiustizia, di potere e inganni...un mondo dove il fine giustifica il mezzo...qualsiasi mezzo.
- Ma ora dimmi – tentò di riprendersi – Come ti sei organizzata? –
- Bene – Questa era la parte divertente, raccontare a sua madre con quale abilità si era costruita il suo alias e come era riuscita a trovare il “suo” agente...ebbe un fremito al solo pensare a... quegli occhi verdi che la guardavano...che la trapassavano, che le leggevano l’anima... Ordinò al suo cuore di smettere di battere così forte e respirò pienamente un paio di volte prima di tornare a parlare a sua madre. – Il mio nome e Sofia Stevens. Studio letteratura e storia inglese all’ UCLA. Per un po’ ho vissuto nel dormitorio, ora ho trovato una coinquilina, una ragazza simpaticissima, si chiama Francie ed è anche la migliore cuoca di Los Angeles...Ha aperto questo ristorante e ...-
- Anya! –
- Ah, sì giusto... il nome del “mio” agente... – guardò sua madre che annuiva spazientita. – Si chiama Michael, Agente Michael Vaughn. –
Irina Derevko pregò di aver sentito male. Anya non poteva avere detto quel nome. Non quel nome. Anya non poteva averlo incontrato. Non lui. Non il figlio di William C. Vaughn.


****** 6 mesi dopo ***************************************************************

Era un altra di quelle notti in cui non riuscivano a dormire. Restavano immobili, abbracciati nel letto, senza dire una parola, senza distogliere lo sguardo: lei si perdeva per le infinità dei suoi occhi verdi, lui si lasciava attirare nelle profondità dei suoi caldi occhi color nocciola. Quando la tensione si faceva troppo forte, solo allora si avvicinavano lentamente fino a darsi un leggero bacio sulle labbra...e poi tornavano a guardarsi e a perdersi...
- Dimmi qualcosa di te – fu Michael a rompere il silenzio.
- Di me? Cosa vuoi sapere che già non sai? –
- Sofia, di te so molte cose: conosco i tuoi amici, so quanti esami ti mancano alla laurea, so qual è il tuo piatto preferito, e il tuo colore preferito... so perfino dove tieni i bicchieri a casa tua... –
Sofia lo guardava sorridendo...felice che lui conoscesse i piccoli particolari del suo mondo...le poche cose autentiche del suo essere.
- ... Ma non so niente di te... di te. Cosa nascondono i tuoi occhi? –
Il suo sguardo si fece triste all’improvviso. Era vero: i suoi occhi nascondevano molti segreti, nascondevano la sua vera vita...una vita che non poteva essere svelata, una vita di inganni, bugie... I suoi occhi nascondevano Anya Derevko... una donna che non poteva...non doveva entrare nella vita di Michael Vaughn...Quello che lei veramente era, lui non avrebbe mai dovuto saperlo. Per lui lei doveva essere solo Sofia Stevens, la ragazza con la quale condivideva ormai quasi ogni momento della sua vita. Lui doveva credere e sapere solo questo. Anya non esisteva. Non sarebbe mai esistita per Michael. E a questo pensiero...si sentì morire.
- I miei occhi?... Non nascondono nulla. – Mentì, come era perfettamente addestrata a fare. Come era sempre stata abituata a fare... eppure era incredibilmente difficile mentire a Michael. Soffriva ogni volta che era costretta a farlo. Era quasi come distruggere una parte di sé. Da qualche tempo sentiva che tutto ciò che nascondeva a Michael, non esisteva veramente. Ed era consapevole del significato di questo. Era consapevole del pericolo che stava correndo: quello di innamorarsi del suo agente.
- Raccontami della tua famiglia. – La sua voce era dolce e calda... eppure la faceva rabbrividire.
- La mia famiglia? ... Non ho mai considerato la mia una vera e propria famiglia. – ora era sincera – Siamo sempre state solo io e mia madre. Lei mi ha cresciuta da sola. Mi ha insegnato tutto quello che so. E’ stata tutto per me... e lo è ancora. –
- Deve essere una donna straordinaria. –
- Lo è. ... Alle volte credo che abbia sofferto molto da giovane, che abbia dovuto fare delle scelte che...che l’hanno segnata. Credo che per me abbia sacrificato la sua felicità. – Stava aprendo il suo cuore a Michael. Se non poteva raccontargli i fatti della sua vita, non gli avrebbe mai nascosto i propri sentimenti, le proprie emozioni. Almeno su quello voleva essere sincera. Si sentiva immensamente leggera e felice. Decise di continuare a raccontare di lei e di sua madre. – Sai, delle volte, i suoi occhi si velano... di tristezza. E’ in quei momenti che mi rendo conto che forse avrebbe voluto per sé e per me una vita diversa...Ma lei non si lamenta mai... E’ una donna molto forte, è davvero straordinaria. Un giorno ... mi piacerebbe ... che la conoscessi. – Sorrise. Tutto ciò che aveva detto era vero. Sapeva che era solo un sogno, ma avrebbe voluto davvero che le due persone più importanti della sua vita si incontrassero ... un giorno.
- Un giorno la conoscerò. – Sorrise e appoggiò delicatamente la sua mano sul viso di lei. Iniziò ad accarezzare dolcemente la sua guancia morbida. Sofia chiuse gli occhi e desiderò che quel momento durasse per sempre. – E tuo padre? –
- Mio padre? Non ho mai avuto un padre. Non lo vedo da quando avevo sei anni. E anche prima, non credo che sia mai stato un vero padre, o un vero marito. E’ per questo che mamma se ne è andata... e lui non ci ha nemmeno mai cercate. Non ho una sua foto... nessun ricordo. Lui non esiste.- Chiuse gli occhi.
Michael la strinse forte a sé. – Mi dispiace. –
- Non devi. Va bene così... ho avuto abbastanza tempo per farmene una ragione. Io ho una madre...non ho bisogno di un fantasma. –
- Già – La sua voce era diventata triste. Si allontanò da Sofia...anche i suoi occhi erano tristi.
- Michael, cosa c’è? Ho detto qualcosa che ...?-
- No, non hai detto niente. Stavo ... Pensavo a mio padre. Lui era un uomo onesto, integro, leale ... affettuoso. Ricordo che viaggiava sempre tanto per lavoro .. che la sera tornava a casa tardi....ricordo i suoi occhi stanchi e preoccupati... eppure trovava sempre il tempo per stare un po’ con me, per giocare, per chiedermi della scuola. Mi manca molto. –
- E’ tanto che? –
- E’ morto quando ero un bambino... avevo otto anni. – Chiuse gli occhi. Si morse le labbra ripensando alla tragica scomparsa di suo padre. Ricordò il dolore e la disperazione di sua madre che si era trovata a piangere la morte di suo marito senza sapere per che cosa fosse morto. Ricordò la forza di sua madre nel crescere da sola quel figlio testardo e arrabbiato che aveva deciso di seguire le orme del suo eroe. Ricordò il giuramento che aveva fatto a suo padre e a se stesso il giorno del funerale: lui sarebbe diventato un agente valoroso, leale, fedele... e avrebbe scoperto la verità su quella tragedia. E ora finalmente, dopo venti lunghi anni d’attesa, conosceva quel nome. Il nome della persona che gli aveva portato via il padre. Irina Derevko. E nuovamente si era ripromesso che avrebbe fatto giustizia, che l’avrebbe trovata e arrestata. Quella donna doveva pagare per avere ucciso dodici innocenti, per avere rubato informazioni, per aver lasciato orfano un bambino di appena otto anni. Si sentì arrabbiato, e avrebbe voluto raccontare la sua storia, il suo conflitto, a Sofia...Ma non poteva, non poteva rivelarle la sua vera identità...e questo lo irritava terribilmente. Sofia era la prima cosa giusta della sua vita e temeva che il mondo di bugie, di inganni in cui viveva, avrebbe rovinato tutto.
Il corso dei suoi pensieri venne interrotto dal suono della sveglia. – E’ ora –
- Riuscirai a stare sveglio oggi? –
- E tu riuscirai a non addormentarti a lezione?. –
Sofia sorrise e lo baciò. Poi Michael si alzò e si diresse verso il bagno.

Non appena sentì il rumore dell’acqua che iniziava a scorrere, Anya si alzò, usci dalla camera da letto e si diresse verso la scrivania nel salotto. Aprì il portatile di Michael, lo avviò. Inserì il codice e aprì la cartella dei documenti privati. Ne fece una copia

***

- Scusa il ritardo ... ho avuto un piccolo imprevisto... –
- Lo stesso che ti ha causato quelle occhiaie... immagino. –
- ... non ho dormito molto questa notte ... –
- Questo lo avevo capito. –
- Mamma! –
- Niente “mamma”, tesoro. Sei un libro aperto per me. Lo leggo nei tuoi occhi. –
- Leggi cosa? –
- Ciò che non vorrei. –
- Potresti finirla di parlare per enigmi ed essere più chiara? – Si stava innervosendo.
- Sai benissimo di cosa sto parlando, tesoro. Se non lo sai, allora sei tu quella che deve fare chiarezza in se stessa... –
- Non ho bisogno di chiarirmi niente...Allora, cosa c’è nei miei occhi che non vorresti vedere? –
- Amore –
Centro! Colpita in pieno dalle parole di sua madre, si lasciò cadere sulla poltrona del salotto. “Amore”. Ora se ne rendeva pienamente conto. Ora capiva perché non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi occhi verdi, perché passava le giornate a contare i minuti che la separavano dal momento in cui l’avrebbe rivisto... perché si sentiva morire ogni volta che rubava le sue informazioni, perché sentiva una stretta al cuore ogni volta che era costretta a mentire... e sentiva il disperato bisogno di dirgli tutta la verità... di fargli sapere chi era davvero e cosa provava... realmente. L’unico motivo per cui non l’aveva ancora fatto, era perché aveva paura di perderlo... e solo ora riusciva a rendersene pienamente conto: si era innamorata del suo agente. Si era innamorata di Michael Vaughn.
- Non essere ridicola! – cercò di nascondere le emozioni che provava – Non sono innamorata di lui. E’ lavoro! –
- Anya, non devi fartene una colpa. Il fatto che provi qualcosa per lui...non significa che non sai svolgere il tuo lavoro professionalmente...Può capitare...sei giovane, siete giovani...Non è colpa tua. Troveremo una soluzione. –
Trovare una soluzione? Perché sua madre parlava dell’amore come di una malattia? Parlava dei suoi sentimenti come se fossero qualcosa da eliminare, da cancellare...Lei non voleva. Per la prima volta nella sua vita si sentiva felice e non voleva che quello che provava svanisse. Non voleva dimenticarlo, non voleva perderlo... non poteva.
- Mamma, non c’è bisogno di trovare alcuna soluzione, perché non c’è alcun problema. – Anche questa volta tentò di dissimulare le proprie emozioni, ma i suoi occhi che si stavano riempiendo di lacrime tradirono i suoi sentimenti.
- E’ vero. Adesso non c’è alcun problema... ma ci sarà. – Gli occhi di Irina si fecero improvvisamente tristi. – Cosa farai quando il tuo lavoro qui sarà finito? Quando dovrai tornare a casa? –
Tornare a casa...A questo non aveva pensato. Il suo assegnamento era a lungo termine, ma questo non significava per sempre. Presto avrebbe scoperto l’identità dell’agente doppiogiochista dell’SD-6... l’avrebbe... ucciso (rabbrividì al pensiero...lei era una spia, non un’assassina!)... e a quel punto la sua missione sarebbe terminata. Sarebbe dovuta tornare a Mosca... e avrebbe dovuto lasciarlo per sempre. Improvvisamente si rese conto che quella che stava vivendo non era la sua vita, ma quella di Sofia Stevens, il suo alias, la donna che aveva creato e che ora invidiava. Michael amava Sofia, non Anya Derevko, anzi, non sapeva nemmeno della sua esistenza. Di nuovo avvertì quella stretta al cuore, quel desiderio di dire tutta la verità a Michael, di farsi conoscere per quello che era veramente.
- Anya – continuò Irina – Non sarà per sempre. Non sarai sempre Sofia Stevens. Un giorno te ne dovrai andare. Dovrai lasciarlo. – la voce di Irina si era velata di amarezza – E lo farai. Te ne andrai... senza discutere...senza guardare indietro... perché saprai che il tuo lavoro, il tuo Paese è più importante della tua felicità. Ti dirai che lui non ama te, ma il tuo alias... e tu non sei Laura –
- Laura?! Chi è Laura, mamma? Il mio alias è Sofia... –
Irina Derevko si morse il labbro. Davvero aveva detto Laura? Perché la storia di sua figlia doveva essere così simile alla sua? Non avrebbe dovuto assegnare a lei quella missione! Ora aveva paura che Anya passasse attraverso lo stesso inferno che anche lei aveva attraversato venti anni prima. E ormai era evidentemente troppo tardi: sua figlia si era innamorata dell’unico uomo che non avrebbe mai potuto avere. Di un uomo che era destinata a ingannare, usare, tradire e infine abbandonare... e sinceramente non vedeva come alcuna di quelle quattro azioni potesse avere qualcosa a che fare con l’amore. Prima o poi quell’amore impossibile l’avrebbe consumata... la consapevolezza di dover rinunciare all’unica cosa che avesse mai desiderato con tutta se stessa l’avrebbe spenta a poco a poco. E prima che potesse rendersene conto, si sarebbe trovata su di un volo di sola andata per l’inferno, a raccontarsi di aver rinunciato al paradiso per una giusta causa e a pregare di riuscire a crederci...un giorno. E poi, avrebbe insegnato a sua figlia che il fine giustifica i mezzi... perché questo è quello che doveva credere... per sopravvivere...
- Anya devi allontanarti da quell’uomo prima che sia troppo tardi! – Le parole le uscirono tutte d’un fiato. La sua voce carica di emozione e di lacrime sconvolse la figlia che la guardava ora con gli occhi sbarrati.
- Mamma, ma cosa stai dicendo? Non posso mollare...non adesso. E’ il mio lavoro...devo portarlo a termine...non importa cosa succederà dopo... – Sì che le importava,ma non voleva pensarci ora.
- Va bene... – Irina si stava calmando – Immaginavo che non avresti rinunciato alla tua missione...Dunque, dato che ti ho messa io in questa situazione, lascia che sia io ad aiutarti. Questa missione deve terminare il più in fretta possibile. –
- Mamma, ma non conosco ancora l’identità di quell’uomo. Michael non tiene niente di così riservato sul suo computer, e non riceve mai telefonate di lavoro a casa. Ho pensato di tenere sotto controllo il cellulare, ma è impossibile senza un supporto tecnico. –
- Forse so come aiutarti. Stiamo facendo un favore all’SD-6...e dunque è nel loro interesse darci una mano. Parlerò con Arvin e gli chiederò di metterti a disposizione il suo miglior tecnico. Farò in modo che vi incontriate...questa sera. –
- Mamma...non posso andare all’SD-6...se per loro lavora un agente della CIA...potrebbe riconoscermi, collegarmi a Michael...e a quel punto la mia copertura salterebbe e la missione sarebbe compromessa...E’ troppo pericoloso. –
- Anya... faremo le cose per bene, entrerai con un alias. Parlerai solo con Arvin e con il suo tecnico...nessun altro saprà chi sei e per che cosa sei lì. Non correrai alcun rischio, tutto resterà altamente confidenziale. Gli agenti dell’SD-6 sanno mantenere il segreto. –
- Bene...allora vedrò il signor Sloane.-
- Tranquilla tesoro ... presto tutto questo sarà finito. –
Doveva essere una rassicurazione, ma quella frase nella testa di Anya risuonò come una condanna. Non voleva che finisse, tanto meno presto.

***

La giovane donna si avvicinò con passo svelto e deciso al bancone della reception. I capelli biondi le arrivavano fino alle spalle, la frangetta terminava appena sopra gli occhiali da vista. Sorrise.
- Mi chiamo Sarah Tyler. Sono qui per il signor Sloane. –
- Buonasera signorina Tyler, il signor Sloane la sta aspettando.-

Appena le porte dell’ascensore si aprirono si trovò in un’ampia stanza asettica dalle pareti bianche. Un uomo la stava aspettando.
- Signorina Tyler? Sono Marcus Dixon, lavoro per il signor Sloane. Questa è la stanza per il riconoscimento retinico. Mi segua da questa parte. –
Improvvisamente una luce rossa iniziò a lampeggiare tingendo l’aria di quel colore. Dopo pochi istanti una porta si aprì Dixon, che era a su fianco durante la scansione, la condusse lungo i corridoi affollati da impiegati, fino all’ufficio di Arvin Sloane. Quando arrivarono, bussò alla porta, le sorrise e la lasciò da sola.
Entrò richiudendo la porta alle sue spalle.
- Anya Derevko... Bellissima come tua madre. –
- Signor Sloane. –
- Quanta formalità. Io e tua madre eravamo molto amici, te lo ha detto? –
- Sì. E sia ben chiaro che è solo per questo motivo che sono qui. Sono una spia, non una criminale, cosa che non si può dire di lei a quanto ho visto. Sono qui solo perché mia madre me lo ha chiesto. Vorrei che questo sia ben chiaro...da subito. –
- Assomigli molto ad Irina...anche se questo carattere è decisamente di un’altra persona... –
- Vorrebbe essere più chiaro?-
- Hai il carattere di tuo padre. –
- Mio padre? Lo conosce?-
- Credevo fossi qui per un lavoro... –
- Infatti. Ho bisogno di supporto tecnico per tenere sotto controllo un cellulare. Registrare le chiamate. –
- Non sarà un problema per i miei tecnici. –
- Ho bisogno del massimo riserbo. Se vengo collegata a lei in qualsiasi modo...o peggio, se vengo collegata all’agente CIA che sto usando... la mia missione è finita...e lei non otterrà nulla. –
- Sono perfettamente consapevole di questo...Anya. Il mio migliore tecnico sarà a tua disposizione. Terremo quel numero sotto controllo. Appena avremo notizie verrai avvisata. –
- Siamo d’accordo allora. –
- Siamo d’accordo. Ora se ti vuoi accomodare... faccio venire qui il signor Flinkman.-
- Bene. – Disse sedendosi. Non le piaceva quell’uomo, non le piaceva affatto.

***

Guidava verso casa di Sofia. Uno strano senso di serenità lo pervadeva. Aveva deciso. Non avrebbe mentito un solo minuto di più alla donna che amava. La verità l’avrebbe forse spaventata all’inizio, ma poi lei avrebbe capito. Era l’unica soluzione accettabile per lui, ed era l’unico modo per non perderla. Non avrebbe continuato a tradire la sua fiducia: non appena l’avesse vista le avrebbe raccontato tutto della sua vita, della CIA, della morte di suo padre...


- Sei in ritardo –
Sofia era in piedi davanti a lui e sorrideva. Era bellissima e per un istante temette che la verità avrebbe oscurato il suo splendente sorriso. Le andò in contro e la baciò dolcemente. Poi le prese la mano e la guidò verso il divano. Si sedette accanto a lei e solo allora la guardò negli occhi. La guardò a lungo...voleva ricordare i suoi occhi vivaci, profondi, curiosi...bellissimi.
- Michael? –
- Scusa...Ma c’è una cosa che voglio dirti...che devo dirti –
- Devo preoccuparmi? – I suoi occhi erano sempre più curiosi.
- No, ma devi promettermi che non ti spaventerai...All’inizio ti sembrerà irreale...Ma non c’è niente di cui avere paura... –
- Michael...se continui così mi fai spaventare ancora prima di iniziare –
- Hai ragione – rise – Dunque... – strinse la mano di lei e fece un lungo sospiro prima di iniziare a raccontare – Questa mattina ti ho chiesto della tua famiglia...ti ho chiesto cosa mi nascondevi...-
Sofia annuì. I suoi occhi stavano perdendo lentamente la loro luce. Michael iniziò a preoccuparsi. Aveva paura dell’effetto delle sue parole, aveva paura di perderla...e si sentiva in colpa per averle mentito per tutto quel tempo.
- Poi ti ho detto di mio padre.. –
- Sì... mi dispiace molto... –
- No, aspetta...lasciami finire. Non ti ho detto tutto di me e della mia famiglia...C’è una cosa che devi sapere. Mi sento terribilmente in colpa per avertela nascosta per tutto questo tempo, ma devi saperlo. Spero solo che capirai –
- Ti ascolto – Le mani di Sofia stavano diventando sempre più fredde e iniziarono a tremare leggermente. Lui le strinse entrambe nelle sue. Voleva farle sentire la sua presenza in ogni modo.
- Mio padre si chiamava William C. Vaughn. Ti ho detto che era un uomo eccezionale...che lavorava molto. Che viaggiava molto per lavoro. Ecco, mio padre non aveva un lavoro “comune”. Lui lavorava per il Governo, per il Dipartimento di Stato... – sospirò indeciso se continuare oppure no. Decise di andare avanti: decise di dire tutta la verità . – Sofia, mio padre era un agente della CIA. E’ stato ucciso quando io avevo solo otto anni. La persona che ... lo ha ucciso...lo ha...Non ci è stato possibile identificarlo se non attraverso l’impronta dei denti. E’ stato terribile, per me, per mia madre. Non ci è mai stato detto come e perché mio padre fosse morto. Non ci è stato nemmeno concesso di piangere al funerale...Dopo la sua morte, mia madre era distrutta e così decise di allontanarsi per un po’ da Los Angeles...Siamo partiti per la Francia. Lei è originaria di lì. Ho vissuto in Francia fino a dopo le scuole superiori. E per tutto quel tempo ho avuto un solo pensiero per la testa: diventare come mio padre e scoprire chi lo aveva ucciso. Così quando è stato il momento di scegliere un college, io e mia madre siamo tornati negli Stati Uniti. Quando stavo frequentando ancora l’università... – fece nuovamente una lunga pausa – sono stato reclutato dalla stessa agenzia per cui lavorava mio padre. –
- Sei un agente della CIA? – Sofia finse sorpresa.
- Sì – Sospirò e la guardò negli occhi: aspettava una sua reazione e fu stupito nel non trovare nei suoi occhi la paura e l’incredulità che si era aspettato. Nei suoi occhi c’era invece una strana tristezza. – Sofia...tesoro, dì qualcosa – Le mani di Sofia erano di ghiaccio...e anche la sua espressione si stava gelando lentamente. – Non devi avere paura. Lo so, non avrei dovuto dirti niente. Ci è espressamente vietato di rivelare ogni tipo di collegamento con l’Agenzia...ma non potevo mentirti ancora. Sei ...sei troppo importante per me...Non dirti la verità sarebbe stato come continuare a tradire la tua fiducia. – La reazione di Sofia a queste sue parole lo sconcertò nuovamente. Lei era davanti a lui... in lacrime...e nei suoi occhi uno sguardo indecifrabile.
- Sto bene – finalmente aveva trovato la forza di parlare. La sincerità di Michael, il suo dispiacere per averle tenuta nascosta la verità...la sua preoccupazione per la sua reazione...tutto ciò la lasciava senza fiato...Si sentiva in colpa come mai prima. Sentì che ora stava davvero tradendo l’uomo che amava. Non aveva nemmeno più la scusa che anche lui non fosse sincero con lei. Lui aveva scoperto le sue carte...per amore. Lei non avrebbe potuto fare altrettanto. Guardò il giovane uomo che aveva davanti: i suoi occhi preoccupati e pieni di amore per lei. No, non per lei, ma per Sofia. Michael avrebbe mai potuto amare una spia straniera, una donna che lo stava ingannando? Forse però avrebbe potuto capirla: anche lui era stato coinvolto nel gioco delle spie quando era solo un bambino... Improvvisamente rimise insieme il racconto fattole da Michael...ricordò che suo padre era stato ucciso...Provò un immenso dispiacere a pensare al suo dolore...e ammirazione al ricordare la promessa che quel bambino aveva fatto a se stesso e a suo padre...
- Lo hai poi scoperto? – Disse con voce dolcissima.
- Scoperto cosa? – Michael era ora più rilassato. Era felice del fatto che Sofia non avesse avuto una crisi dopo avere appreso la sua vera professione.
- Il nome de .. della persona che ha ucciso tuo padre? –
- Sì...L’ho scoperto pochi mesi fa –
- E cosa credi di fare? ...Insomma, vuoi trovare il responsabile della morte di tuo padre? Potrebbe essere pericoloso... – La sua preoccupazione era genuina.
- Sto indagando... ma le cose sono molto più complesse del previsto. Non ho accesso a informazioni classificate a livelli molto alti...-
- Ma hai quel nome –
- Ho quel nome –
- Voglio aiutarti... – Quelle parole le venivano dal cuore, ma se ne pentì. Certo, lei avrebbe potuto essere di grande aiuto a Michael, ma per farlo, avrebbe dovuto rivelargli la sua vera identità...e a quel punto lo avrebbe perso.
- Sofia...non puoi. Non dovresti nemmeno sapere ciò che ti ho detto. –
- Non lo dirò a nessuno. Giuro. – Sorrise. – Se solo potessi aiutarti... –
- Mi stai già aiutando. Stando con me...standomi accanto... –
- Non è così difficile per me starti accanto... è più difficile lasciarti... –
- E allora tu non farlo... Non farlo mai. –
Sofia non rispose. I suoi occhi erano ora pieni di lacrime. Si gettò tra le sue braccia e lo baciò appassionatamente. Avrebbe voluto dirgli che lo amava, avrebbe voluto giurargli che non l’avrebbe mai lasciato...Ma non poteva.
- Promettimi una cosa... – sussurrò tra le lacrime senza staccare le labbra dalla guancia di lui.
- Dimmi –
- Promettimi che qualsiasi cosa succederà...tu non ti dimenticherai mai di me...promettimi che mi darai almeno una possibilità di spiegarmi.... Promettimi che nonostante tutto...mi crederai –
- Sofia...ora sei tu a spaventarmi! Cosa stai dicendo? –
- Nulla...nulla...E’ solo che... non voglio perderti. –
- Non mi perderai...mai...qualsiasi cosa accada io sarò sempre con te. Te lo prometto. –
Sofia lo guardò, i suoi occhi ancora pieni di lacrime. Dopo un lungo istante tornò a perdersi tra le sue braccia. Desiderò fuggire lontano con lui, fuori da quel mondo...desiderava interrompere quel gioco crudele che li aveva coinvolti quando erano solo dei bambini.
- Non posso aiutati... – disse cercando di pensare ad altro – ma almeno dimmi chi è...la persona che ha ucciso tuo padre... –
- E’ una donna...Una spia russa. –
Improvvisamente il cuore di Anya smise di battere. Una donna. Una spia russa. Uno strano presentimento la pervase. – Il suo nome – Non era una richiesta. Era un ordine.
- Irina Derevko – disse Michael con disprezzo. Subito dopo iniziò a chiedersi perché la sua ragazza volesse conoscere il nome di una spia russa. La guardò negli occhi. Quello che vide lo terrorizzò. Davanti a lui c’era una donna che aveva le sembianze di Sofia Stevens, della dolce studentessa che gli aveva fatto perdere la testa. Ma gli occhi di lei erano totalmente diversi: una fredda e lucida determinazione aveva sostituito l’usuale morbida dolcezza del suo sguardo. Chi era la donna che aveva di fronte? Dove era finita la ragazza che fino ad un istante prima stava singhiozzando tra le sue braccia?
- Devo andare –
Queste furono le esatte parole di Anya mentre si alzava e si affrettava fuori dalla porta. Lui rimase immobile sul divano. Sentì che qualcosa stava per succedere. Dopo qualche istante di confusione si alzò e corse fuori di casa. Doveva trovarla.

***

Arrivò trafelata davanti alla porta dell’appartamento di sua madre. Bussò con forza. Il suo sguardo era furioso. Quando la porta si aprì entrò come un tornado.
- Come hai potuto! –
- Anya...Di che cosa stai parlando? –
- Di cosa sto parlando? Delle bugie che mi hai raccontato per venti anni mamma! Per vent’anni! Tutta la mia vita...tutto quello che so di te, di me...tutto è una bugia! –
- Hai saputo, allora... – Disse dirigendosi a passi lenti verso il divano e sedendo sempre con gli occhi bassi. - E’ stato Arvin? –
- Sloane? No, non è stato lui...Il tuo amico ti ha retto il gioco più che bene...E’ stato Michael...Mi ha detto che suo padre è stato ucciso quando lui aveva solo otto anni. Dovevi vederlo, mamma! Si sentiva in colpa perché questa mattina, quando mi ha raccontato della sua famiglia, non mi ha detto tutta la verità. Lui si sentiva in colpa per avermi mentito! E io...non ne hai idea di come mi sia sentita io...quando mi ha raccontato tutto...della CIA...e del fatto che suo padre era stato assassinato da una spia russa...una certa Irina Derevko!!!-
- Tesoro, siediti... credo che ti debba una spiegazione... –
- Sì, credo che sia ora ...mamma –
- D’accordo. Da dove comincio? Allora...Avevo all’incirca la tua età. Ero una spia del KGB, quando ancora esisteva. Venni mandata negli Stati Uniti in missione...Un’operazione uguale a quella che stai conducendo tu. Dovevo sedurre un agente della CIA in modo da potere estorcergli segreti.... –


****** Quasi 30 anni prima *********************************************************

Il sole alto sullo Zenith dominava l’immensa città di Los Angeles avvolta dalla canicola dell’estate. La stessa luce abbagliante dell’astro risplendeva negli occhi trionfanti di Irina Derevko, mentre guidava per le vie della città Ce l’aveva fatta, aveva agganciato il suo agente. La sua missione iniziava nel migliore dei modi e sarebbe stata sicuramente un successo. Non era facile per una giovane spia fare carriera nel KGB, ma lei non era una ragazza come le altre...lei era il migliore operativo, la migliore killer, la migliore stratega...E finalmente avrebbe potuto provare a se stessa e ai suoi superiori le sue qualità. Accelerò. Aveva appuntamento con il suo contatto e non voleva fare ritardo.

***

Era stato il matrimonio che aveva sempre sognato. Tutti gli amici, i colleghi. Mancava solo la sua famiglia, ma ovviamente non avrebbe potuto essere presente, e non avrebbe nemmeno mai saputo che lei, Irina, si era sposata. Un velo di tristezza oscurò i suoi occhi. Non era Irina a essersi sposata, ma Laura. Era Laura la donna di cui il giovane operativo CIA si era innamorato e non lei. Lui amava una dolce insegnante di inglese...e non avrebbe mai provato nulla se non odio per una spia nemica incaricata di rubare informazioni. Lui non l’avrebbe mai conosciuta e lei non avrebbe mai saputo se i suoi sentimenti sarebbero stati ricambiati. Si morse le labbra: come aveva potuto innamorarsi del suo agente? Dell’unico uomo che non avrebbe mai potuto avere? Dell’uomo che stava ingannando, usando, tradendo...e che un giorno avrebbe dovuto abbandonare. Eppure...in tanti momenti l’illusione era così forte. Tante volte dimenticava di essere una spia in missione, dimenticava persino chi era...sentiva che Irina Derevko non era poi così tanto vera...e si sentiva Laura...Voleva sentirsi Laura...Avrebbe desiderato immensamente essere davvero lei...perché questo avrebbe significato che suo marito l’amava davvero e che lei non avrebbe più dovuto mentirgli...
I suoi pensieri vennero interrotti da una giovane coppia di amici che le si erano avvicinati per farle gli auguri.
- Laura...sei incantevole. Sembri così felice! –
- Lo sono – Non mentì. – Anche tu stai benissimo –
- Sto bene...presto sarà finita –
- Quanto ti manca? –
- Solo due mesi... e poi avremo un bel bambino, vero tesoro? – La giovane donna si rivolse al marito.
- Sì tesoro...Avremo un bambino favoloso. – Gli occhi di William Vaughn erano colmi di felicità.
- E a proposito Laura, spero che tu e Jack darete presto un compagno di giochi al nostro piccolino.–
- Una cosa per volta William – scherzò Laura – E poi sono sicura che avremo una bambina.–
- Bene...allora magari un giorno potremo anche ritrovarci imparentati. – Continuò scherzando William.
- Come ti dicevo poco prima... una cosa per volta! – Sorrise. Se mai avesse avuto una figlia, l’avrebbe portata con sé quando sarebbe tornata in Unione Sovietica... Forse non avrebbe mai nemmeno conosciuto il figlio di William Vaughn.
- Bene Laura...ancora tanti tanti auguri. Vado a cercare Jack per salutarlo e poi, mio malgrado, dovrò tornare in ufficio. Anzi, devo sbrigarmi o farò tardi. –
- Non farai tardi William – Intervenne la moglie sorridendo. – Tu non fai mai tardi. –
- Questo perché il mio orologio è preciso al secondo...Ma se non mi sbrigo, servirà a poco. – Sorrise ancora a Laura e si allontanò tenendo per mano la giovane moglie.

***

- Irina questi sono gli ordini. Dimmi cosa fa la differenza questa volta?! –
- Come cosa fa la differenza?! Io lo conosco. I nostri figli giocano insieme! Siamo amici! –
- Amici?! Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Sono agenti della CIA! Sono Americani! Sono tutto tranne che amici! O forse hai dimenticato che c’è una guerra in corso tra i nostri due paesi?! –
- No, non l’ho dimenticato...come potrei dimenticarlo con te che me lo ricordi ogni santo giorno! Ascolta, ho sempre fatto il mio lavoro. Vi ho procurato tutte le informazioni che volevate sul Progetto Natale, ho ucciso undici agenti...-
- E ucciderai anche questo...prima di tornare a casa. –
- A casa? Come tornare? –
- Credevi di restare qui per sempre? Irina è finita. La tua missione è finita. Uccidi Vaughn e prendi quel dannato aereo per Mosca. Fine della discussione. Avrai la tua solita squadra di supporto. Se qualcosa va male. Ti estrarranno. Sono stato chiaro? –
- Chiaro. –
- Bene. Sai benissimo che la cosa più importante è il nostro Paese. Sei il nostro migliore agente. Non ci deludere adesso. –
- Non lo farò. Ucciderò l’agente Vaughn e me ne andrò –
- Brava – sorrise - E a proposito, per dimostrarti che non sono poi senza cuore...ce l’ho fatta. Ho ottenuto il permesso. Potrai portare tua figlia con te quando rientrerai. –
- Davvero? Sydney potrà venire con me? Grazie! – I suoi occhi si velarono di lacrime.

********************************************************************************

- E così l’hai ucciso? Lo hai ucciso...e basta? –
- Sì –
- Hai ucciso il padre di Michael? –
- Sì...ascolta Anya, capisco che sei sconvolta... –
- Sì lo sono... Perché non me l’hai detto prima? Lo sapevi, ti avevo detto che era lui l’uomo che...-
- Lo so, lo so...Ma non sarebbe cambiato niente. Ragiona Anya...se avessi saputo che io avevo ucciso suo padre, avresti smesso di amarlo?! –
- No – disse semplicemente dopo un lungo momento di silenzio. E poi scoppiò in lacrime.
- Mi dispiace tesoro.. –
- Come farò adesso...lui mi odierà... –
- Mi dispiace...E scusa la sincerità, ma per te e Michael non ci sarà mai una possibilità...e non perché io ho ucciso suo padre...Sono le bugie...tu lo hai usato, ingannato, tradito...niente di tutto ciò è amore... –
- Ma io lo amo...lo amo...Mi dispiace mamma...ho cercato di... ci ho provato...ma io lo amo!–
Irina la strinse forte tra le braccia e aspettò pazientemente che si calmasse. Conosceva il dolore che affliggeva sua figlia e sapeva che nessuna parola sarebbe servita ad attenuarlo. L’amore poteva essere immensamente doloroso alle volte.
Quando si sentì più tranquilla Anya ripensò al racconto della madre.
- E così il mio nome è Sydney? –
- Sì... piaceva molto a tuo padre. –
- Piace anche a me...Sydney... potrei abituarmici. – Cercò di pensare a altro. – E mio padre... qual è il suo nome? –
- Anya ... –
- No, mamma. Devi dirmelo. Basta bugie. Devo sapere. Dimmi il nome di mio padre. –
Irina sospirò. Aprì la bocca per rivelare alla figlia l’identità dell’agente che aveva sposato quasi trent’anni prima. L’identità dell’uomo che aveva amato e tradito. Ma non fece in tempo.
- Scusa...è un messaggio di Marshall dell’SD-6. Oggi Michael ha effettuato una chiamata al cellulare della talpa. Hanno appena avuto conferma della sua identità: abbiamo il nostro uomo. Devo andare. Parliamo un’altra volta.- Diede un veloce bacio sulla guancia alla madre e si allontanò correndo. Adesso voleva terminare quella missione al più presto. Se non avrebbe potuto avere Michael, era meglio per lei allontanarsi da lui il prima possibile. Prima che l’illusione si facesse troppo forte.
- Anya! Chi è? –
- Chi? – Anya si voltò
- Il doppiogiochista? – Improvvisamente aveva sentito una fitta al cuore. Lo strano presentimento che le cose stessero per subire una svolta.
- Jack Bristow. – Disse, si voltò e si affrettò verso l’uscita.
Irina rimase con la bocca spalancata. Avrebbe voluto fermarla, ma non era riuscita ad articolare alcun suono. Arretrò cercando a tentoni la poltrona, quando la trovò vi si lasciò cadere sopra e chiuse gli occhi. Jack Bristow. Il suo agente, suo marito, il padre di Anya....il suo amore. E ora sua figlia stava per ucciderlo. Avrebbe dovuto impedirlo a tutti i costi. Avrebbe dovuto farlo per se stessa, perché non avrebbe potuto perderlo un’altra volta. L’unico pensiero che l’aveva confortata in tutti quegli anni lontana da lui era che Jack potesse essere felice in qualche modo e sopratutto che a differenza degli altri suoi colleghi e amici, lui fosse ancora vivo. Avrebbe dovuto farlo per Anya, perché non avrebbe lasciato vivere sua figlia con il senso di colpa per avere ucciso suo padre...e sopratutto desiderava che Anya conoscesse Jack...perché forse, se fosse rimasta con lui avrebbe potuto avere una vita più felice...Se solo avesse lasciato che Anya restasse Sydney Bristow...
Si alzò e corse fuori dal suo appartamento. Sarebbe dovuta arrivare a casa prima di Anya. A casa. Solo ora si rendeva conto che sarebbe dovuta tornare nella sua vecchia casa.

***

Jack Bristow sedeva alla scrivania nella penombra del suo studio. In una mano un bicchiere di scotch, nell’altra una fotografia. Il senso della sua vita immortalato in un cartoncino 13x15. Il senso della sua vita: Laura e Sydney Bristow.
Si soffermò a lungo sul volto sorridente di sua figlia: i suoi occhi furbi e curiosi predicevano un’intelligenza dinamica. Sarebbe stata una ragazza brillante... e bellissima.
Spostò gli occhi appena sopra. Ammirò il volto raffinato di sua moglie. I lunghi morbidi capelli, gli occhi profondi e misteriosi. Si era reso conto troppo tardi di quanto mistero davvero celassero.
Laura era stata una moglie premurosa, dolce, una compagna con cui condividere trionfi e preoccupazioni, con cui ridere e scherzare, con cui affrontare ogni piccola difficoltà...ed era stata anche una madre affettuosa e meravigliosa....
Sorrise...no, anzi, rise di sé e della sua ingenuità. Riguardò la foto con occhi diversi, con gli occhi del cinico agente della CIA che era diventato. Ora vedeva chiaro. Ora vedeva Irina Derevko. La spia russa che lo aveva ingannato per quasi dieci anni, che lo aveva usato, tradito e abbandonato. Vedeva il killer che aveva ucciso dodici operativi tra i quali il suo migliore amico. Vide una donna orribile e inaffidabile che in un ultimo atto di egoismo gli aveva portato via perfino l’unica cosa che lo avrebbe salvato da se stesso: Sydney...la sua bambina.
Aveva amato Laura Bristow, ma non poteva fare a meno di odiare Irina Derevko.
- So che sei viva Irina. E ti troverò. Te lo giuro. –

Quanto può essere lungo un solo secondo? A questo e a mille altre cose stava pensando Jack Bristow. Ancora seduto alla sua scrivania, ancora il bicchiere in una mano e la foto della sua famiglia nell’altra, ma i suoi occhi erano sbarrati. Li aveva sollevati da circa un secondo...e da quel tempo infinito li teneva fissi e inchiodati sulla figura di donna a pochi metri da lui. I capelli morbidi di un caldo color castano delicatamente appoggiati sulle spalle, la carnagione sottile e pallida, le labbra serrate e perfette...gli occhi grandi scuri... bellissimi. Il ritratto di Laura, ma non poteva essere lei...troppo giovane...Poteva essere solo una persona. Diede nuovamente una rapida occhiata alla foto che stringeva ora nervosamente tra le dita. Non aveva dubbi.
- Sydney –

Anya non si mosse. Era arrivata fino in quella casa in una sorta di stato di trance. Lei non era un’assassina e non aveva mai nemmeno voluto essere una spia, eppure aveva una missione da compiere e l’avrebbe compiuta. Poi sarebbe ripartita rinunciando per sempre alla sua felicità. Rinunciando per sempre a Michael. A tutto questo stava pensando, anche mentre si trovava davanti all’uomo che stava per uccidere. Davanti all’agente doppiogiochista che avrebbe dovuto eliminare. Davanti ad un uomo che conosceva il suo nome...e che la guardava con gli occhi velati dalle lacrime. Il suo cuore iniziò a battere più forte, le mani tremarono...Si guardò intorno...la stanza le sembrò improvvisamente familiare: la grande scrivania di quercia, la lampada tiffany...la poltrona con le ruote sotto...quando era bambina amava lasciarsi volteggiare seduta su quella poltrona...E di nuovo quell’uomo...Smise di respirare per un solo infinito secondo...Quanto poteva durare un secondo?Si chiese. Poteva durare una vita. Anche i suoi occhi si velarono di lacrime.
- Papà! – Si portò le mani sul viso per coprire le lacrime che già le rigavano le guance. Quell’uomo era suo padre. Ora lo ricordava. Aveva solo sei anni l’ultima volta che l’aveva visto e non era mai riuscita a ritrovare il suo volto nella sua memoria, ma ora che l’aveva davanti a sé non aveva più dubbi...l’agente doppiogiochista era suo padre, l’uomo che avrebbe dovuto uccidere era suo padre... Jack Bristow era suo padre!

- Sei qui per uccidermi? Non è così? Ti manda tua madre? Ti manda Irina? –
- Papà... – continuava a ripetersi incredula.
- Qual è il tuo nome...Sydney?-
Non sapeva più che risposta dare. Qual era il suo nome? Quale dei tanti che usava le apparteneva davvero? Chi era lei?
- Anya... Anya Derevko... o Sydney...Bristow. Ma questo l’ho scoperto solo oggi. –
- Non te lo ha mai detto, non è vero?-
- Chi era? –
- E cosa ha fatto.. –
- No... non fino ad oggi. –
- E ora che sai tutto sei venuta a finire quello che lei ha cominciato? –
- No, papà! Non è così! Non sapevo che fossi tu...solo adesso...che ti ho di fronte...ora ti ricordo, ricordo il tuo volto... –
- Come hai fatto a trovarmi allora...se non te lo ha detto lei? –
- Era il mio incarico... –

- Trovare l’agente doppiogiochista infiltrato all’SD-6... e ucciderlo. –
Irina aveva detto quelle parole senza batter ciglio. Eppure tremava per l’emozione. Dentro. Fuori invece era rimasta impassibile. Nella sua vecchia casa da cui mancava da venti anni, davanti a suo marito e a sua figlia...davanti alla sua famiglia...l’unica cosa che avrebbe mai davvero voluto...
Guardò Jack dritto negli occhi. Vide il suo disprezzo, il suo risentimento, il suo odio...si sentì morire. Capì che lo aveva perso davvero.
Avanzò verso suo marito spostando sua figlia da un lato. C’erano tante cose che dovevano dirsi, e forse era bene che Anya le ascoltasse...che Sydney le ascoltasse...
- Irina...Sapevo che ti avrei rivista un giorno. Non ho mai creduto per un solo istante alla tua morte.-
- Speravo che mi avresti cercata... e trovata un giorno... –
- Ho cercato per molto tempo Laura...prima di scoprire che non esisteva...prima di scoprire che era solo l’alias...di una spia, di una assassina... di te, Irina Derevko... E non posso credere che tu abbia condannato mia figlia a fare la stessa vita che hai fatto tu. –
- E’ stato un errore... –
- E così ora dovrete uccidermi. –
- Questi sono gli ordini...Jack... –
- Mamma, ma sei impazzita?! Come puoi parlare così?! – Tremava...piangeva...non riusciva a credere alla scena che aveva davanti agli occhi.
- No Sydney, tua madre ha ragione. Gli ordini sono gli ordini. Hai un lavoro da compiere. Per un bene superiore...Il fine giustifica i mezzi. Non te lo ha insegnano tua madre? –
- Non mi importa di quello che mi ha insegnato! Del lavoro, della missione, dell’SD-6, della Russia! Sono stata ingannata... Sono cresciuta credendo di essere una persona che non sono...e ora non so nemmeno più chi sono, e cosa sono...e cosa devo fare...Questa sera non morirà nessuno...ma io pretendo una spiegazione...e voi due fatemi il favore di smetterla di parlarvi in questo modo...e ditemi la verità! La verità...una volta per tutte. –

****** 20 anni prima **************************************************************

Si rigirò ancora una volta nel suo letto. Ancora un ultimo minuto in quel letto. Un ultimo minuto accanto a quell’uomo, a suo marito. Aprì gli occhi e lo guardò. Jack era ancora sospeso tra il sonno e la veglia, indeciso a sua volta se sollevare o meno le palpebre. Probabilmente optò per la prima scelta, perché si voltò su di un fianco e aprì gli occhi...e guardò dentro i suoi.
- Buongiorno –
- Buongiorno ...sei sveglia da molto? –
- Un minuto –
- Cosa? –
- Cosa cosa? –
- Cosa c’è? Perché mi guardi così? –
- Così come? –
- Come se fosse l’ultima volta che mi vedi.. –
- E’ che mi manchi sempre tanto quando sei al lavoro... voglio imprimere il tuo viso nella mia memoria...e ricordarmelo...tutto il giorno.. –
- Stai spiegando il Romanticismo a scuola, Laura? –
- Shelley –
- Mary o Percy? –
- Percy... Per il gotico aspettiamo ancora un po’... – Rise.
- Fammelo sapere quando spieghi Frankenstein... credo che capiterà un provvidenziale viaggio di lavoro quel giorno! – Rise anche lui.
Irina smise di sorridere. Quella sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbe svegliata accanto a suo marito. Le ultime ore in sua compagni. Poi sarebbe partita...per sempre. Non avrebbe mai spiegato il romanzo gotico ai suoi alunni, e non avrebbe mai sentito le battute di Jack su Mary Shelley e Frankestein...
- Chi e Flankesten mamma? –
La piccola Sydney corse verso il letto dei suoi genitori e vi saltò sopra abbracciandoli.
- E’ un mostro... creato da uno scienziato molto cattivo... - Spiegò brevemente Jack.
- Esiste davvero... ?– Chiese Sydney terrorizzata.
- No tesoro... non esiste nessun mostro. – Irina diede un bacio alla sua bambina prima di alzarsi dal letto – Vado a preparare la colazione, perché non resti a proteggere papà dai mostri Sydney? –
- I mostri non esistono mamma! –
- No tesoro...non esistono...ma resta un po’ con papà... Non mi dici sempre che ti manca quando è in viaggio?-
- Sì – e così dicendo abbracciò stretta il suo papà. Jack non poté fare a meno di stringerla a sua volta. Non era mai stato più felice in vita sua. Tutto era perfetto: la sua casa, sua moglie, la sua bambina. Sfortunatamente Laura si sbagliava, il mondo era pieno di mostri, ma lui avrebbe protetto la sua famiglia contro la cattiveria...contro ogni minaccia...Non avrebbe mai permesso a niente e a nessuno di far soffrire sua moglie e sua figlia.
- Per me del caffè... ma prima vieni qui – Sorrise a sua moglie e aspettò che si avvicinasse nuovamente al letto. Quando fu abbastanza vicina, la baciò. Ora la mattina era davvero perfetta.

Irina uscì dalla stanza richiudendo la porta alle sue spalle. Scese le scale, ma invece di svoltare verso destra per raggiungere la cucina, entrò nello studio. Si avvicinò alla scrivania del marito. Ne estrasse dei documenti e li fotografò. Quello sarebbe stato l’ultimo microfilm del Progetto Natale. I suoi superiori avevano saputo tutto ciò che volevano sapere. Per lei era il momento di tornare a casa. Le restava solo un’ultima veloce missione. Si avvicinò alla lampada e rimosse la cimice che vi aveva fissato quasi dieci anni prima, il primo giorno che aveva messo piede in quella casa. Uscì dallo studio e andò a preparare la colazione per la sua famiglia.

***

Lo osservò scendere dalla macchina ed addentrarsi in uno stretto vicolo. Nella trappola che gli aveva teso fingendosi un informatore. Strinse il volante. Un ultimo respiro. Doveva svuotare la sua mente, il suo cuore...liberarsi da ogni emozione. Non è possibile uccidere un uomo con il cuore carico di emozioni e sentimenti. Inspirò ed espirò. Fissò il silenziatore alla pistola e scese dalla vettura.

Era a pochi passi dalla sua vittima. A pochi passi da un suo amico. Inavvertitamente urtò una bottiglia sull’asfalto. William si girò... e la vide.
- Laura?!-
- William –
- Cosa ci fai qua... –
- Il mio lavoro. Addio William. –
Sparò. Un colpo. E un altro e un altro... Svuotò l’intero caricatore sul corpo inerte di William Vaughn. Era come in uno stato di shock...agiva come un automa...Non pensava a niente, non sentiva niente...Non poteva permetterselo...Il suo unico pensiero era rivolto al suo futuro...alla vita che avrebbe passato insieme alla sua bambina in una paese lontano...in una paese freddo... Freddo come il suo cuore.

***

Laura Bristow rientrò a casa più tardi del solito quella notte di novembre. Appena aprì la porta Sydney le corse incontro. L’abbracciò.
- Piano mamma, mi fai male –
- Scusa tesoro...scusa – disse rimettendola a terra e sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Signora, è lei? –
Isabel, la tata che curava Sydney durante il giorno, era entrata nell’ingresso.
- Sì...scusa per il ritardo. La pioggia. Ora puoi anche andare, ci penso io a preparare la cena. – Poi si rivolse a sua figlia. – Tesoro, perché non abbracci forte forte Isabel e la saluti? –
- Siiiii !!! – disse la piccola saltando al collo della sua tata.

Quando Isabel ebbe lasciato la casa, Irina si diresse in cucina e preparò la cena che né lei né Sydney avrebbero consumato. La lasciò in forno per Jack. Per quando sarebbe tornato e avrebbe trovato la sua casa vuota. Poi salì al piano superiore e riempì una borsa con alcuni vestiti suoi e di Sydney...non molti, in modo tale che nessuno potesse sospettare una fuga. Raggiunse nuovamente sua figlia che stava guardando la televisione in salotto.
- Vieni tesoro, dobbiamo andare. –
- Dove? E papà? –
- Papà tornerà tra poco... –
- Papà non viene con noi? –
- No tesoro...papà non viene con noi...Andiamo solo io e te, non sei contenta? – Cercava in ogni modo di trattenere le lacrime. Non avrebbe mai voluto lasciare la quella casa, quella vita... Non avrebbe mai voluto lasciare Jack...lei lo amava...Ma aveva una missione da compiere. Quello era il suo dovere...la sua vera vita...Forse se ne sarebbe pentita, anzi, sicuramente se ne sarebbe pentita...ma ormai era troppo tardi...Doveva rinunciare a jack, alla felicità...per un bene superiore.
- Ma io voglio che viene anche papà –
- Sydney, papà non può venire con noi... Adesso fai la brava...alzati e vai in macchina. Io chiudo la casa e arrivo. D’accordo? –
- Sì. – Disse Sydney, e con il viso imbronciato uscì di casa.

***

Immobile da qualche ora. Il suo sguardo fisso fuori dalla finestra dello studio. Sarebbero tornate. Sarebbero tornate. Era solo questione di tempo. Le gocce di pioggia che battevano sul vetro scandivano come un orologio il passare lento ed inesorabile dei secondi. Ma nel viale, nessuna luce. Nessuna macchina stava tornando. Nessuna macchina sarebbe forse più tornata.
Solo il suono insistente del telefono lo riportò alla realtà. Sollevò rapidamente il ricevitore. Ascoltò senza dire una parola tutto quanto gli veniva comunicato dall’altro capo della linea. Riagganciò e tornò a guardare fuori dalla finestra. Nessuna macchina sarebbe più tornata. Laura e Sydney non sarebbero più tornate. Mai più. Per la prima volta nella sua vita Jack Bristow pianse.

***

Guardava l’automobile sprofondare lentamente nelle acque dell’Oceano. Presto tutto ciò che rimaneva della carcassa di metallo furono le bolle d’aria in superficie. Poi il mare tornò ad essere una tavola increspata dalle migliaia di gocce.
Prese in braccio Sydney e si allontanò.
- Torniamo a casa bambina mia... dormi adesso. –

********************************************************************************

Irina e Jack terminarono il loro racconto. Sydney era rimasta immobile in silenzio ad ascoltarli attentamente. Ora entrambi si chiedevano quale sarebbe stata la sua reazione. E si chiedevano anche cosa sarebbe stato della loro ben strana famiglia. Gli occhi di Irina cercarono quelli di Jack e quando i loro sguardi si incrociarono fu chiaro ad entrambi che non potevano più aspettare...che dovevano risolvere una volta per tutte la loro situazione. Troppe volte si erano ingannati... e troppo avevano sofferto...Forse per loro non ci sarebbe stata una conclusione felice, ma dovevano fare qualcosa per Sydney... lei non meritava di pagare per le loro scelte, per i loro errori, per i loro inganni...Non potevano permettere che la loro unica figlia restasse vittima di un gioco a cui non aveva chiesto di partecipare.
- Cosa ne sarà di lei? – Chiese Irina. – Se torna con me... non sarà mai felice. Se resta qui...verrà arrestata per spionaggio. –
- Penserò io a lei. Non sarà arrestata, non le sarà fatto del male. –
- Non avrei dovuto portarla via... non avrei dovuto riportarla qui... –
- Quel che è fatto è fatto. Ora aspetterò dieci minuti prima di chiamare l’Agenzia e avvisarli che Irina Derevko si è introdotta in casa mia e ha cercato di uccidermi. Credo che ti bastino per...sparire. –
- Grazie. –
- Lo faccio solo per Sydney...dunque non ringraziare me...ringrazia nostra figlia. –
Guardò a lungo l’uomo che aveva amato più di ogni cosa...ma non abbastanza. Quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe rivisto...e sarebbe stata anche l’ultima volta che avrebbe rivisto sua figlia. Da quel giorno in poi, Anya sarebbe stata per sempre Sydney Bristow...e avrebbe vissuto la vita felice che meritava. Quella era la cosa giusta. – Mi dispiace, Jack ... addio. – Si voltò per guardare sua figlia un’ultima volta.
Rimase di ghiaccio quando vide la scena che si stava svolgendo sotto i suoi occhi.

Anya era rimasta a lungo immobile ascoltando il discorso dei suoi genitori...le loro spiegazioni. Sua madre aveva rovinato la sua vita...eppure non riusciva ad odiarla. Al contrario capiva esattamente quello che doveva aver passato... E nemmeno per suo padre le cose dovevano essere state più semplici. Ma cosa avrebbe dovuto fare ora? Dire addio a sua madre e iniziare a conoscere suo padre. Iniziare a vivere una nuova vita, una vera vita...lontana da quel gioco infernale...I suoi pensieri vennero interrotti bruscamente. Improvvisamente vide un volto riflesso nella finestra davanti a sé. Nel vetro vedeva la figura di un ragazzo, in piedi alle sue spalle. Sul suo viso, un’espressione sconvolta ed incredula.
- Michael! – si girò.
- Sei la figlia di Irina Derevko... Quella è tua madre... –
- Michael... –
- Ti ho seguita...quando sei uscita da casa. Ti ho visto entrare in quell’albergo... e poi uscirne di corsa...e arrivare fino a qui. Mi chiedevo cosa ci facessi in questa casa...-
- Lasciami spiegare. –
- Spiegare? Non hai nulla da spiegare...ho già sentito le spiegazioni di tuo padre...e di tua madre... –
- Michael... – Non riuscì a sopportare oltre la vista dell’uomo che amava, sconvolto dal suo tradimento, dai suoi inganni. L’illusione era stata breve e meravigliosa, ma la realtà era diversa. Non poteva uscire dal gioco. Ormai era troppo tardi. Non sarebbe mai stata Sydney Bristow. Non avrebbe mai avuto una vita normale, accanto all’uomo che amava. Non avrebbe mai avuto una famiglia che la proteggesse e che la sostenesse. Avrebbe continuato ad essere Anya Derevko... una spia, un’assassina... una donna infelice... e sola. Corse fuori dallo studio... fuori dalla casa...corse...corse...senza guardarsi indietro...senza guardare avanti...Corse.

***

Senza sapere nemmeno come, si ritrovò fuori dalla casa di Jack Bristow. Ma era troppo tardi... Sofia, Anya, Sydney o come diavolo si chiamava era già scomparsa nell’oscurità. Guardò prima da un lato e poi dall’altro...ascoltò il silenzio in cerca del rumore dei suoi passi che si allontanavano. “verso destra” pensò, e iniziò a muoversi in quella direzione. Percorse circa una decina di metri prima di fermarsi. Cosa stava facendo? Stava correndo dietro ad una spia straniera. Una donna che lo stava ingannando da sei mesi. Una donna che lo aveva ingannato, usato, tradito. Aveva finto. Nulla di quei sei mesi era vero, era solo protocollo...un dannato protocollo! Nessuna delle parole che erano uscite dalle sue morbide labbra era vera... nessuno dei suoi sguardi era autentico. Nemmeno lei esisteva veramente. Sofia Stevens, la donna di cui si era perdutamente innamorato era solo l’invenzione di una cinica e manipolatrice spia russa. Una diabolica creazione di Anya Derevko...la figlia di Irina Derevko...la donna che aveva massacrato suo padre... Si passò le mani nei capelli e girò su se stesso...Come aveva potuto essere così tanto stupido? Come aveva potuto lasciarsi prendere in giro in quella maniera? Dove era il suo addestramento quando la guardava negli occhi? Dove aveva la testa? ... Come aveva potuto innamorarsi... di una donna che non esisteva?! Lui amava Sofia...più di ogni altra cosa... e ancora non riusciva a rendersi conto che non c’era nessuna Sofia al mondo...che lei era solo un alias.. Ripensò a quei morbidi capelli, alla sua pelle chiara e trasparente...luminosa... Ripensò ai suoi occhi e al suo sorriso...Fu un istante...iniziò a correre di nuovo. Ad ogni passo una parte di lui voleva fermarsi...tornare indietro...trovare Irina Derevko e compiere la sua vendetta...Un’altra parte di lui invece continuava a spingerlo in avanti nella direzione in cui Sofia..Anya..Sydney era scappata. Voleva vederla ancora una volta...nonostante tutto, non poteva lasciarla andare via senza guardarla un’ultima volta negli occhi... Doveva vederla...voleva vedere chi era davvero... Voleva una spiegazione, voleva delle scuse, voleva umiliarla, voleva ferirla... “ma chi stai prendendo in giro? ...vuoi solo vederla... vuoi solo guardare dentro i suoi occhi” Sperava ancora di trovare in quegli occhi un bagliore che le ricordasse la donna di cui si era innamorato...Se le avesse permesso di abbandonarlo così, non se lo sarebbe mai perdonato. Corse ancora...sentì una goccia di pioggia cadergli sulla guancia., poi un’altra e un’altra ancora...non si fermò. Continuò a correre. Verso di lei. Improvvisamente ricordò lo sguardo di lei quella mattina, quando si erano svegliati uno accanto all’altra... ricordò le sue parole... E ricordò anche la promessa che gli aveva fatto solo qualche ora prima. Le aveva promesso che sarebbe stato sempre al suo fianco, nonostante tutto...Ripensò a come Sofia si era stretta a lui...ricordò il tono della sua voce mentre lo supplicava, lo implorava di non abbandonarla...di non dimenticarla...di crederle...di restare con lei quando tutto sarebbe stato contro di loro. Quella non era la voce di una spia straniera...era la voce di una donna innamorata...era la richiesta irrazionale di una donna innamorata che sapeva che stava per perdere l’unica cosa importante della sua vita. Accelerò. Correndo a perdifiato sotto la pioggia realizzò che nemmeno a lui importava chi lei fosse veramente...perché fosse entrata nella sua vita. L’unica cosa che gli importava era che lei fosse parte della sua vita...e voleva con tutto se stesso che continuasse a esserlo. Non era mai stato veramente felice prima di conoscerla. Ed ora non era disposto a perderla. Avrebbero risolto ogni problema, abbattuto ogni ostacolo. Dovevano stare insieme. Doveva vederla...solo guardandola negli occhi avrebbe capito se lei lo amava veramente o se aveva solo finto.
Se lei lo amava...allora niente altro avrebbe avuto più importanza.

***

La pioggia cadeva copiosa su una Los Angeles stranamente silente.
Aveva corso finché aveva avuto fiato nei polmoni, poi aveva iniziato a camminare. Non sentiva più le gambe da qualche ora, ma continuava a camminare, senza sosta, senza quiete, ma soprattutto senza pensare.
Si lasciò la città alle spalle ma non si fermò. Camminò finché non si trovò al termine del Molo di Santa Monica. Davanti a lei solo l’Oceano. Al di là di quello, il suo inevitabile futuro. Alle sue spalle, la sua vita.

“I'm standing on the bridge
I'm waiting in the dark
I thought that you'd be here by now
There’s nothing but the rain
No footsteps on the ground
I'm listening but there's no sound”


Si fermò, si appoggiò al parapetto e scoppiò in lacrime. Solo il suo pianto ruppe l’oscurità. Era il momento. Doveva partire. Doveva lasciarlo. Per sempre. Lo aveva ingannato. Lo aveva usato. Lo aveva tradito. E ora l’avrebbe abbandonato. Sarebbe stato per una giusta causa...ma non per quella che avrebbe pensato. Non per il suo lavoro, non per il suo Paese...Lo avrebbe lasciato per il suo bene. Perché Michael meritava una donna che lo amasse e che fosse sincera con lui. Perché non meritava di essere amato da una spia. Dalla figlia della donna che aveva ucciso suo padre. Da una donna che gli aveva mentito continuamente...su tutto... tranne che su una cosa: sul fatto che lo amava. Avrebbe voluto impedirselo, ma non poteva. Lei lo amava...lo amava più di tutto. E per questo motivo, doveva andarsene. Doveva salvarlo dal suo mondo di inganni, bugie, tradimenti.
Doveva andarsene eppure i suoi piedi non si muovevano più, erano come incollati alle assi bagnate del vecchio molo. Ancora una speranza la legava a quel posto. La speranza che lui la perdonasse. Ma anche quello era solo un sogno. Perché Michael avrebbe dovuto perdonare il suo tradimento? Come avrebbe potuto mai amare la figlia di una assassina? Decise di concedere al suo cuore di illudersi ancora per un secondo. Aspettò di sentire i passi di Michael alle sue spalle. Ma sentì solo il sordo rumore delle gocce di pioggia che affondavano nelle onde.

“Isn’t anyone trying to find me
Won’t somebody come take me home”


Era sola. Come lo era sempre stata. Come lo sarebbe sempre stata. Nessuno mai al suo fianco. Nessuno mai l’avrebbe fatta sentire protetta, amata... Nessuno era mai stato sincero con lei, né lo sarebbe mai stato. Questa era la sua vita. Questo faceva parte del gioco. Lei era una spia. E una spia non ha una casa in cui tornare. Una spia è sempre sola..

“I'm looking for a place
I'm searching for a face
Is anybody here I know
Coz nothing’s going right
And everything’s a mess
and no one likes to be alone”


Sola in un Paese straniero. Sola nel Paese in cui era cresciuta. Sola nella notte. Sola nella sua vita. Non aveva mai conosciuto veramente nessuno. Nessuno dei volti che ricordava era altro che una maschera. Aveva girato decine di città senza conoscerne mai veramente una. Nessuna delle strade che aveva percorso era altro che lo scenario del suo gioco. Niente di vero, niente di noto. Niente e nessuno. Ecco cosa era. Perché era andata così? Perché le cose dovevano andare così? Perché la sua vita era così sbagliata? Perché era destinata a essere da sola?

“Why is everything so confusing
Maybe I'm just out of my mind”


Si strinse il capo tra le mani mentre continuava a piangere appoggiata al parapetto del molo. Tutto le sembrò improvvisamente così irreale e confuso. Tutto le sembrò privo di senso. Ora che aveva conosciuto la vita e l’amore come avrebbe potuto semplicemente fare finta che non esistessero? Come avrebbe potuto tornare alla sua vita da spia? Come avrebbe potuto ignorare che da qualche parte del mondo c’era un ragazzo che si era innamorato di lei e che lei amava più della sua stessa vita? Al solo pensare all’eventualità di non vederlo più, di non sentire più i suoi baci accarezzarle leggermente il collo, a non sentire più le sue mani scorrerle dolcemente tra i capelli...le mancava il respiro. La sua vita senza di lui non aveva poi più tanto senso...Le sembrò di impazzire e dovette lottare contro se stessa per vincere la tentazione di lasciarsi precipitare nelle acque dell’Oceano...

“Isn’t anyone trying to find me
Won’t somebody come take me home”


- Corri troppo in fretta... mi è quasi venuto un infarto per raggiungerti. –
Si voltò. Michael era in piedi davanti a lei, completamente bagnato, completamente avvolto dall’oscurità. I suoi occhi si agganciarono al suo sguardo e non lo lasciarono andare.
- Perché sei qui? Non dovresti essere qui! Tu non devi essere qui...io me ne sto andando! –
- E dove? –
- Da dove sono venuta... torno a casa! –
- E’ questa la tua casa. –
- Come puoi essere qui...dopo tutto quello che ti ho fatto?! Michael... io sono Anya Derevko. La figlia di Irina Derevko, la donna che ha ucciso tuo padre. E oltretutto ti ho ingannato, ti ho usato, ti ho tradito... –
- Ma non lascerò che mi abbandoni –
- Perché? –
- Perché... ti amo. Ti amo, qualunque sia il tuo nome, Sofia Stevens, Anya Derevko... Sydney Bristow... io ti amo. –
- Tu non mi conosci...non sai niente di me...non sai chi sono veramente... –
- Ma so che sei qui... e so che se te lo chiedo resterai...perché anche tu mi ami... Non importa chi sei tu, chi sono io...cosa abbiano fatto i nostri genitori...Io sono qui. Guardami negli occhi e dimmi che non mi ami. –
Lo guardò negli occhi, si perse nei suoi occhi...e improvvisamente non faceva più freddo, non pioveva più e non era poi così tanto buio...Corse tra le sue braccia...e lo strinse...per non lasciarlo mai più.

“It's a damn cold night
Trying to figure out this life
Won’t you take me by the hand
take me somewhere new
I don’t know who you are, but I
I'm with you”



**** EPILOGO ************

Il rumore dello sparo riempì lo studio e riecheggiò per le stanze vuote della casa.
Jack Bristow lasciò cadere su tappeto il telefono cellulare ancora acceso. Il suo ultimo pensiero fu per Sydney.

Pochi minuti dopo, Irina Derevko era nuovamente all’aperto. Si voltò per guardare un’ultima volta la casa in cui aveva trascorso i momenti migliori e peggiori della sua vita... compresi quegli ultimi istanti. Quella sera Laura Bristow era definitivamente morta.
Estrasse dalla tasca della giacca di pelle nera un piccolo detonatore a distanza. Premette il pulsante rosso. L’esplosione fu violenta. La casa fu completamente distrutta e le fiamme stavano ora divorando rapidamente gli ultimi brandelli di muro che restavano ancora in piedi.
Irina ripose il detonatore e compose un numero sul suo telefono cellulare.
- Arvin?... Sono Irina... La missione è compiuta, ho neutralizzato la talpa.... Jack Bristow... è morto.-
Chiuse la comunicazione e guardò ancora per qualche istante il fuoco che inceneriva lentamente ciò che restava del suo passato... del suo sogno di una vita normale. “Adesso è veramente finita” pensò tra sé prima di voltarsi e correre via.

***

Dieci giorni dopo le indagini erano concluse. Le squadre di soccorso erano arrivate troppo tardi, quando il fuoco aveva già cancellato ogni traccia della casa e del suo abitante. Non era stato trovato nessun corpo, soltanto alcuni frammenti organici,appena sufficienti per completare alcuni test. L’Agenzia aveva deciso di procedere con una cerimonia commemorativa. Voleva ricordare quell’uomo coraggioso, valido agente che aveva dato la vita per il suo Paese, che aveva accettato su di sé ogni rischio, e che era scomparso facendo il suo lavoro.
In piedi, in prima fila, davanti a tutti, era una giovane donna. I suoi occhi nascosti dietro un paio di lenti scure, avevano pianto per tutta la cerimonia. Le sue mani tremanti erano strette in quelle di un giovane agente.
Presto le note del Silenzio riempirono l’aria di tristezza. I tre colpi di fucile sparati dal picchetto d’onore la fecero sussultare. Michael la strinse a sé.
Un uomo anziano si avvicinò alla giovane coppia.
- Signorina Bristow, lei non mi conosce, sono il Direttore Devlin. Io e suo padre eravamo molto amici. Sono davvero spiacente del fatto che non abbia fatto in tempo a conoscerlo. –
- Lo avevo appena trovato...e l’ho già perso. – Disse Sydney cercando di trattenere le lacrime.
- Le faccio le mie più sentite condoglianze. Deve essere orgogliosa di suo padre. –
- Lo sono. – Rispose. Un lieve sorriso illuminò il suo volto.
- Agente Vaughn, posso parlarle un attimo? – Chiese poi Devlin rivolgendosi al giovane accanto a Sydney.
- Certo... Torno subito. – La guardò ancora un istante e strinse più forte la sua mano prima di allontanarsi di qualche metro da lei.
- Prima di tutto volevo dirle che Jack aveva molta stima di lei. –
- Ne avevo molta anche io di lui, signore. –
- Ne sono convinto. Ascolti. Ho appena ricevuto i risultati dell’inchiesta. Prima di morire Jack Bristow ci ha inviato un messaggio in codice con il suo cellulare. E’ stato appena decifrato. Conteneva il nome della persona che lo ha ucciso... –
- E sarebbe? –
- Irina Derevko. –
Gli occhi di Michael si riempirono di rabbia. – E’ la stessa persona che ha ucciso mio padre. –
- M dispiace figliolo – disse Devlin con tono paterno.
- Sappiamo qualcosa? –
- Purtroppo ha fatto perdere le sue tracce. Non credo che riusciremo a trovarla. –
- Dannazione! Come ha fatto a risalire a lui? E perché lo ha ucciso?!-
- Abbiamo motivo di ritenere che l’SD-6 abbia sospettato la presenza di un infiltrato al suo intermo e abbia incaricato la Derevko di trovarlo ed eliminarlo. Potrebbe essere risalita a lui tenendo sotto controllo gli agenti che lavoravano contro l’Alleanza. –
- Vuole dire che Irina Derevko...avrebbe potuto tenermi sotto controllo? –
- E’ probabile... –
Gli occhi di Michael erano piena di odio e frustrazione. – Immagino che non ci sia niente che possiamo fare...che posso fare. –
- Per Jack...ormai è troppo tardi. Ma deve sapere che lui e suo padre erano molto amici... prima della tragedia – fece una breve pausa – Se vuole fare qualcosa per Jack... si prenda cura di sua figlia. – Concluse con un sorriso.
- Non mancherò, signore. – Guardò Sydney, in piedi davanti ad una foto di suo padre. Tra le braccia stringeva nervosamente la bandiera che un ufficiale le aveva consegnato. Si sarebbe preso cura di lei, l’avrebbe amata e protetta contro tutto e contro tutti.

- Syd, tutto bene? – Le chiese non appena furono in macchina.
- Sì... credo di sì. Cosa c’è? – Chiese lei, notando un sorriso sulle labbra di lui.
- Niente...è che è strano chiamarti Sydney. –
- Michael... dopo tutto quello che abbiamo scoperto e che abbiamo dovuto affrontare in questi ultimi dieci giorni...L’unica cosa che ti sembra strana è che il mio nome sia Sydney Bristow?! –
- No... – tornò serio – Ci sono molte cose che... che dovremo ancora affrontare... e accettare – Nella sua mente era fisso il pensiero che la donna che amava fosse la figlia della spia che aveva ucciso suo padre. Ma niente di quanto era successo in passato avrebbe cambiato i suoi sentimenti. – Le bugie... e gli inganni... –
- Michael.. –
- No, aspetta... lasciami finire. Sono molte le cose che ancora non so di te... e che tu non sai di me. Adesso... che tutto questo è finito... dobbiamo ricominciare...insieme. –
- Niente più bugie.. –
- Niente più bugie. – Disse dolcemente guardandola dritto negli occhi.
- Allora puoi dirmi cosa ti ha detto Devlin. –
- Niente... mi ha detto che... che devo prendermi cura di te. –
- E tu cosa gli hai risposto? –
- Gli ho risposto che se vogliono che assuma questo nuovo incarico... dovranno aumentarmi lo stipendio... – Rise.
Sydney finse di arrabbiarsi...poi si avvicinò a Michael e lo baciò dolcemente.
- Sei pronta? – Disse lui allontanandosi da lei.
- Pronta. – Rispose con un bellissimo sorriso. Nei suoi occhi non c’era altro che felicità.
Michael mise in moto e partì... in direzione sud.

***

Acapulco.
La scintillante Cadillac decapottabile color turchese si fermò davanti all’ingresso di un lussuoso hotel. Ne scese un giovane uomo che, dopo aver lanciato le chiavi al ragazzo addetto al parcheggio, andò ad aprire la portiera sul lato destro. Porse la mano per aiutare una giovane donna a scendere. I capelli di lei erano rosso fuoco, lunghi e mossi e si lasciavano spettinare dall’aria calda del pomeriggio messicano. Sollevò gli occhiali da sole e sorrise al ragazzo che aveva davanti a sé. Poi, senza lasciare la sua mano, si diresse verso la Hall.
- Buenas tardes – disse avvicinandosi al banco della reception – Me llamo Stevens, Sofia Stevens. He hecho una reserva. –
- Buenas tardes señorita Stevens. Bienvenida. Còmo ha andado el viaje? –
- Muy bien, gracias. –
- La habitación serà pronta déntro de dos óras. –
- Bien. –
Guardò Michael sorridendo, dopodiché si diressero entrambi verso la terrazza. Nell’angolo più a nord, seduti ad un tavolino, un’altra coppia li stava aspettando. Quando li scorse da lontano, l’uomo si alzò.
- Sydney!-
- Papà!- Disse correndogli incontro e abbracciandolo.
- Come stai tesoro? E’ andato tutto bene? –
- Tutto come previsto. Tu piuttosto, come stai. –
- Bene...bene adesso che ti ho ritrovata. –
- Papà...ci sono così tante cose che... –
- C’è tempo tesoro. Rimandiamo le spiegazioni a dopo... C’è tempo. – Continuò Jack tenendo Sydney stretta tra le braccia. Era la prima volta che abbracciava sua figlia, dopo venti lunghi anni.
- Ehi... e per me nessun abbraccio? – Protestò la donna che fino a quel momento era rimasta seduta al tavolino.
- Mamma.... – Sydney si allontanò da suo padre solo per gettarsi tra le braccia di sua madre. – Grazie.. per tutto –
- Grazie?... Sydney... Come puoi perdonarmi...dopo tutto quello che ti ho fatto? –
Le due donne si guardarono a lungo negli occhi.
- Mamma...eri giovane...e innamorata. E questo ti faceva paura. Credo di sapere cosa hai provato. La paura di non essere amata, il tormento per aver ingannato una persona che ami... la consapevolezza di non poter avere una vita normale.... Posso capirti... Il passato è immodificabile, e per quanto vorrei che le cose fossero andate in maniera diversa... molte cose – e così dicendo guardò in direzione di Michael. Irina capì. – Quello che conta è che adesso tutto si è risolto...più o meno... E ora ...sono felice, e lo sono grazie a te. Ti voglio bene mamma. –
Irina strinse forte tra le braccia sua figlia. Era immensamente orgogliosa di lei e ammirava la sua forza. Sydney le assomigliava molto, ma era anche molto diversa da lei. Sydney aveva saputo lottare per il suo amore e per la sua felicità... era riuscita a non scendere a compromessi, a rischiare...e ora finalmente la vita l’avrebbe ripagata. Sua figlia sarebbe stata felice, avrebbe vissuto accanto all’uomo di cui si era innamorata e che l’avrebbe amata per sempre. Forse i suoi errori...tutto il dolore che aveva sperimentato in passato non erano stati inutili.
- Mamma – disse liberandosi dallo stretto abbraccio – Vorrei presentarti una persona. Lo so che vi siete già conosciuti... ma vorrei fare questa cosa nel modo giusto. – Sorrise a Michael e gli fece cenno di avvicinarsi. Lui la guardò. Dopo venti anni era a pochi passi da Irina Derevko, la donna che più aveva odiato. Eppure adesso, non vedeva in lei una fredda assassina, una spia...vedeva solo la madre della donna con la quale avrebbe voluto trascorrere il resto della sua vita.
- Mamma.... questo è Michael Vaughn... il “mio” agente. – Aggiunse sorridendo.
- Molto piacere, signor Vaughn. – Stava per allungargli la mano, ma si fermò. Quella era la mano che aveva tolto la vita al padre di quel giovane e coraggioso ragazzo. Michael capì... e sorrise con gratitudine.
Le cose non sarebbero state facili... Ma non era necessario che lo fossero.
- Agente Vaughn – intervenne Jack Bristow – Spero che il suo lavoro non abbia risentito della mia...”morte”. –
- No signore...dovrò solo cambiare la carta sim del mio cellulare. La CIA ritiene che l’SD-6 lo abbia tenuto sotto controllo per risalire a lei. Per il resto...hanno creduto al messaggio. Il suo “omicidio” è stato attribuito a Irina Derevko. Sydney è salva... e Sloane non sarà più un problema. –
- Bene. –
- Papà... dove andrete adesso? –
- Non lo so tesoro... Non lo so. –
- Avrei voluto avere più tempo per conoscerti... per stare con te. –
. Lo vorrei anche io. Ma un giorno...quando l’Alleanza sarà distrutta, avremo moltissimo tempo per stare un po’ insieme...- Sorrise dolcemente alla sua “bambina” – Nel frattempo, ti lascio in buone mani. –
Sydney guardò suo padre e poi Michael. Finalmente la sua famiglia era riunita. Finalmente era felice.
- Ora dobbiamo andare. Buona continuazione. – Disse Irina.
Dopo un lungo abbraccio alla loro figlia, Jack ed Irina si allontanarono. Pochi minuti dopo, sulla terrazza c’era solo una giovane coppia.
- Tutto bene? –
- Sì, credo di sì. –
- Andrà tutto bene Syd, te lo prometto. –
- Lo so – Lo guardò e sorrise.

Dopo venti lunghi anni, il gioco era finito.

 

POSTFAZIONE DELL'AUTRICE
Questo è il mio primo racconto totalmente classificabile come AU... Cosa ne dite? Vi è piaciuto? Sono andata fuori carattere in qualche momento?...
Spero che vi siate divertiti anche con questa mia nuova piccola follia...

Leo, questo, più di ogni altro racconto, è per te... per le lacrime che ti ho fatto piangere in ufficio ;-)
E come per tradizione, la dedica va alla mia famiglia del forum... che in questi giorni senza alias (nemmeno negli Stati Uniti) ha quanto mai bisogno di un universo alternativo... Vi ho mai detto che siete grandi?

P.S. I versi iniziali sono come sempre dei favolosi Evanescence...e trovo che siano azzeccatissimi per il racconto. Invece le liriche presenti nel racconto sono della bellissima “I’m with you” di Avril Lavigne...Parole davvero stupende.


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